CUTTY SARK - UN CLIPPER NELLA LEGGENDA

 

 

CUTTY SARK - UN CLIPPER NELLA LEGGENDA

 

 

 Il CUTTY SARK in navigazione

 

FU PROGETTATO PER IL COMMERCIO DEL TE’ TRA CINA E REGNO UNITO, LA SUA BELLEZZA E LA SUA STORIA AFFASCINANTE CONTINUANO A CATTURARE L’IMMAGINAZIONE DELLA GENTE DI MARE (E NON SOLO) IN TUTTO IL MONDO.

 

Il CUTTY SARK è tuttora un’icona della navigazione a vela simbolo dell’era dei clipper e del commercio marittimo del XIX secolo.

 

 

Celebre dipinto del CUTTY SARK

 

 

 

CUTTY SARK nella rada di Sydney

 

 

CUTTY SARK ormeggiato forse a Sydney nell’attesa di caricare. Sullo sfondo si vede un altro clipper.

 

clipper furono veloci e capienti navi a vela a tre o più alberi adibiti al trasporto delle merci sulle rotte oceaniche che raggiunsero la loro epoca d’oro tra il 1840 ed il 1870. Rimane incerta l’etimologia del termine che viene ricondotta al verbo “to clip” inteso come tagliare i tempi di navigazione o come fendere le onde, oppure anche come volare-frullio di ali.

Il design del clipper è stato innovativo per l'epoca. Era dotato di una carena sottile, un albero molto alto e un grande numero di vele, che gli permettevano di raggiungere notevoli velocità. La sua struttura in acciaio lo rendeva più resistente rispetto ad altri clipper in legno che erano già entrati in linea.

Fu proprio la sua notevole velocità a creargli un alone di leggenda nel mondo di allora. Durante la sua carriera, è stato spesso il veliero più veloce stabilendo record di velocità. Era noto per le sue lunghe scorrerie attraverso l'Oceano Indiano e il Mar Cinese Meridionale.

Il Cutty Sark ha principalmente trasportato tè dalla Cina al Regno Unito, ma ha anche altre merci come lana da Australia e Nuova Zelanda. Tuttavia, con l'avvento delle navi a vapore, la sua carriera commerciale declinò rapidamente. Ricordiamo che proprio il 17 novembre 1869 fu inaugurato il Canale di Suez aprendo così una via marittima che ridisegnerà completamente l’architettura delle comunicazioni mondiali e facendo del Mar Rosso una delle principali arterie dell’economia mondiale e uno dei punti strategicamente più rilevanti del pianeta.

 

INTERVISTA AL COMANDANTE CICCI PANELLA

 

 

Il comandante in pensione Pasquale “Cicci” Panella (nella foto) vive a Santa Margherita Ligure e coltiva un hobby veramente particolare: scrive (solo per gli amici) libri di navigazione astronomica, teoria della nave, magnetismo e, come appassionato di storia navale, ha scritto anche un saggio sul Cutty Sark.

La sua “lontana” passione per questo leggendario clipper, alla fine non poteva che concretizzarsi con la costruzione del modello della nave in scala 1/64, ma diciamolo subito, Cicci ha eseguito la sua opera in modo così accurato da meritare addirittura la Medaglia d’oro al Campionato Italiano di Modellismo Navale Statico Categoria-C1 il 18.4.1999, con il punteggio di 90,00 per la perfezione dell’esecuzione, scelta dei materiali e fedeltà alla costruzione originale.

Comandante, perché proprio il Cutty Sark

“Perché fra tutte le belle navi che solcarono i “settemari” nell’era d’oro della vela, solo il Cutty Sark è rimasto a testimoniare al mondo moderno, quale cosa piena di grazia e di bellezza fosse un clipper. Nel 1976, trovandomi a Londra per lavoro, mi recai a Greenwich per visitarlo e rimasi letteralmente folgorato da quell’imbarcazione. Acquistai tutta la documentazione ed i piani disponibili a bordo dello stesso Cutty Sark e, appena rientrato a casa mi misi all’opera”.

 

Cosa occorre ad un modellista navale?

Manualità, conoscenze tecniche e tanta pazienza. Il vero modellista non acquista pezzi prefabbricati e riproduce tutto nei minimi particolari. Quando si guarda un modello si deve avere l’impressione di essere di fronte ad una nave vera.

 

Cutty Sark, in lingua scozzese, significa “camiciola, sottoveste” e prende il nome  dalla polena che n’adorna la prua e raffigura la strega semi-svestita Nannie che tiene in mano la coda di un cavallo. (Nannie è un personaggio del componimento Tam O’Shanter del poeta scozzese Robert Burns). Ci racconta brevemente la leggenda?

 

 

La polena  del Cutty Sark, raffigurante la strega semivestita Nannie

 

Essa narra la disavventura di Tam, un ricco proprietario terriero che, in una notte di tempesta, mentre rientrava a casa in groppa al suo fedele destriero, vide vicino ad una chiesa un gruppo di orrende streghe che danzavano al suono della musica fornita da satana in persona. Spaventato a morte, ma sapendo che le streghe non possono traversare i corsi d’acqua, Tam si diresse al galoppo verso il ponte sul fiume Doon ma Nannie, più veloce del cavallo, in un ultimo tentativo di fermarlo, si aggrappò alla coda del povero animale che le rimase in mano. Tam riuscì a passare il ponte e a mettersi in salvo mentre la povera strega dovette accontentarsi del misero trofeo. Questo è il motivo per cui la polena del Cutty Sarkraffigurante proprio Nannie, ha in mano una coda (finta) di cavallo che veniva rimpiazzata dopo ogni traversata.

L’ultimo clipper del té, Il Cutty Sark, fu varato il 22 novembre 1869 nei Cantieri Navali di Scott & Linton di Dumbarton, in Scozia.

 

Dati tecnici: Lunghezza: 64,72 m – Larghezza: 10,97 m – Pescaggio: 6,40 m – Velatura: 34 vele – Stazza lorda: 962,97 t – Stazza netta: 921,39 t – Max.Velocità Registrata: 17,50 nodi Equipaggio: 28 uomini .

Nei loro veloci viaggi, i clipper portavano ovviamente vantaggi commerciali ai loro armatori, ma suscitavano tra la gente comune anche aspettative direi sportive.

In effetti, il Cutty Sark fu costruito con i capitali dell’armatore londinese John Willis (chiamato “White Hat”) per battere un altro celebre e quasi simile clipper – il celebre Thermopylae – nell’annuale corsa del tè che si svolgeva sulla rotta Cina-Gran Bretagna. Il titolo di vincitore era assegnato alla nave più veloce che aveva trasportato il primo raccolto di té verde cinese, merce molto preziosa perché richiestissima a Londra.

Il Cutty Sark ebbe una storia quanto mai avvincente. Ce la può riassumere nei suoi tratti principali?

 

 

Il suo realizzatore e progettista, Hercules Linton (foto sopra), socio dei cantieri Scott & Linton di Glasgow, fece fallimento prima ancora che la nave scendesse il mare, ma raggiunse comunque il suo scopo: lo scafo era perfetto! Quando il 26 novembre 1869 scese in mare, il Cutty Sark apparve subito come una nave dalle linee stupende ed equilibrate, aveva il fasciame in legno di prima scelta, i ponti in robusto teak e l’ossatura in ferro. Lo scafo era dipinto di nero ed appariva ancora più slanciato per la presenza di una duplice riga di foglie d’orate, a sottolineare l’elegante curvatura del ponte che terminava con una attraente… polena in legno. L’albero di maestra era molto alto e la superficie velica raggiungeva i 2972 mq. Il varo del maestoso clipper coincise, tuttavia, con la fine dell’epopea della vela, infatti, nello stesso anno (1869) fu inaugurato il Canale di Suez. La portata storica della “nuova via d’acqua” fu subito in grado di mutare per sempre la filosofia dei trasporti marittimi mondiali, perché offriva alle più moderne navi a vapore l’enorme vantaggio d’accorciare le rotte orientali evitando il periplo dell’Africa e il temutissimo Capo di Buona Speranza.

Dal 1954 al 21 maggio 2007, quindici milioni di persone hanno visitato il Cutty Sark nel Clipper Ship Museum, situato nel Maritime Greenwich World Heritage a Londra.

 

Oggi si può tranquillamente affermare che la fama “effimera” del Cutty Sark fu quindi legata, solo e soprattutto, alla “gara del tèsulla rotta tracciata tra i porti di Wusong (Shanghai-Cina) e Londra?

E’ vero! Ci mise un po’ di tempo a guadagnarsi la sua meritata fama! Partita per la sua prima traversata alla fine di gennaio del 1870, al comando del capitano George Moodie, la nave fece il viaggio di ritorno da Shanghai a Londra, con il primo carico di tè, in 110 giorni. Il suo rivale, il Thermopylae, ne impiegò solo 105. Nel secondo viaggio di ritorno, il Cutty Sark, partito il 17 giugno 1872, avrebbe forse compiuto una traversata eccezionale se non avesse perso il timone nel corso di una violentissima burrasca nell’Oceano indiano. Il clipper riuscì egualmente a raggiungere Londra coprendo più di 8.000 miglia con un timone di fortuna. L’impresa portò grande credito al Cutty Sark, ma il capitano Moodie si ritirò dal suo incarico e il clipper non si riavvicinò mai più così tanto alla vittoria nella epica “corsa del tè”. 

Successivamente, si alternarono al comando del Cutty Sark, ma con scarsi risultati, numerosi capitani: W. Moore, W.E. Tiptaft, (deceduto alla fine di un’ottima traversata), Es. Wallace, suicidatosi per il rimorso di aver lasciato scappare il suo secondo che aveva, sia pur involontariamente, ucciso un marinaio ribelle, l’alcolizzato J. Bruce. Alla fine del suo servizio sotto la bandiera della Marina Inglese il Cutty Sark conobbe un decennio (1885-1895) di fortunata attività, sia come clipper del tè, sia come clipper della lana sulla rotta australiana, via Capo Horn, specialmente quando l’abile marinaio Richard Woodget passò al suo comando e stabilì il nuovo record di navigazione di rientro in U.K. nel tempo ridotto (per quell’epoca) di 67 giorni. Il Cutty Sark si dimostrò imbattibile, ogni anno primeggiò sul suo tradizionale rivale, il Thermopyle, sino a quando quest’ultimo fu ceduto ad un armatore canadese che lo utilizzò nel trasporto del riso dalla Cina alla British Columbia.

 

Anche i miti devono adeguarsi all’inevitabile parabola della vita. Comandante, quando iniziò il declino del Cutty Sark?

Il suo declino fu molto lento. Sebbene nel 1895 fosse ormai antieconomico, il clipper fu venduto alla Compagnia di Navigazione portoghese Ferreira & CO. di Lisbona che lo modificò sostanzialmente, lo ribattezzò Ferreira, (nonostante l’equipaggio preferisse il nome di “Pequina Camisola”) e lo adibì a viaggi atlantici. 

Nel 1916, durante una tempesta al largo del Capo di Buona Speranza, all’ex-Cutty Sark si spezzò l’albero di maestra. Il mondo era in guerra ed il legname per velieri era raro da reperire e il clipper fu riarmato come brigantino a palo, in modo da portare velature economiche perchè meno ampie.

Nel 1920 ci fu un nuovo passaggio di proprietà e quindi un nuovo nome: il Ferreira diventò così Maria do Amparo

Nel 1922, dopo una sosta di rimessaggio a Londra, fu acquistato dall’inglese Wilfred Dowman che gli restituì il suo nome e, con grande passione filantropica, anche il suo aspetto originale. Con  questo suo rinnovato vigore, il Cutty Sark batté le rotte dei possedimenti coloniali portoghesi fra OportoRio de JaneiroNew Orleans e Lisbona.  Fino a quando, nel 1938, la sua vedova donò il clipper all’Incorporated Thames Nautical Training College che lo adoperò come nave scuola.

