IL PERIMETRO

 

SAN BENEDETTO DA NORCIA: IL PATRONO D’EUROPA

La dott.ssa Selene CATENA ci dona la sua originale interpretazione  dell'ultimo libro di Paolo Rumiz: IL FILO INFINITO che ci conduce in pellegrinaggio sul sentiero europeo dei monasteri benedettini. Sono i discepoli di Benedetto da Norcia, il santo protettore d’Europa che l’autore ha cercato nelle abbazie dall’Atlantico fino alle sponde del Danubio. Luoghi più forti delle invasioni e delle guerre.

Un viaggio affascinante nella storia che trova ancora oggi la sua attualità.

Che uomini erano quelli. Riuscirono a salvare l’Europa con la sola forza della fede. Con l’efficacia di una formula ora et labora. Lo fecero nel momento peggiore, negli anni di violenza e anarchia che seguirono la caduta dell’Impero romano, quando le invasioni erano una cosa seria, non una migrazione di diseredati. Ondate di violenza spietate, pagane. Li cristianizzarono e li resero europei con la sola forza dell’esempio. Salvarono una cultura millenaria, rimisero in ordine un territorio devastato e in preda all’abbandono.

Costruirono, con i monasteri, dei formidabili presidi di resistenza alla dissoluzione.

Gli uomini che le abitano vivono secondo una Regola più che mai valida oggi, in un momento in cui i seminatori di zizzania cercano di fare a pezzi l’utopia dei padri: quelle nere tonache ci dicono che l’Europa é, prima di tutto, uno spazio millenario di migrazioni…

E da dove se non dall’Appennino, un mondo duro, abituato da millenni a risorgere dopo ogni terremoto, poteva venire questa portentosa spinta alla ricostruzione dell’Europa?

Dopo la lettura di questo libro, forse per un’incorreggibile deformazione professionale, é cresciuta in me la convinzione che le navi siano dei monasteri naviganti molto simili alle abbazie di cui si occupa Paolo Rumiz nel suo libro. Lontano dai poteri centralizzati e dalle insidiose ideologie dei partiti, il potere a bordo di una nave é demandato al suo Comandante il quale, quando assume l’atteggiamento del pater familiae, riesce a conciliare nella formula: ora et labora, lo spirito di sacrificio, il rispetto reciproco, la socialità e la produttività anche quando tutte le religioni e le etnie di questo mondo s’incontrano e non si scontrano come succede sulla terraferma ad ogni latitudine.

Il mondo del mare è uno scrigno millenario colmo di tesori ed insegnamenti, il più vicino alle REGOLE di S.Benedetto! Ma quanti lo conoscono?

di Carlo Gatti

 

IL PERIMETRO

di Selene CATENA

Come in un gioco di specchi, un pensiero stamattina stenta a guardarsi, a tastarsi, a prendere coscienza di sé, stenta a ritrovare la propria immagine primigenia, origine e fine di ogni altra riflessa.

“La felicità sta nel perimetro”

Paolo Rumiz “IL FILO INFINITO”. Feltrinelli. Pag. 29

“Cosa hanno fatto i monaci di Benedetto se non piantare presidi di preghiera e lavoro negli spazi più incolti d’Europa per poi tessere tra loro una salda rete di fili?”


Qualcosa in me si ritira, ogni mano su un orecchio, ad attutire uno stridio.

Quando ero piccola, sei sette anni, passavo tutta l’estate a casa dei nonni, sul mare.


 

Tra la porta di casa e la spiaggia c’era, e c’è ancora, uno spiazzo di qualche metro, tutto di cemento. Per un lungo periodo, non ho mai capito perché né perché quel periodo sia poi finito, mentre giocavo, tutti i pomeriggi, cadevo. Da sola. Sulle ginocchia.

Non si piangeva. Faccio parte di una sottopopolazione dell’infanzia degli anni settanta forgiata su modelli educativi autoreferenzianti, per cui se cadi o sbagli non devi piangere. Un po’ di saliva sul ginocchio, ti rialzi, con l’idea serpeggiante che se stai male te la sei cercata. Piuttosto ti accerti che non ci siano testimoni.

Così le ginocchia sembravano mappe per isole del tesoro: croste dalle forme irregolari, con tonalità migranti dal vermiglio al ruggine, finite di stampare solo ai primi d’ottobre, quando le articolazioni rientravano negli abiti e andavano in letargo.

Ecco.

“La felicità sta nel perimetro”


La frase mi fa ritrarre, come se inavvertitamente qualcuno avesse sfiorato quel mio ginocchio estivo di quarantaquattro anni fa.

Salto, schivo, scivolo in una sorta di black out percettivo.

Solo dopo, come gli occhi delle lumache, timidi, torno su. E sbircio che succede.

Da adulta feroce paladina degli spazi aperti, del no-border, non come sistema ma come unica possibilità di vita, quella di fuga non è una risposta. E’ una reazione, dunque, in quanto tale, l’unica possibile.

E’ per questo che ci torno su e ci ronzo attorno, come una falena innamorata dell’inestinguibile fiamma della curiosità prodotta dal ‘diverso da me’.

Con una sorta di ossimoro percettivo, qualcosa si apre ad accogliere un’idea di apparente chiusura, annusandone la familiarità del retrogusto.

E’ vero. La felicità sta nel perimetro.

Il pensiero nel gioco di specchi comincia a ritrovarsi: una catenina, sottile, lunghezza media, senza pendagli, attorno al collo esile di donna di mezza età. E’ la prima idea di perimetro che mi si accampa in testa. Ed é subito un elogio alla bellezza, non c’è sfumatura di contrazione o di confine.

Piuttosto il sentore di un’esaltazione dell’umano, un perimetro d’argento che avvolgendola potenzia la visibilità della grazia emanata.

Ed é così che finalmente si ritrova e, placida, si mette a sedere negli occhi, l’immagine primigenia, il perimetro dei perimetri: la pelle.

Il confine per cui veniamo al mondo, per cui possiamo essere io e non tu o loro o tutti.

Il perimetro che permette di esserci, sperimentare, vivere, con tutti i disordini che si creano, su ciò che vuoi farci entrare dentro e cosa vuoi lasciare fuori.

La morbida linea che fa si che tu sia chi sei.

E la divisione puoi percepirla per quella che è: l’ennesima illusione ottica. La Vita si ritaglia in corpi di pelle per poter giocare e interagire con sé stessa, in una festa che rischi di perderti, se credi agli specchi.

Invece siamo tutti invitati alla festa.

Tanti perimetri di pelle di luce.

 

Selene CATENA

Ortona, 24 Luglio 2019

 

 

 

 

 



L'ANTICO BACINO DI CARENAGGIO - GENOVA

 

L’ANTICO BACINO DI CARENAGGIO A GENOVA

Dopo tanto girovagare per il mondo, mi è venuta voglia di illustrare alcuni angoli caratteristici della mia città, una città dalla consolidata vocazione marinara. Mi fa quindi piacere, illustrare l’antico Bacino di carenaggio, collocato nel Porto Antico, nella parte Orientale della vecchia Darsena, situata vicino a Porta dei Vacca.


Bacino di Carenaggio prima dell’accorciamento


Accorciato per fare spazio alla sopraelevata

Il bacino di carenaggio in questione è del tipo in muratura, che è uno tra i più comuni. Come consuetudine, le sue iniziali dimensioni erano ragguardevoli, in quanto dovevano contenere una nave intera. Ubicato nelle vicinanze dello specchio d'acqua dell’antica Darsena, con la quale comunica attraverso il lato corto. Costruttivamente parlando, il bacino è posto al di sotto del livello del mare, in questo modo l'imbarcazione che necessita di operazioni di manutenzione all’opera viva dello scafo, può farvi agevolmente ingresso. La via di comunicazione con lo specchio d'acqua viene quindi chiusa attraverso una speciale paratia a tenuta stagna, denominata “Porta Barca” o “Barca Porta”.

La “barca porta”, è in pratica un grande scatolone di lamiera, che può essere riempito d'acqua e quindi affondare, alloggiandosi nelle guide poste all'estremità del bacino. La tenuta stagna della chiusura è favorita direttamente dalla pressione esercitata dall'acqua esterna sulla superficie della barca porta.

 

Porta barca con pali per tenerla in verticale

Porta barca in esercizio a chiusura del bacino

Successivamente, si elimina l'acqua dal bacino stesso, attraverso un sistema di pompe collocate nella sala pompe attigua al bacino, e la nave rimane all'asciutto, poggiando sui delle taccate di legno e rimanendo in equilibrio grazie a dei pali in legno che scontrando contro le pareti verticali tengono la nave in posizione verticale e consentendo di lavorare intorno ad essa.

Al termine della riparazione si effettuano le operazioni inverse, estraendo l'acqua dalla barca porta, che diventa così galleggiante (da cui il nome di barca) e può essere trainata in posizione di sgombero per lasciar uscire l'imbarcazione.

