NOLI - GROTTA DEI FALSARI
NOLI - GROTTA DEI FALSARI
Escursioni nella Storia...
Si narra che la Grotta dei Falsari, fosse la sede dei traffici di contrabbandieri che in tempi passati tenevano nascosta la propria merce in quel "buco" nella roccia. Di qui, la nascita del nome.
La Grotta dei Falsari, nota anche come Grotta dei Briganti o Antro dei Falsari, si trova tra Noli e Varigotti, lungo la “Passeggiata Dantesca” e il “Sentiero del Pellegrino”, ed è una delle più belle escursioni del Ponente Ligure. Si tratta di un percorso che sale dolcemente, con lieve dislivello che regala panorami mozzafiato sulla costa Ligure, alternando il verde della macchia mediterranea e il blu zaffiro del mare. L’origine della Grotta dei Falsari è dovuta ad una lenta e costante azione erosiva esercitata dal mare milioni d’anni fa, quando le terre oggi emerse si trovavano al di sotto del livello del mare.
NOLI
NOLI - L’Antro o Grotta dei Falsari o dei Briganti è una spettacolare “finestra sul mare” di Capo Noli.
La Grotta dei Falsari a Noli, oltre ad essere nota per la sua bellezza naturale, è legata ad una storia di pirateria ed altre attività illegali che erano protette dalla natura impervia e difficile da raggiungere. Si narra quindi che fosse un luogo di incontro e deposito per i contrabbandieri che la usavano per nascondere la loro merce. La grotta, conosciuta anche come "Grotta dei Briganti", testimonia questo passato, rendendola un luogo affascinante in cui si respira aria di mistero che attraversa secoli di storia ancora da raccontare...
Qui decise di fare anche il suo “eremo” il famoso Capitano “lupo di mare” Enrico Alberto d’Albertis: una bella casa in stile coloniale a forma di cabina di nave con l’albero per l’alzabandiera, piante esotiche, voliera di uccelli rari…) ed oggi è uno dei Luoghi abbandonati in una delle posizioni più belle di tutta la Liguria…(foto sotto).
Genova - Castello D'Albertis
Museo delle Culture del Mondo
Genova
D’ALBERTIS – Marinaio gentiluomo
https://www.museidigenova.it/it/castello-dalbertis-museo-delle-culture-del-mondo
Sentiero del Pellegrino: Chiesa di San Lorenzo Medievale. Della primitiva struttura altomediovale sopravvivono frammenti di età bizantina murati nelle pareti. Una parte molto antica, forse di età preromana, è costituita dall'abside quadrata con monofore di mattoni ad arco ribassato. Il fronte verso il mare, con le due porte principali a sesto acuto è di epoca gotica.
Torre delle streghe
Eretta nel 1582 come torretta di guardia per arginare gli sconfinamenti di Varigotti nei territori di Noli, fedele a Genova. Varigotti protestò con gli spagnoli chiedendone la demolizione che non fu eseguita. In seguito la torre prese il nome di "Torre delle streghe" come scherno nei confronti delle donne di Varigotti.
Sentiero del Pellegrino: Varigotti - Monte di Capo Noli (Semaforo) - Grotta dei Briganti (Antro dei Falsari) - Noli
Il sentiero che porta alla Grotta si snoda pure lungo una delle Vie della Fede dei Pellegrini in Liguria sul quale si trovano alcune chiese dalle quali si hanno spettacolari scorci panoramici sulla costa.
Nella filosofia greca la grotta è considerata come metafora del mondo materiale. Nel “mito della caverna”, Platone la identifica come il mondo dell'ignoranza, in cui le anime degli uomini sono imprigionate e percepiscono la luce riflessa di una realtà raggiungibile solo attraverso la mente e lo spirito.
L'origine della Grotta dei Falsari è dovuta ad una lenta e costante azione erosiva esercitata dal mare milioni d'anni fa, quando le terre oggi emerse si trovavano al di sotto del livello del mare. Il panorama è da togliere il fiato.
Il mare dell'ammiraglio Nelson
NOLI, in Liguria, è storicamente collegata all'ammiraglio inglese Horatio Nelson grazie alla battaglia di Capo Noli, combattuta nel 1795. Questa battaglia segnò la prima vittoria navale di Nelson, e un tesoro recuperato recentemente potrebbe essere collegato a una delle navi francesi sconfitte.
