LA CHIESA DI SAN SIRO-LA PRIMA CATTEDRALE DI GENOVA

CHIESA DI SAN SIRO

LA PRIMA CATTEDRALE DI GENOVA

Per la sua vicinanza alle calate interne del Porto Vecchio, è stata per 17 secoli il primo approdo religioso per un numero imprecisato di marinai e pellegrini che sono giunti via mare nel grande scalo genovese.

 


UBICATA NEL CENTRO STORICO DELLA CITTA’

Sino a qualche tempo pensavo che Genova fosse la città in Europa col più grande centro storico mentre non è così, si direbbe una definizione impropria, cosa assolutamente non vera, con i suoi 113 ettari, dimensione molto minore rispetto, ad esempio, a Venezia o Napoli.

La città ha il centro storico più denso perché è cresciuta all'interno delle sue mura e così le case, separate da stretti caroggi, sono cresciute in altezza.


Il centro storico di Genova è un dedalo di viuzze e di vicoli ed è un piacere perdersi tra di essi, sempre con la dovuta cautela, scoprendo angoli suggestivi ammirando edicole votive agli angoli dei palazzi.


Genova è nota col soprannome di la
Superba e il primo a soprannominarla così fu Francesco Petrarca, che nel 1358 scrisse:

Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare

Questo soprannome si pensa sia dovuto alla conformazione della città che sembra protendersi verso il mare.


Pensando però ai suoi bellissimi palazzi, situati proprio nel centro storico, direi che superba si può considerare anche un sinonimo di altera e orgogliosa, ovvero considerare Genova come una città ricca di palazzi stupendamente affrescati che si possono vedere in occasione dei ROLLI DAYS.

I PALAZZI DEI ROLLI – GENOVA di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=605;rolli&catid=52;artex&Itemid=153

Insomma, non ci sono parole per spiegare "i caroggi di Genova". Ogni angolo di questa miriade di viuzze svelano qualcosa di questa città. Dalle più turistiche vie, tenute ora veramente bene, zeppe di localini, musicisti, artisti di strada e controllate dal forse dell'ordine che vigilano sui numerosi turisti a quelle meno trafficate dove gli abitanti sono perlopiù nord africani, ecuadoriani e sembra di essere in qualche casbah di Marrakech o di Tunisi con bancarelle e ristorantini etnici di ogni tipo e comunque decisamente caratteristici i caroggi, sicuramente da visitare quando si decide di fare un viaggio a Genova

Ma la sorpresa che ogni volta ci sbalordisce di questo affascinante centro storico è la ricchezza di chiese meravigliose, veri musei d’arte la cui storia viene da molto lontano.

Perché la Chiesa nel ‘600 cambiò il suo stile originale e si vestì quasi ovunque di BAROCCO? La risposta a questa domanda ci permetterà di capire alcune cose importanti della sua bimillenaria storia.

La Chiesa cattolica è l’unica religione monoteista che non abolì mai le rappresentazioni della divinità in tutte le sue forme artistiche che conosciamo. Al contrario, questo rapporto si rafforza nel clima “particolare” della Controriforma vedendo nel mondo dell’Arte lo strumento più idoneo per rimarcare la differenza con l’ambiente culturale protestante. La contestazione, forse più profonda di Lutero, si esprime proprio sulla ricchezza scenografica rinascimentale delle Chiese italiane considerata eccessiva e lontana dalla povertà delle origini, se non addirittura offensiva della rappresentazione della divinità.

In pratica, tutto ciò che la Riforma luterana mette alla berlina, nella Controriforma fissata dal Concilio di Trento (1545-1563), viene amplificata gettando più o meno inconsapevolmente le linee guida del BAROCCO, ossia la messa in scena in modo strabiliante del grande spettacolo della fede. Questo fenomeno si manifestò in misura maggiore nelle regioni come la Liguria, più esposte, via mare, al “contagio” protestante.

Oggi parliamo di

SAN SIRO

l'antica Cattedrale

Diciamo subito che il nome di questo santo rievoca principalmente il celebre stadio milanese, il cui nome è dovuto in realtà ad un altro santo omonimo, vescovo e martire presso Pavia nel IV secolo e festeggiato al 9 dicembre, il cui culto si è esteso sino a Milano.

La basilica di San Siro, è un edificio religioso situato nell'omonima via, nel quartiere della Maddalena. Eretta secondo la tradizione nel IV secolo. Vi fu seppellito il santo vescovo Siro e divenne la prima cattedrale di Genova. La sua comunità parrocchiale fa parte del vicariato "Centro Ovest" dell'arcidiocesi di Genova.


LA PIU’ ANTICA CHIESA DI GENOVA

Si trova a pochi passi  dall’Acquario - Porto Antico

(In alto a sinistra della mappa)


Chiesa di San Siro di Struppa, Genova (Molassana). Pannello centrale del polittico raffigurante episodi dell'agiografia di San Siro, vescovo di Genova, con l'immagine del santo che scaccia il basilisco.

LA LEGGENDA DEL BASILISCO

Al nome del santo è legata la leggenda del Basilisco, stando alla quale il vescovo genovese avrebbe snidato il mostro dal suo nascondiglio, situato in fondo al pozzo a lato della chiesa. A ricordare l'evento sono un bassorilievo medioevale murato tra le arcate di un portico duecentesco nello slargo dinanzi al lato meridionale della chiesa e all'interno, nel catino absidale, un affresco seicentesco di Giovanni Battista Carlone.

Secondo le storie dell'epoca, a quei tempi a Genova c'era un grosso basilisco che si nascondeva in un pozzo collocato presumibilmente dalle parti di vico San Pietro della Porta. Il rettile terrorizzava i genovesi e appestava la città con il suo fiato, e per sconfiggerlo i cittadini si rivolsero a San Siro, il loro vescovo.

Il santo si avvicinò al pozzo, vi calò un secchio e ordinò al rettile di entrarvi dentro. L'animale obbedì, e allora San Siro prese una barca, andrò in mare, e ordinò nuovamente al basilisco di tuffarsi e nuotare via. E così fu.

In vico San Pietro della Porta c'è tuttora una lapide, risalente al '500, che raffigura San Siro e il basilisco. L'iscrizione dice: «Qui si trova il pozzo dal quale il Beatissimo Siro, arcivescovo di Genova, fece uscire il terribile serpente di nome basilisco». Il Santo viene raffigurato mentre sconfigge il rettile anche nella chiesa di San Siro di Struppa (vedi foto). In realtà, probabilmente, la leggenda indicava la lotta di San Siro non contro un rettile vero, bensì contro gli eretici ariani, simboleggiati dal basilisco.


L’ingresso della chiesa

UN PO’ DI STORIA

L'antica chiesa di San Siro fu eretta nel IV secolo; originariamente dedicata ai Dodici Apostoli, nel VI secolo cambiò la propria intitolazione in favore del vescovo Siro.

Il Martyrologium Romanum cita anche: “un San Siro coevo del precedente e perciò talvolta con esso confuso. Questi fu vescovo del capoluogo ligure, ove si dedicò con grande zelo alla cura delle anime sottoposte alla sua cura. Pochissimo sappiamo delle sue origini, ma alcuni studiosi lo vorrebbero nativo del fondo vescovile di Molliciana, odierna Molassana, e quindi più precisamente nella zona di Struppa, ove infatti sorge una grande ed antica basilica a lui dedicata. Non a caso il santo è talvolta citato come “San Siro di Struppa”.


Nel periodo del suo ministero pastorale, collocabile approssimativamente tra il 349 ed il 381, la vita cristiana della città di Genova progredì a tal punto che i suoi contemporanei tramandarono ai posteri il nome di Siro abbinandolo meritevolmente al ricordo di un pastore santo e vigilante. In età ormai avanzata e circondato da un’indiscussa fama di santità
. Siro morì il 29 giugno di un anno imprecisato, forse proprio il 381 che viene considerato l’ultimo del suo episcopato.


Ricevette sepoltura nella basilica genovese dei Dodici Apostoli, che in seguito prese il suo nome. In seguito le sue spoglie vennero traslate nella attuale Cattedrale ad opera del vescovo Landolfo ed in tale anniversario, il 7 luglio, l’arcidiocesi di Genova ne celebra la festa.

 

La prima ricostruzione

Nel 1006 (o nel 1007) il vescovo Giovanni II la eresse in Abbazia, assegnandola ai Benedettini che grazie a generose donazioni (tra l'XI e il XII secolo) fecero costruire una grande basilica romanica a tre navate, sul luogo della chiesa originaria. Da quel momento quell’area, il cosiddetto “Burgus”, cominciò ad espandersi.

La basilica fu consacrata il 9 agosto 1237 dall'arcivescovo Ottone II, alla presenza di numerose autorità ecclesiastiche tra cui il patriarca di Gerusalemme Geroldo di Losanna; i Benedettini vi rimasero fino al 1398, quando, sotto il pontificato di Bonifacio IX, dopo un periodo di declino protrattosi per tutto il XIV secolo, la chiesa venne data in Commenda. L'arciprete Oberto Sacco fu il primo abate commendatario.

