L'IMPORTANZA DELLA REPUTAZIONE

L'IMPORTANZA DELLA REPUTAZIONE

di John Gatti

Un pezzo provocatorio che vuole essere spunto di riflessioni.
Una buona reputazione lavora a tuo favore 24 ore su 24.

Sto parlando a te!

So che mi sto addentrando in un sentiero buio e contorto.

Proprio per questo, prima di fare il primo passo, voglio citare un paio di definizioni sulle parole che seguono:

· La reputazione, in ambito sociologico, è un concetto che attiene alla credibilità che un determinato soggetto ha all’interno di un gruppo (wikipedia).

· Per quanto riguarda la saggezza, mi ha colpito questa definizione di Epicuro: Non è possibile vivere felicemente senza anche vivere saggiamente, bene e giustamente, né saggiamente e bene e giustamente senza anche vivere felicemente. A chi manchi ciò da cui deriva la possibilità di vivere saggiamente, bene, giustamente, manca anche la possibilità di una vita felice.

· Il Compromesso per come lo intendo di qui a seguire: Cedimento morale in vista di un vantaggio pratico (dizionario Corriere della Sera). Ne convengo che “il compromesso” è molto di più, spesso inevitabile e addirittura auspicabile, ma in questo contesto viene considerato solo nella sua accezione negativa.

Mettendo da parte Ia filosofia, ci accorgiamo che i discorsi relativi alla correttezza, alla coerenza e all’onestà, dipendono in larga misura dalla posizione occupata da chi parla.

Un esempio banale: supponiamo di avere due fette di torta, una di fronte a un uomo che non mangia da tre giorni, l’altra davanti a un uomo completamente sazio. Secondo voi chi dei due subirà maggiormente la tentazione di rubare il dolce?

Chi, come me, ha già percorso buona parte del tragitto professionale, si trova nella stessa condizione “dell’uomo sazio” e può quindi permettersi giudizi etici e filosofici a scapito di chi ancora combatte a un quarto della via…

In altre parole, il trentenne che aspira a fare carriera, dovrà confrontarsi con i compromessi imposti dall’ambizione; chi invece ha già superato questa fase, può indossare la veste del saggio e predicare l’importanza dei valori nella vita.

Bello così eh?

A dirla tutta, nutro seri dubbi sull’opinione comune che tiene in alta considerazione le parole di un anziano in virtù della saggezza maturata negli anni.

Il momento cruciale, quello che determinerà la qualità di questa saggezza, lo incornicio in una fase temporale che precede di molto l'”età matura” e, più precisamente, in quel periodo dell’esistenza dove si scontrano opportunità, credibilità e l’ambizione di raggiungere una posizione rilevante. È allora che l’istinto suggerisce strategie di conquista, che spinge verso compromessi che rimbalzano da una discutibile onestà a un allineamento verso idee di convenienza, dalla calunnia all’incoerenza, dalle bugie alle azioni nascoste. Tutto questo, pur di salire sul cavallo che si ritiene vincente nella corsa alla soddisfazione dell’illusoria regola secondo la quale l’universo girerebbe intorno a ognuno di noi…

Ma essere veri uomini non è una cosa scontata.

Non è uno status che spetta di diritto una volta raggiunta una certa età.

Diventare Uomini con la “U” maiuscola, il più delle volte, è il risultato di un percorso fatto di scelte che rispettano la propria scala dei valori, di coerenza intellettuale (che non vuol dire “non essere disposti a cambiare idea”, vuol dire farlo tutte le volte che lo si ritiene necessario, in armonia con il proprio modo di pensare e di essere) e, soprattutto, di decisioni prese con grande apertura mentale, dove l’eventuale sconfitta viene accettata a favore di un’opzione più giusta.

Chi cede al compromesso – quello del “cedimento morale in vista di un vantaggio pratico” – imbocca un sentiero dove il compromesso si autoalimenta; e più ci si addentra e più diventa facile ignorare il rispetto dei valori.

Alla fine si diventa qualcos’altro, che sicuramente non assomiglia all’Uomo con la “U” maiuscola e che, sicuramente, non permetterà di entrare a far parte dei “saggi” che si sono conquistati il prestigioso titolo sul campo.

Sono poche le persone con un’apertura mentale tale da permettere d’imparare scavalcando il proprio orgoglio e la propria presunzione, e più si cerca avanti negli anni e più è difficile trovarle.

Tra le righe di quello che ho scritto c’è la definizione della parola “reputazione”.

Ho iniziato affermando che una buona reputazione lavora a tuo favore 24 ore su 24.

Alle persone piace raccontare le cose belle e le cose brutte, e lo fa tendendo a massimizzarne l’effetto. Questo vuol dire che se qualcuno ha qualcosa da raccontare di “positivamente diverso” – rispetto alla massa – che ti riguarda, stai pur certo che lo farà esagerando, piuttosto che minimizzando. Scatenare un passaparola positivo sulla reputazione è quanto di più produttivo si possa fare per gettare delle solide fondamenta per il proprio futuro, sempre!

Ma distruggere una buona reputazione è veramente molto facile. È sufficiente cadere nella trappola del compromesso, che magari permette un veloce successo temporaneo, ma che alla lunga dipinge la personalità in modo distruttivo.

Mentre scrivo penso ad alcune persone reali, uomini ancora con la “u” minuscola, ma fatti di carne, di ossa e di sangue. Penso a individui che conosco da anni, a cui non manca nulla: intelligenza, preparazione, volontà, presenza fisica, carisma e ambizione; quell’ambizione, potenzialmente sana, ma che a volte spinge verso il famoso e famigerato “compromesso” (inteso sempre in accezione negativa, ovviamente).

Non ne avete bisogno!

Avete tutto quello che vi serve per arrivare dove volete senza calpestare valori a cui ancora non avete dato la giusta importanza.

È meglio un assaggio di buon Tignanello, gustato nel giusto bicchiere, alla giusta temperatura e nel momento giusto, piuttosto che una botte di vino scadente bevuto con la cannuccia nel cimitero dei valori calpestati.

Tu che stai leggendo… che sai che mi sto rivolgendo a te… che so che puoi capire…

non cercare di diventare una persona di successo, cerca di diventare una persona di valore, e arriverai a essere quello che ti spetta diventare.

John Gatti

Rapallo, 28 Giugno 2018


UNA PICCOLA GRANDE STORIA DI MARE

 

UNA PICCOLA GRANDE STORIA DI MARE


Dalla rubrica settimanale PARLO CIAEO creata e condotta da Andrea Acquarone, é emersa dalla polvere depositata dalla storia la lettera di Rinaldo ed una bella quanto realistica ricerca dello scrittore Roberto Polleri.

L’importanza e la bellezza di questa storia consiste nella rappresentazione drammatica della vita quotidiana di un veliero vista e raccontata dal marinaio Rinaldo che vive l’approssimarsi del naufragio che non avviene per puro miracolo…

Ringrazio l’amico Andrea Acquarone per la freschezza del suo racconto in lingua genovese e per avermi fatto conoscere Roberto Polleri: una buona penna marinara! Ringrazio infine L’Agenzia Bozzo di Camogli da cui abbiamo preso l’unica fotografia esistente del brigantino a palo Mac Diarmid.

Carlo Gatti

PARLO CIAEO 03 giugno 2018

L’urtimo viagio da Mac Diarmid. Finiva coscì l’epoca di bregantin

di Andrea Acquarone

In zeneise se ciammavan ascì co’unna poula ingleise, scippe, comme à dî: o barco pe eccelensa. E de fæti i bregantin, avanti do vapô, an fæto a fortuña da nòstra marineria; za verso a fin do secolo l’atro, però, ean in sciâ via do declin, coscì che quande o Roberto Polleri o m’à contou l’avventua da Mac Diarmid, visciua da-o Rinaldo Pistarino (nònno de seu moggê) do 1924, ghe son arrestou doe vòtte. A no l’ea solo unna stöia de mâ de quelle epiche, ma a l’ea ascì feua da-o tempo.

A Mac Diarmid o l’ea un bregantin scosseise con scaffo in äsâ do 1884, che passando de man in man o l’arriva dòppo a primma guæra a-a famiggia Dufour. I 23 de luggio do 1924 a parte donca da Zena pe Montevideo carrega de sâ, e i 14 d’agosto, comme previsto, son à largo do Senegal. Ma da lì in avanti, primma ghe picca addòsso un monson ch’o dua un meise, dapeu pe un atro meise no se mescian pe farta de vento, tant’è che i 30 de settembre se treuvan ancon à l’ertessa da Guinea, quande i mouxi de unna borrasca scciancan doî di erboi. Con tutto, riescian à anâ avanti, e i 8 de ottobre son à 100 miggia da-o Brasile, ma ecco che unn’atra boriaña a î piggia, e unn’atra ancon i 23 de ottobre. Un tòcco de coverta a sata e i òmmi veddan a fin: à bòrdo manca tutto, sorviatutto a speransa. Però strenzan i denti, fan di tappolli pe riparâ i danni, mangian i bagoin pe no moî de famme, scinché o no l’arriva un bon vento fresco che o î pòrta à sarvamento à Montevideo i 4 de novembre. Tutti pensavan che a Mac Diarmid a fïse naufragâ, aivan za fæto dî de messe…

O Rinaldo Pistarino o l’aiva dixineuv’anni quande o l’à visciuo sta traversâ. Tanto pe capî o personaggio, quattr’anni avanti o l’ea scappou de cà pe imbarcâse, e o l’ea za in sciô meu quande un amigo de famiggia ô conosce e o ô ripòrta in derê. A stöia da Mac Diarmid â conoscemmo graçie à lê, ch’o l’à contâ pe lettia à sò fræ (unna lettia tanto bella ch’a dovieiva stâ a-o MUMA). Dòppo avei descrito i seu “cento giorni tra acqua e cielo” o finisce coscì: “mai paura buon marinaio”.

Lescico

Apreuvo: seguenti
Arrestou: (ghe son): sono rimasto sorpreso
Äsâ: acciaio
Bagoin: scarafaggi
Erboi: alberi
Farta: mancanza
Guæi: molto
Mescian: muovono
Mouxi: marosi
Picca: picchia
Sâ: sale
Scciancan: schiantano

UNA PICCOLA, GRANDE STORIA DI MARE
SULL'OCEANO A BORDO DELLA

MAC DIARMID

di Roberto Polleri

La “Mac Diarmid” era un brigantino a palo, dotato di tre alberi con scafo in acciaio, per ben 1.622 tonnellate di stazza. Viene varata il 16 ottobre 1883 dal cantiere dell'Armatore Mac Millan di Dumbarton in Scozia il quale dopo tre anni di navigazione la rivende all'Armatore Michele Amoroso, italiano, che ne affidava il comando al Capitano Cremonini.


Tra i suoi viaggi, nel 1886 la nave veniva registrata a San Francisco (USA) con carico di grano per Queenstown, in Australia. Alla morte dell'armatore Amoroso, gli eredi vendettero il bastimento a George Karran di Castletown (Isola di Man). Nel 1907, il bastimento era partito da Newcastle (Australia) per il Cile, dove incappava in una violenta tempesta che lo disalberava. La nave raggiungeva fortunosamente Auckland in Nuova Zelanda, dove rimaneva abbandonata per due anni finché l'Armatore Capitano Giuseppe Mortola di Camogli, detto "Sanrocchin", probabilmente per la sua origine dalla frazione di San Rocco della cittadina ligure, il quale intuiva che l’acquisto della nave poteva essere un buon affare e diveniva quindi proprietario della “Mac Diarmid” per la cifra di circa 2.400 sterline inglesi, pari a circa 56.000 lire, al cambio del 1909 che indicativamente potrebbero essere attuali 200.000 euro.

Il Capitano Giuseppe Mortola era il maggior armatore italiano di navi a vela di tutti i tempi: era proprietario di venticinque grandi navi e di una trentina di vascelli minori oltre alle quote in altre società di navigazione ed alle numerose carature possedute nei vascelli di diverse famiglie di armatori di Camogli. Acquistato il Mac Diarmid, il "Sanrocchin" lo faceva riarmare e dal 1910 il bastimento riprendeva a navigare ancora proficuamente. Nel 1914 partiva da Marsiglia per Rio de Janeiro in Brasile, con carico generale.


Da li, proseguiva in zavorra, ovvero riempiendo le stive di acqua di mare per stabilizzare la navigazione, in direzione Newcastle (Australia) dove caricava per il Cile da dove proseguiva poi per le Isole del Guano, quali Lobos de Afuera dove caricava il guano, ovvero escrementi di uccelli marini, utilizzato in Europa sia come potente fertilizzante sia come base da cui estrarre il salnitro, elemento necessario alla creazione di polvere da sparo.


La Mac Diarmid sopravvive alla Grande Guerra, al termine della quale fu venduto alla famiglia Dufour di Genova i quali lo utilizzeranno esclusivamente per trasportare sale di Cadice ai saladeros argentini ritornando a Genova con estratto di “quebracho”, una sostanza ricca di tannino utile per la concia delle pelli.


La carriera della nave si conclude nel 1926 a Genova, dove viene disarmato e rimane al molo Duca degli Abruzzi sino al 5 dicembre 1928 quando viene rimorchiato a Savona per essere demolito.


E' uno dei rari casi in cui una nave, nonostante il passaggio a diversi proprietari, non ha mai cambiato il suo nome nei 45 anni di vita e di navigazione.