La fin du Ca-Ira, par Pierre Villié, directeur de fouille
Possiamo anche qui ricordare che La battaglia di Capo Noli fu uno scontro navale combattuto nel 1795 al largo della costa di Noli, tra le navi da guerra francesi comandate dall'ammiraglio Pierre Martin e le navi da guerra britanniche e napoletane comandate dal contrammiraglio William Hotham. La battaglia si concluse con la vittoria degli anglo-napoletani sui francesi. Le navi francesi Ça Ira e Censeur furono catturate dai britannici, la nave britannica Illustrious fu gravemente danneggiata e distrutta dopo la battaglia.
Il mare dell'ammiraglio Nelson: Capo Noli e la Grotta dei Falsari, escursione panoramica.
Malpasso, falesia a picco sul mare
Questo è l'orizzonte ricorrente che contraddistingue per tutta la giornata la vista lungo il Sentiero del Pellegrino, splendido itinerario che sale verso le alte pareti calcaree del Malpasso. Dopo la visita del singolare borgo saraceno di Varigotti, si guadagna quota verso Punta Crena e la Chiesa di San Lorenzo, appartenuta all’ordine benedettino.
Questo gioiellino ha un'abside con lunghe monofore dell’VIII secolo; la sacrestia e il piccolo campanile a vela risalgono invece al periodo compreso tra il XII e il XIV secolo.
IL MAUSOLEO CERISOLA
Ritornati sul sentiero principale, si incontra il Mausoleo Cerisola, dove il mare è il tema ricorrente di curiose decorazioni.
Sul sentiero del Pellegrino, poco prima di giungere a Varigotti, si costeggia un muretto colorato, con salvagenti, scritte e ritagli di giornali, in italiano e in inglese: il Mausoleo Cerisola.
Giuseppe Cerisola, detto Beppino, nacque a Varigotti nel 1914. Imbarcato a Singapore, fu fatto prigioniero dagli Inglesi nella Seconda Guerra Mondiale e fu trasportato in Australia nei campi di lavoro.
Terminata la guerra, rientrò a Varigotti ma, scoprendo l’amata fidanzata sposata con figli, tornò nel continente australiano dove rimase per trent’anni.
Cerisola o il Carnera
Amante del mare e provetto nuotatore, salvò molte persone dal mare in burrasca, tanto che gli valse il soprannome di Uomo dei Sette mari, inoltre per questa sua abilità e coraggio ricevette una medaglia d’oro a Noli nel 1976.
Fu soprannominato Carnera invece per la sua prestanza fisica.
Giunta l’epoca della pensione, ritornò a Varigotti stabilendosi dalla madre.
Di carattere cupo, ombroso, coltivò le sue passioni. Il mare, innanzitutto, nuotando fino alla fine e sempre a scrutare tra le onde alte se c’era qualche nuotatore incauto in difficoltà, e l’orto.
Una seconda breve deviazione consente di ammirare dall'alto la spiaggia della poderosa colonna calcarea del Malpasso, alta più di 250 metri, su quel mare dove un tempo si trovava il porto naturale di Varigotti, interrato dai genovesi ai tempi delle lotte con i marchesi Del Carretto.
Superata la torretta genovese del 1582 si raggiunge un altro suggestivo scorcio sul mare.
Tappe successive sono la protoromanica chiesetta di Santa Margherita, una delle più antiche della Liguria (sec. X-XI), alla quale era annesso un ospizio dove i monaci Lerinensi offrivano rifugio e conforto a pellegrini e viandanti.
Altro elemento architettonico di rilievo, seppure caduto in rovina, è San Lazzaro e l'annesso lazzaretto, fondato nel XII secolo dai Cavalieri di Rodi (Foto sopra). Qui venivano curati i naviganti appestati di ritorno dagli scali di Levante (dalla fine del 1600 venivano messi in quarantena nel castello Ursino). Nella tappa finale del nostro itinerario escursionistico lo spazio è concesso solo alla storia: Noli ricorda il profilo glorioso della V Repubblica Marinara.