Due secoli dopo, il 5 agosto 1575, con il definitivo abbandono degli ultimi benedettini, papa Gregorio XIII affidò la chiesa ai Padri Teatini, presenti a Genova dal 1572 nella vicina chiesa della Maddalena; il titolo di abate venne invece trasferito al vescovo pro-tempore di Genova, ed è tuttora attribuito all'arcivescovo in carica.

Chi era Gaetano da Thiene? (ordine religioso fondato da Gaetano di Thiene)

SUL CASTELLO DI RAPALLO SOPRAVVIVE UN SIMBOLO RELIGIOSO

di Carlo GATTI

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Il rifacimento cinquecentesco

Nel 1580 l'intera ala meridionale della chiesa fu distrutta da un incendio e i Padri Teatini ne decisero la totale ricostruzione. La paternità del progetto del nuovo edificio barocco, strutturato secondo le forme previste dalla Controriforma, è incerta: dagli storici è alternativamente attribuito al Vannone (al quale si deve con certezza la cappella Pinelli all'interno della chiesa), al padre teatino Andrea Riccio o a Daniele Casella. Accanto alla chiesa furono realizzati anche il convento e il chiostro.

I lavori, iniziati nel 1584, si protrassero fino al 1619, quando fu completata la cupola, ma già nel 1610 vi si celebrò la prima messa solenne, mentre nel 1613 vennero completate le principali strutture murarie; le decorazioni interne furono realizzate nel corso di tutto il XVII secolo mentre la facciata principale, in stile neoclassico, sarebbe stata realizzata solo nell'Ottocento.

I Teatini chiesero inutilmente un finanziamento pubblico per la ricostruzione della chiesa, mentre le sovvenzioni non mancarono da parte di varie famiglie patrizie genovesi.

Nel XVIII secolo, l'apertura della Strada Nuovissima (attuale via Cairoli), comportò un ridimensionamento del convento e del chiostro. Nel 1798, per le leggi di soppressione degli ordini monastici emanate dalla Repubblica Ligure napoleonica, i Teatini dovettero abbandonare il convento e la chiesa, che fu affidata al clero diocesano.

Dall'Ottocento ai giorni nostri

Nel 1821 fu finalmente realizzato il prospetto principale, in stile neoclassico, su disegno di Carlo Barabino. architetto genovese al cui nome sono legati numerosi edifici pubblici nei primi decenni dell'Ottocento ed il piano di espansione urbanistica della città.

Ai lati del portale d'ingresso, statue in stucco della Fede, di Nicolò Traverso, e della Speranza, di Bartolomeo Carrea. Sotto al timpano si trovano dei bassorilievi raffiguranti vari episodi della vita di San Siro. La chiesa subì gravi danni a causa di bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale e fu restaurata negli anni immediatamente successivi. In particolare furono distrutte due cappelle della navata di sinistra e l'altare di nostra Signora della Provvidenza.

Tra il 2007 e il 2008 sono stati eseguiti restauri delle decorazioni e degli affreschi delle cappelle e del presbiterio

La chiesa di San Siro oggi è senza il campanile che, come già accennato venne demolito nel 1904 per timore di un crollo, avendo evidenziato grosse crepe nella struttura. Alto 50 metri, era simile a quelli della vicina chiesa delle Vigne e della Commenda di Prè ed era stato innalzato nell'XI secolo, all'epoca della prima ricostruzione della chiesa. La decisione di demolire la quasi millenaria torre campanaria romanica fu presa sull'onda emotiva suscitata dal crollo del campanile di San Marco a Venezia, avvenuto il 14 luglio 1902, ma a differenza di questo non venne più ricostruito.

Del campanile resta solo la parte più bassa, fino all'altezza del tetto della chiesa, non visibile perché affacciata su un cortile privato.

Chiostro

Il chiostro di S. Siro fu fatto edificare dai Padri Teatini nel 1575, in occasione del rifacimento della chiesa. In parte ridimensionato nel XVIII secolo per l'apertura della "strada nuovissima" (via Cairoli) è oggi semiabbandonato e non visitabile. Al centro, dove un tempo si trovava il pozzo del convento, sorge una struttura circolare, sormontata da un tetto a pagoda sostenuto da una serie di colonne in ghisa, edificata nel 1907 ad uso di bagni pubblici e rimasta in funzione fino agli anni trenta del Novecento.

L’INTERNO DELLA CHIESA

Abbiamo già accennato al Barocco genovese, ma ora entriamo nella chiesa per aggiungere qualche dettaglio in più alle notevoli opere d’arte di cui faremo un breve sommario nella speranza che possa essere utile al lettore intenzionato a visitarla.

Irregolare, contorto, grottesco: erano questi i termini con cui inizialmente si soleva qualificare il BAROCCO che nacque a Roma nella prima parte del Seicento. Gli stessi aggettivi, alquanto dispregiativi, erano stati pronunciati secoli prima anche per lo stile Gotico...

La diffusione dello Barocco nel contesto genovese è legata a una fase particolarmente fiorente e fortunata della Repubblica di Genova. Alcune famiglie nobili tra cui le dinastie Doria, Spinola, Pallavicini, Adorno, Balbi, Grimaldi, Lomellini, Durazzo, Pallavicini, Sauli, Negrone, Brignole Sale, Giustiniani, Imperiale, Lercari, Cattaneo, Centurione e poche altre che vollero mostrare la propria “magnificenza” commissionando ritratti, ma soprattutto facendo costruire e decorare tante chiese nonché palazzi cittadini e ville.


All’interno di questo prodigioso contesto economico e artistico, fondamentale fu l’attività del pittore genovese
Gregorio de Ferrari.

L’artista decorò la volta e la cupola della Basilica di San Siro. Al suo interno, nel 1676 il pittore affrescò “La gloria di s. Andrea Avellino e tele con Estasi di s. Francesco e Riposo durante la fuga in Egitto”.

SAN SIRO: Le opere BAROCCHE DELLA SCUOLA GENOVESE DEL ‘600

L'interno, a tre navate su colonne binate, è uno scrigno di tesori.
La decorazione fu realizzata quasi interamente dai
Carlone.

Tommaso intervenne come stuccatore, mentre Giovanni Battista realizzò gli affreschi della navata centrale, della cupola ("Gloria di San Siro") e del coro ("Miracolo del basilisco"), in collaborazione col quadraturista Paolo Brozzi.

 

Infine una curiosità dal punto di vista storico: nella chiesa di San Siro il 23 giugno 1805 fu battezzato Giuseppe Mazzini.

 

GLI ARTISTI CHE OPERARONO IN SAN SIRO

§ Navata centrale: Affreschi di Giambattista Carlone e Carlo Brozzi. Nel tondo: La cattura di Cristo e le Tre Virtù Teologali. Le tre Medaglie (Invocazione di San Pietro, Martirio, Caduta di Simon Mago) alludono alla prima intitolazione della Chiesa ai dodici apostoli, opera di G. B. Carlone.

§ Presbiterio e coro: Nel catino San Siro che tira fuori dal pozzo il basilisco di G.B. Carlone. Sopra all’altare maggiore, in un quadrato: San Siro portato in cielo da angeli e santi, sempre ad opera di G.B. Carlone. Fra gli ornamenti realizzati dal Brozzi ci sono varie figure, da notare gli angeli che sorreggono gli scudi di cui uno è lo stemma Pallavicini (promotori delle opere di restauro). L’altare maggiore, in marmo nero e bronzo, è opera dello scultore Puget. Realizzato tra il 1669 e il 1670, è stato pensato come oggetto isolato, che può essere aggirato dai e visibile dai quattro lati. La sua collocazione comportò probabilmente l’abbattimento del muro della clausura.

§ Cupola: Il Paradiso, dipinto da Carlone, si rovinò e fu restaurato nel 1760 circa da Gio. Battista Chiappe.

§ Volta: Nel punto in cui la navata si allarga a crociera, in due medaglie laterali sono rappresentati l’Imperatore Eraclio che sale al calvario con la croce e Costantino il Grande che prevede la vittoria. Secondo l’Alizeri, anche queste figure sarebbero state restaurate dal Chiappe, mentre Giuseppe Passano ha rifatto i putti rovinati dal tempo.

§ Sacrestia: È molto grande e ospita opere che provengono dalla Chiesa dei PP. Teatini in Sampierdarena e dall’oratorio di Santa Maria.

- Dall’oratorio:

- Annunciazione, di Domenico Piola.

- Parto e Presentazione della Vergine, di Giacomo Antonio.

- Sant’Andrea Avellini, di Giuseppe Canotto.

- Sant’Anna e San Gioachino, di Giuseppe Galeotti.

- La Salita al Calvario, di Bernardo Castello.

- Sant’Anna in contemplazione di Gesù, forse opera del De Ferrari.

Dalla chiesa in Sampierdarena, quattro tavole sulla parete di sinistra:

- Martirio di Giovanni Battista e SS. Gaetano e Sant’Andrea Avellini, di Domenico Piola.