Il viaggio


La nave lascia il porto di Genova diretta verso l’Uruguay il 23 luglio, già in assenza di vento, con rotta verso ovest per lo stretto di Gibilterra. Dopo circa un mese di navigazione, il bastimento arriva in dirittura delle isole di Madera, Comore e Capoverde, al largo della costa africana all’altezza del Senegal, senza problemi di sorta. E’ il 14 agosto. Da quel giorno in poi, per circa un mese la nave si trova in balia del vento e della pioggia, ci vorrà un altro mese per superare la linea equatoriale, quando la fatica e le avversità iniziano a provare l’intero equipaggio. Eppure il peggio deve ancora arrivare: a fine settembre, il 27 per l’esattezza la nave si trova al largo del golfo della Guinea, zona a forte rischio per la presenza di pirati, dove il bastimento deve navigare a sufficiente distanza dalla costa per scongiurare attacchi.

L’evento più importante di tutto il viaggio è il temporale del 30 settembre. Mare e vento spezzano gli alberi principali e danneggiano seriamente la “Mac Diarmid”. Due mesi di mare e danni all’apparenza tali da far presagire un imminente naufragio. Nonostante i danni, gli uomini stremati e la scarsezza di cibo ed acqua, la nave prosegue la sua rotta verso il Brasile, che in data 8 ottobre è a circa 100 miglia di distanza. Anche qui, però una nuova tempesta sembra dare il colpo di grazia al brigantino. Nuovi danni allo scafo ed al morale degli uomini che vedono ormai vicina la fine. Ottanta giorni in mezzo al mare ed il porto che appare lontano ed irraggiungibile. Nonostante tutto si procede tra i flutti, e si arriva così al 23 ottobre, all’alba del terzo mese trascorso a bordo, quando di nuovo la violenza del mare e del vento segnano profondamente la nave. Una parte della coperta viene sradicata dalla forza della natura. Mancano ormai solo 700 miglia da Montevideo, destinazione dell’imbarcazione.

In tre giorni di vento buono e di mare calmo si potrebbe giungere in porto, ma con la nave così provata dalle intemperie anche il minimo spostamento diventa una fatica enorme per lei e per chi la conduce. Adesso si sta toccando davvero il fondo. A bordo manca tutto, cibo, acqua ma soprattutto la speranza di vedere ancora terra. Per fortuna il vento cambia, i danni sono rattoppati alla meglio con ciò che si ha a bordo e la nave fa rotta verso l’Uruguay.

È l’alba del 3 novembre quando l’urlo liberatorio “Terra! Terra!” risuona sulla tolda e riaccende gli animi dei marinai. Alle 14.00 del 4 novembre 1924, dopo 105 giorni di navigazione, la “Mac Diarmid” tocca il molo di Montevideo. L’equipaggio è interamente salvo anche se decisamente prostrato dall’incredibile viaggio. Eppure, la forza d’animo dei marinai e la forza quasi magica sprigionata dalla “misteriosa Mac Diarmid”, come la definirà Rinaldo, che nonostante le avversità riesce comunque a raggiungere la propria destinazione. A terra, le maestranze si stupiscono dell’arrivo del bastimento che davano per naufragato nell’oceano per il così lungo tempo trascorso dalla partenza. 

L’autore della lettera


Rinaldo Pistarino era nato a Voltri il 23 agosto 1905. Aveva solo quindici anni quando scappa da casa con un piccolo fagottino sulle spalle diretto verso il porto di Genova pronto per imbarcarsi e assecondare la sua grande passione per il mare e la navigazione. Giunto su uno dei moli, viene riconosciuto da un amico di famiglia che ne intuisce la fuga e, prendendolo letteralmente per il colletto lo carica a forza su una delle carrozze dirette verso il ponente genovese, affidandolo al cocchiere e pregando quest’ultimo di tenerlo d’occhio fino all’arrivo nella sua abitazione dove poi di persona si sarebbe sincerato del suo rientro. Il primo tentativo di diventare marinaio finiva così un po’ miseramente...

Eppure, era solo questione di tempo. La sua voglia di partire lo avrebbe condotto in mare aperto a vivere tutto ciò che abbiamo letto nelle sue parole. La sua passione per il mare terminerà solo quando l’incontro con la sua futura moglie lo porterà a decidere di trovare un lavoro sulla terraferma. Il “buon marinaio” è morto a Voltri il 24 maggio 1989.

La lettera

Montevideo, 18 dicembre 1924.

Carissimo Fratello,


vuoi tu dunque conoscere le avventure mie e di questo lungo viaggio? Ebbene, il tuo desiderio in certo qual modo sarà esaudito, ne avrei da raccontarti e forse più che sufficiente sono i particolari, per poter compilare un vero romanzo di avventure e a te farà molto piacere leggere questa mia, dato che sei sempre stato un po’ amante delle avventure più strane e più soddisfazione proverai pensando che chi scrive è tuo fratello, tuo fratello che ha intrapreso un viaggio non privo di emozioni, ma che ora tutto è tornato alla tranquillità.


Immagina si parte dal cantiere il mattino del 23 luglio con poco vento, alla sera siamo già in bonaccia completa e di questa ne abbiamo per tre giorni, siamo sempre in vista della costa spagnola, ma ecco che al quarto giorno una leggera brezza da nord ovest ci fa filare verso questa immensa pianura senza fine e piena di misteri e dopo qualche giorno di questo buon vento si entra, per così dire, nella zona della brezza costante (vento che scende da nord est) questo vento è buonissimo per noi, dato che è in poppa e dovrebbe accompagnarci quasi all’Equatore, per poi prendere l’altra brezza da sud est e quest’ultima dovrebbe accompagnarci sino all’altra parte per poi navigare alla ventura e con venti diversi fino alla meta, ma ecco, che come invece sentirai, tutto il previsto è andato a vuoto.


Entrati che siamo nella prima brezza cioè quella da nord est che ci fa filare e delizioso è il navigare con si buon vento e così si arriva al 17 agosto, durante questo frattempo siamo passati al largo di qualche isola.


Il 6 agosto l’isola di Madera, l’11 agosto le Comore, il 14 l’isola di Capoverde che si trova al 13° di latitudine a nord, tutte però invisibili ad occhio nudo.


Ed eccoci al 17 agosto, dopo aver navigato per circa un mese senza incidenti di sorta, si comincia e potrei paragonare che da oggi non si naviga più come cristiani ma da vere bestie.


Eccoci al primo temporale, vento forte da prua, pioggia e mare grosso, si tenta di bordeggiare ma il tempaccio non ci permette, ora devo spiegarti in gergo marinaresco certe manovre, non potendo altrimenti ci mettiamo alla trinca dopo che la furia del vento ci asportò qualche vela dopo vari giorni il vento si rinforza e pare che dica voglio vincere io, infatti qualche altro disastro succede.


Questo ventaccio dopo aver soffiato a volontà ci regala un po’ di calma, ma ci rimane ancora i colpi di mare i quali non ci assicurano di stare in coperta, sempre piove, siamo al 14 settembre, ossia da 52 giorni che siamo in mare e da 27 che siamo sotto una pioggia continua e che non si vede il sole. La notte dal 14 al 15 settembre altro vento forte di prua e di questo ne abbiamo per qualche giorno ancora e ti confesso che noi tutti siamo quasi esausti, forse già troppo siamo stati provati da questi elementi, eppure non è ancora finita.


Finalmente eccoci al 18 settembre e abbiamo un po’ di calma. Ora ti spiego brevemente che cos’è questo ammassamento di vento furioso e continuo.


Il suo nome è Munson e proviene dall’Oceano Indiano attraversa l’Africa Equatoriale e con impeto di forza si butta nell’Atlantico tra il 13° di latitudine nord e l’Equatore e si perde poi credo nella Cordigliera delle Ande, la sua durata in generale è di sei mesi fra i quali ha 53 giorni e 16 ore di maggior violenza, e questo massimo si sente in detta posizione dal 10 di agosto al 20 ottobre circa.


Ora siamo al 15 settembre, si sta tirando un lungo bordeggio con prua verso la costa africana, oggi stesso si taglia l’Equatore, ossia si lascia l’emisfero nord per inoltrarsi all’emisfero sud onde ci attendono altri disastri.


Il caldo si fa sentire ed è insopportabile da 45 a 50 gradi ma grazie ai continui piovaschi, che sono per noi un vero sollievo, del Munson più nessuna traccia, ormai abbiamo oltrepassato la sua zona devastatrice e siamo nella continua bonaccia equatoriale.
Al 27 settembre siamo vicini al Golfo della Guinea, con calma di vento e corrente forte che ci spinge sempre più nel golfo, questo è un po’ pericoloso dato che è frequentato da piroghe di indigeni della Guinea i quali assaltano depredandoli i bastimenti che per disgrazia trovansi in questi paraggi, ma grazie a un po’ di brezza la quale ci da modo di allargarci alquanto da questo brutto posto.


Il 28 settembre, un po’ di vento buono ci fa guadagnare cammino, ma eccoci al 30 altra giornataccia, alle 4 pare si navighi con il vento in poppa, questo in un batter d’occhio cambia e di poppa si gira e si ferma di prua, tutto questo succede senza che nessuno se ne avveda, così che le vele invece di essere gonfie alla buona, ossia come si vorrebbe dire in gergo marinaresco, si rigonfiano al rovescio, in modo che i due alberi delle vele quadre, trinchetto e maestra, oscillano e si teme da un momento all’altro abbiano a cascare in mare, intanto si sentono scricchiolii di cavi che si spezzano, griglie del sartiame che come la grandine cadono in coperta, vele che si strappano completamente e se ne vanno con il vento, ma nemmeno qui ci diamo per vinti, non è ancora trascorso un minuto dall’ira di tutto ciò, che si sente una voce gridare con tutta la forza, coraggio e sangue freddo, è la voce del comandante che grida dando gli ordini più opportuni, lascio a te immaginare il momento che si sta passando, sembriamo matti furiosi, ma ognuno ha il suo compito, il suo dovere da compiere e con sangue freddo riusciamo per vero miracolo ad evitare una vera catastrofe, bastavano pochi minuti e poi addio
Mac Diarmid e i suoi uomini, nota che tutto questo è successo in pochi minuti.


Questo temporale del 30 settembre era infortunale e come abbiamo appreso al nostro arrivo a Montevideo perì con il suo equipaggio una nave tedesca proveniente dall’Europa e diretta come noi a Montevideo e un piroscafo inglese, tutti e due naufragarono proprio il 30 settembre.


All’indomani il vento cessa e si ritorna alla bonaccia, dopo nuovamente vento e si rifà cammino, tanto che il 7 ottobre siamo già vicini alla costa del Brasile, il giorno 8 siamo a 100 miglia e qua subito di gira di bordo e nuovamente al largo.


Eccoci alla notte fra 8 e 9 ottobre un altro disastro che merita di essere spiegato a parte. 
Il suo nome è Pampero, la sua origine credo nasca dal Messico, poi con velocità e forza incalcolabile scende verso l’America Meridionale seguendo la Cordigliera delle Ande, fino alla Terra del Fuoco, ossia al Capo Diurno, colà le montagne fanno specie di gomito in modo che questo vento è obbligato a buttarsi in Atlantico e ritorna indietro per via mare, con una forza tale che ora sentirai.


Dunque siamo alla notte tra 8 e 9 ottobre, il vento soffia tanto forte e con una potenza tale che buona parte delle vele viene asportata, i colpi di mare devastano tutto ciò che trovano in coperta, dopo qualche giorno vento e mare prendono forza con un aspetto tale che non sappiamo proprio a che Santo votarci per raccomandarci, sono circa 80 giorni che siamo in mare, si avrebbe bisogno di un po’ di riposo, il giorno dell’arrivo è ancora lontano, anzi per dirti il vero e per dirti tutto ora aspettiamo con rassegnazione da un momento all’altro il fatale momento.


La nave sembra non abbia più la forza di resistere, è un vero disastro perché prima il velaccio poi trinchetto e parrocchetto, dell’albero di trinchetto, velaccio gabbia e maestra dell’albero maestro tutto è stato asportato dal vento, non contento di questo, la forza del mare e del vento provocano la rottura di due stralli, cavi d’acciaio abbastanza grossi e un paterazzo della grossezza del braccio di un uomo, per questo l’albero maestro minaccia di cascare, ma grazie ad un tentativo ancora si riesce provvisoriamente a riparare.


Il 16 ottobre abbiamo un po’ di calma, e così via fino al 22, in questo giorno ecco un’altra volta il Pampero e con altra violenza che ci mette in serio pericolo, specie per certe manovre che dobbiamo fare in coperta vere montagne d’acqua si rovesciano in coperta, con una violenza tale che si vede la fine.


All’alba del 23 un’ondata più potente stacca dalla salda imperniatura circa 10 metri di bordo al lato sinistro della prora, non ci batte pure contro il boccaporto di maestra arrecando altri danni, siamo a circa 700 miglia da Montevideo ci basterebbero tre giorni di vento buono per coprire questa distanza ed essere a salvamento ma invece no, l’infuriare del vento e del mare non ci permettono nemmeno di stare alla trinca, così che si è obbligati ad appoggiare e perdere il cammino, che sudore di sangue ci costò e così in questa corsa vertiginosa, pensa con una vela sola si passano le 18 miglia all’ora e si va verso il Capo di Buona Speranza, la punta estrema dell’Africa, qua abbiamo un altro disastro, il pennone gabbia spezza i cavi di sostegno e pericola di cascarci in coperta ma anche qui si riesce a riparare, siamo al 25 ottobre, il vento sembra concederci un po’ di calma, ma Dio mio quale disastro si presenta.


