LE FESTE DI LUGLIO A RAPALLO - La tradizione dei fuochi

 

LE FESTE DI LUGLIO A RAPALLO

 

 

AL SESTIERE CERISOLA TOCCHERA' L'ONERE E L'ONORE DI ORGANIZZARE E REALIZZARE IL PANEGIRICO 2023

La tradizione delle "sparate e dei fuochi d'artificio"

 

Fede, tradizione, folklore, spettacolo, un senso di appartenenza che rende l’evento davvero speciale, unico. Rapallo rinnova l’appuntamento con le Feste di Luglio, tre giorni di festeggiamenti, l’1, 2 e 3 luglio, in onore di N.S. di Montallegro nel 466° anniversario dell’Apparizione al contadino Giovanni Chichizola, il 2 luglio 1557.

 

 

La festa, pur nel radicale trasformarsi della città, il frenetico mutare dei tempi (e delle normative) conserva intatti elementi preziosi del folclore locale d’aspetti di una religiosità semplice, ma spontanea, radicati ad una antica e salda tradizione che non teme minimamente la critica di chi, trapiantato da fuori, stenta a comprendere alcune espressioni di esaltazione popolare caratterizzate anche da una certa fragorosità.

La nostra “sagra” nasce negli anni immediatamente successivi all’Apparizione e fin dalle prime edizioni essa ebbe nel fuoco, nelle luci fiammeggianti, nello schioppiettio dei falò, la sua principale caratteristica.

 

UN PASSO INDIETRO NELLA STORIA…..

Nella deliberazione assunta dalla Magnifica Comunità Rapallese il 26 agosto 1657 per ringraziare la Madonna di essere stata preservata dalla peste, si legge testualmente: …di perpetuamente santificare, siccome da cent’anni in qua si è osservato, il giorno di detta Santissima Vergine…

Un documento datato 9 agosto 1617 attesta che si pagano a Ger. Bontempo lire tre e soldi sei per pretio di due arbori venduti alla comunità uno in honore di Maria S.ma del Monte, l’altro per il falò solito di S. Giovanni Battista”; un altro del 31 ottobre 1625 registra invece l’acquisto di “60 fascetti, ch’ha comandato il signor Capitano si comprino pere far fochi in publica piazza ad honore di Nostra Signora”.

Le sparate non tardano ad apparire, come si deduce dalla lettura di un atto dell’11 ottobre 1619. In questo giorno il commissario Gio. Andrea Gentile ordina agli Agenti di Rapallo …che non si potessero fare salve alcun se non per i giorni del Sabato Santo, del Corpus Domini, di S. Giovanni Battista e per le solennità di luglio, e le salve dovessero essere fatte con mascoli e non con altro…

Nel registro della Masseria, alla data del 21 giugno 1635, si segnano lire diciannoveper condurre sei mascoli a Nostra Signora per le solennità” e alla data del 7 luglio successivo altre 10,3 lire per spesa fatta di una sfera per le solennità di Nostra Signora”. Una deliberazione del primo luglio 1639 approva la spesa di lire 12 per “…polvere per sparare tanti mascoli ad honore di Nostra Signora conforme il solito”.

Alle spese partecipavano tutti i sestieri allora compresi nel Capitaneato di Rapallo: Borgo, Borzoli, Amandolesi, Pescino, Olivastro d’Oltremonte.

 

 

IL PANEGIRICO DI RAPALLO

 

Il Panegirico nella Storia significava: “Adunanza di tutto il popolo”

 

In origine, nell'antica Grecia, discorso a carattere encomiastico o suasorio che si pronunciava nelle adunanze festive del popolo; presso gli antichi Romani, discorso celebrativo in onore di un personaggio illustre. Il genere fu inaugurato nel VI secolo a.C. da Gorgia con i suoi scritti a Olimpia e a Delfi e conobbe la sua fioritura dal V secolo a.C.  in poi. Il panegirico greco ha tratti comuni con l’encomio e l’epitaffio ma agli elogi può a volte unire critiche.

Con la letteratura latina, il panigirico assume solo il carattere di laudatio di uomini di potere ed in particolare degli imperatori. Nel linguaggio comune indica un discorso di encomio enfatico, talvolta esagerato.

In epoca moderna passa ad indicare un discorso in lode di un Santo o di un altro personaggio del culto cristiano:

 

Il PANEGIRICO DI RAPALLO

SI RIFERISCE

AL CULTO E AL SALUTO ALLA VERGINE DI MONTALLEGRO

Il 2 Luglio, anniversario dell'apparizione, a mezzogiorno il sestiere di turno organizza il cosiddetto "Panegirico". Sulla pedonale del lungomare Vittorio Veneto si posizionano un gran numero di mortaletti che giunti all'altezza del monumento a Cristoforo Colombo, nella zona del Lido verso la foce del torrente Boate,  un gran fragore (a Rapallo è detto u ramadan) accompagna lo spettacolo finale.

 

Viene appunto acceso ai rintocchi delle dodici, ogni due luglio, con attenzione maniacale al rispetto del suo orario storico – tradizionale. Di norma, l’organizzazione spetta ciclicamente a tutti i Sestieri, secondo il turno dei Reciammi: di anno in anno, l’onere e l’onore organizzativo interessa San Michele, Seglio, Borzoli, Cerisola, Cappelletta, Costaguta e… così via, ricominciando da San Michele.

Un commerciante di Palermo, nel XVI secolo fece conoscere ai rapallesi i fuochi artificiali ed i mortaretti originari della Sicilia.  Da quel momento nacque e si diffuse la tradizione delle “sparate”, in occasione delle feste patronali. Usanza che, nel nostro comprensorio, è tuttora vivissima.

Protagonista indiscusso è l’antico mortaletto ligure, un artificio metallico avente forma tronco-conica, cava al centro, alto circa 12- 1 5 cm e dal peso di circa 2 kg. Alla sua base è presente un piccolo foro detto “aggugin”. Anticamente realizzato in ghisa attualmente, per rispettare le vigenti norme, viene prodotto per tornitura o per fusione in ferro. Viene caricato con una piccola quantità di polvere nera e segatura, pressata manualmente mediante l’utilizzo di appositi pestelli d’alluminio o legno, chiamati in gergo “stie’. L’utilizzo di questi materiali, evita in fase di caricamento, eventuali accensioni accidentali.

 

 

La stesura della riga

 

Della medesima forma del mortaletto, ma di più grandi dimensioni, è il cannone, oggetto funzionalmente identico che può raggiungere un peso superiore a 200 chilogrammi.

La sparata dei mortaletti è composta schematicamente in due parti: " la riga e il ramadan”. La riga è una successione di mortaletti, collegati insieme da una striscia di polvere nera che con la sua combustione porta il fuoco negli aggugini con il conseguente innesco della polvere, realizzando una ritmica cadenza.

 

 

Il “ramadan” costituisce invece la parte finale della sparata. Nella sua forma classica prevede che i mortaletti siano disposti a triangolo allungato in cui le nuove righe esterne, i lati del triangolo, vengono progressivamente affiancate da nuove righe all’interno man mano che si procede verso la base ed il triangolo si allarga. Questo posizionamento, composto da una grande quantità di mortaletti messi l’uno vicino all’altro, bruciando genera un fragoroso crescendo che si conclude con lo sparo di uno o più cannoni.

Durante la sua accensione la sparata è seguita dal massaro che porta con sé  un “buttun”. Questo è un bastone che ha alla sua estremità una palla di ferro rovente, fatta scaldare per alcune ore: lo scopo di questo attrezzo è quello di riaccendere la sparata in caso si spegnesse.

 

 

PER L’EDIZIONE 2023   

L'ONERE

 DI ONORARE

LA NOSTRA SIGNORA DI MONTALLEGRO

spetterà al Sestiere CERISOLA

 

 

Non dimentichiamoci il rito dell’“Andare a turno”, cioè raccogliere le offerte. È una delle ritualità più antiche legate alla festa e coinvolge tutti i volontari dai più giovani agli anziani che, a partire dal 23 maggio al 3 Luglio, si recano casa per casa con la “sacchetta” per chiedere un obolo per i fuochi.

