GINOSTRA, Terra di Dio. Un viaggio senza fiato tra acqua e fuoco

GINOSTRA

TERRA DI DIO

Un viaggio senza fiato tra acqua e fuoco

 

di Martina Bernareggi

6.3.2013

Il semplice fatto di approdare al porticciolo di un villaggio accessibile esclusivamente dal mare, isolato dal resto del mondo, è motivo di riflessione: dal momento in cui si mette piede sul primo scoglio di Ginostra ci si sente in totale balia delle forze della natura. Il vulcano, lo Stromboli, respira incessantemente sotto le pareti scoscese: è lui a dominare l’isola mentre il mare tutto attorno detta le sue leggi. L’atteggiamento umile e contemplativo è l’unico consentito all’essere umano.

 

 

L’assoluta pace, l’assenza di distrazioni, di inquinamento acustico e luminoso creano quindi le condizioni  ideali per un soggiorno full-immersion (in tutti i sensi) di apnea, anche se un prezzo da pagare esiste. Infatti, il primo impatto per un apneista che si trova sull’isola più a nord delle Eolie per cercare anfratti sommersi e profondità, è già di per sé abbastanza estremo: cinque ripide rampe da percorrere in salita con zavorra e attrezzatura sono solo l’assaggio delle successive scarpinate necessarie a raggiungere i pochi, impervi accessi al mare.

Martina Bernareggi

Ma se è vero che la conquista ha un sapore del tutto differente quando accompagnata dal sudore della fronte, allora gli stupendi fondali di Ginostra, l'acqua cristallina, i paesaggi sommersi e le specie marine che li popolano risulteranno quanto di più bello si possa desiderare e l’atmosfera quasi mistica in cui si è immersi renderà il tutto un’esperienza indimenticabile.

 

 

Conformazione geologica e fondali

 

Di origine vulcanica come le altre isole dell’arcipelago delle Eolie, Stromboli è formata da roccia magmatica che sortisce due effetti principali sull’ambiente (e di conseguenza sulle acque circostanti): oscurità e calore.

 

I fondali attorno all’isola sono costituiti dalla parte sommersa del vulcano, conformazioni rocciose ricche di anfratti e sifoni generati da un’erosione massiccia. La spiegazione scientifica di questi particolari geositi è da ricercare nelle caratteristiche della roccia magmatica. Senza scendere troppo nel particolare, il magma in ambiente subacqueo solidifica rapidamente sia per il brusco passaggio da temperature molto elevate alla temperatura ambiente, sia per un abbassamento di pressione, originando in questo modo rocce dalla grana molto fine, particolarmente soggette all’azione erosiva degli agenti esterni.

 

 

Tutto ciò si traduce per l’apneista in uno spettacolo sottomarino suggestivo e particolarmente adatto a stimolare la curiosità e la voglia di scoperta; soprattutto quando, intenti ad esplorare un anfratto o distratti da un incontro inatteso, ci si rende conto che un solo respiro può durare più a lungo di quanto si sia mai creduto.

 

L’acqua cristallina lascia trasparire gli scuri fondali fino ad una profondità di circa 20-25 metri e  quando la luce del sole filtra tra le onde i riflessi variano dal verde smeraldo al blu intenso. A differenza del paese di Stromboli, presso cui è possibile trovare piccole spiagge nere formate da fine pietrisco igneo, a Ginostra l’accesso al mare è consentito esclusivamente attraverso gli scogli in tre punti.

 

 

Accessi al mare


 

Il porto. E’ forse l’accesso meno pittoresco, ma sicuramente il più comodo e immediato. E’ possibile raggiungere l’acqua scendendo degli scalini oppure calandosi con cautela dai grossi massi posti attorno al molo, dove alcune piscine naturali fanno da anticamera al mare aperto. Già a pochi metri di profondità è possibile incontrare diverse specie marine, spesso nascoste e mimetizzate tra le rocce. Con un po' di attenzione non sarà difficile distinguere piccoli scorfani, polpi, cernie brune e alcuni esemplari di stummo (così è chiamato nel dialetto locale un pesce simile alla tracina, ma senza spine) tranquillamente adagiati su una pietra o rintanati in qualche fessura.

 


 

Lazzaro. Dista circa 15-20 minuti di cammino dalla parte centrale di Ginostra. Il sentiero, che si snoda al sotto delle bianche case in stile eoliano fino ad un minuscolo porticciolo, può risultare decisamente ostico in alcuni tratti. Si consiglia dunque l’utilizzo di scarponcini da trekking o comunque calzature comode. Si accede al mare tramite una darsena che scivola morbidamente tra le onde.

 

In questa zona, su un fondale massimo di circa diciotto metri, è facile divertirsi anche in pochi metri d'acqua grazie a camini, tunnel ed un ampio arco sommerso che rendono l'esplorazione subacquea accattivante e particolarmente indicata per chiunque cerchi un'esperienza intensa in profondità poco elevate. Potrebbe infatti non esservi mai accaduto di entrare in un tunnel dove per qualche secondo si vede solo un gran buio. O meglio, potrebbe esservi accaduto in qualche incubo: il diametro di quel tunnel inizia a rimpicciolirsi e tutto intorno c'è solamente acqua. La consapevolezza che dall'altra parte esiste una via d'uscita e che la distanza da percorrere è alla propria portata, sono elementi  sicuramente fondamentali per mettere l'apneista nella condizione di affrontare la situazione. Ma il resto dipende da una convinzione che deve nascere nella sua mente, la convinzione che quell'ambiente in realtà non sia ostile, ma intimo ed accogliente, ed il fatto di potervi accedere, di potersi insinuare nelle viscere della roccia, rappresenti fondamentalmente un privilegio.

 

La chiesa. Una sentiero che parte dal sagrato porta ai grossi scogli sottostanti la chiesa. Il fondale è formato anche in questo punto da massi di roccia magmatica che lasciano spazio di tanto in tanto ad ampie chiazze di poseidonia. Durante l'esplorazione ci si accorge dei resti di un antico vascello a vapore, grosse caldaie e lamiere sono disseminate su un'ampia area. Salpe e saraghi di piccola taglia sono un incontro abbastanza facile attorno alla profondità di dieci metri, mentre un occhio attento non si farà sfuggire le piccole murene che, sporgendo di poco il capo dalle rocce, si guardano attorno circospette, curiose quanto diffidenti, pronte a ritirarsi al minimo segnale di pericolo. Gusci rotti e conchiglie svuotate indicano la presenza qua e là di tane i cui inquilini più riservati si guardano bene dal lasciarsi osservare.

 

 

In barca

 

L’utilizzo di una piccola imbarcazione consente di raggiungere alcune tra le zone migliori per le immersioni, altrimenti precluse all'esplorazione dell'apneista che decide di entrare in acqua munito delle sole pinne. Girando in senso orario attorno all’isola in pochi minuti si raggiunge la sciara del fuoco, uno scenario mozzafiato di cui però si  può godere solo mantenendo le debite distanze. Esiste, infatti, un limite segnalato da una boa oltre il quale è vietato procedere a causa del pericolo rappresentato dalla frequente caduta dei massi scagliati in aria dalla bocca del vulcano. Sostando con l’imbarcazione di fronte alla sciara è possibile ascoltare i boati dello Stromboli che rompono il silenzio mentre una colonna di fumo si innalza al di sopra del cratere.

 


 

Proseguendo verso il paese di Stromboli si raggiunge, ad un miglio dalla costa, l'isolotto (sarebbe meglio definirlo un grosso scoglio) chiamato Strombolicchio. La leggenda vuole identificare questo scoglio con il tappo scagliato in mare dal vulcano durante un'eruzione. In realtà si tratta di una  formazione di origine vulcanica più antica dell'isola di Stromboli, che il tempo ha ridotto ad un isolotto di roccia frastagliata con pareti a strapiombo sul mare. La parte sommersa scende in verticale nell’acqua con leggere variazioni di pendenza a seconda del versante, formando delle pareti che si perdono nel blu. Proprio accanto a queste pareti  è possibile effettuare stupende immersioni e sfidare i propri limiti sfruttando il riferimento visivo degli scalini naturali che scandiscono la profondità mentre si è impegnati nella discesa. Attorno a questo grosso scoglio, nell'acqua limpidissima, si incontrano pesci di media e grossa taglia e non è inusuale, tra castagnole e salpe, imbattersi in qualche banco di barracuda.

 

L'assoluta limpidezza delle acque che circondano Strombolicchio è sicuramente un grosso sprone per l'apneista alla ricerca della profondità. La discesa risulta piacevole e naturale e il riferimento della parete, con tutti gli organismi marini che la popolano, un valido aiuto per l'orientamento (da non dimenticare che le correnti attorno all’isolotto sono piuttosto intense)

 

La notte

 

Se durante il giorno Ginostra stupisce per i colori del mare e i paesaggi surreali, addirittura lunari in alcuni casi, è durante la notte che il villaggio si accende, sprigionando tutto il suo fascino. La volta celeste è punteggiata da una miriade di stelle e, luna permettendo, è possibile vedere la via lattea spiccare come un chiaro sentiero che attraversa il cielo. Accanto al luccichio del manto stellato, Ginostra regala anche un altro genere di spettacolo "scintillante":  sono i lapilli rossi lanciati in aria dai crateri attivi del vulcano. Se le acque nere non vi mettono a disagio, il suggerimento è cimentarsi in un'immersione in notturna, sia per provare l'ebbrezza di un tuffo nelle tenebre guidati solo da un fascio di luce che di tanto in tanto svela qualche forma di vita, sia per osservare, sdraiati supini sul pelo dell'acqua, uno spettacolo inebriante.

 

 

Come arrivare

 

Il villaggio di Ginostra è raggiungibile solo via mare:

 

Siremar (navi, aliscafi)

 

Ustica Lines (aliscafi)

 

Snav (aliscafi)

 

Alilauro (aliscafi)

 

 

Partenze da Napoli, Milazzo, Reggio Calabria, Cefalù e Palermo

 

 

 

Dove alloggiare

 

B&B Luna Rossa

 

Via Piano, 3

 

98050 GINOSTRA DI LIPARI (Me)

 

 

Tel.: 090-9880049 - 090-9812305

 

www.ginostra-stromboli.it

 

 

 

Dove mangiare:

 

Ristorante Il Puntazzo

 

98050 Ginostra di Stromboli (ME)

 

 

tel. 090-9812464

 

e-mail: puntazzo@tiscali.it

 

 


HELEANNA - Una ferita che brucia ancora

 

“HELEANNA”

Una ferita che brucia ancora

Il comandante Dimitrios Anthipas, un pessimo esempio di Comandante

Il 28 agosto 1971, a 15 miglia da Monopoli, un incendio scoppiò a bordo del traghetto greco “Heleanna”. Si trattò della più drammatica e funesta sciagura marittima accaduta in Adriatico nel dopoguerra. La tragedia costò la vita a 25 turisti imbarcati; 16 furono i dispersi, 271 feriti tra i 1089 i superstiti.

