I MISTERI DEL KT DI SESTRI LEVANTE

SCHEDA

 

 

“EROS” “KT”

(Krieg Transporte)

 

Caccia antisommergibili U-J 2216 (UJ: U Boot Jager = Cacciatore di sommergibili) Data di affondamento: siluramento da parte di 4 moto torpedo boat (motosiluranti) inglesi alle ore 3,40 nella notte tra il 13 ed il 14 settembre 1944)

 

Posizione: LAT. 44° 15’ 856” NORD LONG. 09° 21’ 960” EST

 

Distanza dalla costa: 0,95 mg dalla punta di Sestri Levante Allineamenti da terra: Il punto di partenza della diga foranea del porto di Sestri L. con il campanile della chiesa di Sant’Antonio: i due capi, Punta Manara e Punta Baffe allineati.

 

MEMO

 

Localizzazione 8, Visibilità 7, Facilità di discesa 7, Correnti sì Accesso all’interno 3, Presenza lenze/reti sì, Interesse storico-doc. 7, Interesse bentonico 8.

 

Il relitto giace ad una profondità di 58 metri. La nave, inizialmente considerata semplicemente un trasporto di nazionalità tedesca, è stata successivamente rivisitata ed un più accurato controllo delle attrezzature rimaste a bordo, ha consentito di riscontrare la presenza di scritte in lingua francese per cui inizialmente si era affacciata anche l’ipotesi che l’unità fosse stata allestita in un cantiere transalpino. Non era comunque l’unica incertezza circa l’identità di questa unità navale: secondo altri ricerca tori, infatti, poteva essere stata varata in un cantiere italiano. Grazie ai registri storici della Kriegsmarine, la vera identità della nave è stata infine ricostruita con certezza: si chiamava originariamente Eros ed era uno splendido yacht appartenente al nobile francese, il barone Henri de Rotschild, noto banchiere. Si sa anche che nel 1926 venne varata dai cantieri Ramage & Ferguson di Leith e che venne affidata

 

al comando del capitano J.H. Evrard che ne aveva anche seguito i lavori di costruzione. L’Eros, estremamente lussuoso e ben rifinito, era di base a Le Havre ed era sospinto da due motori da 900 cv ciascuno. I dati tecnici illustrativi sono eloquenti:

 

- peso= 26 tons

 

- lunghezza totale= 65,13 mt

 

- larghezza= 9,75 mt

 

- dislocamento= 914 tons

 

- velocità= 14 nodi.

 

In occasione della crisi cecoslovacca il 17 aprile 1939 l’Eros venne requisito dalla Marina Nazionale Francese e inviato in servizio ad Ajaccio con la sigla AD 227. Si sa anche che il 4 maggio fu restituito ai suoi proprietari, ma tre mesi più tardi, con la seconda guerra mondiale ormai in corso, venne nuovamente requisito e reinscritto nel ruolo militare col numero AD 196. Infine venne affidato a “Marine Maroc” e inviato a Tangeri, ove ebbe un ruolo rappresentativo anche per le autorità francesi a Gibilterra.

 

A questo prestigioso yacht, inizialmente furono affidate missioni, diplomatiche. Nonostante ciò fu poi riclassificato come scortaconvoglio e venne dotato di un cannone da 100 mm e di alcune altre installazioni militari indispensabili per i nuovi compiti e il suo numero divenne questa volta P 140. Rimesso in servizio a Tolone il 2 settembre verrà inviato in missione a Tangeri il 10 novembre 1939. Delle sue missioni militari ricordiamo una scorta al sottomarino Ariane nel dicembre 1939, una scorta al sottomarino Espadon nell’aprile 1940, la scorta a due convogli trasporto truppe in marzo e il riconoscimento dello stato sanitario del rimorchiatore danese Geir il 12 aprile 1940. L’Eros non lascerà il porto di Tangeri che dopo l’armistizio per raggiungere Casablanca il 26 giugno 1940 con il personale della Missione Navale Francese di Gibilterra.

 

 

Resterà due anni in Marocco, poi sarà richiamato a Tolone, giungerà in Provenza il 16 giugno 1942; incorporato nella divisione Metropolitana, sarà incaricato della sorveglianza dei litorali e verrà ribattezzato col nome di “Incomprise”. Il 27 novembre 1942 i tedeschi occupano Tolone: la maggior parte delle navi ormeggiate in porto viene danneggiata e affondata ma alcune piccole unità, tra cui l’Enterprise, vengono catturate integre.

 

Cacciatore di sottomarini Ufficialmente ceduto alla Kriegsmarine dal governo di Vichy, la nave nell’arsenale di Tolone subì diverse modifiche al fine di trasformarla in U-Jager (cacciatore di sottomarini). Contrariamente all’armamento sommario di cui era stato dotato dalla Marina Francese, le installazioni tedesche furono molto più importanti. Il ponte poppiero fu interamente scoperto sino all’altezza della sala macchine, scomparvero i lussuosi saloni superiori e sul ponte principale, così ripulito, furono fissati un pezzo da 88 mm, tre piattaforme di artiglieria antiaerea e otto lanciagranate sottomarino. Sul ponte prodiero venne installata una piattaforma per un binato di 37 mm e due pezzi da 20 mm vennero disposti su ogni bordo avanti e dietro il ponte di comando. Degli apparecchi speciali per l’ascolto dei sottomarini trovarono posto nello scafo.

 

 

Questi importanti lavori richiesero più di nove mesi. La prima uscita di prova dell’unità, ribattezzata UJ-2216, venne effettuata il 2 settembre 1943. Messa infine in servizio il 27 settembre 1943 e assegnata alla Flottiglia U-J di stanza a Genova, l’UJ-2216 rimase bloccata parecchie settimane a Marsiglia e non riuscì a raggiungere il capoluogo ligure che agli inizi del 1944. La sua vita militare nella Kriegsmarine fu però assai breve. Il 13 settembre 1944, verso sera, l’UJ-2216 è in missione nei pressi di La Spezia: soffia un leggero vento da terra, il mare è calmo e illuminato dalla Luna. L’UJ 2216 scorta due posamine, la MFP 2865 e la 2922. Scopo della missione è la posa di un nuovo sbarramento di mine nei pressi del porto di La Spezia. Le mine sono tutte sganciate e verso le 22,30 la missione è compiuta, il piccolo convoglio si avvia verso Genova con l’UJ in testa seguito dalle due MFP.

 

Dopo alcuni minuti le navi sono sorprese dal primo passaggio di un aereo alleato mentre si trovano all’altezza della punta di Sestri Levante. Dopo aver lanciato alcuni bengala l’aereo lanciò sei bombe ma senza colpire il convoglio. Ma ormai le navi erano state scoperte e una mezz’ora più tardi infatti l’operatore radio dell’UJ intercettò delle comunicazioni via radio che davano ordine a delle motosiluranti inglesi di dirigersi sulle navi nemiche.

 

La battaglia in mare.

 

Alle ore 3 i dispositivi di ascolto di babordo individuarono rumori di eliche a circa 25 miglia: l’allarme venne dato e gli uomini raggiunsero i posti di combattimento ma bisognava attendere ancora mezz’ora prima di avvistare il nemico. Alle 3,30 alcuni marinai imbarcati su una delle MFP cedettero di riconoscere due sagome. Al fine di facilitare i rilevamenti l’UJ manovrò di 30 gradi prima su un bordo poi sull’altro, ma brusii di fondo perturbarono l’ascolto e il numero degli attaccanti fu sovrastimato in 7 motosiluranti. L’operatore radio invece sentì l e vedette chiamarsi tra di loro coi nomi in codice, Tiger, Mystral, Tering e Daniel: erano dunque 4 e avrebbero attaccato senza dubbio a due a due. Alle ore 3,35 il comandante dell’UJ diede l’ordine di aprire il fuoco coi cannoni da 37 e 20 mm di prua senza apparenti effetti; poco dopo il sistema d’ascolto percepì il caratteristico brusio dei siluri filanti sotto la superficie del mare, cinque sibili furono percepiti, due scie passarono a babordo, tre a tribordo, la distanza minima della nave era di tre metri e la massima di venti. Sul ponte di comando si tirò un sospiro di sollievo: un breve attimo perché alle 3,40 esatte una detonazione avvenuta a poppa sorprese l’equipaggio. Lo scoppio del siluro fu immediatamente seguito dall’esplosione delle munizioni e delle granate antisottomarino poste sulle tramogge.

 

La poppa fu distrutta mentre un secondo siluro esplose davanti alla galleria di Sant’Anna. Gli inservienti ai pezzi rimasero uccisi o gravemente feriti. L’ordine di abbandono della nave non venne dato immediatamente e i cannoni da 37 mm di prua e da 20 mm di tribordo continuarono a sparare aiutati dall’artiglieria della MFP. L’U-J 2216 si riempì rapidamente d’acqua e colò a picco.

 

 

Tutti gli uomini validi e i feriti si gettarono in mare, qualche secondo ancora e la nave scomparve. Il combattimento durò in tutto 10 minuti. Sulle FMP trovarono posto 57 naufraghi, tra cui 13 feriti, mentre una piccola vedetta uscita da Sestri Levante ne recuperò 9 e 6 raggiunsero la costa a nuoto. L’indomani alcuni pescatori ritrovarono alcuni corpi. In totale si contarono 6 morti e 17 dispersi.

 

Lo scafo è uno fra i meglio conservati della zona. Poggia su un fondale di fango ed ha ancora le mitragliere in assetto di combattimento, puntate verso l’alto, quasi ad ultima testimonianza della drammaticità di un duello aeronavale. Scendendo in immersione il primo a vedersi è l’albero di trinchetto raggiungibile a soli 35 metri di profondità.

 

Il fondale

 

La nave è completamente avvolta da banchi di rosei Anthias, boghe, menole, da grandi saraghi. Lo scafo è poi ricoperto di bellissime incrostazioni che lo rendono simile ad un giardino tropicale con colorazioni che vanno dal giallo al verde, dal fucsia al rosa grazie anche ai magnifici cnidari del genere Corynactis viridis.

 

Lo scafo si presenta ancora in buone condizioni malgrado gli assalti dei numerosi cacciatori di souvenirs.

 

(Testi)................  Emilio CARTA

(Schede e foto)...  Matteo VITA

webmaster...........   Carlo   GATTI

Rapallo, 19 Agosto 2015



Il MECCANISMO ASTRONOMICO di ANTIKYTHERA

IL MECCANISMO ASTRONOMICO DI ANTIKYTHERA

 

Una specie di computer di duemila anni fa.

La storia dell’Astronomia, ma non solo quella disciplina scientifica, deve molto ad un pescatore di spugne per il ritrovamento di “un oggetto misterioso”: noto come il MECCANISMO ASTONOMICO DI ANTICITERA (Antikythera).

IL RITROVAMENTO

In questa baia dell’isola di Antikythera, fotografia del 1903, fu ritrovato un relitto destinato a passare alla storia in seguito al ritrovamento di un reperto a dir poco misterioso.