 

PUBBLICHIAMO ALCUNE IMMAGINI DEL SITO FINALE DEL PANEGIRICO (RAMADAM) CHE  MOSTRANO LA BELLEZZA CHE SA ESPRIMERE L’ARTE DI STRADA QUANDO PARTE DAL CUORE SEMPLICE DEL POPOLO LEGATO ALLE TRADIZIONI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MAURA  ARATA E' LA STORICA  PRESIDENTE DEL COMITATO DEI SESTIERI RAPALLESI QUI SOTTO RAPPRESENTATI CON I LORO COLORI  IDENTITARI

 

 

E IL GONFALONE CHE ACCOMUNA I SESTIERI

 

 

 

 

SESTIERE  BORZOLI

 

 

 

 

 

SESTIERE CAPPELLETTA

 

 

 

 

 

SESTIERE CERISOLA

 

 

 

 

 

SESTIERE COSTAGUTA

 

 

 

 

 

SESTIERE SEGLIO

 

 

 

 

 

SESTIERE SAN MICHELE

 

 

 

 

Anno 2023

PANEGIRICO

E’ IL TURNO DEL SESTIERE CERISOLA

 

 

«…Il toponimo “Cerisola” compare per denominare due cappelle rurali site nel cuore dell’attuale Sestiere…

…Erano sicuramente zone destinate alla coltura dei ciliegi in un borgo dall’economia diversificata, ma basata essenzialmente sull’agricoltura.

Nel successivo evolversi della città, il nome “Cerisola” va a denominare uno dei Sestieri nati dalla divisione del più antico Quartiere Amandolesi (XII secolo N.D.R.)…» (tratto dal libro “In burgo Rapalli” di Antonella Ballardini da Maura Arata, massara del Sestiere Cerisola)

L’odierno Sestiere Cerisola comprende la parte centro occidentale del centro storico rapallese, con monumenti quali la Chiesa Parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio e gli Oratori detti Dei Bianchi e Dei Neri, quest’ultimo dominato dalla medioevale Torre Civica.

La zona rurale di Cerisola si sviluppa sulla ridente collina di San’Agostino, ove risiede l’omonima chiesetta, centro religioso del Sestiere; Sestiere che, tuttavia, ha come patrono tradizionale San Giuseppe.

Il giorno 2 Luglio IL SESTIERE CERISOLA  saluterà

CON IL SUO PANEGIRICO

L'APPARIZIONE DELLA VERGINE MARIA

dalla Spiaggia dei Bagni Lido con i secenteschi mortaletti liguri

Da questo sito, che sempre rimane nel cuore e… nella progettualità dei suoi massari, il Sestiere tradizionalmente lancerà anche i suoi fuochi colorati, oggi preparati su chiatta galleggiante.

fuochisti che hanno sparato per Cerisola negli ultimi anni sono: Albano & Russo di Melito (NA), Ferreccio di Avegno (GE) e La Rosa di Bagheria (PA) ed in epoca meno recente Perfetto di Sant’Antimo (NA).

Il Panegirico del Sestiere Cerisola sfilerà lungo la passeggiata a mare e terminerà col tradizionale e fragoroso Ramadan ai piedi della Statua di Cristoforo Colombo, presso i Bagni Lido e quindi entro i confini del Sestiere.

 

UN PO’ DI TECNICA ….

 

Origini dell’antico mortaletto ligure

 

L’antico mortaletto ligure, una sorta di cinquecentesco cannoncino ad avancarica, assurge ad attualissimo e vivo richiamo all’archeologia del fuoco a festa, rapallese e non solo. 

Estinto nella gran parte del mondo, resiste infatti al tempo (almeno, per quanto ad oggi sappiamo) nella sola zona di Rapallo, Recco e comuni limitrofi. Lo si trova in antiche stampe francesi (che per ora non possiamo ritrarre per ragioni di copyright) ed in alcune tradizioni orali italiane, legate all’ambiente dei fuochi: I mortaletti furono importati dalla Sicilia, si dice, da un certo Signor Pescia, commerciante di cereali che trasportava a mezzo di velieri da Palermo a Rapallo grano, avena, fave, vino, agrumi ecc… …Questo signore portò anche in Parrocchia il culto di S. Rosalia e S. Lucia che nel XVII secolo furono proclamate compatrone dell’attuale basilica…” 

 Questo è quanto troviamo negli appunti del nostro coordinatore Comm. Antonio Scazzola, scomparso in veneranda età nel 1994. Una tesi molto interessante, soprattutto alla luce di quanto si tramanda presso altre scuole di tecnica del fuoco, venute in contatto con la nostra soltanto in epoca recentissima. Ci riferiamo alla tradizione orale di alcune storiche aziende pirotecniche, protagoniste ieri ed oggi dei fuochi rapallesi moderni: tradizione la quale, pur non conferendo piena validità alla tesi di Scazzola, ne conferma comunque una forte verosimiglianza. Abbiamo appunto notizia, da fuochisti del Centro e del Sud Italia, di sparate siciliane analoghe alle nostre, estintesi nell’Isola soltanto alcuni decenni or sono! Dunque il mortaletto, oggi ligure per definizione, fu quasi certamente, ieri, un prodotto noto anche fuori Regione: alcuni turisti lombardi, notando i nostri mortaletti, hanno riconosciuto in essi quei “botti” – in Lombardia ormai “degradati” a fermacarte – che un tempo venivano accesi e ricaricati dalle singole famiglie in occasione delle feste.

In effetti, un’interessante e locale teoria “extra pirotecnica” indica un’ampia universalità dell’antica conoscenza del mortaletto presso i popoli europei: non mancano ad esempio massari i quali, pur anche attraverso supposizioni confortate da semplici indizi storici, individuano nel protagonista della nostra pirotecnica tradizionale il frutto dell’evoluzione antica di peculiari parti di secentesche armi da fuoco… e tali armi erano, come si sa, ben conosciute quantomeno nel Vecchio Continente. Secondo questa teoria, il mortaletto nasceva per essere caricato prima della battaglia, predisposto com’era ad essere fissato ad una canna di colubrina o spingarda prive di culatta. L’artigliere d’una fortezza, in questo modo, poteva disporre di parecchie munizioni, scomode e pesanti se vogliamo, sicuramente non portatili, ma già pronte al fuoco. Confermerebbe l’ipotizzata genesi bellica del mortaletto il suo attuale ed antico sinonimo: mascolo. Mascolo, dal momento che il pezzo così inteso avrebbe costituito il cosiddetto “maschio” nell’accoppiamento meccanico “protomunizione” – canna. Troviamo in effetti disegni d’epoca ritraenti sparate, di mortaletti praticamente identici ai nostri, muniti tuttavia di piccole maniglie (oggi scomparse) e sagomature in questo senso “sospette”. Ovviamente, sopra la carica del “mortaletto bellico” avrebbe trovato posto una palla, o la mitraglia.

Superfluo sottolineare quanto i mortaletti da festa non siano costruttivamente predisposti a simili nefasti impieghi…!  Il nostro breve excursus storico sulla genesi del mortaletto è qui concluso; teniamo dunque a ricordare e sottolineare che ogni indizio, pur aprendo interessantissime discussioni sulla base del probabile, non costituisce prova del vero storico: saremmo pertanto lieti ed onorati nel ricevere interessanti conferme o smentite da parte dei nostri lettori.

…nel remoto 1619, i mortaletti erano già conosciuti in Rapallo ed utilizzati nel culto “piro – popolare” della Madonna di Montallegro.

 

Un po’ di tecnica del "massaro"

 

 

Protagonista ludico – popolare delle Feste di Luglio, il mortaletto si presenta come un piccolo cannone antico, a canna cortissima, costruito e dimensionato per il solo utilizzo a salve. Antica è anche la sua carica: polvere nera, il primo esplosivo prodotto dall’uomo. Lo stesso che, più di quattrocento anni fa, armava le galee genovesi ed i temibili vascelli del pirata Dragut, flagello delle popolazioni costiere.

Per caricare il mortaletto ligure, si versa semplice polvere nera nella canna, quindi la s’intasa con materiale leggero ed inerte (ad esempio segatura) in modo da ottenere, all’accensione, un colpo a salve, “impreziosito” da spettacolari quanto innocue vampe e fumo denso, di sapore antico.

Proprio tutto s’ottiene dall’antico miscuglio di zolfo, salnitro e carbone, nell’antica arte dei massari: caricati i mortaletti, gli stessi si aguginano: s’innescano cioè versando nel foro d’accensione (agugino) polvere nera finissima. Disposti a terra, mortaletti sono poi collegati da strisce, ancora della medesima polvere, granulare questa volta: strisce che bruciano più o meno lentamente a seconda della direzione dominante della brezza di mare… Ecco quindi l’abilità del massaro il quale, per intuito ed esperienza, sa quando, come e dove posizionare i mortaletti, grossi o piccoli, in modo da salutare con giusto ritmo la Santa Patrona.