Questo bacino di carenaggio, scavato nella pietra e con i gradoni laterali, è il più antico di questo tipo, esistente nel porto di Genova. La sua realizzazione si deve al Re Carlo Alberto, che con decreto del 21 Agosto 1845, approvò la costruzione di questo bacino all’interno del porto di Genova.

Veliero nel secolo scorso nel bacino asciutto

Nave in entrata nel bacino allagato

L’allora comandante della regia marina (Sua Altezza Reale Principe Eugenio di Carignano), affidò la realizzazione del bacino di carenaggio al Deputato Damiano Sauli (mentre copriva l’incarico di Colonnello del Genio), riuscì nell’impresa di realizzare il bacino, in soli 5 anni, iniziando i lavori nel 1847 ed inaugurando il bacino nel 1851, dovendo scavare il duro tufo roccioso fino ad una profondità di 12 metri con le mine, malgrado le notevoli difficoltà e la durata dei lavori, cosa molto rara per i tempi, non fu registrato nessun incidente mortale durante i lavori.

Damiano Sauli, prese ad esempio il bacino di carenaggio costruito a Tolone dall’Ingegnere e Costruttore Navale, Monsieur GROIGNARD, studiando ed avendo cura di eliminarne i principali difetti, dovuti ad una cattiva esecuzione del fondo che causavano ingenti infiltrazioni d’acqua.

Analogamente al suo fratello (tutt’ora operante) situato nel vecchio porto di Villefranche, la destinazione principale del bacino, era quella di essere adibito alla riparazione / manutenzione (carenaggio) delle navi militari della flotta Sabauda.

Successivamente, quando l’arsenale militare fu trasferito a La Spezia, con l’assenza di navi militari da riparare, fu adibito alla riparazione di navi mercantili, subendo nel passare degli anni numerose trasformazioni; l’ultima (la più dolorosa e significativa), fu compiuta negli anni’60, realizzando un significativo accorciamento del bacino, al fine di fare spazio alla nascente e discussa “Sopraelevata”. A causa dell’accorciamento, al fine di potere ospitare navi di lunghezza superiore che necessitavano di riparazione, la parte estrema del bacino fu sagomata come una prua di nave.

Attualmente, il bacino di carenaggio, è gestito dalla società “Rimorchiatori Riuniti”, che lo utilizza principalmente per i lavori di manutenzione e carenaggio dei rimorchiatori della propria flotta.

Rimorchiatore “Danimarca” in bacino asciutto

 

Parte del bacino sagomata per accomodare prua navi

Al fine di aumentarne l’operabilità ed il periodo di utilizzo, il bacino di carenaggio viene anche utilizzato per la manutenzione di mezzi di servizio del porto come: bettoline, chiatte da lavoro, mezzi speciali, oppure grandi yacht o super yacht.


La società “Rimorchiatori Riuniti”, che opera nel porto sino dal 1922, in collaborazione e con la tutela del Ministero dei Beni Culturali, ha curato le attività di restauro, conservazione ed adeguamento strutturale e funzionale del complesso che comprende non solo il bacino in pietra, ma anche l’attigua sala pompe ed una Gru elettrica su binario degli anni ’30 avente una capacità di sollevamento di 6 (t.).


Sala Pompe con gru elettrica


Portata Gru 6 (t.)


Gru elettrica su binari

 

Flavio SCOPINICH


Rapallo, 24 Luglio 2019

 

 

 


20.06.19 MUMA - PIATTAFORMA SEALAND

PIATTAFORMA SEALAND

MUMA-GENOVA

20.6.2019

 

L'incredibile storia della Piattaforma...

 

Giovedi 20 Giugno al museo Galata di Genova, quale ultimo appuntamento della bella ed interessante iniziativa “Incontri in Blu”, è intervenuto Michael BATES, figlio di Paddy Roy BATES, che fu il reale fondatore del mini-stato del “Principato di Sealand”.

Tutto cominciò durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la Marina Militare inglese, nel 1942, al fine di potere contrastare le incursioni della aviazione tedesca proveniente dalla Francia, decise di installare, una serie di piattaforme al largo delle coste sudorientali Inglesi. Tale complesso di piattaforme marittime, chiamate “Fortezze Marittime Maunsell”, costituivano un complesso antiaereo alle foci del fiume Tamigi, ed una in particolare, una postazione avanzata in mezzo al mare. Nel dettaglio, lo schema di costruzione ed installazione di queste piattaforme OFF-SHORE dell’epoca, era molto primitivo e semplice; si basava essenzialmente nella costruzione di un complesso di piattaforme interconnesse fra loro da ponti, e sorrette da jacket a 3 o 4 gambe, mentre la più avanzata e lontana dalla costa, era in realtà una piattaforma sorretta da due grandi colonne, la cui base era collegata ad una bettolina.


Modello complesso Maunsell alla foce del Tamigi Schema costruttivo della piattaforma   rimorchiata

Tale configurazione costruttiva, consentiva di potere trasportare la piattaforma in galleggiamento, e quando arrivati sul sito, affondare tutta la struttura, con un allagamento controllato, in modo di farla appoggiare sul fondo


Piattaforma armata durante il rimorchio

 


Piattaforma armata durante il posizionamento

Nel caso specifico, come sito finale venne scelto il banco di sabbia “Rough Sands” situato a circa 6 miglia a Sud Est di Felixstowe, un villaggio vicino al porto di Harwich e la piattaforma prese il nome di “H.M. Fort Rough”, che durante tutta la guerra, venne presidiato da circa 150 – 300 membri della Royal Navvy. Alla fine della guerra, il personale venne evacuato ed il forte (chiamato anche “Rough Towers”), venne abbandonato.


Location della piattaforma “Sealand” oltre 6 miglia SE da Felixstowe

La “Rough Towers” rimase abbandonata per circa un ventennio, fino a quando nel Natale 1966 Paddy Roy BATES (Un Ex Maggiore dell’Esercito Inglese),occupò la piattaforma con lo scopo di installare e dare continuità alla sua stazione radio “Radio Essex”, che all’epoca era una delle tante radio Pirata che si scontravano in continuazione con le autorità britanniche; autorità che non vedevano di buon occhio la nascita e la proliferazione di radio indipendenti e dal difficile controllo.

Gli avvocati rassicurarono Roy Bates sulla legittimità di occupare tale piattaforma, considerando che:

A) – Nel 1966, le acque territoriali britanniche si estendevano fino a 3 miglia nautiche dalla costa; (le acque territoriali furono estese a 12 Miglia a partire dal 1987).

B) – La piattaforma “Rough Towers” era situata ad oltre 6 miglia dalla costa (quindi fuori dalle acque territoriali).

C) La piattaforma “Rough Towers” era abbandonata e non presidiata a partire dalla fine della guerra.

Conseguentemente Roy BATES, occupò la piattaforma battezzandola SEALAND e cominciò la sua attività di Radio Pirata indipendente.




Situazione acque territoriali britanniche

 

 


Proclamazione nuovo stato “Sealand”

Ma la vita delle Rough Towers non è mai stata semplice, nel 1968 ci fu una scaramuccia con alcuni colpi di arma da fuoco scambiati con una fregata della Royal Navy da parte di Michael (figlio di Roy Bates), Fregata che secondo alcuni, aveva il compito di fare sloggiare gli occupanti dalla piattaforma. La corte Inglese, il 25 Novembre 1968, chiamata a giudicare l’accaduto declinò il compito, affermando che essendo la piattaforma fuori dalle acque territoriali britanniche, la corte non aveva giurisdizione sull’accaduto.

Rincuorato dalla sentenza della corte inglese, nel 1975 Roy Bates compì un ulteriore passo, cercando di trasformare la Rough Towers in micro-nazione chiamandola “Principato di Sealand”; compiendo negli anni successivi, tutti quegli atti formali necessari per definire una nazione, quali: Costituzione Nazionale, Bandiera Nazionale, Inno Nazionale, Battendo Moneta, rilasciando passaporti, Bandiera, e Francobolli.  Costituì inoltre un Governo interno, riservando a se stesso e consorte, il titolo di Principe e Principessa di Sealand.

 


 


Monete (Dollari) dello stato di Sealand


La Costituzione di Sealand è stata scritta nel 1974. Si compone di un preambolo e sette articoli. Il preambolo afferma l'indipendenza del Sealand, mentre gli articoli variamente trattano lo stato di Sealand come una monarchia costituzionale, il potenziamento degli uffici di governo, il ruolo di un nominato, Senato consultivo, le funzioni di una nomina, di consulenza tribunale legale, il divieto di portare armi, se non per i membri di una designata 'Sealand Guard', il diritto esclusivo del sovrano di formulare la politica estera e modificare la costituzione e la patrilineare successione ereditaria della monarchia.