Sono trascorsi 42 anni dall’incendio della HELEANNA, ma il ricordo é sempre vivo, specialmente tra coloro che seguirono da vicino le operazioni di salvataggio, ma anche da tutti coloro che ben presto si resero conto che a bordo del traghetto viaggiavano 1174 passeggeri, quasi il doppio dei 620 consentiti, e duecento automobili. A quel punto l’apprensione si trasformò in pura rabbia e la stampa di allora definì “negrieri del mare” il comandante Antypas Dimitrios ed il suo armatore Efthymiadis.

Da dove uscì quel maxi-traghetto con la ciminiera a poppa come una petroliera?

Negli anni '60 l'armatore greco Constantino S. Efthymiadis comprò quattro petroliere svedesi per convertirle in traghetti passeggeri:

la MARIA GORTHON (rinominata PHAISTOS), nel 1963;

la SOYA-MARGARETA (rinominata MINOS), nel 1964;

la SOYA-BIRGITTA (rinominata SOPHIA), nel 1965;

la MUNKEDAL (rinominata HELEANNA), nel 1966.

Nel 1954 la nave cisterna Munkedal fu costruita dai cantieri Götaverken di Göteborg-Svezia. Ma il suo destino fu segnato dalla chiusura del Canale di Suez* che costrinse le petroliere a compiere il lungo e costoso periplo dell’Africa, linea che sarebbe risultata economica soltanto con l’introduzione del  “gigantismo navale”. Così fu, e tutte le stazze minori, tra cui le petroliere svedesi sopra citate, furono messe fuori mercato.

* Nota: Dopo la GUERRA DEI SEI GIORNI del 1967, il canale rimase chiuso fino al 5 giugno 1975).

Da sempre i greci sono considerati validissimi marinai, ma anche un po’ spregiudicati. L’armatore C.S.Efthymiadis era un fedele garante di questa tradizione. La sua intuizione gli permise, infatti, di trasformare e reclamizzare la nuova unità come “il più grande traghetto del mondo”. Nel 1966, mantenendo il suo aspetto esteriore, la petroliera Munkedal fu ridisegnata al suo interno per la sistemazione di numerose cabine/passeggeri, mentre sulle fiancate dello scafo furono installati portelloni con rampe di nuova concezione per l’imbarco/sbarco di auto al seguito e mezzi pesanti. Rinominata Heleanna, il traghetto entrò in linea sulla rotta Patrasso–Brindisi-Ancona e ritorno.

La cronaca dell’incidente

Al momento del disastro l’Heleanna si trovava 25 miglia nautiche a Nord di Brindisi, a 9 miglia al largo di Torre Canne, più verso Monopoli. Proveniva da Patrasso ed era diretta ad Ancona con 1174 passeggeri e 200 mezzi  (auto, tir e autobus).

Tutto ebbe inizio alle 05.30 del 28 agosto 1971 quando una fuga di gas dai locali della cucina, fra la panetteria, la riposteria ed il locale ristoro provocò un  incendio a poppa. Si parlò di un corto circuito, forse una manovra errata di accensione dei polverizzatori della cucina, oppure di uno spandimento di gas liquido, ma anche di una possibile fuoriuscita di nafta dalla cassa di alimentazione della calderina. Alcuni testimoni affermarono che l’incendio prese il sopravvento solo quando il fuoco lambì le bombole di ossigeno facendole esplodere. Poco dopo successe un fatto molto anomalo: in una cala di poppa vicino al timone, scoppiò un’altra bombola d’ossigeno che bloccò istantaneamente l’organo di governo che era, in quel momento, posizionato 15° a dritta. Il traghetto, ormai in panne, ma ancora abbrivato, compì un’ampia accostata in cui il vento  propagò l’incendio a tutta la nave.

L’Heleanna aveva in dotazione 12 scialuppe di salvataggio sufficienti per 600 persone, la metà delle persone imbarcate. Le inchieste promosse dalle Autorità dimostrarono che metà delle lance erano inutilizzabili per via degli argani bloccati dalla ruggine. Tra quelle calate a mare, una si ribaltò e precipitò in mare probabilmente per il sovraccarico. Gli idranti antincendio e i tutti i sistemi di soccorso non erano funzionanti. Le inchieste che seguirono dimostrarono che il traghetto, dal punto di vista della sicurezza, era da considerarsi sub-standard.

Il disastro causò 25 morti, 16 dispersi e 271 feriti, alcuni anche in modo grave. Le vittime erano di nazionalità italiana, greca e francese. Non appena il Comandante della nave lanciò l’SOS, soccorsi aerei e navali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli e Grottaglie.

I soccorsi aeronavali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli, Taranto e Grottaglie, anche con la partecipazione di alcuni pescherecci privati (Laura, Madonna della Madia, Angela Danese, Nuova Vittoria, S. Cosimo) che si attivarono con molta efficacia nella ricerca dei dispersi in mare ed al soccorso dei naufraghi. L'incendio venne domato dopo molte ore. Il relitto fu rimorchiato verso porto di Brindisi e fu ormeggiato nei pressi del castello Alfonsino.

I feriti sarebbero stati più numerosi se non fosse scattata con grande tempestività l’opera dei soccorritori. Il personale dei rimorchiatori locali della Società Barretta dovette avvicinarsi fino a pochi metri dalla nave per rendere efficace il getto delle proprie spingarde, sfidando temperature altissime e respirando gas di scarico e fumi micidiali, ma dovettero farlo per domare le lingue di fuoco che fuoriuscivano da tutta la nave minacciando di far esplodere i serbatoi di benzina degli oltre 200 mezzi che si trovavano nel garage. Fatto che purtroppo avvenne con tutte le sue tragiche conseguenze. Anche la città di Monopoli si prodigò per confortare i superstiti, dando una dimostrazione di grande generosità offrendo aiuto e accoglienza ai naufraghi dell'Heleanna. Il 15 ottobre del 1972 il Capo dello Stato Giovanni Leone conferì alla città la Medaglia d'Argento al Merito Civile in riconoscimento dell’antica tradizione di ospitalità e di civismo della sua popolazione.

Quando siamo arrivati sul posto” - raccontò il proprietario di un peschereccio – “ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo agghiacciante. Lunghe lingue di fiamme uscivano dalla poppa impedendoci di avvicinarci troppo. Sul ponte del traghetto dilagava il panico. Centinaia di persone tentavano di calare le scialuppe senza riuscirvi, altre che scendevano con le barche liberate, rimanevano poi sospese e bloccate a mezz'aria. Altre barche ancora, arrivavano in mare ma non sapevano come governarle. I più si gettavano direttamente in mare saltando dal ponte. Su decine di corde, calate dalle fiancate, c'erano grappoli di uomini appesi, molti erano senza salvagente. Diversi battellini di gomma, sparpagliati in mare, erano difficili da raggiungere ma anche più difficile riuscire a salirvi dentro. Dalle navi che erano accorse - racconta un altro marinaio - erano state calate delle scialuppe, ma rimanevano vuote perché la gente in mare, sfinita non riusciva a raggiungerle. Allora, molti di noi, si sono buttati in acqua per aiutarli. Mai avevo visto tanta gente disperata, annientata dal dolore per aver perso, magari un attimo prima, un amico, un congiunto. Intanto, sulle banchine dei porti di Monopoli, Brindisi e Bari, viene predisposto un imponente servizio di soccorso”.

Centinaia di privati misero a disposizione i loro mezzi, altri portarono in Capitaneria indumenti e coperte. L’incendio fu domato prima di notte e l'Heleanna fu tenuta prudentemente in rada mentre gli inquirenti tentarono di accertare le responsabilità dell’accaduto.

Pare che nella confusione generale, il Comandante del traghetto sia stato il primo a perdere la testa. Alcuni testimoni, infatti, affermarono che il capitano Anthipas abbia lasciato la nave subito dopo l'allarme, mentre la moglie, che era con lui sul traghetto, sostenne il contrario. Per la verità, un’evidenza ci fu e molti la testimoniarono in diverse sedi: il comandante Dimitrios Anthipas, giovanissimo e senza esperienza, giunse “asciutto” sulla banchina di Brindisi, e il 29 agosto del 1971 cercò addirittura la fuga, ma venne arrestato al varco frontaliero del porto di Brindisi, poco prima d’imbarcarsi furtivamente con la moglie su una nave diretta in Grecia. Il comandante venne arrestato con l'accusa di omicidio colposo e per abbandono della nave.

Dimitrios Anthipas sarà poi estradato in Grecia mentre chi ha perso tutto: auto, bagagli, valori, la stessa vita di moglie, figli, genitori e parenti non sarà neppure risarcito. Gli assicuratori si rifiuteranno di pagare per l'evidente violazione, da parte della nave, delle norme stabilite nelle polizze assicurative.

All’epoca del “sinistro”, le acque territoriali comprendevano una fascia di 6 miglia nautiche (11.112 KM), poi modificate per legge in 12 miglia dal 27 febbraio 1973), per cui il disastro avvenne in acque internazionali. Ma le Autorità italiane dichiararono la loro competenza a processare il comandante della nave poiché alcune vittime del disastro erano perite in acque territoriali italiane ed almeno una era morta in ospedale a Brindisi. Anche le autorità greche furono interessate al processo, in quanto la nave batteva bandiera ellenica.

L'Heleanna in fiamme

Notare la vicinanza del rimorchiatore che punta le spingarde antincendio sulla poppa dell’Heleanna

Targa commemorativa del naufragio a Monopoli




 

Dopo due anni e mezzo di sosta forzata nel porto di
Brindisi, per il relitto dell’Heleanna giunse il momento
del congedo, dell’ultimo trasferimento verso un
Cantiere di Spezia che aveva il compito di demolirne
una parte e trasformarne il resto in una chiatta
portuale multipurpose.
ESPERO in navigazione (sotto)



Rimorchiatore incaricato dell’ultimo viaggio apparteneva alla Società Rimorchiatori Riuniti di Genova, si chiamava ESPERO, era l’ultimo nato della
flotta, 5.000 CV di razza, con una strumentazione d’avanguardia: elica intubata, towing winch (troller) modernissimo, elica di manovra a prora (bowthruster) ed una elettronica up to date applicata a tutti i suoi apparati. Chi scrive, era già stato per sette anni al comando di rimorchiatori portuale d’altomare; per motivi d’anzianità toccò a lui collaudare questo moderno “fuoriclasse”. Come? Per un puro caso, si presentò una duplice occasione.

Si trattava di rimorchiare in successione, due relitti, entrambi da Brindisi a La Spezia che all’epoca era il primo porto nazionale della demolizione navale. Il primo era la petroliera SAN NICOLA della famosa Società Garibaldi, che aveva subito un’esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la coperta della nave dando di sé una immagine terrificante. La seconda era il traghetto passeggeri HELEANNA di cui ci siamo occupati in questo drammatica ricostruzione.


Lo squarcio in coperta della petroliera San Nicola

Testimonianza dell’autore:

Quando salii a bordo del “traghettone” per controllare
la situazione generale e studiare gli attacchi di
rimorchio, cercai invano di trovare un metro di lamiera

liscia ed intatta. In pratica, l’interno dello scafo era
stato devastato completamente dalle altissime
temperature provocate dall’incendio. Le lamiere dei
ponti erano ondulate e bugnate come la pelle di un
lebbroso. Delle 200 autovetture ancora presenti nel lunghissimo garage, erano rimasti gli scheletri
deformati da un fuoco impietoso che era durato a lungo causando, purtroppo, vittime e sofferenze indescrivibili.
Avevo già compiuto un’ottantina di rimorchi in tutto
il mondo, ma non mi ero mai trovato davanti a tanta devastazione, desolazione e tristezza.