Come in tutte le arti, infatti, solo pochi posseggono in armonioso connubio esperienza ed innato dono nel saper disporre al meglio la sparata, che per riuscir veramente gradita deve attagliarsi, secondo Tradizione, ad ogni singola tipologia d’evento celebrativo. La pirotecnica antica tradizionale di Rapallo va oltre alle ben note celebrazioni dell’1,2,3 luglio, che danno il nome al presente sito.

Il mortaletto segna infatti il modus vivendi del rapallino verace (che non sempre coincide col rapallese), scandendone la vita pubblica e privata. Col mortaletto si cresce, ascoltando i colpi rituali dell’1,2,3 luglio o delle Feste Frazionali; si celebra il matrimonio di amici e parenti, preparando brevi ed allegre sparate; si saluta questo o quell’altro evento, sacro o profano; si dà l’estremo saluto ad un caro estinto disponendo un’austera sparata di 21 colpi, lenti e cadenzati: gli stessi ventuno che, con diverso spirito, ogni mattina di Novena accompagnano con sacralità l’Elevazione del Santissimo al Santuario di Montallegro.

La sparata è dunque… nel D.N.A. del rapallino, apprezzata com’è durante l’intero corso dell’anno ed, in particolare, nei Giorni Mariani dell’1,2,3 luglio: gli stessi giorni che vedono protagonisti delle celebrazioni “piro – popolari” rapallesi i rituali dei Saluti alla Madonna, dei  Reciammi e del Panegirico, consolidatisi nell’ultimo secolo sulla base d’una tradizione sicuramente meno codificata dell’attuale, ma comunque perpetuata da quattro secoli quantomeno nei suoi aspetti, è il caso di dirlo, piro – tecnici. Infatti i gesti, tecnici appunto, che compiono oggi le abili mani dei massari sui ferruginosi mortaletti, nei greti dei torrenti e sulle spiagge, non differiscono dal fare dei nostri avi. Solo nei dove e nei come, la Tradizione d’oggi differisce da quella di ieri, ciò non inficiando tuttavia, a nostro parere, lo status di museo a cielo aperto di viva pirotecnica antica che amiamo attribuire alla nostra Città.

 

 

Si spari dalla chiatta

 

Quando il MASCOLO era usato per avvisare l’avvistamento dei leudi di ritorno dalla campagna delle acciughe dall’Isola della Gorgona.

 

 

 

Parata di moderni mascoli in acciaio pronti al caricamento, soffiati e disostruiti; in secondo piano sacchi e “cuffe” di segatura per i tappi.

 

 

 

Il mortaletto ligure usato nelle feste patronali di Rapallo 

 

Il mascolo rituale utilizzato nel Levante genovese ed espressamente realizzato per le sparate è nella sua forma più ricorrente un cilindro metallico svasato alla base, anche se a volte ha forma troncoconica. Pesa circa 1,5–2 kg, è alto circa 12–15 cm, ha un diametro esterno di circa 6–7 cm al fusto e 8–9 cm alla base. Il calibro è ordinariamente compreso fra 1,5 e 2 cm. A circa 1,5 cm dalla base e parallelamente ad essa è praticato il focone ("l'agguggino") dal diametro di qualche mm, usualmente con l'imboccatura conica di base 3–4 mm e profonda circa 2–3 mm.

Il mascolo moderno è prodotto in acciaio in quanto la regolamentazione vigente proibisce l'uso di ghise ed ottoni, che hanno una minore resistenza ai fenomeni di frattura e possono finanche causare l'esplosione dei mascoli con proiezione di frammenti. I mascoli di ghisa subiscono inoltre fenomeni di corrosione importanti (in lingua genovese "camôe") che ne pregiudicano rapidamente la soglia di collasso.

Il mascolo in acciaio può essere prodotto per tornitura o per fusione. Fino a qualche anno addietro l'utilizzo di mascoli di ghisa o di ottone era frequente, questi ultimi più raramente a causa del costo del materiale. Tali erano formati per fusione, avevano dimensioni esterne maggiori di quelli in acciaio, e peso compreso fra i 2 e i 3 kg, pur contenendo lo stesso quantitativo di polvere. Notevoli per estetica sono i mascoli di ghisa realizzati fino alla prima metà del Novecento, ottenuti da stampi le cui forme elaborate presentavano spesso il nome o l'emblema del comitato di appartenenza riportato in rilievo sulla canna.

Più grande del mascolo è il cannone (in alcune località di Levante chiamato bomba), oggetto funzionalmente identico, la cui taglia può andare dal cannoncino (alcuni chilogrammi, per una lunghezza di 20 cm ed un calibro di 2–3 cm) al grande cannone (anche più di 100 kg per 40–50 mm di calibro, ma non mancano esempi di cannoni da 200 e passa chilogrammi, realizzati in genere in onore di importanti avvenimenti o illustri personaggi). I cannoni più grandi potrebbero contenere fino ad alcuni chilogrammi di polvere nera, ma la regolamentazione vigente vi pone severissime limitazioni per motivi di sicurezza; nella pratica attuale l'uso dei cannoni ha scopo prettamente ornamentale, in quanto caricati con quantità irrisorie di polvere rispetto alla mole dei pezzi. Per tale motivo alcuni dei più grossi cannoni sono stati addirittura messi in "disarmo" ed utilizzati per ornamento.

I cannoni in acciaio sono prodotti quasi sempre per tornitura a partire da grossi cilindri; hanno forma usualmente troncoconica e sono decorati da elaborate cerchiature. Riportano in genere, incisa sulla canna o sulla bocca, una dedica col nome del proprietario o del comitato a cui appartengono, o con la data di un evento gioioso quali un battesimo, un matrimonio o un anniversario. I cannoni di ghisa, oggi desueti, erano ancora più eleganti, provenendo da stampi e quindi potendo assumere forme non legate alle simmetrie cilindriche della tornitura.

 

I MASSARI ALL'OPERA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricerca a cura di Carlo GATTI 

(Sestiere CERISOLA)

Rapallo, 20 Aprile 2023

 


Nave Passeggeri ANCONA SILURATA Al largo della Sardegna - 7 novembre 1915

Nave Passeggeri ANCONA SILURATA

Al largo della Sardegna - 7 novembre 1915

 

Il transatlantico italiano ANCONA

 

 

MANIFESTO PUBBLICITARIO, ca 1899 - ante 1917

 

di Aleardo Terzi

1870/ 1943

Italia Società di Navigazione a Vapore

Nave a vapore in navigazione

Bandiera nautica ripartita in quattro

La Battaglia dell’Atlantico (1914-1918) fu intrapresa in maniera intermittente dalla Germania tra il 1915 e il 1918 contro il Regno Unito e i suoi Alleati.

 

Il 7 maggio del 1915, l’U-boot U-20 tedesco aveva affondato il transatlantico inglese RMS Lusitania (Cunard Line) presso la costa irlandese. Delle 1.195 vittime, 123 erano civili americani. Nessuna tragedia dei mari e nessun episodio di guerra navale ebbero mai una risonanza e delle conseguenze mondiali così determinanti per l’intera umanità. Intorno alla fine di questo transatlantico, enorme e lussuoso, chiamato “il levriere dei mari”, divamparono le polemiche e si addensarono i misteri. Questo evento fece rivolgere l’opinione pubblica americana contro la Germania, e fu uno dei fattori principali dell’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco degli alleati durante la Grande Guerra, intervento che fu decisivo per la sconfitta della Germania.

 

 

IL QUADRO STORICO

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale è riconducibile alla data del 28 giugno 1914, quando un irredentista bosniaco, Gavrilo Princip, attentò alla vita dell'arciduca d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando e della moglie, che si erano recati in visita a Sarajevo in occasione di una parata militare. Durante questo attentato i due consorti morirono. La situazione si fece incandescente e l'Austria-Ungheria chiese di svolgere delle indagini accurate in territorio serbo, dando quindi alla Serbia un ultimatum. Di fronte al rifiuto della Serbia per delle indagini in territorio nazionale, il 28 luglio 1914 l'Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia, avendo l'appoggio - nel corso del conflitto - della Germania. Si affermarono due alleanze che segnarono le sorti del conflitto: la TRIPLICE ALLEANZA  tra Austria, Germania e Italia ( che però decise di dichiararsi neutrale) e la TRIPLICE INTESA tra Francia, Gran Bretagna e Russia.