 


Bandiera dello Stato di Sealand



Passaporto


Francobollo


Timbro postale

Nel 1978 ci fu una specie di colpo di stato, approfittando dell’assenza del reggente, la piattaforma fu occupata dal Primo Ministro (un tedesco), che con l’aiuto di alcuni cittadini olandesi, rapì il figlio di Roy Bates e lo fece trasferite nei paesi bassi. La replica del reggente non si fece attendere; l’ex Maggiore dell’esercito inglese, con un elicottero d’assalto ed alcuni mercenari, riprese il controllo della piattaforma, fece prigionieri gli occupanti e con alcune serrate trattative riuscì a fare rilasciare il proprio figlio Michael.

 


Prigionieri dopo l’assalto dei mercenari


Le proteste dei governi Olandese e Tedesco presso il Governo Inglese furono ignorate da quest’ultimo, in quanto fu replicato loro, che, essendo la piattaforma fuori dalle acque territoriali britanniche, il Governo inglese, non aveva giurisdizione sull’accaduto.

Grazie alla intermediazione di un ambasciatore tedesco, il problema venne risolto, i prigionieri rimpatriati in Olanda e Belgio, dando a Roy Bates l’opportunità di affermare che essendoci stato di mezzo un ambasciatore voleva dire che il Principato di Sealand era stato riconosciuto di fatto, da uno stato estero, ed era quindi uno stato vero, purtroppo per Roy Bates, questa interpretazione unilaterale, non fu mai considerata valida, e nessun stato estero mai riconobbe formalmente il Principato di Sealand.

Non solamente il tentativo di colpo di stato minacciò la tranquillità del Principato, ci fu anche un tentativo di assalto da parte di un’altra radio pirata la “Radio Caroline“, assalto che fu respinto a colpi di bombe Molotov. A seguito di questi eventi, Roy Bates decise di istituire turni di guardie armate, in modo da prevenire ulteriori futuri tentativi di assalto alla piattaforma.

 


 



Articoli dei giornali dell'epoca




Guardie armate sul ponte


Come stabilito dalla costituzione, tutta la famiglia Bates partecipò alle guardie armate, prendendo in modo molto serio la difesa armata del Principato, a partire dal padre fino ai figli ed alla figlia.

 

Famiglia Bates in guardia armata sul ponte

 

 


 

Figlio Michael

 

 


 

Figlia

 

 

Nel 1987 il Regno Unito decise di estendere il confine delle acque territoriali da 3 a 12 miglia nautiche, ma “fortunatamente” il giorno prima, il Principato di Sealand dichiarò in 3 miglia nautiche, la distanza che delimitava le proprie acque territoriali, in modo da non “invadere” le acque territoriali Inglesi, ed al fine ultimo di non venire fagocitato all’interno delle acque territoriali britanniche, e creare una specie di “confine acquatico” con il governo Britannico.

Tale “fortunata” mossa, ha consentito fino ad oggi la sopravvivenza del Principato di Sealand senza ulteriori “ingerenze” da parte dello stato Britannico.

 




Traccia delle acque territoriali dello stato di Sealand al 1987

Veduta aerea Principato Sealand


A partire dagli anni ‘90, per un certo periodo, Sealand produsse anche passaporti, purtroppo, a causa della quantità massiccia di passaporti in circolazione (stimata in circa 150.000 unità), ed una accusa di passaporti falsi circolanti ad Hong Kong, alla fine degli anni ’90, la famiglia Bates revocò tutti i passaporti di Sealand che aveva essa stessa emesso nei precedenti 30 anni. Mentre negli anni 2000 una polizia di uno stato europeo, scopri un gruppo criminale che commerciava passaporti falsi del principato di Sealand, uno di questi passaporti, fu trovato in possesso dell’omicida di Gianni VERSACE.

All’inizio del millennio, al fine di incrementare le entrate, fu tentata la opzione di ospitare siti WEB “chiacchierati”, che avevano difficoltà a prosperare nei paesi di origine, offrendo ospitalità anche a “NAPSTER”.

Il 12 Ottobre 2012, alla morte del fondatore Roy Bates, il titolo di Principe è passato al primogenito Michael, che già dal 1999 fungeva da reggente a causa delle precarie condizioni di salute del padre.

Accantonate le tribolazioni finanziarie, nel secondo decennio degli anni 2000, il Principato di Sealand (a scopo promozionale), si fece parte attiva nello sport, legando il nome del Principato a diverse discipline sportive quali:

a) – L’alpinismo: Il 22 maggio 2013 l’alpinista Kenton Cool posiziona la bandiera di Sealand sulla sommità del monte Everest.

b) – Il Football: Nella stagione calcistica 2003-2004, grazie ad un accordo pattuito dal principe Michael con la squadra danese Vestbjerg Vintage, fu creata una nazionale di calcio.

c) – La maratona: Nel 2003, l'atleta canadese Darren Blackburn rappresentò il principato del Sealand nella disciplina della maratona in alcune competizioni.

 



Kenton Cool sull’Everest




Nazionale Football



Maratona con Darren Blackburn

Per quanto riguarda il riconoscimento formale da parte di altri stati, che indichi il “Principato di Sealand” quale stato sovrano, è riportata qui sotto, una interessante spiegazione trovata su Wikipedia:

L'affermazione che Sealand sia uno Stato indipendente e sovrano, si basa su un'interpretazione di una decisione, di magistratura inglese, risalente al 1968, in cui è stato dichiarato che Roughs Tower si trovasse in acque internazionali e quindi al di fuori della giurisdizione dei tribunali nazionali.

Nel diritto internazionale, le scuole di pensiero più comuni per la creazione di uno stato sono le teorie costitutive e dichiarative della creazione dello stato.

La teoria costitutiva, è il modello standard ottocentesco della statualità e la teoria dichiarativa è stata sviluppata nel XX secolo per ovviare alle carenze della teoria costitutiva. Nella teoria costitutiva, esiste uno stato esclusivamente tramite il riconoscimento da parte di altri stati. La teoria si divide se questo riconoscimento richiede 'riconoscimento diplomatico' o semplicemente 'il riconoscimento dell'esistenza'. Sealand non ha ricevuto alcun riconoscimento ufficiale, ma è stato sostenuto da Bates che i negoziati condotti dalla Germania a seguito di un breve episodio di ostaggi costituisca 'il riconoscimento dell'esistenza' (e, dato che il governo tedesco secondo come riferito ha inviato un ambasciatore alla torre, riconoscimento diplomatico).

Nella teoria dichiarativa di statualità, un'entità diventa uno stato non appena soddisfa i criteri minimi per la statualità. Pertanto, il riconoscimento da parte di altri Stati è puramente 'dichiarativo'.



 

Michael Bates lascia il Principato di Sealand a bordo del suo motoscafo

 

Flavio SCOPINICH

 

Rapallo, 20 Luglio 2019

 

 

 

 


UN PO’ DI TECNICA: UNA MANOVRA CON L’USO DELL’ANCORA

 

UN PO’ DI TECNICA

UNA MANOVRA  CON L’USO DELL’ANCORA


Più volte mi è stato chiesto perché viene usata l’ancora in alcune manovre.

Questa domanda, apparentemente banale, nasconde valutazioni e spunti d’insegnamento interessanti.

Premesso che l’ancora è utile, se non indispensabile, in molte occasioni, in questo articolo vi voglio raccontare una manovra che mi è capitata alcuni giorni fa: l’arrivo della M/n HAYA. Si tratta di una portarinfuse lunga circa 100 metri, con elica a passo variabile a effetto destrorso, senza bow thruster, a pieno carico, destinata alla banchina Rubattino lato di ponente con la prua a terra (fianco di dritta in banchina).

È vero che la nave è di modeste dimensioni, ma presenta alcune caratteristiche che suggeriscono di non sottovalutare la delicatezza della manovra:

  • l’elica a passo variabile ha un’efficacia, nella marcia indietro, molto inferiore rispetto al passo fisso e presenta, inoltre, un forte effetto evolutivo. Nel nostro caso, considerando che la nave è a pieno carico, ci dobbiamo aspettare difficoltà nell’arresto e una marcata tendenza della prora a venire a dritta;
  • la mancanza del bow thruster non ci permette di contrastare l’effetto destrorso;
  • è facile prevedere, nella fase finale, la necessità di dare indietro per arrestare la nave nella posizione voluta. Probabilmente ci troveremo con la prora che tenderà inesorabilmente verso la banchina e la poppa che si allargherà dalla stessa. Praticamente perderemo il controllo di tutti gli elementi e correremo il rischio di urtare la banchina con la prua.

Può sembrare esagerato, ma vi assicuro che, normalmente, il rapporto efficacia di arresto ed effetto evolutivo di una nave di pescaggio (anche se è di piccole dimensioni e procede a lento moto), che ha a disposizione un’elica a passo variabile, è molto svantaggioso.