 

 

 

 


 

Resti del Calcolatore (meccanismo-computer-orologio/calcolatore astron-strumento indefinito... di Antikythera) conservati al Museo Archeologico Nazionale di Atene

 

L'isoletta di Antikythera (Άντικύθηρα) fra il mare Egeo e il mare Jonio, e il probabile percorso della nave prima del naufragio

 

Era il giovedì di Pasqua del 1900, quando alcuni pescatori di spugne, per ripararsi da una burrasca si ripararono dietro l’isola di Anticitera, a poca distanza da Creta. Nell’attesa del tempo buono fecero delle immersioni e con grande sorpresa trovarono i resti di una nave romana coperta da alghe ed incrostazioni che era naufragata almeno duemila anni prima a causa di una tempesta. Pochi mesi dopo, il Governo greco organizzò una spedizione archeologica e alcuni sub specializzati s’immersero sul relitto riportando in superficie un patrimonio imponente di statue di rame e bronzo, oggetti lussuosi, manufatti tra cui un oggetto molto misterioso, un blocchetto di bronzo incrostato e corroso da duemila anni di vita subacquea. Quell’eccezionale strumento composto da ruote dentellate ed ingranaggi che lo facevano assomigliare ad un orologio ante litteram ben presto finì nelle mani di Spyridon Stais, ex Ministro della Cultura che ebbe subito l’intuizione che quell’assurdo blocco metallico potesse rappresentare uno strumento di assoluto valore, benché totalmente sconosciuto. Oltre al carico prezioso rinvenuto all’interno del relitto nella prima compagna del 1900/1901, Jacques Cousteau nel 1976 ritrovò ceramiche, anfore, statue di bronzo, 36 monete d’argento e molte di bronzo, per cui fu relativamente facile datare il periodo del naufragio trattandosi del conio di monete conosciute di Pergamo ed Efeso.

 

Il ritrovamento del lungo elenco di oltre 380 manufatti  di  sculture, monete, gioielli e ceramiche sono stati rinvenuti  nella stiva delle nave colata a picco. Il relitto risale probabilmente all’80 a.C. ma il suo carico destinato a Roma era ancora più antico, forse del III-II sec a.C.  e  di provenienza ellenica. Le monete ritrovate indicano che la nave era partita dall’Asia Minore.

 

Le parole incise su l’oggetto misterioso sono scritte in greco, e da subito attirarono l’attenzione degli studiosi per la sua estesa mole di dati difficili da decifrare e da capire.

 

UNA GALEA ROMANA

 

All’epoca dell’ultimo viaggio della galea ritrovata, Roma aveva già conquistato parte della Grecia, compresa la città di Pergamo e l’isola di Rodi. La nave ritrovata aveva misure importanti per quel tempo e pochi erano i porti che potevano ospitarla: Delo, Efeso e Rodi. I reperti di anfore del I secolo a.C. (65-50 a.C.) corrispondono esattamente alle monete ritrovate, non solo, ma anche il fasciame, chiodi, ancore ed altri particolari nautici, indicano una lunghezza di 30 metri, il trasporto di un carico molto speciale, addirittura inusuale di opere d’arte, cristalli di lusso e vasi destinati ai mercati romani. Quindi é quasi certo che la nave fosse una galea romana proveniente dalle colonie greche, probabilmente Efeso o Kos con destinazione il porto di Ostia.

UNICUM

Nella storia dei ritrovamenti archeologici, il Meccanismo di Anticitera é un unicum. Gli esperti, nonostante sia passato oltre un secolo, non lo hanno ancora chiamato con il suo vero nome non essendo un astrolabio, un planetario e nemmeno uno strumento in grado di stabilire la posizione nautica di una nave. Si tratta di uno strumento sconosciuto, o meglio non ancora “inventato” dalla scienza moderna. L’impiego della TAC ha evidenziato i minutissimi e perfetti ingranaggi di cui è composto. La conclusione é che si tratti di un calcolatore astronomico, molto avanzato, il più antico di cui si abbia traccia. Gli archeologi concordano nell'affermare che in quel tempo non era possibile produrre apparecchiature di tale complessità cinematica. Del resto si è dovuto aspettare oltre 19 secoli per realizzare un primo esempio di rotismo epicicloidale o differenziale (vedi autoveicoli moderni), presente invece nel rotismo principale del Calcolatore di Antikythera.
L’invenzione del rotismo differenziale è stata ufficialmente attribuita all'orologiaio francese Onésiphore Pecqueur (1792-1852), che lo brevettò nel 1828. Per il calcolo analitico, invece, ci si avvale della formula di Robert Willis, enunciata nel 1841 nel suo libro Principles of Mechanism.

Un GALILEO GALILEI, dal nome greco, era già stato sulla terra...

 

Il fatto più sbalorditivo del calcolatore astronomico pare sia il suo concetto base che si fonda sul principio eliocentrico e non geocentrico. Galileo, sostenitore del sistema eliocentrico, venne al mondo 2000 anni dopo e dovette soffrire parecchio per imporlo ai suoi contemporanei rischiando pure la vita...

 

Quindi si può affermare che a partire dall’età di Pericle (2500 anni fa) un team di grandi matematici, astronomi avevano già esposto principi e formule matematiche, ma anche teoremi di geometria piana e sferica che avevano anticipato  la rivoluzione industriale a cui fa riferimento la nostra civiltà. Aristarco di Samo (310-250 a.C.) sbagliandosi di poco, aveva calcolato la distanza trigonometrica tra la terra e la luna non pensando certamente che la terra fosse piatta.... e per quel che riguarda il moto dei pianeti attorno al Sole, venne sviluppata una teoria eliocentrica che, a quanto sembra, anche altri scienziati come Archimede avevano ben capito il relativo modello teorico.

 

La seconda incredibile scoperta del meccanismo:

LE ECLISSI

A cosa serviva? Nel 2000 fu nominato un team di specialisti: archeologi, e matematici capitanato dall’astronomo e matematico Tony Freeth con il compito di scoprire a cosa servisse quell’oggetto misterioso.

 

Non si sa esattamente, ma alcuni input sono emersi da “scritte” ancora leggibili. L’apparato mostrava l’orbita dei cinque pianeti conosciuti e visibili ad occhio nudo duemila anni fa, ma indicava anche l’orbita di Marte, Mercurio e delle costellazioni zodiacali. Nel suo movimento meccanico palesava le fasi lunari, ma era anche un calendario di 365 giorni secondo il calcolo egizio. Registrava anche gli anni bisestili e sapeva calcolare i movimenti della Luna rispetto al Sole e alla Terra. Il Meccanismo di Anticitera poteva prevedere, senza errori, tutte le eclissi. Infine “informava”, fatto importante per l’epoca, le date dei Giochi Panellenici (Olimpiadi).

Chi fu l’autore del computer ante litteram di ventun secoli fa?

Storici, astronomi, archeologi ed esperti di storia della navigazione, non si trovano tuttora d’accordo sul nome dell’inventore. Alla scienza attuale mancano parecchi passaggi che si sono persi tra le pieghe della storia... C'è, infatti, chi sostiene che tale livello di raffinatezza e precisione non è compatibile con le conoscenze di allora; al contrario c'è invece chi sostiene che è possibile - se non addirittura certo - che i Greci avessero tali conoscenze. Spesso ci si dimentica, infatti, che la civiltà greca in quel periodo non era quella del periodo classico o di Pericle, comunemente immaginata, in cui primeggiavano le scuole artistiche, umanistiche e filosofiche. Dopo le conquiste di Alessandro Magno, che aveva fuso insieme le più antiche civiltà orientali con quella greca, quest’ultima si era evoluta nella ben diversa civiltà ellenistica in cui le nozioni scientifiche erano estremamente sviluppate. In particolare lo erano molto più di quelle dei Romani, che riuscirono a prevalere sul piano militare e del diritto civile ma non in campo scientifico.

 

Interessante ci pare la seguente considerazione che riportiamo: “A partire dal III sec. a.C,  grazie agli studi di Apollonio di Perga ed Ipparco di Nicea, le conoscenze del mondo ellenico in campo astronomico erano molto approfondite ed era possibile trasformarle concretamente in un complesso strumento che rappresentasse i movimenti celesti. La personalità più adatta sembra essere quella di Poseidonio di Rodi, un vero genio universale esperto di geografia, filosofia, letteratura, matematica, astronomia… Operava proprio nelle isole Ionie, vicino a dove è  stato recuperato il relitto. A smontare questa tesi, però, due elementi: la totale mancanza di qualsivoglia riferimento a questa sua presunta scoperta nei testi antichi e soprattutto la lingua utilizzata per le iscrizioni trovate sull’oggetto. Le scritte sono infatti in dialetto corinzio, diverso da quello parlato a Rodi”.

 

Dalla teoria alla pratica

Un altro punto ancora da chiarire è come sia stato possibile costruire il Meccanismo di Anticitera. Infatti, é possibile passare dall’idea scientifica al disegno sulla carta di questo computer dell’antichità, ma rimane molto difficile capire come gli artigiani dell’epoca abbiano potuto realizzarlo. Il mistero continua e chi volesse contribuire alla sua identificazione può visitare il Museo della Scienza di Atene dove é possibile osservare il reperto e la sua interessante ricostruzione.

 

Com’era fatto?

“La strumentazione era in bronzo ed era composta da rotelle, molle e altri parti meccaniche di dimensioni anche molto piccole, dalle dentellature millimetriche, eppure tagliate in modo precisissimo per garantire il perfetto funzionamento dei complessi ingranaggi. Un problema non trascurabile, con il quale ha dovuto anche fare i conti una nota fabbrica di orologi che ha voluto riprodurre, con la tecnica moderna,  questa meraviglia del passato.

 

Per prima cosa, gli orologiai dei nostri tempi  hanno rinunciato al bronzo, preferendo l’acciaio. Volendo ridurre le dimensioni, per trasformarlo in modello da polso, hanno poi dovuto utilizzare il laser, per preparare le singole componenti. Sono così riusciti a realizzare un orologio che riproduce 10 delle funzioni del meccanismo recuperato dai fondali. Ne sono state fatte solo quattro copie: una verrà consegnata al Museo ateniese che lo ha esposto insieme all’originale”.

 

La Mostra in programma

Al centro dell’esposizione, aperta a tutti, c’é proprio il calcolatore astronomico di Ancitera, da molti considerato “un oggetto fuori dal suo tempo”, che non avrebbe mai dovuto esistere, un vero e proprio anacronismo di difficile interpretazione.

Calcolatore astronomico di Antikythera

 

 

(Ricostruzione di De Solla Price, 1974) Il blocchetto e’ grande piu’ o meno come un libro, e’ interamente di rame e, come visibile anche dalle foto che seguono, presenta una serie di ruote dentate a formare una sorta di meccanismo meccanico. Apparentemente non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che i reperti sono stati datati intorno al I secolo avanti Cristo.

 

 

Derek J. Solla Price

Riepilogando, il “meccanismo di Anticitera” fu trovato nel 1901 da alcuni pescatori di spugne, a bordo di una nave romana affondata, ma solo nel 1951 si è cominciato a capire come funzionava. Derek J. De Solla Price ci ha messo 20 anni (1950-70) per poterlo riprodurre, e comprenderne funzionamento e utilità.

 

La “macchina di Anticitera” è un orologio astronomico molto preciso in grado di prevedere le date e le posizioni del Sole e della Luna e dei cinque pianeti allora conosciuti (perché visibili ad occhio nudo) e di collegarle anche ad avvenimenti periodici, come le Olimpiadi e le eclissi. Lo scorrere del tempo era ottenuto ruotando manualmente una manovella che sporgeva dalla faccia anteriore.

 

Adesso che se ne è ritrovato uno e che si è constatata la sua utilità, ci si chiede come mai non se ne trovino degli altri, come mai non se ne siano fabbricati in serie e magari portati a bordo di tutte le navi. Forse era proprio un “oggetto unico”, inviato a Roma a far mostra di sé come bottino di guerra e mai giuntovi in seguito al naufragio. Del resto è noto (ne parlano gli storici Plutarco, Tito Livio e Cicerone) come anche Archimede abbia fabbricato un Planetario sferico, oltre 200 anni prima di Cristo, mai più ritrovato nella sua interezza, ma a cui si ipotizza appartenesse una ruota dentata, molto ben rifinita, rinvenuta ad Olbia nel 1998. Chi si interessa di queste cose non può che dispiacersi di non poter ammirare il prodotto di un simile cervello.... In fisica e matematica, nel mondo occidentale, dopo quei greci, se ne è saputo di più solo con Newton e Pascal, nel 1600, con la scoperta del calcolo infinitesimale e la teoria della gravità.