Manovra d’uscita della HELEANNA da Brindisi

1° Problema

Quando andai sul castello di prora per approntare gli
attacchi di rimorchio mi trovai di fronte ad una strana situazione: non sapevo dove attaccarmi. Il copertino deformato aveva piegato le bitte, sollevato il
salpancore e indebolito ogni centimetro del castello.
Alla fine decisi di far passare alcune grosse cravatte
d’acciaio da quei due passacavi in alto che sembrano
due occhi ai lati del tagliamare (vedi foto). Era come
prendere un toro per le narici e vi assicuro che non
c’era altro da fare. Come attacco di riserva presi al
“lazo”  tutto il castello di prora evitando  gli spigoli
con coppi di gomma, legno, tanto grasso e sacchi di
juta.


2° Problema

In precedenza ho accennato all’esplosione di una
serie bombole di ossigeno sistemate vicino al timone
della nave; fu proprio questa la causa che bloccò

l’organo di governo 15° a dritta costituendo un grande problema
per la navigazione a rimorchio. La soluzione del
problema era nelle mani di un’officina specializzata che avrebbe raddrizzato il timone, ma dentro un bacino di
carenaggio che nessuno era disposto a pagare.....
Mi dovetti rassegnare, pur sapendo che avevamo

davanti 800 miglia di “navigazione manovrata”. Infatti,
appena allungammo il cavo e ci mettemmo in tiro, il
rimorchio accostò sulla sua dritta. Quando
doppiammo Santa Maria di Leuca, il vento rinforzò e
ci accompagnò fino all’arrivo. Riuscimmo a tenere
una velocità intorno alle 6 miglia, ma quando il vento aumentava nelle golfate, l’Heleanna ce la vedevamo al traverso e per rimettercela di poppa dovevamo allascare
le bozze, far venire il cavo da rimorchio in bando e poi dovevamo ripartire “alla gran puta”  per andare a
riprendere il toro per le corna e rimettercelo  di poppa. Questa era la navigazione manovrata in cui si rischiava
di strappare sia le bozze che il cavo da rimorchio.
Pendolammo per 20 ore a ridosso dell’Isola di Ischia,
sia per controllare l’attrezzatura, ma soprattutto per
far scivolare verso Est una forte depressione che
spingeva il rimorchio fino a sorpassarci, costringendoci
a vere acrobazie per non farci “prendere per il c...”
Un’espressione marinara che rende perfettamente
l’idea di ciò che può succedere quando il rimorchio, non
essendo in assetto di navigazione, prende il sopravvento,
infrangendo quelle poche ma importanti regole
marinaresche, che si dovrebbero sempre rispettare.
Il 16.2.74 arrivammo finalmente a Spezia, e quando

il mio amico pilota Nino Casaretto che aveva subito un’esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la
copertadella nave dando di sé una immagine
terrificante venne a bordo per la manovra di consegna
del relitto ai rimorchiatori locali, mi disse in dialetto:
“Ma non ti vergogni d’andare in giro con questo

accidente attaccato al sedere” ?
“Vergogna no! – gli risposi -  A brindisi non vedevano

l’ora di levarselo dal sedere  e trovarne un altro
disposto al sacrificio. Dicono che nella vita bisogna
provarle tutte! Eccomi qui, felice e contento d’essere arrivato!”


APPENDICE:

Rapporto Viaggio


Carlo GATTI

Rapallo, 21.3.2013

 



 

 

 

 

 

 

 

 




TRAGEDIE NAVALI DEL NOVECENTO - Breve Storia

L'azzurra linea del Mediterraneo,
 questo incantatore ed ingannatore di uomini audaci,
 manteneva il segreto del suo fascino 
e si stringeva al calmo petto le vittime di tutte le guerre,
 le calamità e le tempeste della sua storia,
 sotto la meravigliosa purezza del cielo al tramonto.

 

da L'Avventuriero di Joseph Conrad

 

Breve Storia delle più gravi Tragedie Navali del Novecento

Tratto dall'Introduzione del libro

Genova: Storie di navi e Salvataggi di Carlo Gatti

Edizione bilingue Italiano-Inglese, Nuova Edizione Genovese-2003

 

Ciò che desideriamo proporvi è un viaggio virtuale nel XX secolo, attraverso un documentario fatto di poche parole e tante immagini che spesso si commentano da sole. Se la storia dell'umanità è purtroppo cadenzata dalle guerre, la storia del “marinaio” è tuttora evocata soprattutto per le sue immancabili e ripetute tragedie navali.

 

Ogni tragedia, si sa, reca con sé morte e orrore, ma la storia non può fermarsi ed ecco l'uomo rialzarsi dalla batosta e ripartire con regole nuove. Ogni naufragio diventa così una nuova luce che si accende sul cammino tecnologico e sul progresso scientifico navale.

 

La Marina Mercantile ha dovuto registrare, fin dall'inizio del XX secolo, numerosi disastri con gravissime perdite di vite umane e di navi. Tra i più drammatici si ricorda quello dl 23 gennaio 1909, che ebbe luogo nelle stesse acque in cui colò a picco quarantasette anni dopo l' Andrea Doria. Anche allora si trattò di una collisione; affondò una nave inglese, la Republic, speronata dal piroscafo italiano Florida. Il disastro costò la vita di sei persone; per la prima volta la maggior parte dei naufraghi fu salvata grazie all'impiego della radio.

 

E' forse bene qui ricordare che Guglielmo Marconi, il genio di Pontecchio, il 12 dicembre 1901, mentre si trovava in una capanna-laboratorio a Terranova (Nuova Scozia), ricevette tre brevi suoni: la “S” in alfabeto Morse, trasmessa dalla lontana Cornovaglia. Da quel giorno ebbe inizio la telegrafia senza fili.

 

Il 1912 fu un anno disastroso. Il 5 marzo il piroscafo spagnolo Principe de Asturias finì su una scogliera presso Cabo S.Sebastian, 500 passeggeri annegarono. Un mese dopo, il 15 aprile, durante il viaggio inaugurale, il grande transatlantico Titanic, che negli anni del primo Novecento era considerata la più bella e più sicura nave del mondo, urtò contro un iceberg e colò a picco trascinando con sé 1.513 tra passeggeri e uomini dell'equipaggio.

 

Un'altra collisione avvenne nell'estuario del S.Lorenzo il 29 maggio 1914. Affondò il vapore Empress of Ireland e nella catastrofe morirono 1.024 persone. Il 7 maggio 1915 il sommergibile tedesco U-20 affondò il transatlantico inglese Lusitania. Fu questo forse, l'avvenimento che volse l'opinione pubblica mondiale contro la Germania. La grande nave apparteneva alla famosa Società inglese Cunard Line, veniva dall'America e trasportava 1916 passeggeri, di cui 146 americani. Ne morirono 1.152, solo 764 si salvarono, ma non certo ad opera del sommergibile di Schwieger, che senza intimare l'Alt , come vuole la legge di guerra, colò a picco la nave senza prima aver fatto sbarcare i passeggeri, che poi abbandonò alla loro sorte, quando il codice d'onore di ogni marinaio impone il soccorso dei naufraghi.

 

 

La tragedia del Lusitania suscitò dovunque orrore ed indignazione e contribuì alla decisione degli Stati Uniti di entrare in guerra a fianco degli Alleati. Il 24 luglio 1915, sui grandi laghi americani, altra grave perdita: l'affondamento della Estland e la morte di 811 passeggeri.

 

Tra le due guerre, il primo grande disastro navale avvenne il 25 ottobre 1927 al largo delle coste brasiliane. Andò a picco un transatlantico italiano, il Principessa Mafalda e con esso il mare ingoiò 314 persone. Il tragico fatto commosse il mondo anche per l'eroico sacrificio del comandante Simone Gulì. I suoi marinai, che si allontanavano piangendo sulle scialuppe, videro l'alta figura dell'Ufficiale, eretta sul ponte di comando, fino a quando il Mafalda s'inabissò con l'uomo che l'aveva guidata per tanti anni.

 

Un anno dopo, il 12 novembre 1928, il vapore inglese Vestris scomparve durante una burrasca al largo della Virginia con 110 persone. Altre 450 vittime si ebbero il 14 giugno 1931 davanti a Saint Nazaire, con l'affondamento di un traghetto costiero. Meno spaventoso, ma non per questo di minor gravità, un'altra catastrofe di quegli anni: l'incendio del Morro Castle al largo delle coste americane, l'8 settembre 1934, con 130 morti.

 

L'ultima grande sciagura del periodo prebellico fu l'incendio, davanti alla costa catalana, della motonave italiana Orazio. Il sinistro avvene il 22 gennaio 1940 e provocò 104 vittime. Dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini del 10.6.1940, nel Regno Unito furono internati 4.000 italiani, un migliaio dei quali perirono nell'affondamento della Arandora Star . Erano cittadini italiani, civili, fatti deportare come “stranieri nemici”.

 

Stessa sorte toccò a 3.000 prigionieri di guerra, nella maggior parte italiani, imbarcati sulla nave trasporto inglese Laconia (20.000 T.S.L.) colata a picco dal sommergibile tedesco U-156 il 13 settembre 1942. “Il Caso Laconia” fu portato davanti al Tribunale di Norimberga. Le navi mercantili italiane, requisite e militarizzate dal governo durante il conflitto e poi affondate, catturate, alienate e distrutte dal nemico furono 2.556.

 

La Liguria pagò il suo tributo alla nazione con la perdita di oltre 500 navi mercantili. Nel conto non sono inclusi i pescherecci ed il naviglio minore. Lo storico navale Maurizio Brescia, nelle sue preziose ricerche, ci ricorda quanto segue:

 

- daCacciatorpediniere classe Navigatori” (Albertelli-Parma 1995): Il 18 settembre 1941, in posizione 33°02'N-14°42'E, il sommergibile Upholder silurava ed affondava i transatlantici Oceania e Neptunia. (Dei 5.818 uomini a bordo delle due navi, ne morirono 384 ). Il Da Recco , capo scorta, recuperò ben 2.083 naufraghi delle due navi e protesse poi il rientro a Napoli del Vulcania, unico superstite del convoglio”.