I viveri cominciano a scarseggiare, quindi mano alla cinghia, ogni giorno stringo sempre di più e l’indizio di buon vento e dell’arrivo non si presenta. Gli scarafaggi diventano il nostro cibo. Ormai ogni speranza è per noi perduta, da 100 giorni siamo tra cielo ed acqua.


Eccoci al 29 ottobre, abbiamo un po’ di vento a favore, questo si rinfresca sempre più se continuasse così ora si fila verso quella terra che porta il nome di America.


Ecco il buon vento salvatore continua anche oggi.


Siamo al 1 novembre a 500 miglia da Montevideo, all’alba del 3 vediamo in lontananza terra e tutti a una voce si grida Terra! Terra! Non ci speravamo proprio più, seppur sfiniti e malconci la speranza si riaccende in ognuno di noi.


Verso sera siamo in vista dell’Isola Flores, all’alba del 4 avvistiamo l’Isola dei Lovi e alle 2 pomeridiane si giunge nella rada di Montevideo finalmente!
La nave, dico io, misteriosa
Mac Diarmid.


Appena arrivati è venuto un rimorchiatore portandoci viveri e notizie, infatti ci siamo sentiti dire che ormai non ci aspettavano più e che una S. Messa era stata celebrata in nostro suffragio, tanto più che qualche giorno prima una nave tedesca completamente disalberata causa una forte pamperada. Sul giornale (La Stampa) venne pubblicato un articolo sul temporale che infierì da queste parti e venne pure segnalata la perdita di qualche veliero.


Anche i nostri cari ormai non avevano più speranze di poterci rivedere, così appena giunti a Montevideo il nostro capitano ha mandato subito un telegramma alla compagnia e questa tempestivamente avvisò le nostre famiglie tranquillizzandole.
Potevamo proprio dire di essere stati fortunati.


E qui finisce il mio racconto che ormai non è che un ricordo.
(Mai paura buon marinaio)


Rinaldo

 

 

 

Brigantino a Palo MAC DIARMID

 

Epoca della foto: anno 1928

Fotografo: sconosciuto

Origine: Archivio Cap. Pro Schiaffino, Camogli

 


 

La nave Mac Diarmid fotografata nel porto di Genova nel 1928.

Scafo in acciaio, stazzava 1.622 tonnellate.

Venne varata il 16 ottobre 1883 dal cantiere dell'Armatore Mac Millan di Dumbarton il quale dopo tre anni la rivendette all'Armatore Michele Amoroso che ne diede il comando al Cap. Cremonini.

Ottimo e robusto bastimento, navigò per molti anni su tutti gli oceani.

Nel 1886 è registrato a San Francisco sotto carico di grano per Queenstown.

Alla morte dell'Armatore gli eredi vendettero il bastimento a George Karran di Castletown (Isola di Man).

Nel 1907, partito da Newcastle (Australia) per il Cile, incappò in una violenta tempesta che lo disalberò.

Raggiunta fortunosamente Auckland (N. Z.), vi rimase abbandonato per due anni finché l'Armatore Cap. Giuseppe Mortola di Camogli, detto "Sanrocchin",  fiutò l'affare ed acquistò il Mac Diarmid per £st. 2.400 pari a lire 56.000 al cambio del 1909.

Il Cap. Giuseppe Mortola è stato il maggior armatore italiano di navi a vela di tutti i tempi: era proprietario di venticinque grandi navi e di una trentina di vascelli minori oltre alle quote in altre società di navigazione ed alle numerose carature possedute nei vascelli di diverse famiglie di armatori di Camogli.

Acquistato il Mac Diarmid, il "Sanrocchin" lo fece riarmare e dal 1910 il bastimento riprese a navigare ancora proficuamente.

Nel 1914 partiva da Marsiglia per Rio de Janeiro con carico generale. 

Lì giunto proseguiva in zavorra per Newcastle (Australia); caricava per il Cile da dove proseguiva poi per le Isole del Guano.

A Lobos de Afuera caricava guano per l'Europa.

Sopravvisse alla Grande Guerra, al termine della quale fu venduto ai Dufour di Genova i quali lo ridussero a brigantino a palo e lo utilizzarono esclusivamente per trasportare sale di Cadice ai saladeros argentini ritornando a Genova con estratto di quebracho per la concia delle pelli.

Disarmato nel 1926 in Genova, rimase al molo Duca degli Abruzzi sino al 5 dicembre 1928 quando venne rimorchiato a Savona dove fu infine demolito.

E' uno dei rari casi in cui una nave, nonostante il passaggio a diversi proprietari, non cambiò mai il suo nome nei suoi 45 anni di vita.

 


A cura di

CARLO GATTI

 

Rapallo, 6 Giugno 2018



LE RIPARAZIONI NAVALI DEL PORTO DI GENOVA

 

LE RIPARAZIONI NAVALI DEL PORTO DI GENOVA

di Fausto Mazza

 

Zona Industriale delle Riparazioni Navali

Negli spazi esigui delimitati fra punta molo vecchio a ponente e la marina della fiera a levante, esiste la Zona Industriale delle Riparazioni Navali, una realtà del nostro porto dove ogni giorno si attua la convivenza, spesso forzata, di importanti realtà dell’industria navale con attività storiche di aggregazione sociale e del diporto nautico.

L’attività delle Riparazioni Navali del Porto di Genova ha il suo baricentro nei bacini di carenaggio, gestiti dall’ Ente Bacini che vengono messi a disposizione delle Officine di Riparazione, dei Cantieri Navali e delle Società Armatrici per tutti quei lavori che necessitano della messa a secco della nave per la loro esecuzione.

L’ingresso di una nave in bacino è una manovra che non ammette errori, la sua esecuzione è fortemente condizionata da vari fattori fisici quali le dimensioni della nave, l’estensione della sua opera morta con il relativo effetto vela, le caratteristiche del suo apparato propulsivo e di manovra, l’ingresso della nave in vasca con la prua o con la poppa, la necessità di mantenere in vasca una posizione obbligata in relazione all’ esecuzione dei lavori o meno, l’intensità e la direzione del vento.

A seconda delle caratteristiche di manovra della nave, delle condizioni meteorologiche, e/o di particolari esigenze tecniche legate al posizionamento della nave nella vasca, il coinvolgimento dei servizi portuali potrà essere limitato al solo Pilota o esteso anche a rimorchiatori e ormeggiatori.


La nave si sta avvicinando al Bacino di carenaggio

Esaurita la fase piu’ dinamica dell’ingresso in vasca e stabilizzata la nave sugli ormeggi, inizia quella meno spettacolare, ma altrettanto importante, del centraggio della nave e successivo prosciugamento della vasca.

Durante questa fase, il Dock Master affina la posizione della nave in vasca facendo tonneggiare la nave sugli ormeggi, con l’ausilio dei sommozzatori verifica il corretto posizionamento della carena rispetto allo scalo e, coordinandosi con il personale di bordo, progressivamente svuota la vasca portando la nave ad appoggiarsi sullo scalo.

Ai fini della buona riuscita di queste manovre, la sinergia fra l’equipaggio della nave, i servizi portuali e il Dock Master, è fondamentale.

Esauriti gli aspetti tecnico nautici delle manovre di ingresso in vasca e incaglio, le attività in bacino diventano attività di natura industriale. Le lavorazioni che vengono effettuate in bacino sono quelle caratteristiche della riparazione navale:

Carenaggio vero e proprio con lavorazioni di lavaggio ad alta o altissima pressione, sabbiatura, pitturazione a spruzzo di tipo airless;

Lavorazioni di carpenteria metallica pesante, quali la demolizione mediante ossitaglio, lo sbarco di parti dello scafo e la loro sostituzione con elementi nuovi  da montare sul posto e poi saldare;

Interventi di manutenzione meccanica a carico degli apparati di propulsione e governo che possono comportare lo smontaggio la movimentazione ed il rimontaggio di parti di dimensioni e peso notevolissimi, quali eliche e assi porta eliche, timoni, pinne stabilizzatrici.


La nave é allineata sull'asse del bacino

I lavori piu’ spettacolari sono quelli che prevedono una componente di movimentazione dei carichi. Tipicamente queste lavorazioni si concretizzano negli sbarchi e/o imbarchi di grossi macchinari oppure negli smontaggi e/o montaggi di componenti meccaniche in carena quali timoni, stabilizzatori, bow thrusters, eliche e assi. In questi casi il personale addetto alle movimentazioni, i cosiddetti “marinai” di cantiere, lavorano fianco a fianco con i meccanici, fornendo loro l’assistenza necessaria a presentare e a montare pezzi di peso considerevole e grandi dimensioni con le tolleranze minime tipiche delle lavorazioni meccaniche.

Gli imbarchi di grandi macchinari più spettacolari sono caratteristici delle grandi avarie o dei lavori di trasformazione, operazione resa più complessa dalla presenza della struttura e degli impianti esistenti a bordo.

Questi lavori prevedono: una fase di preparazione, che comporta lo smontaggio degli impianti e il taglio delle strutture che potrebbero ostacolare la manovra; la manovra di movimentazione vera e propria, che può richiedere l’intervento di mezzi di sollevamento esterni al Cantiere quali pontoni o gru semoventi di grande portata; il posizionamento con successivi montaggio e collegamenti; il ripristino delle strutture e degli impianti circostanti precedentemente demoliti.

Le soste in bacino delle navi sono sempre caratterizzate dal poco tempo a disposizione. A prescindere dagli oneri derivanti dal fermo nave, il nolo della vasca comporta sempre un esborso consistente per gli Armatori, che vogliono ridurre al minimo la sosta sfruttandola al massimo. Il personale della ditta assuntrice dei lavori si trova a operare in una situazione caratterizzata da una grande pressione commerciale.  Qui entra in ballo la professionalità delle figure che intervengono a bordo, che dovranno gestire lavorazioni talvolta pericolose e spesso incompatibili fra loro, garantendo, oltre all’esecuzione delle lavorazioni nei tempi previsti e a soddisfazione del cliente e della Società di Classificazione, anche il rispetto delle normative vigenti in materia di igiene e sicurezza. Non è un compito facile.

Le professionalità che intervengono a bordo delle navi e in bacino sono varie. Carpentieri in ferro e saldatori, tubisti, meccanici, elettricisti ed elettronici, falegnami, moquettisti, piastrellisti, coibentatori, picchettini e applicatori, marinai di cantiere e ponteggiatori lavorano fianco a fianco, sotto il coordinamento del Cantiere, con in mente la data di fine lavori convenuta col cliente. Durante l’esecuzione delle lavorazioni, la teoria, spesso, deve lasciare il campo a favore della pratica. Il contributo apportato da tecnici e maestranze esperti è sempre determinante ai fini del successo, sia tecnico che commerciale, delle operazioni.

Le Riparazioni Navali sono un mondo relativamente piccolo dove tutti si conoscono.  Trovandosi spesso assieme per effettuare lavorazioni particolari in condizioni a volte al limite mette le persone alla prova e fa sì che fra di esse si sviluppi un particolare senso di appartenenza e di cameratismo. In questo ambiente particolare e, se vogliamo, un po’ antiquato, il concetto di “politicamente corretto” non ha attecchito. Per chi non è dell’ambiente, il primo impatto con questo modo di essere tipicamente portuale fatto di mugugni, sfottò, conversazioni urlate con le mani davanti alla bocca a mo’ di altoparlante, puo’ essere duro. Tuttavia, professionalità, serietà e rispetto reciproco sono in questo ambito, più che altrove, valori fondamentali per la convivenza sul posto di lavoro e per la buona riuscita dei lavori.


Il Comandante dell’Ente Bacini Antonio Lo Curzio ed il C.P. John Gatti

Fausto Mazza, autore del presente articolo, è il 1° Yard Captain – HSE Manager presso T. Mariotti S.p.A. – Shipyard

 

Rapallo 22 Giugno 2018

Webmaster: Carlo Gatti

 

 

 


MSC SEAVIEW a Genova

MSC SEAWIEW

GENOVA, IN PORTO LA NAVE DEI RECORDS


7 Giugno 2018


In quest’ultimo decennio stiamo assistendo ad una massiccia espansione nel settore delle navi PASSEGGERI. Anche le loro linee architettoniche sembrano proiettate verso progetti “futuristici” in cui shape, eleganza e funzionalità si sposano con le nuove esigenze di mercato, turismo e desiderio di evasione.

Molti fattori strategici stanno giocando proprio in questi giorni un ruolo di massima importanza per il futuro del Porto di Genova e della Liguria. Possiamo solo sperare che prevalga il buon senso di tutti gli operatori di questo immenso e strategico porto che si trova al centro di due splendide Riviere, principali attrazioni del turismo internazionale.

Genova sta attirando le più grandi Compagnie di Navigazione del pianeta perché trovano in esso tutti i più moderni sistemi operativi e strutturali che sono necessari per la loro attività che, fattore importantissimo, va ad innestarsi nel tessuto economico della nostra regione e non solo.

 


 

La MSC SEAVIEW in navigazione

 


 

La MSC SEAVIEW in acque di pilotaggio

 


 

La MSC SEAVIEW prende il pilota

La MSC SEAVIEW entra in porto a Genova



Consolle di manovra. La MSC SEAVIEW in evoluzione in avamporto

 

La MSC SEAVIEW attracca a Ponte dei Mille Ponente

 


La MSC SEAVIEW é ormeggiata

 

Genova – È arrivata nel porto del capoluogo ligure alle prime luci del mattino, la nuova nave della compagnia da crociera la

MSC SEAVIEW

Sabato è in programma per lei la festa di inaugurazione alla Stazione Marittima .