 

Ricostruzione grafica del meccanismo di Anticitera. Studiando il meccanismo, gli esperti capirono subito che ciò che rimaneva era solo una minima parte del complesso originario. Sulle varie ruote sono presenti moltissime iscrizioni diverse e gli ingranaggi sono montati in contatto tra loro proprio per trasferire il moto da uno all’altro.

 

l meccanismo misurava 18x15 cm. Prevedeva il moto della luna lungo lo zodiaco (tenendo conto dell'orbita ellittica del satellite), i movimenti del sole, le fasi lunari e le eclissi, sia solari che lunari. In tutto aveva 37 ingranaggi, tra ruote dentate, perni e lancette (7 sono andati perduti).

 

Si trattava di un complesso planetario, mosso da vari ingranaggi a ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi e i giorni della settimana. La funzione di alcuni quadranti non è stata ancora ben chiarita. Per farlo funzionare bastava girare una piccola manovella.

 

Con pochissime modifiche avrebbe potuto funzionare come un calcolatore matematico. Infatti, la sua logica di funzionamento, che era di molto superiore a quella degli orologi automatici ad acqua di quel tempo, sarà la stessa dei calcolatori meccanici che verranno costruiti prima di quelli elettronici.

 

 

Nel 1902, nel relitto di una nave, rinvenuto presso l'isola di Anticitera, tra il Peloponneso e Creta, furono trovati dei frammenti di rame fortemente corrosi, che apparivano i resti di un congegno di orologeria con complicati ingranaggi. Il meccanismo risale alla prima metà del I sec. a.C., ma il congegno apparve talmente diverso da qualsiasi oggetto noto risalente all'antichità classica, che alcuni studiosi sostennero che dovesse trattarsi di un moderno orologio, affondato casualmente nel luogo del relitto.

 

Le iscrizioni sui frammenti, leggibili solo in parte, mostrano come il congegno riguardasse i moti del Sole e della Luna. Secondo la ricostruzione di Price, il meccanismo costituiva una sorta di calendario perpetuo, che permetteva di calcolare le fasi della Luna, passate e future. A questo scopo, un complesso ingranaggio trasferiva il movimento da una ruota, che rappresentava il ciclo solare, a un'altra che indicava le rivoluzioni siderali della Luna, secondo il rapporto di 254 rivoluzioni siderali della Luna ogni 19 anni solari.

 

Dal punto di vista tecnologico, sono due le caratteristiche salienti del meccanismo. La prima è la complessità degli ingranaggi, che producono il rapporto desiderato, 254:19, con l'impiego di una ventina di ruote dentate. E' questa complessità che fa classificare l'oggetto tra i "lavori di orologeria". La seconda caratteristica è la più notevole ed è la presenza di un differenziale, cioè di un meccanismo che permette di ottenere una rotazione di velocità pari alla somma o alla differenza di due rotazioni date. La funzione del differenziale era quella di mostrare, oltre ai mesi lunari siderali, le lunazioni, ottenute sottraendo il moto solare al moto lunare siderale.

 

Price arriva alla conclusione che la presenza di questo singolo oggetto di alta tecnologia è sufficiente per modificare le nostre idee sulla civiltà classica e smentire definitivamente i luoghi comuni sul disprezzo dei Greci per la tecnologia e sull'insuperabile solco che l'istituzione della schiavitù avrebbe creato tra la teoria e le scienze sperimentali ed applicative.

Album Fotografico

 

 

Modello del Calcolatore di Antikythera realizzato da John Gleave (fronte e retro) (Riporta i movimenti del Sole e della Luna, sulla base degli studi di Derek De Solla Price)

 

 

 

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 26 Agosto 2015

 

Si ringrazia:

 

- PSICOSI 2012 – Le risposte della scienza

 

- IL CALCOLATORE DI ANTIKYTERA - IL PLANETARIO DI ARCHIMEDE RITROVATO

 

Giovanni Pastore, Italy

 

 


UNA NOTTE INSONNE A CALA FRONTONE - PONZA

UNA NOTTE INSONNE A CALA FRONTONE - PONZA

 

 

Cala Frontone

 

 

Cala Frontone

 

 

Mi tolgo la maschera e mi rivolgo meravigliata a mio marito.

 

 

Chiaia di Luna vista dal largo

 

Nuotando dalla spiaggia di Chiaia di Luna  sino alla nostra barca ho guardato le ancore dei vari natanti ormeggiati, saranno state più di quindici. Ebbene una sola era sparita nella sabbia, tutte le altre erano solo appoggiate sul fondo. Qualcuna, forse, trascinata dalla barca avrebbe potuto prendere se il vento fosse rinforzato. Le altre, sicuramente erano destinate ad essere portate a spasso dalle loro imbarcazioni creando disagi e magari anche danni a chi è ormeggiato nelle vicinanze.

Marinella al timone

 

Rinaldo "Dado" lo skipper

 

‘Quale era l’unica che aveva ormeggiato da manuale?’ Domanda Rinaldo mentre recupera una spatola per andare a ripulire l’elica della nostra barca a vela dai serpulidi.

 

‘Girati, vedi dietro di noi quella in legno bianca e azzurra, certamente di un pescatore? La sua è la sola ancora che non si vede. È sparita, inghiottita dalla sabbia.’

 

Ma quella è gente del mestiere, che sa il fatto suo! Possibile che tanti diportisti siano così sprovveduti e impreparati? Finisci per trovarteli addosso al primo rinforzo di vento!

 

‘In ogni caso non dobbiamo toglierci nessuna trave dai nostri occhi, perché, prima di fare il bagno abbiamo controllato e sappiamo che la nostra Rocna è affondata sparendo del tutto alla vista.’ E Rinaldo si immerge in queste acque cristalline di Ponza per ripulire l’elica.

 

Ma che sia stato un sesto senso il mio? Perché, neanche a farlo apposta, la notte seguente… Ma andiamo con ordine. Verso sera torniamo alla nostra barca nella cala Frontone carichi di acquisti effettuati a Ponza. Col tender, per arrivare in quella grande rada, dal porto, si può attraversare uno stretto, intrigante passaggio tra alcune rocce di piccole dimensioni, ma alte appuntite, e un isolotto massiccio e rotondo, con una villa bianca sulla sua sommità. Tutto fa spettacolo, in queste isole. A cala Frontone avevamo ormeggiato presto, alle quattro, per poterlo fare in tranquillità. Le barche erano ancora disseminate nelle scenografiche baie di Ponza. Tutte le Pontine, a dire il vero, hanno una loro personalità assolutamente singolare. Le rocce, a picco e scoscese, creano panorami scenografici del tutto particolari. Ti aggrediscono per le dimensioni e per i colori che variano dal bianco candido al rosso ferroso passando per macchie di giallo intenso e di verde, dovuto a un po’ di vegetazione, disseminata qua e là. Da vedere, insomma, da fotografare, da ricordare!

 

Ma tornando a cala Frontone, la baia era comoda per raggiungere via mare i negozi e ci sentivamo anche a posto e tranquilli, dopo aver chiamato la Capitaneria per esser certi della regolarità dell’ormeggio. Rinaldo aveva sentito qualche voce che parlava di divieti. Meglio accertarsene, dunque. Ci eravamo anche affrettati a rientrare in barca perché si sentiva brontolare un temporale in lontananza. Del resto erano previsti, quindi dovevano arrivare.

 

Mentre Rinaldo mi passa dal tender i sacchetti della spesa, ci guardiamo in faccia con un sospiro di contrarietà. Eccolo il guastafeste. Mentre eravamo a Ponza si è messo troppo vicino a Vizcaya con quel suo mega yacht. Non abbiamo voglia di litigare. Perché finisce sempre così, quando chiedi a qualcuno di ormeggiarsi più lontano da te. Che il tempo non sia troppo inclemente, allora. Anche se c’è poco da sperare, visti i meteo.

 

E infatti non vado a dormire quando Dado mi dice buonanotte. Preferisco leggere ancora un po’, non mi sento tranquilla. Onda e vento sono un po’ rinforzati in questa cala gremita all’inverosimile di barche. D'altronde è il nove di agosto e c’è Ponza città vicina e la discoteca sulla spiaggia davanti a noi. Gran file di lumini un po’ cimiteriali, in verità, ti segnalano la sua presenza e ti invitano ad andarci. E anche con successo, a quanto pare, perché è tutto un via vai di gommoni in funzione di taxi che portano e prendono gente da tutta la cala e sfrecciano come dei pazzi tra le barche di giorno e di notte a una velocità inimmaginabile. Disgraziati incoscienti. Ci sono anche dei piccoli traghetti che accompagnano turisti in spiaggia o li recuperano alla frequenza di uno ogni due minuti. Anche questi procedono sparati a tutto gas senza alcun rispetto per le barche ormeggiate che si agitano in tutte le direzioni per le onde causate da questa corsa sfrenata per la rada. A volte arrivano addirittura appaiati. Non c’è un bagnante che osi allontanarsi dalla sua barca per nuotare verso la spiaggia. E se qualcuno arrivando non nota subito questo via vai piratesco, mal gliene incoglie di certo!!! Il mare è tutto loro, da navigare e agitare allo spasimo. Per salire in gommone abbiamo dovuto sfruttare i due minuti tra un passaggio e un altro aspettando che si calmassero le onde della loro corsa. Rischiavamo di finire in mare.

 

Il bello è che lo sfrecciare notturno dei gommoni continua anche se mare e vento hanno notevolmente rinforzato. Ora si balla anche per ragioni naturali. E, guarda caso, le ancore cominciano a non tenere, vedo le luci di imbarcazioni che qua e là si ammassano, si sente protestare e inveire, nuove luci di via vengono accese… Ma la nostra amatissima Rocna che prende anche sui fondali con alghe, tiene. L’abbiamo vista, anzi non l’abbiamo più vista, se l’è mangiata la sabbia quando abbiamo ormeggiato. Invece sento imprecare sulla barca a vela dietro di noi. Si devono spostare anche se non sono loro che arano ma i vicini arrivati dopo! Vanno a mettersi di fianco alla nostra, secondo me troppo vicino. Prevedo noie future se le barche dovessero ruotare. Per il momento, però, la situazione non mi sembra poi così tragica. È l’una, proverò a dormire.

 

Mi sveglia un gran sobbalzo con forte sbandamento della barca. Mi spavento. Terranno le ancore di chi ci sta intorno? Meglio verificare. Amara sorpresa. Anzi, meglio, tragica! Lo yacht che era troppo vicino a noi protende un angolo di poppa verso la nostra fiancata nella parte di prua. Quasi la raggiunge. Dall’altro lato la barca a vela sta arando e pare proprio volersi accostare alla nostra poppa con la sua fiancata. Ecco qua! Le ancore non tengono appena mare e vento si muovono un po’ di più!

 

‘Rinaldo, Rinaldo, vieni fuori!’ Imploro.

 

Fortuna, si sveglia al volo e arriva. ‘Ma sono in due che ci vengono addosso.’

 

‘Infatti!’ Gli metto in mano il pallone che avevo appena slegato e ne prendo un altro per me. Uno a prua e l’altra a poppa seguendo i movimenti dei due natanti agitati dalle onde e spinti dal vento. Da un capo all’altro della barca continuiamo a raccomandarci a gran voce, a vicenda di tenerci ben saldi, perché è difficile reggersi in piedi con quelle condizioni di mare!