- San Francesco e Il Riposo nella fuga d’Egitto, su commissione della Famiglia Centurione.

§ Fonte Battesimale

Si colloca tra la prima e la seconda cappella, risalente al 1445 e proveniente dalla San Siro benedettina.

Capelle

Furono realizzati nel 1641 da Rocco pennone, con il sostegno economico da Agostino Pallavicino, rappresentato nella statua sopra l’ingresso di cui non è noto l’autore; probabilmente si tratta di seguaci dei Carlone o di artisti provenienti da ambito lombardo.

Navata Sinistra

 


Annunciazione di Orazio Gentileschi

§ I Cappella: Annunciazione di Maria: Disegno di Daniello Casella, allievo di Taddeo Carlone.

Tavola d’altare: Annunciazione, di Orazio Gentileschi da Pisa. Ai lati: SS. Pietro e Paolo Sulla volta: tre misteri della Vergine, di Giovan Luca e Gerolamo Celle.

§ II Cappella: San Gaetano di Tiene La cappella era di giuspatronato dei Lomellini, che la ultimarono nel 1673. Marmi neri di Como sulle pareti, bronzi dorati sulle colonne e sull’altare. Nella nicchia: immagine del Santo. Volta della cappella (da sin.): San Gaetano in preghiera, Apparizione di Cristo Santo, Il Santo aiuta Cristo a portare la croce: tre tele di Domenico Piola, come l’affresco della volta con la Gloria di San Gaetano.

§ III Cappella: Sant’Andrea Avelllino. Il Santo assalito dai demoni e Transito del Santo di Orazio De Ferrari, alle pareti. Nella piccola volta, tre tele (sec. XVIII), pure con Storie del Santo. La volta della navatella: Gloria di Sant’Andrea Avellino di Gregorio De Ferrari.

Sull’altare, Transito di Sant’Andrea Avelllino di Domenico Fiasella.

§ IV Cappella: Madonna della Guardia, già Nostra Signora delle Grazie. (giuspatronato della famiglia Spinola, 1610-1639). L’altare attribuito a Tommaso Carlone. Sui lati, due quadri: la Nascita di Maria di Aurelio Lomi e la Decollazione di San Giovanni Battista di Carlo Bonone da Ferrara.

Sulla volta, Annunciazione, Incoronazione della Vergine, Visitazione (scuola di G.B. Carlone). Sulla volta esterna: Santa Rosa in adorazione di Maria, di Gio. Battista Carlone e altri.

§ V Cappella: Sacro Cuore (giuspatronato della famiglia Centurione, 1640-1642) L’Alizeri attesta che la cappella era intitolata a San Niccolò di Bari e presentava Cristo e Maria impongono il palio al Santo Vescovo, probabilmente opera del Sarzana.

Sull’altare, in marmi policromi scolpiti ed intarsiati, la recente tela col Sacro Cuore dei fratelli Rossi (sec. XX). Lunette: Miracolo di San Nicola e San Nicola distribuisce elemosine, attribuite a G.B. Carlone.

§ VI Cappella: Sant’Antonio (giuspatronato della famiglia Pinelli, 1588 progetto architettonico) Sull’altare, in marmi e pietre dure scolpiti ed intarsiati, è collocato un Crocefisso ligneo. L’Alizeri attesta che la cappella era intitolata al Santissimo Crocefisso.

Taddeo Carlone fu architetto della Cappella e scultore delle statue. Successivamente fu introdotta l’immagine di Sant’Antonio che risana la gamba, opera del Lomi, a sostituzione della Crocifissione, del Lomi, che venne portata in sacrestia e che era collegata tematicamente con le altre due opere, di Gio. Domenico Cappellino, che rappresentano Cristo flagellato e Cristo incoronato di spine e si trovano ai lati. Nelle nicchie (da sin.) statue raffiguranti San Gregorio, San Giovanni Battista, San Francesco da Paola, San Carlo Borromeo, attribuite a Taddeo Carlone e opere di bottega.

La cappella della Natività di Cristoforo Roncalli (Pomarancio)

La cappella è arricchita dagli intarsi di Giuseppe Carlone, nella chiesa c’è una legenda che spiega come questo altare sia impreziosito da corniola, ametista, diaspro rosso e lapislazzuli, alla base della grande Croce c’è un calvario di pirite e due magnifici angeli reggono con grazia l’altare.

§ VIII Cappella: Natività di Gesù Cristo (giuspatronato della Famiglia Lomellini dal 1598)

Finanziata da Giacomo Lomellini, presenta putti di Giuseppe Carlone. All’altare la Natività di Gesù di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio (1552-1626). Cupoletta: dipinti di Angeli di scuola genovese del XVII secolo.

§ IX Cappella: Santa Caterina da Siena (giuspatronato dal 1598 di Barnaba Centurione)

Volta esterna: La Santa con Gesù, di G. B. Carlone. Tre lunette interne rappresentano tre episodi della vita di Maria. Tavola d’altare: Nozze mistiche di Santa Caterina attribuito ai fratelli Semino Quadri laterali: SS. Battista e Gerolamo attribuiti ai fratelli Semino. La volta adiacente della navatella: Comunione di Santa Caterina da Siena di G.B. Carlone.

§ X Cappella: San Giovanni in Bosco, già di San Matteo. (giuspatronato della famiglia Gentile dal 1599-1603)

La recente statua di San Giovanni Bosco ha sostituito il Martirio di San Matteo, stravolgendo il ciclo delle Storie del Santo. Volta interna: tre lunette con episodi della vita del santo, opera del cav. Ventura Salimbene. Da sin.: Miracolo, Scrittura del Vangelo, Predicazione (affreschi del senese V. Salimbeni, volta piccola); Vocazione e Miracolo (dei fratelli Montanari, alle pareti); Predicazione (di G. B. Carlone, volta della navatella).

§ XI Cappella: San Pio X, già della Pietà. (giuspatronato di Lorenzo Invrea dal 1600) All’altare San Pio X e i fanciulli di F. Torsegno (1958). Della bottega dei Carlone i Profeti nelle nicchie laterali; attribuiti a Bernardo Castello, gli affreschi della volta soprastante: Il serpente di bronzo, Dio Padre benedicente, Giona rigettato sul lido, Teste di Cherubini.

§ XII Cappella: di San Matteo, già della Disputa coi Dottori. (giuspatronato di Gian Giacomo Imperiale dal 1599). All’altare, molto danneggiata dall’ultima guerra, è stato collocato il Martirio di San Matteo di Agostino e Giò Battista Montanari, prelevata dalla cappella di San Giovanni Bosco.

§ Organo a canne

§ L'organo a canne della chiesa è stato costruito nel 1950 dalla ditta organaria Parodi e Marin riutilizzando la cassa e parte del materiale fonico del precedente strumento. A trasmissione meccanica, ha due tastiere e pedaliera.

§ Persone legate alla basilica di S. Siro

§ Come abbiamo già visto, in questa chiesa il 23 giugno 1805 venne battezzato Giuseppe Mazzini, figlio del medico Giacomo Mazzini e di Maria Drago (il fondatore della Giovine Italia era nato il giorno prima nell'abitazione della famiglia in via Lomellini, oggi sede del Museo del Risorgimento).


Navata Centrale


Particolare del Presbiterio con moderna illuminazione alogena

Il presbiterio con l'altare maggiore di Pierre Puget


VOLTA e cupola

Cupola: Il Paradiso, dipinto da Carlone, si rovinò e fu restaurato nel 1760 circa da Gio. Battista Chiappe.

Nel punto in cui la navata si allarga a crociera, in due medaglie laterali sono rappresentati l’Imperatore Eraclio che sale al calvario con la croce e Costantino il Grande che prevede la vittoria. Secondo l’Alizeri, anche queste figure sarebbero state restaurate dal Chiappe, mentre Giuseppe Passano ha rifatto i putti rovinati dal tempo.


Cappelle della navata laterale

Carlo GATTI

Rapallo, 8 Febbraio 2021

Bibliografia:

- Il Centro Storico di Genova - Cassa di Risparmio di Genova e Imperia

IV edizione - Autori: E.Mazzino - T.O. De Negri - L.Von Matt - 1978

- Guida d'Italia: LIGURIA - Touring Club Italiano

- Tesori della Liguria visti da Vittorio Sgarbi - Secolo XIX 1992

- GENOVA - Secolo XIX - di Guido ARATO - 1992

Le foto sono state prese in parte dal web a scopo divulgativo.

Si ringraziano i siti:

www.irolli.it - Tripadvisor-www.vegiazena.it -

Miss Fletcher -

ceraunavoltagenova.blogspot.com

www.itinerariinitalia.com


STORIE DI MARE - IL CAPPUN MAGRO

IL CAPPUN MAGRO


Dipinto di Marco Locci

Negli Anni ‘60 del secolo scorso, quando si partiva per un rimorchio d’altura in Mediterraneo con 8 membri d’equipaggio e non si faceva, per una sorta di prudenza scaramantica, la previsione di ritorno a Genova, imbarcavamo provviste cibarie e il m/r Brasile (29 metri di lunghezza) si trasformava in una grande cambusa di cui faceva parte anche la cabina del Comandante, il frigo di bordo aveva le stesse dimensioni di quello di casa.