NOLI
REPUBBLICA MARINARA DAL 1192 AL 1797
https://www.marenostrumrapallo.it/noli/
Carlo GATTI Rapallo, 4 Dicembre 2014
Carlo GATTI
Rapallo, Mercoledì 11 Giugno 2025
GIORNATA MONDIALE DEGLI OCEANI 2025
GIORNATA MONDIALE DEGLI OCEANI 2025
Introduzione di Carlo Gatti
"L'8 Giugno celebriamo la Giornata Mondiale degli Oceani, un evento cruciale per ricordare l'importanza vitale degli oceani per l'umanità e il pianeta. Gli oceani, veri e propri polmoni blu del nostro pianeta, producono il 50% dell'ossigeno che respiriamo, regolano il clima e ospitano una biodiversità straordinaria.
Tuttavia, sono sottoposti a una crescente pressione antropica: inquinamento da plastica, surriscaldamento, acidificazione delle acque e perdita di biodiversità minacciano seriamente questo ecosistema fondamentale.
La Giornata Mondiale degli Oceani ci ricorda l'urgenza di agire per proteggere gli oceani, non solo per la loro intrinseca bellezza, ma per la nostra stessa sopravvivenza.
Il loro valore economico è immenso – dal turismo alla pesca, all'assorbimento di CO2 – ma è a rischio. Dobbiamo promuovere politiche di gestione sostenibile delle risorse marine e contrastare gli impatti negativi dell'attività umana, per garantire un futuro sano per gli oceani e per le generazioni a venire."
Riteniamo che l’argomento “OCEANI” sia troppo importante per essere sottovalutato o addirittura ignorato. Questo è il motivo per cui riportiamo interamente il testo ufficiale che è stato diffuso in tutto il mondo!
Giornata Mondiale degli Oceani 2025: il valore del mare tra ambiente, economia e futuro. La Giornata Mondiale degli Oceani si celebra l'8 giugno.
LA GRANDE BELLEZZA
Promossa dalle Nazioni Unite, l’edizione di quest’anno ha come tema Wonder: Sustaining What Sustains Us (Meravigliarsi di ciò che ci sostiene, per imparare a proteggerlo). L’iniziativa vuole richiamare l’attenzione sull’importanza vitale degli oceani per il nostro pianeta: regolano il clima, producono oltre la metà dell’ossigeno che respiriamo, assorbono anidride carbonica, proteggono le coste e offrono cibo e lavoro a più di tre miliardi di persone nel mondo.
L’edizione 2025 della Giornata Mondiale degli Oceani vuole proporre un cambio di prospettiva: nessun allarme, ma un invito a riconoscere il valore reale dell’ecosistema oceano. Se gli avvertimenti non servono a invertire la rotta, la consapevolezza del ruolo che l’oceano svolge per la vita sul pianeta può essere invece il punto di partenza per un impegno più concreto. E quindi per un cambiamento reale.
Sicurezza alimentare e biodiversità sotto pressione
La tutela degli oceani è strettamente legata alla disponibilità di risorse alimentari e alla conservazione della biodiversità marina. Gli ecosistemi oceanici forniscono cibo a miliardi di persone e ospitano una parte significativa delle specie viventi del pianeta. Il loro degrado, causato da inquinamento, pesca eccessiva e riscaldamento delle acque, mette a rischio sia la capacità degli oceani di sostenere la produzione alimentare sia l’equilibrio degli habitat naturali da cui dipende la varietà delle forme di vita marine.
Secondo il rapporto State of World Fisheries and Aquaculture 2024 della Fao, 3,2 miliardi di persone nel mondo dipendono in modo diretto dal pesce come fonte primaria di proteine animali. I prodotti ittici rappresentano il 17% delle proteine animali consumate nel mondo con punte molto più alte in alcune regioni dell’Asia e dell’Africa. Il Living Planet Report 2024pubblicato dal Wwf documenta una riduzione media del 73% delle popolazioni di vertebrati marini negli ultimi cinquant’anni. Inquinamento, sovrasfruttamento delle risorse e aumento delle temperature oceaniche sono le principali cause di un degrado che colpisce non solo gli equilibri ecologici, ma anche le catene di approvvigionamento alimentare.