 

- da: “Cacciatorpediniere classe Freccia/Folgore/Maestrale e Oriani” (Albertelli-Parma, 1997): “…Quando la formazione si trovava ormai sulla rotta di sicurezza per l'entrata a Tripoli, alle 10.20 del 20 agosto 1941, il sommergibile inglese Inique silurò ed affondò l'Esperia ; le unità di scorta recuperarono complessivamente 1.139 naufraghi, e tra questi 417 furono salvati dallo Scirocco …”

 

- “..La 3° Divisione assicurava la protezione a distanza della formazione e, vista l'importanza della missione, a bordo del Conte Rosso si trovava il contrammiraglio Canzonieri nella veste di capoconvoglio. Le numerose unità di scorta, la cui consistenza era stata rinforzata, all'altezza di Messina, da tre ulteriori torpediniere, non poterono però impedire il siluramento del Conte Rosso avvenuto alle 20.41 dello stesso 24 maggio, da parte del sommergibile britannico Upholder…”

 

Una vasta eco ebbe la perdita del glorioso Conte Rosso, militarizzato ed adibito al trasporto truppe. L'affondamento avvenne mentre navigava in convoglio a poche miglia da Siracusa. Morirono 1.300 dei 2.729 militari che si trovavano a bordo, diretti in Libia. Durante l'ultima guerra, la Marina Mercantile subì gravi perdite, indipendentemente dalle operazioni militari, come l'esplosione nel porto di Bari, il 9 aprile 1945, di un cargo americano: 360 vittime, e l'affondamento al largo di Danzica del vapore tedesco Wilhelm Gustloff , il 18 febbraio 1945; catastrofe in cui trovarono la morte di oltre 10.000 fuggiaschi che cercavano di sottrarsi all'avanzata russa e che può pertanto essere considerata la più spaventosa di tutta la storia della Marina.

 

Nel dopoguerra si ebbero gravi sciagure specialmente nei mari orientali. Il 3 dicembre 1948 saltò in aria il piroscafo cinese Kiangya e morirono 1.000 persone. Un mese dopo un'altra nave cinese, il vapore Taiping, speronò una carboniera; entrambe colarono a picco trascinando nel mare 600 vittime.

 

Negli altri mari si registrarono le perdite del Noronic , incendiatosi al largo di Toronto e vi furono 130 morti, e del cargo Pennsylvania abbandonato il 9 gennaio 1952, 45 furono i dispersi. Gli ultimi nomi della tragica lista sono: il vapore coreano Chang Tyong Ho, affondato il 9 gennaio 1953 con 249 persone; il ferry-boat inglese Princess Victoria inabissatosi il 31 gennaio dello stesso anno con 133 passeggeri; il cargo Hobson speronato dalla portaerei Wasp il 26 aprile 1953 ( 176 dispersi); il passeggero francese Monique scomparso il 1° agosto dello stesso anno nel Pacifico con 120 passeggeri ed infine il traghetto giapponese Shinan Maru , affondato l'11 maggio 1955 con 138 passeggeri.

 

Il 25.7.1956 l'Italia e la Liguria in particolare caddero nella disperazione per l'affondamento della Andrea Doria , speronata nella nebbia dalla nave passeggeri svedese Stockholm . L'orgoglio della nostra flotta trascinò con sé verso i fondali di Nantucket 54 vittime di quel tragico disastro.

 

 

Poi ci fu la straordinaria espansione della traghettistica, dovuta in parte all'assorbimento dei traffici delle navi di linea ormai scomparse, e in parte alle tariffe favorevoli rispetto all'aviazione a corto raggio, ma soprattutto per l'aumento costante del turismo di massa. Purtroppo, a questo trend commerciale favorevole se ne contrappose uno molto negativo sul piano della sicurezza navale.

 

L'8 dicembre 1966 il traghetto Heraklion si scontrò con un rimorchiatore nel mar Egeo. I morti furono 264 . Il 28 agosto 1971 il traghetto Heleanna s'incendiò poco prima dell'arrivo a Brindisi, morirono 25 passeggeri. Lo scafo del traghetto, letteralmente devastato e deformato dal fuoco, fu preso a rimorchio dal M.re Torregrande che lo consegnò ai Cantieri della Spezia per essere demolito.

 

Il 6 marzo 1987 il traghetto Herald of free Enterprise affondò nella Manica al largo del porto belga di Zeebrugge. Le vittime furono 193 . Il 21 dicembre 1987 al largo dell'isola di Marindique, Filippine, nello scontro tra il traghetto Dona Paz ed una petroliera, morirono almeno 4.000 persone, molte divorate dagli squali. Si trattò del più recente e grave incidente nel mondo. Il 7 aprile 1990 sul traghetto Scandinavian Star scoppiarono tre incendi e morirono 186 persone.

 

Il 29 aprile 1990 il traghetto Espresso Trapani affondò al largo del porto di Trapani, morirono 13 persone. Il 10 aprile 1991, nella rada del porto di Livorno, il traghetto Moby Prince entrò in collisione con la super petroliera Agip Abruzzo che era alla fonda. I morti furono 141 . Il 14 gennaio 1993, nel mar Baltico, al largo dell'isola di Ruegen, a causa del mare tempestoso, si rovesciò il traghetto polacco Jan Heweluisz. I morti furono 54.

 

 

Il 28 settembre 1994 il traghetto Estonia (foto sotto) affondò nel mar Baltico, nei pressi dell'isola di Utoe. Morirono 852 persone. Dalla superfice degli oceani spariscono mediamente 100 navi ogni anno. Soltanto una piccola parte di loro ci viene raccontata dai media e si tratta solitamente di navi famose, sia per la loro grandezza o semplicemente per i danni ecologici procurati all'ambiente. Per qualche tempo le paure deflagrano scoppiettanti sulle cronache, poi il silenzio!

 

 

Lo stesso triste spettacolo ci accompagna ogni sera dell'anno in TV, con la conta dei morti sulle strade. Il loro numero, almeno nel nostro Paese, ha eguagliato le vittime italiane della seconda guerra mondiale. Ma c'è una specie di rassegnazione diffusa di fronte al fato che si presenta come una forza soprannaturale che non lascia scampo.

 

Noi pensiamo più semplicemente che la deregulation sia il vero nemico da combattere in mare, nei porti e sulle strade. Così come pensiamo che le parti politiche che si fronteggiano in Parlamento, dovrebbero, almeno nel nome dei morti dell'intero settore dei trasporti, trovarsi d'accordo sull'esercizio di una politica austera, che fosse in grado di colpire i moderni “corsari” senza paura di perdere, ognuno, i propri consensi elettorali.

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 21.3.2013

 


T.V. GIUSEPPE BRIGNOLE, un eroe ligure

T.V. GIUSEPPE BRIGNOLE

Un Eroe Ligure

 

 

Nasce a Noli (Savona) il 6 ottobre 1906.

 

Arruolato nella Regia Marina per obbligo di leva ed ammesso, dal 1° gennaio 1928, alla frequenza del Corso Ufficiali di complemento consegue, nel novembre dello stesso anno, la nomina a Guardiamarina. Imbarca prima sull'incrociatore QUARTO e poi su nave appoggio aerei MIRAGLIA e nell'agosto 1933, promosso Sottotenente di Vascello, viene in congedo per fine di ferma.

 

Dopo aver ripreso gli studi, nel 1935 consegue la laurea in Scienze Economiche presso l'Università di Genova e nel settembre dello stesso anno, per esigenze di carattere eccezionale, é richiamato in servizio ed assegnato alla Squadriglia MAS di La Spezia con la quale poi partecipa ad alcune missioni durante il conflitto italo-etiopico e nella guerra di Spagna. Nel 1937 consegue la nomina a Tenente di Vascello e nel gennaio dello stesso anno é destinato a Massaua, presso il Comando Superiore in Africa orientale.

 

Il 24 aprile 1940 ottiene il comando della torpediniera CALATAFIMI con sede a La Spezia. Il 14 giugno dello stesso anno contrasta efficacemente con quel mezzo una forte formazione navale francese diretta a colpire importanti obiettivi militari ed industriali nel Golfo Ligure.

 

Insignito della massima decorazione militare per l'audace azione, mantiene il comando del CALATAFIMI fino all'8 settembre 1943 quando, rifiutando ogni forma di collaborazione con il Governo della R.S.I., viene internato in Germania. Rimpatriato nel settembre 1945 e conseguita la promozione a Capitano di Corvetta con anzianità 1.1.1944, nel febbraio 1947, a domanda, viene collocato in ausiliaria, passando poi nella riserva nel 1955, nel grado di Capitano di Fregata.

 

Muore a Genova il 30 luglio 1992.

 

Il giorno 6 ottobre 2006 é stato celebrato a Noli (pochi km da Savona) il centenario della nascita del C.te Giuseppe Brignole.

 

 

La torpediniera CALATAFIMI rientra in porto dopo l’azione contro la Squadra francese.

Al comando del cacciatorpediniere Calatafimi il 14 giugno 1940 riesce con ardita manovra a far ripiegare le navi francesi che avevano l'obiettivo di bombardare le installazioni industriali della zona Savona-Vado e Genova. Per tale azione viene insignito della M.O.V.M. (la prima concessa dopo l'inizio del conflitto mondiale) con la seguente motivazione:

 

"Comandante di torpediniera di scorta ad un posamine, avvistata una formazione di numerosi incrociatori e siluranti nemici che dirigevano per azioni di bombardamento di importanti centri costieri, ordinava al posamine di prendere il ridosso della costa ed attaccava l'avversario affrontando decisamente la palese impari lotta. Fatto segno ad intensa reazione, manovrava con serenità e perizia attaccando fino a breve distanza con il siluro e con il cannone, le unità nemiche. La sua azione decisa e i danni subiti dalle forze navali avversarie costringevano questa a ritirarsi.

"Esempio di sereno ardimento, di sprezzo del pericolo, di consapevole spirito di assoluta dedizione alla Patria"

(Mar Ligure, 14 giugno 1940)

 

(R.D.19 luglio 1940)

 

Altre Decorazioni e Riconoscimenti per merito di guerra:

 

Motivazione M.B.V.M.-

 

(1° concessione) "sul campo"

 

"Comandante di torpediniera, di scorta ad una pirocisterna, colpita con due siluri e incendiata da aerosiluranti nemici, impartiva rapidamente efficaci disposizioni al fine di arrecare soccorso ai naufraghi dell'unità sinistrata. Nonostante l'opera di salvataggio fosse resa estremamente difficile a causa della benzina in fiamme, riversatasi nella zona di mare circostante, riusciva in breve tempo a trarre in salvo tutti i naufraghi, dimostrando serena noncuranza del pericolo ed elevato spirito di abnegazione".

(Mediterraneo Orientale, notte sul 26 ottobre 1942)

 

(Determinazione del 22 marzo 1943)

 

(R.D.10 maggio 1943)

 

Motivazione M.B.V.M.-

 

(2° concessione) "sul campo"

 

"Comandante di torpediniera, ha compiuto numerose missioni di guerra e scorte a convogli in acque insidiate dal nemico. Animato da elevato sentimento del dovere, ha dimostrato in ogni circostanza sereno coraggio, capacità professionali ed elevato spirito combattivo ".

(Mediterraneo, 22 giugno 1942 - 8 settembre 1943)

 

(Determinazione del 20 marzo 1946)

 

(D.L.12 aprile 1946).

 

Da "Le Medaglie di Bronzo al V.M." - U.S.M.M.

 


Torpediniera CALATAFIMI

 

Il Bollettino di Guerra qui riportato riguarda un’azione della nostra Marina Militare ed é riportato con la sua sequenza numerica e con la loro data di diramazione.

