NAUFRAGIO DELLA FUSINA - 50 ANNI DOPO

IL NAUFRAGIO DELLA FUSINA

50 ANNI DOPO

ALCUNI RICORDI PERSONALI…



Posizione del relitto della M/n FUSINA nelle acque a nord dell’isola di San Pietro, Sono passati 50 anni da quella sera del 16 gennaio 1970, era un venerdì in cui il Fusina, partito da Portovesme poche ore prima, affondò in meno di un’ora, forse a causa del mal tempo o per altre cause di cui parleremo. Una cosa é certa: il maestrale, il vento più sardo di tutti che nasce in Provenza e s’abbatte furioso sulle coste occidentali della Sardegna e per una settimana é in grado di sollevare onde alte anche sette o otto metri.


LA DINAMICA DELLA TRAGEDIA


La notte del 16 gennaio 1970, la nave Fusina, partita da Portovesme in serata con un carico di blenda destinato a Fusina (Porto Marghera, Venezia). C’era una discreta maestralata in corso, ma non fu solo quella la causa del naufragio, la FUSINA, come si può vedere dalla foto, era una nave solida e moderna. La causa del naufragio, come fu accertato in seguito, fu lo spostamento del carico, un carico molto pericoloso. La nave sbandò e si capovolse a nord dell’isola di San Pietro, con un bilancio drammatico. Dei 19 membri dell’equipaggio, la maggior parte di origine veneta, 18 persero la vita, compreso il minorenne Angelo Barbieri, il cui corpo non fu mai trovato. Ci fu un solo superstite, il cameriere di bordo Ugo Freguja, considerato un “miracolato” per il modo in cui riuscì a salvarsi.

M/n FUSINA


A sinistra il Comandante MARIO CATENA – A destra UGO FREGUJA

Stralcio alcune parti dell’articolo di Mauro CARTA

Il comandante Mario Catena, un veneziano di cinquantadue anni, fece di tutto per salvare le vite affidate alla sua responsabilità: lanciando due volte l’SOS (senza risultato, trovandosi all’epoca la nave in una zona ombra per i segnali radio), illuminando il cielo con tutti i razzi di segnalazione disponibili, cercando di mettere a mare le scialuppe di salvataggio, senza riuscirvi a causa del forte sbandamento, delle onde violentissime, del panico che si era scatenato a bordo. Nessuno, in quella notte di burrasca, raccolse la richiesta di soccorso. Alla fine, il comandante ordinò di lanciarsi fuori bordo, nell’acqua gelida, con i soli giubbetti di salvataggio.

Un solo uomo, dopo aver nuotato disperatamente per otto ore, riuscì a raggiungere miracolosamente la terra in un punto dove poteva allontanarsi dalle onde e dagli scogli. Era Ugo Freguja, il cameriere di ventotto anni, che alla fine sarà, su diciannove uomini che componevano l’equipaggio del Fusina, l’unico superstite. Dobbiamo proprio a lui la testimonianza di quelle ore paurose. Freguja si abbandonò al sonno una volta a terra, sfinito, si risvegliò soltanto la mattina dopo e, soccorso da un pescatore, comunicò finalmente al mondo la notizia del naufragio della sua nave.

Che cosa resta oggi del Fusina? Un relitto, adagiato sul fondo del mare, coricato sul lato di dritta, a novantotto metri di profondità, due miglia a nord di Cala Vinagra.

Negli anni 62-63 ho navigato sulla t/n FINA ITALIA da 3° e 2° uff.le di coperta. Era soprannominata “la freccia del Golfo persico”. Aveva una portata lorda di 31.500 tonn. ed una velocità superiore ai 18 nodi.

Dei miei 15 mesi d’imbarco, ben 6 li navigai con l’allora 1° Ufficiale Mario CATENA, lo sfortunato Comandante che perì 50 anni fa a bordo della FUSINA, come abbiamo raccontato con grande tristezza. Di lui mi é rimasto nel cuore un episodio che più di tanti discorsi di circostanza, rede l’idea del carattere “marinaro” della persona, ma soprattutto di quel senso “paternalistico” che a bordo delle navi mercantili é difficile esercitare perché tutto é improntato al grado e alla “antica” disciplina sintetizzata dal concetto “safety first”. Non vorrei essere frainteso: le navi funzionano molto meglio di qualsiasi altro ambiente lavorativo di terra proprio perché da millenni esiste un impianto disciplinare che conferisce ad ogni membro dell’equipaggio le responsabilità di cui risponde sempre n prima persona.


La foto della cisterna MIRAFLORES, gemella della FINA ITALIA, mostra la passerella che viene usata dall’equipaggio per collegare in sicurezza il centro nave e la poppa.

Eravamo in Atlantico, nel mezzo di una vasta depressione da cui non si poteva scappare. La nave era bassa perché carica alla marca. La coperta era battuta da onde gigantesche. Le petroliere di quel tempo avevano il Ponte di comando sopra il cassero a centro nave dove alloggiavano tutti gli ufficiali di bordo. A poppa c’era la Sala Macchine, la cucina, gli alloggi dei Sottufficiali e della Bassa forza. Quando il mare era in tempesta il cassero centrale poteva rimanere isolato, per quanto ci fosse una passerella sopraelevata che permetteva il trasferimento del personale da una parte all’altra, per il trasporto non solo del personale ma anche delle vivande nelle ore di pranzo e di cena.

Fu proprio in quella difficile circostanza, con rollate di circa 20° che il 1° Ufficiale Mario CATENA si offrì (d’autorità) per andare a poppa a ritirare il cibo per tutti gli ufficiali.

“E’ inutile rischiare tutti. Vado solo io! Mi legate la vita con una cima lunga e siate pronti a virarla qualora mi vedeste decollare…”

Appena il Primo giunse al centro della passerella fu investito da un’onda alta almeno 10 metri, sparì totalmente nella schiuma e nel panico totale non ci rimase che tirare con forza la cima legata al suo corpo e sentimmo, grazie a Dio, che era ancora attaccato anche se la caduta gli aveva procurato molte ferite. L’uomo era forte e coraggioso, pertanto riuscì ad agguantare i candelieri e con la forza della disperazione, come lui stesso ci raccontò, si era salvato dal decollo…

Lo raggiungemmo per riportarlo a centro nave, ma lui insistette di voler andare a poppa… Era dolorante e claudicante ma non desistette dal compiere la missione per la quale si era offerto per tutti noi. Completammo insieme il tragitto e poi raggiungemmo finalmente la riposteria a centro nave.

Ecco chi era il Comandante Mario Catena: un padre che sentiva un grande senso di protezione verso il suo equipaggio che a bordo rappresentava la sua stessa famiglia, un uomo di mare che non temeva nulla, neppure le situazioni più difficili che in mare non mancano mai.

Nella mia carriera ho avuto modo di rivivere scene di quel tipo, anche peggiori, ed ogni volta ho pensato al coraggio di quel 1° Ufficiale il quale, con un gesto d’altruismo per lui del tutto “normale”, modificò il mio concetto d’umanità che ancora oggi, a distanza di quasi 60 anni, ricordo con grande emozione.


Ugo FREGUJA, L’unico superstite del naufragio

 

M/n ANNA MARTINI

LA TRAGICA SORTE TOCCATA ALLA FUSINA MI RIPORTA ALLA MENTE ALCUNI ALTRI RICORDI PERSONALI CHE MI SPINGONO AD APRIRE UNA BREVE PARENTESI …

Nel 1967, tre anni prima del naufragio della FUSINA, chi scrive era imbarcato sulla M/n ANNA MARTINI come 1° Ufficiale di coperta.

Il mio Comandante era un “viareggino” vicino alla pensione. Il tipo aveva un caratteraccio che si attenuava solo dopo irruenti esplosioni di bestemmie irripetibili … Lui e questa “carretta” letteralmente tirata su dal fondo nel primo dopoguerra, furono la migliore palestra professionale per la mia successiva carriera. Quel Comandante si era forgiato e temprato sui bovi e le paregge del suo paese, navigava a vista e vedeva i pericoli con largo anticipo, i suoi calcoli astronomici non erano precisamente i frutti raccolti all’Istituto Nautico, ma erano sempre originati da osservazioni acute del colore del mare e delle nuvole, dal volo dei gabbiani, dall’umore del vento che lui percepiva sul nasone avvinazzato, una specie di sensore a parabola che non lo tradiva mai, così diceva lui…, ma io penso tuttora che la sua vera capacità di navigare fosse il risultato di una grande esperienza maturata nella lotta contro i colpi di mare … e quindi dalle paure sofferte nell’arco della sua vita di uomo di mare.