La MSC SEAVIEW è la seconda delle due unità gemelle classe Seaside ordinate a maggio 2014 per la prima volta in Italia dalla compagnia di navigazione Msc Crociere, controllata del gruppo svizzero Msc di Gianluigi Aponte. Il valore della commessa è di 1,6 miliardi di euro, cui si aggiungono le già ordinate Seaside Evo, due unità più grandi (da 153 mila a 169 mila tonnellate di stazza lorda, consegna 2021 e 2023), per un investimento totale di 3,5 miliardi di euro.

La nave, come tutte le unità fatte realizzare da MSC dal 2006 in avanti, è dotata di allaccio alla rete elettrica: significa che tecnicamente è in grado di alimentare, da ormeggiata, i gruppi elettrici allacciandosi alla rete portuale (cold ironing) spegnendo i motori, evitando emissioni inquinanti e consumi. Tuttavia, da 10 anni questa parte la tecnologia è andata avanti, così oggi fonti di settore calcolano che una nave come la “Seaview”, pur essendo circa il 50% più grande delle unità mediamente prodotte due lustri fa (100-110 mila tonnellate) consuma il 25% in meno, sostanzialmente per effetto di diversi accorgimenti, il più evidente, la sostituzione dell’illuminazione tradizionale con quella a tecnologia Led).

Se però in Italia il cold ironing oggi è applicabile in via teorica nei porti di Civitavecchia e Livorno, diversa è la normativa, più stringente dal 2020, circa le emissioni: l’unità ha un sistema di pulizia dei gas di scarico (Egcs) che rimuove 97,1% del diossido di zolfo prodotto dalle ciminiere, riducendo anche il particolato. Razionalizzati anche i sistemi di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria, tra le principali fonti di consumo delle navi. Obiettivo è la distribuzione intelligente tra aria calda e fredda, anche con sistemi di recupero del calore (quello della lavanderia per esempio serve per riscaldare le piscine e altre parti della nave).

MSC SEAVIEW è una nave all’avanguardia sotto ogni aspetto. Con i suoi 323 metri di lunghezza e i suoi 18 ponti è in grado di ospitare circa 5.200 passeggeri. La nave è dotata di numerose cabine di ogni tipo, tra cui MSC Yacht Club Royal Suite, 57 metri quadrati di superficie e 33 di balcone e MSC Yacht Club Deluxe Suite, per vacanze di lusso e trattamenti riservati. Ora MSC Yacht Club è disponibile anche in cabina interna, per viverti la nave al 100% ma non rinunciare mai al comfort. A bordo, solo il meglio per te. Intrattenimento curatissimo sotto ogni aspetto: spettacoli a teatro indimenticabili, bar e lounge che soddisferanno ogni tuo capriccio, piscine e ambienti che avverano i tuoi desideri ancora prima che tu li abbia espressi. La nave di ultimissima generazione è dotata di sistema Advanced Water Treatment per rimuovere sostanze inquinanti e di sistema di illuminazione a LED per ridurre il consumo energetico e diminuire l’impatto ambientale. Lo scafo, le eliche e i timoni sono stati studiati per ridurre i consumi, per vacanze nel rispetto dell’ambiente.

Dati Tecnici

Anno costruzione: 2018

N° Ospiti: 5179

N° Equipaggio: 1413

N° Ponti: 18

Stazza: 160000 ton.

Lunghezza: 323.00 m.

Larghezza: 41.00 m.

Velocità crociera: 22 nodi

 

ALTRE FOTO DELLA NAVE

 

La nave ha evoluito in avamporto e sta indietreggiando verso la banchina

 

 

 

 

Il Ponte di Comando della nave

 

 

 

A sinistra la nave da crociera CROWN PRINCESS

della Princess Cruises

 

 


Carlo GATTI

Le foto sono di John GATTI


Rapallo, 8 Giugno 2018



LA NASCITA DI UN...ORMEGGIATORE PORTUALE

LA NASCITA DI UN…. ORMEGGIATORE PORTUALE

di Alessandro Serra

Premessa

LA MANOVRA PORTUALE POGGIA SU TRE ORGANIZZAZIONI:

Piloti-Rimorchiatori-Ormeggiatori

 

Alessandro Serra, Presidente Europeo degli Ormeggiatori, schiude la porta sul loro mondo.

 

Non c'è politica, né retorica né, tanto meno, burocrazia nel caloroso articolo scritto da Alessandro Serra. Piuttosto uno spaccato di vita raccontato con il cuore, per presentare una categoria che ha una storia ricca di avventura, di professionalità e di aneddoti che diventano una vera e propria scuola di vita.

 


Vorrei provare a rendervi partecipi di come nasce un ormeggiatore del porto, o più semplicemente di come io ritenga di essere diventato ormeggiatore.

Giova probabilmente, per il proseguo della lettura, descrivere per sommi capi cosa è e cosa fa un ormeggiatore. Figura antica quanto la navigazione, l’ormeggiatore, lo dice la parola stessa, ormeggia e disormeggia, da sempre, le navi nei porti di tutto il mondo. Un tempo collocando e trasportando le ancore dei bastimenti chiamati “legni” nella posizione opportuna all’interno della rada portuale, oggi connettendo e disconnettendo i cavi delle navi alle bitte delle banchine portuali, dei pontili in/off shore, dei campi boe, garantendo la sicurezza dell’ormeggio per tutta la durata dello stazionamento nell’ambito portuale.

Oggi gli ormeggiatori utilizzano potenti motobarche e verricelli, addirittura innovazioni tecnologiche di tensionamento e monitoraggio dei cavi delle meganavi che solcano i mari e che devono trovare approdi sicuri.

Il mio intento però è provare a tratteggiare più la componente umana che quella professionale, più quella intima e pittoresca che quella tecnica e di moderna innovazione – che comunque l’ormeggiatore ha dovuto ovviamente mettere  nel proprio bagaglio di lavoratore – più la nascita (l’essere) dell’ormeggiatore che quello che fa.

 

In Italia, il primo obbligatorio passaggio per la nascita di un ormeggiatore, e’ quello di partecipare a un bando di concorso tenuto dalla Capitaneria di porto, che seleziona i marittimi che si candidano sulla base di prove pratiche di “arte marinaresca” e di prove teoriche sulle materie tecnico-nautiche e marittime.

Coloro che risultano vincitori devono entrare nella locale organizzazione di ormeggiatori, nel mio caso il Gruppo Antichi Ormeggiatori del porto di Genova. Il giovane vincitore di concorso si presenta presso gli uffici del Gruppo, dove, insieme agli altri vincitori, è accolto dal Capogruppo con un rapido discorso di benvenuto, di presentazione della cooperativa, modalità di assunzione e formazione e soprattutto di avviamento al lavoro, in quanto “meno male che siete arrivati ci sono turni in banchina da coprire e i soci non vedono l’ora di conoscervi”. Il presagio che ci sia un forte bisogno di forza lavoro c’è, e per circa un mese tutto fila via paludato, teorico e formativo per quel che prevede la norma, a volte asettico e a volte si prova la sensazione quasi di essere coccolati: poi arriva il primo turno, la prima giornata. Si monta alle 5.30 am, ma si sa che è bene, soprattutto per i neoassunti, presentarsi un po’ prima. Sveglia alle 4.30 e via per la sede del gruppo, felici perché inizia la nuova avventura, consapevoli della propria preparazione, ma con una ragionevole dose di ansia per tutto quello che si è sentito raccontare…… E dunque……… Si entra in “sala“ dove si incontrano alcuni neo colleghi, uomini di tutte le età….. è l’ora del cambio quindi non si capisce chi monta e chi smonta…… le navi che stanno entrando in porto una dopo l’altra chiamano ai VHF…… e chiamano i piloti…… e chiamano le squadre di ormeggiatori già operative in banchina….. si ascoltano i movimenti dei rimorchiatori…….. e alcuni dei presenti nemmeno ti salutano (anche se sanno benissimo chi sei), altri ti dicono “fai veloce, cambiati che c’è da andare”….. (ma come, sono montato mezz’ora prima per fare con calma?!)…….. e alle 5.20, dopo una bella corsa in macchina per le strade di un porto ancora sonnacchioso, ti ritrovi nell’oscurità di una banchina che non sai se sia l’Etiopia o l’Eritrea, levante o ponente, radice, prolungamento o testata, (eppure avevo studiato tutto)…. cammini verso il ciglio della banchina, verso il mare e improvvisamente appare come un’astronave la nave che devi ormeggiare, che con il suo bagliore illumina tutto. Si segue come un’ombra il collega più anziano…. ci si rende conto che a prora c’è un’altra squadra di ormeggiatori…. ne arriva un’altra con il gozzo…… tutto diviene più frenetico e tu hai il cuore in gola….. la nave e’ in prossimità della postazione di ormeggio…. si comunica a voce (urla belluine) con gli uomini dell’equipaggio della nave (con un gergo marittimo portuale che sembra inglese ma che, capisci dopo, in realtà è un mix di linguaggi delle marinerie più numerose in giro per il mondo, compreso un po’ di dialetto genovese) per concordare come e quali cavi dare, si comunica con piloti e rimorchiatori via VHF per la posizione finale della nave…… ti lanciano da bordo l’heaving-line (sagola da lancio o appesantita), in genovese si traduce “u livellaine”, cui uno dopo l’altro sono voltati i cavi da ormeggio…. il gozzo con i tuoi colleghi te ne porta altri in prossimità della bitta e quasi magicamente la nave è ormeggiata!


A quel punto capisci di non aver colto quasi nulla di quello che si è fatto, di essere lì per fare l’ormeggiatore ma di non essere ancora un ormeggiatore, e un po’ di timore si insinua dentro di te e ti domandi quando sarai in grado di gestire tutto quello che hai visto solo nella tua prima ora e mezza di lavoro.

Passano i giorni, passano i mesi, a volte gli anni e il quadro a tinte fosche inizia a divenir nitido: si matura la conoscenza dei colleghi che lavorano insieme a te per turni di dodici ore, degli uomini del Corpo Piloti, dei pilotini e degli equipaggi dei rimorchiatori, si impara ad ascoltare la radio VHF quarzata sui canali marittimi dedicati ai servizi portuali e alle emergenze; si inizia ad usare la gestualità marinaresca per salutare e comunicare con gli equipaggi di tutto il mondo. Le navi chiamano, i piloti rispondono e tu riesci a calcolarne  i tempi di evoluzione e manovra a seconda della postazione di ormeggio, dell’utilizzo dei rimorchiatori e della presenza di altre navi: il porto da teorica mappa diventa il tuo habitat naturale e materiale, lo tocchi, lo vivi, ne conosci ogni angolo, ogni insidia, ogni bitta e ogni parabordo e il tuo sapere diviene “saper fare”!

Quando sali sul tuo gozzo e riconosci se il suono del motore sia o meno la musica giusta, controlli le bozze di banco per voltare anche i cavi più “maleducati”, verifichi che il tuo coltello sia alla via, quando ti muovi con destrezza tra i bulbi delle navi che vanno all’ormeggio e i remoni (scie) dei rimorchiatori che le aiutano ad arrivare in banchina, quando capisci anche dal tono di voce del pilota se e quando devi parlare al VHF e quando non devi occupare il canale, allora vuol dire che hai la consapevolezza di riuscire a lavorare riducendo al minimo le insidie che si presenteranno.

E quando poi realizzi che chi non ti aveva dato nemmeno il buongiorno il tuo primo giorno di lavoro e’ proprio colui che più di tutti  è stato attento alla tua incolumità fino a quel momento, allora torna tutto, il primo vagito, ci siamo: è nato un ormeggiatore ……e si deve solo iniziare a crescere!

 

Rapallo, 6 Giugno 2018



SANTUARIO DI N.S. DI MONTALLEGRO LA NOVENA DELL’ALBA

SANTUARIO DI N.S. DI MONTALLEGRO

LA NOVENA DELL’ALBA


Nel sestiere di Borzoli, a circa seicento metri s.l.m., sulle balze del monte Ponzema spicca nel verde delle colline il Santuario di N. S. di Montallegro, testimonianza imperitura della Sua Apparizione in questo luogo.

Era il 2 luglio 1557, quando nelle prime ore del pomeriggio, ad un contadino di San Giacomo di Canevale, Giovanni Chighizola, che tornava dal mercato e sul monte s’era posto a riposare, apparve la Madonna, la quale – così si narra – incaricò Giovanni di avvertire i Rapallesi che ivi voleva essere venerata e come segno tangibile lasciò quel quadretto (una tavola bizantina) rappresentante la dormitio Mariae, mentre dalla vicina roccia sgorgava una limpida sorgente di acqua.

I primi ad accorrere sul luogo furono alcuni contadini della zona e il parroco di S. Ambrogio, Rocco Lucchetti, il quale fu vivamente impressionato dall’avvenimento. La voce del miracolo si diffuse rapidamente e da Rapallo accorsero altri; il Lucchetti, fatta una questua, diede a Nicolosino Bisanino (forse il bargello?) e al magnifico Gio Battista della Torre, una piccola somma, perché provvedessero, a far sorvegliare e custodire il quadretto durante la notte.