Sopravvissuto ai bombardamenti di Londra durante la Seconda guerra mondiale, il Cutty Sark vive ancora come museo navale galleggiante, testimone della grande tradizione marinara inglese. 

 

 

 

Nel 2007 lo storico veliero è stato seriamente danneggiato da un incendio, con ogni probabilità d’origine dolosa. Il caso volle che si salvassero l’alberatura, l’attrezzatura velica e gran parte delle sovrastrutture perché era cominciato un lavoro di restauro. Dello scafo, tuttavia, rimangono oggi solo le costole in metallo e il fasciame bruciato solo in superficie. Il ponte superiore è perduto così come la gran parte di quelli inferiori. La Fondazione che si occupa del mantenimento del clipper ha subito indetto, attraverso il proprio sito internet, una raccolta di fondi straordinaria volta a tentarne il recupero.

Ringraziamo il Comandante Panella per averci fatto rivivere la storia del Cutty Sark nella splendida atmosfera del suo ampio salone dove troneggia questo splendido modello, meta ormai di molti storici e appassionati di modellismo navale e che fu realizzato in ben 14 anni d’artistico lavoro. 

 

 

MUSEO CUTTY SARK DI GREEWICH

 

 

La prora del CUTTY SARK

 

 

 

Il TIMONE ed i numeri per la lettura del Pescaggio di poppa

 

 

Le immagini che seguono non necessitano di didascalie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALCUNI SBIADITI RICORDI PERSONALI ...

 

 

 

 

Il Cutty Sark è stato preservato e oggi è esposto come museo a Greenwich, Londra. Il museo offre ai visitatori l'opportunità di esplorare la nave e di imparare di più sulla sua storia, sulla navigazione a vela e sul commercio marittimo del XIX secolo.

Il Cutty Sark è stato sottoposto a un importante programma di restauro dopo un devastante incendio nel 2007, che ha causato danni significativi alla nave. Questo restauro è stato completato con successo, e ora la nave è esposta in un bacino appositamente costruito, sospesa sopra l'acqua, creando un'esperienza unica per i visitatori.

All'interno del museo, puoi vedere le esposizioni sulla storia del Cutty Sark, sulla navigazione a vela, sulle rotte commerciali e molto altro. È un'attrazione molto popolare per turisti, appassionati di storia marittima e studenti interessati a imparare di più sulla storia della navigazione.

Visitarlo offre un'occasione unica per immergersi nell'epoca d'oro della navigazione a vela e per apprezzare la bellezza e l'importanza storica di questa straordinaria nave.

 

Fortunatamente, il Cutty Sark è stato preservato ed è ora una delle principali attrazioni turistiche di Greenwich, Londra. È ancorato in un bacino appositamente costruito e ospita un museo dedicato alla storia della navigazione a vela e alla sua stessa storia.

 

CONCLUSIONE:

 

Cosa rappresenta questa veliero nella Storia Navale Inglese?

 

Possiamo fare una sintesi di quanto abbiamo scritto:

Il Cutty Sark rappresenta un'importante icona nella storia navale inglese, soprattutto nell'ambito della navigazione a vela. Ecco cosa rappresenta:

Era dei Clipper: Il Cutty Sark simboleggia l'apice dell'era dei clipper, un periodo nella storia navale segnato da navi a vela ad alte prestazioni progettate per il trasporto di merci di valore. Durante questa era, i clipper competevano per essere i più veloci e gli affari commerciali più redditizi, e il Cutty Sark era uno dei più famosi e veloci di tutti.

Innovazione Tecnologica:Il Cutty Sark era all'avanguardia per la sua epoca, con una carena sottile, un albero alto e una vasta superficie velica che la rendevano incredibilmente veloce. La sua costruzione in acciaio la rendeva anche più resistente rispetto ai clipper tradizionali in legno. Questa innovazione tecnologica contribuì a definire gli standard per la progettazione delle navi da carico a vela.

Rotte Commerciali Globali: Il Cutty Sark era coinvolto nel commercio globale del tè e di altre merci di valore tra il Regno Unito e l'Estremo Oriente. La sua storia è legata alle rotte commerciali che collegavano l'Europa e l'Asia, evidenziando l'importanza delle rotte marittime internazionali nella storia economica e commerciale inglese.

Determinazione e Rivalità: La celebre rivalità tra il Cutty Sark e il suo rivale, il Thermopylae, incarna la determinazione, la competizione e la professionalità dei marinai e dei proprietari di navi di quell'epoca. Queste competizioni di velocità hanno catturato l'immaginazione del pubblico e contribuito a creare leggende intorno a queste navi.

Preservazione e Museo Vivente: La sopravvivenza del Cutty Sark come museo vivente a Greenwich, Londra, rappresenta un impegno duraturo per preservare la storia marittima inglese. La nave è ora una delle principali attrazioni turistiche di Londra, dove i visitatori possono esplorare la sua storia e imparare di più sulla navigazione a vela e il commercio marittimo del XIX secolo.

Il Cutty Sark rappresenta l'apice della tecnologia navale a vela, l'importanza delle rotte commerciali globali, la competizione tra navi e l'orgoglio dell'Inghilterra nella sua storia marittima. È un simbolo dell'epoca d'oro della navigazione a vela e della determinazione umana nel perseguire la perfezione nautica

 

 

Cosa lascia in eredità alle nuove generazioni?

 

Il Cutty Sark lascia diverse eredità alle nuove generazioni:

Storia Marittima e Cultura: Il Cutty Sark serve come un prezioso legame con il passato, permettendo alle nuove generazioni di esplorare e comprendere la storia marittima britannica e globale. Attraverso il museo e le esposizioni a bordo della nave, i visitatori possono apprendere l'importanza della navigazione a vela, delle rotte commerciali internazionali e del commercio marittimo del XIX secolo.

Innovazione Tecnologica: Il Cutty Sark rappresenta un esempio di innovazione tecnologica per l'epoca in cui fu costruito. Le soluzioni tecnologiche adottate nella sua progettazione e costruzione hanno contribuito a definire gli standard per le navi da carico a vela. Questa eredità può ispirare l'interesse per la scienza e l'ingegneria nelle nuove generazioni.

Competizione e Spirito di Competizione: La celebre rivalità tra il Cutty Sark e il Thermopylae evidenzia il valore della competizione sana e del perseguimento dell'eccellenza. Questa eredità può ispirare le nuove generazioni a coltivare una mentalità di impegno, determinazione e aspirazione all'eccellenza in qualsiasi campo d'interesse.

Conservazione del Patrimonio: La preservazione del Cutty Sark come museo vivente è un esempio di come il patrimonio storico e culturale può essere conservato e reso accessibile alle generazioni future. Questo promuove la consapevolezza dell'importanza della conservazione del patrimonio per le generazioni a venire.

Turismo e Industria Culturale: Il Cutty Sark è una delle principali attrazioni turistiche di Londra. Questo contribuisce all'industria turistica e all'economia locale, offrendo opportunità di lavoro e sviluppo economico. Le nuove generazioni possono apprezzare l'importanza dell'industria culturale e turistica nel contesto moderno.

Il Cutty Sark lascia un'eredità che comprende la conoscenza della storia marittima, l'ispirazione all'innovazione e alla competizione, l'importanza della conservazione del patrimonio e l'impulso economico. Queste eredità possono influenzare positivamente le nuove generazioni e contribuire alla loro comprensione del passato, al loro sviluppo personale e al loro coinvolgimento nella preservazione e promozione della cultura e della storia.

 

 

CARLO GATTI

 

Rapallo, 1 settembre 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


NAVE ITALIANA PALINURO - “Faventibus Ventis” “Con il favore dei venti”

 

Nave PALINURO

 

E’ una “nave goletta”, armata con tre alberi più l’albero di bompresso e ha come motto:

FAVENTIBUS VENTIS  

 “Con il favore dei venti”

 

Nave Palinuro nel golfo del TIGULLIO  il 14 ottobre 2011

 

La Nave scuola Palinuro è stata varata nel 1934 in Francia presso i cantieri navali Dubigeon di Nantes, ed è entrata in servizio per la Marina militare italiana il 16 luglio 1955 con il nome di Commandant Louis Richard, ha festeggiato quest’anno 89 anni dal varo.

 

Descrizione generale

Tipo

Veliero

Classe

Nave Scuola a Vela

Identificazione

·       MMSI 247939000

·       A 5311

Cantiere

Nantes (Francia)

Impostazione

1933

Varo

21 marzo 1934

Completamento

1934

Entrata in servizio

16 luglio 1955

Ammodernamento

1984

Caratteristiche generali

Dislocamento

1.341

Lunghezza

69 m

Larghezza

10 m

Pescaggio

4,8 m

Velocità

nodi (14,82 km/h)

Autonomia

5.400 mn a 7,5 nodi

Equipaggio

6 ufficiali, 76 sottufficiali e Truppa.

Passeggeri

fino a 54 Allievi

Motto

Faventibus ventis

voci di navi e imbarcazioni a vela presenti su Wikipedia

 

STORIA

 

La PALINURO Costruita nei cantieri di Nantes (Francia) e varata nella primavera del 1934, con il nome Commandant Louis Richard, per una società privata, venne adibita alla pesca e al trasporto del merluzzo nei banchi di Terranova, partendo dal porto di Saint-Malo. 

Nel 1951 venne acquistata dall’Italia per affiancarla all’Amerigo Vespucci nel ruolo di nave scuola, in sostituzione della Cristoforo Colombo, (sua gemella)  ceduta all’Unione Sovietica in conto riparazioni danni di guerra, e della Ebe,  in procinto d'essere posta in disarmo.

La nave PALINURO, dopo l'acquisto, venne avviata ai lavori di trasformazione per essere adibita a nave scuola per gli allievi sottufficiali nocchieri, motoristi e nocchieri di porto (2019) della Scuola Sottufficiali di La Maddalena.

Al termine di questi lavori, avvenuti presso il Cantiere Navale di Castellamare di Stabia e l’Arsenale di La Spezia, la nave entrò in servizio nella MMI il 16 luglio 1955,  ribattezzata PALINURO  in onore del mitico NOCCHIERO di Enea nell’Eneide di Virgilio. 

Il motto della nave è Faventibus ventis ("Col favore dei venti"). La nave ha inoltre effettuato una sosta manutentiva presso l'Arsenale di Messina nel 1984 - 1985.

Durante la sua attività, dal 1955 in poi, la Palinuro ha toccato la maggior parte dei porti del Mediterraneo, del Mar Nero e del Nord Europa (per un totale di 160 porti differenti, molti visitati più volte) e si stima che abbia percorso più di 300 000 miglia najutiche  (al 2016),  pari a circa quindici volte il giro del mondo. Ha inoltre preso parte ai più prestigiosi raduni di imbarcazioni e navi d'epoca e alle regate delle cosiddette “Tall Ships”, tra le quali la "Cutty Sark", "l'Amsterdam Sail" ed il raduno delle Vele d'epoca di Imperia

La sua base di assegnazione è La Maddalena (SS). 

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La PALINURO ormeggiata a La Maddalenasatellitare

 

La Palinuro è una “Nave Goletta”. Il termine indica che la nave è armata con tre alberi di cui quello prodiero, detto trinchetto, è armato con vele quadre, mentre gli alberi di maestra e di mezzana sono armati con vele di taglio (rande, frecce e vele di strallo). A questi alberi si aggiunge il bompresso, un quarto albero che sporge quasi orizzontalmente dall’estremità prodiera, anch’esso armato con vele di taglio (fiocchi). La superficie velica complessiva è di circa 1.000 mq., distribuiti su quindici vele. L'altezza degli alberi sul livello del mare è di 35 metri per il trinchetto, 34,5 metri per la maestra e di 30 metri per l’albero di mezzana. 