 

TRIPLICE ALLEANZA tra Austria, Germania e Italia (che però decise di dichiararsi neutrale) e la TRIPLICE INTESA tra Francia, Gran Bretagna e Russia.

 

La guerra sul mare tra Gran Bretagna e Impero Tedesco fu anche una guerra economica. Il blocco navale britannico strinse la Germania in una morsa implacabile, strozzando le importazioni di materie prime e di generi alimentari. I tedeschi furono i primi a sfruttare le grandi potenzialità dei nuovi mezzi sottomarini: gli U-Boot. I tedeschi attaccavano le navi mercantili, anche di paesi neutrali, che portavano rifornimenti verso i porti dell'Intesa. Si trattò di un'arma molto efficace, che sollevò però gravi problemi politici e morali urtando in modo particolare gli interessi economici degli Stati Uniti.

 

Viene così attuata La guerra sottomarina indiscriminata.

Di cosa parliamo? Di un tipo di GUERRA NAVALE nella quale i sottomarini affondano senza preavviso navi mercantili. Poiché i sottomarini hanno una maggiore probabilità sia di distruggere il bersaglio sia di sopravvivere ai propri cacciatori, molti considerano la guerra sottomarina illimitata una sostanziale violazione delle convenzioni belliche, specialmente quando viene attuata contro navi di Paesi Neutrali in zona di guerra. D'altronde, qualora un sommergibile attaccante rispettasse la convenzione, cioè venisse a galla, intimando a un mercantile di fermarsi, il mercantile avrebbe molte più probabilità di affondarlo con colpi di pezzi di artiglieria nascosti o semplicemente di speronarlo.

 

LA PERDITA DELL’ANCONA rientra in questo tragico “quadro militare” che, come riportiamo sotto, porterà a registrare “statistiche relative ad affondamenti” sicuramente agghiaccianti in favore della Germania:

Il grande piroscafo italiano fu colato a picco dal siluro di un sottomarino tedesco al largo dell’isola di Marettimo.

 

 

Altri moderni transatlantici furono silurati nei mesi e negli anni successivi: il «Verona», il «Napoli», il «San Guglielmo», lo «Stampalia», il «Regina Elena», il «Principe Umberto», il «Duca di Genova». In cifre assolute, su 1.542 mila tonnellate di naviglio mercantile possedute al 30 giugno 1915 furono perduti 241 piroscafi per 716 mila tonnellate lorde, oltre 425 velieri per 104 mila tonnellate nette. Includendo anche le perdite per sinistri normali o non precisamente accertate, e le perdite di guerra precedenti la nostra entrata in conflitto, la flotta mercantile italiana denunciò il 4 novembre 1918 la perdita di oltre un milione di tonnellate lorde di naviglio, alle quali fecero compenso appena 178 mila tonnellate di navi costruite nei nostri cantieri e 73 mila tonnellate di navi acquistate all'estero.

 

 

Il 7 novembre 1915 venne silurata e affondata da un sottomarino austriaco al largo della Sardegna mentre trasportava 496 persone, delle quali 160 morirono.

La nave Ancona (foto sopra) fu costruita nel 1907 nei cantieri navali di Belfast, nell’Irlanda del Nord, per la Italia Società di Navigazione a Vapore.

Stazza Lorda: 8.188 tonn.

Lunghezza: 147 metri 

Larghezza: 18.

Velocità: 16 nodi

Capacità Passeggeri: 2.560 passeggeri, di cui 60 in prima classe e 2.500 in terza.

Aveva un solo fumaiolo e due alberi.

Completato nel febbraio dell'anno successivo, salpò da Genova per il suo viaggio inaugurale il 26 marzo 1908.

Fu messo sulla rotta transoceanica Genova-Filadelfia, con scalo a Napoli, Palermo e New York trasportando migliaia di emigranti dall'Italia agli Stati Uniti d'America.

IL NAUFRAGIO DELL’ANCONA        

Quando l’Italia, entrata ormai nella Prima guerra mondiale con l’INTESA, la nave passeggeri italiana ANCONA salpava da Napoli, era il 6 novembre 1915. Dopo una sosta nel porto di Messina per imbarcare altri emigranti, fece rotta per Gibilterra con destinazione New York con 446 persone e 163 membri dell'equipaggio.

 

 

La freccia rossa indica approssimativamente la posizione del relitto

 

La posizione esatta dell’affondamento è stata trovata consultando il libro di bordo del co­mandante Max Valentiner in cui erano riportate le coordinate del punto in cui avvenne il siluramento.

Il pirosca­fo si trova a 471 metri di profondità, in acque internazionali, tra la Sardegna, la Sicilia e la Tunisia: circa 90 miglia marine a ovest di Marettimo e 60 miglia a nordest di Bizerta.

 

La mattina dell’8 novembre quando la nave si trovava in allontanamento dalla Sicilia, nella posizione indicata dalla freccia rossa posta sulla cartina riportata sopra, fu avvistato dal sottomarino tedesco SM U-38 (battente bandiera austroungarica) il quale senza alcun segnale di preavviso iniziò a sparare numerosi colpi di cannone contro l’ANCONA che, per i danni subiti, fu costretta a diminuire notevolmente la velocità. Di questa situazione favorevole per la “mira” ne approfitto subito il sottomarino tedesco che lanciò un siluro che colpì il mascone di prua della nave italiana.

Immediatamente il Comandante diede ordine di ammainare le prime lance di salvataggio che, a causa dell’abbrivo ancora importante della nave, si rovesciarono durante la manovra, furono investite dalle onde e i passeggeri caddero in mare. Tutti coloro che non riuscirono ad abbandonare la nave morirono.

Da alcune testimonianze riportiamo:

I naufraghi, soccorsi da varie imbarcazioni tra le quali il posamine francese Pluton, furono portati a Biserta, Malta e Ferryville. Una scialuppa con a bordo 13 naufraghi privi di vita dell'Ancona fu rinvenuta sulle coste dell'isola di Marettimo il 17 novembre. Complessivamente si contarono 206 morti, in maggior parte donne e bambini. Tra le vittime si contarono anche una decina di cittadini statunitensi. Ci furono anche tredici sventurati giunti in una scialuppa e morti successivamente fra gli scogli di Marettimo a Cala Galera, trovati il 17 Novembre 2015. Quel luogo fu appellato dai marettimari come località “Omo morto”.

 

CONTRACCOLPI  POLITICI

Il precedente siluramento del transatlantico LUSITANIA, avvenuto in acque irlandesi sei mesi prima dell’affondamento dell’ANCONA, non fece che aumentare lo sdegno e l’esecrazione degli americani per quel tipo di guerra sottomarina senza restrizioni dichiarata ed applicata dagli IMPERI CENTRALI.

Robert Lansing, all’epoca Segretario di Stato-USA, fece pervenire una forte protesta a Vienna. L’Austria ammise che il Comandante Max Valentiner, l’affondatore dell’Ancona, aveva interpretato erroneamente gli ordini ricevuti, non solo, ma che aveva scambiato la nave italiana per una nave da guerra precisando anche che l’U-38 aveva sparato 16 proiettili e non 100 come dichiarato dalle autorità italiane. Vienna aggiunse altresì che: l'alto numero di vittime era dovuto al rovesciamento delle scialuppe, colpa non di un'azione austriaca, ma del fatto che erano state calate mentre il piroscafo era in movimento.

Gli Stati Uniti ritennero insoddisfacenti le motivazioni austro-ungariche e nel dicembre 1915 chiesero al governo austriaco di denunciare l'affondamento e punire il comandante dell'U-Boot responsabile”.

La Germania, allora preoccupata di mantenere la neutralità americana, consigliò Vienna di acconsentire alle richieste statunitensi, alla fine Vienna accettò di pagare un indennizzo e assicurò a Washington che il comandante dell'U-Boot sarebbe stato punito, anche se questa promessa non avrebbe avuto esito, dal momento che era un ufficiale tedesco. La vicenda si concluse con la richiesta del governo austro-ungarico chiese che i sottomarini tedeschi si astenessero dall'attaccare le navi passeggeri mentre battevano bandiera austriaca. La decisione della Germania nell'aprile 1916 fu quella di sospendere la guerra sottomarina senza restrizioni ponendo fine al dibattito.