Su quella carretta piena di buchi tamponati col cemento, il nostro solito viaggio era la traversata Genova-Cagliari con 90 auto FIAT caricate anche sulla “normale” …. ed il ritorno con 2.500 tonnellate di sale (dello Stato e dei Conti Vecchi) per calata Bengasi a Genova.

Quando in banchina non c’erano le FIAT… (a causa degli scioperi di quel periodo…), si navigava alla busca anche fuori dagli Stretti, come pirati a caccia di “noli”, senza radar, girobussola e con un radiogoniometro finto… Scalammo Siviglia per carbone, Safì (Marocco atlantico) per fosfati, Casablanca (merce varia), e ancora La Nouvelle (Golfo del Leone) per grano, a Porto Empedocle per salgemma (sale di miniera) e poi Marsiglia per caolino e molti altri scali minori con attrezzature prinordiali.

Nel nostro vagabondare per il Mare Nostrum praticando il contrabbando per rimpinguare il magro salario del Navalpiccolo, non mancarono i viaggi per caricare minerale proprio a Portovesme (Sardegna), carico destinato all’industria della nostra penisola.

Quando giunse l’ordine di fare rotta per quel primo viaggio di blenda, il Comandante mi guardò fisso negli occhi e mi disse: “Lei ha fatto esperienze su petroliere e navi passeggeri, ma sa cos’é la BLENDA?”

Con un certo imbarazzo confessai la mia totale ignoranza. Ed il Comandante viareggino rinverdì le sue “memorie” con un certo abbrivo che tornava a galla come fosse successo il giorno prima….

Allora le racconto brevemente del mio incontro/scontro a Portovesme con questo minerale bastardo. Ovviamente fui informato che il minerale andava caricato entro certi limiti di umidità, ma nessuno mi spiegò mai il motivo. Dovetti impararlo a mie spese…

A caricazione terminata con la supervisione di tecnici e periti chimici, mollai gli ormeggi e quando fummo sull’imboccatura eravamo già sbandati 10° a dritta. Mi resi subito conto del problema ma pensai ad una falla sul lato dritto di una stiva. Accostai immediatamente a sinistra e rientrai in porto a tutta forza. Ormeggiammo col lato più alto, il sinistro, ed i cavi in tensione ci salvarono dal rovesciamento. Lo sbandamento aveva superato i 30°. Le Autorità, il caricatore e tutti gli addetti ai lavori erano ancora in banchina… Tutti sapevano cos’era successo eccetto il sottoscritto col quale tutti però si complimentarono per la riuscita manovra che evitò il naufragio nel salotto di casa…. Nessuno ebbe il coraggio di salire a bordo”.

“Comandante, metta la nave in sicurezza, la leghi con tutti cavi di bordo in banchina e poi venga nel mio ufficio insieme al Perito chimico e al caricatore”. - Mi urlò il Capitano del porto –

Giunto nella “camera caritatis” dell’Autorità Marittima, notai che ce l’avevano tutti con il Perito chimico perché non avrebbe controllato correttamente l’umidità della blenda… e che avrebbe dovuto sospendere la caricazione ecc… ecc…”

“Qual è il punto? Cosa succede quando il carico é bagnato? – Chiesi quasi infastidito –

“Succede che appena si mette in moto, dal motore si sprigionano vibrazioni in ogni angolo della nave che ovviamente si propagano nelle stive che, in brevissimo tempo, si trasformano in giganteschi frullatori. A questo punto l’umidità diventa acqua, monta sulla superficie del carico e appena la nave accosta, per esempio a dritta, l’acqua scorre verso la paratia di dritta facendola sbandare… per farla affondare senza pietà… e giù bestemmie…!

Io ho avuto la fortuna di poter rientrare in porto prima che potesse accadere l’irreparabile!

Sior, ora lei é informato. Lei é il responsabile del carico, ma io le sarò sempre vicino, notte e giorno e le mostrerò come va trattata certa gente… e se poi ci sarà da “menare” entrerà lei in gioco con la sua esuberante giovinezza…”

Questo racconto, basato sui miei ricordi personali di oltre 50 anni fa, vuol solo dimostrare quanto siano insidiosi i pericoli che l’uomo di mare incontra non solo nel mare in tempesta, ma anche sulla terraferma dove gli interessi comuni degli addetti ai lavori convergono sulla necessità che la nave parta al più presto senza perdite di tempo! - “TIME IS MONEY” – Questa é la regola in ogni porto del mondo grande o piccolo che sia.

Ho ancora un brevissimo ricordo da raccontare, proprio sul Comandante Mario Catena della FUSINA. Era il 1964

MA COSA E’ IN REALTA’ QUESTA BLENDA? A COSA SERVE?

Ci siamo informati!

LA BLENDA

La sfalerite o blenda è il minerale dal quale si estrae industrialmente lo zinco, come sottoprodotto anche cadmio (Il cadmio è un metallo bianco-argenteo, abbastanza tenero; il cadmio metallico è impiegato nell'industria per la produzione di acciaio e plastiche. I composti sono usati nella produzione di batterie, di componenti elettronici e di reattori nucleari), gallio (Il gallio è usato per tenere insieme alcuni nuclei di bombe nucleari. Tuttavia, quando i nuclei sono tagliati e si forma polvere di ossido di plutonio, il gallio rimane nel plutonio. Il plutonio diventa quindi inutilizzabile come combustibile perché il gallio è corrosivo per parecchi altri elementi, indio (L'indio è usato principalmente per la fabbricazione di leghe bassofondenti, di cuscinetti e altre parti in movimento nell'industria automobilistica; alcuni suoi composti (arseniuro, antimoniuro e fosfuro) hanno assunto una certa importanza come semiconduttori).

I giacimenti italiani più significativi del minerale BLENDA sono quelli della Sardegna, in particolare Montevecchio nel Medio Camidano, Monteponi nell’Inglesiente e "Sos Enattos" di Lula (Nuoro). Vi sono altri giacimenti nel Nord Italia.

Il nome deriva dal greco σφαλερός (sfalerós, ingannatore) poiché anticamente il minerale era ritenuto ingannevole per i minatori. L'elevato peso specifico ed il fatto di trovare questo minerale associato con altri minerali metalliferi, tra cui la galena, faceva ritenere il minerale utile per estrarre metalli utili ma nessuno riusciva poi ad ottenerli. Tuttavia lo zinco venne ottenuto dai cinesi e, con la mediazione degli arabi, il metodo di estrazione dello zinco arrivò in Europa solamente nel medievo.

SFALEROS – Ingannatore…

M/n FUSINA – DATI NAVE

Nome

:

FUSINA

Anno di costruzione

:

1957

Cantiere

:

Cantiere Navale Pellegrino – Napoli (Italia)

Armatore

:

Società Armatrice S.A.N.A. – Trieste (Italia)

Nazionalità

:

Italiana

Stazza lorda

:

2.706 tonnellate

Stazza netta

:

1.474 tonnellate

Portata lorda

:

4.275 tonnellate

Lunghezza

:

95,60 metri

Larghezza

:

13,45 metri

Altezza

:

7,06 metri

Immersione

:

6,68 metri

Apparato motore

:

1 motore Fiat diesel ( 2 tempi – 7 cilindri)

Cavalli asse

:

1.750

Eliche

:

1

Velocità massima

:

14,20 nodi

Stive

:

3 x 4.517 metricubi

Data affondamento

:

Venerdì 16 gennaio 1970

Causa affondamento

:

Spostamento del carico

Rotta

:

Da Porto Vesme a Venezia

Equipaggio

:

19

Morti

:

18

Mare

:

Mediterraneo

Stato

:

Italia

Regione

:

Sardegna

Località

:

Isola di San Pietro

Ubicazione

:

39° 12’ 12” N – 8° 14’ E

Profondità

:

- 98 metri

CARLO GATTI

Rapallo, 4 Agosto 2020


LE NAVI OSPEDALE ITALIANE

LE NAVI OSPEDALE ITALIANE

LE ORIGINI …

La Fondazione del “Comitato Milanese della Associazione Medica Italiana per il soccorso ai malati e ai feriti in guerra”

Al dott. Cesare Castiglioni si deve la costituzione del “Comitato Milanese della Associazione Medica Italiana per il soccorso ai malati e ai feriti in guerra” di cui ne divenne il Presidente il 15 giugno 1864.