In realtà ci sono alcuni accorgimenti che permettono di gestire la situazione anche senza l’utilizzo dell’ancora, ma sono operazioni di fino che non garantiscono il risultato.

Il primo consiglio è quello di dimenticare la fretta: in questo caso è imperativo andare piano e privilegiare la precisione a scapito della potenza.

Il secondo consiglio riguarda le istruzioni da dare al Comandante: affinché la manovra riesca bene, è necessario seguire i passaggi in maniera fluida. La prima cosa da fare, quindi, è accertarsi che:

  • l’ancora venga appennellata in acqua pronta sul freno;
  • in base al tipo e alla profondità del fondale e alle caratteristiche dell’ancora, si deciderà la quantità di catena da filare affinché la nave venga frenata ma non arrestata: in pratica dovremo dragare l’ancora. In caso di dubbio è meglio darne meno e filarne un po’ di più in un secondo tempo. Nel nostro caso, con 12 metri di fondale e un’ancora ben proporzionata, proveremo con una lunghezza in acqua;
  • in prossimità dell’ormeggio il Comandante dovrà assolutamente regolare la macchina esattamente come gli verrà detto: la nave non si dovrà fermare! Potrebbe essere necessario, dopo aver dato fondo, aumentare anche considerevolmente la marcia avanti, mantenendo comunque una bassa velocità. Se l’abbrivo fosse così basso da permettere all’ancora di fare presa ed arrestare la nave, diventerebbe difficile riprendere il moto avanti;
  • appena possibile devono essere mandati a terra il cavo alla lunga e lo spring di prora.

Procediamo con la manovra

Dall’imboccatura fino all’inizio dell’avamporto regoleremo la velocità a 6 kn circa, dopo di che imposteremo la leva sul minimo avanti. L’inerzia farà scendere la velocità lentamente e arriveremo all’accostata per entrare al Ponte Rubattino con la macchina ferma e una velocità residua di 3 kn circa. Dopo aver dato, utilizzando il timone alla banda, un invito a dritta, rimetteremo il timone al centro e la macchina indietro mezza.

L’effetto evolutivo aiuterà l’accostata arrivando quasi a fermare la nave.

Una volta imboccata la calata, rimetteremo la macchina avanti al minimo puntando poco oltre il centro della posizione prevista con un angolo di circa 30 gradi. Quando mancherà uno scafo alla posizione, daremo fondo una lunghezza all’acqua all’ancora di sinistra.

Arrivato il momento di agguantare la catena, presteremo particolare attenzione all’abbrivo, aumentando la macchina per impedire che l’ancora faccia testa.

Il punto giratorio della nave, che si sposterà molto vicino alla prora,  ci aiuterà a variare la direzione sfruttando la macchina avanti e piccoli angoli di timone: in questo modo risulterà molto facile portare la prora esattamente dove vogliamo. Raggiunta la posizione avremo già passato lo spring e il cavo di prora a terra. A quel punto ridurremo la macchina, mantenendola comunque un minimo avanti, fino a fermare completamente l’abbrivo.

Il timone tutto a sinistra ci permetterà di portare sotto la poppa per dare i restanti cavi.

Quella descritta è una tra le manovre da noi chiamate “da brutte figure”.

Le dimensioni della nave, gli spazi che normalmente si hanno a disposizione e l’assenza di evoluzione, portano a sottovalutare l’esperienza necessaria a gestire questi tipi di ormeggio.

Per approfondire l’affascinante mondo delle Ancore clicca qui!


 

John GATTI

 

Rapallo, 5 Luglio 2019



CAPPELLA DI SAN GIOVANNI SPOTA’- RAPALLO

CAPPELLA DI SAN GIOVANNI

SPOTA’- RAPALLO


Giovedì 16 maggio 2019, alle ore 21, rinnovando una radicata tradizione, numerosi fedeli delle comunità parrocchiali di Santa Maria del Campo e San Martino di Noceto si sono incontrate presso la Cappella di S. Giovanni, in località Spotà per la recita del Santo Rosario a cura di don Davide Sacco che é poi passato alla consueta “benedizione della campagna”.

Ci troviamo immersi in un quadro mistico: l’incantevole posizione della chiesetta nascosta tra gli ulivi collinari che frullano tenui in un magico silenzio, ci avvolge in una speciale atmosfera che rapina il nostro sguardo e lo induce a scivolare giù verso il mare tra le mute luci di Rapallo che appaiono come lumini lontani che vibrano al nostro saluto.

L’annuale appuntamento con questa preghiera notturna ci spinge, ogni volta, a pensare a quei lontani Amici che su questa collina vollero ardentemente scrivere la storia di questa pievetta.

Scartabellando qua e là troviamo qualche traccia:

In questa località sulle alture di Rapallo chiamata "Spotà" vi è una bella chiesetta dedicata a San Giovanni Battista costruita nel lontano 1665 per volere di Giuseppe e Rolando Valle, lì residenti, che secondo documenti storici chiesero alle autorità religiose di poter costruire una chiesetta per poter pregare, data la difficoltà di poter raggiungere il paese, infatti all’epoca non vi era la strada oggi carrozzabile.

Avuto il parere favorevole dall’Arcivescovo di Genova iniziarono così i lavori voluti e pagati dai Signori Valle e ultimati nel 1688. La chiesetta fu benedetta soltanto nel 1697 a seguito di vari contrasti, questo perché la chiesetta sorgeva in un territorio di confine fra Santa Maria e San Pietro altra frazione Rapallese.

Allora la zona era molto popolata da contadini, basti pensare che si contavano ben trentasei nuclei famigliari e la chiesetta rimase sempre aperta e sino al secolo scorso veniva organizzata anche una bella festa. Oggi invece la chiesetta viene aperta solamente il giorno della ricorrenza di San Giovanni Battista il 24 di giugno e il parroco di Santa Maria vi celebra la S. Messa al mattino.

Da contatti avuti con discendenti dei Valle, che sono tuttora proprietari di gran parte di questa collina e forse anche della cappella (?), abbiamo saputo che un ramo della stirpe immigrò a Conception (Argentina) ma la cosa straordinaria é che questi parenti lontani, non solo portano ancora con sé tradizioni ligustiche importanti, ma quasi ogni anno in estate ritornano a Rapallo per onorare le loro radici. Ci é stato detto che quel ramo argentino dei Valle potrebbe avere conservato atti e documenti relativi la Cappella di S. Giovanni e dei suoi contenuti. La ricerca é quindi aperta insieme alla speranza di saperne di più al loro arrivo a Rapallo.

Tra il 1849 ed il 1853, ben 6252 emigranti partirono dalle nostre zone rivierasche diretti in America del Sud, di cui solo 419 rientrarono a casa. Tra il 1854 e il ’63, sempre dalla riviera di levante emigrarono, sempre verso il Sudamerica, più di 47.000 persone (di cui il 25 per cento dal solo circondario di Chiavari), per la maggior parte, maschi tra i 19 e i 29 anni, d’estrazione artigiana e contadina. Queste cifre non tengono conto dell’emigrazione clandestina che il quel periodo raggiunse 13.000 individui. Le migrazioni continuarono anche negli anni successivi e si può affermare, dati alla mano, che dal 1876 al 1925 sono quasi 300.000 nostri compaesani abbandonarono la Liguria in cerca di lavoro e di fortuna.


Genova - Tenaci, coraggiosi, intelligenti, con un forte spirito imprenditoriale e un ancora più forte attaccamento alla loro terra: questo l’identikit dei liguri che sin dalla prima metà del 1800 decisero di lasciare la patria alla volta dell’America, per scoprire nuove terre e far fortuna all’estero contando solamente sulle proprie forze e su piccole somme di denaro messe da parte appositamente. «L’emigrazione dei liguri fu precoce rispetto ad altre, ma soprattutto non indigente, e urbana - sottolinea Giuliani - I liguri, che fossero originari del Tigullio, di Genova o dell’estremo ponente, non si muovevano verso le campagne, ma verso le città, e portavano con sé i loro risparmi per creare qualcosa». A oggi in Argentina, spiegano gli storici, il 60% della popolazione ha antenati liguri,

I Porta-Cristo argentini al raduno delle Confraternite liguri nel Mondo

dal 3 al 6 giugno 2004


Per i liguri nel mondo è stata molto significativa la presenza, per la prima volta a Genova da oltre un secolo, dei “cristezanti” giunti dall’Argentina.


SANTUARIO DI N.S. DELLA GUARDIA, 5 giugno 2004

Giunti al Santuario, i Porta-Cristo hanno provato il

Cristo che la Confraternita di Busalla ha messo a loro

Disposizione e posano insieme per la foto.

 

SANTUARIO DI N.S.DI MONTALLEGRO – RAPALLO

7 giugno 2004 – I Porta-Cristo argentini e familiari

Nella foto davanti alla Chiesa.