 

 

SI APRE UN ALTRO FRONTE

 

Tuttavia sul caso ANCONA emerse ben presto un altro consistente fattore d’instabilità economica che interessava chi doveva recuperare una dozzina di casse d’oro che trasportava il piroscafo armato dalla società di Navigazione Italia di Genova e comandato dal capitano Pietro Massardo, che tuttora giace a 500 metri di profondità in acque internazionali, tra la Sardegna e la Sicilia.

IL GIALLO - A cosa serviva quel tesoro? Il Governo ita­liano dice che si trattava di regolari “pa­gamenti tra banche”. Due giornalisti d’inchiesta, Enrico Cappelletti e Vito Tar­tamella, sostennero in seguito che quei soldi servivano ad altro. E, precisamente, a pagare agli americani armi, cavalli e biada. Siamo nel 1915. L’Italia, pur essendo alleata di Austria e Germania, avvia trattative segrete con Inghilterra e Francia per rientrate in possesso di Istria e Trentino.

Quelle ar­mi servono forse per prepararsi al conflitto? Lo si capisce ben presto il 23 maggio 1915, quando l’Italia dichiarerà guerra all’Austria.

Qua­si un secolo dopo, la posizione ufficiale del Governo è che quei soldi sarebbero serviti ai pagamenti per la partecipazio­ne dell’Italia all’Expo del 1915 a San Francisco. Qualunque sia il motivo della loro pre­senza su quel piroscafo, quelle dodici casse d’oro — che oggi valgono 50 milio­ni di euro — giacciono in fondo al mare e restano lì in pace fino al 1985, quando la Comex, società con sede a Marsiglia, scopre il relitto dell’Ancona.  

 

A questo punto, al fine di capirci qualcosa di più, ci affidiamo al racconto di

FOCUS

 

l tesoro della nave Ancona può attendere. Il piroscafo, affondato nel 1915 da un sommergibile tedesco mentre trasportava 496 passeggeri e una tonnellata d’oro (valore: da 22 a 48 milioni di euro), resterà ancora a lungo nei fondali del Tirreno.

 
[Vito Tartamella, 4 febbraio 2010]



Nel 2007 una società statunitense, la Odyssey Marine Exploration, aveva depositato al Tribunale di Tampa (Usa) una richiesta per impossessarsi del relitto, che giace in acque internazionali a 471 metri di profondità.

 
Dopo un contenzioso legale di 3 anni con il governo italiano, lo scorso 6 gennaio il Tribunale statunitense ha congelato il caso: non si è pronunciato sulla titolarità del relitto, ma ha deciso che la Odyssey, se vorrà tentarne il recupero, dovrà avvisare le autorità italiane con almeno 45 giorni d’anticipo. Un’ipotesi, comunque, remota: nell’ordinanza è scritto nero su bianco che la Odyssey «non prevede nell’immediato di farlo». Dunque, il caso resta chiuso a tempo indeterminato.


Un colpo di scena per molti versi inspiegabile: nel 2007 la Odyssey aveva depositato al Tribunale di Tampa una tazza griffata
“SOCIETA’ DI NAVIGAZIONE A VAPORE ITALIA” (la compagnia dell’Ancona) recuperata dal relitto usando “Zeus”, uno dei suoi robot subacquei. E aveva annunciato agli investitori (la Odyssey è quotata al Nasdaq) un possibile introito tra i 20 e i 60 milioni di dollari: quand’anche la nave fosse stata considerata appartenente all’Italia, la Odyssey contava comunque di incassare dal 10 al 25% del valore del tesoro recuperato. 

 

Il mistero si infittisce


Ora, però, tutto rimane congelato, con buona pace della stessa Odyssey. Che, interpellata da Focus, ribadisce il proprio interesse per il relitto dell’
Ancona ma si dice «impegnata su altri fronti, come il recupero della scatola nera dell’aereo delle Ethiopian Airlines, precipitato al largo di Beirut». 
Eppure, l’incidente aereo è avvenuto il 25 gennaio scorso: 19 giorni dopo la sentenza in cui la stessa Odyssey affermava, appunto, di non programmare un ritorno immediato al relitto dell’
Ancona

 

La nostra inchiesta

 

Perché questo cambio di rotta? Contattato da Focus, il ministero degli Esteri (Direzione generale per la promozione culturale) preferisce non rilasciare commenti «vista la delicatezza della questione».
Ma Tullio Scovazzi, professore di diritto internazionale all’Università Milano-Bicocca, nonché consulente del ministero sul caso Ancona fino al 2009, parla esplicitamente di «vittoria per l’Italia: questa ordinanza evita il saccheggio del relitto».

 
Dunque, il caso è chiuso? «Per adesso sì» risponde Scovazzi. «Oltre alla Odyssey, nessun altro si è fatto vivo per reclamare la titolarità del relitto, che si trova in acque internazionali. A nostro avviso, il relitto è da considerarsi intoccabile da chiunque in quanto cimitero di guerra (nell’affondamento morirono
159 persone, ndr). Ma se la Odyssey dovesse decidere di tornare a recuperarlo, dovrebbe comunque fare i conti con l’Italia e con le ulteriori decisioni del Tribunale di Tampa, che dovrà riaprire il caso».

 

 

Guerra sottomarina


I primi a individuare il relitto erano stati in realtà i francesi della società Comex, nel 1986. E, da allora, come ha rivelato l’inchiesta di Focus pubblicata nel 2009 (sul n° 201), altre 3 società britanniche avevano tentato di accedere clandestinamente al relitto, usando benne sottomarine ed esplosivo, ma col solo risultato di danneggiare il piroscafo.

 
«Che la nave trasportasse un tesoro è tutto da dimostrare» obietta il professor Scovazzi.

«Forse interessano di più gli oggetti d’epoca che si possono trovare a bordo». 


Relitto maledetto?

 

Ma l’oro dell’Ancona sembra ben più che una leggenda, visto che ha impegnato varie società in costose (quanto maldestre) missioni di recupero. «I documenti dell’epoca, in mio possesso, provano che l’Ancona trasportava 12 casse d’oro» conferma Enrico Cappelletti, ricercatore ed esperto di relitti. «Era il pagamento agli Usa per un carico di armi che il governo italiano aveva acquistato in segreto, per combattere l’Austria. Tant’è vero che la somma, 133mila sovrane d’oro stivate in 12 casse, era scortata dal segretario del ministero dell’Agricoltura, Ettore Spiaccacci. Il problema, semmai, è capire in quale punto dell’Ancona le avesse fatte nascondere il comandante della nave, Pietro Massardo».

 

Caccia al tesoro

E forse proprio qui sta la chiave dello stallo inatteso. A Focus, la Odyssey ribadisce che il proprio interesse legale verso l’Ancona «è ormai assicurato». Aggiungendo che «le nostre ricerche, tuttora in corso, dovrebbero aiutarci ad avere più dettagli sul carico a bordo dell’Ancona, per darci preziose informazioni che guideranno i nostri sforzi quando decideremo di tornare sul posto».
Un progetto, questo, che sembra comunque non interessare al governo italiano, conferma Scovazzi: «L’obiettivo dell’Italia è sempre stato quello di lasciare il relitto al suo posto». Col suo carico di tesori e di misteri.

 

RICERCA SULLA CARRIERA DEL SOTTOMARINO U-38

(Classe-Type: U-31)

 

 

Capitano Max Valentiner

Dicembre 1915 affondamento ANCONA

In Navigazione da New York to Italy

 

 

 

 

Kplt. Max VALENTINER

 

Fu il comandante dell’U-38

Dal 5 Dicembre 1914 – al 15 Settembre 1917

Il capitano Christian August Max Ahlmann Valentiner - comandante di sottomarino tedesco durante la prima guerra mondiale. Fu il terzo comandante di sottomarino della guerra con il punteggio più alto e fu insignito del Pour le Mérite per i suoi successi.

 

Wilhelm CANARIS

16 September – 15 November 1917

 

Wilhelm Franz Canaris (Aplerbeck, 1º gennaio 1887 – Flossenbürg, 9 aprile 1945) è stato un ammiraglio tedesco, a comando dell'Abwehr, il servizio segreto militare tedesco, dal 1935 al 1944.