Lo scafo, così come gli alberi, è in acciaio chiodato ed è suddiviso in tre ponti. Sotto il ponte principale (detto di coperta) sono ubicati i locali di vita dell’equipaggio e degli Allievi, mentre sopra sono collocate le sovrastrutture del castello prodiero e del cassero poppiero. Sul cassero, all’estrema poppa, è situata la Plancia di Comando, invece al suo interno sono ubicati gli alloggi e i locali di vita degli Ufficiali e dei Sottufficiali, la cucina e il forno. 

Nave Palinuro svolge due compiti principali: offrire il supporto necessario alla formazione degli Allievi Sottufficiali e contribuire alla proiezione d’immagine della Marina Militare. Il primo obiettivo si realizza durante le campagne d’istruzione annuali, quando a bordo della nave imbarcano, in aggiunta all’equipaggio, gli Allievi della Scuola Sottufficiali di Taranto (Mariscuola Taranto). In questa occasione gli Allievi Marescialli affrontano diverse settimane di navigazione, per molti di loro si tratta della prima esperienza d’imbarco durante la quale sono sottoposti ad un intenso programma di formazione nel settore marinaresco, della sicurezza, condotta della navigazione e nell’ambito etico-militare. 

Il contributo promozionale e di proiezione d’immagine della Marina Militare si manifesta principalmente durante le soste nei porti nazionali ed esteri, durante le quali la Nave testimonia verso la popolazione e le Autorità locali le più antiche tradizioni della marineria italiana. 

Il motto di Nave Palinuro è Faventibus Ventis”, “Con il favore dei venti”. 

Il suo porto di assegnazione è La Maddalena (foto satellitare sotto)

 

Nelle due foto sotto:

LA MADDALENA E LA BASE MILITARE USA

Quando era ubicata nella prospiciente Isola di Santo Stefano 

 

 

 

La base USA

21 agosto 1972 – 25 gennaio 2008, due date che hanno segnato pesantemente il destino della Maddalena. La prima si riferisce all’insediamento presso l’isola di Santo Stefano della base per l’assistenza e la manutenzione dei sommergibili nucleari Usa; la seconda ricorda, a distanza di trentasei anni, il suo smantellamento e il trasferimento in altra zona del Mediterraneo. Nell’isola in pochi hanno rimpianto i marines. I maddalenini erano rimasti delusi dalla pressoché completa autonomia che gli americani si erano dati nel tempo sottraendo risorse all’economia locale. E poi c’era un’altra verità. Gli isulani hanno sempre creduto in una sola grande madre: la Marina militare italiana, con il suo arsenale, le sue caserme, le sue scuole e le centinaia di buste paga distribuite al personale dipendente.

 

 

 

Per Santa Maria Maddalena, arriva “Nave Palinuro

 

 

 

admin19 Luglio 2023

REDAZIONE – Il Comando della Scuola Sottufficiali M.M. di La Maddalena, informa che dal 22 al 28 luglio, in occasione delle celebrazioni per Santa Maria Maddalena, la Nave Scuola Palinuro sarà nella sede della Maddalena nel pieno della Campagne d’istruzione e imbarcherà gli allievi nocchieri del corso normale marescialli di Mariscuola Taranto.

I futuri sottufficiali, con questa seconda esperienza di imbarco a bordo di una nave della Marina Militare, avranno l’opportunità di immergersi nella vita di bordo e di apprendere l’essenza del navigare su un’unità a vela, dove la coesione dell’equipaggio, la resilienza, il travaso dell’esperienza professionale, uniti all’opportunità di imparare l’arte marinaresca, costituirà un tassello fondamentale nel processo di formazione.

Dopo il porto sardo la nave goletta della Marina Militare aprirà le sue vele verso Messina, per poi proseguire verso La Valletta e terminerà l’impegno con i futuri sottufficiali nel porto di Brindisi.

Durante la sosta a La Maddalena, la Nave sarà aperta alle visite nei seguenti giorni:

  • Sabato 22 luglio: dalle 16.00 alle 20.00;

  • Domenica 23 luglio: dalle 16.00 alle 19.30;

  • Lunedì 24, martedì 25 e mercoledì 26 luglio: dalle 16.00 alle 20.00;

  • Giovedì 27 luglio: dalle 9.00 alle 12.00.

 

Perchè Palinuro?

Palinuro è un personaggio della mitologia romana, il mitico timoniere di Enea.  Egli cade in mare di notte, tradito dal dio Sonno, mentre conduceva la flotta verso l’Italia.

 

 

Si dice che: Il nome stesso della località richiama alla mente la figura del nocchiero di Enea, Palinuro appunto, che si innamorò di una splendida fanciulla di nome Kamaratòn (da qui Camerota), inseguendone l'immagine fino in fondo alle scogliere del Capo, che da allora prese il suo nome: Capo Palinuro (nella foto sopra).

Palinuro, è protagonista di uno struggente episodio narrato da Virgilio nel V e VI libro dell'Eneide. Una leggenda di suggestione inaspettata, i cui risvolti storici, archeologici e mitologici riconducono all'omonimo Promontorio, oggi celebrata meta turistica ma in epoca greco-romana tristemente famoso per le insidie alla navigazione. La drammatica fine del giovane nocchiero assurge allora ad eterno simbolo della morte iniqua e del capriccio divino, dell'uomo sempre a rischio di improvvisi naufragi per venti ed eventi avversi e di una vita in balia delle onde di un ineluctabile fatum

  • Palinuro è menzionato nell'Utopia di Sir Thomas More come un esempio di viaggiatore distratto. Il riferimento non è del tutto corretto, giacché Palinuro coscienziosamente si rifiutò di lasciare il timone al dio Sonno apparsogli sotto mentite spoglie, sostenendo che, anche se il mare era calmo, non poteva rischiare di venir meno ai suoi doveri. Il dio era stato costretto a usare la magia per fare addormentare Palinuro.

  • Palinuro è lo pseudonimo scelto da Cyril Connolly per firmare il suo libro The Unquiet Grave: a Word Cycle (La tomba inquieta: un ciclo di parole), e usato per riferirsi a lui in modo sprezzante da Alaric Jacob in Scene da un vita borghese (Scenes from a Bourgeois Life).

  • Palinuro viene anche menzionato dal protagonista del racconto La Tomba (The Tomb) di Howard Phillips Lovecraft.

  • Alla vicenda di Palinuro, che chiede invano di essere sepolto, fa riferimento Dante nella Divina Commedia, Purgatorio, VI, 29, quando chiede a Virgilio se abbiano senso le richieste dei suffragi da parte delle anime purganti, visto che nell'Eneide si nega la possibilità di cambiare i decreti divini attraverso le preghiere.

 

 

 

STORIA DELLA PRIMA PALINURO

Cantiere:

Howaldtwerke di Kiel
Impostazione: 1907
Varo: 1908
Perdita: 1943

Dislocamento:

260 t

Dimensioni:

Lunghezza: 42,5 m.
Larghezza: 9,10 m.
Immersione: 3,2 m.

Apparato motore:

1 motore a vapore a triplice espansione
Potenza: 300 cv.
1 elica

Velocità:

7 nodi (mot.) 13 (vele)

Equipaggio:

40 tra Ufficiali, Sottufficiale e Comuni, ed Allievi

Costruita a Kiel per conto del Governo Reale Croato con il nome di Vila Velebita. Vila Velebita è una montagna ricca di foreste dalle quali vennero tagliati i tronchi per la costruzione di Venezia durante la dominazione Veneta della Croazia. Venne costruito per sostituire la vecchia nave scuola Margita. Per quei tempi, era una delle prime navi dotata di illuminazione elettrica e dotata di strumenti di navigazione moderni. Fino allo scoppio della prima guerra mondiale navigò sotto bandiera Austro Ungarica per conto del Collegio Navale di Bakar nei pressi di Fiume.

Nel 1941 venne requisita dalla regia Marina ed utilizzata come Nave Scuola e rinominata Palinuro. Effettuò diverse crociere di addestramento in Adriatico. Alla data dell'armistizio, lasciò il porto di Trieste per recarsi a Brindisi, ma rimasta senza carburante, veleggiò fino ad Ortona dove venne catturata dai tedeschi e fatta saltare poco tempo dopo. 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

INTERNI ED ESTERNI 

NAVE PALINURO

 

Capitano di fregata Marco Filzi

 

 

Cabina di pilotaggio della Palinuro

 

 

Bussola Magnetica e Telegrafo di Macchina

 

 

 

 

Osteriggio di Macchina

 

 

Al centro - LA PAZIENZA con le cime

 

 

FAVENTIBUS VENTIS

“Con il favore dei venti”

Motto della Nave e campana di bordo

 

La vecchia ancora della Palinuro

 

 

Sulle navi a vele quadre la cavigliera è presente ai piedi degli alberi, sulle coffe e presso le impavesate. Generalmente è però chiamato pazienza.

 

 

Caviglie e Cime della PAZIENZA

 

 

Bitte in coperta

 

 

 

Scala Reale

 

 

Polena della nave Palinuro con la forma dell’omonimo nocchiero di Enea

 

 

Coffa

 

 

 

 

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 26 Settembre 2023

 

 

 

 

 

 

 

 


ROSTRO E CORVO ROMANO - DUE ARMI VINCENTI

 

ROSTRO E CORVO ROMANO

DUE ARMI VINCENTI

 

 

IL ROSTRO. Consisteva in un poderoso sperone in bronzo collocato nel punto di congiunzione tra la parte finale prodiera della chiglia e la parte più bassa del dritto di prua (elemento strutturale di congiunzione che chiude lo scafo alle sue estremità, sia anteriore che posteriore. Il rostro veniva agganciato alla parte lignea dello scafo, mediante numerosi chiodi. Era composto da una struttura laminare che foderava, proteggendole, le parti lignee dello scafo sulle quali veniva agganciato, ma la sua parte più anteriore terminava con un possente fendente verticale (sperone), a volte rafforzato da ben tre fendenti laminari orizzontali (vedi nella foto sottostante il particolare del bellissimo rostro recuperato a settembre 2008 al largo di Messina).

 

 

 

IL ROSTRO DI ACQUALADRONI, DOTAZIONE MICIDIALE DELLE NAVI ROMANI

L’8 settembre del 2008 fu rinvenuto, giacente a bassissima profondità nelle acque di Acqualadroni, vicino Messina, un antico rostro bronzeo romano.

La scoperta del ROSTRO, di cui se ne intravedeva solo la parte superiore, fu del tutto eccezionale, sia per la rarità dei rostri ritrovati in situ (altri simili erano stati rinvenuti nelle acque delle Isole Egadi e in Israele), sia perché se esso conserva ancora integri frammenti della parte lignea.
Il rostro, inserito nella chiglia all’altezza dritto di prua ed assicurato mediante chiodi, era costituito da tre fendenti laminari orizzontali rinforzati da un possente fendente verticale. Con questo micidiale multiplo fendente, scagliato con forza sulle fiancate delle navi nemiche, la nave da guerra che ne era dotata determinava l’ingovernabilità e l’affondamento di quella nemica grazie alle falle che generava.

Il reperto, integro e di eccellente fattura, è decorato lateralmente sui due lati. Si distinguono alcuni particolari quali teste di aquile, criniere, creste e collari (caratteristiche decorative di tradizione ellenistica presenti fino alla fine del I sec. a.C.)

Dalle analisi effettuate sul rostro si è appurato che il manufatto risalirebbe al periodo compreso tra il 360 ed il 190 a.C.. Quanto all’evento in cui la nave sarebbe affondata, vi sono diverse ipotesi: si è pensato che il rostro potesse appartenere a una delle navi delle flotte della prima (264-241 a.C.) o della seconda (218-201 a.C.) guerra punica, o a una delle numerosissime battaglie intermedie, o alla battaglia del Nauloco (36 a.C.) combattuta tra Marco Vipsanio Agrippa (ammiraglio di Ottaviano) e Sesto Pompeo.