 

Un marinaio di Camogli, che non mancava mai tra l’equipaggio, aveva il compito di presentarsi alla partenza con una decina di sacchi di “gallette del marinaio”, la cui fama si era diffusa da S. Rocco di Camogli.

INTERMEZZO

LA GALLETTA DEL MARINAIO

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Mi spiego meglio. Le gallette non solo rappresentavano una bandiera da sventolare, un’antica tradizione da rinverdire, ma era ancora in quegli anni una vera e propria arma di riserva: una necessità culinaria per l’impossibilità di panificare a bordo quando finiva la scorta di pane fresco acquistato presso il panificio del caroggiu più vicino a Ponte Parodi. In poche parole, le gallette erano destinate ad entrare in gioco durante le situazioni d’emergenza che esamineremo tra breve.

Per chi non è avvezzo a certe situazioni nautico-marinare, come la navigazione invernale nel Mare Nostrum, la prudenza scaramantica di cui parlavo all’inizio, la spiego con un esempio: il rimorchio di una nave, spesso era un relitto sbandato, senza equipaggio, si trainava con circa 600/700 metri di cavo che, nella sua parte centrale aveva un pescaggio di circa 10/20 mt, come una petroliera carica di quei tempi, per cui era imperativo navigare, al limite dei 5 nodi di velocità, al largo delle coste per non perdere il cavo sui bassi fondali e di conseguenza anche la nave rimorchiata.

Purtroppo, con questo tipo di problema, eravamo condannati a navigare in mare aperto senza il ridosso della terraferma, quando le burrasche invernali infuriavano ed il rimorchio a volte tentava di sorpassarci prendendo più vento di noi…. e, a questo punto la navigazione diventava “manovrata”, si allungavano i tempi alla ricerca di una golfata dove accorciare il cavo e “puggiare” attendendo il passaggio della depressione per poi ripartire.

A volte le depressioni si susseguivano…e l’attesa si faceva lunga e nervosa e si capiva che presto saremmo finiti nella “capunnadda”… un modo di dire che preludeva alla scarsità di cibo fresco. Da quel momento a bordo tutti si mettevano a pescare e via radio si contattavano i pescherecci della zona per scambiare pesce fresco con stecche di sigarette, bottiglie di Porto e Fundador.

Se il peschereccio aveva catturato pesci prelibati, la nostra cappunadda poteva trasformarsi in un cappun magro sui generis, magari non proprio farcito con verdura appena raccolta…ma assolutamente gustoso e profumato.

Si raggiungeva quasi sempre lo scopo perché avevamo molti amici pescatori un po’ dappertutto e poi in mare, lo sapete benissimo, la solidarietà la si vive e non la si predica soltanto!

Dopo questa lunga premessa é ora d’entrare nel tema!


Pareggia Ligure

 


E non possiamo farlo senza ricordare le imbarcazioni liguri dei secoli passati: Galee, Bovi, Tartane, Navicelli, Paregge, Leudi e tante altre che, senza motore, affrontavano le nostre stesse situazioni pericolose appena descritte.

Le rotte battute dai naviganti erano sempre le stesse fin dall’antichità, controllate dal dio MARE, un dio senza età che impone leggi imprevedibili che ancora oggi non si rivelano pienamente alla scienza umana, un dio che rispetta chi gli fa l’inchino, chi non lo sfida ma lo asseconda in ogni suo capriccio: per gli sbruffoni, i cosiddetti padroni del mare, ha sempre nuovi prodotti da offrire, ossia lezioni a base di legnate che in mare si chiamano COLPI DI MARE…che non perdonano!

Dalle galee ai leudi: secoli d’esperienza marinara accumulata dai nostri avi marinai, e che abbiamo ereditato insieme alle ricette per risolvere il problema della scarsità di cibo, ricette che nacquero per necessità dalla fantasia dei marinai che impararono a sfruttare gli avanzi della cambusa di bordo dopo un mese di navigazione prolungata oltre i limiti delle previsioni spesso causate da soste e puggiate di fortuna.

ECCO DA DOVE NASCE IL CIBO CHE OGGI VIENE CELEBRATO SULLE TAVOLE DEI MIGLIORI RISTORANTI…. Dalla capunnadda al cappun magro il passo è breve.

Ambedue le ricette sono realizzate utilizzando come base una galletta ammollata in acqua e aceto, pesce salato (tonno e alici) e, se possibile, olive, origano e un po’ d’olio: in pratica l’equivalente della capponadda, ovvero la parente povera del CAPPON MAGRO di cui oggi recuperiamo un po’ di storia.

La definizione che spesso si dà di questo piatto è la seguente:

Il cappon magro è un antico piatto tradizionale ligure a base di pesce e verdure. Il termine "magro" indica il suo essere un piatto di magro, riservato cioè ai giorni di penitenza e quaresimali. Il pesce e la verdura di cui è composto vengono serviti su una base di  galletta che abbiamo già conosciuto.

Molti, se non tutti gli armatori medievali genovesi, erano nobili che spesso s’imbarcavano sulle loro navi per raggiungere i Domini politici territoriali, fondaci, basi militari, mercati e consolati del Medio Oriente e del Mar Nero per curare i loro interessi mercantili.

Durante questa forzata convivenza tra aristocratici e gente di mare, ci furono scambi di esperienze e conoscenze che passarono alla storia. Per quel che ci riguarda in questo articolo, nel passaggio di questi piatti dalle galee alle tavole dei nobili nei loro castelli, la ricetta si arricchì, infatti gli ingredienti diventarono più raffinati e al pesce si aggiunsero la verdura e la salsa verde capace di armonizzare i sapori rendendo l’insieme impareggiabile.

Si trattò di un evento dinamico naturale che seppe viaggiare nei secoli fino a portare queste degustazioni marinare, sui ricchi banchetti blasonati, ed oggi nei più rinomati ristoranti ed alberghi della penisola dove è possibile ammirarli e gustarli con arricchimento di pregiati ingredienti e persino decorazioni con ricercate verdure e spezie provenienti da lontano.

Nei libri contabili di alcune famiglie nobili genovesi si trovano riferimenti inequivocabili al cappon magro, sia come piatto dei giorni di magro – magari in versione più sobria – sia come portata fastosa da ostentare durante i banchetti ufficiali tenuti in giorni di astinenza dalle carni.



Oggi la caponadda, soprattutto in Riviera, è piatto estivo rinomato e nella frazione di San Rocco, a luglio, dà luogo a una sagra assai frequentata.

ECCO finalmente LA RICETTA che aspettavate.

dosi per quattro persone – con quattro gallette da marinaio (fuori dalla Liguria sono quasi impossibili da trovare, le potete sostituire con fette di pane che biscotterete, oppure con freselle pugliesi o con qualunque cracker che sia in grado di reggere l’acqua senza impregnarsi troppo, il pane azzimo o i Wasa non sono il massimo ma all’occorrenza possono andare.

La ricetta del CAPPON MAGRO:

Gli ingredienti della ricetta del cappon magro sono:

  • 75 grammi di mosciame di tonno (tonno secco, anche questo arduo da trovare: potete sostituirlo con la bottarga),

  • tre acciughe salate,

  • 150 grammi di tonno al naturale (c’è chi usa quello sott’olio, ma l’olio delle conserve non è granché e rischia di coprire il pregiato olio evo che userete voi),

  • trenta olive taggiasche (non date retta a quelli che dicono le spagnole o le Cerignola),

  • tre uova sode tagliate a rondelle,

  • una cipolla (di Tropea, suggerisco),

  • quattro pomodori maturi,

  • 150 grammi di fagiolini,

  • un bicchiere di aceto bianco,

  • un bicchiere di olio evo,

  • acqua e sale

Naturalmente non c’è bisogno di dirvi di lessare i fagiolini e di togliergli i fili, di affettare la cipolla e il pomodoro, di ammollare il pane in acqua e aceto badando che non si impregni troppo e conservi un po’ di croccantezza, e infine di mescolare tutto e condire con l’olio, l’aceto che resta e il sale.

RICETTA DEL CAPPON MAGRO DELLO CHEF DELL’HOTEL MIRAMARE DI RAPALLO

https://video.ilsecoloxix.it/levante/la-ricetta-il-cappon-magro-del-miramare-di-rapallo/7504/7505

 

CARLO GATTI

 

Rapallo, 13 Gennaio 2021

 


VENTI DI STORIA SU CAMOGLI

VENTI DI STORIA

SU CAMOGLI

Nel giorno di Natale 2020, dedichiamo queste righe a chi è appassionato di ricerche marinare.

Uno scrittore di mare molto legato a Camogli.

La nostra memoria non deve - non deve - oscurare nel tempo chi scrive e chi ha scritto di mare e del suo scenario globale.