La notizia della miracolosa apparizione e fece accorrere folla da ogni luogo e, l’anno seguente, il vicario generale della diocesi di Genova, mons. Egidio Falceta, vescovo di Caorle, ebbe l’incarico di condurre un’indagine accurata sull’ accaduto….

Osservando lo stemma araldico della Città di Rapallo, si nota l’azzurro della sigla Mariana accostata da due grifoni controrampanti sostenenti, con le zampe anteriori, una corona, il tutto d'oro.

Il simbolo indica ovviamente la regalità di Maria e l'eterna riconoscenza che gli abitanti del comune intendono esprimere alla loro celeste Patrona che, da 461 anni, non cessa di ricoprirli di grazie e protezione.
L'inserimento infatti dell'iniziale mariana nel gonfalone cittadino rappresenta un impegno pubblico di devozione e sottomissione. Pochi probabilmente oggi se ne rendono conto ma chi compì tale gesto significativo, il 28 novembre 1948,  certo non aveva gli scrupoli per la "laicità" dello Stato manifestati invece anche purtroppo da molti ecclesiastici di oggi.
Al di là infatti delle vicende che dettero inizio al santuario, i rapallesi, nella semplice saggezza di chi sa davvero leggere, negli avvenimenti storici, i segni del soprannaturale, attribuirono sempre alla protezione di Maria la salvezza del paese rispetto a pestilenze, epidemie di colera e finanche dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale.

I followers del sito di Mare Nostrum Rapallo conoscono i nostri numerosi scritti sulle celebrazioni delle FESTE DI LUGLIO in onore della SS. Vergine. In questi giorni Montallegro diventa una piccola Lourdes, a Rapallo e dintorni si respira aria di fede e devozione: tanti giovani e non più giovani rinnovano ogni anno:

il rito della Novena dell’alba

un antico pellegrinaggio notturno che si snoda sugli impervi sentieri che dalla funivia raggiungono il Santuario (620 mt) cantando e pregando al lume di candele, torce ed oggi di faretti e smartphone.

Gesù disse ai suoi Apostoli:

Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20)-

Questo sembra essere, ormai da molti secoli, il collante che unisce i rapallesi al loro Santuario.

Immagini che rimangono chiuse nello scrigno dei nostri più cari ricordi di gioventù, di amicizia vera e di gioia per essere nati qui…ai piedi di questo sacro Santuario.

I pellegrini di Rapallo sono persone semplici, rimaste ancorate a quei valori ereditati dai loro vecchi e che sicuramente tramanderanno ai loro discendenti, futuri tedofori della stessa FEDE.

Di loro si parla poco, anzi quasi mai! I proiettori dei media sono sempre puntati altrove, dove il male impera e fa notizia…!


NOVENA DEFINIZIONE STORICA

Pratica di devozione in preparazione di una festa o per l'ottenimento di una grazia, consistente in particolari preghiere e meditazioni per nove giorni consecutivi; di origine medievale, è ispirata al periodo di nove giorni passati in preghiera nel Cenacolo dalla Madonna e dagli Apostoli dopo l'Ascensione in attesa della discesa dello Spirito Santo.

Cos’è una NOVENA oggi? La novena è una speciale preghiera che il fedele rivolge a Dio durante nove giorni consecutivi chiedendo l’intercessione particolare della Vergine Maria, di un santo patrono, degli arcangeli o degli angeli custodi. Si è anche soliti pregare le novene in preparazione alle grandi feste liturgiche come il Natale, la Pasqua, la Pentecoste, l’Immacolata o in prossimità di altre solennità importanti.

Una novena molto diffusa è quella in suffragio dei defunti e in favore delle anime del purgatorio secondo una usanza che troviamo nell’Antico Testamento quando Giuda Maccabeo offrì con i suoi uomini un “sacrificio espiatorio” in riparazione dei peccati dei soldati caduti in battaglia.


· La Preghiera a Maria che scioglie i nodi :

Vergine Maria, Madre del bell'Amore, Madre che non ha mai abbandonato un figliolo che grida aiuto, Madre le cui mani lavorano senza sosta per i suoi figlioli tanto amati, perchè sono spinte dall'amore divino e dall'infinita misericordia che esce dal Tuo cuore volgi verso di me il tuo sguardo pieno di compassione. Guarda il cumulo di "nodi" della mia vita.

Tu conosci la mia disperazione e il mio dolore. Sai quanto mi paralizzano questi nodi Maria, Madre incaricata da Dio di sciogliere i "nodi" della vita dei tuoi figlioli, ripongo il nastro della mia vita nelle tue mani. Nelle tue mani non c'è un "nodo" che non sia sciolto.

Madre Onnipotente, con la grazia e il tuo potere d'intercessione presso tuo Figlio Gesù, mio Salvatore, ricevi oggi questo "nodo" (dire il "nodo" che ci opprime). Per la gloria di Dio ti chiedo di scioglierlo e di scioglierlo per sempre. Spero in Te.

Sei l'unica consolatrice che Dio mi ha dato. Sei la fortezza delle mie forze precarie, la ricchezza delle mie miserie, la liberazione di tutto ciò che mi impedisce di essere con Cristo. Accogli il mio richiamo. Preservami, guidami proteggimi, sii il mio rifugio.

"Maria che scioglie i nodi" prega per me.

Novena dell’Alba a Montallegro

PUBBLICATO 19 GIUGNO 2018 · AGGIORNATO 19 GIUGNO 2018

RAPALLO – Inizia sabato prossimo, al Santuario di Montallegro, la novena in preparazione alla festa patronale. Ogni mattina, alle 3.30, il Santuario aprirà le sue porte ai pellegrini, per la preghiera e per celebrare il sacramento della Riconciliazione. Alle 4.20 la recita del Santo Rosario e alle 5.00 la Messa con omelia e la supplica. La novena dell’alba sarà caratterizzata, quest’anno, dalla presenza di sacerdoti e gruppi parrocchiali provenienti da diverse parti della Diocesi. Ad iniziare il cammino di preparazione sarà don Marco Gattorna con i giovani della Val Fontanabuona. Seguirà Don Massimiliano Pendola, con le comunità di Moneglia; Don Andrea Buffoli e i giovani della Val Graveglia; don Alberto Gastaldi e i ragazzi di Chiavari; Don Federico Tavella e i giovani di Lavagna; don Cristiano Princiotta Cariddi e i volontari del santuario; don Paolo Gaglioti e i giovani di Carasco; Don Stefano Mazzini con la comunità del seminario, e per finire, Don Stefano Curotto con i giovani di Rapallo, che concluderanno il cammino domenica 1° luglio. In Basilica, a Rapallo, la Messa di novena sarà celebrata ogni mattina alle 7.00 e alle 10.30 nei giorni feriali, alle 7.30 e alle 10.00 nei giorni festivi; e al pomeriggio alle ore 18.00. La predicazione sarà affidata a Padre James Walsh, del santuario di N. S. della Guardia a Velva, e Padre Attilio Fabris, abate dell’abbazia di Borzone.



ALBUM FOTOGRAFICO


Sull'altare maggiore, è custodita l'immagine miracolosa lasciata dalla Madonna sul luogo dell'apparizione come pegno d'amore alla comunità di Rapallo, insieme allo sgorgare prodigioso di una fonte, le cui acque sono state incanalate in una fontanella che si trova ancora nella cappella laterale del Santuario.

Il quadretto, un'icona bizantina di rara fattura, è protagonista di un altro aneddoto miracoloso: dopo essere stata sistemata nel Santuario, fu notata da alcuni ragusei che vi si erano recati in visita e fu da loro reclamata, sostenendo che provenisse dalla città di Dubrovnic, in Dalmazia. Fu deciso di inviare l'icona a quello che sembrava il suo luogo d'origine ma, durante il viaggio in nave verso la Dalmazia, l’icona sparì misteriosamente e fu ritrovata nel Santuario. I ragusei compresero il segno divino e lasciarono il quadretto miracoloso a Rapallo.



 

LE PUBBLICAZIONI DI MARE NOSTRUM RAPALLO

In occasione dei 450 anni dall’Apparizione della Madonna di Montallegro, Mare Nostrum Rapallo pubblicò:

2007 - MONTALLEGRO, UN FARO SU MARE NOSTRUM

- Quando apparve la Madonna – Quadro Storico -

di Carlo Gatti

- Ex voto marinari – La quadreria del Santuario di N.S. di Motallegro

di Emilio Carta

- Montallegro: ex voto e storia navale

di Maurizio Brescia

 

***

Rapallo: SANTUARIO DI N.S.MONTALLEGRO

Navi, Marinai e la Devozione Mariana

 

 

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=138;navi-marinai-e-la-devozione-mariana&catid=52;artex&Itemid=153

***

La "carretta" BONITAS di Ravano naufraga davanti a Norfolk

 

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=167;bonitas-maria&catid=52;artex&Itemid=153

***

Santuario di Montallegro. VELIERI nella Tempesta

 

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=176;ex-voto&catid=52;artex&Itemid=153

***

 

NARCISSUS - Il Veliero che non voleva morire

 

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=180;narcissus&catid=52;artex&Itemid=153

 

Carlo GATTI

Rapallo, 25 Giugno 2018


I PALAZZI DEI ROLLI - GENOVA

I PALAZZI DEI ROLLI - GENOVA

I ROLLI DAYS

Quando ero in servizio come Pilota del porto di Genova, il mio ruolo era anche definito la “carta parlante del porto e dintorni” e spesso i Comandanti foresti mi rivolgevano questa domanda:

Genova la SUPERBA, Genova la Repubblica Marinara. Ma cosa é Genova per te che la vedi tutti i giorni da molte angolazioni?”

Dovendo fare molta attenzione alla manovra in corso dovevo dare risposte rapide e magari un po’ curiose e stimolanti… per cui mi ero nel tempo affinato una risposta di questo tipo:

“Genova é come quelle signore senza età che non si truccano e non indossano gioielli perché sanno di essere più “affascinanti” di tante realtà moderne e appariscenti che brillano al sole con i loro grattacieli di cristallo senza storia. Genova é nascosta nell’ombra! Per amarla occorre scoprirla camminando con lo sguardo rivolto sempre verso l’alto. Provaci Comandante, ma ti avverto che la Genova che conosco io si dà solo a chi rispetta la sua intimità che si snoda tra simboli misteriosi, scorci improvvisi che ti tolgono il fiato, e silenzi che ti parlano dentro con mille domande…!”

Genova, città portuale del Mediterraneo, cresciuta attorno ad una aggrovigliata ragnatela di vicoli ha accolto, fin dall’inizio della sua storia di potenza marittima, quei “refugees” provenienti dall’Africa e dall’Asia più vicina, ma anche da quella più lontana. Li ha accolti senza ghettizzarli nelle periferie, ma accogliendoli nel cuore del suo centro storico, il più grande ed intrigante d’Europa. Tra questi immigrati c’erano anche futuri ammiragli e armatori diventati famosi e potenti scoprendo, come cantava De André”, che dal letame nascono i fiori”…..

Le città portuali si assomigliano tutte perché nei loro vicoli scorre sangue intriso di mare, dove tutti si capiscono parlando la stessa lingua, raccontando le stesse esperienze vissute a bordo delle navi del loro tempo, nei porti e negli angiporti di tutto il mondo. Queste città portuali hanno una peculiarità internazionale: quella di essere enclave accoglienti per vocazione e per interesse… dove non si fanno domande sulle razze, religioni e guerre, ma si convive pacificamente credendo nel mercato, negli scambi e nelle contrattazioni a tutti i livelli.

Con questa tipica visione prettamente mercantile, a Genova si é strutturata nel tempo una coabitazione non sempre facile, e tuttavia culturalmente feconda, fra genovesi e “foresti”, che si sono suddivisi le stesse strade e gli stessi palazzi. Palazzi un tempo sontuosi, appartenuti all’aristocrazia mercantile della città, e poi lasciati andare (non tutti), ma che portano ancora evidenti i segni della loro bellezza nei portali scolpiti di marmo o ardesia, nei grandi scaloni che salgono verso attici e terrazze dal panorama vertiginoso, nelle edicole votive esposte quasi di nascosto ad ogni angolo di strada.

Quanto finora raccontato é soltanto la PREMESSA per introdurre e presentare una nuova prospettiva storico-culturale del capoluogo ligure che é scaturita dal riconoscimento dell’UNESCO di una parte del suo patrimonio urbanistico e non solo, ovviamente.

COS’E’ L’UNESCO?

Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, istituita a Parigi 4 novembre 1946, è nata dalla generale consapevolezza che gli accordi politici ed economici non sono sufficienti per costruire una pace duratura e che essa debba essere fondata sull'educazione, la scienza, la cultura e la collaborazione fra nazioni, al fine di assicurare il rispetto universale della giustizia, della legge, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione.

…………………………………………………………………………………………………………..

Quando sentii per la prima volta parlare dei PALAZZI DEI ROLLI di Genova, rimasi sorpreso e andai subito alla ricerca della genesi di questo nome nei vecchi libri di Genova che ereditai dai miei. Con la massima delusione, devo confessare, non trovai nulla che mi spiegasse l’arcano di questa novità culturale che oggi sta letteralmente incendiando d’amore Genova alla ricerca  della sua cultura nascosta.