Secondo la tradizione, il termine cappella viene dalla chiesa di San Martino di Toursnella quale era conservata come una reliquia la cappa di san Martino che, come sappiamo é uno dei Santi più venerati in Occidente specialmente nei secoli passati. 4.000 parrocchie in Francia portano il suo nome. In molte regioni d'Italia l'11 novembre è simbolicamente associato alla maturazione del vino nuovo (da qui il proverbio "A San Martino ogni mosto diventa vino") ed è un'occasione di ritrovo e festeggiamenti nei quali si brinda, appunto, stappando il vino appena maturato e accompagnato da castagne o caldarroste. Sebbene non sia praticata una celebrazione religiosa a tutti gli effetti (salvo nei paesi dove san Martino è protettore), la festa di San Martino risulta comunque particolarmente sentita dalla popolazione locale. Nel nord Italia, specialmente nelle aree agricole, fino a non molti anni fa tutti i contratti (di lavoro ma anche di affitto, mezzadria, ecc) avevano inizio (e fine) l'11 novembre, data scelta in quanto i lavori nei campi erano già terminati senza però che fosse già arrivato l'inverno. Per questo, scaduti i contratti, chi aveva una casa in uso la doveva lasciare libera proprio l'11 novembre e non era inusuale, in quei giorni, imbattersi in carri strapieni di ogni masserizia che si spostavano da un podere all'altro, facendo "San Martino", nome popolare, proprio per questo motivo, del trasloco. Ancora oggi in molti dialetti e modi di dire del nord "fare San Martino" mantiene il significato di traslocare.


L’interno della cappella di S.Giovanni



La CAPPELLA DI S.GIOVANNI può ospitare circa 40 fedeli seduti ed un’altra decina in piedi ed altri sul piccolo sagrato.

Utilizziamo il seguente ALBUM FOTOGRAFICO (da noi curato) per descrivere nelle didascalie alcuni “particolari” interessanti.

La cappella di San Giovanni ripresa da varie posizioni




Un affascinante dipinto un po’ scolorito dal tempo e dall’oblio si trova sopra l’altare


La GRAZIA Divina proietta la sua candida luce dall’alto verso il basso illuminando la Madonna, il Bambino Gesù e l’Agnello sacrificale. A sinistra per chi guarda é raffigurato San Giovanni Battista, sulla destra San Pietro che regge le chiavi del paradiso con la mano destra mentre poggia affettuosamente la mano sinistra sulla spalla del “committente”. Il mantello sospeso sopra il capo di Maria potrebbe rappresentare la “volta celeste” o forse il MANTELLO di San Martino… il mantello della Provvidenza…

La fotografia del dipinto situato sopra l’altare é stata ripresa dal basso e con scarsa luce per cui risulta schiacciata e poco definita. Tuttavia a detta di alcuni appassionati, non certo da periti o da esperti, il dipinto potrebbe appartenere alla scuola di Luca Cambiaso. Parecchi sono gli indizi … In ogni caso, il parere di un esperto che non ha visto il quadro, ma soltanto la foto, é il seguente: “Di solito quando viene raffigurato il committente, si tratta di un dipinto importante”. Una restauratrice molto esperta, che non ha visto il quadro, ma solo la foto, si é così espressa: “Questi dipinti sono passati attraverso 15 generazioni di pseudo pittori che, forse, nell’imminenza di Feste Patronali, hanno pensato di renderlo più presentabile togliendo macchie e difetti maturati nel tempo a causa di tantissime cause naturali e non solo…




Un prezioso reperto

Il bellissimo calice, il vaso liturgico in cui viene versato il vino che diventa il Sangue di Cristo.


Rare immagini dipinte delle corazzate:

LEPANTO (varata nel 1876)

DANDOLO (varata nel 1873)

Molto probabilmente alcuni discendenti dei VALLE fecero parte della Regia Marina.

Visti i numerosi ex voto presenti nella cappella-santuario di S. Giovanni, il quadro potrebbe

rappresentare un ulteriore Per Grazia Ricevuta legato a vicende belliche di particolare pericolo.





 

Carlo GATTI

Rapallo, 30 Luglio 2019

 


RESTAURO CRISTO BIANCO-S.M.del CAMPO-RAPALLO

VIAGGIO NELL’ARTE DEL RESTAURO

“CRISTO BIANCO”

SANTA MARIA DEL CAMPO - RAPALLO

Una suggestiva immagine della basilica di San Salvatore dei Fieschi

La basilica fu costruita nel 1244 ad opera DEL PONTEFICE  Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi,  discendente del ramo nobiliare della famiglia FIESCHI che in tale periodo storico dominò l'intera vallata della Fontanabuona e buoina parte della Val d'Aveto.

Il vicolo conduce al laboratorio di Restauro artistico di Maria Rosa Sambuceti e Giustina Adreveno che sono impegnate nel restauro del Cristo Bianco appartenente all’Arciconfraternita Nostra Signora del Suffragio di Santa Maria del Campo di Rapallo (riconosciuta dalla Curia Romana il 7 dicembre 1601 come risulta dallo Statuto conservato con tanta cura. Il 12 maggio 1617 Monsignor Domenico De Marini, Arcivescovo di Genova accolse la delegazione di parrocchiani di Santa Maria ai quali concesse la facoltà di costruire un oratorio).


Questo é il portone d’ingresso del laboratorio situato all’interno di una antica casata a pochi passi dall’affascinante Abbazia.

Come si evince dalla relazione approntata dalle restauratrici Giustina Adreveno e Maria Rosa Sambuceti, Lo stato sanitario complessivo del bene risulta buono, fatta salva una ridotta erosione del supporto ligneo localizzata nell’alloggio dei chiodi del Cristo e determinata dall’azione di insetti xilofagi, qualche lieve perdita della pellicola pittorica e una rottura in corrispondenza del polso destro rappezzata con un rudimentale incollaggio”.

Matteo Capurro (Consulente storico dell’arte Arciconfraternita di N.S. del Suffragio) si é così espresso:

Viste le condizioni non compromesse dell’opera, si prevede un’azione blanda mirante ad eliminare lo strato superficiale di deposito accumulato nel tempo, risolvere il problema dei tarli con opportuna disinfestazione del supporto, consolidamento ove necessario, reintegrazione delle lacune del supporto stesso e della pellicola pittorica, stesura di protettivo.

La dott.ssa Giustina Adreveno é la curatrice del restauro del CRISTO BIANCO che risale probabilmente, secondo gli esperti, ad un periodo compreso tra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni del Novecento.

Giustina, così vuole essere chiamata la gentile signora, dopo aver compiuto scuole d’arte importanti, si é specializzata a Firenze presso Istituti d’Arte dedicati al restauro conservativo delle opere d’arte del nostro paese

“Il nostro lavoro necessita di periodici aggiornamenti scientifici presso le scuole d’Arte per il costante miglioramento dei prodotti chimici che usiamo, ma anche e soprattutto per le nuove tecniche di restauro che costituiscono una vera scienza in piena evoluzione”.

La signora Giustina é un fiume in piena di dati e informazioni, per cui chiudo la mia agenda colma di domande e mi metto all’ascolto…

La parte posteriore del Cristo, solitamente poco curata perché non visibile, in questo caso appare artisticamente perfetta e non danneggiata, per cui necessita solo di una accurata pulizia.


Anche il volto del Cristo é in discrete condizioni. Non necessita di grandi restauri conservativi.

PRIMA DEL RESTAURO


L’avambraccio del Cristo evidenzia una frattura trasversale che necessita ancora di una approfondita analisi per decidere l’eventuale inserimento di una lamina metallica per ricomporre e consolidare la frattura.

DOPO UN PRIMO RESTAURO

IL PANNEGGIO DOPO IL RESTAURO

PRIMA DEL RESTAURO



PRIMA DEL RESTAURO




DOPO IL RESTAURO

RESTAURO: Per il consolidamento della zona tarlata é stata usata la resina Parralloid B 72 in Essenza di Petrolio.

La dott.ssa Maria Rosa Giustina Adreveno al computer

MATERIALE USATO PER IL RESTAURO: Antitarlo in gel – Inchiostri particolari – Paste di legno – Pennarelli speciali – Pasta epossidica - Colori per vetro Vitrali – Gomma siliconica – inchiostri Acrilici – Colori acrilici – ecc…

Il paziente lavoro di restauro del Cristo Processionale presto riporterà in auge la sua originaria bellezza.

I NOSTRI CROCIFISSI PROCESSIONALI

SIMBOLOGIA ESSENZIALE

Nella nostra regione Liguria, la tradizione di portare i Crocifissi in processione risale al XVI secolo.

La cura con cui viene conservato ogni Crocifisso é improntata ad una fervida venerazione in particolar modo negli Oratori dove esistono antichissime organizzazioni (Confraternite) nelle quali si tramandano: devozione, passione e conoscenza.