Il suo intento fu quello di creare un'Associazione per fornire aiuti medici ai militari feriti (in accordo con le numerose associazioni sorte in Europa grazie all'opera di Henry Dunant).

Tale comitato, presupposto per l'istituzione della Croce Rossa Italiana, andò ad occupare il settimo posto in ordine di fondazione fra le società nazionali, quinto per adesione alla Convenzione di Ginevra.

Nell'agosto 1864 il dott. Castiglioni venne chiamato a Ginevra per esporre quanto fatto a Milano, partecipando quindi alla stessa conferenza dalla quale nacque la Convenzione di Ginevra del 1864, dove si proclamò:

“DOVERSI NON CONSIDERARE NEMICO IL NEMICO FERITO E BISOGNOSO DI ASSISTENZA” – Assumendo quindi il principio d’uguaglianza di alleati e nemici davanti alla necessità di assistenza.

D'intesa con il Comitato Internazionale della CROCE ROSSA di Ginevra fu poi stabilito che la bandiera della Croce Rossa potesse essere usata solo in caso di guerra. L'Associazione fu approvata dal Ministero dell’Interno e della guerra, e il 1º giugno 1866 il Ministero della guerra disciplinò l'organizzazione, ponendo regole militari ai componenti delle squadriglie; il personale superiore doveva perciò indossare una divisa formata da: un berretto di panno verde scuro con la legenda "soccorso ai feriti" ricamata in oro; una cravatta nera; una giacchetta alla cacciatora di panno verde scuro e pantaloni di panno grigio, come usava la Guardia Nazionale.

Il 22 giugno 1866 l'Italia dichiarò guerra all’Austria e dieci giorni dopo partirono le prime squadriglie di volontari, che soccorsero i combattenti in Trentino e i feriti dell'Armata di Mare. Il comitato milanese trovò inoltre appoggio e aiuto nella Francia e nella Svizzera per la sua opera di soccorso: per la prima volta le nazioni non belligeranti si adoperarono apertamente per soccorrere le avversità di Paesi limitrofi in guerra. L'Italia nel panorama internazionale fece inoltre da tramite ai soccorsi destinati ai feriti nella Guerra franco-prussiana del 1870-71.

IN MARE CI SI MOSSE DUE SECOLI PRIMA

Le prime navi ospedale, dette "pulmonare", vennero approntate nel XVII secolo utilizzando vecchie galee in disarmo, non più in grado di navigare. La pulmonara restava fissamente attraccata nel porti, funzionando come INFERMERIA per i marinai in attesa della pratica, ai quali era vietato lo sbarco sulla terraferma.

L'8 dicembre 1798, non ritenuta più idonea al servizio come nave da guerra, la britannica HMS VICTORY fu convertita in nave ospedale per curare prigionieri francesi e spagnoli feriti di guerra.

L'ispettore Luigi Verde fu il primo capo del Corpo sanitario della regia Marina a dare vita nel 1866 alla prima nave ospedale italiana: la WASHINGTON.

Luigi Verde morì poco dopo nell'affondamento del RE D’ITALIA durante la Battaglia di Lissa.

Il concetto moderno di nave ospedale protetta e denunciata presso apposite istituzioni internazionali doveva sorgere solo con la CONVENZIONE DELL’AJA DEL 1907.

CONVENZIONE DELL’AJA

Le navi ospedali vennero definite nel 1907 dalla Convenzione dell’Aia. In particolare l'articolo 4 definiva le limitazioni affinché una nave potesse essere considerata "nave ospedale".

La nave ospedale spagnola Esperanza del Mar, impiegata come supporto ai pescherecci al largo delle Canarie

· La nave deve avere segni di riconoscimento e illuminazione che la classifichino come tale.

· La nave dovrà fornire assistenza medica a feriti di tutte le nazionalità.

· La nave non dovrà essere impiegata per alcun scopo militare.

· La nave non dovrà interferire né ostacolare le navi militari.

· Le forze belligeranti, come designate dalla convenzione dell'Aia, potranno ispezionare le navi ospedale per verificare eventuale violazioni dei punti precedenti.

In caso di violazione di una delle precedenti limitazioni la nave dovrà essere considerata come unità combattente e potrà essere legittimamente colpita e affondata. Comunque, l'aprire deliberatamente il fuoco o affondare una nave ospedale in rispetto alla convenzione dell'Aia, è da considerarsi crimine di guerra.

Seconda guerra mondiale

Nel corso della Seconda guerra mondiale la Regia Marina armò decine di navi ospedale, spesso mercantili o piroscafi trasformati, ma anche navi soccorso e navi ambulanza, che facevano in maggioranza la spola tra l'Italia e il Nord Africa.

Molte furono affondate dagli alleati:

Giuseppe Orlando, San Giusto, Città di Trapani, Arno, Po e Virgilio.

Complessivamente delle 18 unità ne furono affondate 12. L'Italia denunciò inutilmente gli affondamenti alle autorità di Ginevra.

Navi bianche

Le navi ospedale, dal colore con cui vengono tinteggiate, prendono il nome di navi bianche. Per antonomasia vennero chiamate navi bianche quelle impiegate nel 1942 (sotto l'egida della Croce Rossa) per rimpatriare 50.000 civili italiani, rimasti in Etiopia dopo la conquista inglese.

Navi ospedale italiane:

· Washington (1854 - 1904)

· Albaro (1890)

· Brasile (1905)

· Clodia (1905)

· Menfi (1911)

· Cordova (1906 - 1918)

· Ferdinando Palasciano (1899 - 1923)

· Italia (1905 - 1943)

· Marechiaro (1911-1916)

· Re d'Italia (1907 - 1929)

· Regina d'Italia (1907 - 1928)

· R 1 (1911)

· Santa Lucia (1912)

· Gargano

· Aquileia (1914 - 1943)

· Arno (1912 - 1942)

· California (1920 - 1941)

· Città di Trapani (1929 - 1942)

· Gradisca (1913 - 1950)

· Po (1911 - 1941)

· Principessa Giovanna (1923 - 1953)

· Ramb IV (1937 - 1941)

· Sicilia (1924 - 1943)

· Tevere (1912 - 1941)

· Toscana (1923-1961)

· Virgilio (1928-1944)

Navi soccorso italiane:

· Capri (1930 - 1943)

· Epomeo (1930 - 1943)

· Laurana (1940 - 1944)

· Meta (1930 - 1944)

LE NAVI BIANCHE CON LA CROCE ROSSA

Non vi fu molto rispetto da parte del nemico per le "navi bianche italiane", come venivano chiamate le navi ospedale, nella seconda guerra mondiale.

- Nave Ospedale: WASHINGTON

https://it.wikipedia.org/wiki/Washington_(pirotrasporto)

 

 

- Nave Ospedale: ITALIA

https://it.wikipedia.org/wiki/Italia_(nave_ospedale)

- Nave Ospedale: FERDINANDO PALASCIANO

https://it.wikipedia.org/wiki/Ferdinando_Palasciano_(nave_ospedale)

 

- Nave Ospedale: REGINA D’ITALIA

http://www.agenziabozzo.it/vecchie_navi/B-Vapor/Navi_1850-1950_B212_piroscafo_REGINA_D%27ITALIA_Clark_1907_Lloyd_Sabaudo_SARDINIAN_PRINCE.htm

 

 

- Nave Ospedale: PO

- https://it.wikipedia.org/wiki/Po_(nave_ospedale)

- Nave Ospedale: CALIFORNIA

https://it.wikipedia.org/wiki/California_(nave_ospedale)

- Nave Ospedale: ARNO

https://it.wikipedia.org/wiki/Arno_(nave_ospedale)

 

 

- Nave Ospedale: SICILIA

 

 

 

- Nave Ospedale: CITTA’ DI TRAPANI

https://it.wikipedia.org/wiki/Città_di_Trapani_(nave)


"Tevere ", "Orlando", " San Giusto " ……perdute per bombe di aeroplani o per urto contro mine.