Ad essere compromessa non è soltanto la varietà biologica, ma anche la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi e mantenere funzioni essenziali. Dati Fao indicano che il 35,4% degli stock ittici globali è oggi sfruttato oltre livelli sostenibili, una quota più che raddoppiata rispetto al 1974, quando era pari al 10%. Il Mediterraneo è una delle aree più critiche: qui oltre il 60% degli stock è sovrasfruttato. In assenza di misure efficaci le conseguenze saranno irreparabili non solo per l’ambiente, ma anche per l’occupazione e la sicurezza alimentare di intere fasce di popolazione.
Composizione della plastica negli oceani per area geografica
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Oceano Pacifico
→46% della plastica totale
→ Principali rifiuti: bottiglie, reti da pesca
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Oceano Atlantico
→24% della plastica totale
→ Principali rifiuti: microplastiche, sacchetti
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Oceano Indiano
→15% della plastica totale
→ Principali rifiuti: contenitori, frammenti
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Oceano Artico
→8% della plastica totale
→ Principali rifiuti: microplastiche
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Oceano Antartico
→ 7% della plastica totale
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La Blue Economy continua a crescere
La protezione degli oceani riguarda anche la tenuta economica di settori strategici per numerosi Paesi. Secondo l’EU Blue Economy Report 2024, nel 2023 l’economia legata al mare (Blue Economy) dell’Unione Europea ha impiegato 3,6 milioni di persone, registrando una crescita del 17% rispetto al 2020. Il valore complessivo generato ha raggiunto i 623,6 miliardi di euro, con un incremento del 21% nello stesso periodo. Le attività principali comprendono pesca, acquacoltura, cantieristica navale, turismo costiero e produzione di energia rinnovabile da fonti marine.
In questo scenario è facile capire perché siano così diffusi i blue bond, strumenti obbligazionari emessi per finanziare progetti legati alla conservazione degli oceani e all’uso sostenibile delle risorse marine. Nel 2024, le emissioni di blue bond sono aumentate del 10,6% rispetto all’anno precedente, e oggi rappresentano lo 0,24% del totale delle obbligazioni sostenibili globali, secondo i dati dell’Intercontinental Exchange (Ice).
Innovazione e tecnologie al servizio della sostenibilità
L’integrazione tra innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale risponde sempre più ai criteri Esg (Environmental, Social, Governance) e diventano un fattore distintivo per investitori istituzionali e soggetti pubblici. La disponibilità di dati accurati e tempestivi consente di migliorare la gestione delle risorse oceaniche e di definire politiche più efficaci in materia di conservazione. Inoltre, tecnologie meno invasive riducono l’impatto delle attività di ricerca sull’ambiente marino e contribuiscono concretamente alla tutela della biodiversità.
L’applicazione dei criteri Esg in ambito “oceanico” si traduce in un vantaggio competitivo per le imprese perché riduce i rischi ambientali e reputazionali, migliora l’accesso a capitali e finanziamenti, favorisce l’innovazione sostenibile e rafforza il posizionamento sul mercato, rispondendo alla crescente domanda di responsabilità ambientale nel settore marittimo.
L’impegno di Etica Sgr per la tutela degli oceani
In occasione della Giornata Mondiale degli Oceani 2025, Etica Sgr riafferma il proprio impegno nella salvaguardia degli oceani, con particolare attenzione alla lotta contro l’inquinamento da plastica, che rappresenta una delle minacce più gravi per la salute degli ecosistemi marini. Non a caso Etica Sgr ha aderito all’iniziativa globale A Line in the Sand – The New Plastics Economy, promossa dalla Ellen MacArthur Foundation, sostenendo la transizione da un modello economico lineare a uno circolare, in cui i prodotti siano progettati per essere riutilizzati, riparati e riciclati, con l’obiettivo di ridurre la produzione di rifiuti e l’impatto sull’ambiente marino.
Etica Sgr è anche tra i firmatari della Plastic Pollution Financial Declaration, sottoscritta da 160 istituzioni finanziarie a livello internazionale. La dichiarazione chiede ai governi l’adozione di un trattato globale e vincolante sull’inquinamento da plastica e promuove misure per affrontare l’intero ciclo di vita dei materiali plastici.