Queste sacre testimonianze di fede religiosa sono scolpite da VERI ARTISTI: scultori ed ebanisti. La croce, su cui è deposto il corpo ligneo di Gesù, é decorata in argento battuto. Alle estremità superiori della Croce sono collocati i “canti”, decorazioni costituite da foglie dorate o d’argento.

Nel sentire popolare i Crocifissi si classificano in base al peso ed alle dimensioni:

· Piccoli: dai 30 ai 80 kg

· Mezzani: da 80 a 110 kg

· Grandi: dai 110 kg in su


Oggi ci occupiamo in particolare del CRISTO “BIANCO” denominato così dai portantini (CRISTEZZANTI) per il colore dell’immagine di Gesù. Pesa circa 110 kg. I suoi “canti” sono ormai ingialliti dal tempo in quanto l’ultimo restauro è datato 1975. Attualmente, dall’inizio del mese di maggio é sotto osservazione.

- La figura di Cristo crocifisso con le braccia aperte simboleggia l’abbraccio del figlio di Dio all'umanità.


 

- L’angelo con il calice che raccoglie il sangue versato ci ricorda il sacrificio compiuto da Cristo per la nostra salvezza.

- Sulla stella che ricopre il ventre di Gesù ci sono molte versioni… quella che noi preferiamo é la seguente:

- Il Messia annunciato dai Profeti é evocato come una nuova stella: Una stella nata da Giacobbe. I Magi seppero riconoscere questa stella e la seguirono fino a Betlemme. Il manifestarsi di questo astro prodigioso é il segno dell’avvento del Figlio di Dio.



Se guardiamo con superficialità il nostro grande Crocifisso, ci apparirà come una opulenta costruzione barocca ricca di indorature, fregi e fiori argentati, ma se passiamo ad una più attenta contemplazione ci renderemo conto che tutto ciò su cui posiamo lo sguardo ha un significato ben preciso: i nostri grandiosi Crocifissi celebrano il trionfo della Croce, mistero centrale della fede cristiana.
Dai tre bracci della Croce scaturisce una lussureggiante fioritura della pianta d'acanto dalla quale si diramano numerosi e sottili girali con i loro fiori; la vitalità di questa pianta è data dalla Croce di Gesù, il cui sacrificio costituisce la ricreazione dell'umanità e del cosmo. Lateralmente affiora da un lato la palma del Martirio e dall'altro il ramo di ulivo della pace. Tra questi due simboli é
incastonata l'effige della Madonna alla quale é dedicata la Chiesa. Una corona dorata avvolge il TITULUS CRUCIS: «Gesù il Nazareno, Re dei Giudei ».

Gesù è il nuovo Adamo che, con il mistero della Sua passione, morte e risurrezione, fa rifiorire l'umanità, riconciliandola col Padre.

In alto, sopra il cartiglio "I.N.R.I." è posta la corona di gloria per la vittoria sulla morte nel mistero pasquale, oltre è la colomba dello Spirito-Santo.
La Croce da strumento di morte viene vivificata da Gesù, vero albero di vita.

Il CANTO SINISTRO

IL CANTO DESTRO

I CANTI sono i tre lati superiori della croce che appaiono in questa tipologia di Crocifissi con una luminosa infiorescenza di fiori e foglie d’oro e d’argento. La Croce da simbolo di supplizio si trasforma in luce di speranza e di gloria annunciando la Resurrezione di Cristo.


Il quarto CANTO, quello inferiore, nella processione dei Cristi viene alloggiato nel CROCCO, (foto sopra), una specie di robustissimo calice di cuoio fissato, con cinghie adatte allo scopo, sull’addome del CRISTEZANTE. E’ il canto della Croce che poggia sull’umanità anelando al suo diretto contatto fisico. Il “portatore” sente e vive questo peso che non é solo materiale, allegorico, a volte festaiolo, ma anche un peso morale carico di responsabilità. Si tratta di un film antico che non finisce mai di emozionare e di stupire il fedele.

La responsabilità cui ci riferiamo é la PAURA di non farcela a sopportare quel peso, e spesso il “portatore” dialoga con Cristo per acquisire la forza di continuare ancora per qualche metro… poi chiama i suoi fidati stramoei ed avviene il passaggio ad un altro CRISTEZANTE.

Il simbolismo religioso é presente anche in questo delicato frangente: l’uomo da solo non può farcela, deve aver fiducia nel prossimo, in quel rapporto d’amore che proprio Cristo ci ha insegnato!

Il CRISTEZANTE in quel momento riflette l’immagine di quel SIMONE DI CIRENE detto il CIRENEO che si legge nel Vangelo di Marco:

“Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cranio”.

Io credo sia proprio la figura del Cireneo, il primo Cristezante della bimillenaria storia del Cristianesimo a dare continuità e significato ai riti processionali celebrati dalle circa 130 Confraternite sparse per la nostra terra di Liguria.

L’immagine sofferente del CRISTEZANTE è una vera e propria personificazionenon solo con Simone di Cirene ricordato dal Vangelo, ma con tutta la passione di Cristo.

 

IL CRISTO “NERO”

 

IL CRISTO “BIANCO”

 

IL CRISTO “PICCOLO”

 

Sono custoditi e curati dalla ARCICONFRATERNITA N.S. DEL SUFFRAGIO presso L’ORATORIO DI NOSTRA SIGNORA DELL’ASSUNTA  di cui vediamo l’interno

 

Carlo GATTI

Rapallo, 29 Luglio 2019


NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE-CHIAVARI-UN ANTICO TEMPIO MARINARO

NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE – CHIAVARI

UN ANTICO TEMPIO  MARINARO

Il Santuario di Nostra Signora delle Grazie é al centro della foto aerea

PREMESSA

Nel nuovo millennio i Santuari Mariani sono meta di pellegrinaggi in cui, per lo più, i credenti coniugano fede e natura, storia e arte, panorami incredibili e prelibati cibi locali, quasi a rimarcare l’idea di fondazione che la leggenda assegna alla semplicità della vita contadina e marinara e alla spontaneità di iniziative nate tra il popolo e per il popolo.

I più noti Santuari Mariani sorsero in luoghi mistici collinari e montani, non solo nella nostra regione, dopo il Concilio di Trento. La linea geografica che li univa doveva essere percepita come “baluardo difensivo” contro l’espansione della Riforma Protestante di matrice calvinista.

Tale offensiva era messa in atto da mercanti di Ginevra e Lione che subdolamente penetravano nel porto di Genova a bordo di velieri commerciali con l’intenzione di fare nuovi adepti sotto la protezione di alcune famiglie della borghesia mercantile genovese: Agostino Centurione, Orazio Pallavicino, che si erano già dichiarati simpatizzanti di Giovanni Calvino (Jean Cauvin). La lista di personaggi discussi e molto noti negli ambienti mercantili del capoluogo é molta lunga; numerosi furono i processi celebrati dagli enti preposti, ma anche dall’Inquisizione ad eretici e a sostenitori della Riforma Protestante in generale.

Agli ordini monastici fu affidata la gestione dei Santuari e della religiosità popolare, per rivestirla di contenuti teologici, di pratiche devozionali “guidate” in una nuova arte architettonica e decorativa che affascinasse e incantasse il fedele con visioni “celestiali” e canti estremamente suggestivi, tali da opporsi efficacemente alla liturgia piuttosto austera ed essenziale rappresentata dal luteranesimo nordico.

La protezione della Madonna “funzionò” durante e dopo lo scossone tellurico provocato dal protestantesimo, ma anche contro le numerose epidemie di peste e di colera del ‘500 e del ‘600 e, come sanno in molti borghi delle Riviere, anche contro gli assalti dei barbareschi.

Situazioni emergenziali che, specialmente in Riviera, produssero moti spontanei di grande fede che vive tuttora anche nei fedeli tiepidi… che oggi preferiscono associare la “storica tradizione mariana” con il folklore legato al turismo, forse per rimarcare una linea di confine tra fede beghina e fede moderna che tenta di ribellarsi ad un certo tipo di clero antico, alla stessa maniera con cui questo tipo di clero “rifiuta o mal sopporta” che la fede Mariana si esprima soltanto con le esplosioni cromatiche dei fuochi d’artificio, il frastuono di mortaletti che richiamano alla mente i colpi di cannoni, le guerre e le distruzioni.

Prendiamo ad esempio le Feste di Luglio di Rapallo, in cui i due modi di vivere la fede popolare si rinnovano ormai da 462 anni, tra un mugugno e un’ovazione, tra processioni di cristezzanti e il panegirico, tra le competizioni dei sestieri e l’incendio del Castello… Poi, alla fine dei giochi… tutto si risolve in quella sana rivalità che spinge i ministri della Chiesa, i massari e i fedeli ad una FESTA commovente che termina tra le braccia di Maria Regina Sovrana del Tigullio.