 

L’incredibile è che gli occupanti delle due barche non muovono un dito, pare che la cosa proprio non li riguardi! Vedendo assoluta inattività, mi rivolgo gridando al motoryacht, ormai vicinissimo a noi: ‘Voi tutto bene?’

 

‘Tutto a posto.’ Mi rispondono, ma a parte queste tre parole, tutto resta immobile e tace alla grande.

 

Continuo a lasciar da solo Rinaldo a prua perché vedo che a poppa la vela sta per andare contro il motore del tender. Che se ne vadano, non vedono che stanno arando e tra poco ci verranno contro? Tentano di tergiversare parlando di barche che ruotano per il vento che cambia… Che cambi o non cambi, la realtà è che ci sono addosso e tra poco ci causeranno dei danni. Meno male, dopo un po’ di insistenza da parte mia mettono in moto e cominciano a recuperare catena. Cambiano ormeggio finalmente.

 

Il grosso yacht, invece, è inamovibile. Ora asseriscono di avere il motore che non parte. Come, fino a poco prima tutto bene…

 

Rinaldo si arrabbia: ‘È una storia vecchia e falsa quanto mai , siete degli scorretti… che problema avete che prima non risultava… Siete arrivati ore dopo noi e adesso che ci siete addosso non volete andarvene… ‘

 

Partono insulti e ingiurie al nostro indirizzo. Abbiamo capito con che gente squallida abbiamo a che fare. La prepotenza ha la meglio, porgo le chiavi della barca a Rinaldo che me le chiede e riusciamo a recuperare i primi metri di ancora allontanandoci dagli energumeni che erano ormai a pochi centimetri da Vizcaya! E nessuno di loro ha mosso un dito! Apatia e disinteresse totali. Neanche non fosse la loro, la barca che avrebbe potuto danneggiarsi.

Tramonto a Ponza

 

Siamo in movimento alle tre di notte. Non si vede quasi niente anche se continuo a illuminare con la torcia in cerchio i possibili ostacoli che ci circondano. E intanto recito tutto il repertorio che conosco di insulti in romanesco. Già, perché siamo in provincia di Latina.

 

Ci consultiamo su un’area di mare libero che ci sembra sufficientemente ampia per l’ormeggio. Giù venti metri su sei di fondo. Retro marcia… l’ancora si infila subito nella sabbia, la catena è in tiro ed è stabilissima.. Altri dieci e spegni tutto che andiamo a dormire. Rinaldo, però, ha un’idea. E se ci facessimo un piccolo tuffo anti stress… Accetto ben volentieri. Mi passa ogni rabbia. In fin dei conti sono debitrice di un bagno a quegli… Lasciamo perdere i titoli e godiamoci i trenta gradi dell’acqua, sia pur agitata quanto vuoi. Occasioni così capitano di rado.

 

Un ultimo giro di torcia sulle barche intorno. È forse troppo vicina quella dietro, un po’ fianco? Di notte le distanze cambiano… Mah! In ogni caso l’alta parete rocciosa è a debita distanza. ‘Hai visto, però, che una parte aggetta, sembra staccata?’ Rinaldo verifica. Va bene così. Poi che fortuna… un gommone scarica quelli della barca di dietro che partono immediatamente. Molto bene, possiamo dormire tranquilli, adesso.

 

Ma mio marito mi sveglia e mi sembra sia ancora un po’ presto. Con un occhio vedo che sono le sei.

 

‘Meglio che ci muoviamo subito, guarda fuori!’

 

Orrore! La parete rocciosa a debita distanza aveva forse una fetta staccata come ci era sembrato? Altro che fetta! A pochi metri dalla nostra poppa troneggia un alto scoglio roccioso del tutto indipendente dalla parete che gli sta dietro. E un bel vento da Est ci tiene giusto nella sua direzione. Ecco perché quel motoscafo se ne era andato di gran fretta. Tornati a bordo, hanno visto che il vento era ruotato e che il pericolo incombeva... Grazie tante, eravamo nel pozzetto, ci avevano visto, potevano ben suggerirci di spostarci… come noi sicuramente avremmo fatto!

 

 

Chiaia di Luna

 

 

Dado va all’ancora, siamo pronti ad affrontare mare e vento per raggiungere Chiaia di Luna che è protetta da questo Est. È una delle cale più belle che io abbia visto, con pareti altissime perpendicolari, poste a semi cerchio, nelle quali domina il colore bianco. Sembra l’abbozzo di un anfiteatro. Ma per il momento questo è un particolare del tutto accessorio… quel che conta è toglierci di là!

 

‘La nostra ancora è venuta fuori a fatica dalla sabbia, come prima, del resto!’ Grida Rinaldo da prua.

 

Già, almeno dove c’è un fondo che è un buon tenitore come questo, con fondali per di più bassi, i naviganti da diporto non potrebbero sforzarsi di verificare che le loro ancore abbiano preso? Se non altro quando il meteo avvisa circa possibili rinforzi di vento!

 

P S E meno male che il giorno dopo questo Est un bel momento è passato a Ovest, durante un groppo temporalesco. Mentre sto scrivendo, infatti, Rinaldo ha scoperto che a poppa non abbiamo più il tender con il motore!. La cima si è spezzata. Visto che ora il vento tira a terra dovrebbe trovarlo in spiaggia. Solo una mezz’ora fa sarebbe sparito spinto al largo… Proprio ora si è tuffato a nuoto alla ricerca sotto un fitto scroscio. Siamo certi di avere un’ottima ancora, ma è meglio che… verifichiamo lo stato delle nostre cime!

 

Marinella GAGLIARDI

Rapallo, 19 Agosto 2015


 

 


IL RADDOPPIO DEL CANALE DI SUEZ

IL RADDOPPIO DEL CANALE DI SUEZ

 

 

 

Vista satellitare del Canale di Suez

 

 

Un po’ di storia

 

 

Il bisogno di collegare il Mediterraneo con il Mar Rosso fu soddisfatto per la prima volta dagli antichi egizi, circa quattromila anni fa, con l’apertura di un’altra via d’acqua, che collegava il braccio più orientale del Delta del Nilo con il Grande Lago Amaro e questo con il Golfo di Suez. Di un collegamento diretto fra i due mari si cominciò a discutere prima a Venezia, nel Cinquecento, poi, nei due secoli successivi, in Francia. Fu anche allo scopo di esaminare sul posto il problema che il Direttorio inviò Napoleone in Egitto nel 1799, ma l’ingegnere incaricato dello studio, Charles le Père, scrisse nella relazione che l’idea era irrealizzabile, a causa di un presunto dislivello di dieci metri fra i due mari. L’errore fu corretto mezzo secolo dopo da un altro ingegnere francese, M.L. Linant de Bellefonds, il quale dimostrò che in realtà il dislivello era di scarsa importanza. Così il «sogno» millenario tornò di attualità. Uno dei tecnici che con più passione si dedicò alla realizzazione del progetto fu un ingegnere italiano, Luigi Negrelli di Moldelba, nato nel Trentino e perciò suddito austriaco. Grande tecnico ferroviario e idraulico, realizzatore di opere importanti in Austria, Italia, Svizzera, Germania, il Negrelli studiò il problema dal 1838 al 1858, anno della sua morte, redigendo, insieme con esperti di varie nazionalità, compreso il piemontese Pietro Paleocapa, ministro dei Lavori pubblici del Regno Sabauda, i piani con cui la via d’acqua fu poi effettivamente realizzata da Lesseps. Geniale avventuriero, Lesseps riuscì a persuadere il pascià d’Egitto Mohammed Said della possibilità e necessità di aprire il canale, che fu scavato in dieci anni (dal 25 aprile 1859 al 17 novembre 1869) da una compagnia internazionale con capitali francesi ed egiziani.

 


 

Il canale, costato il doppio delle stime originali, era di proprietà del governo egiziano (44%) e della Francia (attraverso più di 20.000 azionisti), mentre altre grandi potenze si mostrarono molto scettiche sulla redditività dell'opera. La prima nave attraversò il canale il 17 febbraio 1867, ma l’inaugurazione dello stesso avvenne il 17 novembre 1869 alla presenza dell'Imperatrice Eugenia con una cerimonia sfarzosa, per la quale Johann Strauss jr compose la Egyptischer Marsch (Marcia egizia). Per l'inaugurazione, il Kdivé d'Egitto aveva chiesto a Giuseppe Verdi di comporre un inno, ma Verdi, restio a comporre musica d'occasione, aveva rifiutato; i contatti con Verdi comunque continuarono, e culminarono nella composizione dell'AIDA, andata in scena al Teatro Khediviale dell'Opera del Cairo il 24 dicembre del 1871.

 

Inaugurato con fastose cerimonie, il canale misurava all’epoca 161 km di lunghezza, da 70 a 110 metri di larghezza alla superficie, 45 metri alla profondità navigabile e 32 metri a livello del fondo piatto; il pescaggio massimo era di 11 metri e mezzo; il limite di velocità (negli anni Trenta e Quaranta di questo secolo) era di 10 km all’ora. Il transito richiedeva circa 18 ore. In base alla convenzione internazionale di Istanbul, il canale fu dichiarato «neutrale», nel senso che tutti potevano usarlo, «in pace o in guerra, senza distinzione di bandiera. Controllato militarmente dagli inglesi dal 1882 al 1954, nazionalizzato da Nasser il 26 luglio 1956, con un anticipo di 13 anni rispetto alla scadenza della concessione di 99 anni, il Canale di Suez fu chiuso due volte: dal 29/30 ottobre 1956 all’aprile 1957, in seguito alla triplice aggressione anglo-franco-israeliana, e dal 5 giugno 1967 al 5 giugno 1975 a causa della «guerra dei sei giorni».

 

Fu poi notevolmente ampliato, in modo da poter accogliere petroliere da 260 mila tonnellate a pieno carico e da 370 mila scariche. Le nuove misure sono le seguenti: larghezza alla superficie da 193 a 352 metri; sul fondo 107; pescaggio massimo 16 metri e mezzo. Il transito dura circa 15 ore.

 

 

Il Canale di Suez nel 2015

 

 

Egitto, pronto il nuovo canale di Suez: un'opera faraonica voluta da al-Sisi

 

 

Tutto è pronto per domani. L'Egitto si prepara all'inaugurazione del nuovo tratto del Canale di Suez. Le misure di sicurezza sono state rafforzate in tutto il Paese. Per questa giornata speciale si potrà viaggiare gratuitamente in treno. L'annuncio è arrivato dal ministro dei Trasporti, Hany Dahy, che ha così voluto «ringraziare» i cittadini che hanno finanziato il progetto. Oltre ai treni, sarà gratuito anche il servizio ferroviario metropolitano nei governatorati del Cairo e di Giza. Una fastosa cerimonia alla presenza del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Per l'occasione sono stati mobilitati più di 10mila poliziotti e soldati, compresi quelli dei reparti speciali.

 

 

Opera maestosa. Questa grande opera è considerato un vero e proprio dono dell'Egitto al mondo. A 146 anni dalla costruzione del Canale di Suez, si realizza un sogno: il raddoppio di una parte del tratto esistente, grazie ad un canale parallelo, che velocizzerà il traffico rilanciando l'economia del Paese. Una vera opera faraonica voluta dal presidente al-Sisi e costruita a tempo di record, in un solo anno. Decine di capi di Stato e di governo, re e principi, emiri e governatori sono stati invitati ad assistere domani all'inaugurazione di questa nuova autostrada del mare. Maestosa la cerimonia con il presidente al-Sisi che attraverserà la seconda via acquatica sullo yacht Mahroussa, la prima nave che navigò nello storico passaggio nel lontano 1869, studiato da Ferdinando Lesseps e realizzato da Alberto Negrelli. A bordo vi saranno le delegazioni dei diversi Paesi.