Il reperto si trova oggi al Museo regionale di Messina.

 

 

 

 

 

 

Dal sito: ARCHEOLOGIADELPASSATO 

Agosto 27, 2023

Levanzo (Tp). Nuovi ritrovamenti archeologici nei fondali, sito della Battaglia delle Egadi: recuperati altri due rostri in bronzo. Sono l’Egadi 26 e l’Egadi 27. E poi 15 elmi, 20 paragnatidi, una spada e, per la prima volta, 7 monete d’argento.

 

Egadi 27: è il 27° rostro in bronzo nei fondali di Levanzo (Tp) sito della battaglia delle Egadi del 241 a.C. (foto regione siciliana)

E sono 27! Parliamo dei rostri recuperati nei fondali di Levanzo (Trapani), sito della Battaglia delle Egadi. Sono passati quasi 20 anni, da quel lontano 2004, quando la “scoperta” del primo rostro delle Egadi nello studio di un dentista trapanese ad opera del nucleo tutela patrimonio culturale dei Carabinieri confermò al compianto Sebastiano Tusa che il luogo di rinvenimento, a poche miglia a Nord-Ovest del Capo Grosso di Levanzo, doveva essere proprio il teatro dello storico scontro navale delle Egadi tra la flotta cartaginese e quella romana che nel 241 a.C. segnò la fine alla prima guerra punica.

(vedi: Recuperato nel mare di Levanzo il dodicesimo rostro che conferma l’ubicazione della battaglia delle Egadi del 241 a.C. tra romani e cartaginesi, che pose fine alla prima guerra punica a favore dei romani | archeologiavocidalpassato).

 

 

Area della battaglia delle isole Egadi tra romani e cartaginesi nel 241 a.C.

 

 

 

L’archeologo Sebastiano Tusa, tragicamente scomparso in un incidente aereo nel marzo 2018

 

“I fondali delle Egadi”, dichiara l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato, “si confermano ancora una volta uno scrigno prezioso di informazioni per comprendere lo scontro navale tra romani e cartaginesi. La scoperta di Sebastiano Tusa continua ancora oggi a ricevere conferme sempre più importanti, avvalorando l’intuizione dell’archeologo prematuramente scomparso nel 2019 che aveva consentito l’individuazione del teatro della battaglia che sancì il dominio dei Romani sul Mediterraneo”.

 

 

 

Egadi 26: è il 26° rostro in bronzo nei fondali di Levanzo (Tp) sito della battaglia delle Egadi del 241 a.C. (foto regione siciliana)

 

La campagna di ricerche che si sta svolgendo in questi giorni – come comunica la soprintendenza del Mare – ha consentito il recupero di due rostri in bronzo denominati “Egadi 26” e “Egadi 27”. Sono stati individuati su un fondale di circa 80 metri e recuperati con l’ausilio della nave da ricerca “Hercules” della fondazione statunitense RPM Nautical Foundation che negli anni ha permesso, grazie alle sofisticate strumentazioni presenti a bordo, l’individuazione e il recupero di numerosi reperti riguardanti l’importante battaglia svoltasi il 10 marzo del 241 a.C.

In genere il ROSTRO era costituito da un unico pezzo fuso in bronzo inserito nel punto di congiunzione tra la parte finale prodiera della chiglia e la parte più bassa del dritto di prua, sopra il tagliamare.  La parte anteriore del rostro era costituita da un potente fendente verticale rafforzato da fendenti laminari orizzontali.

Con questo micidiale strumento le navi venivano lanciate alla maggiore velocità possibile contro le fiancate delle unità nemiche per creare delle falle allo scopo di provocare un rapido affondamento.

In tempi antichi le navi, tipicamente TRIREMI, avevano sulla prua una struttura rinforzata detta ROSTRO, col quale potevano sfondare la fiancata della nave nemica, e quindi (essendo sconosciuto l'uso dei compartimenti stagni) causarne l'affondamento.

IL CORVO ROMANO

 

 

I Romani (valorosi e abili soldati, ma meno che mediocri marinai di fronte ai Cartaginesi) decisero le sorti e la vittoria definitiva della loro Patria mediante l'abbordaggio; con questa tattica, trasformavano le piattaforme delle navi, saldamente unite mediante i CORVI in un ristretto e stabile campo di battaglia. In tal modo non era necessario manovrare in maniera accurata per scontrare la nave nemica nel bordo, ma era sufficiente riuscire ad affiancarla.

 

 

In primo piano a destra si vede il CORVO con il suo potente uncino di ferro che sta per essere abbattuto sulla nave nemica onde stabilire una testa di ponte su cui sbarcare i soldati romani.

Il CORVO era un’arma tattica militare romana utilizzata durante la Prima Guerra Punica. Era essenzialmente un ponte mobile con un'ala affilata che poteva essere abbassata sui ponti delle navi nemiche durante gli scontri navali. Questo permetteva ai soldati romani di abbordare le navi nemiche e combattere come se fossero sulla terraferma. Questa invenzione conferì un vantaggio significativo a Roma nelle battaglie navali.

 

 

 

In questa immagine si nota che nella battaglia in corso, il CORVO è stato appena abbattuto. A questo punto il combattimento tra le parti assume un carattere più terrestre che navale in cui i Romani sono storicamente più forti.

Le navi da guerra romane erano: la Bireme, la Triremi, la Quadriremi, la Quinquiremi, la Esareme, la Deceris, l'Actuaria, la Liburna, la Caudicaria.

 

Per fare un esempio: Si chiamava TRIREMI perchè disponeva di tre serie di rematori, dotata di un ROSTRO per speronare e di CORVI mobili per agganciare le unità avversarie.

 

UN PO' DI STORIA

Nave da guerra romana

 

Come erano fatte le navi da guerra della flotta romana? Per rispondere a questa domanda bisogna in realtà tornare indietro e andare a vedere come erano costruite le navi greche che avevano dominato il mare fino ad allora ed erano cresciute in dimensioni e numero di rematori nell’epoca ellenistica.

Le antenate delle navi da guerra romane: le navi greche
Caratteristiche delle navi antiche
Forma elegante e allungata per fendere meglio l’acqua, con alta poppa e prua affusolata per l’alloggiamento del rostro. 

Doppio timone, costituito da due “remi” con pale di grandi dimensioni che venivano mossi dal timoniere per cambiare la direzione di navigazione; il timone unico in uso ancora oggi è un’invenzione medievale.

Vela quadra issata sull’albero maestro e sostenuta da sartie e stralli. Nelle navi di maggiori dimensioni poteva essere presente un secondo albero, verso prua, con una vela rettangolare più piccola.

ROSTRO (sperone), agganciato alla chiglia a prua e in metallo. Lo scopo principale di questo elemento era speronare le navi avversarie e spesso era modellato a forma di animali, come il cinghiale.

Castello di prua e/o di poppa, una sovrastruttura leggera posta al di sopra degli scalmi a prua e/o a poppa.

Tipi di navi da guerra greche

La prima antenata delle navi da guerra romane è la greca pentacontera (in uso fino al VI secolo a.C.). Si tratta di un’imbarcazione da 50 rematori (25 per lato) con forma tondeggiante e propulsione sia a remi che a vela, utilizzata come nave da guerra, ma spesso anche per il trasporto di merci.

Evoluzione della pentecontere (iniziata nel VI secolo a.C.) furono le biremi, ma soprattutto le triremi.

Le biremi erano navi utilizzate dall’età classica, con una doppia fila di rematori seduti sullo stesso ponte. La lunghezza variava dai 24-25 m del periodo più antico ai 20 m dei tempi più recenti, quando diventarono più snelle e più facilmente manovrabili.

Le triremi presentavano una terza fila di rematori sistemati in modo sfalsato e seduti nella parte superiore della nave in ponti laterali aggettanti. Potevano arrivare ai 35-40 m di lunghezza e furono utilizzata nelle battaglie navali di epoca classica ed ellenistica. In questa tipologia di nave antica il numero di individui presenti a bordo aumentava notevolmente: oltre ai rematori, più numerosi rispetto a quelli di una bireme, e all’equipaggio addetto al comando e alla navigazione, ospitava anche soldati e arcieri preparati al combattimento nel caso di abbordaggio.

Su questa antica nave da guerra era presente anche un “ponte”, una sorta di passerella centrale che univa le piattaforme a prua e a poppa al fine di permettere un agile movimento a bordo.

L’epoca ellenistica è il periodo dei “colossi del mare”, poiché le fonti ci tramandano della presenza di navi dalle quattro, alle sedici file di rematori. In generale le navi di questo periodo aumentarono in dimensioni, tonnellaggio e ospitarono un numero maggiore di rematori e membri dell’equipaggio. Il problema principale delle navi militari ellenistiche fu proprio la maggiore dimensione degli scafi, che resero le manovre in battaglia sempre più complesse. Non bisogna dimenticare che fino a questo periodo le battaglie navali si combattevano speronandosi a vicenda.

Le navi da guerra romane

Roma costruì la sua flotta in piena epoca ellenistica prendendo spunto dalle grandi flotta dell’epoca. Il primo nucleo della flotta era composto da: liburne (navi leggere con due ordini di rematori e un rematore per remo, adatte ai movimenti veloci), triremi, quadriremi e quinqueremi (navi pontate con trenta remi in linea per fiancata e cinque uomini su ciascun remo), che avevano il grande difetto di essere pesanti e complicate da manovrare. 

Nonostante ciò, la preferenza romana per imbarcazioni pesanti ha una spiegazione nel cambiamento di tecnica di combattimento: i romani, forti nel combattimento a terra, preferirono puntare sull’abbordaggio delle navi nemiche inventando una sorta di passerella, detta CORVUS, che permetteva di attaccarsi alle navi nemiche e farci salire i legionari.

L’utilizzo di navi a più file di rematori finirà al tramontare dell’epoca ellenistica. Nel 31 a.C. durante la battaglia di Azio Ottaviano, futuro Augusto, schiererà navi più leggere e facilmente manovrabili (triremi, quadriremi e quinqueremi), mentre Marco Antonio utilizzerà i vecchi e pesanti “colossi del mare” che facevano parte della flotta egiziana.

Fonte: AMICI DELLA SCIENZA- Storia tra le pagine 

 

 

 

 

 

 

Il CORVO, come appare dalle immagini (sopra riportate), era un grosso pennone cilindrico montato sulla parte prodiera della nave. Da questo pennone, attraverso un sistema di cime, si poteva calare una passerella di legno solida e stabile dotata di ringhiere. Sulla estremità della passerella, un uncino di ferro ricurvo aveva il compito di precipitare al momento giusto sul piano della coperta e ancorarsi alla nave avversaria formando con essa uno scafo unico un po’ asimmetrico. Quando si voleva far entrare in azione il Corvo, bastava eseguire un rapido scatto attraverso le corde e la passerella cadeva violentemente sulla nave avversaria, che veniva letteralmente infilzata, trafitta e trattenuta.

In questo modo, i soldati di fanteria presenti sulla nave romana potevano utilizzare la passerella per abbordare la nave del nemico e trasformare il combattimento da marittimo a terrestre, dove i legionari eccellevano particolarmente.

Secondo lo storico greco Polibio, il corvo era costituito da: un palo cilindrico posto a prua della nave, avente una lunghezza di quattro orgyie * e un diametro di tre palmi. Qui veniva inchiodata una scala a tavole trasversali larga quattro piedi e lunga sei orgyie. La scala aveva ai lati un parapetto alto fino al ginocchio. Sulla punta era installato una sorta di pestello di ferro appuntito con un anello in cima, sicché l'insieme sembrava del tutto simile ai macchinari per la preparazione del pane. Una corda attaccata all'anello permetteva di sollevare il corvo che, se lasciato cadere, si piantava sul tavolato della nave avversaria rendendo impossibile la separazione delle navi.