GIO BONO FERRARI

A Camogli, è vissuto il suo storico marittimo per eccellenza, cioè Gio Bono Ferrari, che scrisse con meticolosi dettagli le vicende di un secolo fitto di vicende e personaggi dell'epoca della vela. Ferrari, che morì nel 1942, fu anche un attento storico della nostra Città, che però scrisse raramente delle navi a propulsione meccanica.

 

ALBUM FOTOGRAFICO

MUSEO MARINARO GIO' BONO FERRARI

 

 

 

VITTORIO G.ROSSI


Ne parlò invece un altro autorevole e famoso scrittore-giornalista di mare che amò Camogli: il Sammargheritese Vittorio G. Rossi. Rossi - tra l'altro - si diplomò al nostro Istituto Nautico nel 1925 e navigò su navi mercantili a vapore; coprì inoltre numerose e rilevanti cariche nell'ambito marittimo.

Esiste un terzo studioso, molto noto a livello internazionale, ma forse a pochi Camogliesi: Tomaso Gropallo.


Il Marchese Gropallo (1898 - 1977), di stirpe nobile Genovese (tralasciamo qui la sterminata storia della sua famiglia), è noto ai ricercatori Camogliesi di cose marittime per il suo celebre ed utilissimo "Il Romanzo della Vela" (ed. Mursia, 1973). E' vero che Gropallo dedicò ampio spazio (come è giusto che sia!) ad Armatori, Capitani e Navi Camogliesi però, oltre questa letteratura, non sapevamo gran che della persona-scrittore. Rileggendo alcuni Bollettini del Santuario del Boschetto, intendiamo che, in effetti, Gropallo fu molto legato alla nostra Città.

Visitò molte volte il Museo Marinaro, anzi ne fu un appassionato collaboratore, specialmente nella fase di inaugurazione del 1938, quando la mostra si insediò nel ridotto del Teatro Sociale; a quell'epoca, il suo primo Direttore fu proprio Giò Bono Ferrari, del quale Gropallo era molto amico. Nel nuovo Museo, lo scrittore raccolse ovviamente molte notizie per i suoi testi. Inoltre, era il presidente nazionale - insieme all'armatore Francis Ravano - della "Amicale Internationale des Capitaines au Long Cours Cap-Horniers" (A.I.C.H.), alla quale erano nel 1971 ancora iscritti con onore tre "Albatross" Camogliesi: Prospero Figari (Sciabecco), Edoardo Figari e Prospero Antola; e proprio nel 1971, ebbe luogo l'ultima riunione dei Cap Horniers a Camogli.

Gropallo - che era avvocato - fu anche docente di Diritto ed Economia Marittima proprio al nostro Istituto Nautico per vari anni; lo studioso inoltre realizzò a quei tempi vari testi di Diritto e Storia della Navigazione, utili anche ai naviganti.

Per quanto enunciato sopra, consideriamo perciò Tomaso Gropallo un significativo ricercatore, studioso, cultore e storico della Marineria di Camogli.


Immagine: "Monumento dedicato ai Cap Horniers a Capo Horn" tratto da http://www.cap-horniers.fr/CHLC/Historique.html.

La fessura al centro rappresenta un albatross, cioè il titolo che veniva attribuito a quel Capitano che aveva l'abilitazione al "lungo corso" ed aveva doppiato il Capo Horn almeno una volta su nave a vela.

di Bruno MALATESTA

CAPITANI DI CAMOGLI

VITTORIO G. ROSSI - GIORNALISTA, SCRITTORE E UOMO DI MARE

di CARLO GATTI - (Rapallo Arte)

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=580;vittorio&catid=52;artex&Itemid=153

CAPO HORN - L'inferno dei Marinai

di CARLO GATTI - (Navi e Marinai-Mondo Marittimo)

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=484;horn&catid=53;marittimo&Itemid=160

Rapallo, 28 Dicembre 2020


LUNAZIONI, STAGIONI E SEGNI ZODIACALI DEL 2021

 

Il S.T.V Vincenzo GAGGERO (Associazione IL SESTANTE-Chiavari) e nostro socio, ci invia le

 

LUNAZIONI, STAGIONI E SEGNI ZODIACALI DEL

 

2021

 

Ed aggiunge …

Un anno buono, senza eclissi visibili in Italia e con le Lune "giuste" nel senso che le lune nuove, a partire da Agosto, sono ai primi del mese.

MARE NOSTRUM RAPALLO RINGRAZIA


IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA PASSA ALLA MARNA MILITARE

IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA (CHIAVARI)

PASSA ALLA

MARINA MILITARE ITALIANA

COMUNICATO STAMPA

SALA STORICA DELLA SCUOLA TELECOMUNICAZIONI FF AA. DI CHIAVARI

ATTO DI DONAZIONE DI ERNANI ANDREATTA E FIGLIA GABRIELLA

Giovedi 10 Dicembre 2020 ore 16.00

 

Alle 16.00, di Giovedi 10 Dicembre c.a., presso il noto studio notarile del Dott. Alberto CECCHINI in Chiavari, si è concluso l’atto di donazione del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari allo Stato Maggiore della Marina.

La parte donante   era costituita dal Comandante Ernani Andreatta, fondatore e curatore del museo stesso, e dalla figlia Gabriella in Westermann che per alcuni numerosi reperti ne era proprietaria. Il Capitano di Vascello Nicola Chiacchietta, per una importante parte di reperti, ha firmato la donazione per la scuola Telecomunicazioni FF AA di Chiavari, mentre il Capitano di Vascello Leonardo Merlini ha firmato la donazione per conto del Museo Tecnico Navale di La Spezia. In questo secondo elenco sono contemplati preziosi cimeli di epoca Marconiana   come le radio degli anni ‘20 e ‘30 e altri reperti originali appartenuti alla nave laboratorio “Elettra” di Guglielmo Marconi. Detti beni, viene specificato nell’atto di donazione, rimarranno però collocati nella sezione "MUSEO MARINARO TOMMASINO - ANDREATTA" presso la Scuola Telecomunicazioni FF.AA. di Chiavari ma potranno essere impiegati, a insindacabile giudizio della Marina Militare, in altre sedi per scopi culturali e di promozione della storia marittima e navale. Non escluso, aggiunge Andreatta anche l’importante “Cantiere della Memoria” di La Spezia semprechè questo ne faccia richiesta alla Marina Militare.

Dopo essere passati attraverso varie commissioni, in quanto il valore storico e scientifico dei reperti doveva essere valutato dallo Stato Maggiore della Marina prima dell’acquisizione, la donazione ha seguito un lunghissimo iter di quasi 10 anni ma solo nel 2020 ha subito una insperata “accelerazione” per le varie autorizzazioni grazie all’impegno del C.V.  Nicola Chiacchietta Comandante della Scuola TLC e del Capitano di Fregata Marco Rainoldi, Direttore della Sala Storica della Scuola. La donazione ha potuto aver luogo anche per l’impegno dell’Ammiraglio di Squadra Alberto Bianchi che al tempo del suo incarico di Comandante delle Scuole della Marina Militare diede per primo il suo benestare che ha potuto concretizzarsi soltanto con le importanti autorizzazioni concesse dall’Ammiraglio di Divisione Giorgio LAZIO Comandante in Capo di Marina Nord che ha sede a La Spezia.

Hanno contribuito alla concessione della donazione anche il Capo di Stato Maggiore Amm.  Isp. Davide Gabrielli.

Altre autorizzazioni sono pervenute dall’Ufficio di Consulenza Legale del Comando Marittimo Nord nella persona del Consulente Legale C.V. Giuseppe Sfacteria, dove   il Capitano di Corvetta Ludovica Sarcina era il responsabile incaricato della trattazione della pratica.

Il definitivo atto di donazione è stato quindi autorizzato dallo Stato Maggiore della Marina Militare considerando appunto l’interesse della Marina Militare ad accettare la menzionata donazione, tenuto conto del “valore culturale e storico” della stessa. Sono oltre 800 mq. di importantissimi reperti e cimeli che proiettano Chiavari in un posto di grande rilievo culturale di mare assieme al Museo Tecnico Navale di La Spezia ed al Museo Storico Navale di Venezia. Attualmente questi musei sono tutti chiusi in attesa che l’imminente vaccino ci porti fuori dalla pandemia del Covid 19.

I due Testimoni richiesti all’atto di donazione non potevano che essere Giancarlo BOARETTO e la sua gentile Consorte Paola FERRARIS che sono stati fondamentali per la conservazione del Museo Marinaro. Vorrei ricordare che il Museo Marinaro era entrato alla Scuola TLC di Chiavari in forma temporanea nel 2008 autorizzato Capitano di Vascello Giuseppe Bennardi Comandante pro tempore della Scuola a quella data. Il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, è stato fondato a Chiavari nel Rione Scogli il 7 Luglio 1997.  Era stato originato da una cospicua donazione di Franco “Mario” Tommasino co-fondatore del Museo che però purtroppo è mancato un anno dopo nel 1998. Si sono aggiunti così molti preziosi utensili dei Maestri d’ascia e Calafati dei Cantieri Gotuzzo che si sono presto sommati a numerose donazioni dei nipoti delle maestranze che avevano lavorato nei Cantieri degli Scogli. La sua prima sede è stato proprio nell’antica Casa Gotuzzo, costruita nel lontano 1652, dove aveva occupato tutti i fondi disponibili. Nel 2001 il Museo veniva trasferito a San Colombano Certenoli nella balconata dell’Expò Fontanabuona a Calvari su richiesta dell’allora presidente dell’expò Dott. Angelo Barreca. Nel 2008 veniva ulteriormente trasferito alla Scuola Telecomunicazioni FF AA per lungimirante concessione, come detto, del Comandante Pro Tempore di allora C.V. Giuseppe Bennardi.  Nel 2013 subiva un altro trasloco interno alla Scuola TLC che gli destinava più idonei e congrui locali e spazi.