Migliaia di turisti stanno arrivando da tutto il mondo nel nostro Capoluogo per scoprire FINALMENTE ciò che, appunto l’UNESCO, ha regalato “in anteprima” a noi liguri e a tutto il mondo dell’arte in generale. Un patrimonio quindi che esce dai salotti, dai club privati di pochi per entrare nelle case di tutti noi per arricchire quella GENOVESITA’ che pare non essere mai sazia di svelarci, passo dopo passo, antichi e incomparabili patrimoni di bellezza, ricchezza e di storia.

La seconda parte del saggio é dedicata ad un nutrito servizio fotografico dei Palazzi dei Rolli, il cui scopo é quello di stimolare il lettore ad incamminarsi lungo il “pellegrinaggio” culturale dei ROLLY DAYS le cui visite guidate sono quanto di più organizzato e stimolante si possa desiderare.

L’invenzione dei Rolli

Con palazzi dei Rolli (alle volte solo Rolli) si intendono le dimore del patriziato genovese utilizzate al tempo della Repubblica come alloggi di rappresentanza per gli ospiti stranieri illustri: la recente fortuna di questa denominazione è legata all’inclusione nel 2006 di una quarantina di tali residenze tra i “patrimoni dell’umanità” censiti dall’UNESCO in quanto primo esempio in Europa di un progetto di sviluppo urbano concepito con struttura unitaria dal potere pubblico, ma attuato da privati secondo criteri di eccellenza artistica e architettonica. Secondo un decreto del Senato genovese risalente al 1576, i proprietari di questi palazzi, iscritti in una serie di elenchi (i “rolli” appunto), erano tenuti ad ospitare a proprie spese i visitatori stranieri di alto rango, essendo la Repubblica, in quanto tale, priva di un “palazzo regio” di rappresentanza confacente a tale scopo: questa caratteristica funzionale contribuì a determinare e a divulgare la fama mondiale dell’architettura privata genovese come modello architettonico e residenziale di prestigio, consacrato tra gli altri da una celebre raccolta di disegni (1622) di P.P. Rubens.

Per i lettori più esigenti, prendiamo a prestito dal Comune di Genova la spiegazione tecnico-storica del termine ROLLI:

La denominazione accolta dall’organizzazione internazionale (“Palazzi dei Rolli”, dunque, o più in esteso “Palazzi dei Rolli degli alloggiamenti pubblici di Genova”) altro non fa che attualizzare una terminologia appartenente al linguaggio burocratico-amministrativo cinquecentesco, utilizzata nel 1576 (e poi, con successive revisioni, nel 1588, 1599, 1614 e 1644), per determinare la classificazione dei palazzi deputati a tale scopo: le dimore erano iscritte in tre “rolli” corrispondenti ad altrettante categorie in rapporto alle loro dimensioni e qualità artistica, e in base a tali criteri erano destinate, mediante estrazione a sorte annuale, a ospitare principi e cardinali, viceré, ambasciatori, governatori e così via; solo tre di esse erano riservate ai papi e imperatori, re e loro diretti rappresentati.

Rollo, dunque, non è altro che la forma genovese e italiana antica del termine moderno “ruolo”, dal francese rôle, derivato a sua volta da ROTŬLUS nel senso di “manoscritto, documento arrotolato”. La voce appare in questa forma, in italiano, a partire dal 1528 col significato originario di “catalogo, registro, elenco di persone facenti parte di un impiego, di un’organizzazione, di una corte”, dal quale derivano gli altri in uso attualmente, di “registro di pratiche”, “parte sostenuta da un personaggio in opere di finzione”, “compito, atteggiamento sociale” ecc.

Invenzione fortunata

Il recupero attuale del termine Rolli non riguarda insomma una voce specialistica, particolarmente legata all’istituzione degli “alloggiamenti pubblici” della Repubblica, ma un termine generico, appartenente al linguaggio burocratico dell’epoca: agli artefici di tale reimpiego, che non pare anteriore alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, va in ogni caso riconosciuto il merito di avere appunto “inventato” una definizione di indubbia valenza evocativa per un insieme di beni architettonici e urbanistici dei quali si era ormai da tempo perduta una percezione unitaria, una denominazione ormai entrata stabilmente nell’uso comune non meno che nella letteratura e nella pubblicistica specializzata.

I Palazzi dei Rolli inclusi nel Sito Patrimonio dell'Umanità UNESCO Sono: 42

I documenti dei Rolli, esposti in occasione dei Rolli Days nell'ottobre 2017

Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO

LA MAPPA DEI PALAZZI ROLLI

*Palazzi dei Rolli non ancora entrati nel patrimonio dell'Umanità

*Palazzi dei Rolli patrimonio dell'Umanità

*Palazzi dei Rolli non patrimonio dell'Umanità (che hanno subito modifiche importanti)

*Palazzi dei Rolli patrimonio dell'Umanità (che hanno subito modifiche importanti)


Palazzi in Via Garibaldi verso piazza Fontane Marose

 


Palazzo Doria Spinola (1541-1543)

Sede della Prefettura e dell'Amministrazione Provinciale Immagine dalla città di Genova

 


Palazzo Clemente Della Rovere (1580-1581)

 


Palazzo Giorgio Spinola - Compare nel Rollo del 1588


Palazzo Tommaso Spinola (1558-1561)

 


Palazzo Giacomo Spinola di piazza Fontane Marose 1445-1459

Banco di Sardegna (patrocinatore del recupero)

 


Palazzo Ayrolo Negrone, Piazza delle Fontane Marose - 1500-1600

Iscritto nel Rollo del 1664

Alla grandiosità architettonica corrisponde, all’interno, un’altrettanta ricchezza decorativa

 


Palazzo Interiano Pallavicini, Piazza delle Fontane Marose

(1565-1567)

 


Palazzo Pallavicini Cambiaso (1558-1560)

Sede della Banca Popolare di Brescia

 


Palazzo Pantaleo Spinola (1557-1558)

Ospita affreschi dei maggiori pittori liguri

 

Palazzo Lercari Parodi (1571)

Nella volta del salone del secondo piano nobile si trova un vero capolavoro della pittura genovese: l'affresco di Luca Cambiaso che raffigura l'impresa di Megollo Lercari con la costruzione del fondaco dei genovesi a Trebisonda, ossia le costruzioni necessarie per condurre i commerci nella colonia genovese sul mar Nero. L'affresco vuole al tempo stesso ricordare la costruzione del palazzo Lercari in Strada Nuova, fornendo così un'idea dell'aspetto della via negli anni della sua apertura.

 

Palazzo Carrega Cataldi in via Garibaldi, verso piazza Fontane Marose (1558-15561)

L'edificio è oggi sede della Camera di Commercio di Genova.

 


Palazzo Angelo Giovanni Spinola (1558-1576)

detto della Banca d'America

 


Palazzo Doria-Tursi Via Garibaldi (iniziato 1565)

L'edificio è sede del Comune di Genova e fa parte del polo museale della città.

 


Palazzo Nicolosio Lomellino o Palazzo Podestà (1559-1565)

La facciata, su progetto del Bergamasco, è movimentata da una ricca decorazione a stucco, con erme femminili alate, a sorreggere la cornice marcapiano del pianterreno; nastri e drappi a reggere, al primo piano, trofei d'armi; ghirlande e mascheroni a coronamento delle finestre, con figure classiche entro medaglioni ovali, al secondo. La decorazione a stucco all'antica, applicata per la prima volta in epoca moderna da Raffaello nelle Logge Vaticane e precocemente importata a Genova dal suo allievo Perin del Vaga nella decorazione della Villa Principe, si dispiega qui per la prima volta su vasta scala coprendo l'intero prospetto. La sua esecuzione è attribuita all’urbinate Marcello Sparzo.

Palazzo Cattaneo Adorno (1553-1588)

All'interno del portone al numero 10 la decorazione affrescata, opera di Lazzaro Tavarone, celebra sulla volta dell'atrio un'impresa bellica di Antoniotto Adorno, doge antenato dei proprietari, datata 1624. Nella sala del piano nobile, sempre di Lazzaro Tavarone, è l’affresco raffigurante l'Incontro di papa Urbano VI a Genova con il doge Antoniotto Adorno. In altri salotti sotto le volte affrescate con soggetti mitologici, si conservano preziosi mobili e soprammobili e parte della ricca e nota quadreria comprendente notevoli dipinti tra il XVI e il XVII secolo.

 

Palazzo Doria - Tursi splendente (iniziato nel 1565)

È l'edificio più maestoso della via, unico edificato su ben tre lotti di terreno, con due ampi giardini a incorniciare il corpo centrale. Le ampie logge affacciate sulla strada vennero aggiunte nel 1597, quando il palazzo divenne proprietà di Giovanni Andrea Doria che lo acquisì per il figlio cadetto Carlo, Duca di Tursi, al quale si deve l'attuale denominazione. Dal 1848 è sede del municipio genovese.


Palazzi in Via Garibaldi verso piazza Fontane Marose

Palazzo Bianco e giardino pensile di ponente di Palazzo Doria Tursi (1530-1540)

Ospita una sezione dei Musei di Strada Nuova, che comprendono anche Palazzo Rosso e Palazzo Doria-Tursi, specificamente dedicata alla pittura a Genova e in Liguria tra XVI e  XVIII secolo, e con importanti sezioni di arte italiana, fiamminga e spagnola.

 

Palazzo Rosso (1671-1677)

Ospita la prima sezione dei Musei di Strada Nuova, che comprendono anche Palazzo Bianco e Palazzo Doria-Tursi, dedicata principalmente alle collezioni d'arte dei Brignole-Sale, in parte ospitate in sale che conservano l'arredo e la decorazione originale.

 


Palazzo Gerolamo Grimaldi, (1536-1544) facciata su piazza della Meridiana

 


Palazzo Gio Carlo Brignole

 


Palazzo Bartolomeo Lomellini (1556-1570)

 

Palazzo Lomellini Doria Lamba (incluso nei Rolli dal 1588 al 1664)

 


Palazzo Belimbau (finito nel 1594)

Università degli Studi di Genova

 


Palazzo Durazzo Pallavicini (1774)

 

Palazzo Gio Francesco Balbi - piazza


Pierre Paul Rubens

Facciata del Palazzo dei signori Giacomo e Pantaleo Balbi

Genova-palazzo Francesco Maria Balbi

Via Balbi, sede universitaria


Palazzo Reale, controfacciata (1618-1620)

Il Palazzo Reale o Palazzo Stefano Balbi è uno dei maggiori edifici storici di Genova inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova,divenutiintaledata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO.

I giardini di Palazzo Reale

La galleria

Il palazzo reale conserva i mobili originali di tutta la sua lunga storia ed include mobili genovesi, piemontesi e francesi della metà del XVII secolo fino all’inizio del XX secolo. Tra questi si possono ricordare mobili dell’ebanista britannico Henry Thomas Peters.

Tra gli affreschi più importanti sono da notare: La fama dei Balbi di Valerio Castello e Andrea Seghizzi; La primavera che spinge lontano l’inverno di Angelo Michele Colonna e Agostino e Giove che manda giustizia sulla Terra di Giovanni BNattista Carlone.

Con oltre duecento dipinti esposti nei due piani nobili si trovano opere dei migliori artisti genovesi del Seicento come Bernardo Strozzi, il Grechetto, Giovanni Battista Gaulidetto, il Baciccio, Domenico Fiasella insieme a capolavori dei Bassano, Tintoretto, Luca Giordano, Antoon Van Dyck, Simon Vouet, e GuercinoInoltre si può ammirare una collezione di sculture antiche e moderne: tra queste ultime spiccano opere di Filippo Parodi, uno dei massimi esponenti della scultura barocca genovese. Fastosa è la galleria degli specchi dove spiccano quattro statue (Giacinto, Clizia, Amore o Narciso, Venere) di Filippo Parodi e un gruppo marmoreo (Ratto di Proserpina) di Francesco Schiaffino.

Palazzo Cosma Centurione (1684-1755)

Detto anche Palazzo Durazzo Pallavicini o Palazzo di Gerolamo III Pallavicino, dal nome dei successivi proprietari, per la sua architettura e per gli affreschi conservati all’interno è un insigne esempio di barocco genovese.

 

Palazzo Giorgio Centurione

Crocicchio di via del Campo-Via Lomellini-Via Fossatello


Palazzo Cipriano Pallavicini

L’edificio fu costruito sul finire del XV secolo

 

Palazzo Spinola in Pellicceria o palazzo Francesco Grimaldi (1593)

Fra le opere più celebri esposte sonoː

· Antonello da Messina, Ecce Homo

· Pieter Brueghel il Giovane, Le tentazioni di Sant’Antonio Abate

· Valerio Castello, Sposalizio della Vergine

· Orazio Gentileschi, Sacrificio di Isacco

· Guido Reni, Amor Sacro e Amor Profano

· Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, Circe

· Bernardo Strozzi, Ritratto femminile

· Peter Paul Rubens, Ritratto equestre di Gio. Carlo Doria

· Joos van Cleve, Ritratto di Stefano Raggio


Palazzo Gio Battista Grimaldi

in Vico San Luca a Genova


Palazzo Stefano De Mari


Palazzo Ambrogio Di Negro

fotografato dalla prospiciente chiesa di San Pietro in banchi. (1569-1572)

Ospita la sede della Fondazione Edoardo Garrone.