 

 

Dall'acqua al cielo, dove alcuni F16 sorvoleranno l'area con una dimostrazione aerea. Poi l'entrata in funzione effettiva del tratto seguito dal suono delle sirene che risuoneranno in vari porti del mondo. Una lunga giornata di festa, con fuochi d'artificio e performance di folklore locale, che si concluderà con un concerto della marcia trionfale dell'Aida, opera che fu commissionata dal vicerè d'Egitto, Ismail Pascià a Giuseppe Verdi in occasione dell'apertura del Canale sul finire del XIX secolo ma mai eseguita in quella occasione, bensì due anni dopo. Da settimane i principali quotidiani del Paese esaltano l'opera e parlano di uno «storico» evento, mettendo in evidenza come il progetto, «leggendario e mitico» rilancerà l'economia, con ricadute positive sull'occupazione. Nazionalismo e orgoglio anche sui social media con numerosi cinguettii: «Siamo i nuovi faraoni, facciamo miracoli» o «Scriviamo la storia».

 

 

Il Canale si allunga per 72 km: un nuovo tratto di 35 chilometri parallelo a quello esistente, oltre all'ampliamento e all'approfondimento dell'attuale per una tratta di 37 km. Un lavoro considerato necessario. Il Canale era diventato inadeguato perché non vi potevano transitare le gigantesche

superpetroliere e i mercantili erano costretti a lunghe attese prima di poterlo percorrere. Lo scopo è velocizzare il transito, diminuendo i tempi di percorrenza attraverso la riduzione dei tratti a senso unico alternato e raddoppiando il traffico giornaliero. Si prevede che farà salire gli incassi dei moli dai 5,3 miliardi di dollari attuali a 13,2 nel 2023, portando vantaggi ai trasporti mondiali. Il costo stimato del progetto è di 8,2 miliardi di dollari. Oltre al raddoppio il piano prevede la costruzione di porti, di una zona industriale, con cantieri navali per riparazioni e altre strutture. Tantissimi egiziani hanno risposto un anno fa all'appello del governo del Cairo a finanziare il progetto e in soli otto giorni sono stati raccolti 6,5 miliardi di dollari tramite la vendita di obbligazioni. Secondo alcuni studi entro il 2050 il nuovo Canale potrebbe garantire all'economia egiziana fino al 35% delle sue risorse.

 

 

Con il raddoppio del Canale aumenterà la centralità del Mediterraneo. Sarà questo, secondo l'Osservatorio di Srm sui trasporti marittimi e la logistica, l'effetto dell'apertura del nuovo Canale di Suez, che sarà inaugurato giovedì 6 agosto, sulle rotte marittime. Nel Mediterraneo, infatti, circola già il 19% del traffico mondiale di merci ed i traffici sonoaumentati negli ultimi 15 anni di oltre il 120%. Nell'area inoltre vanno insistendo importanti investimenti portuali nelle varie nazioni del bacino, come Tanger Med, Pireo, Algesiras e Valencia. Tra il 2000 e il 2014 il trend di traffico del Canale ha visto registrare un aumento di oltre il 120% delle merci transitate, valore che sale +202% se si considerano solo i traffici container; (+187% nella direzione Nord-Sud e +219% nella direzione Sud-Nord). Il Raddoppio del Canale consentirà l'aumento del numero di navi di passaggio da 49 a 97 navi al giorno e la diminuzione del tempo di transito da 18 ore a 11 ore; inoltre, a differenza del Canale di Panama che manterrà anche dopo i lavori di ampiamento il limite delle navi da 13.000-14.500 container, il Canale di Suez non ha limiti nella dimensione delle navi che possono transitare. La combinazione di questi tre fattori (diminuzione dei tempi, aumento del numero dei passaggi e nessun limite dimensionale) aumenterà la convenienza di passaggio attraverso Suez anche per alcune rotte dall'Asia verso la costa occidentale degli Stati Uniti che attualmente usano Panama.

 

 

 

In questa foto si nota il raddoppio del Canale

 

I numeri del secondo canale

Un progetto che avrebbe dovuto essere completato in tre anni ma che il Al-Sisi ha voluto venisse terminato in meno di uno. E così è stato: 72 chilometri resi operativi in meno di dodici mesi, anche grazie all'entusiasmo della comunità industriale e finanziaria locale che in appena otto giorni ha messo a disposizione gli 8,5 miliardi di dollari necessari per la costruzione del passaggio. Il primo Canale di Suez, inaugurato nell'ormai lontano 1869 , è stato costruito in dieci anni.

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 28 Agosto 2015

 

 


SYRAKOSIA: Gigantismo dell'Antichità

SYRAKOSIA

Gigantismo Navale nell’antichità

Modello del SYRAKOSIA

Il re di Siracusa Ierone II, a dimostrazione della prosperità del suo regno, fece costruire, nei cantieri navali siracusani intorno al 240 a.C., quella che a tutto oggi è ritenuta la più grande Nave dell’antichità. Di questa Nave hanno scritto molti autori attingendo tutti alla medesima ed unica fonte, quella che Ateneo erudito enciclopedista ci ha fatto pervenire con il suo capolavoro: I Deipnosofisti, cioè I Dotti a Banchetto, fortunatamente e fortunosamente sopravvissuto sino ai nostri giorni.

Il trattato rappresenta un’opera importantissima che non è esagerato definire enciclopedica, nella quale si conservano la maggior parte dei frammenti della commedia attica media e nuova, e copiosissimi resti di storiografia greca, e rarità di ogni genere, oggi fondamentali per conoscere la cultura greca.

Ierone di Siracusa, amico incondizionato dei Romani, era anche un ambizioso armatore che costruiva navi da trasporto oltre che templi e ginnasi, infatti  fu proprio lui a rivolgersi ad Archimede per la costruzione della famosa nave di cui oggi ci occupiamo.

La Syrakosia in un dipinto del 1798 – In servizio con Gerone II – Tolomeo III

Lunghezza: 110 mt. – Capacità: 1000 tonnelate di carico – Equipaggio: 400 soldati, 100 passeggeri

Artiglieria: 1 balista – 2 catapulte

(senza fonte precisa)

La grandiosa nave Syrakosia, (Siracusana), che Archimede progettò per Ierone II.

Si tratta della più grandiosa nave dell'antichità. La descrizione del Syrakosia, scritta dall’antico costruttore navale Moschione, fu inserita insieme a tantissimi resti di storiografia greca, da Ateneo (II-III sec. d.C.) ne "I Deipnosofisti" (I Dotti a banchetto). La conferma che si tratta della più grande nave dell'antichità, ci viene da Lionel Casson, dell'Università di New York, il quale ne stima la portata in 4.000 tonnellate, superata soltanto da navi costruite nel XIX secolo, quando si utilizzò ferro e acciaio per costruire le stive. La Syrakosia era, quasi certamente, un catamarano, ed il progetto di Archimede, nell'anno 240 a.C., venne affidato, per la realizzazione, ad Archia di Corinto, a Moschione e ad un certo Filea di Taormina.

Alcuni dati tecnici

Moschione ci racconta: “Per costruire questa vera e propria città galleggiante, gran parte del legno arrivò dai boschi dell'Etna, per la corda, sparto dall'Iberia, mentre la canapa e la pece arrivarono dal Rodano. Per i lavori vennero impiegati 300 artigiani e tantissimi aiutanti, che lavorarono i necessari materiali. La Syrakosia, che mostrava al mondo la potenza ed il benessere di Siracusa, disponeva di venti banchi di remi. La cabina del capitano aveva 15 divani e tre camere. Tutte avevano un pavimento a quadrelli di mosaico, fatti di pietre diverse, ove era ricostruito tutto il racconto dell'Iliade. Sulla nave erano stati impiantati anche dei giardini, formati da centinaia di piante, contenute in giare ed irrigate da sentieri di tegole di piombo.

C'era anche un padiglione dedicato ad Afrodite e gran parte delle porte erano in avorio e tuia. Tutte le camere interne erano arredate con quadri, statue, calici e suppellettili oltre ogni immaginazione. Una sala era adibita a biblioteca e sul soffitto di questa sala era disegnata una volta celeste, copia fedele dell'eliotropio di Acradina. Nel bagno realizzato in marmo di Tauromenio, vi erano tre caldaie di bronzo. Tantissime stanze erano riservate ai circa 600 soldati che trasportava ed altro spazio della nave era riservata alle dieci scuderie, contenenti i cavalli, gli attrezzi dei cavalieri. Si trovava anche un serbatoio d'acqua a prua dalla capacità di 2000 metri e nei pressi del serbatoio c'era una peschiera chiusa, piena di acqua di mare e tanti pesci. C'erano 4 àncore di legno e otto di ferro, c'erano, poi, 8 torri e su ognuna montavano 4 giovani con armatura pesante e due arcieri. Sui tre alberi si trovano degli uomini a cui, in cesti intrecciati, erano affidati pietre e proiettili. Infatti, la Syrakosia, benchè sia stata varata come nave mercantile, era equipaggiata anche come nave da guerra e conteneva diverse macchine belliche inventate da Archimede. L'equipaggiamento da guerra era necessario per fare fronte ai pirati che infestavano il Mediterraneo. Poteva trasportare 60 mila misure di grano, 10 mila vasi di pesce siculo sotto sale, 20 mila talenti di lana e 20 mila di altra merce. Soltanto che la Syrakosia fu vittima della sua stessa grandezza. Infatti, non tutti i porti dell'antichità erano attrezzati per ospitarla e quindi, Ierone decise di disafarsene. In occasione di un periodo di carestia in Egitto, la riempì di grano e decise di spedirla in dono al re Tolomeo, ad Alessandria. Qui, venne tirata a secco e si concluse la storia della più grande nave che nell'antichità abbia solcato il Mediterraneo. Archimelo, il poeta degli epigrammi, scrisse un carme per ricompensare Ierone: ‘Chi portò a terra questa nave, questo prodigio?... Già, dice, fu Ierone di Ierocle che a tutta la Grecia e alle isole in dono portò ricche messi, quello che ha lo scettro di Sicilia, il Dorico. Ma, Posidone, custodisci tu questa nave sul bianco fragore dei flutti".

Archia di Corinto quale direttore dei lavori. Dalla storiografia confluita in Ateneo sappiamo che Archimede, nel suo ruolo di epóptes (soprintendente ai lavori), programmò la costruzione della nave in due fasi:

1) - Il varo al termine dei primi sei mesi di lavoro, cioè al completamento dell’opera viva, quando lo scafo sarebbe stato ancora privo degli allestimenti e delle sovrastrutture dell’opera morta e soprattutto quando la stabilità (altezza metacentrica) dello scafo avrebbe garantito un equilibrio idrostatico perfetto.

2) – La fase successiva al varo, prevedeva altri sei mesi di cantiere in mare, da dedicare all’opera morta distribuita su tre ponti con sfarzosi allestimenti interni e imponenti attrezzature belliche.