Il 13 Ottobre 2014 La Sala Storica ed il Museo Marinaro subivano la disastrosa alluvione che invadeva con acqua e fango, per una altezza di 60 cm di altezza tutte le sale museali. Per fortuna tutti i preziosi cimeli e reperti erano a circa 90 cm e pertanto la marea d’acqua e fango non ha distrutto fisicamente nulla. Ma le pulizie e le manutenzioni sono durate circa 6 mesi.

Con tre traslochi e una alluvione ho avuto uno straordinario aiuto da alcuni volontari che voglio qui nominare. In primo luogo i summenzionati Giancarlo BOARETTO e consorte Paola FERRARIS quindi nel tempo Enrico Paini, Francesca Perri, i giovani Francesco Ulivi e Francesco Materno, e i radio amatori Mario Mura, Paolo Serravalle e Luigi Senarega. Non ultima mia moglie Simonetta Pettazzi che ancora adesso, quando libera da impegni, continua a collaborare nei definitivi inventari dei reperti e nelle pulizie delle sale Museali.  Ultimamente la Scuola TLC ha stipulato un accordo di collaborazione con l’associazione Culturale il SESTANTE sia con il Past Presidente Enzo Gaggero, uno dei più grandi esperti d’Italia di cieli stellati, e il Nuovo Presidente Sergio Falcone coadiuvato dai soci Piergiorgio Ricotti, Debora Ottone, Domenico Canepa, Sandro Arpe e Mauro Pecorari.

Ho anche il piacere di ringraziare il Notaio Alberto CECCHINI per essere riuscito a districarsi nella impervia navigazione attraverso le istituzioni della Marina Militare dove ha naturalmente trovato un grande aiuto, come “piloti”, da parte dei Com.te Chiacchietta e Rainoldi. La sintesi dell’atto di donazione è stata da tutti molto apprezzata nonostante all’inizio ci fosse “molta nebbia all’orizzonte” come si dice in termini marinari!

In tutti questi anni ho molto apprezzato il sostegno e non solo dell’Associazione Culturale “Mare Nostrum” di Rapallo in particolar modo dal suo storico presidente Comandante Carlo Gatti e dal compianto scrittore e giornalista Emilio Carta. Da molti anni la storia del Museo Marinaro può essere immediatamente visionata nel sito www.marenostrumrapalo.it cliccando sull’icona a tendina sempre presente nel sito. Così come essendo socio UNUCI (UNIONE NAZIONALE UFFICIALI IN CONGEDO D’ITALIA) di Chiavari e socio ANMI (ASSOCIAZIONE NAZIONALE MARINAI D’ITALIA) di Santa Margherita Ligure e Rapallo dove ho tanti “vecchi” amici come l’ex AUCD sommergibilista Luciano Cattaruzza e ne ho conosciuto e apprezzato molti altri nuovi perché tutti legati alla cultura di mare

Ma, se la storia Marinara di Chiavari è stata riportata alla luce, posso orgogliosamente affermare che soltanto per l’impegno e la disponibilità della Marina Militare ha potuto concretizzarsi grazie alla messa a disposizione dei locali della Scuola Telecomunicazioni FF. AA. di Chiavari. Voglio qui ringraziare tutti i Comandanti pro tempore della Scuola non ultimo quello che ha concluso, concretamente, questo lungo itinerario e cioè il C.V. Nicola CHIACCHIETTA. Una speciale menzione di ringraziamento al C.F. Marco Rainoldi per avermi sempre aiutato, con professionalità e pazienza, nella donazione conclusa in questi giorni. Non voglio dimenticare il Comandante Silvano Benedetti che aveva iniziato la pratica di donazione nel lontano 2011 e conclusa solo ieri, i passati aiutanti Maggiori come Luigi Pansa e Vito Casano così come i Marescialli Giovanni Maresca, Maurizio Venuto e Antimo Sternativo. Amedeo Devoto un genio del Rione Scogli ha avuto un posto preminente anche nel diorama del Rione Scogli costruito con il validissimo aiuto di Giancarlo Boaretto, così come lo ha avuto Stefano Risso detto “Nitti” anche lui un genio degli Scogli ormai scomparso.

Purtroppo, carenti se non assenti sono stati i contributi e gli aiuti da certe istituzioni civili di Chiavari. Ma voglio qui ricordare che il Comune di Chiavari con l’attuale Sindaco Marco di Capua ha intitolato a “LUNGOMARE DEI GOTUZZO” - Costruttori Navali, la passeggiata dove sino al 1935 sono stati varati tanti grandi velieri proprio dai tre GOTUZZO, FRANCESCO detto Mastro Checco, dal Figlio LUIGI e dal Nipote EUGENIO detto “Mario”. Un grande ricordo molto apprezzato da tutti che ha fatto dimenticare le costruzioni denominate in seguito “la Montecarlo degli Scogli” per la loro “esuberanza architettonica”.

Il Museo Marinaro è stata una mia fatica che ho condotto con il solo aiuto di pochi volontari   pensando che con la volontà si può arrivare a tutto. E così è stato, ringraziando ancora coloro i quali hanno partecipato volontariamente a questa impresa più che decennale e che certo non termina qui.

PRO SCHIAFFINO, presidente onorario e grande storico del Museo Marinaro di Camogli ha  spesso affermato:  "Chiavari aveva molto di più di Camogli perché aveva anche importantissimi Armatori e Cantieri Navali che Camogli non aveva per questioni di spiaggia”. Ma Chiavari,  continuava Schiaffino,  è la  prima di tutte le cittadine della riviera, anche di Camogli,  ma a Chiavari non l’avete mai capito !

Mi spiace constatarlo, ma a Chiavari manca completamente la cultura del mare  e certe  istituzione civili non hanno  mai capito l’immensa storia di lavoro e di fatica che per secoli è stata protagonista costruendo  e varando  centinaia di grandi e maestosi velieri oceanici attraverso i suoi Cantieri navali, dei  Gotuzzo, dei Tappani e dei Beraldo e  all’operato di grandi armatori, come i Dall’Orso che sono arrivati a possedere oltre 50 velieri che andavano in tutto il mondo a commerciare e a trasportare merce.

Un ultimo grande pensiero ai “miei” Pescatori degli Scogli che ho conosciuto tutti nel dopoguerra e che ho fatto conoscere attraverso il volume di “Chiavari Marinara- Storia del Rione Scogli”. Così, dopo l’epoca della grande navigazione a vela in cui Piazza Gagliardo era soprannominata “CIASSA DI BARCHI”, il suo nome popolare di “PIAZZA DEI PESCATORI” è giustamente diventato un simbolo di questa epopea che anche nei Pescatori è stata grande come “quell’epoca eroica della vela” purtroppo spesso dimenticata.  Ma basta visitare il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, che ora fa parte integrante anzi è di proprietà della Sala Storica della Scuola Telecomunicazioni FF.AA. per rendersi conto di quanto affermo. GRAZIE MARINA MILITARE!

Grazie per l’attenzione.

S.T. di Vascello  e Comandante di Marina Mercantile

Ernani Andreatta

Allegate fotografie dell’atto di donazione.

COMMENTO

La lettura del RAPPORTO sul passaggio del MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA alla MARINA MILITARE ITALIANA, ci offre l’occasione di ONORARE un grande Campione: il Comandante Ernani Andreatta (foto sopra), il quale ha speso gran parte della sua vita per “conoscere il mare e amarlo profondamente”.

Ma la sua grande sfida é stata quella di traferire i suoi SENTIMENTI MARINARI a tutti noi, amici della sua infanzia che, a quel mondo di velieri e di navi ci siamo dedicati, prima da giovani e poi da adulti seguendo la sua scia luminosa che ancora oggi ci attrae come la cometa in questi giorni di festa.

Tuttavia, la sua sfida é andata oltre! Con le numerose battaglie vinte e perse, tra delusioni sofferte ma anche gratificanti é riuscito a creare un interesse intorno ai suoi reperti marinari che dal basso é salito prima lentamente, e poi vertiginosamente verso i piani alti della cultura navale italiana.