Palazzo Emanuele Filiberto Di Negro (1600)


Palazzo Croce De Marini (XVI secolo)

72 sono gli altri Palazzi dei Rolli non inclusi nel Sito Patrimonio dell’Umanità UNESCO

Genova, i Rolli Days di maggio 2018: palazzi aperti, programma, visite guidate e novità

Consultare il seguente sito:

http://www.mentelocale.it/genova/articoli/75721-genova-rolli-days-maggio-2018-palazzi-aperti-programma-visite-guidate-novita.htm

Di seguito l’elenco delle aperture straordinarie dei “Rolli Days” del 24 e 25 maggio:


1. Palazzo Antonio Doria - Largo Eros Lanfranco 1
2. Palazzo Franco Lercari – Via Garibaldi 3
3. Palazzo Tobia Pallavicino - Via Garibaldi 4
4. Palazzo Angelo Giovanni Spinola - Via Garibaldi 5
5. Palazzo Gio Battista Spinola - Via Garibaldi 6
6. Palazzo Nicolosio Lomellino - Via Garibaldi 7
7. Palazzo Giacomo e Lazzaro Spinola - Via Garibaldi 10
8. Palazzo Nicolò Grimaldi (Musei di Strada Nuova - Palazzo Tursi) - Via Garibaldi 9
9. Palazzo Luca Grimaldi (Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco) - Via Garibaldi 11
10. Palazzo Ridolfo Maria e Gio Francesco I Brignole Sale (Musei di Strada Nuova - Palazzo Rosso) - Via Garibaldi 18
11. Palazzo Baldassarre Lomellini - Via Garibaldi 12 (solo sabato)
12. Palazzo Gerolamo Grimaldi (Palazzo della Meridiana) - Salita San Francesco 4
13. Palazzo Stefano Lomellino (Palazzo Doria Lamba) - Via Cairoli 18
14. Palazzo Giorgio Centurione (Palazzo Durazzo Pallavicini) - Via Lomellini 8
15. Palazzo Gio Battista Centurione - Via del Campo 1 (solo sabato)
16. Galleria Nazionale di Palazzo Spinola - Piazza Pellicceria 1
17. Palazzo Ambrogio di Negro – Via San Luca 2
18. Palazzo De Marini - Piazza De Marini 1
19. Palazzo Cattaneo della Volta - Piazza Cattaneo 26
20. Palazzo Gio Vincenzo Imperiale - Piazza Campetto 8
21. Palazzo Cesare Durazzo - Via del Campo 12
22. Palazzo Gio Francesco Balbi – Via Balbi 2 (Università degli Studi di Genova)
23. Palazzo Giacomo e Pantaleo Balbi - Via Balbi 4 (Università degli Studi di Genova)
24. Palazzo Stefano Balbi (Museo di Palazzo Reale) - Via Balbi 10
Teatro Altrove (Palazzo Fattinanti Cambiaso) - Piazzetta Cambiaso1
Villa del Principe - Piazza del Principe 4  

GENOVA - SABATO 24 E DOMENICA 25 MAGGIO
Tutte le manifestazioni sono a ingresso libero.
www.visitgenoa.it

Carlo GATTI

Rapallo, 19 Giugno 2018

 


YACHT PASSE PARTOUT

YACHT PASSE PARTOUT

Siamo tutti sulla stessa barca!
Ma in pochi sullo stesso yacht.
(Gianni Palladino)

Attratto dall’eleganza e dall’altezza degli alberi del PASSE PARTOUT, ho scattato alcune fotografie; nel frattempo é comparso lo Skipper dal quale ho avuto i dati tecnici che ho riportato in questo servizio.

PASSE PARTOUT é uno Yacht molto lussuoso con lo scafo in acciaio e sovrastrutture in alluminio.

Architetto Navale: Tony Castro Design

Costruito da Jongert Yachts - fu Varato nel 2001 – Ultimo refitting nel 2009.

Lo Yacht PASSE PARTOUT ormeggiato nel porto di Santa Margherita Ligure


 

Gli alberi hanno un’Altezza rispettivamente di 50 mt. e 38.5 mt.

 

Lunghezza= 46 é lungo 42.00 mt.

Larghezza= 8.50 mt.

Superficie Velica= 924 m/2

Compartimento attuale= Barcellona – Spagna

E’ dotato di un’elica di prora

PASSE PARTOUT offers accommodation for up to 8 guests in 4 suites comprising 1 owner cabin, 1 double cabin, 2 twin cabins, 3 pullman cabins. She is also capable of carrying up to 6 crew onboard to ensure a relaxed luxury yacht experience.

ALBUN FOTOGRAFICO

 






 

La vera pace di Dio comincia in qualunque luogo
che sia mille miglia distante dalla terra più vicina.
(Joseph Conrad)

 

Carlo GATTI

Rapallo, Venerdì 15 Giugno 2018


LA FOCACCIA SA DI MARE ...

LA FOCACCIA SA DI MARE …

PREMESSA:

Regione che vai, focaccia che trovi!

Non c’è angolo d’Italia che non abbia una sua specialissima e tradizionale focaccia da gustare lungo la strada,  a casa, ovunque…

In Italia se si vuole gustare una focaccia non c’è che l’imbarazzo della scelta e le varianti sono davvero numerose. Qualche esempio? La focaccia alla genovese, la focaccia di Recco, la schiacciata, la pinza veneta, la pinsa romana, la stria emiliana, lo gnocco al forno con ciccioli, la focaccia di Susa, quella barese e quella messinese, la crescia marchigiana e umbra, la pitta calabrese, la puccia salentina e chi più ne ha più ne metta.

Tra le specialità più amate della Liguria c’è senza dubbio la famosa focaccia alla genovese (in dialetto fugàssa). Prima dell’ultima lievitazione questa focaccia viene spennellata con un'emulsione composta da olio extravergine d’oliva, acqua e sale grosso. Nei forni liguri si trova anche la focaccia di Recco, preparata con una sfoglia sottilissima ripiena di formaggio fresco. La specialità, che ha conquistato il marchio di Indicazione Geografica Protetta, risalirebbe al XII sec. C’è anche la focaccia di Voltri che ha gli stessi ingredienti della classica di Genova, ma la consistenza dell’impasto e la sua cottura sono diversi.


Dopo la consueta premessa, il lettore avrà capito la “rotta” che faremo e dove andremo a dare fondo l’ancora…

Quando verso le 05 smontavo dal turno di notte in porto, era ancora troppo presto per tornare a casa, svegliare Kendo, il nostro Akita Inu, che a sua volta avrebbe svegliato mia moglie e i nostri quattro studenti...

Era meglio soprassedere onde evitare “cagnare” nel vicinato infine, sarebbe stato più divertente svegliare la truppa con il profumo della focaccia con la cipolla sotto le narici…

L’alternativa era sempre molto attraente: si trattava di ripetere un “pellegrinaggio” costiero ormai collaudato da anni, il Tour della focaccia a tappe che si snodava al buio per 30 km lungo l’Aurelia fino a Rapallo.

Se smontavo di guardia dal Porto Petroli di Multedo andavo addirittura qualche chilometro nella direzione opposta fino a Voltri, presso il famoso panificio Priano: un mito sacro per gli amanti della focaccia alla genovese tradizionale e con la cipolla, la mia passione!


Se invece smontavo dal Porto di Genova facevo tappa da BRI, a pochi metri dalla spiaggia di Priaruggia per l’incontro settimanale o quasi con il panettiere Giuan e qualche gabbiano nella baia. Era sempre buio e tra noi ed il solito guardiano notturno che chiamavo “baffo”, per ovvi motivi, si era stabilita una simpatica complicità, anche perché eravamo gli unici esemplari viventi in posizione eretta tra 600.000 genovesi allungati…

Conoscendo l’orario della prima sfornata, mi presentavo al momento giusto per ritirare il mio primo chilo di focaccia “bionda” con la cipolla, ma era pronto anche il secondo chilo di quella tradizionale che avvolgevo nella carta gialla tradizionale e poi in un plad per mantenerla al caldo; belin! riflettevo tra me: “ma guarda un po’ come li ho viziati questi gattini!”

La nostra cambusa di casa, finalmente, cominciava a stivarsi di roba buona! A parte mi facevo allungare due etti di “bionda morbida” che divoravo insieme a Giuan.

La focaccia con la cipolla va innaffiata col bianchino ed il mio amico, in cambio di un paio di pacchetti di Marllboro ricevute in regalo da un Comandante soddisfatto della manovra, mi allungava un gotto di quello buono di “Coronata” che teneva sotto il banco…, si brindava al GENOA e alla salute dei nostri vecchi.

Ora vi é persino più facile capire quanto fosse giustificata quella sosta notturna al termine di una tirata di 24 ore di sali e scendi dalle biscagline delle navi!

Devo solo aggiungere che quella piccola “crociera” era un rito famigliare, simile ad una nuotata nell’azzurro mare o nella piscina sotto casa in cui vedi o sogni un altro mondo perché sai che l’altro sta dormendo!

Uscivo dal negozio ma non riuscivo a staccarmi fisicamente da quella baia, e con la complicità delle note di Bruno Lauzi m’intrattenevo ancora un po’ con i gabbiani che non disdegnavano il lancio di piccoli bocconi di focaccia impregnata di olio buono; quella con la cipolla non la volevano, forse sentivano che non gliela avrei mai data…

Il più aggressivo e sfacciato lo chiamavo “gundun” e quello che invece si faceva fregare il boccone era u “belinun” di turno, e così lo chiamavo. Abitavano lì da sempre per abbellire l’alba e animare le giornate invernali, erano sempre gli stessi, mi conoscevano bene e leggevo nei loro occhietti il desiderio che fossi sempre di notte. Si sentivano i custodi di quel piccolo paradiso ai confini della Grande Genova.

Priaruggia di notte

ANCHE LA FOCACCIA HA LA SUA STORIA

Congedandomi dai miei amici di Priaruggia, Giuan mi diceva sempre la stessa frase: Salutami la concorrenza” Gente de Rivëa, gente de galëa!”

Sapeva che la tappa successiva era Recco dove mi sarei tuffato su un paio di chili di focaccia col formaggio …

Una volta gli raccontai la vera storia da “fugassa rechelinna”: “Chissà quante volte l’hai mangiata quella di Recco, ma forse non conosci la sua origine: la focaccia di Recco nacque nel XII secolo, o meglio, a quell'epoca risalgono i primi documenti che parlano di questa specialità gastronomica.

Come veniva impiegata? Ebbene, sembra proprio che a fugassa de Recco venisse offerta ai crociati in partenza per la Terra Santa. Ma c'è anche chi dice che questa ricetta semplice e genuina fu "ripescata" nel '500 quando - a causa delle invasioni dei saraceni - la popolazione di Recco era costretta a rifugiarsi sulle alture, sopravvivendo con poche provviste e tanta fantasia. Ma non mancano altre testimonianze che risalgono alla letteratura del XIX secolo”.

“ Amiâ Charly che quelli de Recco no dàn un belin a nisciun. Ti pàrli de musse a mi che n’ho faeto di libri…”.

Giuan era il tipico personaggio da caroggi, schietto e genuino e ci soffriva che la sua focaccia col formaggio non fosse da me apprezzata come quella di Recco.

Non siamo qui per fare la réclame ai panifici nostrani tuttavia, chi legge ha anche il diritto di sapere chi merita almeno un sincero ringraziamento per la dedizione e indubbia capacità di realizzare focacce che portano il marchio della Riviera di Levante nel mondo.

Siamo a Recco per la penultima tappa presso il Panificio MOLTEDO, il quale é soprattutto celebre per la focaccia col formaggio.

Prima di lasciarvi in compagnia di chi ne sa più di me, cioè del Consorzio Recco Gastronomia, posso assicurarvi che esistono privati cittadini che nelle loro ville tra Recco e Camogli s’improvvisano focacciai di primissimo ordine, in quanto portatori di segreti orali che si tramandano da padre in figlio da secoli, senza comunicazioni con l’esterno… Tra questi vi é un mio carissimo Amico, un Comandante-Pilota di navi che tutti conoscete, ma che evito di rendere pubblico perché, come dicono i camoglini, maniman….. che esprime un concetto intraducibile!

SOSTA “NON FOCACCIERA” A SAN LORENZO DELLA COSTA


Isola del Tino -  Faro di San Venerio

La tappa successiva non posso definirla tale perché si tratta soltanto della sosta doverosa del marinaio, una specie d’inchino al MARE ed ai suoi abitanti. Alcuni potrebbero definirla “romantica”, ma per chi scrive é un’altra cosa, forse si tratta di una deformazione professionale: del ritorno al passato di navigante, quando venendo da lontano, vedevo la “spazzola” del faro all’orizzonte e sentivo l’odore di casa…

Arrivato tra il “lusco e il brusco” a San Lorenzo della Costa - (300 mt. s.l.m.) - presso il bivio dove l’Aurelia si divide per chi scende a Santa o prosegue per Rapallo, c’é un piccolo spazio per posteggiare. Se il tempo é sereno, da quell’osservatorio speciale si vede il faro di San Venerio situato sull’isola del Tino:

Elevazione 99 m s.l.m. – Ultima costruzione 1884 – Portata 25 miglia nautiche -

 

Tempo fa, durante una di quelle soste con “vista sul Tino” mi capitò un fatto insolito… Una pantera della polizia mi piombò alle spalle, in un baleno uscirono due militari in mimetica armati di mitra! Era il periodo delle brigate rosse. “Venga fuori con le mani alzate!” –  Urlarono -

“Avrò dimenticato di pagare la focaccia…!” – Pensai tra me –

“Mi faccia vedere i documenti! Cosa fa a quest’ora con il binocolo in mano?”