La nave disponeva di venti banchi di remi, con tre passaggi: il più basso portava al carico, e vi si accedeva da una rampa di scale dritta; il secondo passaggio consentiva l'accesso alle cabine; dopo di questo l'ultimo, per gli amanti. Dal passaggio mediano, lungo i fianchi, vi erano trenta cabine per gli uomini, ognuna delle quali con quattro divani. La cabina del capitano aveva tre camere con tre divani, di cui quella di poppa era adibita a cucina. Tutte le cabine avevano un pavimento a mosaico, che ricostruiva tutto il racconto dell'Iliade, realizzato con pietre diverse. All'altezza del passaggio più alto c'erano una palestra e dei giardini ricchi di piante, irrigati da sentieri di tegole in piombo coperti, e fondali di edera bianca e viti, le cui radici affondavano in giare riempite di terra e irrigate con lo stesso sistema di tegole. Accanto vi era il padiglione di Afrodite, con tre divani, un pavimento in gemme d'agata e altre, tutte preziose. I fianchi e il soffitto del padiglione erano realizzati in cipresso, le porte di avorio e tuia. Quadri, statue e suppellettili adornavano l'ambiente. Accanto una sala studio con biblioteca era arredata con cinque divani. I fianchi e le prte erano in bosso, sul soffitto vi era una volta celeste, copia fedele dell'eliotropi di Acradina. E ancora un bagno a tre divani con tre caldaie in bronzo e una tinozza. Erano state costruite anche diverse stanze per i soldati di bordo e per le guardie. Su ogni fianco erano infine dieci scuderie, ed in corrispondenza di queste, le provviste per i cavalli e gli attrezzi per servi e cavalieri. A prua c'era anche un serbatoio d'acqua, fatto di assi con pece e pezze di lino, dalla capacità di 2000 litri.

L'imbarcazione era talmente complessa e organizzata da possedere una giurisdizione speciale per i crimini commessi a bordo, giudicati da un tribunale costituito dal naukléros , dal kybernétes e dal proréus, secondo le leggi di Siracusa.

La grandiosa imbarcazione fu concepita come una vera e propria domus aurea galleggiante, la cui magnificenza conclude l’iter della fervida attività cantieristica siracusana; venne battezzata con il nome di Syrakosía e donata a Tolomeo Filadelfo (!?) con il nome di Alexandrís.

Un’altra versione modellistica della Syrakosia

La "Syrakosia", progettata e realizzata nei cantieri navali siracusani, è la nave fatta costruire da Ierone II intorno al 240 a.C., a dimostrazione della prosperità del suo regno.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 26 Agosto 2015


SANT’ERASMO (SANT’ELMO) - Devozione e Tradizione

In molti ORATORI dei nostri borghi sono visibili le tracce della nostra tradizione marinara che sanguina devozione e ricordi. C.G.

SANT’ERASMO - (SANT’ELMO)

Santino raffigurante Statua di Sant'Erasmo - S.M. Capua Vetere

Liguria

Il Cambiaso ci riferisce che il culto di questo Santo, Vescovo e Martire, vissuto intorno al 300 d.C. fu portato nella nostra città (Genova), dai marinai di Gaeta, nel sec. X.
 Da Gaeta la venerazione verso di Lui si diffuse in Italia durante i sec. XIII e XIV. E’ invocato come protettore dei marinai unitamente a S. Firmina.
 In seguito il culto del Santo acquistò popolarità e dal 1263 Egli fu festeggiato annualmente. La Franchini-Guelfi deduce sia specifico “patrono dei marinai” anche dal fatto che non esistono Chiese od Oratori dell’entroterra dedicati a tale Santo mentre invece sono numerosi lungo le coste della riviera ligure. Ad esempio, nella riviera di levante, oltre a quello di Quinto, ne esistono tutt’ora a Capolungo, a Sori (edificato nel 1495) ed a S. Margherita mentre nel ponente ne sono attive ancora due: l’Arciconfraternita di Voltri e la Compagnia di Pegli. Diversi sono i santi protettori a cui si rivolgeva la gente di mare.
Il più affascinante è senz’altro Sant’Erasmo o Sant’Elmo. La sua luce - i fuochi di S.Elmo - ha certamente un’origine pagana: i Greci infatti credevano che fossero i Dioscuri Castore e Polluce, figli di Zeus, a soccorrere le imbarcazioni in difficoltà, splendendo come due stelle ai lati dell’albero maestro... A Savona esiste un molo di Sant’Elmo, il ricordo di una chiesetta cinquecentesca nella darsena a lui dedicata: ma l’elenco dei suoi templi in riva al mare è infinito, e citandoli si farebbe il giro delle coste italiane. La leggenda dice che...
...naufrago, Sant’Elmo fu raccolto da una nave, salvato e condotto a terra. Il capitano non volle altra ricompensa che una prova della potenza che in quanto santo egli doveva possedere: Sant’Elmo gli promise così di avvertirlo con un fuoco dell’imminenza della burrasca, affinché egli potesse farvi fronte. Il santo mantenne la promessa, e cominciò a far apparire i suoi fuochi per salvare anche altre navi.
Dei prodigi di Sant’Elmo raccontano nei loro diari Fernando Colombo (nell’ottobre 1493), figlio dell’Ammiraglio, e Antonio Pigafetta (da Primo Viaggio al globo terraqueo, I) che con Magellano circumnavigò la Terra; Pigafetta vede sugli alberi della sua nave durante la tempesta ben tre santi in un colpo solo, Erasmo, Niccolò e Chiara.

 

 

SANT’ERASMO A SANTA MARGHERITA LIGURE

L'oratorio di Sant'Erasmo

di Alfredo Bertollo e don Gerolamo Devoto

 

Presentazione del parroco di San Giacomo di Corte: Don Luigi Egiziano

 

La Confraternita di Sant'Erasmo, con l'annesso Oratorio, s'inserisce nell'ampio movimento associativo laicale sorto nella storia della Chiesa per rispondere alle esigenze culturali, sociali e caritative delle comunità cristiane. 
La diligente, seppur breve, ricostruzione storica del dottor Alfredo Bertollo, ha il merito di riassumere le date importanti del cammino dell'Oratorio di Sant'Erasmo e di evidenziare le caratteristiche peculiari dell'omonima Confraternita, che sono state e rimangono di tipo liturgico, caritativo e culturale. 
L'Oratorio di Sant'Erasmo rimane tutt'oggi un piccolo tempio aperto e invitante per la preghiera della popolazione, dei turisti e della comunità che si raccoglie ogni domenica per la Santa Messa, aperta ad accogliere i defunti di Corte e al suffragio per essi, puntuale per la celebrazione delle liturgie e delle feste con particolare solennità. 
Auspichiamo di cuore che questo notiziario storico raggiunga lo scopo non solo d'informare, ma anche quello di creare un clima d'apprezzamento e di simpatia per i confratelli, e un'occasione, questa del 650° di fondazione, per rinnovare lo spirito originario di fervore, di fedeltà e di zelo in tutti gli aderenti e i simpatizzanti della Confraternita.

 

Prefazione

 

Nell'anno in corso 1997 ricorre il seicentocinquantesimo della costruzione della chiesa che marinai e pescatori della parrocchia di San Giacomo dedicarono nel 1347 a Sant'Erasmo. 
La Confraternita dell'Oratorio di Sant'Erasmo di Corte, da me sollecitata, ha ritenuto dare risalto a questo anniversario, oltre che con le feste che saranno celebrate nel prossimo giugno, anche con questa breve pubblicazione che si ripromette di rievocare e lasciare una piccola traccia per le generazioni future delle vicende più importanti della storia dell'Oratorio e delle sue proprie, strettamente legate a quest'ultimo. Ringrazio, insieme con la Confraternita, l'amico dottor Alfredo Bertollo che ha aderito prontamente all'invito di coordinare e redigere tutte le notizie che, sull'argomento, abbiamo potuto raccogliere.

 

La Statua in legno di Sant'Erasmo attribuita ad Anton Maria Maragliano (1664-1741)

 

Funzione  religiosa nell’Oratorio di Sant’Erasmo a Santa Margherita Ligure

 

L'Oratorio di Sant'Erasmo ha una particolare importanza per avere svolto un'intensa opera di pietà, di carità e di culto a pro' di tutti gli iscritti ma specialmente dei bisognosi, dei malati, dei defunti e per essere stata una specie di società di mutuo soccorso, sia materiale che spirituale. 
La chiesina di Sant'Erasmo, che ha anche un certo valore artistico, è stata costruita su uno scoglio che sorgeva ai piedi della collina su cui è costruita la chiesa di San Giacomo. Non esisteva allora né la strada carrozzabile sotto la chiesa, né l'ampia calata, né il molo che cinge il porto. L'Oratorio aveva davanti a sé il mare che si frangeva violento nelle tempeste contro i muri della chiesa. 
Esso rappresenta, con il solenne ammonitore linguaggio dei secoli sullo svolgersi delle vicende umane di cui è stata, ed è tuttora, testimone e attrice, un simbolo di fortezza e di fede. 
L'Oratorio di Sant'Erasmo godette, nei secoli, di grande prestigio non soltanto locale, in quanto sede della Confraternita che comprendeva anche molti pescatori del prezioso corallo che veniva raccolto in lontani mari e commerciato in tutta l'Europa. 
Quest'opuscolo vuole essere per gli attuali abitanti di Corte, memori della meravigliosa attività svolta sempre a vantaggio dei loro conterranei in tanti secoli d'esistenza, oltre che un glorioso ricordo, anche un invito a rinnovare affetto e stima per l'Oratorio e per la sua benemerita Confraternita. 
Sono certo che queste pagine saranno lette con interesse perché fanno riscoprire l'umiltà e la bellezza della fede degli antenati e anche di molti nostri contemporanei, la grandezza della Carità e l'attrattiva e l'insegnamento della storia e dell'arte.

 

Sac. Gerolamo Devoto

 

Introduzione

L'Oratorio di Sant'Erasmo, che appartiene alla Confraternita omonima, fa parte di Corte, quartiere di Santa Margherita Ligure. 
Corte (la Curtis romana), posta nella parte meridionale dell'antica Pescino, nome che il territorio posto fra Rapallo e Portofino mantenne fino al tardo Medioevo, è una località marinara che fu sempre dotata di un comodo approdo. 
Il piccolo edificio sacro con minuscolo campanile, posto ai piedi della maestosa scalinata che porta alla chiesa di San Giacomo di Corte, parrocchia dalla quale dipende, è ubicato in uno dei luoghi più adatti per essere dedicata a Sant'Erasmo, Patrono della gente di mare: prospiciente al porto, il cui molo fu costruito nell'ottocento per la pertinacia della gente di Corte, e sopra la spianata dove ac-costano le barche con le cassette di pesce appena scaricate dai pescherecci. 
Santa Margherita ha ricche e splendide parrocchie (La Basilica di Margherita d'Antiochia, San Giacomo, San Siro, San Lorenzo della Costa e Nozarego) e alcuni oratori che potrebbero, da soli, essere il vanto di parecchie cittadine delle dimensioni di Santa Margherita. 
Fra questi l'Oratorio di Sant'Erasmo di cui ci occuperemo parlando del santo titolare, della chiesa e della sua Confraternita.