Attraverso il proprio impegno in ambito Esg, Etica Sgr punta a favorire politiche pubbliche e investimenti orientati alla tutela degli oceani, sostenendo la definizione di obiettivi comuni e strumenti finanziari capaci di contribuire concretamente alla riduzione dell’inquinamento e alla protezione della biodiversità marina.
Inquinamento nel Mediterraneo, un “mare di plastica” - Inquinamento da plastica nel mar Mediterraneo: le causa e le soluzioni
L’inquinamento del mare da plastica è una delle emergenze ambientali più gravi dell’epoca moderna. Mari e oceani sono invasi dalla plastica, al punto che si sono formate delle vere e proprie isole: le cosiddette Plastic island o il Great Garbage Patch. Ne esistono cinque: due fluttuano nel Pacifico, due nell’Atlantico e una nell’Oceano Indiano. Enormi piattaforme di inquinamento che galleggiano tra le onde in un’area più estesa di quella di Stati Uniti e India.
L’inquinamento da plastica è un problema globale, tanto che le Nazioni Unite hanno inserito la tutela dei mari tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: è il Goal 14 – Vita sott’acqua. Nell’Agenda 2030 si legge che occorre “conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile”.
Inquinamento del mare da plastica nel Mediterraneo
Nel Mediterraneo non esistono vere e proprie isole di plastica, ma la situazione non è affatto rosea. Il nostro mare è la sesta grande zona per inquinamento da plastica al mondo. I numeri descrivono una vera emergenza: la plastica rappresenta il 95% dei rifiuti nel Mediterraneo e proviene principalmente da Turchia, Spagna, Italia, Egitto e Francia. Nel complesso l’Europa, secondo maggiore produttore di plastica al mondo dopo la Cina, riversa in mare ogni anno tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche e tra le 70 e 130 mila tonnellate di microplastiche. Il Mar Mediterraneo rappresenta l’1% delle acque ma contiene il 7% delle microplastiche marine a livello mondiale.
Gli effetti negativi dell’inquinamento si vedono anche sulla fauna. La maggior parte delle specie marine ingeriscono plastiche o microplastiche. Non c’è una sola specie di tartaruga marina che nuoti nel Mediterraneo senza plastica nello stomaco. Ogni anno un milione e mezzo di animali marini sono vittime della plastica scaricata nei mari.
In Italia cattiva depurazione delle acque e troppa pesca
Nel nostro Paese la situazione è statica da anni: non si vede alcun cambiamento né dal punto di vista legislativo né degli indicatori. La denuncia arriva dal Rapporto ASviS 2018 (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile). In cima alla lista delle cause dell’inquinamento dei nostri mari c’è la cattiva depurazione delle acque e lo scarico illecito di rifiuti sulle nostre spiagge, che riguarda un abitante su quattro.
Ma il Mediterraneo è impoverito anche dalla pesca eccessiva che, sottolinea ASviS, “ha ridotto la produzione in campo alimentare, danneggiato gli ecosistemi e colpito la biodiversità”. Anche in Italia il sovra sfruttamento degli stock ittici ha raggiunto una quota dell’88% secondo i dati 2014. In altre parole, il pesce nel Mediterraneo è in diminuzione.
Nota positiva: le aree protette
In Italia, fortunatamente, non mancano le aree protette. ASviS rileva la notevole ampiezza: oltre 3 mila chilometri di cui il 75% si trova in Sardegna, Sicilia e Toscana. Diversi studi dimostrano che le aree protette sono l’unico modo per rallentare la bio-invasione, che si lega al fenomeno del cambiamento climatico e in particolare all’innalzamento della temperatura delle acque.
Etica Sgr, protagonista nella lotta all’inquinamento da plastica
Anche il sistema finanziario può fare qualcosa per ridurre l’inquinamento da plastica. In Etica Sgr abbiamo deciso di fare la nostra parte promuovendo la blue economy e il progetto “A line in the sand – The New Plastic Economy“. Un accordo globale per eliminare il problema della plastica e salvaguardare la vita negli oceani. Come? Sostenendo il passaggio dalla cosiddetta economia lineare – produco, uso e getto – all’economia circolare, dove ogni prodotto viene prodotto per essere usato, riutilizzato e riciclato, riducendo così al minimo i rifiuti.