 

Il Quartier Generale delle Forze Armate comunica :

 

4)-15 giugno 1940-XVIII

 

..........All'alba del giorno 13, unità della nostra marina si scontravano con una

 

formazione navale nemica composta di incrociatori e siluranti. Ne è seguito un

 

combattimento durante il quale sono entrate in azione anche le difese costiere

della R.Marina. La torpediniera CALATAFIMI ha colpito con siluri due grosse cacciatorpediniere, una delle quali è affondata. Località della Riviera Ligure sono state colpite dal tiro delle navi nemiche: si contano alcuni morti e feriti tra la popolazione civile.

 

 

Incrociatore francese ALGERIE

Incrociatore francese FOSCH

L’AZIONE  -  Descritta dal com.te Torricelli

"Alle ore 20 del 13 giugno la Calatafimi esce dalla rada della Spezia scortando il posamine Gasperi. Destinazione: posa campi di mine nelle acque antistanti la costa fra Genova e Savona. Nel frattempo le navi francesi navigano compatte per qualche ora, per separarsi poi in due sezioni: il "gruppo Vado", composto dagli incrociatori AlgerieFosch, con i caccia Vauban, Lion, Aigle, Tartu, Chevalier Paul e Cassard che dirige per Vado Ligure, ed il "gruppo Genova" composto dagli incrociatori Dupleix e Colbert ed i caccia Vautour ed Albatros, che fa rotta su Genova,  con i caccia Guepard , Valmy e Verdun in avanscoperta versi sud-est.

 

Alle 4,10 una vedetta del Calatafimi individua con il binocolo alcune unità nemiche. Brignole le riconosce immediatamente come caccia francesi. Ordina con il megafono al Gasperi di riparare alla massima velocità possibile verso Genova, rimanendo sotto costa. La nave inverte la rotta e si butta sottocosta dove la foschia lo protegge da un avvistamento che potrebbe risultargli fatale.

 

Sulla Calatafimi viene battuto il posto di combattimento, le macchine vengono spinte a tutta forza e viene assunta la rotta convergente sulle navi francesi. Nonostante non si abbia conoscenza della consistenza delle forze nemiche, il C.te Brignole muove risolutamente contro di esse. Poco dopo vengono individuate altre cinque navi: due sembrano incrociatori, gli altri caccia (si trattava del "Gruppo Genova"). Non importa. La manovra di attacco viene proseguita. La formazione francese è composta dai due incrociatori al centro e dai caccia ai lati, in funzione di scorta e protezione. Una volta comunicato via radio a Supermarina l'avvistamento, tutto a bordo viene preparato al combattimento: i cannoni sono in punteria, i tubi di lancio brandeggiati verso le navi nemiche”.

 

Dal Giornale di Chiesuola n. 234 della Calatafimi si riporta:

 

“Date le condizioni atmosferiche particolarmente favorevoli a noi, io speravo di non essere scorto dal nemico e poter lanciare i siluri alla distanza minima con maggiori possibilità di colpire.

Questa manovra, oltre alla forte foschia ed alla sottile pioggia, era favorita anche dalla mia posizione, sperando che la mia ombra si confondesse con quella della costa.

 

Quindi potevo tentare di avvicinarmi il più possibile. Ho pensato anche di desistere dall'attacco alle unità sottili per rivolgerlo agli incrociatori che sempre più si profilavano e davano la prospettiva di maggior bottino. Però, per non essere visto, avrei dovuto agire con le sole macchine senza variare eccessivamente la mia rotta. Questa manovra non mi dava eccessivo affidamento. Ho continuato l'attacco sulle prime unità. Intanto preparavo i dati da trasmettere ai tubi di lancio con l'aiuto dell'Ufficiale di Rotta. Nessuno di noi pensava di tornare incolume da una siffatta impari lotta. Ma sono sicuro che in ogni cuore, come nel mio, c'è solo un proposito: difendere i paesi della costa. La nostra vita sarà perduta, ma sarà pagata a caro prezzo.”

 

 

Poco dopo le navi francesi modificano la loro formazione: "linea di rilevamento" passano in formazione "linea di fila" in modo da poter utilizzare tutte le artiglierie di maggior calibro.

 

Il "gruppo Vado" inizia la sua azione di fuoco contro gli obiettivi stabiliti, controbattuti dalle batterie costiere di Savona ed Albisola. Anche le batterie di Genova sono allertate. Interviene inoltre la 13a Squadriglia MAS di base a Savona che con una azione portata in fondo in modo deciso, lancia numerosi siluri che, pur non andando a segno, costringono le navi francesi, che già avevano bersagliati con successo alcuni obiettivi a vado e Savona, ad una precipitosa accostata infuori, interrompendo l'azione.

 

In mare i rapporti di forza sono drammatici: uno contro nove. Alla distanza di 6 - 7.000 metri il "gruppo Genova" apre il fuoco contro gli obiettivi assegnatigli. Anche i pezzi della Calatafimi entrano in azione, ma sulle prime, Brignole si rende conto che i francesci non hanno ancora avvistato la piccola Torpediniera. Passano pochi secondi e intorno all'Unità scoppia il finimondo. Le salve francesi cadono nutrite e centrate intorno alla Nave che prosegue, pur con continui zig-zag, nella sua rotta convergente sul nemico. Ad una distanza inferiore ai tremila metri, Brignole dà l'ordine di lanciare la prima coppiola di siluri, mentre il pezzo di prora continua a fare fuoco. Le continue accostate della Torpediniera fanno si che il tiro sia poco preciso. La distanza continua a diminuire e Brignole ordina, dopo un'accostata più pronunciata, il "fuori" di altri due siluri. Passa poco tempo ed un proietto della batteria Mameli di Genova colpisce il caccia Albatros. A bordo della Calatafimi l'equipaggio non può sapere cosa sia realmente accaduto, chi abbia colpito la nave, ma la gioia esplode irrefrenabile, punteggiate da urla di "Viva l'Italia, viva il Re!". Brignole, megafono in mano, riporta l'equipaggio alla calma: l'azione non può essere interrotta e deve essere proseguita senza distrazioni, rischiando altrimenti la perdita della nave. Sconcertati dalla reazione violentissima ed ignorando la consistenza dell'avversario che si trova di fronte, nel timore di essere attirato in una trappola il "gruppo Genova" inverte la rotta e si allontana rapidamente. A questo punto la Calatafimi si trasforma addirittura in inseguitrice. Brignole ordina di brandeggiare i tubi di lancio verso gli incrociatori. La distanza e velocità in gioco danno poche speranze, ma l'ordine del "fuori" viene impartito ugualmente. Un siluro, a seguito di  un'accostata troppo rapida, va fuori punteria, mentre il secondo non fuoriesce regolarmente e rimane appeso, mezzo fuori e mezzo dentro il tubo, per un difetto del sistema di lancio. A questo punto l'equipaggio, pieno di entusiasmo, vorrebbe proseguire l'inseguimento, ma il C.te Brignole sa che lo scontro è giunto al termine e che è inutile rischiare ulteriormente, anche perchè la sua Nave non ha subito danni e apparentemente nessuna salva nemica ha raggiunto Genova ed il porto. La Calatafimi inverte la rotta, ma, mentre dirige su Genova, il suo pezzo poppiero continua imperterrito, per qualche tempo, a far fuoco sulle navi francesi in allontanamento. Quando queste ormai sono troppo lontane, la Calatafimi, esaurita la scorta di siluri, con la Bandiera di Combattimento a riva con il gran pavese, dirige verso il porto di Genova."

In questo foto sono visibili i tubi lanciasiluri ed il pezzo prodiero del CALATAFIMI mentre manovra per andare all’ormeggio

L'8 settembre 1943, come abbiamo già annotato all’inizio di questa rievocazione, Giuseppe Brignole rifiuta ogni forma di collaborazione con il Governo della R.S.I e viene internato in Germania.  Durante questa “pesante” parentesi della sua vita, a detta di molti, G. Brignole compie il “vero capolavoro”, quando viene nominato “fiduciario” per i rapporti con i tedeschi nei campi di prigionia in Germania. Già a Leopoli nasce il “mito” di questo Ufficiale della Regia Marina: la sua tempra ed il suo carattere gli permettono di affrontare con grande dignità  e fermezza i tedeschi ed allo stesso tempo di essere punto di riferimento per i commilitoni. A Deblin i tedeschi sanno che Brignole è “amato” dagli Ufficiali Italiani, sia per il modo di affrontare i problemi sia per l'esempio limpido di come ci si dovesse comportare da prigionieri: dignità, rispetto della disciplina e del regolamento. Molti Ufficiali tedeschi, quando Brignole entra nel loro ufficio, scattano in piedi e salutano militarmente. Il periodo nei campi in Germania é il più duro, soprattutto quello dell'inverno ‘44-‘45. Anche l'atteggiamento dei tedeschi peggiora, la sopravvivenza all'interno dei campi é difficilissima e molti Ufficiali periscono. Ma, come sempre, G. Brignole riesce ad essere esempio di forza ed allo stesso tempo di correttezza. La situazione sembra precipitare con l'avvicinarsi degli Alleati, ma alle 18 del 16 aprile 1945, finalmente, arriva la liberazione sotto forma di due carri inglesi che abbattono i cavalli di frisia e le recinzioni del campo. Questo passa sotto la responsabilità  del capitano francese Pichegrou. La tempra del C.te Brignole ha modo di manifestarsi anche a guerra finita. Il 18 aprile, quando in tutti i lager del campo si svolge l'alzabandiera, l'ufficiale transalpino fa diffondere un messaggio: “In conformità  agli ordini impartiti si ricorda che la Bandiera Italiana non deve sventolare sul campo”. Gli Ufficiali italiani s'indignano, Brignole si altera ed il foglio d'ordini viene stracciato da un colonnello americano anch'egli ex prigioniero.

 

 

Militari italiani internati a Fallingbostel il giorno dopo la liberazione.

Inverno 1945 a Fallingbostel. Scrive Vialli: “Numerose famiglie di lavoratori ucraini alloggiano accanto a noi in misere baracche.

 

E così, sul pennone del campo di Fallingbostel sventola il tricolore, l'unico esistente nel campo, la Bandiera di Combattimento della Calatafimi che Brignole era sempre riuscito a sottrarre alle ispezioni dei tedeschi.

 

Se oggi siamo liberi, lo dobbiamo anche a questi uomini che hanno combattuto per salvare i valori della nostra civiltà illuminando il significato della parola democrazia che oggi  sta salvando l’Europa da altri conflitti.