Oggi, come leggiamo nel rapporto, il nostro Nanni é felice, e noi con lui, per aver raggiunto il suo massimo obiettivo: il salvataggio di importantissimi reperti navali che saranno custoditi nelle mani della nostra Marina Militare, la quale sarà sempre VIGILE su quella storia di uomini e navi anche quando noi ce ne saremo andati a navigare tra le nuvole…

In questo “passaggio di consegne”, non solo generazionale, il testimone porta con sé sentimenti antichi e moderni che affondano le radici in due parole che si assomigliano: mare e amore, due valori che nel “duro” Nanni appaiono poco, ma noi sappiamo quanto siano presenti in ogni suo atto compiuto i tutti questi anni.

Nanni, noi ti ringraziamo per le parole che hai dedicato nel RAPPORTO a Mare Nostrum Rapallo, al suo sito che conserva i risultati del tuo immane lavoro e che oggi, con le sue 55.000 visite, é testimone del suo VALORE, del tuo VALORE!

Carlo GATTI


AUGURI DI NATALE 2020 - IL FARO DELLA SALVEZZA

IL FARO DELLA SALVEZZA


 

ASPETTIAMO IL VACCINO … COME IL NAVIGANTE DI NOTTE CERCA IL FARO PER RITORNARE A CASA

 

BUON NATALE 2020 DI SPERANZA

A TUTTI !

MARE NOSTRUM RAPALLO


LE CARTOLINE DI LEO - VALLE CHRISTI

"LE CARTOLINE DI LEO"

VALLE CHRISTI

Foto Dino Alloi

Rapallo non mi è mai sembrata una bellissima città, é sicuramente un borgo vivibile e con il suo perché, mai niente però che mi avesse mai convinto che Rapallo fosse davvero bella.

Tuttavia, ho sempre riconosciuto a Rapallo la particolarità di saper conservare alcuni dei propri punti di fascino, veri e propri pezzi di storia spuntati fuori da periodi lontani nel tempo.


La PORTA DELLE SALINE


IL PONTE cosiddetto di ANNIBALE

Ce lo mostrano Valle Christi, il Ponte Annibale, la Porta delle Saline ed il Castello di Rapallo.

Non ho visto, per ragioni anagrafiche, Rapallo nei suoi anni d’oro, l’ho vista sempre piena di case, palazzi e viavai di turisti, però mi è sempre piaciuto vedere come nel bel mezzo di tutto questo, Rapallo ci tenesse a conservare alcuni di questi monumenti sopra accennati.

Valle Christi, però, non è come gli altri monumenti Rapallini, che si ergono nel pieno centro di quei palazzi e del sempre crescente traffico, Valle Christi è maggiormente nascosta agli occhi dei turisti ed è qualche chilometro più lontano dal mare rispetto agli altri.

Forse, se non fosse per l’enorme campo da golf che sembra quasi proteggerlo da un’esagerata urbanizzazione (Rapallina) che con il tempo prese piede nel borgo, adesso Valle Christi non sarebbe altro che un ricordo, pressoché dimenticato nel grigio di qualche edificio o di una strada.

Di certo e non avremmo più un pezzo di storia ancora leggibile da più di 800 anni.

Un attestato del 3 aprile 1204 segna l’approvazione dell’arcivescovo Ottone Ghillini per la donazione del terreno su cui poi verrà costruito il monastero sotto la volontà di due nobildonne genovesi (Altilia e Tiba Malfanti). Le due sorelle infatti donarono il terreno all’Ordine Cistercense, con la volontà che vi fosse costruito un monastero per poi ritirarsi personalmente nella vita monacale.

La costruzione fu completata all’inizio del 1206 ed un articolo del 7 Aprile dello stesso anno dimostrava che il monastero era già abitato da alcune suore.

Il monastero di Valle Christi, nei 300 anni per cui verrà abitato, conquisterà una discreta fetta di notorietà e verrà presto associata all’operosità ed alla santità di alcune monache.

Dopo questi 300 anni, nel 1502, ad abitare nel monastero rimasero solo 2 suore, motivo per cui il convento chiuse e queste vennero trasferite in altri edifici religiosi.

La chiesa romanica si mostrò inospitale per le suore del nuovo ordine religioso a causa dell’alta insalubrità del luogo e della distanza del monastero dal centro Rapallino; delle 22 nuove suore solo 5 non chiesero di essere trasferite.

La vicinanza ad un centro abitato diventò essenziale quando cominciarono gli sbarchi e gli assalti sempre più frequenti dei pirati nella metà del XVI secolo, esempio ne è lo sbarco di Dragut a Rapallo nel 1549.

Nel 1573 il monastero venne ufficialmente chiuso ed il terreno venne venduto per circa dieci mila lire genovesi.

Anche tutto ciò che era dentro il monastero venne venduto poiché all’interno dell’edificio si situava una decorosa collezione di beni dal valore altissimo, tra cui anche un quadro di Domenico Fiasella.

La Leggenda

Sono diverse le leggende attribuite al monastero Rapallino, ma tutte ruotano intorno a delle eventuali urla che tormentano l’edificio nelle notti senza luna.

Questo perché la leggenda a cui viene dato maggior credito, l’unica con un eventuale fondo di verità, narra proprio del fantasma di una monaca che si aggira tra le antiche mura dell’edificio e che dovrebbe urlare con la propria figlia mai nata per tormentare i propri assassini.

La monaca si innamorò follemente di un pastore del posto con cui prese l’imprudente decisione di infrangere la regola di castità.

Nel momento in cui le altre monache vennero a saperlo, la trasgressiva venne murata incinta, ancora incinta della bambina.

Nel 1903 il monastero di Valle Christi divenne un patrimonio nazionale rimanendo intoccabile dal fenomeno di urbanizzazione Rapallina conservandosi - Anche se non nelle migliori delle condizioni - come un monumento storico e diventando fonte di vicende storiche e leggende impossibili

LEONARDO D'ESTE

 

Rapallo, 17 Dicembre 2020

 


BATTUBELIN - Ricordando Emilio Carta

BATTUBELIN

Ricordando Emilio!

DAL SITO


RUBIAMO …

Ci troviamo in Indonesia… in un angolo della terra talmente conosciuto che “belin”, se lo cerchi, non lo trovi manco con Eppure esiste!

Nel nord della Sumatra, la sesta isola più estesa del paese, troviamo questa ridente comunità a circa mille trecento km dalla sua capitale, Jakarta.

Sono andato a cercarvelo più nello specifico, ma purtroppo Google Maps non ha mappato ancora quella zona con precisione.
Ci sono comunque molte conferme in altri “mappamondi” online che vi linko di seguito!



Come abbiamo visto c’é un Batu Belin nell’altra parte del mondo! Ma c’é anche un famoso Ristorante a MIAMI che porta questo nome con la doppia TT come piace a noi liguri! Da cui ne deduciamo che il proprietario sia un nostro conterraneo…

 



BEST ITALIAN RESTAURANT MIAMI

Battubelin is a new Italian restaurant located on the 79th Street Business District. We are famous for the incredible, authentic Italian cuisine, and our made-from-scratch foods created by our expert Italian chefs. Come by, check out our incredible selection of amazing, authentic Italian dishes, today.

Battubelin Cuisine, Fine Italian Dining

Whether it’s our amazing focaccia, or our incredible antipasti, the one thing everyone agrees on is that this is the real Italian cuisine, reinvigorated with the Miami twist. Battubelin is one of the best Italian restaurants in Miami that offers high-quality service and warm gracious hospitality.
Contact us today to make your reservations, and we look forward to seeing you soon.


Questi “gioiellini” non sono di certo sfuggiti al nostro Emilio Carta la cui coæ de schersâ

era ben nota ai rapallesi per i suoi riuscitissimi scherzi del primo d’aprile… ma chi lo conosceva da vicino sapeva fino a che punto poteva “elevarsi” la sua ironia!

A questo punto il lettore si chiederà: “Ma di cosa stiamo parlando?” - E’ vero, occorre una spiegazione. Lo scrittore-giornalista Emilio Carta, amatissimo specialmente dai “rapallini-rapallesi”, aveva fin dall’inizio…, e la sua famiglia lo ha tuttora, un curioso indirizzo di posta elettronica:

battubelin1946@libero.it

Ho scritto “gioiellino” perché Emilio lo conservò nel suo scrigno segreto per i posteri sapendo che prima o poi LUI dal cielo ce lo avrebbe rivelato.

Beh! Ora tutti quelli che credevano di conoscerlo: raffinato e colto, ed hanno fatto una smorfia quasi di disgusto nel leggere la sua mail… oggi sanno o avrebbero dovuto sapere che Emilio é stato un marittimo di lungo corso, un uomo di mare che si trovò a solcare i lontani mari d’oriente e d’occidente. Da quelle parti, proprio in Indonesia, s’innamorò del Sitar e laggiù trovò anche la sua identità elettronica… adatta ai mala tempora currunt…!

Del “BATTUBELIN” -  Ristorante di MIAMI non abbiamo ancora alcuna connessione … ma siamo sicuri che prima o poi Emilio si farà VIVO un’altra volta per caso … senza dare spiegazioni come era il nel suo stile anglo sassone!