- Nave Ospedale: TEVERE

https://it.wikipedia.org/wiki/Tevere_(nave_ospedale)



Affondamento della nave TEVERE

- Nave Ospedale: ORLANDO

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Orlando_(nave_soccorso)

 


 

- Nave Ospedale: SAN GIUSTO

https://it.wikipedia.org/wiki/San_Giusto_(nave_soccorso)

 


 

" California ", "Arno", " Sicilia ", " Città di Trapani ", …….affondate per siluramento.

- Nave Ospedale: VIRGILIO (Mitragliata)

https://it.wikipedia.org/wiki/Virgilio_(nave_ospedale)


- Nave Ospedale: TOSCANA (Mitragliata)

https://it.wikipedia.org/wiki/Toscana_(transatlantico)#/media/File:Toscanapiroscafo.jpg

 

 


- Nave Ospedale: AQUILEIA (Mitragliata)

https://it.wikipedia.org/wiki/Aquileia_(nave_ospedale)

- Nave Ospedale (soccorso): CAPRI (Attaccata e mitragliata)

https://it.wikipedia.org/wiki/Capri_(nave_soccorso)

 

 

- Nave Ospedale: PRINCIPESSA GIOVANNA (Mitragliata)

https://it.wikipedia.org/wiki/Principessa_Giovanna_(nave_ospedale)

Violazione deliberata delle convenzioni internazionali? In parte, forse: ma gli inglesi rispondevano che spesso le nostre navi ospedale, invece dei feriti, caricavano truppe e munizioni per i fronti, per farli arrivare a destinazione sotto la copertura del la Croce Rossa. La verità è ancora da decifrare. Le navi ospedale erano mercantili requisiti e conservavano il proprio equipaggio, al quale si aggiungevano (dopo la trasformazione ospedaliera) i medici, gli infermieri e le crocerossine, agli ordini di un colonnello medico di Marina, il quale affiancava il comandante della unità. Molti piroscafi, divenuti nave ospedale al tempo della campagna d'Etiopia, erano stati successivamente riconvertiti al primitivo impiego.

Solo il "California" e l' "Aquileia", tra essi, erano stati conservati nei ruoli e tenuti in posizione di riserva fino al maggio 1940, quando erano stati rimessi entrambi in funzione. La prima missione del "California" era stata assai penosa. Aveva rimpatriato da Bengasi, oltre al previsto carico di ammalati e feriti, nel luglio 1940, anche i feriti dell'incrociatore "Giovanni dalle Bande Nere", superstite del combattimento di Capo Spada, che aveva visto l'affondamento dei gemello "Colleoni".

La "Po" fu una delle prime unità trasformate in nave ospedale allo scoppio della guerra. Era stato un piroscafo di 7.289 tonnellate, costruito nel 1911 e appartenente al Lloyd Triestino. Ebbe breve vita: entrato in servizio nel luglio 1940, il 14 marzo 1941 fu colato a picco da un attacco notturno di aerosiluranti, mentre si trovava nella rada di Valona per imbarcare feriti provenienti dal fronte greco. A bordo si trovava come crocerossina Edda Ciano, che si salvò.

L' "Aquileia" era stata costruita nel 1914. Si trattava di un vecchio trabiccolo, ancora dotato di caldaie con forni alimentati a carbone, per cui frequentemente era soggetta ad avarie di macchina, pertanto doveva procedere a velocità ridottissima, oppure era costretta a lunghi periodi di inattività in cantiere, per riparazioni. Con tutto ciò riusci a navigare fino all'armistizio. Il 15 settembre 1943, dopo essere stata catturata dai tedeschi, fu affondata a Marsiglia.

Per tornare alla "California", essa fu colpita a poppa da un siluro d'un aerosilurante inglese la notte del 10 agosto 1941, verso le 23, durante un attacco alla rada di Siracusa, dove la nave era all'ancora. A mezzogiorno dell'11, la "California", parzialmente affondata, giaceva su un fondale con l'acqua fin quasi alla coperta. Fu deciso che l'equipaggio e il personale medico l'abbandonassero, nella speranza di poterla recuperare in seguito. Essendosi ciò rivelato impossibile, venne demolita sul posto, dopo che il materiale di bordo era stato portato a terra. Non si può far colpa agli inglesi della sua perdita: infatti, forse per evitare il riconoscimento del porto da parte dei ricognitori nemici, il "California" aveva quella sera tutte le luci di bordo spente, mentre la convenzione di Ginevra faceva obbligo alle navi ospedale di mantenerle sempre accese. Non venne quindi individuata e questo fatto segnò il suo destino. Era stata una delle nostre "navi bianche" più efficienti, con una trentina di missioni al suo attivo, effettuate specialmente nel Mediterraneo orientale.

- Nave Ospedale: GRADISCA

https://it.wikipedia.org/wiki/Gradisca_(nave_ospedale)


Segnalata l'opera della "Gradisca", (un ex piroscafo fabbricato in Olanda), alla battaglia di Capo Matapan, conclusasi in modo funesto per la nostra flotta, con la più grave sconfitta navale subita dall'Italia nel corso dell'intera guerra. La battaglia avvenne, come é noto, nella notte del 29 marzo 1941. Furono colati a picco tre nostri incrociatori, il "Fiume", lo " Zara " e il " Pola ". Le perdite risultarono ingenti.

Furono gli stessi inglesi a segnalare a Supermarina il punto esatto dove era avvenuto lo scontro, perché si potessero soccorrere quei naufraghi che essi non erano in grado di fermarsi a raccogliere, trovandosi sotto la minaccia di bombardamento da parte di aerei tedeschi: come fu scritto, "un gesto cavalleresco che dimostrò una volta di più lo spirito di solidarietà che da sempre accomuna i marinai di tutte le nazionalità”.

Nonostante lo stato di profonda prostrazione in cui erano caduti i nostri comandi a causa della disfatta, e lo stato d'animo ben comprensibile che ne era seguito, vi fu una tempestività ammirevole nell'eseguire l'ordine di soccorso suggeritoci dagli stessi inglesi. La "Gradisca" venne dunque dirottata sul posto e recuperò quanti più naufraghi le riuscì di imbarcare, pochi, purtroppo, rispetto agli oltre tremila marinai che perirono in quella drammatica notte. Dopo l'otto settembre la "Gradisca" fu catturata dai tedeschi a Patrasso, in Grecia.

- Nave Ospedale: RAMB IV

https://it.wikipedia.org/wiki/Ramb_IV


Quanto alla "Ramb IV", (nella foto sopra), la bananiera trasformata in nave ospedale per l'AOI (Africa Orientale Italiana) di base a Massaua, essa fu catturata dagli inglesi nel 1940 quando presero la città. Successivamente venne affondata nel Mediterraneo.

Benemerita fu anche l'azione della "Toscana" sopravvissuta ai mitragliamenti di cui era stata fatta oggetto. Anch'essa era stata un piroscafo passeggeri del Lloyd Triestino, trasformata all'inizio del 1941 ed entrata in servizio sul finire dal 1942. Nonostante quindi questa sua data di ingresso in ruolo piuttosto tardiva, la "Toscana" fu una delle più attive unità ospedaliere italiane e  portò a termine ben 54 missioni, trasportando 4720 feriti e naufraghi, e 28.684 ammalati.

Complessivamente le 19 navi ospedale della nostra Marina effettuarono durante il secondo conflitto mondiale oltre 700 missioni per trasporto feriti e ammalati e soccorso naufraghi, con una percorrenza totale di oltre 310.000 miglia. Importanti furono in modo particolare le tre missioni con cui si ricondussero in patria altre trentamila civili italiani dall'ex impero, ossia dall'Africa orientale ormai caduta in mano degli inglesi. Esse si svolsero rispettivamente dal marzo al giugno 1942, dal settembre 1942 al gennaio 1943, dal maggio all'agosto 1943. Vi furono impiegati, sotto le insegne della Croce Rossa.