 

Naviglio affondato dal SM U-38

(Un terribile RECORD)

134 merchant ships sunk 

(287,811 Grt)

1 warship sunk 

(680 tons)

4 auxiliary warships sunk 

(4,643 Grt )

7 merchant ships damaged 

(29,821 Grt )

1 warship damaged 

(10,850 tons)

1 auxiliary warship damaged 

(3,848 Grt )

3 merchant ships taken as prize 
(3,550 Grt )

 

 

SM  U-38 - Caratteristiche

   

Varato

9 September 1914

Class and type

German Type U 31 submarine

 

Displacement

·685 t (674 long tons) (surfaced)

·878 t (864 long tons) (submerged)

 

Length

·64.70 m (212 ft 3 in) (o/a)

·52.36 m (171 ft 9 in) (pressure hull)

 

Beam

·6.32 m (20 ft 9 in) (o/a)

·4.05 m (13 ft 3 in) (pressure hull)

 

Draught

3.56 m (11 ft 8 in)

 

Installed power

·2 × 1,850 PS (1,361 kW; 1,825 shpdiesel engines

·2 × 1,200 PS (883 kW; 1,184 shp) Doppelmodyn

 

Propulsion

·2 × shafts

·2 × 1.60 m (5 ft 3 in) propellers

 

Speed

·16.4 knots (30.4 km/h; 18.9 mph) (surfaced)

·9.7 knots (18.0 km/h; 11.2 mph) (submerged)

 

Range

·8,790 nmi (16,280 km; 10,120 mi) at 8 knots (15 km/h; 9.2 mph) (surfaced)

·80 nmi (150 km; 92 mi) at 5 knots (9.3 km/h; 5.8 mph) (submerged)

 

Test depth

50 m (164 ft 1 in)

 

Boats & landing
craft carried

1 dinghy

 

Complement

4 officers, 31 enlisted

 

Armament

·four 50 cm (20 in) torpedo tubes (2 each bow and stern)

·6 torpedoes

·one 8.8 cm (3.5 in) SK L/30 deck gun10.5 cm (4.1 in) SK L/45 from 1916/17)

CARLO GATTI

Rapallo, 18 Aprile 2023 

 

 

 

 

 

 

 

 


LO STRETTO DI GIBILTERRA

LO STRETTO DI GIBILTERRA

 

Gibilterra era considerata, dagli antichi greci e romani, uno dei punti che delimitavano la terra conosciuta. Il mito vuole che sia stato il semidio Ercole a porre due Colonne ai lati dello Stretto di Gibilterra, tra i promontori di Calpe, ovvero la Spagna, e di Abila, l'Africa. Questo è il motivo per cui ancora oggi, simbolicamente, lo stretto è noto anche come Colonne d'Ercole.

 

 

Gibilterra - Il moderno monumento simbolico delle Colonne d'Ercole al Cancello degli Ebrei.

Una delle Colonne d'Ercole, deve il suo nome attuale alla corruzione del toponimo arabo Jabal Ţāriq (جبل طارق, ossia Monte di Tariq), così chiamato in omaggio a Tariq ibn Ziyad, il condottiero berbero che conquistò la Spagna nel 711. Complice l’altezza della Rocca, ben 426 mt di altezza a strapiombo sul mare, essa era una delle colonne d’Ercole

 

LA ROCCA  E  JABEL MUSA

LE DUE COLONNE D’ERCOLE

Nelle due immagini sotto

 

 

 

Il Jebel Musa visto dalla costa spagnola

Tra Spagna e Marocco

 

Abitata e conquistata nel corso dei secoli da una miriade di popoli, Gibilterra era interessante per la sua posizione indubbiamente strategica. Dai fenici ai greci, dai vandali ai goti visigoti… poi gli arabi ed i berberi, a cui fu definitivamente strappata dai cattolici spagnoli e portoghesi.
La conquista anglo-olandese avvenne all’inizio del 1700, durante la guerra di Secessione spagnola, e furono vani i tentativi spagnoli di riappropriarsi del territorio negli anni successivi.
Con il trattato di Utrecht (1713) prima e con quello di Siviglia (1729) poi, venne sancita l’appartenenza alla corona Inglese.

Oggi Gibilterra è una stretta lingua di 6 km che parte dalla punta meridionale della provincia di Cadice, con la città di Linea de la Conception. Nota per essere stata spesso linea di confine, appunto, per il commercio di merci e materiali provenienti dalla Spagna si butta poi nel Mar Mediterraneo, sullo stretto che da essa prende il nome.

 

 

VARIAZIONE DEL CONFINE TRA REGNO UNITO E SPAGNA

 

 

PUNTA EUROPA

 

 

 

A livello amministrativo Gibilterra non è territorio spagnolo, ma geograficamente rappresenta la penisola orientale che chiude il golfo d’Algeciras. Questo territorio, che conferisce il nome allo stretto che delimita il Mar Mediterraneo dall’Oceano Atlantico, rappresenta l’unico enclave britannico nella penisola Iberica. Un luogo unico ed affascinante, una lingua di terra dalla tradizione britannica nel profondo sud europeo, a pochi chilometri dalla costa del Marocco.

 

 

 

ANDALUSIA

 

Chi scrive ha compiuto anni fa il TOUR dell’Andalusia (viaggio organizzato con guide specializzate. Arrivo e partenza da Malaga). Una delle mete era proprio Gibilterra.

 

Attraversata la dogana che separa Gibilterra da La Linea de Concepción (ultimo paese d’Andalusia in Provincia di Cadice prima della frontiera), il territorio britannico offre sostanzialmente due principali attrazioni turistiche: la cittadina ed il parco naturale del promontorio. Per raggiungere l’abitato occorre attraversare la pista d’atterraggio dell’aeroporto locale. La pista è tuttora attiva con vari voli al giorno. Quando la pista è in uso viene bloccato il traffico e bisognerà aspettare.

 

LA GIBILTERRA INGLESE

Oggi i 33 mila abitanti di Gibilterra si considerano a tutti gli effetti inglesi.
Votarono negli anni 90 contro la proposta di spartire la sovranità del loro territorio tra Spagna ed Inghilterra mentre di recente si sono schierati a netto sfavore della Brexit.

L’uscita dall’UE significherebbe il ritorno alla chiusura della frontiera con conseguente difficoltà di accesso per le migliaia di lavoratori spagnoli, proprietari inglesi e delle tante merci necessarie per l’economia del territorio. Un ritorno alle origini che potrebbe essere superato solamente con la riapertura della questione sulla sovranità condivisa ed il necessario assoggettamento alle richieste del governo spagnolo.

 

VARCHIAMO I CONFINI

Appena entrati a Gibilterra si ha l’impressione di essere catapultati in terra anglosassone. Tutto cambia: i cartelli, le strade, le automobili, perfino i cestini della spazzatura. Tutto ricorda l’Inghilterra, tranne la guida che, per fortuna, rimane identica a quella spagnola. Addirittura una cabina telefonica tipicamente londinese svetta a metà di un incrocio.

 

 

 

 

Passata la frontiera e mostrato il documento d’identità, la strada principale taglia completamente a metà la pista dell’aeroporto. Pensate che, come per il passaggio di un treno, ci sono delle sbarre a bloccare il passaggio delle auto ogni volta che un aereo deve atterrare o partire. Spettacolare…

 

LA LINGUA DI GIBILTERRA

Il centro della città è in sostanza composto da una via fatta di negozi e pub, dove gustare fish and chips e beer anglosassone. I televisori trasmettono notizie e partite di calcio inglese.
I gibilterrini hanno come lingua principale l’inglese anche se molti usano lo Llanito, dialetto creolo locale, che è un mix di inglese e spagnolo, una piccolissima parte di portoghese, italiano (genovese), maltese ed ebraico. Questo dialetto è parlato da tutti i cittadini come prima lingua parlata.

Curiosità: Il dialetto genovese venne importato da una consistente colonia di liguri trasferitisi qui a metà del ‘700 e che per un lungo periodo hanno costituito quasi la metà della popolazione.

 

 

IL FARO DI PUNTA EUROPA

 

Il suo faro viene erroneamente considerato il più basso d’Europa sul Mediterraneo mentre è soltanto il più meridionale di proprietà Inglese. Nelle giornate più limpide è facile vedere la costa africana e gli edifici della cittadina di Ceuta.