 

 

Sant'Erasmo

 

Per poter conoscere meglio la figura di Sant'Erasmo, che fu un martire del IV secolo, è necessario fare una panoramica di quel tempo prima di entrare nei dettagli, affatto facili da ricostruire, dato che la storia della sua vita, non supportata da sufficienti testimonianze e documentazioni, è in gran parte avvolta nella leggenda. 
Erasmo era un nome tipico, comune anche ad altri santi della Siria, latinizzato dal nome greco Orao che significa piacevole, gradevole. 
Il Nostro nacque ad Antiochia (l'attuale Antykia in Turchia nel Mediterraneo orientale ai confini della Siria), da una semplice famiglia di lavoratori del mare, verso la metà del IV secolo quando Aureliano, che voleva ristabilire l'unità dell'Impero, turbata dalle forze centrifughe - fra le quali il Cristianesimo - aveva iniziato un'ennesima persecuzione. 
Erasmo fu cristiano, sacerdote e persino vescovo in quella città che diventò il centro più importante dell'esegesi letterale della Bibbia. 
Egli subì la persecuzione di Diocleziano, l'imperatore di origine dalmata, che assunse titoli divini e voleva perfino essere adorato. Fu proprio lui che, dopo avere diviso in quattro l'impero e riservato per sé la Siria, l'Egitto e l'Asia Minore, risiedendo a Nicomedia, poco lontana da Antiochia, gli fece subire nel 303 d.C. un primo crudele martirio. 
L'esempio d'intrepido coraggio da lui dimostrato valse a moltiplicare il numero di persone che si convertirono al Cristianesimo. 
Stando a quanto afferma il Martirologio Romano, l'Arcangelo Gabriele avrebbe miracolosamente liberato Erasmo dal carcere, dov'era stato rinchiuso, per portarlo in salvamento, prima nell'Illirico (la costa dalmata), poi in Italia, che, nella sopraricordata divisione, era passata a Massiminiano. 
Un miracolo particolare è quello del fulmine che, nel corso di una traversata, sarebbe stato, per mezzo di lui, venerabile parafulmine, deviato e avrebbe risparmiato la navicella su cui si trovava. 
Il santo, che da molti è chiamato anche Elmo, ha dato il nome ai cosiddetti fuochi di Sant'Elmo che sono quel velo incandescente, dovuto a elettricità atmosferica, cha appare talvolta di notte sulla estremità degli alberi delle navi. In Italia Erasmo non ebbe vita facile ma operò anche qui, come prima nell'Illirico, moltissime conversioni. Si parla di centinaia di migliaia (ottocentomila!!). 
Non diamo limiti alla Provvidenza ma è probabile che la tradizione abbia dato luogo all'iperbole. Perseguitato, dovette lasciare le Puglie (la città di Lucera) e, attraversati gli Appennini, passare a Formia dove i cristiani locali, considerati i suoi molti prodigi, lo elessero a loro vescovo. 
Formia, la bella località nel golfo di Gaeta a sud di Roma, fu anche il luogo dove Erasmo venne martirizzato. Condotto davanti a Massimiano Augusto, non rinnegò Gesù Cristo e fu sottoposto al più atroce supplizio, terribile perfino da descrivere, quello dell'estrazione dall'ombelico degli intestini, tramite un argano. 
La leggenda racconta che, prima che spirasse, una voce che scendeva dal Cielo dicesse: «Erasmo, mio servo fedele, poiché come buon soldato hai combattuto per me, vieni a ricevere la corona della gloria» e che, mentre il martire pronunciava le parole: «Ricevi, o Signore, in pace il mio spirito», una corona splendente circondasse a mo' di aureola il suo capo. 
Fin qui la storia e la leggenda. 
Sappiamo tuttavia per certo che il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Formia e che, poi, quando nell'842 i Saraceni assaltarono le città di Formia e Fondi e le distrussero, i suoi resti furono traslati in quella di Gaeta, città della quale divenne patrono. 
Quale protettore dei marinai e dei pescatori, Sant'Erasmo ha ricevuto in moltissime chiese a lui dedicate ex-voto rappresentanti salvataggi miracolosi ma le grazie da lui ottenute sono anche quelle relative al salvamento nelle tempeste della vita alle quali tutti siamo soggetti. 
Ma Sant'Erasmo è anche protettore dei tornitori. Il motivo è forse che gli furono estratti gli intestini con uno strumento di tortura che ricorda il tornio. 
Essendo stato dunque martirizzato in questo modo, è considerato anche il protettore delle malattie viscerali e delle partorienti. 
Rasmo o Mal di Sant'Erasmo è designato infatti nell'antico italiano il mal di ventre. Il santo fu anche invocato specialmente contro le epidemie. 
Il culto di Sant'Erasmo, oggi generalizzato in molte parti d'Italia, sta a dimostrare quanti miracoli egli abbia ottenuto da Dio a chi, per suo tramite, lo ha devotamente implorato. 
La figura del santo e il suo martirio sono stati ricordati sia nel Rinascimento che nell'Età Barocca in tutta l'Europa cristiana (Lucas Cranach, Mathias Neithard, Gothardt, soprannominato Gruenewald, Michael Pacher). 
In Italia è stato magistralmente rappresentato nella splendida tela che si trova nella Pinacoteca Vaticana "Il Martirio di Sant'Erasmo" del pittore Nicola Poussin, maestro del Classicismo francese. Il santo, di cui abbiamo nell'Oratorio la bella statua lignea, attribuita ad Antonio Maria Maragliano, è anche ricordato in parecchie pale d'altare del Tigullio: in cattedrale a Chiavari, nella Basilica di Rapallo e nella chiesa di San Giacomo di Corte. 
Inoltre a Rapallo, nel posto, dietro il chiosco della musica, dove si trovava la sede della locale Confraternita di Sant'Erasmo, vi è un altro dipinto del santo.

 

La Chiesa e i suoi tesori

 

Desta meraviglia constatare quante e come sono belle le chiese che si trovano in ogni angolo della Liguria. Sono barocche ma non mancano alcune romaniche, gotiche e neo-classiche. Nella Riviera di Levante, e in particolare nel Tigullio, l'architettura barocca, fino a poco tempo fa ingiustamente denigrata perché, in certi casi, portava all'esagerazione, è quella predominante e ammiriamo splendidi esterni non soltanto nelle grandi chiese dei centri maggiori, ma anche in quelle piccole dell'entroterra e in diversi oratori. 
Quando poi si entra nelle chiese si resta meravigliati dalla magnificenza, anche qui barocca, dei loro interni e sorgono spontanee due domande: «Come si può essere arrivati a tale ricchezza e come essa è stata mantenuta, nonostante le innumerevoli vicissitudini di tanti secoli?». 
Non ci si può sottrarre a esse neppure nella chiesa di San Giacomo di Corte e nel piccolo Oratorio di Sant'Erasmo a Santa Margherita. 
Le risposte sono queste: «Anche qui, come in quasi tutte le chiese della costa, marinai e pescatori hanno accantonato una parte dei loro redditi, la famosa "decima", per arricchire la chiesa» e «In ogni tempo della storia essi hanno sempre contribuito con i loro mezzi a ricostituire quanto corsari, ladri sacrileghi o governi antireligiosi hanno depredato nel corso dei secoli». 
Non parliamo della chiesa di San Giacomo, che non è l'oggetto di questa breve esposizione, se non per ricordare che una bella pubblicazione del dottor Davide Roscelli, edita nel 1983 da un Comitato di Corte in occasione del secondo centenario del Ritrovamento e del primo della Incoronazione della Madonna della Lettera, ne spiega, in maniera approfondita e con splendide illustrazioni, storia e arte. 
La chiesa di San Giacomo, dominante il mare, posta in alto vicina allo splendido palazzo che fu dei Durazzo, sembra quasi proteggere l'abitato di Corte.

 

Due ex voto di eccellente fattura

 

Il sottostante Oratorio fu costruito come cappella dai marinai di Corte su uno scoglio, detto di Sant'Elmo, lambito dal mare che dominava la loro rada quando ancora non esisteva la strada litoranea. Per arrivare da Corte alla chiesina, si passava da un sentiero sopraelevato, l'attuale via che conduce al Convento dei Cappuccini. 
L'Oratorio di Sant'Erasmo, Monumento Nazionale, costruito a una sola navata, per la prima volta nel 1347, ha oggi una facciata barocca, recentemente restaurata, piccola abside e sacristia ed è un gioiello fra i tanti che la religiosità del popolo - nel nostro caso marinai e pescatori - ha donato a Santa Margherita. 
La Confraternita si occupò, come in seguito vedremo, di mantenere l'Oratorio e di arricchirlo di monumenti di gran valore e suppellettili ricchissime che qui elenchiamo. 
Fra le opere più notevoli abbiamo:

 

 

• la già ricordata bella statua di Sant'Erasmo, attribuita al noto scultore in legno Antonio Maria Maragliano che, secondo alcuni, era originario di Corte;

 

• modelli di velieri in legno costruiti a mano dai naviganti nei lunghi viaggi di mare e donati ex voto;

 

• pitture artistiche del quattrocento.

 

Crocifisso Nero

 

Fra gli arredi:

 

• ostensori, turiboli e navicelle per l'incenso, candelieri in argento di Torretta e in legno dorato;

 

• mazze artistiche per guidare le processioni;

 

• paramenti di broccato secenteschi;

 

• tovaglie, camici e cotte fatte a mano con pizzi, a produrre i quali erano maestre le donne di Corte;

 

tabarri di velluto rosso, ricamati in filigrana d'oro, per i confratelli

L'Arciconfraternita di Sant'Erasmo Le confraternite, che proliferarono in molte parti d'Europa sia prima che dopo la riforma luterana, erano delle associazioni di laici che avevano un proprio statuto, titolo, foggia speciale di abiti, insegna, e dipendevano dalle autorità ecclesiastiche per quanto concerneva il culto. 
Ve n'erano molte anche in Liguria e nella stessa Santa Margherita possiamo ricordare quelle di San Bernardo, che risale al 1503, della Buona Morte al 1523, della N.S. dei Sette Dolori del 1687 nonché quella di N.S. del Carmine di Nozarego nel 1724.

 

Queste associazioni, che non avevano solo scopi di culto ma anche di assistenza reciproca, erano sorte per iniziativa di appartenenti ai diversi mestieri praticati e prendevano normalmente il nome da un soggetto religioso. I relativi oratori, nel corso dei secoli, furono amministrati dalle rispettive pie confraternite. 
Nel passato vi erano molte chiese, oratori e società di mutuo soccorso intitolate a Sant'Erasmo. Ricordiamo in Liguria la parrocchia di Sant'Erasmo di Voltri e le chiesette di Nervi, Quinto al Mare, Sori e Lerici. 
La Confraternita di Sant'Erasmo di Corte raggruppava marinai, pescatori e validi costruttori di barche, maestri d'ascia fra i migliori del Mediterraneo. 
Gli scopi della Confraternita erano quelli di tutelare i suoi membri (e le loro famiglie), sottoposti ai gravi rischi del lavoro, sia in terra che in mare. 
Va ricordato che molti pescatori, oltre che al pesce, si dedicavano al corallo e si recavano lontano fino a raggiungere l'arcipelago greco, la Corsica, la Sicilia e l'isola di Tabarka in Tunisia, rischiando molto spesso di morire o di essere catturati dai corsari per essere ridotti in schiavitù. 
La Confraternita si occupava anche dei relativi riscatti e poi delle diverse manifestazioni liete e tristi dei soci, provvedeva alle vedove e agli orfani, assisteva i malati, seppelliva i morti, faceva recitare Messe di suffragio a favore di confratelli e consorelle defunti. 
Tutto questo in una primordiale forma di assicurazione. 
Essa aveva anche scopi caritativi. Prima che venisse costruita la pescheria, vi era in quel luogo un magazzino dove tenevano a mantà, una misura di rame il cui contenuto di grano veniva, in occasione di carestie, distribuito ai più poveri. 
La Confraternita di Sant'Erasmo risale al 1638.

 

Interni dell’Oratorio di Sant’Erasmo-Santa Margherita Ligure

 

L'Oratorio, costruito, come già abbiamo scritto, nel 1347, fu lasciato in seguito andare in rovina dalla Confraternita della Trinità di Roma, alla quale era stato aggregato. 
Attilio Regolo Scarsella, lo storico di Santa Margherita che si occupò approfonditamente delle vicende di tutte le attività civili e religiose della città, ne ricorda la ricostruzione nel 1674, per merito della Confraternita. "In nome di Gesù e Maria. Questa fabbrica l'hanno fatta Fra Bernardino Rodele e, Fra Beneto da Pompilio… poveri eremiti." Nel 1682 s'iniziò a celebrarvi la prima Santa Messa festiva. Cent'anni dopo (1782), il Simulacro della Madonna della Lettera, trasportato al largo di Corte dalle correnti marine da Messina, dove era crollata la chiesa in seguito a un terremoto, fu conservato per parecchio tempo nell'Oratorio prima di venir solennemente posto nell'Altar Maggiore della chiesa di San Giacomo.