LE GRANDI NAVI BIANCHE DELL’ESODO D’AFRICA

- LA M/N VULCANIA, gemella della SATURNIA, in missione di rimpatrio dei Civili dalla AOI nel 1942

http://transatlanticera.blogspot.com/2013/03/i-transatlantici-saturnia-e-vulcania.html

Furono circa 28 mila i nostri connazionali che in tre viaggi diversi tra il 1942 e il 1943 lasciarono Etiopia, Eritrea e Somalia per rimpatriare. Le motonavi Saturnia e Vulcania e i transatlantici Caio Duilio e Giulio Cesare, definite per l’occasione «navi bianche» perché decorate con i colori della Croce Rossa e allestite come grandi dormitori — con ospedali per far fronte a serie emergenze sanitarie — furono il teatro di una delle missioni più interessanti di cui finora si è parlato molto poco.


La DUILIO, gemella della GIULIO CESARE, con la livrea di Nave ospedale

https://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Cesare_(transatlantico_1920)

 

I grandi piroscafi "Saturnia" e "Vulcania", seguiti ad otto giorni di distanza dal "Cesare" e dal "Duilio". La rotta era la seguente: Trieste, Genova, Gibilterra, Canarie, Isole dei Capo Verde, Capo di Buona Speranza, Port Elizabeth, Canale di Mozambico, Oceano Indiano, Berbera, Massaua. Ogni viaggio equivaleva, in miglia, al giro del mondo.

 

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Anche la nave passeggeri VIRGILIO (gemella dell’ORAZIO) operò come nave ospedale in Mediterraneo

https://it.wikipedia.org/wiki/Virgilio_(nave_ospedale)

CARLO GATTI

Rapallo, 24 Agosto 2020

 


BATTUBELIN - Ricordando Emilio Carta

BATTUBELIN

Ricordando Emilio!

DAL SITO


RUBIAMO …

Ci troviamo in Indonesia… in un angolo della terra talmente conosciuto che “belin”, se lo cerchi, non lo trovi manco con Eppure esiste!

Nel nord della Sumatra, la sesta isola più estesa del paese, troviamo questa ridente comunità a circa mille trecento km dalla sua capitale, Jakarta.

Sono andato a cercarvelo più nello specifico, ma purtroppo Google Maps non ha mappato ancora quella zona con precisione.
Ci sono comunque molte conferme in altri “mappamondi” online che vi linko di seguito!



Come abbiamo visto c’é un Batu Belin nell’altra parte del mondo! Ma c’é anche un famoso Ristorante a MIAMI che porta questo nome con la doppia TT come piace a noi liguri! Da cui ne deduciamo che il proprietario sia un nostro conterraneo…

 



BEST ITALIAN RESTAURANT MIAMI

Battubelin is a new Italian restaurant located on the 79th Street Business District. We are famous for the incredible, authentic Italian cuisine, and our made-from-scratch foods created by our expert Italian chefs. Come by, check out our incredible selection of amazing, authentic Italian dishes, today.

Battubelin Cuisine, Fine Italian Dining

Whether it’s our amazing focaccia, or our incredible antipasti, the one thing everyone agrees on is that this is the real Italian cuisine, reinvigorated with the Miami twist. Battubelin is one of the best Italian restaurants in Miami that offers high-quality service and warm gracious hospitality.
Contact us today to make your reservations, and we look forward to seeing you soon.


Questi “gioiellini” non sono di certo sfuggiti al nostro Emilio Carta la cui coæ de schersâ

era ben nota ai rapallesi per i suoi riuscitissimi scherzi del primo d’aprile… ma chi lo conosceva da vicino sapeva fino a che punto poteva “elevarsi” la sua ironia!

A questo punto il lettore si chiederà: “Ma di cosa stiamo parlando?” - E’ vero, occorre una spiegazione. Lo scrittore-giornalista Emilio Carta, amatissimo specialmente dai “rapallini-rapallesi”, aveva fin dall’inizio…, e la sua famiglia lo ha tuttora, un curioso indirizzo di posta elettronica:

battubelin1946@libero.it

Ho scritto “gioiellino” perché Emilio lo conservò nel suo scrigno segreto per i posteri sapendo che prima o poi LUI dal cielo ce lo avrebbe rivelato.

Beh! Ora tutti quelli che credevano di conoscerlo: raffinato e colto, ed hanno fatto una smorfia quasi di disgusto nel leggere la sua mail… oggi sanno o avrebbero dovuto sapere che Emilio é stato un marittimo di lungo corso, un uomo di mare che si trovò a solcare i lontani mari d’oriente e d’occidente. Da quelle parti, proprio in Indonesia, s’innamorò del Sitar e laggiù trovò anche la sua identità elettronica… adatta ai mala tempora currunt…!

Del “BATTUBELIN” -  Ristorante di MIAMI non abbiamo ancora alcuna connessione … ma siamo sicuri che prima o poi Emilio si farà VIVO un’altra volta per caso … senza dare spiegazioni come era il nel suo stile anglo sassone!

Una delle espressioni più note dell'educazione britannica è infatti: "Never explain, never complain". Mai dare spiegazioni, mai lamentarsi. Forse inconsapevolmente, oppure no, Emilio si attenne per tutta la sua vita a questo ideale che noi oggi scopriamo per caso, sia per aver sempre evitato di dare spiegazioni su quel suo stravagante “indirizzo di posta elettronica” sia nel non essersi mai lamentato durante il suo ventennale “calvario”!

Emilio é stato l’esempio più classico dell’ironia!

È inutile avvisare quando si fa dell’ironia. Gli ironici lo avranno già capito. Gli altri, non lo capiranno nemmeno dopo la spiegazione.

Emilio era proprio così … Se qualcuno gli avesse chiesto spiegazioni del BATTUBELIN, sicuramente gli avrebbe risposto con un sorriso beffardo:

“E se non sai cogliere l’ironia, prova con i pomodori…”

 

RINGRAZIO l’amico Alessandro Bortolameazzi per avermi inviato il post

IL MUGUGNO GENOVESE di cui sono tifoso...

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 31 Agosto 2020

 

 


COSMA MANERA - LO SPIRITO DELL'ARMA

COSMA MANERA LO SPIRITO DELL’ARMA

QUEST’ANNO RICORRE IL CENTENARIO DI QUELL’INCREDIBILE SALVATAGGIO DI OLTRE 10.000 MILITARI ITALIANI

IL COLONNELLO DEI CARABINIERI COSMA MANERA IN ALTA UNIFORME

Tra il 1916 e il 1920 il maggiore dei carabinieri Cosma Manera riuscì a compiere una delle più appassionanti e rischiose missioni di recupero prigionieri dell’epoca moderna.
Prelevò dalla Russia oltre diecimila ex soldati italiani delle cosiddette terre irredente, arruolati nell’esercito austro-ungarico, e percorse in condizioni climatiche estreme, un lungo tragitto dalla Siberia fino alla Concessione italiana di Tientsin e poi, via mare, fino a rientrare in Italia.

MISSION IMPOSSIBLE si direbbe oggi, ma non é stata una fiction! Oggi parliamo di una Storia vera di CORAGGIO, Abnegazione, Intelligenza strategica e diplomatica, Resistenza fisica e morale, grande AMORE per la patria, per gli italiani e per la nostra Bandiera Nazionale. Caratteristiche che soltanto un CARABINIERE di rango speciale poteva possedere! Riportare a casa i soldati irredenti fu l’unico pensiero di ogni sua giornata e fu speso per questo obiettivo.

Solo, insieme a 10.000 soldati in un enorme Paese allo sbando, privo di appoggi e riferimenti specifici, Cosma Manera tentò di rimpatriarli via mare, ma le pessime condizioni meteorologiche fecero sfumare il progetto.

Così Cosma Manera e un primo blocco di prigionieri recuperati in vari campi di prigionia furono costretti a compiere una rischiosissima traversata, di oltre 6.000 chilometri, in condizioni proibitive, tentando di giungere in Cina. Dove il governo in un primo momento impedì l’accesso, ritenendo troppo rischioso far transitare oltre 2.000 uomini armati. Sbloccata la situazione, l’ufficiale tornò indietro per recuperare gli altri prigionieri.