Nello specifico le aziende che aderiscono alla campagna si impegnano a eliminare gli imballaggi in plastica problematici o non strettamente necessari attraverso l’innovazione, la riprogettazione e lo studio di nuovi modelli di consegna. Si impegnano inoltre ad applicare modelli di riutilizzo, laddove possibile, per eliminare la necessità di imballaggi monouso. Tra i firmatari dell’accordo, ricordiamo, ci sono numerose aziende multinazionali che producono il 20% di tutti gli imballaggi di plastica prodotti nel mondo.
Giornata mondiale degli Oceani 2024: il polmone blu della Terra
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Giornata mondiale degli Oceani 2024, gli oceani rappresentano il polmone del nostro Pianeta. Producono il 50% dell’ossigeno presente sulla Terra e hanno contribuito ad arginare, fino a ora, i cambiamenti climatici estremi, fungendo da equilibratore naturale. Negli ultimi vent’anni hanno assorbito enormi quantità di anidride carbonica, pari a circa il 25% di quella prodotta, e il 90% del calore immesso in atmosfera.
Che cos’è la Giornata mondiale degli Oceani?
La Giornata mondiale degli Oceani si celebra l’8 giugno ed è un evento che vuole portare all’attenzione di cittadini, enti e istituzioni l’importanza degli oceani e il ruolo fondamentale che svolgono negli equilibri della vita sulla Terra. Gli oceani sono infatti ecosistemi straordinariamente ricchi e ancora parzialmente inesplorati, soggetti tuttavia a una forte pressione antropica che rischia di metterne a repentaglio la biodiversità.
Gli oceani sono fonte di cibo, energia e lavoro per gli esseri umani. Coprono tre quarti della superficie terrestre dando ospitalità alla più grande biodiversità di specie animali e vegetali. Regolano anche la temperatura terrestre rendendo possibile la vita sulla Terra. La nostra salute e i cambiamenti climatici sono indissolubilmente legati alle grandi distese marine: per questo occorre salvaguardarle.
Come nasce
L’8 giugno del 1992 il vertice sull’ambiente di Rio de Janeiro decise di istituire questa giornata come monito sui rischi legati allo sfruttamento dell’ambiente marino e come auspicio per interventi mirati sul medio e lungo periodo. Dal 2008 la Giornata è riconosciuta anche dalle Nazioni Unite. Vi partecipano oltre 140 Paesi che si impegnano a considerare l’importanza degli oceani e a studiare opportune iniziative a loro tutela.
Perché è importante
Il 70% della superficie terrestre è costituita da acqua. Sono migliaia le specie di animali e di piante che vivono in ambienti marini e che richiedono tutela, alla stregua delle specie terricole. Non solo, gli oceani regolano la temperatura terrestre rendendo possibile la vita sulla Terra. La nostra salute e i fenomeni climatici sono quindi legati alle grandi distese marine, che oggi soffrono dei danni causati dall’inquinamento e dalla dispersione di plastiche e microplastiche.
Il tema del 2024 | Awaken New Depths (Risvegliare nuove profondità)
L’oceano sostiene l’umanità e tutta la vita sulla Terra. Anche se sappiamo poco dell’oceano rispetto alla sua immensa vastità – abbiamo esplorato solo circa il 10% delle sue profondità – conosciamo le conseguenze delle azioni antropiche sulla salute dei mari. Ogni anno l’umanità continua a prendere decisioni rischiose e miopi che aumentano il rischio di rovina per l’oceano (abbiamo visto la campagna di Etica contro l’estrazione dai fondali marini, per fare un esempio) e, di conseguenza, per noi stessi. Per dare vita ad un ampio movimento a favore dell’oceano, la Giornata vuole risvegliare nuove profondità di consapevolezza e azione.
Promossa da un Consiglio consultivo dei giovani composto da 25 leader giovanili provenienti da 21 paesi, la Giornata mondiale degli oceani 2024 unisce il mondo per celebrare il ‘Pianeta blu’ e intraprendere azioni collettive per un oceano sano e un clima stabile. Sono previste decine di migliaia di attività, celebrazioni e altri eventi. Insieme, queste azioni coinvolgeranno milioni di persone in oltre 150 paesi.