 

Alla fine del XVII e nel XVIII secolo, la Confraternita svolgeva anche il compito di Capitaneria di Porto della Repubblica Genovese e riscuoteva i diritti portuali; si occupava della manutenzione dell'Oratorio e dell'acquisto di oggetti sacri necessari al culto. Organizzava le processioni che rappresentavano l'orgoglio dei confratelli. 
Purtroppo con la Rivoluzione Francese queste tradizioni si affievolirono e l'ottocento e la prima metà del novecento furono tempi bui per l'Oratorio in quanto esso rimase chiuso, sia a causa delle rivoluzioni che delle guerre. 
Un personaggio benemerito nella vita dell'Oratorio è stata la signorina Angela Grosso, vulgo Angiulinna che, avendo rilevato la chiave dal canonico di san Giacomo, don Luigi Maria Carbone, morto nel 1948, nonostante avesse i suoi impegni di lavoro, si prodigò per tutta la sua vita fino al 1979 per la conservazione dei beni dell'Oratorio: arredi sacri e strutture essenziali della chiesa, che negli anni della guerra avevano subito notevoli danni. 
Il suo gran merito fu quello di aver lasciato, alla sua morte, spazio al gruppo giovanile che si occupò dell'Oratorio per mantenere le tradizioni religiose della Confraternita e svilupparne l'attività.

 

 

 

La Arciconfraternita, oggi 
La Confraternita di Sant'Erasmo, costituita oggi come ente morale avente scopo umanitario, caritativo e di culto, è stata rifondata nel 1968 ed è composta da un Collegio di Priori e da un Consiglio di Massari con l'assistenza spirituale del parroco di San Giacomo di Corte, don Luigi Egiziano. Essa è oggi Arciconfraternita avendo facoltà di aggregarsi altri sodalizi dello stesso titolo e scopo. 
Questo ente, negli ultimi trent'anni di attività, oltre ad aver ripristinato l'Oratorio dal punto di vista architettonico esterno (facciata, abside e sacristia), e interno (con il restauro degli armadi e del coro in legno, nonché dei preziosi lampadari), ha anche ricostruito l'organo nella sua sede originale, cioè sull'orchestra.

 

 

 

Il sagrato dell'Oratorio (Risseu)

 

 

 

L’organo dell’Oratorio

Inoltre ha dotato la piccola chiesa di importanti attrezzature moderne quali l'impianto elettrico generale, la soneria dell'orologio e delle campane a distesa, l'allarme contro i furti e l'apertura automatica delle finestre laterali. 
Ha provveduto poi, per le processioni, ad acquistare un nuovo grande crocifisso in bronzo e una nuova bandiera con l'effigie di Sant'Erasmo e ha restaurato l'arca processionale. 
Inoltre, nell'interno, ha rimesso a nuovo le barche antiche, ora mirabilmente esposte, e ha restaurato il Crocefisso Bianco. 
La Confraternita allestisce ogni Natale - opera pregevolissima - un Presepio, spesso con ambientazioni tipiche del quartiere di Corte. In gran parte, le figure in terracotta sono state artisticamente costruite e vestite dai ragazzi delle scuole e da membri della Confraternita stessa. 
Anche il Sepolcro del Giovedì Santo è uno fra i più belli e suggestivi della città. 
Un altro merito della Confraternita è stato quello di avere riordinato e sistemato l'archivio dell'Oratorio. 
E' chiaro che nei suoi obiettivi sono comprese anche manifestazioni culturali e musicali, realizzate anche in collaborazione con il Comune, a scopo caritativo fra le quali i concerti, utilizzando il nuovo organo di cui abbiamo poc'anzi ricordato l'installazione. 
La Confraternita ha inoltre organizzato un concorso canoro per le bambine della scuola elementare e uno di disegno per gli allievi delle Scuole Medie. Quest'ultimo al fine di realizzare la nuova bandiera. La presenza di ben novantaquattro bozzetti, esposti nell'Oratorio, sta a dimostrare la grande partecipazione riservata a questo genere di attività culturale.

 

 

Le attività religiose, quali organizzare le Sante Messe festive e di suffragio per i defunti ascritti e novene, sono parte integrante delle finalità dell'ente. 
La Novena dei Morti, per esempio, che inizia alle cinque di mattino, notte fonda alla fine d'ottobre, viene recitata con un Ufficio notturno seguendo l'antica tradizione latina dei pescatori. 
La Confraternita organizza anche con pompa magna, la festività del Santo Patrono e di N.S. della Pace, la cui immagine è stata donata all'Oratorio dagli emigranti di Corte nelle Americhe. Negli ultimi anni è stata ripristinata la processione in mare in occasione dell'anniversario dell'arrivo del Simulacro della Madonna della Lettera nel mare di Corte. 
Conclusione Con questa breve pubblicazione ci eravamo prefissi:

 

• di fornire qualche notizia su Sant'Erasmo del quale pochissimi conoscono la vita;

 

• di rendere più nota la sua piccola chiesa di Corte e le opere d'arte in essa contenute;

 

• di ricostruire, a sommi capi, la storia dell'Oratorio e della Confraternita di Sant'Erasmo e di evidenziarne le tradizioni.

 

Ci auguriamo essa possa servire particolarmente agli abitanti di Corte affinché mantengano salde quelle tradizioni che rappresentano la forza e la vitalità di un popolo e anche ai forestieri, italiani e stranieri, che, sfogliando questo opuscolo, fra le tante impressioni procurate loro dalla bellezza di Santa Margherita, possano conservarne anche alcune di Sant'Erasmo di Corte.

Riassunto Questo opuscolo riguarda una delle innumerevoli chiesine, che si trovano sparse in ogni parte della Liguria, sia marittima che montana. In questo caso si tratta di un antico Oratorio, quello di Erasmo, il santo dei marinai e dei pescatori a Corte di Santa Margherita Ligure. 
Erasmo, proveniente da Antiochia, città della Siria, oggi in Turchia, da una famiglia di marinai, fu un vescovo cristiano del IV secolo, martirizzato a Formia, a sud di Roma, con un tremendo supplizio, quello dell'estrazione degl'intestini con un argano. 
La devozione a Sant'Erasmo è diffusa soprattutto sulla costa, (a Nervi, a Quinto al Mare, a Sori, Voltri etc.) e a Santa Margherita Ligure. 
L'Oratorio fu qui costruito nel 1347 su uno scoglio che sorgeva sulla spiaggia e diventò la sede della omonima Confraternita che esiste da secoli. 
Le confraternite sono enti morali, sorti già ai tempi del Medioevo, composti da laici che hanno fini di mutua assistenza, sia materiale che spirituale. 
Esse hanno sempre rappresentato una forma di assicurazione per i loro membri, provvedendo alle loro necessità in caso di bisogno e occupandosi anche del culto (funzioni religiose sia in vita che in morte). 
Una caratteristica dell'Oratorio di Sant'Erasmo è quella di essere stata sede per molto tempo dei pescatori, oltre che tradizionali del pesce, anche del prezioso corallo che essi, insieme ai pescatori della Campania e della Sicilia, raccoglievano in lontani mari (di Corsica, della Sardegna e del nord-Africa) e commerciavano poi in Europa. 
Per questo motivo la piccola chiesa, dotata di campanile e sacristia, è ricca di artistiche suppellettili, (modellini di barche in legno, candelieri in argento di Torretta), sculture, quadri (quattrocenteschi) e arredi sacri di gran valore (turiboli, pissidi, navicelle per l'incenso). 
Si deve ai membri attuali dell'Arciconfraternita se tutto quello che riguarda l'Oratorio è tenuto nel perfetto stato in cui si trova.

 

Sant'Erasmo di Formia, vescovo e martire, viene festeggiato il 2 giugno.

 

I marinai lo venerano come patrono con il nome di Sant'Elmo.

 

Non deve essere confuso con San Telmo, il domenicano spagnolo San Pietro Gonzales, anch'egli invocato come protettore dei marinai.

 

 

Infatti, dopo il periodo d'oro dei pescatori di corallo che giunse fino alla Rivoluzione Francese, l'Oratorio fu nel secolo scorso trascurato. Fu merito di una brava donna di Corte, Angela Grosso, chiamata volgarmente Angiolinna se le tradizioni dell'Oratorio vennero mantenute per una buona metà del nostro secolo. 
Dal 1968, con l'intervento di giovani che si dedicarono anima e corpo al ripristino sia dell'esterno che dell'interno, l'Oratorio è tornato agli antichi splendori. 
La Confraternita allestisce per Natale uno splendido presepio che riproduce l'abitato di Corte, per il Giovedì Santo il Sepolcro che è fra i più belli delle chiese di Santa Margherita e organizza processioni in occasione delle feste. 
Ci auguriamo che uno sguardo su questo libricino, possa ricordare al lettore forestiero che Santa Margherita, oltre ad avere il porto turistico pieno di barche a vela e motoscafi moderni, ha ancora dei pescatori, molto legati alle tradizioni che hanno un loro bell'Oratorio, quello di Sant'Erasmo, posto proprio sopra la calata dove essi attraccano alla sera.

 

 

© La Gazzetta di Santa

L'iconografia di Sant'Erasmo in Italia

 

 

Fonti sicure attestano l’esistenza di un sant’Erasmo vescovo di Formia, martire al tempo di Diocleziano e Massimiano (303) e sepolto nella località costiera del Lazio meridionale (Formia poi Gaeta).

 

Di storico su di lui si sa, però, poco. La «Passio» che lo riguarda, compilata nel VI secolo, è leggendaria. Venerato nel Lazio e in Campania, è menzionato, oltre che negli antichi martirologi, anche nel Calendario marmoreo di Napoli. Nell’842, dopo che

 

Formia era stata distrutta dai Saraceni, le reliquie furono nascoste nella vicina Gaeta. Quando furono ritrovate, nel 917, il martire venne proclamato patrono della diocesi del Golfo. Nel 1106 Pasquale II consacrò la cattedrale di Gaeta, dedicandola alla Vergine e a sant’Erasmo. È invocato contro le epidemie e le malattie dell’intestino per il fatto che, nel martirio, gli sarebbero state strappate le viscere. I marinai lo venerano con il nome di Elmo. (Avvenire)

 

Di seguito riportate alcune delle immagini sacre di Sant'erasmo e statue che lo ritraggono venerate in diverse città italiane

 

Statua di Sant’Erasmo di Porto Ercole

 

 


 

Sant'Erasmo flagellato al cospetto dell'Imperatore Diocleziano


 

Suplizio di Sant'Erasmo

 

 

Sebastiano Ricci, Martirio di S.Erasmo, pinacoteca di Brera, Milano

 

Cristoforo Serra, Immacolata Concezione ed i SS.Giacomo apostolo ed Erasmo da Formia, 1670, Chiesa di S.Agostino, Cesena

 

 

 

 

Statua di Sant’Erasmo Capaci (Palermo)

 


 

 

 

Nicholas Poussin. Martirio di S.Erasmo. XVII sec.

 

Città del Vaticano

 

 

 

 

 

Alfredo BERTOLLO

 

Don Gerolamo DEVOTO

 

C.l.c. Carlo GATTI

 

 

Rapallo, Sabato 1 Agosto 2015