Finché, nel febbraio 1920, Cosma Manera e i militari sopravvissuti alle durissime condizioni di vita si imbarcarono su tre navi mercantili americane e fecero ritorno in Italia. Arrivarono a Trieste il 10 aprile del 1920. Un’impresa epica, che però non venne celebrata come dovuto perché, nel frattempo, era esplosa la “questione fiumana” e il governo dell’epoca ritenne poco opportuno dare troppa enfasi al rientro dei militari.

PREMESSA STORICA

Le statistiche ci dicono che il 56% della popolazione italiana agli inizi del 1900 era totalmente analfabeta. Le città, in stragrande maggioranza, usavano ancora i lumi a petrolio. Le ferrovie avevano poco più di 40 anni e viaggiare da Napoli a Venezia era un’avventura di settimane. Si usava la legna per cucinare e scaldare le case, ed il cavallo era più affidabile dell’auto ancora ai primi albori… La società era divisa in tre classi sociali separate: aristocrazia, clero e popolo. L’Impero Austro Ungarico comprendeva: Trentino, Veneto, Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, dove la popolazione di lingua italiana era parecchio distante dalla mentalità austriaca. Gli austriaci consideravano gli italiani delle nostre terre come esseri incivili: sbandati, rissosi, nullafacenti e incompetenti. Con questa premessa non possiamo meravigliarci se all’inizio della Grande Guerra li avessero scelti come carne da cannone da inviare sul fronte russo.

IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE…

Decine di miglia di italiani in uniforme austriaca partirono per combattere in nome dell’Imperatore d’Austria. L’Italia, intanto, durante la guerra diventò nemica dell’Austria Ungheria, e quando la guerra finì nel 1918 e l’Impero Austro ungarico si sciolse, Trentino, Alto Adige, Venezia Giulia, Istria e Zara furono annesse all’Italia. Per quei soldati rimasti in Russia improvvisamente non esisteva più un governo che li reclamasse e loro stessi non sapevano più chi fossero o per chi avessero combattuto. Erano uomini letteralmente perduti, dentro e fuori, alcuni relegati in campi di prigionia, altri mendicanti per le strade, nel freddo, fra miseria, sommosse rivoluzionari ed epidemie, in un mondo troppo vasto per pensare di riuscire a ritornare dalle proprie famiglie. In Italia li chiamano “irredenti”, perché potrebbero redimersi arruolandosi nell’esercito italiano e guadagnarsi la cittadinanza italiana, eppure per le ragioni dette prima non lo fanno. Per recuperarli il governo manda in Russia tre ufficiali dei Carabinieri: il maggiore Giovanni Squillero, il capitano Nemore Moda e il capitano Marco Cosma Manera.

CHI ERA MARCO COSMA MANERA?

MANERA, nato ad Asti il 15 giugno 1876, era uscito dal collegio militare con il grado di tenente, e dopo un’esperienza a Creta nel 2° battaglione della 93° fanteria, era entrato nei Carabinieri Reali nel 1901. Dotato di una naturale propensione per le ligue (francese, inglese, tedesco, greco, turco, bulgaro, serbo e russo), la sua prima missione da Carabiniere era stata in Macedonia, dove nel 1904 il governo ottomano si era rivolto ai Carabinieri italiani per organizzare una gendarmeria. In breve tempo Cosma Manera aveva organizzato 1400 reclute musulmane e ortodosse che, sotto il suo comando, convivevano senza problemi. Una tribù appartenente a una minoranza etnica lo aveva rapito e condannato a morte, ma quando il capotribù aveva scoperto che il tenente aveva il suo stesso nome – Cosma – per scaramanzia aveva deciso di risparmiarlo e rimandarlo in Italia. Da allora, il tenente Manera aveva deciso che avrebbe usato solo il suo secondo nome, dato che gli portava fortuna. Tornato in patria era ripartito subito per una campagna in Albania, poi durante la prima guerra mondiale era sopravvissuto all'inferno del Cadore tornando coi gradi di Capitano.

Doti organizzative, capacità linguistiche ed esperienza di azione in condizioni proibitive:

Cosma era quindi l’uomo ideale per tentare il recupero degli irredenti

Il capitano Cosma Manera doveva radunarli e riportarli in Italia.
Era una missione che anche al giorno d’oggi farebbe tremare i polsi a chiunque, vista la enorme vastità del campo in cui ci si doveva muovere
Cent’anni fa. Verso il termine della Grande guerra, quel compito doveva sembrare quasi disperato.

INIZIA LA MISSIONE CHE DURERA’ TRE ANNI

Insieme al maggiore Squillero e al capitano Moda, Manera s’imbarca così a Newcastle, attraversando Svezia e Finlandia per arrivare all’allora Pietrograd il primo d’agosto del 1916 con addosso solo i gradi e 94mila lire in oro nascoste nei calzini.

I tre ufficiali raggiungono l’avamposto della missione italiana nella situazione peggiore possibile: in Russia sta scippiando la guerra civile in Russia e devono rintracciare gli irredenti dispersi in 45 governatorati dell’Impero, pianificare dove raggrupparli ed evacuarli. Il tutto prima che arrivi l’inverno, quando il freddo bloccherà i trasporti e li costringerà ad aspettare sei mesi circondati da una popolazione drogata di propaganda bolscevica contro i soldati stranieri.

PRIMO CONTATTO, PRIMO RISULTATO - PRIMO RIENTRO


Il lavoro di intelligence, inizia a dare risultati: nel porto di Arkangel’sk sul mar Bianco, si trovano ancora ormeggiati dei piroscafi asburgici abbandonati, un po’ malconci ma utilizzabili. Nel frattempo Manera e i suoi ufficiali rintracciano un primo scaglione di irredenti, 33 ufficiali e 1600 uomini di truppa.

Li radunano Kirsanov (Dip.TAMBOV) e poi li trasportano al porto di Arcangelo il 24 settembre 1916; da qui un piroscafo li porta in Inghilterra. Sembra tutto risolto così Manera viene nominato Maggiore e gli altri due ufficiali tornano in Italia.


Uomini e bambini nel cimitero cittadino a Kirsanov (TAMBOV), vedi carta sotto segnato con una palla viola.

Acquartierato a Pietroburgo, sfrutta il campo di prigionia di Kirsanov come centro di raccolta, lavora bene con passaparola e propaganda trasformandolo in un centro di raccolta stabile, dove assemblare altri scaglioni che faranno lo stesso tragitto dei precedenti. Trova altri trentini nei campi di prigionia a Omsk, in Siberia, dove vivono  a -40° tra topi e colera. A luglio 1917, Manera ha radunato 57 ufficiali e 2600 uomini di truppa, si sta preparando un secondo viaggio quando scoppia la guerra civile.

LA RUSSIA SPROFONDA NELL’ANARCHIA – LA MISSIONE DI COSMA MANERA APPARE DISPERATA …


Porti, stazioni ed edifici vengono presi dalle guardie rosse mentre il neonato Comitato centrale di Lenin guida le rivolte delle campagne, i cui abitanti – dopo milioni di morti, carestie ed epidemie – preferiscono morire sotto i proiettili zaristi che di fame. Tutte le fonti di Manera scappano o cambiano schieramento, il porto di Arcangelo diventa irraggiungibile per il ghiaccio, e i piroscafi vengono affondati dagli U-boat. I rifornimenti di viveri si interrompono e tutte le comunicazioni saltano, mentre un centro dopo l’altro si trasforma in teatro di guerra. Scappare via mare è impossibile, e gli uomini per tornare in Italia dovrebbero attraversare zone in tumulto senza né viveri, né armi, né equipaggiamento, e per di più con uomini demotivati e spossati da anni di miseria. Un suicidio.