La leadership giovanile è una caratteristica fondante di questa giornata. “Come giovani sostenitori del clima, possediamo la chiave per la sua protezione. Attraverso la nostra azione collettiva, passione e dedizione, possiamo proteggere i nostri oceani e combattere il cambiamento climatico per un futuro più sostenibile. Abbiamo il potere di potenziare e amplificare le nostre voci come giovani in tutto il mondo per influenzare e creare un impatto per la risorsa più preziosa del nostro pianeta blu: il nostro oceano! ” – ha affermato Leena Joshi(India), durante il lancio della giornata di quest’anno.
Ha aggiunto Maria Jose Rodriguez Palomeque (Messico): “i giovani, soprattutto quelli provenienti da comunità vulnerabili, sono voci essenziali nella creazione di soluzioni climatiche per proteggere l’oceano. Ignorare le loro voci significa ignorare il nostro futuro. I giovani meritano di essere riconosciuti come soggetti politici”.
Per la Giornata Mondiale degli Oceani 2024 in Italia si svolgeranno conferenze, dibattiti, proiezioni cinematografiche, mostre fotografiche, eventi sportivi, pulizie delle spiagge e delle coste, laboratori educativi per tutte le età e molto altro ancora.
L’importanza degli oceani
Gli oceani producono metà dell’ossigeno che respiriamo e sono una fonte diretta di cibo per un miliardo di persone, oltre a rappresentare anche un’importante fonte di energia e di lavoro. Ma i vantaggi per l’uomo non si fermano qui. Il legame è così stretto che stupisce non sia mai stato messo abbastanza in rilievo: se il mare è vivo vive anche l’uomo, se il mare è in sofferenza lo siamo anche noi.
Il valore economico degli oceani
Come tutte le risorse anche gli oceani hanno un “valore economico”. Secondo un report del WWF (Reviving the Ocean Economy: The case for action – 2015) gli oceani – con la pesca, il turismo, le rotte di navigazione e le attività costiere – sono un soggetto economico da 24 mila miliardi di dollari, al settimo posto tra le principali economie mondiali.
Nel 2010, il prodotto economico delle industrie marittime e oceaniche era di circa 1,5 miliardi di dollari, rappresentando il 2,5% del valore aggiunto lordo mondiale e impiegando circa 31 milioni di persone. Entro il 2030, si prevede che questo valore potrebbe raddoppiare, con un aumento significativo nei settori dell’acquacoltura marina, dell’energia eolica offshore e della cantieristica navale.
Nel 2016 gli scienziati del NOAA, ente governativo statunitense per le risorse oceaniche e atmosferiche, si sono spinti a calcolare il valore di alcune aree marine. Quella, immensa, compresa tra la costa occidentale degli Stati Uniti, le isole Hawaii e il Perù, è stimata in 17 miliardi di dollari. E gli introiti da pesca commerciale rappresentano solo una quota marginale, dovendosi conteggiare nel valore complessivo anche le altre attività e, soprattutto, il naturale assorbimento di carbonio da parte delle acque, che da solo vale circa 13 miliardi di dollari.
La “Blue Economy” offre anche opportunità di investimento sostenibile, come i Blue Bond, strumenti finanziari che raccolgono capitale per progetti marini e oceanici, mirati a migliorare la salute degli oceani e a promuovere pratiche ecologiche.
Perché gli Oceani sono a rischio
Insomma, una ricchezza enorme. Che però viene messa sempre più a rischio dallo sfruttamento intensivo e dai cambiamenti climatici. L’inquinamento, il riscaldamento dei mari e l’acidificazione delle acque, insieme alla perdita di biodiversità (crollata del 39% tra 1970 e 2010) sono i principali rischi a cui è sottoposto il grande involucro liquido che ricopre gran parte della Terra.
Plastica e inquinamento
È stato calcolato che ogni anno in tutto il mondo vengono riversati in mare dai 4 ai 12 milioni di tonnellate di plastica. Come segnala l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, nel solo mare Mediterraneo vengono gettati più di 200.000 tonnellate di plastica all’anno, cioè il contenuto di oltre 500 container. Il risultato è che a livello mondiale la plastica rappresenta l’80% dei rifiuti presenti negli oceani, dalle acque superficiali giù giù fino ai fondali marini. Tra le fonti di inquinamento non mancano gli scarichi urbani e industriali, che immettono nell’ambiente sia sostanze organiche sia materiali non degradabili come metalli pesanti e particelle radioattive. Si stima che entro il 2040 ci saranno circa 700 milioni di tonnellate di plastica negli oceani.