Ridendo gli spiegai il motivo della mia sosta e con una certa ironia scartai la focaccia ancora calda e dissi: “La preferite con o senza cipolla? Potremmo anche stapparci una bottiglia di bianco di Coronata”

Scoppiarono a ridere e quella sosta si concluse con la mia dotta spiegazione delle caratteristiche del faro del Tino:

3 lampi bianchi - periodo 15 secondi

 

Ultima sosta a Rapallo

Giancarlo Mangini ha scritto:

“I rapallini si dividono, per quel che riguarda la focaccia, tra le PellegrineVivaldi. Il panificio delle Pellegrine si trova sotto i portici di via Garibaldi, è una istituzione a Rapallo; invece il panificio di Vivaldi è nella parte pedonale di via Mameli, quasi sotto al campanile pendente della basilica. Io sono vivaldiano – così ora i pellegrinisti mi odieranno, ma entrambi i panifici sono, a mio parere, al top dell'arte bianca, ma ognuno ha le sue preferenze”.

Giustissimo! Ognuno ha le sue preferenze e se proprio devo dire la mia aggiusterei il tiro in questo modo “diplomatico” ma sincero:


“Apprezzo molto Vivaldi, ma il mio cuore batte per le Pellegrine per la sua location medievale a ridosso del mare e per i tanti ricordi dell’ultima tappa del mio laico Pellegrinaggio mattutino che mi sono rimasti dentro.

Gustare la focaccia calda sugli scogli della passeggiata, con gli spruzzi delle mareggiate in faccia, ha un sapore unico di Riviera che rimane scolpito non solo nello stomaco…”

Un posto del cuore, per i ricordi che evoca, è il sotto portico delle Pellegrine a Rapallo.

Il panificio Le PELLEGRINE lo si raggiunge facilmente seguendo il profumo della focaccia nell'aria di Caroggio Drito.

 

Concludiamo con alcune RICETTE per gli appassionati

LA FOCACCIA GENOVESE

Ma la focaccia a Genova non si mangia solo a colazione: ci si ferma a comprarla e si mangia strada facendo come spuntino, è la merenda che si portano i bambini a scuola, sostituisce il pane durante i pasti, sempre presente nei buffet delle feste e per i nottambuli ci sono posti dove dopo la discoteca si trova calda già alle due o tre di notte.

Insomma, è una vera istituzione. E’ una presenza costante, sfornata a tutte le ore.

Inutile dire che ogni genovese ha i propri gusti e di conseguenza il proprio forno e la propria focaccia di riferimento, fermo restando che ci sono alcuni requisiti che una Focaccia con la effe maiuscola non può non avere.

Prima di tutto, se non lascia le dita unte, allora non è lei!

A deve coa d’eujo, deve colare olio, essere ben unta e salata, avere tanti œggi (tanti occhi) cioè tanti buchetti, nè molle nè elastica, ma morbida dentro con il bordo e la superficie croccanti, soprattutto mai e poi mai deve essere troppo alta! in tal caso si chiama marinara.

“Una volta sfornata la focaccia avrà una crosta color nocciola, bianco-avorio nelle occhiature.
Nella parte inferiore deve presentarsi giustamente unta, bianca e dorata. Deve essere alta mediamente due centimetri. L’occhiatura irregolare e profonda con tracce d’olio. Nella parte superiore possono essere presenti alcuni brillantini di sale.
Il profumo deve essere discretamente intenso, di leggera persistenza, non avere sensazioni dolciastre, ma tradire sfumature aromatiche dovute all’olio extravergine di oliva. Al palato è morbida, equilibrata nei gusti fondamentali (acido, dolce, salato), mai gommosa, ma croccante in superficie. Una leggera sensazione di amarognolo, dovuta all’olio, può essere lievemente percettibile. E’ invece chiaramente riscontrabile la sensazione di untuosità.”

La prova del nove comunque è data dalla durata, difficile che superi il giorno dopo, però una buona focaccia fatta al mattino alla sera è ancora mangiabile.
Vi consiglio in ogni caso di consumarla tiepida o comunque entro alcune ore dopo averla sfornata per gustarne appieno la bontà.

Per la focaccia in fondo ci vogliono pochi e semplici ingredienti: farina, acqua, olio d’oliva, lievito, malto e sale.

E’ la lavorazione che fa la differenza oltre alla qualità degli ingredienti, quindi seguite minuziosamente tutti i passaggi che ho descritto in attesa che sia in grado di creare un video.

Se siete abituati ad usare il lievito madre, potete sostituire al lievito di birra circa 150 g di lievito madre, fermo restando che la ricetta DOC riconosciuta della vera focaccia genovese è quella che vi ho scritto sotto.

La durata della lavorazione (dall’inizio dell’impasto all’infornata, comprese le varie lievitazioni) è stimata dal disciplinare in 10 ore (non può comunque essere inferiore alle otto ore), con tolleranze che tengono conto del tempo atmosferico: umidità, temperatura.

La cosa più difficile secondo me è imparare a fare i buchi, perchè ci viene d’istinto farli con la punta dei polpastrelli e delicatamente, invece dobbiamo imprimere con un movimento deciso ed una certa forza tutta l’ultima parte delle ultime falangi.

 

La focaccia ligure


Ricetta di Ezio Rocchi

Ingredienti

Per la biga:

Per l'impasto:

Dosi di salamoia per una teglia di 30x40:

  • 100 g di acqua salata (55 g di sale in 1 l di acqua)
  • 50 g di olio extravergine d'oliva

Istruzioni

  1. La sera prima preparare la biga che deve fermentare 12/14 ore a temperatura ambiente (18-20°C): impastate brevemente tutti gli ingredienti, circa 4 minuti nell'impastatrice.
  2. Il mattino dopo iniziate l'impasto con farina, biga, sale, malto ed acqua (tenendone da parte il 5% che andrà aggiunta verso la fine).
  3. Dopo 5 minuti aggiungete il lievito e successivamente l'olio.
  4. Dopo circa 8 minuti aumentate la velocità dell'impastatrice ed aggiungete la restante acqua.
  5. Impastate ancora circa 4 minuti.
  6. Terminato l'impasto dividete subito senza tempo di riposo in pezzature da 500 g, date una piega e date una forma rettangolare, schiacciando leggermente.
  7. Lasciate riposare 30 minuti su una tavola infarinata con la chiusura verso il basso.
  8. Stendete con il mattarello e mettere su una teglia unta con 20 g di olio senza preoccuparsi di coprire tutta la teglia.
  9. Lasciate lievitare 30 minuti e poi schiacciate e stirate con le mani fino a coprire l'intero spazio della teglia.
  10. Lasciate lievitare per un'altra ora.
  11. Spolverate con farina e fate i buchi.
  12. Per fare i buchi è necessario usare le dita di entrambe le mani che lavorano in parallelo, partendo da un'estremità della teglia per arrivare all'altra. Fate attenzione a non usare solo la punta delle dita ma tutta l'ultima falange!!!
  13. Versare sull'impasto la quantità indicata per ogni teglia di salamoia ed olio - non preoccupatevi se vi sembra eccessiva - dovete coprire bene ogni buco.



 

FOCACCIA GENOVESE CON LA CIPOLLA


La focaccia genovese con la cipolla è un’altra squisitezza della nostra città, una variante alla classica focaccia genovese che piace moltissimo anche ai “foresti”. Moltissimi turisti che arrivano a Genova per la prima volta e la scoprono, trovano la focaccia deliziosa, quando qualcuno se entra in confidenza con loro, gli dice che nella versione classica, possono accompagnarla al cappuccino e le facce stupite del turista medio sono sempre divertenti da osservare.

La ricetta della versione con la cipolla che vi presentiamo oggi in collaborazione con I Viaggi del Goloso è un’ altra golosa alternativa alla focaccia classica, una precisazione, la vera focaccia genovese è sottile, unta, con i bucherellini che invitano al morso senza esitazioni, tutte le altre chiamate “focacce” spesse, con bordi improponibili e frequentemente mal cotte, non hanno nulla a che vedere con la focaccia genovese.

LA RICETTA:

Focaccia genovese con la cipolla

Ingredienti:

300 gr. di farina 00

200 gr. di farina manitoba

25 gr. di lievito di birra

250 ml. di acqua

sale

olio d’oliva extravergine

2 grosse cipolle

Preparazione:

Mettiamo sul tavolo la farina 00, aggiungiamo il sale e sopra la farina manitoba, sciogliamo il lievito nell’acqua tiepida e incominciamo a impastare, quando l’impasto risulta amalgamato, lasciamo lievitare coperto per circa 1 ora. Nel frattempo puliamo le cipolle le affettiamo e le mettiamo a bagno in una ciotola con acqua.

Riprendiamo ora l’impasto lievitato e stendiamo la pasta con un mattarello della grandezza della teglia che andremo ad adoperare, ungiamo bene la teglia con l’olio, appoggiamo la pasta stesa, deve essere abbastanza sottile e la lasciamo nuovamente lievitare coperta per circa 1 ora.

Prepariamo ora un’emulsione di olio e acqua in parti uguali e andiamo a cospargere la superficie della focaccia premendo con le dita per formare i famosi buchi.

Scoliamo le cipolle dall’acqua, le condiamo con l’olio d’oliva mescolandole bene e cospargiamo tutta la superficie della focaccia, spolveriamo di sale e mettiamo in forno caldo a 220° per 15 minuti, poi proseguiamo sotto il grill per altri 5 minuti controllando. Sforniamo, lasciamo intiepidire e gustiamo questa prelibatezza …

Le tre fasi fotografiche: prima, durante e dopo la COTTURA



 

FOCACCIA DI RECCO COL FORMAGGIO

Ecco come si presenta…


Formaggio fuso al centro di due strati sottilissimi di pasta. Un gusto inconfondibile che l'ha resa celebre in tutto il mondo.

Cos’è la focaccia di Recco

Esistono parecchie versioni di focacce al formaggio, ma quella di Recco è sicuramente particolare, oltre ad essere la più conosciuta e celebrata. Quest’ultima è un prodotto da forno fatto con un impasto di farina di grano tenero, olio extravergine d’oliva, sale, acqua e formaggio vaccino fresco a pasta molle. A differenza di altre versioni di focaccia al formaggio, quella di Recco è composta di due sottilissimi strati di pasta che racchiudono una farcitura di formaggio fuso, quasi liquido.

La sua forma può variare; potremo così incontrarne versioni tonde, quadrate o rettangolari ma il suo aspetto la rende comunque decisamente riconoscibile. Si presenta infatti particolarmente sottile, con una superficie irregolare punteggiata da bolle, striature marroni e dalla caratteristica fuoriuscita di formaggio. Il formaggio usato era storicamente la prescinseûa, un antico prodotto caseario ligure che, considerato poi troppo liquido e acido, venne sostituito con lo stracchino e la formaggetta. Con la classificazione, il 2 marzo 2012 (è stato riconosciuto dall’Unione Europea il 3 giungo 2013), tra i prodotti a Indicazione Geografica Protetta (IGP) è stato introdotto l’uso della crescenza di origine ligure, prodotta in valle Stura.


Come si fa - la ricetta originale della focaccia di Recco fatta in casa

La ricetta originale della focaccia di Recco non è affatto difficile da realizzare in casa anche perché si basa su ingredienti molto semplici da reperire e di base della tradizione culinaria italiana.

Ingredienti

  • 500 g di farina 00 o Manitoba
  • 50 ml olio EVO
  • Acqua minerale naturale
  • 1 kg di formaggio fresco (es. stracchino)
  • sale

Preparazione della focaccia di Recco

1- Su un piano da lavoro di legno iniziare a lavorare insieme gli ingredienti (farina, acqua, olio evo e sale) fino ad ottenere un impasto omogeneo e leggermente colloso.

2- Lasciare a riposare per mezz’ora l’impasto a temperatura ambiente e sotto un panno leggero di cotone.

3- Dopo mezz’ora, prendere una metà dell’impasto realizzato e iniziare a lavorarla con le mani facendola ruotare fino ad ottenere una forma circolare di uno spessore di pochi millimetri (dovrà essere molto sottile, quasi trasparente ma senza buchi).

4- Ungere una teglia cilindrica della dimensione di 60 cm di olio EVO e adagiare la prima sfoglia realizzata sul fondo.

5- Tagliare a pezzetti il formaggio fresco e distribuirlo su tutta la superficie dell’impasto.

6- Prendere la seconda parte di pasta e fare la stessa cosa di prima realizzando una forma circolare.

7- Posizionare la nuova sfoglia sopra al formaggio e schiacciare con le dita i bordi in modo tale da uniformarli ed impedire al formaggio di fuoriuscire dai bordi in cottura.

8- Cospargere di olio EVO e bucherellare leggermente con le dita la superficie.

9- Infornare ad una temperatura elevata di 240°-320° per 4-8 minuti fino a che la superficie non sarà dorata.

Buon appetito! Una porzione di focaccia di Recco (circa 250 g) contiene circa 320 kcal.


Bibliografia:

- Disciplinare di produzione della indicazione geografica protetta Focaccia di Recco col formaggio

- Non di solo pane – La focaccia genovese

- Focaccia con la cipolla – Le ricette di VivaLaFocaccia

- Storia della focaccia di Recco. Consorzio Recco Gastronomia

- La storia della focaccia di Recco-Cultura

- Genova Golosa – Focaccia genovese

- Wikipedia - Focaccia classica di Genova - Focaccia alla genovese - Focaccia genovese.

CARLO GATTI

Rapallo, 13 Giugno 2018