 

ONORI AL COMANDANTE BRIGNOLE ED ALLA CALATAFIMI

Descrizione generale

 

 

 

 

Tipo

cacciatorpediniere (1924-1938)

torpediniera (1938-1943)

Classe

Curtatone

Proprietario/a

Regia Marina (1924-1943)

Kriegsmarine (1943-1944)

Identificazione

CM

Costruttori

Fratelli Orlando, Livorno

Impostata

1º dicembre 1920

Varata

17 marzo 1923

Entrata in servizio

29 maggio 1924

Destino finale

catturato il 9 settembre 1943, incorporato nella Kriegsmarine come TA 19 Achilles, affondato dal sommergibile RHN Pipinos il 9 agosto 1944

Caratteristiche generali

Dislocamento

standard 953 o 966-967 t

normale 1170 t

a pieno carico 1214 t

Lunghezza

tra le perpendicolari 84,90-84,94 m

fuori tutto 84,6-84,9 m

Larghezza

8,02 m

Pescaggio

in carico normale 2, 90 (o 2,6, o 2,46) m

a pieno carico 3,00 (o 3,1) m

Propulsione

4 caldaie Thornycroft

2 turbine a vapore Zoelly

potenza 22.000-27.500 HP

2 eliche

Velocità

32 (o 34) nodi

Autonomia

1395 miglia a 10 nodi

1800 miglia a 15 nodi

390 miglia a 28 nodi

Equipaggio

117 tra ufficiali, sottufficiali e marinai

Altra fonte: 6 ufficiali, 102 tra sottufficiali e marinai

poi 134 tra ufficiali, sottufficiali e marinai

Equipaggiamento

Sensori di bordo

radar FuMo 28 (dal 1943)

Armamento

Artiglieria

Alla costruzione:

• 4 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919

• 2 pezzi da 76/30 (o 76/40) mm Armstrong 1914

Dal 1940:

• 4 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919

• 2 o 4 mitragliere da 20/77 mm Scotti-Isotta Fraschini 1939

• 2 mitragliere da 8/80 mm

Dal 1943:

• 2 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919

• 1 pezzo da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1917

• 2 o 4 mitragliere da 20/77 mm Scotti-Isotta Fraschini 1939

• 4 mitragliere da 20/65 mm Breda 1935

• 2 mitragliere da 8/80 mm

Dal 1944:

• 2 pezzi da 102/45 mm

• 1 mitragliera da 37/83 mm SK C/30

• 5 mitragliere da 20/65 mm Breda Mod. 1939

Siluri

Alla costruzione:

• 6 tubi lanciasiluri da 450 mm

Dal 1943:

• 2 tubi lanciasiluri da 533 mm

Altro

• attrezzature per il trasporto e la posa di 16 (o tra le 10 e le 40) mine

• 2 scaricabombe di profondità (dal 1940)

Note

Motto

Con una nuova fede e con lo stesso ardire

Carlo GATTI

Rapallo, 21.3.2013



GAZZANA PRIAROGGIA Gianfranco, un rapallese d'adozione


GIANFRANCO GAZZANA PRIAROGGIA

Un asso dei sommergibilisti atlantici della Regia Marina nella seconda guerra mondiale

di Maurizio Brescia

(dal n.ro 105 - giugno 2002 - di "STORIA Militare")

Questo articolo trae origine da una sezione - dedicata a Gianfranco Gazzana Priaroggia - della mostra "Mare Nostrum" (giunta nel 2006 alla 25a edizione), organizzata dal Comune di Rapallo e tenuta nel castello a mare della città  ligure tra il 6 dicembre 2000 e il 6 gennaio 2001.  Chi scrive ha curato questo specifico aspetto della rassegna, in ciò² coadiuvato dalla Famiglia Gazzana Priaroggia e dal locale Gruppo ANMI, di cui Gianfranco Gazzana Priaroggia é l'eponimo sin dalla sua fondazione.

Con undici mercantili affondati, per oltre 90.000 tonnellate di stazza lorda, Gianfranco Gazzana Priaroggia - decorato con Medaglia d'Oro al Valor Militare alla Memoria – E’ il sommergibilista italiano che conseguì i migliori risultati nel corso del secondo conflitto mondiale.

In aggiunta ad un'iniziale formazione nell'arma subacquea della Regia Marina  durante la seconda metà  degli anni Trenta, ebbe inoltre - prima di assumere egli stesso la responsabilità  del comando - la possibilità  di affinare ulteriormente la preparazione tecnica e le qualità  militari operando in zona di guerra, in Atlantico, quale "secondo" del comandante Fecia di Cossato.

Nato a Milano il 30 agosto 1912 (figlio del N.H. Vittorio, avvocato, e della N.D. Maria dei Marchesi Cavriani - originari di Novi Ligure), Gianfranco Gazzana Priaroggia seguì la famiglia nei suoi spostamenti in Liguria: a Chiavari durante la prima guerra mondiale, a Genova dal 1920 e, dal 1941, a Rapallo ove ha abitato sino alla sua morte la sorella e ove risiedono tuttora altri componenti del nucleo familiare.

La vicinanza con il mare influì sicuramente sulla scelta di Gianfranco Gazzana Priaroggia di intraprendere la carriera militare nella Regia Marina: entrato all'Accademia Navale di Livorno nel 1931, dopo aver preso parte alle crociere addestrative del 1931 (sull'Amerigo Vespucci) e del 1932 (sul Cristoforo Colombo), venne nominato aspirante guardiamarina nel 1934 e promosso guardiamarina il 20 gennaio 1935.

Dopo una prima destinazione a bordo dell'incrociatore pesante Trento, all'inizio del 1936 imbarcò² sul gemello Trieste, venendo nominato sottotenente di vascello il 16 gennaio.  Pochi mesi dopo, Gianfranco Gazzana Priaroggia  entrò² a far parte della componente subacquea della Regia Marina e, nel breve volgere di quattro anni, venne destinato - con incarichi di sempre maggiore responsabilità  - sui sommergibili Millelire (a bordo del quale prese parte a una missione durante la guerra di Spagna) (1), Sciré, Balilla e Malachite.

Il 22 gennaio 1940 giunse la nomina a tenente di vascello e, con essa, la destinazione a bordo del sommergibile Durbo in qualità  di ufficiale in seconda.  Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, Gianfranco Gazzana Priaroggia imbarcò² - sempre come "secondo" - prima sul Malachite e poi (l'11 febbraio 1941) sul Tazzoli, all'epoca al comando del già  famoso capitano di corvetta Carlo Fecia di Cossato.  L'imbarco sul Tazzoli comportò² anche il suo passaggio alle dipendenze del "Comando Superiore delle Forze subacquee italiane in Atlantico", costituito a Bordeaux sin dal settembre 1940.

Sul Tazzoli a Bordeaux

Gli accordi tra la Kriegsmarine e Regia Marina, infatti, prevedevano la partecipazione di quest'ultima alla guerra sottomarina in Atlantico, e la scelta italiana per una base logistico-operativa per i propri sommergibili cadde sul porto fluviale di Bordeaux, ubicato sulla Garonne, a una cinquantina di chilometri a monte della via fluviale d'accesso al Golfo di Biscaglia, originata dalla confluenza della Garonne e della Dordogne nell'ampio estuario della Gironde.

A bordo del Tazzoli al rientro a Bordeaux dopo una missione di guerra in Atlantico. In primo piano, da sinistra: il comandante Carlo Fecia di Cossato e Gianfranco Gazzana Priaroggia (coll E.Bagnasco)

Dalla "B" ("Beta"), lettera iniziale di Bordeaux, venne tratta la denominazione di "Betasom" (Bordeaux - Comando sommergibili) che, da allora, non soltanto nei documenti ufficiali - ma anche nell'immaginario collettivo - avrebbe contraddistinto la base atlantica dei battelli della Regia Marina.

A bordo del Tazzoli Gianfranco Gazzana Priaroggia prese parte a quattro missioni nel corso delle quali il battello italiano affondò² 10 mercantili nemici per un totale di 54.362 tonnellate.  Il comandante Fecia di Cossato fu - sicuramente - un'ottima guida per il suo ufficiale in seconda ( o "tenente", come era allora definito)  che, il 21 febbraio 1942, venne destinato al comando del sommergibile Archimede, anch'esso di base a Bordeaux.

L'Archimede faceva parte della classe "Brin", composta da cinque unità  (Brin, Galvani, Guglielmotti, Archimede e Torricelli) realizzate dai Cantieri Tosi di Taranto, entrate in servizio tra il 1938 e il 1939 e inizialmente armate con un cannone da 100/43 installato su una struttura brandeggiabile posta nella parte alta, verso poppavia, della falsatorre.  Successivamente, il cannone da 100/43 fu sostituito con un pezzo da 100/47 sistemato nella più¹ tradizionale posizione in coperta, a proravia della falsatorre sul ponte di coperta (2).

Il sommergibile Archimede da “grande crociera” nel momento del varo

Al comando dell’Archimede

Con l'Archimede, Gianfranco Gazzana Priaroggia lasciò² Bordeaux per la sua prima missione in qualità  di comandante il 26 aprile 1942, facendo rotta verso le coste settentrionali del Brasile, ma le consistenti misure antisommergibili predisposte nella zona dalle forze navali statunitensi limitarono notevolmente l'operatività  del battello in quell'area.  Cionondimeno, il 23 maggio, venne condotto un attacco contro una formazione navale americana (3) che, però², non portò² ad alcun esito.  Ormai in procinto di intraprendere la navigazione di ritorno, l'Archimede affondò² il 15 giugno il mercantile panamense Cardina facendo rientro a Bordeaux il 4 di luglio.

A sinistra: Una intensa espressione di Gianfranco Gazzana Priaroggia a bordo dell’Archimede. A destra: Sempre a bordo dell’Archimede con alcuni membri dell’equipaggio

Il 10 agosto 1942 Gianfranco Gazzana Priaroggia passò² al comando del sommergibile Leonardo Da Vinci, un battello più¹ grande e più¹ moderno, appartenente alla classe "Marconi" di cui quattro unità  (Maggiore Baracca, Michele Bianchi, Alessandro Malaspina e Luigi Torelli) erano state costruite dai Cantieri OTO del Muggiano e due (Guglielmo Marconi e Leonardo Da Vinci) dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone (4).  Il Da Vinci, varato il 16 settembre 1939, era entrato in servizio il 7 aprile 1940.  Le prestazioni dei battelli classe "Marconi" erano sostanzialmente analoghe a quelle dell'Archimede, ma il progetto di questi sommergibili era di concezione più¹ avanzata e li rendeva maggiormente adatti alle lunghe navigazioni oceaniche.

Nel settembre del 1942 il battello venne sottoposto ad alcune modifiche (sbarco del cannone ecc.) per effettuare delle prove di trasporto e rilascio di un piccolo sommergibile d'assalto, il CA 2, con il quale la X Mas aveva in progetto un attacco a New York. Conclusisi con successo gli esperimenti, il Da Vinci fu riportato in condizioni operative e, il 7 ottobre, lasciò² Bordeaux agli ordini di Gianfranco Gazzana Priaroggia, alla sua seconda missione atlantica come comandante.