Una delle espressioni più note dell'educazione britannica è infatti: "Never explain, never complain". Mai dare spiegazioni, mai lamentarsi. Forse inconsapevolmente, oppure no, Emilio si attenne per tutta la sua vita a questo ideale che noi oggi scopriamo per caso, sia per aver sempre evitato di dare spiegazioni su quel suo stravagante “indirizzo di posta elettronica” sia nel non essersi mai lamentato durante il suo ventennale “calvario”!

Emilio é stato l’esempio più classico dell’ironia!

È inutile avvisare quando si fa dell’ironia. Gli ironici lo avranno già capito. Gli altri, non lo capiranno nemmeno dopo la spiegazione.

Emilio era proprio così … Se qualcuno gli avesse chiesto spiegazioni del BATTUBELIN, sicuramente gli avrebbe risposto con un sorriso beffardo:

“E se non sai cogliere l’ironia, prova con i pomodori…”

 

RINGRAZIO l’amico Alessandro Bortolameazzi per avermi inviato il post

IL MUGUGNO GENOVESE di cui sono tifoso...

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 31 Agosto 2020

 

 


"BURRASCA PER TRE" - Recensione di Carlo GATTI

BURRASCA PER TRE

Di MARINELLA GAGLIARDI SANTI

1

Ho fatto una full immersion di circa tre ore nel libro BURRASCA PER TRE senza prendermi neppure una pausa caffè/sigaretta. Sono preso dalla trama avvincente e dai movimenti circospetti di personaggi misteriosi che si muovono tra gli scogli e le Crêuze de mä dove sono nato e cresciuto: il romanzo, infatti, è ambientato a San Michele di Pagana, ma non solo…

BURRASCA PER TRE é un mosaico di situazioni in cui attori ricchi di fascino, inventati dalla fantasia della scrittrice ma anche realmente esistiti, navigano con mare agitato sottocosta su rotte pericolose irte di scogli ....

Soltanto alla fine del racconto, simili ad imprevedibili gabbiani, le trame si sfiorano disegnando il quadro che Marinella ha sognato da tempo e che ora realizza con decise pennellate scure per descrivere azioni poco chiare di violenza nostrana, mentre altre sono spruzzate di rosa e vorrebbero anticipare un percorso d’amore che appare improbabile; infine c’é un terzo colore che mi ha trascinato nel passato sulle montagne violate e violentate dalla guerra, per coinvolgermi in attacchi nemici e in avvincenti e rocambolesche fughe: un profumo famigliare che la scrittrice vive con commozione nel suo animo, attribuendo al nonno della protagonista del romanzo storie realmente accadute a suo padre e documentate in un suo diario di ragazzo del ’99. Come un sogno triste: un lungo tormento che la trattiene tuttora su quelle cime contese ed innevate di sangue. Da lassù rintocchi ritmati e accorati di una pieve montana scendono a valle segnando il tempo del dolore e dei rimpianti mai sopiti.

Burrasca per tre si presenta quindi come un romanzo nel romanzo, due registri ben congegnati, che a volte si toccano e che coinvolgono il lettore in momenti emozionanti e ricchi di suspense.

Dicevo di personaggi misteriosi ma attuali che mi fanno sobbalzare al pensiero di conflitti che emergono come fantasmi dagli scenari del Grappa contro l’Imperialismo Austro-ungarico, ma anche a San Michele di Pagana, contro l’imperialismo occidentale di AL QAEDA.

Si respira persino DRAGUT che approda sulle nostre coste come nel lontano ‘500… e mi viene da pensare che nei fondaci della casa sul mare di Emma, la protagonista, ci sia un deposito di armi ed esplosivo dell’ISIS.

Con i suoi colpi di mano letterari, Marinella mi ha fatto cadere nei vortici più spumosi e poi mi ha gettato la sagola per farmi rientrare “buffamente” nella trama in cui più volte mi sono ritrovato alla griglia di partenza avvinghiato a scenari sempre in progress ed imprevedibili.

GRAZIE Marinella! Senza la minima percezione, lentamente mi sono sentito attore e spettatore nel tuo thriller in cui, da ottima Regista, mi hai fatto sognare anche l’amore! Complice é la magia sprigionata “meravigliosamente” dal contrasto tra la bellezza dei luoghi, la mitezza del clima che ogni tanto sa infiammarsi di mareggiate e l’intrusione di certa gente che subdolamente s’infiltra risucchiata da ambizione sfrenata per esercitare operazioni illecite di ogni tipo.

Quando la scrittura é magistralmente scorrevole diventa musica di Ennio Morricone…

Complimenti!

ALBUM FOTOGRAFICO


Il padre della scrittrice

 


San Miche di Pagana

 


RECENSIONE di Carlo GATTI

Rapallo, 14 Agosto 2020

 


BRANDACUJIUN - UNA RICETTA PARTICOLARE...

 

BRANDACUJUN

UNA RICETTA PARTICOLARE


Ho sempre pensato alla tradizione marinara di Imperia e dintorni paragonabile a quella della nostra Camogli, entrambe fucina di grandi velieri ed espertissimi marinai proiettati al lungo corso nelle secolari competizioni di quel luminoso periodo che fu l’EPOPEA DELLA VELA.

Da questo quadro che ci ricorda i nostri avi quando lasciavano scie di profumi esotici, passiamo ad un altro, diciamo minore, dove il profumo di stoccafisso seccato al “vento norvegese” era sempre presente a bordo perché facile da conservare e quindi da utilizzare quando la cambusa di bordo si era praticamente svuotata e questo succedeva quando a Capo Horn si poteva restare alla cappa senza avanzare anche per venti giorni a causa di epiche tempeste.

A quei cuochi ponentini, di cui non conosciamo neppure un nome, bastava conservare un po’ di patate e “pesce del baltico seccato”, il resto, come possiamo immaginare, era lasciato alla fantasia …

IL BRANDACUJIUN OGGI

E’ una tipica ricetta che non dimentica di essere nata povera e, col tempo, diventata una specialità rappresentativa della tradizione gastronomica locale. Oggi il brandacujun è un piatto che racchiude i sapori della Liguria e ricorda tempi lontani quando la cucina era semplice, genuina e fatta con ingredienti che sanno di terra e di mare, come appunto lo stoccafisso, protagonista assoluto del piatto, le patate e l'olio di oliva taggiasca, piatto che oggi lo si gusta comodamente seduti in riva al mare e non tra le tempeste di Capo Horn di cui abbiamo parlato.

Il nome però é estremamente curioso Se il termine “branda”, infatti, deriva con certezza dal verbo “brandare”, che in lingua provenzale significa “scuotere” (per favorire la mantecatura degli ingredienti), sulla seconda parte del nome che accenna al “cujun” esistono, invece, differenti interpretazioni:

La prima farebbe riferimento all'usanza di assegnare il compito di scuotere la pentola al componente meno “brillante” dell’equipaggio, scelto per fare questo lavoro di scuotimento facilitato dal rollio della nave; si operava seduti col tegame tra le gambe per non farlo cadere. L’operazione rischiava di non “brandare” solo lo stoccafisso ma anche “certe parti” del forzuto marinaio…

 

Un’altra versione vuole che, per effettuare l’operazione non siano necessarie cure particolari, ma solo un po’ di forza che, com’é noto, é inversamente proporzionale all’intelligenza, di fatto destina l’operazione stessa al più stupido i bordo e da qui l’assioma:
“Branda cujùn, che ciù ti u brandi ciù l’è bun”
(Agitalo “stupido”, che più lo agiti e più diventa buono).

Secondo un'altra interpretazione, invece, il termine, richiamando l'abitudine di sedersi o di tenere la pentola un po' più in basso mentre la si scuoteva per favorire il mescolamento degli ingredienti, ricorderebbe, invece, la parte del corpo contro cui, inevitabilmente, il recipiente urterebbe durante tale operazione. Qualunque sia la reale origine del nome, oggi il piatto è una specialità a cui la Riviera di Ponente è particolarmente legata e del quale ogni cuoco ed ogni famiglia offre la propria particolare versione.

Eccone alcune … fotografiche:

 




 

 

Durata 1 h

Difficoltà Intermedia

Origine Liguria

Brandacujun è una ricetta tradizionale ligure. I marinai che frequentavano i locali dei vari porti liguri erano soliti incitare il cuoco alla cottura del piatto  “Branda cujun che ciù ti u brandi, ciù u l’è bon!” (“Agita stupido, che più lo agiti, più è buono!”), da qui ecco derivare il nome. Piatto semplice e povero, come molti piatti della tradizione ligure, è composto di patate e stoccafisso, che agitati sul tegame, vengono a formare una specie di crema.

Vino in abbinamento: Riviera Ligure di Ponente Vermentino DOC.

Ingredienti

Dosi per 4 persone:

§ 800 gr di stoccafisso ammollato

§ 400 gr di patate

§ 1 cipolla

§ 1/2 limone

§ 1 spicchio d’aglio

§ 30 gr di pinoli

§ 1 ciuffo di prezzemolo

§ 1 uovo

§ Olio extravergine di oliva

§ Sale

CARLO GATTI


Rapallo, 10 Luglio 2020

 

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