TUTTAVIA L’UFFICIALE ITALIANO SEMBRA L’UOMO GIUSTO PER LE IMPRESE IMPOSSIBILI – GLI ITALIANI IN CINA

Cosma Manera scopre però che la Transiberiana funziona ancoranon si sa ancora per quanto – solo che va in direzione opposta all’Italia. L’ufficiale organizza allora un luogo di ritrovo a Vladivostok e con vari stratagemmi nasconde piccoli gruppi di irredenti nei vagoni merci. Un convoglio dopo l’altro arrivano tutti a destinazione (Vladivostok). Cosma parte con l’ultimo gruppo, stipati tra paglia, bagagli e casse, è un viaggio di una difficoltà impensabile che dura settimane, ma funziona sia dal punto di vista logistico che psicologico.

Per gli uomini, vedere un ufficiale che patisce con loro il freddo, la fame e le pulci è un’immagine potentissima. Una volta arrivato, Manera viene celebrato dagli irredenti come UN PADRE SALVATORE. L’Italia, però, adesso è ancora più distante. Il ghiaccio impedisce le partenze via mare anche da Vladivostok, ma Manera sa che in Cina c’è una minuscola colonia italiana, detta Concessione di Tientsin, un porto della Manciuria con concessione commerciale conquistata da Roma per aver partecipato alla repressione della RIVOLTA DEI BOXER (1899-1901). La raggiungono a piedi, dividendosi in gruppi, e una volta lì aspettano.

COSMA MANERA SBALORDISCE LO STATO ITALIANO…

Lo Stato italiano è in attesa di notizie dalla Russia, quindi rimane molto stupito quando si vede recapitare un telegramma dalla Cina. Manera comunica che gli irredenti sono stati trasformati in esercito: un battaglione multiculturale di austriaci, croati, trentini, veneti e serbi chiamato Legione Redenta di Siberia, ufficialmente al servizio dell’Italia, ma in realtà disposto a dare la vita solo per quell’ufficiale che ormai chiamano "papà". L’Italia reagisce con scarso entusiasmo, anche perché ha appena finito di gestire l'occupazipone di Fiume da parte di D’Annunzio e non vede di buon occhio gli eserciti personali, ma Manera è pur sempre un ufficiale dei Carabinieri e non un intellettuale eccentrico.

UNA GIUSTA MOSSA DALL’ITALIA

COSMA viene quindi nominato Addetto Militare dell'Ambasciata d'Italia a Tokyo con residenza a Pechino, cosa che gli garantisce carta bianca e gli apre qualsiasi porta. Manera riorganizza gli uomini in tre battaglioni di quattro compagnie ciascuno, li addestra e in pochi mesi riesce a trasformare quel gruppo di sbandati senza terra né futuro, carcerati, mendicanti o disperati in un reparto d’elite, capace di ampliare la ricerca di altri irredenti con l’aiuto del Consolato italiano e di quello inglese. Il metodo di recupero improvvisato dal maggiore Manera diventa un sistema vero e proprio e il suo lavoro si guadagna l’ammirazione di truppe, ufficiali e politici.

UN’ALTRA “TROVATA” INCREDIBILE…

Il recupero degli irredenti procede spedito quando le truppe bolsceviche attaccano la Transiberiana per strapparla dal controllo zarista. La Russia ormai è nel caos, ci sono epidemie e i viveri scarseggiano per civili e militari; le armate zariste non sono in grado di difendere il treno, così Manera decide di sfruttare il suo esercito ed entrare in battaglia. Due giorni prima, però, a Tientsin si presentano trecento uomini con uniformi militari italiane raffazzonate, guidati da un Capitano che mette a disposizione la sua “brigata Savoia”, che non risulta in nessun archivio dell’Arma o dell’esercito.

Nemmeno il suo Capitano appare nei registri, e non ne fa mistero: è un ragioniere di Benevento di nome Andrea Compatangelo che si è inventato tutto.

Andrea Compatangelo

Agli inizi della guerra mondiale era emigrato a Samara, un piccolo paese sul Volga dove c’era la sede del Komuch, governo vagamente democratico. Conservatore fino al midollo e innamorato di un’aristocratica russa, Compatangelo viveva di esportazioni e nel tempo libero faceva il corrispondente per l’Avanti! diretto da Mussolini. Con la rivoluzione d’ottobre la cittadina sprofonda nel panico, già anni prima c’era stata un’occupazione dei soviet drammatica, soprattutto per gli emigrati italiani.

Venuto a sapere che c’erano degli irredenti nelle prigioni attorno a Samara, si era nominato Capitano “di una grande potenza occidentale” per poi presentarsi per trattare la consegna dei prigionieri con le autorità, mentendo in maniera abbastanza convincente da liberarne a centinaia. Una volta fuori, fece cucire delle uniformi per loro e inquadrandoli in un proprio esercito che chiamò appunto Brigata Savoia, "per dargli autorità".

CAMPATANGELO - UN PERSONAGGIO DALLE RISORSE STRAORDINARIE

Legione redenta in Siberia

La brigata SAVOIA



La TRANSIBERIANA: San Pietroburgo-Vladivostock

Nel luglio 1918 questa scalcagnata brigata ruba un treno militare e parte sulla Transiberiana verso Vladivostok, il porto da cui partiranno per ritornare in Italia.

FATTO INCREDIBILE:

Compatangelo e i suoi uomini si fermano a ogni stazione per combattere assieme a zaristi e cecoslovacchi in cambio di armi, munizioni e viveri. La pratica dopotutto val più della teoria, e in poche settimane la brigata Savoia inizia a far parlare di sé. Abbandonano la vecchia locomotiva rubandone un'altra blindata dotata di mitragliatrice, caricano a bordo due infermiere russe che si occupano dei feriti – una, sostengono molti, erede della famiglia reale – e avanzano diretti verso Vladivostok, preceduti dalla loro fama. Ad ogni battaglia, la brigata si fa più numerosa e si ferma di volta in volta a riparare i binari danneggiati dai banditi, in un viaggio allucinante di sei mesi durante i quali non sanno nemmeno se la guerra c’è ancora o no. A Krasnojarsk, dove prima gli zar e poi Stalin, mandano la gente nei gulag trovano una città più o meno nell’anarchia: gli zaristi sono fuggiti mentre contadini, operai e militari hanno preso il comando pur senza averne competenze né esperienza.

CAMPATANGELO FIALMENTE INCONTRA COSMA MANERA

Coi suoi uomini Compatangelo occupa il municipio, instaura una dittatura militare riuscendo a far convivere in qualche modo bolscevichi e socialisti, che lo riconoscono come leader. Da Krasnojarsk, il ragioniere sfrutta il telegrafo per avere notizie e gli capita all’orecchio la storia della legione Redenta e di una figura avvolta dal mito, un ufficiale dei Carabinieri che vaga per la Russia a salvare compatrioti e a trasformarli in soldati d’elité.

Dopo un mese e mezzo in città, Compatangelo riparte con i suoi uomini. Attraversano la Manciuria sul loro treno blindato, i cinesi tentano di sequestrarlo ma lui se la cava sempre con le sue doti da affabulatore… millantando e minacciando drammatici incidenti diplomatici internazionali fino ad arrivare a mettersi sull’attenti davanti a Cosma Manera in persona, sei mesi dopo, per consegnargli la sua brigata Savoia che viene integrata alla Legione di Siberia. Poi, così come era apparso, Compatangelo scompare.

IL RITORNO IN PATRIA DI COSMA MANERA

Cosma Manera invece, insieme ai suoi uomini, difende con successo la Transiberiana e finalmente nel 1920 torna a Trieste con tre navi americane, con il grado di Tenente Colonnello riprende la sua vita militare come se nulla fosse. Gli irredenti si disperderanno per l’Italia a caccia delle proprie case e famiglie, ma non prima di aver regalato a Manera una coppa di bronzo con incise le tappe più importanti di quel viaggio in treno da Kirsanov a Vladivostok, dove avevano patito la fame e il freddo insieme. Si sposerà tre anni più tardi, avrà due bambine e morirà nel 1958, all’età di 82 anni. Oggi riposa nel cimitero urbano di Viale Don Bianco. Dal 2013, la Piazza d’Armi di Asti é intitolata a lui.

Il ritorno in patria avvenne solo nel 1920 così il capitano Cosma Manera, da allora, rimase famoso come “il padre degli irredenti”.