 

*L'orgyia (in greco antico: ργυιά) era un'unità di misura di lunghezza in uso nell'antica Grecia e nell'antico Egitto equivalente a circa 177,6 centimetri,

Nell'antica Roma un palmo era pari a 1 / 4 di piede, e quindi misurava 7,41 centimetri. 

Il Pes romano (piede) equivaleva a circa 30 cm ed è la base delle misure di lunghezza.

In altre parole il corvo era una passerella che fissata alla nave avversaria, permetteva a soldati abituati a combattere sulla terraferma di passare da una nave all'altra senza evoluzioni sulle funi e quindi di combattere come erano addestrati a fare. Se le navi restavano accostate ai fianchi l'abbordaggio era generale, se invece si attaccava la prua, il corvo permetteva l'attacco dei fanti su due file. I primi assaltatori riparavano loro stessi e i compagni tenendo gli scudi davanti a loro, quelli che seguivano, sempre con gli scudi, proteggevano i fianchi.

LA SVOLTA

LA BATTAGLIA DI MILAZZO 260 a.C.

La battaglia navale tra la flotta dei romani guidata da Gaio Duilio e le forze cartaginesi guidate Annibale Giscone, entrò nella storia soprattutto per l’utilizzo di un apparato di nuova concezione che abbiamo già descritto, il CORVO, che permise ai Romani di abbordare le navi avversarie e di capovolgere, come vedremo, una situazione storica a loro sfavorevole.

Milazzo è certamente uno dei massimi esempi dell’ingegno romano, sfoderato di fronte a grandi sfide di natura militare, ma soprattutto rappresenta la prima grande vittoria marittima romana contro i cartaginesi nell’ambito della prima guerra punica.

Messina rinunciò all'indipendenza chiedendo di essere protetta contro i nemici dalla superiore Forza Militare Romana. Ora Roma aveva il "diritto" di stare in Sicilia. Finalmente aveva il Iustum Bellum.

Gaio Duilio si recò personalmente al comando della flotta, settore più debole, lasciando ai tribuni la gestione delle truppe e delle operazioni a terra, settore bellico a cui le legioni erano già addestrate e da secoli vittoriose.

Le truppe cartaginesi stavano saccheggiando la zona attorno a Milazzo; Gaio Duilio diresse la flotta romana verso la città e Annibale Giscone, informato di questo spostamento del teatro delle operazioni, salpò da Palermo al comando di una flotta di 130 navi e, convinto dal risultato della battaglia di Lipari, della sua superiore capacità operativa, incrociò la flotta nemica nel golfo di Milazzo. 

I Cartaginesi, sbalorditi furono in parte massacrati e in parte si arresero. 30 navi, le prime che erano entrate in battaglia furono catturate e con queste anche la nave di Annibale che però riuscì a sfuggire alla cattura su una scialuppa.

Il resto della flotta punica cercò di manovrare per evitare l'aggancio dei corvi, tentando di trarre vantaggio dalla migliore qualità delle navi ed esperienza degli equipaggi. 

«Confidando nella loro velocità speravano di portare gli assalti a colpo sicuro, gli uni dai fianchi, gli altri da poppa.»

I corvi però, essendo imperniati verticalmente, potevano essere diretti quasi in ogni direzione e le navi cartaginesi finivano regolarmente immobilizzate, assaltate e catturate. Alla fine cinquanta navi puniche restarono nelle mani dei Romani e le altre, virarono di bordo e fuggirono. La battaglia di Milazzo aveva segnato l'ingresso di Roma nel Mediterraneo.

 

I Cartaginesi, vedendo i corvi sulle tolde delle navi nemiche,

«...restarono incerti, stupiti dal modo in cui gli attrezzi erano congegnati; tuttavia, avendo una pessima opinione dei nemici, quelli che navigavano davanti a tutti si gettarono audacemente all'attacco.»

(Polibio, Storie, I, 23, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)

 

La flotta romana, lasciata la Sicilia, aveva battuto i Cartaginesi a Capo Ermeo, catturando ben 144 delle 200 navi puniche e le aveva integrate nella sua flotta che quindi era arrivata a quasi 500 navi.

 

Per chi desiderasse approfondire l’argomento segnalo il seguente LINK:

 

La flotta da guerra romana e le navi di supporto

 

https://www.capitolivm.it/societa-romana/la-flotta-da-guerra-e-navi-di-supporto/

 

Le guerre puniche prenderanno da questo momento una rotta completamente differente: di lì a poco, nella battaglia di Capo Ecnomo, la più grande battaglia navale del mondo antico, i romani ottennero un’altra straordinaria vittoria, utilizzando nuovamente il corvo.

IL TRAMONTO DEL CORVO ROMANO

Nonostante il grande servizio reso a Roma, il corvo venne abbandonato dopo alcuni anni. Gli storici antichi spiegano la breve esistenza del CORVO ROMANO ch fu penalizzata dalla la sua stessa ingombrante struttura.

Osserviamo inoltre che:

  1. Per bilanciare il suo peso a prora era necessario zavorrare la nave a poppa

  2. Ma in questo modo la nave aumentava di peso perdendo velocità e manovrabilità essendo la forza applicata sui remi rimasta invariata.

  3. Anche il fattore SORPRESA era ovviamente venuto meno dopo le prime vittorie …

Infine, secondo le cronache del tempo, si verificarono almeno tre tempeste durante le quali le navi romane affondarono rapidamente, senza riuscire a salvarsi, proprio per il peso del CORVO.

Per questo motivo, sembra che già nella battaglia delle Isole Egadi del 241 a.C, (lo scontro decisivo della prima guerra punica), questo strumento non fosse più in dotazione alla flotta romana.

CONCLUSIONE

Anche se non esiste una connessione diretta tra il CORVO romano e i mezzi da sbarco utilizzati durante lo Sbarco in Normandia (Operazione Overlord) durante la Seconda Guerra Mondiale, entrambi i concetti condividono l'obiettivo di facilitare lo sbarco di truppe e armi ostili sul territorio nemico, anche se le tecnologie e le tattiche erano ovviamente diverse.

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo 22 Settembre 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


NAVE ROMANA 180 d.C. RECUPERATA A Leidsche Rijn De Meern - UTRECHT (Paesi Bassi)

 

NAVE ROMANA (180 d.C.) RECUPERATA

Leidsche Rijn De Meern - UTRECHT (Paesi Bassi)

 

 

 

Ipotetica ricostruzione della nave DE MEERN 1

In navigazione sul fiume

 

 

COME FU SCOPERTA CASUALMENTE UNA NAVE ROMANA NEI PAESI BASSI

 

Guardando il reperto da 5 metri d’altezza, i visitatori sono affascinati dal vecchio “legno” sottostante

 

 

 

La prora della nave

 

 

 

 

È stata semplicemente una scoperta casuale. Mentre scavavano una futura cava per Veldhuizen, una grande nuova area edilizia (parte dello sviluppo di Leidse Rijn), un escavatore ha colpito qualcosa di solido nell'argilla. In realtà, c'era in corso una vera e propria ricerca archeologica nelle vicinanze, alla ricerca della Strada Romana, che si sapeva essere passata sulla sponda meridionale del Basso Reno. Parte di quella strada, (con il ghiaia dell'agger) ancora nella posizione conosciuta, era stata appena scoperta quando si verificò casualmente la scoperta del relitto di una imbarcazione fluviale romana.

LA NAVE

Lo sviluppo di case destinato a circa 30.000 persone a ovest di Utrecht era ovviamente una grande opportunità per gli archeologi, che speravano in diverse scoperte. Il forte romano di De Meern era noto da tempo, ma la scoperta di una grande arteria romana teneva tutti con il fiato sospeso. E molte cose furono scoperte: ulteriori tracce di quella strada, un ponte, un molo e infine una torre di avvistamento, che era una novità.

Poi, nel 1997, è avvenuta la scoperta casuale, che ha portato alla scoperta della nave. Circolano due storie su quella scoperta. La prima racconta di un escavatore che colpisce un legno particolare durante la ricerca della strada romana. Nella seconda si dice che l'archeologo Hans Joosten sente per caso un compagno di viaggio sul treno che racconta di un misterioso legno trovato in una fossa creata per le fondamenta. In entrambi i casi, gli archeologi furono allertati e si precipitarono sul posto.

Pensando alla presenza di altri moli, rimasero molto sorpresi quando scoprirono di trovarsi dinanzi ad un relitto in condizioni perfette. Quando le 6 navi di Zwammerdam furono trovate nel XX secolo, si scoprì che erano state deliberatamente affondate per rafforzare la riva. Questa, invece, era ancora intatta, tanto è vero che è stato persino ritrovato un baule degli attrezzi con il suo contenuto! Doveva essere affondata per un incidente di navigazione piuttosto che per un progetto di rifacimento di un argine simile quello appena descritto. Tuttavia, fu presa la decisione di coprirla nuovamente. Perché? Semplicemente per raccogliere fondi in modo che l’escavazione subacquea potesse essere effettuata correttamente. Tuttavia, nel 2000 si scoprì che il letto antico del fiume portava ancora acqua con troppo ossigeno. Di conseguenza, la nave avrebbe iniziato a marcire…, il che significava che l'escavazione avrebbe dovuto iniziare molto prima. A marzo di quest'anno, lo scavo è iniziato e una grande fossa è stata scavata per rivelare la nave. Entro il 12 giugno verrà sollevata e trasportata a Lelystad, dove un bagno di etilenglicole la conserverà per le generazioni future.

Questa è circa la 15ª nave romana trovata nei Paesi Bassi e si tratta finora della “migliore”.

 

LA DATAZIONE

La nave DE MEERN 1 è stata datata approssimativamente intorno al 180 d.C.

 

Questa datazione si è rivelata corretta, poiché è stata confermata poco prima che la nave venisse sollevata dal fango, mentre era in corso l'ultima fase di conservazione. Si sapeva già che la nave era affondata proprio accanto alla strada romana, che era nota per essere stata costruita nel 125 d.C. e che fu terminata nel 225 d.C., quando questa regione del Reno inferiore non era più navigabile. Una moneta di bronzo si è rivelata troppo logora per riconoscere l'Imperatore, e una fibula di bronzo e la forma della nave non hanno fornito possibili date. Altre indicazioni provenivano dal legno con cui la nave era stata costruita. Si è scoperto che per costruire la nave erano stati utilizzati 3 alberi di quercia locali di almeno 40 metri ciascuno e che furono abbattuti tra il 142 e il 154 d.C. Gli indizi provenivano dalla cucina.

 

 

Una tegola usata come piastra calda, con l'iscrizione VEXEXGERINF (Vexillatio Exercitus Germanici Inferioris), riferendosi a un'unità militare locale che poteva essere datata solo al 140-180 d.C., mentre una delle tre tazze trovate poteva essere stata fabbricata solo dopo il 175 d.C. Quindi, la nave deve essere affondata intorno al 180 d.C.! Quando i resti sono stati esaminati più attentamente, il momento della sua fine è stato esteso a un periodo tra il 180 e il 200 d.C., in base alle scarpe e ai sandali che l'equipaggio indossava al momento del naufragio.

 

 

NEI DINTORNI ……

 

DE MEERN un villaggio urbanizzato nella provincia olandese di Utrecht. Fa parte del comune di Utrecht e si trova a 6 km a ovest del centro della città. Prima del 2001 i villaggi De Meern, Vleuten e Haarzuilens formavano un comune chiamato Vleuten-De Meern. Il 1° gennaio 2001 è stata incorporata nel comune di Utrecht.