Le missioni di Gazzana Priaroggia

A sinistra:

Missione dell'Archimede (dal 26/4/1942 al 4/7/1942)

A) Zona operativa a Nord di Fortaleza
(Brasile)

B) Zona più¹ a settentrione ove il battello italiano venne successivamente inviato
Unità  affondate nel corso della missione:

1) Piroscafo panamense Cardina (15/6/1942)

A destra:

Prima missione del Da Vinci (dal 7/10/1942 al 6/12/1942)

Unità  affondate nel corso della missione:

2) Empire Zeal (inglese - tipo "Empire", 2/11/1942)

3) Piroscafo greco Andreas (4/11/1942)

4) Marcus Whitman (statunitense - tipo "Liberty", 10/11/1942)

5) Piroscafo olandese Veerhaven (11/11/1942)

Il Leonardo Da Vinci nel 1940 (coll.A.Fraccaroli)

Un picchetto di marinai del Reggimento "San Marco", di cui un distaccamento era assegnato a Betasom, presenta le armi al Da Vinci in arrivo a Bordeaux dall'Italia il 31 ottobre 1940. (Coll. E. Bagnasco)

Il passaggio al Da Vinci

"Betasom" aveva nuovamente assegnato al battello una zona di operazioni al largo della costa brasiliana (nel caso specifico a NE di Capo San Rocco) e in quest'area - tra il 2 e l'11 novembre 1942 - il Da Vinci affondò² in rapida successione quattro mercantili di quattro diverse nazionalità  (Empire Zeal, tipo "Empire", inglese - Andreas, greco - Marcus Whitman, tipo "Liberty", americano - Veerhaven, olandese).  Più¹ specificatamente, la terza e quarta unità  vennero affondate a N di Recife, dove il Da Vinci si era spostato per evitare gli attacchi degli idrovolanti "Catalina" dell'U.S. Navy di base a Natal; il Veerhaven, in particolare, fu affondato a cannonate poiché il Da Vinci aveva ormai esaurito la propria dotazione di siluri.

Il piroscafo olandese Veerhaven, affondato dal Da Vinci l'11 novembre 1942.  (coll. Mike Cooper)

Durante la navigazione di ritorno, il 28 novembre a N delle isole Canarie, il Da Vinci trasbordò² 30 tonnellate di nafta sul Tazzoli che - a sua volta - era diretto verso la propria zona di operazioni a N della costa brasiliana.  La missione del Da Vinci, coronata dai notevoli successi appena descritti, ebbe termine a Bordeaux il successivo 6 dicembre.

Seconda missione del Da Vinci (dal 20/2/1943 all'affondamento - 23/5/1943)

Unità  affondate nel corso della missione:

6) "Liner" Empress of Canada (inglese, 14/3/1943)

7) Piroscafo inglese Lulworth Hill (19/3/1943)
A) Rifornimento dal Finzi (20/3/1943)

8) Piroscafo olandese Sembilan (17/4/1943)

9) Piroscafo inglese Manaar (18/4/1943)

10) John Drayton (statunitense - tipo "Liberty", 21/4/1943)

11) Petroliera inglese Doryssa (25/4/1943)

B) Affondamento del Da Vinci (23/5/1943)

Nel gennaio 1943, Gianfranco Gazzana Priaroggia  tornò brevemente in Italia per trascorrere quella che sarebbe stata la sua ultima licenza e, il mese successivo, era già  nuovamente in forza a "Betasom", impegnato nella preparazione del Da Vinci per una nuova, impegnativa missione.  Infatti, viste le sempre maggiori difficoltà  incontrate dai nostri sommergibili nell'Atlantico centrale (ove il traffico alleato di mercantili non facenti parte di convogli veniva sempre più¹ ridotto), Supermarina aveva da qualche tempo iniziato a studiare la possibilità  di inviare alcuni battelli nell'Oceano Indiano meridionale dove - al contrario - quasi tutte le navi da carico alleate navigavano isolate e senza scorta.  Per la prima missione di questo tipo venne per l'appunto prescelto il Da Vinci e, in considerazione della durata della navigazione e dell'autonomia del sommergibile, era previsto che - a S del Golfo di Guinea, circa 550 miglia a ENE dell'Isola di Sant'Elena - venisse effettuato un rifornimento di nafta e viveri dal Finzi, espressamente inviato nella zona.

Il Da Vinci salpò² da Bordeaux il 20 febbraio 1943 e - ancor prima di rifornirsi dal Finzi il 20 marzo - silurò² e affondò² il 14 marzo, una settantina di miglia a S dell'equatore, il "liner" Empress of Canada - che, con 21.517 tonnellate di stazza, fu la più¹ grande unitò  mercantile affondata da sommergibili italiani nel corso del conflitto - e, quattro giorni dopo, il mercantile Lulworth Hill, entrambi britannici.

Il "liner" britannico Empress of Canada, qui in una fotografia della fine degli anni Trenta, apparteneva alla Compagnia Canadian Pacific Steamship Ltd. di Londra.  Fu silurato e affondato dal Da Vinci, a S del Golfo di Guinea, il 14 marzo 1943.  (coll. John Clarkson, via Mike Cooper)

L'affondamento dell'Empress of Canada, diretto a Durban (Sud Africa) da Takoradi (Golfo di Guinea), risultò² particolarmente drammatico poiché, tra gli oltre 1.400 passeggeri trasportati, si trovavano circa 500 prigionieri di guerra italiani che perirono numerosi nell'evento.  Uno solo, il sottotenente medico del R.E. Vittorio Del Vecchio, venne tratto in salvo dal Da Vinci e, in occasione del già  citato rifornimento, trasbordato sul Finzi (5).

Dopo aver doppiato Capo Agulhas il 5 aprile, il sommergibile comandato da Gianfranco Gazzana Priaroggia fece il suo ingresso nell'Oceano Indiano e raggiunse la propria zona di agguato al largo di Durban (Sud Africa) ove, tra il 17 e il 21 aprile 1943, affondò² i mercantili Sembilan (olandese), Manaar (inglese) e il "Liberty" John Drayton (americano).  Inoltre, durante la navigazione di rientro, sempre al largo delle coste sudafricane (180 miglia a S di Port Elizabeth), il Da Vinci affondò² un'ultima unità  - la petroliera britannica Doryssa che, proveniente da Table Bay (Sud Africa), stava navigando in zavorra diretta ad Abadan (Golfo Persico).

Un particolare della falsatorre del Da Vinci in missione in Atalntico e Gianfranco Gazzana Priaroggia a bordo dello stesso battello. (g.c. Fam. Gazzana Piaroggia)

Dopo aver conseguito nella sua seconda missione nell'Oceano Atlantico e nell'Oceano Indiano questi congrui risultati, (che, tra l'altro, fanno del Da Vinci il sommergibile italiano che ottenne i maggiori successi in una sola navigazione), il comandante Gianfranco Gazzana Priaroggia intraprese la lunga navigazione di ritorno che avrebbe richiesto circa un mese per poter raggiungere la base di Bordeaux.

In considerazione del numero dei mercantili affondati e per l'ottima riuscita della missione, il 6 maggio 1943 Gianfranco Gazzana Priaroggia ricevette via radio, "sul campo", la promozione a capitano di corvetta per meriti di guerra: tutto era ormai pronto per una dovuta e trionfale accoglienza a Bordeaux, quando la dura legge della guerra impedì il ritorno del Da Vinci nella sua base atlantica.

Inizialmente, la navigazione di rientro procedette senza eventi di rilievo nel Golfo di Guinea e, in seguito, a ponente delle Isole del Capo Verde, delle Isole Canarie e al largo di Gibilterra.  L'ultima comunicazione del Da Vinci risale al 22 maggio 1943: il sommergibile informava "Betasom" che - dal giorno successivo - avrebbe intrapreso la prescritta navigazione occulta a partire dal meridiano 15°00'W, prevedendo di raggiungere Bordeaux il 29 maggio.

I Mercantili affondati da G.Gazzana Priaroggia con i sommergibili Archimede e Leonardo Da Vinci

Il mercantile olandese Sembilan, una delle tre unità  affondate dal Da Vinci nell'Oceano Indiano (coll. Alex Duncan, via Mike Cooper)

La perdita del Da Vinci

Alle 11.45 del 23 maggio 1943, però², circa 300 miglia a ponente di Vigo (Spagna), il Da Vinci venne individuato con il sonar ("asdic" nella terminologia britannica) dalla fregata inglese HMS Ness che, insieme ad altre unità  della Royal Navy, faceva parte della cintura difensiva esterna di un convoglio alleato (6).

L'HMS Ness, al comando del Lieutenant G.P. Krieck, richiese l'intervento del cacciatorpediniere HMS Active, ed entrambe le unità  sferrarono un attacco combinato contro il Da Vinci, effettuando diversi passaggi sul punto della posizione stimata del sommergibile con il lancio di numerose bombe di profondità .  Come riportato dalla relazione britannica sui fatti, attorno alle 12.00 furono uditi numerosi boati in profondità  e, in superficie, affiorarono rottami e materiali facendo ritenere praticamente certo l'affondamento del sommergibile individuato dalla HMS Ness.

Nel dopoguerra, l'esame comparato delle documentazioni ufficiali delle marine inglese, italiana e tedesca ha permesso di accertare che il sommergibile affondato il 23 maggio fu proprio il Da Vinci:  nessun altro battello italiano o germanico venne attaccato quel giorno in quella zona e, tanto più¹, le coordinate del punto di affondamento del Da Vinci (42°05'N, 15°34'W) si trovano esattamente sulla rotta che il sommergibile avrebbe dovuto mantenere per raggiungere Bordeaux.

Insieme al comandante scomparvero tutti i 62 membri dell'equipaggio e non si ebbe alcun superstite. Alla memoria di Gianfranco Gazzana Priaroggia, già  decorato con numerose onorificenze italiane e tedesche (7), venne concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare; tutti gli altri membri dell'equipaggio del Da Vinci furono decorati con la Croce di Guerra al Valor Militare alla memoria.

La fregata Ness, che il 23 maggio 1943 individuò² il Da Vinci con l'apparato sonar di bordo, qui in una fotografia risalente alla fine dello stesso anno. Apparteneva alla classe "River", di cui diverse decine entrarono in servizio con la Royal Navy tra il 1942 e il 1943; la Ness venne radiata verso la metà  degli anni Cinquanta.  (g.c. Biblioteca "A. Maj" - Bergamo - Fondo Occhini)

Il cacciatorpediniere Active (qui in una foto risalente al 1937) apparteneva alla classe "A" del 1929-30, Insieme alla fregata Ness prese parte all'azione che si concluse on l'affondamento del Da Vinci il 23 maggio 1943. (g.c. Biblioteca "A. Maj" - Bergamo - Fondo Occhini)

Gianfranco Gazzana Priaroggia è stato il sommergibilista italiano che ha conseguito, in termini di tonnellaggio, i migliori risultati nel corso del secondo conflitto mondiale, affondando undici unità  per 90.637 tsl di naviglio nemico.  Va peraltro ricordato che Carlo Fecia di Cossato (anch'egli decorato con la massima onorificenza al Valor Militare), pur occupando il secondo posto in questa particolare classifica con "soltanto" 82.821 tsl di mercantili alleati, con un totale di sedici unità  risulta il miglior esponente dell'arma subacquea della Regia Marina considerando il numero delle unità nemiche affondate.

Anche dagli avversari di un tempo, dai membri degli equipaggi fatti prigionieri e dagli stessi Comandi della Royal Navy, Gianfranco Gazzana Priaroggia fu sempre riconosciuto quale nemico leale, cavalleresco, ricco di umanità  e contraddistinto da capacità  marinaresche di assoluto rilievo.