Cosma Manera con i gradi di colonnello (1927)

Lettere al Corriere

………Ancora un ricordo. Fra i luo­ghi da lei elencati vi è Tam­bov, (sfera viola sulla mappa) una città delle «terre ne­re » nella Russia occidentale. La visitai pochi mesi dopo il mio arrivo perché a meno di cento chilometri vi è il piccolo cimitero militare di Kirsanov, l’unico in cui fosse allora pos­sibile rendere omaggio a mili­tari italiani morti in Russia. Deposi una corona d’alloro, ma non appena cominciai ad aggirarmi fra le tombe scoprii che questi italiani erano solda­ti trentini dell’esercito austro­ungarico, catturati probabil­mente in Galizia. Più tardi sco­prii che vi era stato a Kirsanov un ospedale militare dove molti prigionieri austro-unga­rici erano stati ricoverati quan­do i bolscevichi, dopo la pace di Brest Litvosk, permisero il loro rimpatrio attraverso gli Urali e la Siberia fino al porto di Vladivostok. Cercavo la Se­conda guerra mondiale e mi trovai nel mezzo della Prima.

Sergio ROMANO

NOTE

KIRSANOV è una città della Russia sudoccidentale, situata sulla sponda sinistra del fiume Vorona. La città venne fondata nella prima metà del XVII secolo con il nome di Kirsanovo, a sua volta derivato dal nome del primo colonizzatore della zona Kirsan Zubakin; ottenne lo statu di città nel 1779, durante il regno di Caterina II.

Durante la Prima guerra mondiale ospitò un campo di prigionia in cui furono internati numerosi ex-soldati austro-ungarici di origine trentina e friulana (detti "Kirsanover"). Alcuni di loro, attraverso una complessa missione militare, scelsero di venire portati in Italia come cittadini "redenti".

VLADIVOSTOK è una citta della Russia  (606.561 abitanti), situata nell’estremo oriente russo, capoluogo del Territorio del Litorale,   in prossimità del confine con Cina e Corea del Nord.  È un importante nodo per i trasporti: possiede il più grande porto russo sull’Oceano Pacifico, sede della Flotta del Pacifico, e vi termina la Transiberiana.  Dal 2019 è capoluogo del circondario federale dell’Estremo Oriente in sostituzione di Chabarovsk.

Conclusione

Nell'agosto del 1921 Cosma Manera tornò a Roma, dove venne assegnato al Battaglione mobile dei Carabinieri Reali, prestando poi servizio nelle Legioni di Salerno, Roma e Ancona.

Il 30 aprile 1923 sposò Amelia Maria Pozzolo, da cui ebbe due figlie. Lo stesso anno ricevette dal re l'onorificenza del collare dei santi Maurizio e Lazzaro. Dopo altre missioni in Francia, Grecia, Inghilterra, Austria, Germania, Spagna, Portogallo, Bulgaria, Cina, Egitto e Russia, il 1º aprile 1927 fu promosso a colonnello e comandante della Legione di Roma, mentre nel 1929 fu trasferito al comando della Legione di Milano. Per breve tempo indagò sull'incidente al Polo Nord di Umberto Nobile, ma in seguito le autorità fasciste gli revocarono l'indagine. Sventato l'attentato al re presso la fiera campionaria di Milano, venne però accusato di non essere riuscito a trovare la bomba anarchica che era scoppiata tra la folla, per cui fu mandato a dirigere la Legione di Livorno e poi quella di Bologna.

Su sua richiesta, a dicembre 1932 fu collocato in ausiliaria, mentre l'anno successivo fu promosso a generale di brigata.

Nel 1940 fu trasferito nella riserva e promosso a generale di divisione, ma data la sua scarsa simpatia al fascismo in questo periodo si occupò maggiormente della famiglia e dei bisognosi, oltre a scrivere articoli per giornali e riviste.

Morì nella sua residenza di Rivalta a 81 anni, ricevendo i solenni funerali di Stato.

Ripensando alle difficoltà dell'epoca, e alla crudezza del primo conflitto mondiale in terre come la Siberia, non si può fare a meno di comprendere quale forza interiore dovesse avere Cosma Manera per restare tre anni tra la Siberia, la Manciuria e il Giappone, e trovare, addestrare, ridare fiducia a uomini che forse avrebbero volentieri disertato.
Era un operativo, ma anche un buon diplomatico: comunque una persona di forte spessore umano e professionale, qualità alle quali si aggiungeva, secondo gli scritti d'epoca, una serena modestia.

LIBRI CONSIGLIATI

Marco Mondini   – Disertare a Vladivostok

Quinto Antonelli -   I dimenticati della Grande Guerra

Carlo GATTI

Rapallo, 10 Agosto 2020

 


"BURRASCA PER TRE" - Recensione di Carlo GATTI

BURRASCA PER TRE

Di MARINELLA GAGLIARDI SANTI

1

Ho fatto una full immersion di circa tre ore nel libro BURRASCA PER TRE senza prendermi neppure una pausa caffè/sigaretta. Sono preso dalla trama avvincente e dai movimenti circospetti di personaggi misteriosi che si muovono tra gli scogli e le Crêuze de mä dove sono nato e cresciuto: il romanzo, infatti, è ambientato a San Michele di Pagana, ma non solo…

BURRASCA PER TRE é un mosaico di situazioni in cui attori ricchi di fascino, inventati dalla fantasia della scrittrice ma anche realmente esistiti, navigano con mare agitato sottocosta su rotte pericolose irte di scogli ....

Soltanto alla fine del racconto, simili ad imprevedibili gabbiani, le trame si sfiorano disegnando il quadro che Marinella ha sognato da tempo e che ora realizza con decise pennellate scure per descrivere azioni poco chiare di violenza nostrana, mentre altre sono spruzzate di rosa e vorrebbero anticipare un percorso d’amore che appare improbabile; infine c’é un terzo colore che mi ha trascinato nel passato sulle montagne violate e violentate dalla guerra, per coinvolgermi in attacchi nemici e in avvincenti e rocambolesche fughe: un profumo famigliare che la scrittrice vive con commozione nel suo animo, attribuendo al nonno della protagonista del romanzo storie realmente accadute a suo padre e documentate in un suo diario di ragazzo del ’99. Come un sogno triste: un lungo tormento che la trattiene tuttora su quelle cime contese ed innevate di sangue. Da lassù rintocchi ritmati e accorati di una pieve montana scendono a valle segnando il tempo del dolore e dei rimpianti mai sopiti.

Burrasca per tre si presenta quindi come un romanzo nel romanzo, due registri ben congegnati, che a volte si toccano e che coinvolgono il lettore in momenti emozionanti e ricchi di suspense.

Dicevo di personaggi misteriosi ma attuali che mi fanno sobbalzare al pensiero di conflitti che emergono come fantasmi dagli scenari del Grappa contro l’Imperialismo Austro-ungarico, ma anche a San Michele di Pagana, contro l’imperialismo occidentale di AL QAEDA.

Si respira persino DRAGUT che approda sulle nostre coste come nel lontano ‘500… e mi viene da pensare che nei fondaci della casa sul mare di Emma, la protagonista, ci sia un deposito di armi ed esplosivo dell’ISIS.

Con i suoi colpi di mano letterari, Marinella mi ha fatto cadere nei vortici più spumosi e poi mi ha gettato la sagola per farmi rientrare “buffamente” nella trama in cui più volte mi sono ritrovato alla griglia di partenza avvinghiato a scenari sempre in progress ed imprevedibili.

GRAZIE Marinella! Senza la minima percezione, lentamente mi sono sentito attore e spettatore nel tuo thriller in cui, da ottima Regista, mi hai fatto sognare anche l’amore! Complice é la magia sprigionata “meravigliosamente” dal contrasto tra la bellezza dei luoghi, la mitezza del clima che ogni tanto sa infiammarsi di mareggiate e l’intrusione di certa gente che subdolamente s’infiltra risucchiata da ambizione sfrenata per esercitare operazioni illecite di ogni tipo.

Quando la scrittura é magistralmente scorrevole diventa musica di Ennio Morricone…

Complimenti!

ALBUM FOTOGRAFICO


Il padre della scrittrice

 


San Miche di Pagana

 


RECENSIONE di Carlo GATTI

Rapallo, 14 Agosto 2020