 

 

CASTELLUM

 

Ricostruzione dell’antica Torre Romana d’avvistamento

 

LA TORRE DI AVVISTAMENTO ROMANA

Poco tempo dopo la scoperta della nave, sono state trovate le fondamenta di una torre di avvistamento nelle vicinanze di Vleuterweide. Anche questa è stata una sorta di sorpresa, perché non ci si aspettava la presenza di torri di avvistamento sul Basso Reno. Oggi sembra agli studiosi che la linea del fiume fosse molto più pesantemente sorvegliata di quanto si fosse finora supposto, con torri di avvistamento a intervalli regolari a vista l'una dell'altra (circa 1,5 km). Segnali di fuoco o fumo potevano avvisare i guardiani della torre successiva, in modo che un allarme potesse essere trasmesso lungo la linea alla fortezza più vicina in un tempo relativamente breve.

Le torri sorvegliavano non solo il fronte fluviale, che potrebbe non essere stato il vero confine (i confini romani non erano mai linee statiche), ma anche la strada, che era importante quanto il fiume come mezzo di trasporto e comunicazione. Questa torre è stata la prima trovata nell'ovest dei Paesi Bass

 

 

 

 

De Meern si trova nella regione di un ramo scomparso del fiume Reno. Questo ramo del fiume fungeva da confine settentrionale dell'Impero Romano. Sulla sponda del fiume l'esercito romano costruì un accampamento murato, un cosiddetto CASTELLUM. Ciò accadde nel primo secolo dopo Cristo. Anche in altri luoghi nei Paesi Bassi sono state costruite la castella. Il Castellum di De Meern è unico per via del Museo Hoge Woerd con numerosi reperti archeologici rinvenuti nel suolo di De Meern. Questo museo è ospitato in una versione ricostruita del castellum nello stesso luogo dell'ex vero castellum.

 

All'interno del museo è possibile ammirare La nave romana completa. Questa nave è stata scavata nel 1997 quando è stata preparata una nuova area residenziale a De Meern. È stato trovato sottoterra, sul fondo dell'ex fiume Reno. Dopo un lungo processo di conservazione per prevenire l'ossidazione, la nave è stata spostata nel nuovo Museum Hoge Woerd.

Adress and visitor information

Roman Castellum Hoge Woerd

Address: Hoge Woerdplein 1
Postal code and City: 3454 PB  De Meern
Province/Region: Utrecht
Email: info@castellumhogewoerd.nl
Web: castellumhogewoerd.nl

Visit: An average visits takes approx. 1 hours.
Navigation: Groenedijk 1a De Meern.

At the time of writing, the castellum can be visited free of charge from Tuesday to Sunday. Consult the website for more information.

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

 

Vista dall’alto

 

 

La poppa

 

 

 

Utensili vari in mostra nel Museo

 

 

Due anelli (golfari) per ormeggio sul lato sinistro

 

Nell’attrezzatura navale, qualunque anello metallico fisso, solidamente fermato ai macchinarî, ai ponti, ecc. per agganciarvi i paranchi, le pastecche di rinvio dei cavi sotto sforzo, o per fissarvi le bozze dei cavi di ormeggio e delle catene delle ancore.

 

Tra I vari reperti ritrovati riportiamo alcune immagini: punta di diamante, una chiave, forbici, mulino a mano, scarpa militare, una moneta, un’ascia, uno stilo, spilla di sicurezza (fibbia), un remo, due bastoni di uso sconosciuto, uno scalpello…

La nave stessa era fatta di grandi tavole di quercia, che erano tenute insieme da unghie di ferro. La chiglia era piatta per ormeggiare sulle rive del fiume.

 

 

 

 

Tavole di quercia

 

 

 

 

Punta di diamante (primo piano) e una chiave in secondo piano a ds.

 

 

 

Forbici

 

 

 

 

Mulino a Mano

 

 

In uso ancora oggi, ll Mezzo Marinaio è una lunga asta di legno, di alluminio o di una lega leggera che alla sua estremità ha un uncino. Il suo scopo principale è quello di recuperare o passare le cime di ormeggio e per avvicinare o allontanare l'unità navale all'ormeggio/approdo.

 

 

 

UN PO’ DI GEOGRAFIA

      UTRECHT

 

 

 

 

I Romani sono qui …

 

 

 

 

Il centro urbano di Utrecht si estende intorno al nucleo centrale e più antico della città. Nel cuore del centro svetta la Torre del Duomo di Utrecht: con i suoi 112,32 m di altezza è la torre campanaria più alta dell'intero paese. Da esso, nelle giornate di bel tempo, è possibile vedere Amsterdam (che si trova a 35 km a nord). La maggior parte degli edifici del centro risale all'epoca d'oro dei Paesi Bassi, ovvero al XVI e XVII secolo, quando questi erano una grande potenza coloniale. Di conseguenza, il centro della città appare a tutt'oggi elegante con abitazioni ed edifici raffinati e riccamente decorati. La città è attraversata da diversi canali: tra i più pittoreschi si distinguono l’Oudegracht (Canale Vecchio) ed il Nieuwegracht (Canale Nuovo). Nelle giornate di sole, i bar, i ristoranti ed i negozi che si affacciano sull'Oudegracht sono affollati.

 

 

CATTEDRALE DI SAN MARTINO DI TOURS

 

 

Cattedrale di San Martino 

cattedrale cattolica dell'arcidiocesi di Utrticaecht fino al 1580, poi passata al culto protestante. Rappresenta uno dei migliori esempi dell'archittetura gotica  dei Paesi Bassi, costruita in uno stile di diretta derivazione francese. La sua torre, con i suoi 112,32 metri d'altezza, è il campanile più alto del paese e il simbolo stesso della città.

Origini

Il  Clero Franco eresse una prima cappella sul luogo, già dedicata a san Martino di Tours,  intorno al 630, con il patrocinio dei re merovingi.  Questo edificio tuttavia venne distrutto poco tempo dopo da un attacco dei Frisoni.  San Villibrordo,  detto l'Apostolo della Frisia,  eresse una nuova cappella sul luogo, che venne a sua volta distrutta da una delle numerose incursioni normanne  nel IX secolo. Il secolo successivo il vescovo Balderico ricostruì nuovamente l'edificio, che divenne la chiesa principale del luogo, retto da un capitolo di canonici a cui fu concesso nel 999  dall'imperatore Ottone III  del  Sacro Romano Impero  il diritto di commerciare birra gruit.  

Il duomo di Adalboldo

Successivamente la chiesa venne più volte distrutta da incendi e in seguito sempre ricostruita. Un bizzarro edificio in stile romanico venne eretto dal vescovo Adalboldo II e consacrato nel 1023. Si presentava come un agglomerato di cinque chiese disposte a forma di croce, chiamato comunemente Kerkenkruis o duomo di Adalboldo. Nel 1039 vi vennero seppellite le viscere di Corrado II il Salico, morto in città.

Anche questa chiesa subì i danni di un grande incendio, scoppiato nel 1253, che devastò gran parte di Utrecht.

Il duomo gotico XIV e XV secolo

Fu allora, nel 1254, che il vescovo Hendrik van Vianden, già decano della cattedrale di Colonia, decise la costruzione di una nuova e maggiore chiesa, l'attuale duomo gotico. Pose la prima pietra nello stesso anno, ma il cantiere non si avviò subito, a causa della ricerca dei fondi necessari. Nel 1265 papa Clemente IV concesse un'indulgenza ai fini della costruzione, ma i lavori iniziarono solo nel 1288 dopo i piani finanziari operati dal vescovo Jan van Nassau, e si protrassero fino al XVI secolo.

Il progetto prevedeva una planimetria a croce latina, con transetto e coro a deambulatorio con cappelle radiali poco profonde. L'ispirazione sembra trovare influssi dalle cattedrali di Tournai e di Soissons, ma mostra delle affinità anche con il duomo di Colonia, tanto da far pensare un operato dell'architetto Gerhard di Colonia.

Il cantiere iniziò con l'elevazione dei pilastri a fascio del coro, terminati intorno al 1295, e si proseguì con quelli dalla navata sud del deambulatorio che tuttavia presenta già una variazione del piano originale, atto ad ampliare gli spazi, e provato dall'utilizzo di pilastri differenti, senza capitelli. Uno dei più antichi esempi di applicazione di pilastri di questo tipo. Questa porzione della cattedrale fu completata intorno al 1320 e si continuò con l'elevazione del deambulatio nord e la relativa sacrestia, eseguiti in uno stile più sobrio entro il 1350. Contemporaneamente, dal 1321, si intraprese l'erezione della torre-portico sulla facciata, a base quadrata e composta da tre piani rastremati.

 

Dal punto di vista economico Utrecht si distingue da molte altre città olandesi per la forte tendenza al commercio: i suoi negozi sono molto rinomati in tutti i Paesi Bassi. La stazione ferroviaria è il centro della rete ferroviaria olandese e la sede degli uffici centrali del Nederlandse (Ferrovie olandesi) ed è strutturalmente unita al centro commerciale più grande del paese, Hoog Catharijne.

L’Universita’ di Utrecht (Utrecht Universiteit), con i suoi 30.000 studenti, è il più grande ateneo e centro di ricerca di tutti i Paesi Bassi e, con i suoi 7.000 impiegati, è anche la realtà economica più grande, in termini di numero di dipendenti, della città. La presenza dell'Università connota fortemente la vita di Utrecht, dove vivono decine di migliaia di persone con meno di 25 anni di età e diverse migliaia di studenti e ricercatori stranieri. Inoltre, nel centro cittadino ci sono cinema, teatri, centinaia di bar e decine di locali notturni. Utrecht è anche molto famosa per i suoi caffè e ristoranti, realizzati con gli stili e i gusti più variegati.

Dal punto di vista delle attività culturali, la città si presenta come un centro dinamico e molto attivo, specialmente per la presenza di vari musei, teatri, scuole d'arte.

 

 

Conclusione:

 

Il mare, una volta lanciato il suo incantesimo, ti terrà per sempre nella sua aura di meraviglia.

Jacques-Yves Cousteau

 

 

 

Carlo Gatti

 

Rapallo, 13 Settembre 2023

 

 

 

 

 


INCROCIATORE AURORA - SAN PIETROBURGO -RUSSIA

 

 

UNA NAVE FAMOSA

Incrociatore AURORA

SAN PIETROBURGO-RUSSIA

 

 

SAN PIETROBURGO

5.500.000 Abitanti

 

Pianta del Centro Città

Le due frecce rosse indicano rispettivamente:

 l’Incrociatore AURORA (alto a destra)

L’HERMITAGE MUSEUM (centro cartina)

Da cui parte la celebre Prospettiva Nevskij

 

 

San Pietroburgo fu fondata da Pietro il Grande nel 1703 con l'obiettivo di creare una città portuale e commerciale che fosse in grado di aprire la Russia all'Europa. La costruzione iniziò sulla foce del fiume Neva, in un territorio che in precedenza era controllato dalla Svezia.

 

 

Pietro Alekseevič Romanov 

Detto

PIETRO IL GRANDE

 (Mosca 9 giugno 1672- San Pietroburgo 8 febbraio 1725)

 

 

Fu il fondatore della città di San Pietroburgo

 

San Pietroburgo, la “seconda capitale” della Russia, è una città mutevole, camaleontica che, nel corso della sua storia, ha cambiato tre volte il nome:

   -  nel 1914 San Pietroburgo diventa Pietrogrado;

   - Leningrado durante il regime comunista;

   - San Pietroburgo con la caduta del Muro di Berlino.

 

San Pietroburgo fu fondata nel 1703 sotto il regno di Pietro I il Grande, con l'obiettivo di creare una città che facesse da "ponte" tra Russia ed Europa, un luogo che avrebbe avuto una grande forza politica ed economica.