 

 

Il braccio di mare che divide Europa e Africa è il più iconico della storia: qui sorgevano le Colonne d'Ercole che indicavano il limite estremo, da non valicare, del mondo conosciuto, con la fatidica scritta “non plus ultra” (non più oltre). Secondo Platone al di là della Rocca di Gibilterra si trovava il regno di Atlantide, secondo Dante il monte del Purgatorio, ma le Colonne simboleggiavano anche i limiti stessi della conoscenza umana. Navigare nei 14 chilometri che uniscono Mediterraneo e Atlantico significa immergersi in suggestioni culturali fortissime, esaltate dalla visione della Rocca e delle verdi coste dei due continenti.

 

Dal punto di vista Commerciale:

 

 

Attraverso lo Stretto di Gibilterra transitano circa 100.000 navi all’anno, molte di più rispetto al Canale di Suez, ma dal punto di vista del valore commerciale è quest’ultimo ad avere un traffico più consistente. Se prendiamo a riferimento il movimento di contenitori nel Mediterraneo e nel Mar Nero, pari a 62 milioni di TEU, oltre il 70% dipende dal Canale di Suez e solo il 30% è generato dagli scambi tra i Paesi dell’area euro-mediterranea e tra questa e il Nord America. Da uno studio di Assoporti del 2018 si ricava che il traffico merci (espresso in tonnellate) che transita in entrambe le direzioni per il Canale di Suez e ha per origine e destinazione il Nord Europa e l’America del Nord è pari al 36% del totale. In questo senso il transito attraverso il Canale di Gibilterra è secondo rispetto a quello di Suez.

Sul canale di Gibilterra, tuttavia, c’è oggi molto interesse: lo sviluppo del porto di Tanger Med, con la sua piattaforma logistica e industriale, ha rilanciato il vecchio progetto di connettere l’Africa con l’Europa attraversando il canale mediante un tunnel sottomarino lungo 40 Km.

 

 

Dal punto di vista Geopolitico:

Segnalo la rivista Italiana di Geopolitica LIMES:

 

La Rocca, britannica dal 1713, è lo Stretto dove la cooperazione fra Londra e Washington si esprime al massimo grado. Decisiva per la Global Britain. La crescente influenza cinese in Nordafrica e l’ascesa di Tanger-Med, presto primo porto mediterraneo.

di Alberto de Sanctis

Pubblicato inGERARCHIA DELLE ONDE - n°7 - 2019

GIBILTERRAMARIMEDITERRANEOREGNO UNITOUSABASI USACINASCONTRO USA-CINA

  1. Lo stretto di Gibilterra è uno dei principali colli di bottiglia del sistema globale dei traffici via mare.

Questo angusto passaggio compresso fra le propaggini rocciose dei continenti europeo e africano si protende per circa 36 miglia nautiche in senso longitudinale e misura appena 8 miglia nel suo tratto più stretto, fra Punta Tarifa in Spagna e Punta Cires in Marocco. Il suo accesso orientale dal Mediterraneo, fra Gibilterra e Ceuta, è largo 14 miglia mentre quello occidentale, fra i capi Trafalgar e Spartel, raggiunge un’ampiezza quasi doppia: circa 27 miglia.

Il valore geostrategico di Gibilterra è fuori discussione.

A GIBILTERRA, CHIAVE DEL DOMINIO ANGLOAMERICANO, ORA SPUNTA LA CINA

 

 

Dirigiamoci ora verso il mar Mediterraneo dove dovremo attraversare uno stretto marittimo storicamente importante, quello di Gibilterra.

 

Fonte: OCEAN FOR FUTURE

 

 

Traffico Navale nello stretto di Gibilterra

Lo stretto di Gibilterra

Dopo una lunga traversata oceanica si arriva nello stretto naturale di Gibilterra, da sempre passaggio obbligato per entrare nel mare nostrum. Geograficamente ha una sua particolarità: è delimitato a nord dall’estremità meridionale della penisola iberica ed a sud da Ceuta, un territorio spagnolo situato nella parte più settentrionale del Marocco. Ciononostante lo stretto prende il nome dal promontorio di Gibilterra, attualmente possedimento del Regno Unito, che si trova all’imboccatura orientale dello stretto. Ma ha anche una caratteristica oceanografica interessante, che lo fa essere uno stretto e non un canale: la soglia di Gibilterra, un rilievo sottomarino frapposto fra la Penisola iberica e l’Africa. 

 

 

Come ricorderete una via marittima può essere definita stretto quando le masse d’acqua, da una parte e dall’altra, hanno caratteristiche differenti. Questo è il caso della soglia di Gibilterra. La sua presenza assume particolare importanza per la circolazione perché condiziona sia il volume delle masse d’acqua scambiate fra l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo, sia il regime delle correnti marine che attraversano lo Stretto.

Innanzitutto, grazie ad un clima prevalentemente caldo e secco, le acque del mar Mediterraneo, subendo una maggiore evaporazione hanno una salinità maggiore di quella delle fredde acque atlantiche. Essendo più dense e pesanti le acque mediterranee in uscita vengono spinte verso il fondo dell’Atlantico e vengono rimpiazzate da acque superficiali più “dolci” e meno dense, provenienti dall’oceano. Si vengono quindi a creare due correnti che si muovono con verso opposto a quote differenti, sottoposte sia alle variazioni periodiche causate dalla marea (che condiziona le differenti altezze del livello del mare nel Mediterraneo e nell’Atlantico) sia dalle stagioni.

 

 

La presenza della soglia, impedendo alle più fredde acque profonde dell’Atlantico di entrare nel Mediterraneo, giustifica il fatto che le acque profonde del Mediterraneo si mantengono in profondità ad una temperatura costante di 12-13 °C per tutto l’anno. Non ultimo, le due masse d’acqua tendono a mescolarsi con una certa difficoltà per cui il ricambio delle acque interne del Mediterraneo è piuttosto lento. 

Lo Stretto di Gibilterra, famoso anche nell’antichità (quando veniva identificato con le colonne d’Ercole, il limite estremo del mondo conosciuto) è lungo in senso longitudinale circa 36 miglia nautiche e misura appena 8 miglia nel suo tratto più stretto, fra Punta Tarifa in Spagna e Punta Cires in Marocco. Il suo accesso orientale dal Mediterraneo, fra Gibilterra e Ceuta, è largo 14 miglia mentre quello occidentale, fra i capi Trafalgar e Spartel, raggiunge un’ampiezza quasi doppia: circa 27 miglia. Essendo l’unica via occidentale di ingresso nel Mediterraneo è ovviamente molto trafficato; ad esempio, nel 2018, lo stretto è stato percorso da un flusso navale di oltre 84 mila imbarcazioni (circa cinque volte quello di Suez).

Geo-politicamente, il rischio di un suo blocco sarebbe poco fattibile, a causa delle caratteristiche oceanografiche che lo rendono molto particolare …  dovrebbe essere dichiarata una guerra ma, come per gli altri Stretti che abbiamo nominato, a chi gioverebbe? Ciò nonostante la distanza fra le due sponde è tale da favorire traffici illeciti, come il contrabbando e la migrazione clandestina dall’Africa verso l’Europa.

 

 

The Strait of Gibraltar provides a natural physical barrier between the countries of Spain (north) and Morocco (south). In geologic terms, the 10-mile (16-kilometer) strait that separates the two countries, as well as Europe and Africa, is located where the two major tectonic plates—the Eurasian Plate and the African Plate—collide. This high-oblique, northeast-looking photograph shows the mountainous northern coast of Morocco and the coastal mountains of southern Spain, including the dagger-shaped, snow-covered Sierra Nevada Mountains of southeastern Spain. The Guadalquivir River flows from east to west along the base of the Sierra Morena Mountains in southern Spain. The famous British city of Gibraltar is located on the wedge-shaped peninsula on the east side of the bay in the southernmost protrusion of Spain. The city of Ceuta is a Spanish enclave on the extreme northeastern coast of Morocco. Ceuta, a free port with a large harbor, has remained under Spanish control since 1580.

 

 

Europe (left) and Africa (right)

 

 

 

 

 

 

 

Un po’ di Storia…

Le fortificazioni

La piccola Penisola di Gibilterra, unita alla Penisola Iberica da una sottile striscia di sabbia, è un promontorio stretto ed allungato dominato da una rocca alta 426 metri con un versante orientale assai ripido e rocciosa e con un versante occidentale meno scosceso sulla cui base si trova il centro urbano. Con il crescere della potenza tedesca, all'inizio del XX secolo questo piccolo possedimento britannico a guardia dello Stretto che mette in comunicazione il Mediterraneo con l'Atlantico, fu soggetto ad una serie di interventi edilizi che accrebbero le difese militari del promontorio.