Non a caso, uno dei migliori giudizi su Gianfranco Gazzana Priaroggia é stato dato dagli autori tedeschi Bodo Herzog e Gunther Shoemajers nel loro libro "Ritter der Tiefe Graue Wolfe", ancorché riguardante soprattutto i noti successi degli "U-boote" della Kriegsmarine nella seconda guerra mondiale:

"La seconda navigazione del "Da Vinci" fu quella di maggior successo che un sommergibile italiano avesse compiuto in una sola missione.  . . .  Gianfranco Gazzana Priaroggia affondò² oltre 90.000 tonnellate di naviglio: né il migliore tra i comandanti americani, O'Kane, né il migliore tra quelli inglesi, Wanklyn, raggiunsero il tonnellaggio affondato da Gazzana Priaroggia.  E, tra i sommergibili, nemmeno il famoso giapponese "I-27" raggiunse quello affondato dal "Da Vinci".  La Marina Italiana perse insieme al "Da Vinci" un valoroso comandante e un glorioso equipaggio."

La Marina Militare, dopo aver assegnato il nome di Gianfranco Gazzana Priaroggia al sommergibile ex-americano Volador (SS-490), operativo sotto bandiera italiana tra il 1973 e il 1983 (8), ne onora anche oggi la memoria, avendo nuovamente assegnato il suo nome a un moderno, recente battello - appartenente alla quarta e ultima serie della classe "Sauro" - entrato in servizio nel 1995.

Maurizio Brescia

L'autore e "Storia Militare" ringraziano per la collaborazione prestata: Famiglia Gazzana Priaroggia, Rapallo; Sig. Franco Bernardini, Presidente del Gruppo ANMI "G. Gazzana Priaroggia" di Rapallo; Sig. Emilio Carta, già  responsabile dell'Ufficio Cultura del Comune di Rapallo; Mr. Mike Cooper di Southport (Merseyside, Inghilterra), "Membership Secretary" del Naval Photograph Club, per aver fornito notizie e documenti iconografici relativi a molti dei mercantili affondati.

I mercantili affondati da G. Gazzana Priaroggia con i sommergibili Archimede e Da Vinci:

(I numeri corrispondono a quelli riportati sulle cartine)

1 - Cardina (Panama)

5.568 tsl; lunghezza 129 m, larghezza 16,5m, pescaggio 8m; 1 macchina alternativa, vel. 10,5 nodi.

Costruita nel 1919 dal cantiere J.F. Duthie & Co. di Seattle (U.S.A.), nel 1941 venne venduta ad armatori panamensi.

aff. 15/6/1942 - 03°55'N, 42°40'W (in zavorra da Buenos Aires a New York Via Trinidad).

2 - Empire Zeal (G.B.)

7.062 tsl; lunghezza 136 m, larghezza 17m, pescaggio 8,3m; 1 macchina alternativa, vel. 11,5 nodi.

Unità  tipo "Empire"; varata il 29 dicembre 1941 dai cantieri Lithgows Ltd. - Kingston Shipbuilding Yard di Port Glasgow (Scozia) per la Compagnia J. Morrison & Son.

aff. 2/11/42 - 00°20'S, 31°03'W (in zavorra da Durban a Trinidad).

3 - Andreas (Grecia)

6.566 tsl; lunghezza 130m, larghezza 18m, pescaggio 9,3m; 1 macchina alternativa, vel. 11 nodi.

Varata nel 1919 dai cantieri Harland & Wolff di Belfast, negli anni Trenta faceva parte della Compagnia greca Ionian Steamship Co. del Pireo.

aff. 4/11/42 - 01°34'S, 23°22'W (da Trinidad a Alessandria d'Egitto via Durban - carico: 8.516 tons di merci varie e munizioni).

4 - Marcus Whitman (U.S.A.)

7.176 tsl; lunghezza 144,7m, larghezza 18,7m, pescaggio 9m; 1 macchina alternativa, vel. 11 nodi.

Unità  tipo "Liberty" varata nel luglio 1942 dal cantiere Oregon Shipbuilding Co. di Portland per la Matson Navigation Co. di San Francisco.

aff. 10/11/42 - 05°24'S, 32°41'W in zavorra da Table Bay a Paramaribo).

5 - Veerhaven (Olanda)

5.291 tsl; lunghezza 138,1m, larghezza 17,7m, pescaggio 8,3m; 1 macchina alternativa, vel. 11 nodi.

Varata nel 1930 in Inghilterra dal cantiere W. Gray & Co., Ltd. di Sunderland per la Compagnia olandese Van Uden's Scheepvart en Agentuur Maatschappij, Nv Gebr di Rotterdam.

aff. 11/11/42 - 03°51'S, 29°22'W (da Rosario e Buenos Aires per Trinidad - carico: 7.824 tons di rinfusa di semi di lino).

6 - Empress of Canada (G.B.)

21.517 tsl; lunghezza 199m, larghezza 25,6m, pescaggio 10m; caldaie a vapore, 4 assi, vel. 21 nodi.

Varata nel 1922 dai cantieri Fairfield Engineering & Shipbuilding Co., Ltd. di Glasgow, sino all'affondamento fece sempre parte della Compagnia Canadian Pacific Steamship Ltd. di Londra.

aff. 14/3/43 - 01°13'S, 09°57'W (da Takoradi a Durban - circa 1.400 passeggeri).

7 - Lulworth Hill (G.B.)

7.628 tsl; lunghezza 132,2m, larghezza 19,6m, pescaggio 9,1m; 1 macchina alternativa, vel. 11 nodi.

Varata nel 1940 dai cantieri W. Hamilton & Co. di Glasgow per la Dorset Steamship Co., Ltd.

aff. 19/3/43 - 11°00'S, 00°35'E (da Mauritius e Table Bay per Freetown e Mersey - carico: 10.510 tons di zucchero e merci varie)

8 - Sembilan (Olanda)

6.568 tsl; lunghezza 127m, larghezza 18m, pescaggio 10m; 1 macchina alternativa, vel. 12 nodi.

Costruito nel 1922 dai cantieri Maatschappij voor Scheeps-en Werktuigbouw "Fijenooord" di Rotterdam per la "Netherland Line",

aff. 17/4/43 al largo di Durban (da Glasgow per Durban, Port Said e Alessandria d'Egitto - carico: 4.823 tons di merci varie e munizioni).

9 - Manaar (G.B.)

8.007 tsl; lunghezza 150m, larghezza 20,6m, pescaggio 8m; caldaie a vapore, 3 assi, vel. 16 nodi.

Varata nel gennaio del 1942 dai cantieri W. Hamilton & Co. di Glasgow e posta al servizio del Ministry of War Transport dalla Compagnia armatrice T. & J. Brocklebank Ltd. di Liverpool.

aff. 18/4/43 - 30°55'S, 33°40'E (da Mombasa e Beira per Durban - carico: 4.400 tons di rame e cotone)

10 - John Drayton (U.S.A.)

7.176 tsl; lunghezza 144,7m, larghezza 18,7m, pescaggio 9m; 1 macchina alternativa, vel. 11 nodi.

Unità tipo "Liberty" varata nel settembre 1942 dalla North Carolina Shipbuilding Co. di Wilmington per la Compagnia A.H. Bull & Co. di New York.

aff. 21/4/43 - 33°25'S, 34°10'E (da Khorramshar e Bandar Abbas per Table Bay - carico: 9.000 tons  di petrolio in fusti).

11 - Doryssa (G.B.)

8.078 tsl; lunghezza 158,4m, larghezza 19,3m, pescaggio 9m; 1 macchina alternativa, vel. 12 nodi.

Petroliera varata nel 1938 dai cantieri Hawthorn, Leslie & Co. di Hebburn on Tyne per la Anglo Saxon Petroleum Co. (meglio nota come "Shell Oil").

aff. 25/4/43 - 37°03'S, 24°03'E  (in zavorra da Table Bay per Abadan).

Note

(1) Per la partecipazione alle operazioni navali della guerra civile, il Governo Spagnolo decorò² Gianfranco Gazzana Priaroggia con la "Medalla del Alzamiento".

(2) Classe "Brin" - caratteristiche tecniche:  dislocamento: 913t in superficie e 1.266t in immersione; lunghezza f.t.: 72,7m; larghezza max.: 6,7 m; pescaggio: 4,5m; app. motore: due diesel Tosi (3.400hp) e due motori elettrici Ansaldo (1.300hp); velocità max.: 17 nodi in superficie e 8,5 in immersione; armamento (2a g.m.): un cannone da 100/47, due m.g. binate da 13,2mm e otto t.l.s. da 533mm (14 siluri); equipaggio: ca. 60 uomini.  L'Archimede e il Torricelli furono costruiti sotto particolari condizioni di segretezza per sostituire gli omonimi battelli del 1931-34, di cui non si era ritenuto opportuno rendere di pubblico dominio il trasferimento alla Marina della Spagna Nazionalista, avvenuto nell'aprile del 1937.

(3) L'attacco dell'Archimede fu portato contro l'incrociatore Milwaukee (CL-5) e il cacciatorpediniere Moffett (DD-362) dell'U.S. Navy; inoltre, nella zona si trovavano l'unità  appoggio aerei americana Thrush (AVP-3) nonché un piroscafo e un rimorchiatore, entrambi di nazionalità  brasiliana.

(4) Classe "Marconi" - caratteristiche tecniche: dislocamento: 1.036t in superficie e 1.489t in immersione; lunghezza f.t.: 76,5m; larghezza max.: 6,8 m; pescaggio: 4,7m; app. motore: due diesel CRDA (3.600hp) e due motori elettrici Marelli (1.500hp); velocità  max.: 18 nodi in superficie e 8 in immersione; armamento: un cannone da 100/47, due m.g. binate da 13,2mm e otto t.l.s. da 533mm (12 siluri); equipaggio: ca. 60 uomini.

(5) Tra i superstiti britannici dell'Empress of Canadavi fu anche Kenneth Krieck, fratello del comandante della fregata Ness che, poche settimane dopo, insieme al cacciatorpediniere Active avrebbe preso parte all'azione in cui venne affondato il Da Vinci.

(6) Tra i vari convogli britannici del periodo, solamente tre si trovavano in navigazione - il 23 maggio 1943 - nella zona in cui andò² perduto il Da Vinci: MKS13G (partito da Gibilterra il 22/5 per Liverpool, ove giunse il 24/5), KMF15 (partito dalla Clyde il 19/5 e arrivato a Orano il 28/5) e i due convogli OG90-KX10 (costituenti un'unico insieme operativo) che lasciarono Liverpool il 20/5 e arrivarono a Gibilterra il successivo 31.

(7) Gianfranco Gazzana Priaroggia, inoltre, era già  stato decorato con due Medaglie d'Argento e tre di Bronzo al V.M., cinque Croci al Merito di Guerra e, dal Governo Tedesco, con la Croce di ferro di 2a Classe e la Croce di Cavaliere.

(8) Il Volador era un battello classe "Tench", ampiamente rimodernato dall'U.S. Navy nell'ambito del programma "Guppy III", trasferito alla Marina Militare insieme al gemello Pickerel(SS-524) che assunse il nome di Primo Longobardo.

Bibliografia

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Mattesini, F.: Betasom, la guerra negli oceani, Roma, USMM, 1993

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21.3.2013

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Carlo GATTI