Pietro I detto il Grande la ideò come sua nuova capitale e costruì il primo complesso di quello che sarebbe poi divenuto il Palazzo d'Inverno che oggi possiamo ammirare. E’ stato zar e, dal 1721, primo imperatore di Russia. Il suo regno ebbe inizio nel 1682, in co-reggenza con Ivan V, malato sia mentalmente sia fisicamente e pertanto impossibilitato a regnare. Alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1696, Pietro fu sovrano assoluto fino al 1724, anno a partire dal quale la moglie Caterina I  lo affiancò in questo compito.

 

Considerato un eroe nazionale russo, compare sulle banconote da 500 rubli e francobolli; gli sono dedicati monumenti e opere letterarie. Era alto circa due metri, anche se aveva piedi e testa sproporzionati in confronto alla notevole statura; probabilmente a causa dell'altezza, soffriva di attacchi di “piccolo male”, una particolare forma di epilessia.

Durante il suo regno venne considerato dai suoi contemporanei come il tipico rappresentante del sovrano illuminato, e come Imperatore operò sotto la direzione dei principi del giurisdizionalismo. Tuttavia come autocrate, fu molto severo nelle dure repressioni delle rivolte, compreso il complotto a cui prese parte suo figlio Alessio.

 

 

Costituzione della flotta russa

Non appena celebrato il trionfo di Mosca, Pietro riunì a Preobraženskoe il consiglio dei boiari e annunciò la sua intenzione di colonizzare Azov e Taganrog e di costruire una flotta navale: Trentamila famiglie di contadini e tremila strelizzi furono inviati ad Azov come colonizzatori militari mentre ventimila ucraini furono inviati a Taganrog a costruire il porto.

Il 20 ottobre 1696 un decreto approvò la costituzione della Marina Russa; gli oneri per la costruzione delle nuove navi, che sarebbero state approntate entro diciotto mesi nei cantieri di Voronež, furono suddivisi tra i mercanti, la chiesa e i proprietari terrieri: lo Stato avrebbe costruito per proprio contro dieci navi; ogni latifondista ne avrebbe costruita una; così come una ne doveva costruire ogni grande monastero.

Nonostante da tutta Europa giungessero carpentieri navali, per costruire la flotta che Pietro aveva in mente ci sarebbe stato bisogno di molti più tecnici. Altro problema si sarebbe presentato allorquando la flotta fosse stata varata, poiché almeno alcuni ufficiali dovevano essere russi. Il 22 novembre Pietro dichiarò che avrebbe mandato più di cinquanta russi, in gran parte giovani rampolli delle famiglie più nobili, in Europa a studiare nautica e ingegneria navale. Negli anni che seguirono, decine e decine di altri giovani russi vennero inviati all'estero per l'addestramento nautico; le conoscenze che portarono con sé al loro rimpatrio concorsero a trasformare la Russia.

Pietro il Grande attrasse molti artisti, architetti e ingegneri stranieri per contribuire alla costruzione di San Pietroburgo. Gli italiani, con la loro esperienza nell'architettura barocca e nelle arti, ebbero un ruolo significativo nella creazione dell'aspetto e dell'atmosfera della città. Architetti come Domenico Trezzini e Bartolomeo Rastrelli, entrambi di origine italiana, hanno progettato molti dei famosi edifici barocchi di San Pietroburgo uno dei quali è il famoso:

 

PALAZZO D’INVERNO

HERMITAGE

 

 

L'HERMITAGE è uno dei musei d'arte più famosi al mondo. E' uno dei luoghi culturali più importanti di San Pietroburgo e attira milioni di visitatori ogni anno.

 

l'Hermitage, in quanto uno dei musei più importanti e iconici al mondo, è sicuramente un luogo da non perdere se intendete visitare San Pietroburgo. La sua vasta collezione di opere d'arte, la bellezza architettonica dei palazzi e la storia che circonda il museo lo rendono un'esperienza culturale straordinaria.

Mi è stato detto da una guida del museo che per visitare l'HERMITAGE in modo completo occorrerebbe un anno intero. Gli orari di apertura e i costi dei biglietti possono variare, quindi è consigliabile consultare il sito ufficiale dell'Hermitage per ottenere le informazioni più aggiornate prima della visita.

 

L'architettura stessa del Palazzo d'Inverno è un'attrazione. Le sontuose sale e gli ambienti lussuosi riflettono lo stile e la grandiosità degli zar russi.

L'Hermitage è ospitato nell'edificio dell'Palazzo d'Inverno, che fu costruito nel XVIII secolo per essere la residenza invernale degli zar russi. Nel corso degli anni, l'edificio è stato notevolmente ampliato e arricchito, diventando uno dei complessi museali più grandi al mondo.

L'Hermitage è composto da diversi edifici che ospitano una straordinaria collezione di opere d'arte che spazia dall'antichità all'arte contemporanea. Tra le sue collezioni più celebri ci sono dipinti di artisti rinomati come Leonardo da Vinci, Rembrandt, Michelangelo, Rubens, e molti altri. Oltre ai dipinti, il museo ospita anche una vasta raccolta di sculture, oggetti d'arte decorativa, manufatti storici e reperti archeologici.

L’Hermitage è suddiviso in diverse sezioni tematiche e gallerie, quindi è utile avere un'idea di ciò che si desidera vedere: ci sono le sale dell'arte italiana, le collezioni d'arte europea e russa, e la collezione di opere d'arte dell'Estremo Oriente.

L'Hermitage dell'Amiralteysky è un esempio di architettura monumentale e storica.

 

Dal 1732 al 1917 IL PALAZZO D’INVERNO fu la residenza ufficiale degli Zar di Russia. Venne costruito con continui lavori dal 1730 al 1837.

Durante la Rivoluzione Russa del 1917 Il palazzo divenne uno dei simboli più importanti dell'oppressione del regime assolutistico zarista. Il palazzo venne costruito con una struttura monumentale per rappresentare la bellezza dell’arte connessa all’enorme potere che aveva l’Impero russo. Da questo palazzo lo Zar, autocrate di tutte le Russie, governava quasi 22.400.000 chilometri quadrati di territorio (circa un sesto delle terre emerse al mondo), con un totale di 176.400.000 abitanti.

L'attuale palazzo venne disegnato da diversi architetti, ma è un vanto per l’Italia che l’artefice più importante di tutti sia stato Bartolomeo Rastrelli, che inaugurò il termine di Barocco elisabettiano per i lavori che svolse proprio qui per conto della zarina Elisabetta di Russia. Il palazzo ha la forma di un rettangolo bianco e verde e si è calcolato che esso dispone di 1.786 porte, 1.945 finestre, 1.500 stanze e 117 armadi. La ricostruzione del 1837 lasciò gli esterni illesi, ma gran parte degli interni vennero ridisegnati con varietà di gusti e stili, lasciando che però a prevalere fosse un recupero di stile Rococò, seguendo il progetto del Rastrelli.

Nel 1905, il palazzo fu teatro dei massacri della Domenica di sangue*, e da questa data la famiglia imperiale prescelse di vivere altrove ritornando al Palazzo d'Inverno solo in rare occasioni. A seguito della Rivoluzione di febbraio 1917, il palazzo divenne per un breve periodo sede del “governo provvisorio russo”, retto da Aleksandr Kerenskij. Successivamente, il palazzo venne occupato dalle guardie rosse dando il via alla nascita del potere sovietico. Da quando in seguito fu restaurato il palazzo è parte del complesso di costruzioni che costituiscono il MUSEO DELL’HERMITAGE.

 

 

Da East Jornal

STORIA: La domenica di sangue del 1905

Stefano Cacciotti  9 Gennaio 2020

Il 22 gennaio del 1905 (9 gennaio del calendario giuliano) si consumava a San Pietroburgo uno dei tanti scempi dell’autocrazia zarista ai danni dei lavoratori russi. Un massacroperpetrato contro manifestanti disarmati e pacifici il cui obbiettivo era incontrare lo zar Nicola II.

Chiedevano più giustizia sociale, diritti sindacali libertà politiche. Lo zar rispose con la violenza militare dell’esercito e della guardia imperiale.

L’eccidio del 9 gennaio darà il via alla prima Rivoluzione russa (1905 – 1907), che porterà la dinastia dei Romanov sull’orlo del baratro causando una profonda frattura tra le masse e Nicola II. Una frattura mai risanata dalla quale matureranno i frutti della Rivoluzione d’ottobre del 1917.

Andando alla ricerca delle cause che furono alla radice del declino imperiale dell’epoca ci si imbatte nella crisi industriale (1901 – 1903) e nella disastrosa guerra persa contro il Giappone (1904 – 1905). Tuttavia, un ruolo cruciale lo giocò la totale incapacità, da parte dello zar come della nobiltà e delle classi benestanti, di comprendere il profondo disagio esistenziale e materiale che la maggioranza del popolo russo viveva sulla propria pelle.

 

 

L’INCROCIATORE AURORA

 

L'incrociatore Aurora è una famosa nave da guerra russa che ha giocato un ruolo significativo nella storia del paese. È situato a breve distanza dall’Hermitage ed è diventato un'icona storica dopo gli eventi della Rivoluzione d'Ottobre del 1917.

Storia: L'incrociatore Aurora è stato varato nel 1900 ed è stato attivo durante la prima guerra mondiale. Tuttavia, è noto principalmente per il ruolo che ha giocato nella Rivoluzione d'Ottobre del 1917. Il colpo di cannone sparato dall'Aurora il 25 ottobre 1917 ha segnato l'inizio dell'assalto al Palazzo d'Inverno e l'avvio della presa del potere da parte dei bolscevichi.

Museo: Oggi, l'incrociatore Aurora è ormeggiato sul fiume Neva ed è diventato un Museo Navale. Con il nostro gruppo (visita guidata) abbiamo visitato l'interno della nave e scoperto la sua storia attraverso mostre, oggetti marinari e materiali storici con installazioni interattive.

Inoltre abbiamo visitato diverse strutture dell'incrociatore: i ponti, le cabine degli ufficiali, alloggi vari, depositi munizioni e molto altro ancora. Molti reperti sono ovviamente dedicati al racconto del ruolo che ebbe l'Aurora durante la Rivoluzione d'Ottobre.

Colpo di cannone: Uno dei momenti più emozionanti durante la visita è l'esperienza del "colpo di cannone". Ogni giorno, a mezzogiorno, un colpo di cannone viene sparato dalla nave, come parte della tradizione. Questo è un evento che attira spesso l'attenzione dei visitatori.

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

Ogni nave ha un’anima soprattutto per gli equipaggi che l’hanno navigata, ma l’AURORA è una nave speciale perché la sua storia rappresenta l’anima di tutti i Russi di terra e di mare.

 

 

L'incrociatore protetto russo "Aurora" costruito nei cantieri navali di San Pietroburgo e varato l'11 maggio 1900, fu così battezzato in onore della fregata “Aurora” che difese la città di Petropavlovsk-Kamčatskij durante la guerra di Crimea.

La seconda AURORA partecipò alle guerre navali d'inizio '900, ma è noto per il suo simbolico colpo di cannone durante la Rivoluzione d'ottobre nel 1917, con il quale si diede il segnale per la conquista del Palazzo d'inverno. Rimase attivo anche durante la seconda guerra mondiale, durante la quale fu danneggiato. Attualmente è un Museo Galleggiante ed è possibile vederlo, attraccato sulla Neva e visitarlo assieme ad una guida.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA STORICA IMPORTANTE

 

DA SAN PIETROBURGO AL TERREMOTO DI MESSINA

Ore 5,21 del 28 dicembre 1908 un grande boato sconvolse lo stretto di Messina. La terra tremò con un movimento sussultorio seguito da uno ondulatorio. L’intensità del terremoto che si abbatté sulla costa siciliana e calabrese fu di 11 gradi della scala Mercalli (su 12 previsti). Sulla costa il mare prima si ritirò e poi onde alte circa 10 metri trascinarono in acqua uomini e cose. La Scossa durò 37 interminabili secondi; dopo, prima il silenzio della morte e a seguire i lamenti dei feriti e dei sepolti vivi. Gli equipaggi delle navi presenti in porto scesero a terra e parteciparono attivamente ai soccorsi.