Le diverse visioni dei riti si sovrappongono quindi nella comune accettazione di quella fede superiore che tende alla reciproca comprensione e al tripudio dell’attesa della Madonna che scenda dal monte con l’icona bizantina per essere venerata.

I brividi di gioia che ogni anno ripropongono le FESTE DI LUGLIO hanno un solo nome:

RAPALLINITA’

Dopo questa premessa dedicata alla fede popolare del Golfo Tigullio nel Terzo Millennio, ritorniamo al vicino Santuario di Nostra Signora delle Grazie di Chiavari. Lo avevamo già visitato nel 2014 in occasione di una pubblicazione di Mare Nostrum Rapallo, nella quale raccontai il ruolo che ebbe questo antico “luogo sacro” nelle vicende della Seconda guerra mondiale.

IL CANNONE DELLE GRAZIE. (che ha raccolto nel frattempo oltre 17.000 visite)

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=310;grazie&catid=52;artex&Itemid=153

Per capire l’importanza “strategica”, in senso generale, della posizione del Santuario, dobbiamo considerare un dato ottico-geografico di assoluta importanza navale.


Per un osservatore appostato su una collina alta 200 metri di altezza sul livello del mare, (é il caso del Santuario delle Grazie, nella foto) l'orizzonte visibile si trova ad una distanza di 70 chilometri, vale a dire 37,80 miglia nautiche.

Dalla più remota antichità sino all’invenzione della telegrafia senza fili via onde radio, i velieri navigavano da punta a punta lungo le coste per sapere sempre la propria posizione, ma anche per farsi riconoscere da terra: dai fari e fanali, ma anche da determinati conventi che avevano il compito di assistere in qualche modo i naviganti di passaggio.

A partire dal 1907, ad opera di Guglielmo Marconi, il mondo delle radiocomunicazioni e dei trasporti registrò una rivoluzione planetaria che accelerò i processi di sicurezza della navigazione e dei salvataggi in mare.

Non é quindi una fantasiosa leggenda che i Santuari situati lungo le coste abbiano assunto nei secoli un ruolo importantissimo per i naviganti che, a loro volta, attribuivano a questi edifici religiosi un potere taumaturgico che ricambiavano con un affetto devozionale molto particolare. Questo “amore” reciproco non é mai tramontato neppure quando i velieri non avevano più la necessità di passare sotto i conventi per richiamare l’attenzione con il corno da nebbia al quale i frati rispondevano con i rintocchi a festa della torre campanaria.

Farsi identificare dai frati aveva un’importanza vitale per le famiglie dei marinai che da mesi e forse da anni aspettavano notizie dei loro cari; ma era economicamente rilevante soprattutto per l’armatore che aveva il tempo di predisporre i lavori di bordo, il cambio dell’equipaggio, i nuovi noli e le relative destinazioni.

Il santuario di N.S. delle Grazie, posizionato sulla antica ss. AURELIA, aveva sicuramente il compito di vedetta, tuttora testimoniato dagli ex voto appesi ai vecchi muri in centinaia di esemplari e lasciati dai nostri avi-marinai a testimonianza della loro devozione alla Madonna.

Avvenuto il “contatto” tra il Comandante del veliero ed il Capo Guardiano, la missione proseguiva e si esauriva soltanto dopo la avvenuta comunicazione dell’avvistamento del vascello all’armatore o alle autorità portuali preposte. L’operazione si svolgeva in poche ore, alla velocità della carrozza a cavalli.

Il rettore del convento con i suoi monaci hanno rappresentato per secoli una sorta di AVVISATORE MARITTIMO ante litteram per lo shipping nazionale ed internazionale.

Il compenso per questo prezioso servizio si realizzava con offerte per il restauro del Santuario ed era molto gradito dai monaci, oltreché meritato.

Sul rapporto dei frati con i naviganti vi allego due LINK che sono correlati al tema in oggetto.

I POSTINI DEL MARE di Carlo Gatti e Nunzio Catena

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=583;post&catid=54;saggi&Itemid=160

I FRATI E LA POSTA DELLE SHETLAND - UN VECCHIO RITO di Carlo Gatti

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=177;i-frati&catid=54;saggi&Itemid=160


Vista panoramica dal santuario di N.S. delle Grazie

Tra li archi del portico d’accesso si gode uno stupendo panorama che spazia da Sestri Levante a Portofino. Il santuario é costituito da diversi corpi: la Cappelletta, il Portico, l’Ospedale dei pellegrini, la Chiesa e l’abitazione del Rettore.

Questo piccolo santuario, di origine medioevale, ma ampliato e modificato nei secoli successivi, posto in posizione panoramica, a circa 200 di metri di quota lungo il fianco del monte, offre al visitatore uno splendido panorama con lo sguardo che spazia sul mare e sulla costa, da Portofino a Sestri Levante. Molto bello è l’interno che presenta un ciclo di affreschi che narrano alcuni momenti della vita di Gesù, datati 1539 ed opera di Teramo Piaggio e dal Giudizio Universale di Luca Cambiaso (metà sec. XVI). Giunti presso l’altare maggiore non si può non restare stupiti dalla splendida statua lignea della Madonna delle Grazie di chiara origine fiamminga.
Il Santuario è raggiungibile in auto dall’Aurelia o risalendo, senza grossi sforzi, il sentiero che attraversa una ricca macchia mediterranea, partendo dalle vicinanze della spiaggia della colonia Fara.


Venendo da Rapallo sulla Aurelia in direzione Chiavari, prima d’imboccare la galleria sotto il Monte Segnale, a 200 metri d’altezza sul livello del mare, sorge in mezzo alla macchia mediterranea il Santuario della Madonna delle Grazie.

Il Santuario è stato realizzato agli inizi del 1400.
Dai documenti storici ritrovati si rileva un atto notarile nel quale si chiede di unificare il Santuario alla Chiesa di Sant’Andrea di Rovereto.

Dal 1663 iniziarono i lavori, necessari a rendere accessibili e abitabili i locali per la residenza del custode.

L’edificio religioso assume l’aspetto attuale dopo varie operazioni di ristrutturazione, compiute tra il 1952 e il 1961, dovute a cedimenti strutturali causati dallo smottamento del terreno della collina per l’apertura di cave e scavi fatti durante la Seconda guerra mondiale.


Chiavari, N. S. delle Grazie, Madonna con il Bambino e il melograno, statua in legno policromo, fine XIV-inizio XV sec.

Franco Ragazzi colloca la sua datazione tra la fine del XIV e l’inizio del XV sec. e la ritiene un’opera fiamminga, sulla base di elementi stilistici quali la posizione, il panneggio tipico del gusto “internazionale” e la raffigurazione dei volti: in particolare quello di Maria, dalla forma un po’ allungata, gli occhi verso il basso, la bocca con le labbra strette, il piccolo mento sporgente, ricorda i visi delle Madonne di artisti fiamminghi come Jan Van Eyck, Joos Van Cleve e Gerard David. Inoltre la posizione del Bambino posato sul braccio destro della Vergine è un elemento costante dell’iconografia fiamminga.

LA STORIA:

La vicenda di questa stauta lignea della Madonna si pone al centro stesso della costruzione della chiesa contigua alla cappella: le ragioni che indussero Bertone e Andrea Vaccaro a costruirla su un loro terreno nel 1416, sono state raccolte e tramandate da Agostino Busco (sec. XVII):

“…un Patrone di nave, essendo di Fiandra, vidde una immagine di rilievo di Maria Vergine col Bambino in brachio in una bottega, li venne pensiero di comprarla, ma poi non se ne curò più, e volendo partire non potea. Parendoli cosa strana et esaminando tra se stesso, li sovvenne se forse fosse perché non aveva voluto comprare detta immagine; perciò andò a comprarla, e facela portare in nave, e senza più difficoltà si partì con prospero vento; et arrivato per contro Chiavari e quando poi fu in faccia di detta cappelletta della Pinara, la nave si fermò da per sé, e parendogli cosa meravigliosa al Patrone e Marinai li venne in pensiero se forse era volontà di Dio che portassero detta Immagine a detta cappelletta, e gliela portarono e devotamente qua la lasciarono; il che fatto poi si partirono senza difficoltà per il loro viaggio. Et li Signori Vaccà di cui è la selva, lì fecero fabbricare una assai grande Chiesa col Coro in quadro verso Oriente, con la porta al Ponente, fuori dalla quale si vede anco detta prima cappelletta con una bella Piazza, Portico e Casa (…)”

 

Questa è la leggenda popolare tramandata “per tradizione de’ vecchi e veridiche persone” che ripete un rituale analogo a molti altri Santuari Mariani. Nel caso del Santuario delle Grazie, insieme alle sedimentazioni della tradizione orale, ci sono alcuni dati di fatto storici:

- la presenza di una antica cappelletta,

- la rotta delle Fiandre

- la statua della Madonna scolpita nel legno svuotato sul retro, ma non tamponato: la tecnica usata indica che la destinazione originaria era una nicchia o un altare. E’ alta 142 cm. compreso il plinto di appoggio.