Tra il 1933 il 1936 sulla striscia di terra dove prima era presente un ippodromo, venne costruito un piccolo aeroporto, ma con lo scoppio della guerra e l'apertura del fronte nordafricano la necessità di un ampliamento della pista divenne di grande importanza. Così la pista venne allungata a 1600 m mediante un terrapieno artificiale creato grazie all'utilizzo dei materiali di scavo provenienti dalla costruzione di una lunga serie di tunnel sotterranei all'interno della Rocca.

Le difese della Rocca vennero ampliate con l'aggiunta di numerose batterie fisse che contavano più di due dozzine di pezzi, i più grandi erano di calibro 9.2 pollici in sei installazioni singole e una doppia, mentre le batterie contraeree erano per lo più armate con pezzi da 3.7 pollici (94 mm) in posizione fissa e mobile, e dotate di proiettori per la difesa notturna. Un reggimento di artiglieria mobile poi disponeva di tre pezzi da 6 libbre, uno da 7 libbre, nove da 25 libbre, cinque da 75 mm, otto da 4 pollici di tipo navale, dieci obici da 4.5 pollici, sette da 6 pollici (152 mm) e 2 obici da 9.2 pollici, ossia 230 mm.

Ma il sistema difensivo più caratteristico di Gibilterra era rappresentato dal sistema di gallerie e strutture sotterranee. Già durante l'assedio del 1782 fu scavata una prima galleria lunga 183 metri dotata di sette cannoni, quindi fra il 1788 e il 1797 il sistema difensivo fu ampliato con una serie di tunnel detti Middle and Lowers Galleries. Ma durante la seconda guerra mondiale la lunghezza dei tunnel raggiunse i 48 chilometri, e furono adibiti a magazzini, ricoveri, rifugi antiaerei e postazioni comando.

Dopo il successo Alleato nella Campagna del Nord Africa e la resa dell'Italia nel 1943, Gibilterra venne declassata a normale base di smistamento di rifornimenti situata nelle retrovie.

 

Storia militare di Gibilterra durante la seconda guerra mondiale
• Cronologia degli eventi •

Un Catalina sorvola il fronte settentrionale della roccia
lasciando Gibilterra per una pattuglia, 1942 (Museo della guerra imperiale) 

Fine 1939

Inizia la costruzione di una pista dura a Gibilterra.

9.settembre 1939

Il volo 202 RAF ha base a Gibilterra.

25 settembre 1939

Il gruppo n o 200 (costiero) è formato a seconda della sede della RAF per il 
Mediterraneo.

giugno 1940

13.500 civili sono evacuati a Casablanca (Marocco francese). 

13 luglio 1940

Dopo la creazione di Vichy France, i civili di Gibilterra tornarono a Gibilterra 
prima di essere evacuati in altre località.

giugno 1940

Gli sfollati vengono inviati all'isola di Madeira e a Londra. 

9 ottobre 1940

1.093 rifugiati nuovamente evacuati in Giamaica. 

Fine 1941

L' Operazione Felix, piano tedesco per l'invasione di Gibilterra, viene cambiata 
nell'operazione Felix-Heinrich, ritardando l'invasione fino a dopo la caduta dell’Unione Sovietica, mettendo così fine ai piani di invasione tedesca.

gennaio 1942

Inizia il test dell'attrezzatura per l'operazione Tracer.

Metà 1942

L'operazione Tracer viene dichiarata "pronta per la distribuzione".

luglio 1942

Il tenente generale Dwight D. Eisenhower viene nominato comandante in capo dell’Operazione-Torch

5 novembre 1942

Eisenhower arriva a Gibilterra per prendere il comando

4 luglio 1943

Un bombardiere LIBERATOR of Transport Command RAF al largo di Gibilterra e si è schiantato, 
uccidendo il generale Wladyslaw Sikorski, leader politico polacco e comandante dell’esercito polacco occidentale. 

novembre 1943

Viene istituita la commissione per il reinsediamento.

6 aprile 1944

Un primo gruppo di 1.367 rimpatriati arriva a Gibilterra direttamente dal Regno Unito.

28 maggio 1944

Il primo convoglio di rimpatrio lascia Madeira per Gibilterra.

8 maggio 1945    

Resa tedesca

 

Le scimiette di Gibilterra

 

 

Le bertucce sono una costante del parco, anche se si concentrano in maniera maggiore nel punto panoramico chiamato “delle scimmie”. Qui, i furbi animaletti si sono abituate alla presenza dell’uomo e spesso rubano agli sprovveduti visitatori il pranzo. È l’unica colonia libera di questi primati in tutta Europa, e si stima che sono circa 250 esemplari distribuiti in 10 mandrie.

 

Le risposte alle domande più comuni:

Perché Gibilterra appartiene all’Inghilterra?

Nel 1462 G. entrò a far parte del regno di Castiglia, ma durante la guerra di Successione di Spagna fu conquistata (1704) da una flotta anglo-olandese e con il Trattato di Utrecht (1713) rimase assegnata all'Inghilterra.

Perché si chiama Gibilterra?

Chiamata anticamente Calpe, prese il nome di Gebel Ṭāriq a ricordo della spedizione del generale arabo Ṭāriq, che nel 711 vi sbarcò dall'Africa dando inizio alla conquista della Spagna. Riconquistata definitivamente dagli Spagnoli nel 1462, venne fortificata da Carlo V dopo l'assalto di Khair ad-dīn Barbarossa (1540).

Per cosa è famosa Gibilterra?

Lo stretto di Gibilterra è la porta d'acqua che collega l'Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo ed è una delle rotte di navigazione più trafficate al mondo. È anche tra le rotte più prolifiche per i delfini e il posto migliore per vedere e interagire con queste incredibili creature in tutta Europa.

 

Com’è la vita a Gibilterra?

Gibilterra è un luogo multiculturale e bilingue (spagnolo e inglese). La vita notturna non è un granché, tolti i numerosi ristoranti e i due casinò presenti. Il tenore di vita èrelativamente elevato per gli standard europei. I prezzi delle case, sia in affitto che in acquisto, sono molto alti

La bandiera di Gibilterra è in uso dal 1966, riproduce lo stemma del territorio, concesso dai Re Cattolici di Spagna nel 1502, con il castello che rappresenta la rocca e la chiave, che allude alla strategica posizione di "porta del Mediterraneo".

 

Perché la Spagna non riconosce Gibilterra?

 Uno dei problemi riguardanti la sovranità delle acque comprese tra il Campo di Gibilterra e la stessa penisola sono motivo di accese dispute tra le due nazioni. La Spagna secondo il Trattato di Utrecht non riconosce a Gibilterra alcuna giurisdizione sulle acque circostanti le proprie coste.

 

 

Per gli AMICI appassionati della Storia della Seconda guerra mondiale segnalo un articolo edito dall’Ufficio storico della Marina.

Sono raccontate le imprese delle coppie di eroi:

Birindelli-Paccagnini/Tesei-Pedretti /Bertozzi-Vignoli/ed il nostro “eroe tigullino” De la Penne-Bianchi

30 ottobre 1940: Gibilterra, missione B.G.2

Le gesta del tenente di vascello Gino Birindelli che gli valsero la Medaglia d'Oro al Valor Militare

30 ottobre 2020 Ufficio Storico della Marina

 

Per gli AMICI VELISTI che decidessero di ATTRAVERSARE lo Stretto di Gibilterra segnalo un articolo prodigo di consigli utili:

ATTRAVERSARE LO STRETTO DI GIBILTERRA

https://www.arielhr53.com/attraversare-lo-stretto-di-gibilterra/

 

  • Il navigante di professione che lascia Gibilterra deve decidere, sulla base del porto atlantico di destinazione, quale tipo di navigazione scegliere tra ORTODROMIA e LOSSODROMIA. L’argomento è lungo e complesso per i profani… Ma un’idea ve la può dare questo articolo:

https://www.nauticalalmanac.it/it/navigazione-marittima/lossodromia-ortodromia-rotta

 

RINGRAZIAMENTI:

Felix e Alex Canepa - PolyViaggi-Rapallo per avermi messo a disposizione molte foto del loro archivio.

La rivista mensile di geopolitica LIMES di cui sono un fedele lettore da molto anni

 

 

 

Carlo GATTI

 

 

 

Rapallo, martedì 13 Aprile 2023