Sul numero dei morti non c’è mai stato una stima precisa. Alcune fonti riportano che siano morte in totale 160.000 persone di cui circa 80.000 a Messina (su 140.000 abitanti) e 15.000 a Reggio Calabria (su 45.000 abitanti). Nel 1998, in occasione del 90° anniversario dell’evento, il giornale “La Sicilia”, ha rivalutato sensibilmente la predetta stima incrementando il numero delle vittime a 200.000 per la provincia di Messina e in 180.000 per la provincia di Reggio Calabria.
Messina fu quasi interamente distrutta il 90% delle abitazioni crollarono. Nei giorni successivi la terra continuò a tremare e si contarono altre 138 scosse dopo la prima.

Fu uno dei disastri naturali più devastanti nella storia italiana. Ha causato la morte di migliaia di persone e ha distrutto molte città e insediamenti lungo la costa dello Stretto di Messina. La notizia del terremoto e delle sue conseguenze ha raggiunto l'Impero Russo e l'equipaggio dell'incrociatore Aurora, che si trovava nel porto di Odessa.

In risposta alla tragedia, l'equipaggio dell'Aurora espresse un gesto di solidarietà inviando un telegramma al re d'Italia e al governo italiano offrendo aiuto e supporto. L'equipaggio ha anche raccolto donazioni per le vittime del terremoto, dimostrando così il loro sostegno e la loro solidarietà nei confronti del popolo italiano colpito dalla catastrofe.

Questa azione ha avuto un impatto significativo nelle relazioni tra l'Impero Russo e l'Italia dimostrando che, anche in un momento di crisi e disastri, i legami umani e di solidarietà potevano superare le divisioni politiche ed ideologiche.

Questo gesto di aiuto e sostegno da parte dell'equipaggio dell'incrociatore Aurora contribuì a rafforzare i rapporti tra i due paesi e a creare un sentimento di amicizia e cooperazione reciproca.

L'incrociatore Aurora rimase in servizio nella flotta russa e non fu coinvolto nelle operazioni di soccorso o assistenza a seguito del terremoto di Messina. Pertanto, non ci furono azioni concrete dell'Aurora legate a quel disastro naturale.

 

 

Tuttavia, Nel 1910 l’Aurora fece scalo a Messina, in Sicilia, per ricevere una medaglia in onore di quei marinai russi che aiutarono le popolazioni del Sud Italia colpite dal terribile terremoto del 1908.

 

 

Numerosissime scosse di assestamento si ripeterono nelle giornate successive e fin quasi alla fine del mese di marzo 1909. Ma già all’alba del 29, la rada di Messina cominciò ad affollarsi.

Una squadra navale russa alla fonda nella rada di Augusta si fece rotta a tutta forza verso la città distrutta con le navi: Makaroff, Guilak, Korietz, Bogatir, Slava e Cesarevic. Subito dopo fecero la loro comparsa le navi da guerra inglesi Sutley, Minerva, Lancaster, Exmouth, Duncan, e Euryalus. Il comandante russo ammiraglio Ponomareff fece approntare i primi soccorsi prestando anche opera di ordine pubblico, salvando con i suoi marinai 1300 persone intrappolate sotto le macerie delle abitazioni crollate, e facendo fucilare gli sciacalli.

Il terremoto e le successive azioni di aiuto contribuirono a migliorare le relazioni tra l'Impero Russo (successivamente l'Unione Sovietica) e l'Italia.

Rapporti bilaterli tra l'Impero Russo e l'Italia che ebbero un rafforzamento anche grazie a eventi politici e diplomatici successivi al terremoto.

Un importante punto di svolta nelle relazioni fu la firma del Trattato di Rapallo nel 1922 tra l'Unione Sovietica e il Regno d'Italia che sancì la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi e contribuì a rafforzare i legami bilaterali.

 

 

LE NAVI CHE STRANIERE CHE PARTECIPARONO ALLE OPERAZIONI DI SALVATAGGIO DELLE POPOLAZIONI COLPITE DAL TERREMOTO.

 

NAVI RUSSE

Avuta notizia del disastro il 28 dicembre, le navi russe Cesarevich, Slava e Makaroff, che si trovavano alla fonda ad Augusta, partirono per Messina giungendovi verso le ore 7,30 del 29. Come già descritto, a meno del Makaroff che pilotato dall’ Ufficiale in 2° della Spica si ormeggiò alla banchina, le altre unità rimasero alla fonda fuori del porto.

La metà degli equipaggi sbarcò immediatamente, adoperandosi nelle opere di salvataggio e di assistenza. La stessa sera il Makaroff partì per Napoli trasportando 400 feriti. Altri feriti furono ricoverati sullo Slava.

Il 30 mattina giunsero da Palermo le cannoniere Corietz e Giliack, che assieme allo Slava ed al Cesarevich partirono la stessa sera cariche di feriti. Il Makaroff, ritornato da Napoli, imbarcava altri 200 feriti e circa 400 profughi, che il 2 gennaio ritrasportava a Napoli.

Il 4 gennaio le navi russe lasciarono l’Italia, lasciando nei messinesi un importante ricordo, non solo per le attività di soccorso ma anche per quelle di sicurezza svolte per impedire azioni di sciacallaggio.

 

 

NAVI FRANCESI


La Divisione navale francese al Comando dell’Ammiraglio Le Pord, composta delle navi Justice, Verité e dai caccia torpediniere Fanfare e Carquois, partirono da Tolone il 30 dicembre e giunsero il 1° gennaio a Messina, dove era già arrivato il giorno precedente il Cacciatorpediniere Dunois, su urgente disposizione del Governatore francese della Tunisia.

Presi accordi con il Ministro della Marina italiana furono inviati tre Cacciatorpediniere sulla costa calabra, a sud di Reggio e le navi Justice e Verité fra Messina e Torre del Faro.

Furono distribuiti viveri, materiali sanitari, coperte e tende. I medici prestarono la loro opera ai feriti sia a terra che a bordo del Cacciatorpediniere e le imbarcazioni delle navi eseguivano il trasbordo dei feriti e profughi da Reggio e da Messina. La loro opera finì il 6 gennaio 1909.

 

NAVI GERMANICHE


I primi stranieri che furono impiegati nei soccorsi a Messina furono i tedeschi del piroscafo “Salvador” già in sosta in porto. La prima unità militare tedesca che giunse a Messina il 31 dicembre fu nave Heria, che consegnò ingenti quantità di viveri al piroscafo Stura (impiegato come deposito) ed imbarcò circa 300 tra feriti e profughi, trasbordandoli in parte sul piroscafo Bremen ed altri, fra cui 114 feriti gravi, furono portati a Napoli.

Il 2 gennaio l’Heria ripartiva giungendo il mattino del 3 gennaio a Messina, insieme alla nave tedesca Victoria Louise. I viveri trasportati dalla Victoria Louise furono distribuiti ai paesi di Ganzirri, Sant’Agata e Torre di Faro e furono curati numerosi feriti di tali località.

Le navi tedesche partirono da Messina per la Germania il giorno 5 gennaio effettuando una breve sosta a Palermo dove la Victoria Louise sbarcò materiale sanitario per l’Ospedale internazionale e sei baracche donate dal loro Imperatore.

 

NAVI DANESI


Le navi danesi Heymdal e Thor, provenienti dal Pireo, giunsero a Messina il 5 gennaio. Sulla nave Heymdal era imbarcato S.A.R. il Principe Axel. Questa unità, su richiesta del Comandante della Divisione volante, prestò la sua opera di soccorso sulla costa calabra, ove distribuì viveri e coperte. La nave Thor, invece, fu impiegata a Taormina. Le navi danesi lasciarono l’Italia l’8 gennaio.

 

NAVI AMERICANE


Gli Stati Uniti d’America inviarono sulle coste calabro-sicule le navi Culgoa, Connecticut, Yankton ed il trasporto Celtic.

Il Culgoa rimase in area dall’8 al 15 gennaio e distribuì notevoli quantità di provviste e medicinali. Con il piroscafo Bayern, della Croce Rossa Americana, consegnò viveri e medicinali a Reggio Calabria e poi a Catona, Ganzirri, Cannitello e Scilla.

Altri viveri e materiali furono sbarcati dalle navi:

  • Connecticut ed Illinois, giunte a Messina rispettivamente il 9 ed il 14 gennaio e subito ripartite;

  • Yankton in sosta dal 9 al 14 gennaio;

  • Celtic dal 21 gennaio al 1° febbraio.

Il Comando del trasporto Celtic, d’accordo con le Autorità italiane, sbarco il suo ingente carico:

  • nei porti di Napoli, Palermo, Milazzo, Catania, Siracusa, ormeggiandosi in predetti porti;

  • nelle località di Bagnara, Gioia Tauro, Scilla, Cannitello, Pellaro, Melito, Lazzaro, tramite rimorchiatori noleggiati per l’occasione;

  • nelle località di Pace, Ganzirri, Villa San Giovanni, Catona ed Archi tramite le torpediniere della Marina Italiana;

  • a Reggio Calabria tramite il rimorchiatore Maddalena, della Regia Marina Italiana;

  • a Giardini e Catona con il concorso di agenzie private.

Infine, gli equipaggi delle navi americane della Squadra dell’Atlantico raccolsero 16.000 lire che diedero al Ministero della Marina per l’assistenza alle famiglie dei militari della Regia Marina colpite dal disastro.

 

NAVE PORTOGHESE


La nave da guerra portoghese Vasco de Gama sostò a Messina dal 16 al 20 gennaio consegnò viveri ed indumenti al Comando Superiore della Piazza.

 

NAVE GRECA


La nave da guerra greca Sfacteria arrivò a Catania il 6 gennaio e sbarcò, consegnandoli direttamente a quel municipio i soccorsi inviati dal governo greco. Successivamente sostò a Messina dal 21 al 23 dello stesso mese.

 

NAVE SPAGNOLA


La nave da guerra spagnola Princesa de Asturia giunse a Milazzo il 17 gennaio e consegnò tende e viveri al Generale Comandante di quella zona. Sostava successivamente dal 24 al 26 a Messina.

 

 

 

CONCLUSIONE:

Sul sito di MARE NOSTRUM RAPALLO ci capita spesso “d’imbarcare” su navi che hanno lasciato sulla loro scia importanti pezzi di storia del loro Paese. Nel caso dell’incrociatore AURORA che abbiamo messo al centro di questa ricerca, mi ha colpito il suo aspetto simbolico di continuità nel tempo che sopravvive nel cuore del popolo russo anche quando la sua travagliata storia ha disegnato radicali cambiamenti istituzionali. L’AURORA ha quindi un alone di mistero intorno a sé? Non lo so! Forse il suo stesso nome nasconde un messaggio di eterna speranza: che il nuovo giorno porti luce e saggezza.

 

Nella mitologia romana, Aurora (“aurum-oro) era la dea che si rinnovava ogni giorno all'alba e volava attraverso il cielo, annunciando l'arrivo della mattina.

 

N.B.

Il LINK che vi riporto sotto ha il pregio di colmare i vuoti culturali che  mi sono lasciato alle spalle per ragioni di spazio ...

Cosa vedere a San Pietroburgo…

https://tourism.com.de/it/cosa-vedere-a-san-pietroburgo-in-primo-luogo-foto-descrizione-mappa/

 

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 6 Settembre 2023