Insieme con panni, pizzi e telerie, damaschi e broccati, nel porto di Genova sbarcavano dipinti e sculture che fecero di Genova l’emporio più importante di tutta Italia per l’arte fiamminga. Non è irrealistico dunque pensare di trovare un’opera fiamminga nel Santuario chiavarese.

Il melograno, segno di fortuna e di fertilità nella simbologia profana, è qui un simbolo della Passione di Cristo. Nella statuaria gotica è presente in molte opere francesi e dell’Europa settentrionale.



Sul sentiero d'accesso al Santuario, il pellegrino viene accolto da un bassorilievo marmoreo di pregevole fattura il quale sintetizza la devozione mariana dei naviganti che lasciano le loro imbarcazioni alla fonda per salire la collina e approdare tra le braccia della Vergine per ringraziarla della protezione ricevuta.


L’entrata della chiesa con il suo antico portico.

L’elemento più antico é la Cappelletta che risale al XII secolo. La copertura del portico é a capanna con gli abbadini di ardesia.

La Cappella, che costituisce la prima fase costruttiva del Santuario, si presenta a pianta rettangolare con una pavimentazione in buona parte autentica articolata su diversi livelli. Il piccolo altare è sorretto da una colonnina con capitello estraneo alle vicende del santuario.

La copertura consente di datare la cappella intorno al XII-XIII secolo. Una serie di capitelli pensili in ardesia (gli originali) e in pietra calcarea (di restauro) sorreggono otto archetti pensili romanico-gotici, attraverso i quali scaricano otto vele convergenti in una chiave di volta ottagonale di ardesia scolpita con l’Agnus Dei. Il capitello posto sull’arco di ingresso è a forma di testa apotropaica, che rimanda a forme analoghe presenti nell’entroterra chiavarese e nello spezzino.

GLI EX VOTO DELLA CAPPELLETTA



Il portico e i vani dell’ospitium, edificati nella fase successiva, sono gli elementi architettonici che contribuiscono maggiormente a caratterizzare l’immagine della costruzione, con le ampie volte a crociera poggiate con archi ogivali su robusti pilastri quadrangolari.


L’accesso alla cappelletta e alla chiesa


GLI INTERNI

GLI AFFRESCHI DEL SANTUARIO

Schema della distribuzione degli affreschi di N. S. delle Grazie

LUCA CAMBIASO - (FONTE - FINESTRE SULL’ARTE)

https://www.finestresullarte.info/Puntate/2012/01-luca-cambiaso.php

TERAMO PIAGGIO - (FONTE-TRECCANI)

 

http://www.treccani.it/enciclopedia/teramo-piaggio_%28Dizionario-Biografico%29/

LE OPERE D’ARTE


Chiavari, N. S. delle GrazieMadonna con il Bambino e il melograno, statua in legno policromo, fine XIV-inizio XV sec.

La chiesa fu invece costruita nel XIV secolo; ad unica navata presenta il presbiterio rialzato e più stretto. Le pareti sono tutte affrescate ad opera del pittore zoagliese Teramo Piaggio e illustrano a destra la STORIA DELLA MADONNA, a sinistra, nel lunettone del presbiterio:


l’ULTIMA CENA e sulla parete sempre di sinistra la PASSIONE DI CRISTO. La parete dietro l’altare maggiore rappresenta LA CROCIFISSIONE.


Chiavari, N.S. delle Grazie, volta a crociera del presbiterio


Teramo Piaggio, Crocifissione, particolare

Teramo Piaggio, Crocifissione, particolare

Sul tabernacolo dell’altare maggiore é la statua lignea della MADONNA CON BAMBINO E IL MELOGRANO di artista ignoto. Lo stato conservativo degli affreschi non é purtroppo ottimale a causa anche delle condizioni ambientali (salsedine in primis) che ne minano la sopravvivenza. Nella sacrestia sono appesi alcuni dei numerosi ex voto dedicati alla Madonna; il più antico é quello del Capitano Fontana datato 14 agosto 1600.

L'attuale copertura, costituita da un tetto ligneo a capanna rivestito da abbadini d'ardesia, risale al 1896. Il presbiterio è leggermente rialzato e poco più stretto della navata, coperto da un'ampia volta a crociera costolonata di derivazione gotica. L'arcone che divide la navata dal presbiterio  poggia su due robuste semicolonne addossate alle pareti con i tipici capitelli a forma sferocubica frequenti nella Liguria  medioevale.


LUCA CAMBIASO - L’insieme del GIUDIZIO UNIVERSALE (1550)


Particolare della fascia inferiore

Particolare della seconda fascia


Particolare del terzo registro


Particolare del quarto registro

Sulla parete della controfacciata del santuario, appare il pregiatissimo GIUDIZIO UNIVERSALE del genovese Luca Cambiaso, uno dei maggior pittori del ‘500.

Nel 1550, morto Franchino Vaccaro, il compito di completare gli affreschi della chiesa passò a suo figlio Andrea, che preferì affidare i lavori della controfacciata a LUCA CAMBIASO. Luca a quel tempo aveva solo ventitre anni e non aveva ancora raggiunto l’età dell’affrancamento dal padre per cui non poteva accettare incarichi professionali: è perciò probabile che gli affreschi di N. S. delle Grazie siano l’ultimo lavoro eseguito in collaborazione con suo padre Giovanni.

Giovanni Cambiaso era nato nel 1495 in Val Polcevera, dove conobbe Andrea Semino che lo avviò all’arte della pittura e lo avvicinò a Teramo Piaggio. Una testimonianza della loro amicizia è data dai ritratti dei tre pittori nel Martirio di S. Andrea realizzato da Teramo per la chiesa di S. Andrea a Genova e dal ritratto di Giovanni nella Crocifissione delle Grazie.

Luca aveva iniziato a quindici anni la collaborazione con il padre, ottenendo diversi incarichi importanti dalle grandi famiglie genovesi, soprattutto dai Doria. E’ già da questi primi lavori che Luca dimostra una personalità più spiccata di quella del padre.

Franchino Vaccaro aveva preferito una pittura legata alla tradizione quattrocentesca come quella del Piaggio per assicurare al Santuario una continuità con i caratteri popolari del culto locale. Suo figlio Andrea preferisce dimostrare di conoscere le novità dell’arte figurativa genovese e l’ideologia religiosa romana, ma soprattutto vuole testimoniare lo status sociale e politico raggiunto dalla sua famiglia scegliendo artisti apprezzati e ricercati dalle grandi famiglie genovesi.

Ispirandosi al Giudizio Universale  di Michelangelo, Luca divide la parete in quattro registri orizzontali:

- nella fascia più bassa, a sinistra rappresenta la Resurrezione dei Morti, mentre a destra i dannati divorati dalle fiamme.


HECCE HOMO

Un'opera certamente curiosa è un Ecce Homo dipinto su tela (c'è chi sostiene che sia una stampa su tela e che l'originale sia a Genova), collocato in cornice, alla sinistra di chi entra, su un inginocchiatoio che funge da sostegno.

La cosa più inquietante è che girando attorno al quadro, si nota che il retro è dipinto con la schiena del Cristo, tormentata e addirittura scarnificata dalle torture inflittegli, secondo un'iconografia inusuale. E' presumibilmente un'opera ottocentesca, legata a qualche confraternita dei flagellanti, che il crudo verismo induce a collocare in ambito iberico.


Chiavari, N.S. delle Grazie, acquasantiera, XV sec.


Chiavari, N.S. delle Grazie, particolare di  capitello sferocubico di una  semicolonna dell’arcone del presbiterio

BIBLIOGRAFIA

- Berzero G., Gli affreschi di Teramo Piaggio nella chiesa di N. S. delle Grazie a Chiavari, in “Atti della Società Economica di Chiavari-1932”, 1933.

- Castelnovi G.V., Il Quattro e il primo Cinquecento, in La pittura a Genova e in Liguria, Genova, 1987, pp. 73-160.

- Grosso Orlando, Genova e la Riviera ligure, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1951.

- Magnani Lauro, Committenza e arte sacra a Genova dopo il Concilio di Trento: materiali di ricerca, in “Studi di storia delle arti”, Università di Genova, Istituto di Storia dell’Arte, 1983-85.

- Magnani Lauro, Il Giudizio Finale, scheda in Omaggio a Luca Cambiaso, catalogo della mostra, Sagep, Genova, 1985.

- Ragazzi Franco, Il Santuario delle Grazie a Chiavari. Gli affreschi di Teramo Piaggio e Luca Cambiaso, Genova, 1992

- Giovanni Meriana, La Liguria dei Santuari

Carlo GATTI

 

Rapallo, 12 luglio 2019