Surriscaldamento
Per il settimo anno consecutivo nel 2022 il riscaldamento degli oceani ha registrato temperature in costante aumento, con il Mediterraneo a fare da capofila tra i bacini in cui il fenomeno è più evidente. Incrementi che, uniti a livelli sempre più elevati di salinità e a una maggiore separazione dell’acqua in strati, possono compromettere il naturale scambio tra la superficie e le zone più profonde, alterando così gli spostamenti delle specie ittiche.
Acidificazione delle acque
L’acidità degli oceani è un fenomeno naturale dovuto all’assorbimento dell’anidride carbonica atmosferica. Ma se le concentrazioni di CO2 aumentano, anche l’acidificazione subisce un incremento, con conseguente riduzione di altre sostanze minerali necessarie alla sopravvivenza degli organismi marini.
L’acidità media superficiale, rimasta stabile per milioni di anni, ha subito un’accelerazione del 26% negli ultimi 150 anni. In assenza di interventi specifici, il dato potrebbe aumentare del 150% entro il 2100.
Le principali politiche per preservare gli oceani
Una gestione sostenibile delle risorse marine richiede un radicale cambiamento di approccio, che coinvolga le politiche dei Paesi rivieraschi e le numerose industrie di settore.
Nel febbraio 2022 il vertice One Ocean, tenutosi a Brest, è stato uno degli eventi più importanti nell’ambito del decennio ONU delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile. La Commissione Europea ha fornito il suo contributo presentando tre iniziative:
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una coalizione internazionale per proteggere la biodiversità marina nelle zone non soggette a giurisdizione nazionale;
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un progetto informatico che consenta ai ricercatori di creare simulazioni digitali degli oceani del mondo;
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una missione di ricerca UE per migliorare le condizioni degli oceani entro il 2030.
L’approccio è stato ribadito nel corso della successiva Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, tenutasi a Lisbona, che ha condotto nel marzo di quest’anno alla sottoscrizione del cosiddetto Trattato d’alto mare, un fondamentale accordo che prevede la creazione di aree marine protette in acque internazionali e l’obbligo di valutazione di impatto ambientale per le attività in alto mare.
Scopri l'impegno di Etica per la salvaguardia degli oceani
Per salvaguardare i nostri oceani dall’inquinamento da plasticaabbiamo sottoscritto, insieme a 160 istituzioni finanziarie internazionali provenienti da 29 Paesi, un accordo per invitare i governi di tutto il mondo a sostenere il settore finanziario nell’adozione di misure per combattere l’inquinamento da plastica e creare un trattato storico e ambizioso che tenga conto delle sfide e dei costi associati a questo problema globale. Il Finance Statement on Plastic Pollution sollecita i governi a concordare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante (ILBI – International Legally Binding Instrument), supportato da regole vincolanti e obblighi per gli Stati per gestire l’intero ciclo di vita della plastica e porre, fine all’inquinamento derivante da questo materiale.
La Blue economy è decisiva per un futuro sostenibile
HOME APPROFONDIMENTI LA BLUE ECONOMY È DECISIVA PER UN FUTURO SOSTENIBILE
La Blue economy, l’economia che ruota intorno agli oceani, ai mari e ai fiumi, è decisiva per un Green Deal europeo all’insegna della sostenibilità. Il settore della finanza e l’economia blu a basso impatto ambientale sono indispensabili per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e per contrastare i cambiamenti climatici
È quanto emerge dall’ultimo rapporto della Commissione Europea, il quarto “Blue Economy Report” pubblicato nel mese di giugno.
Oceani e mari in salute sono la precondizione per la blue economy sostenibile
Preservare l’ambiente marino è indispensabile per la blue economy secondo Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal.
«L’inquinamento, la pesca eccessiva e la distruzione degli habitat, insieme agli effetti della crisi climatica, minacciano la ricca biodiversità marina da cui dipende la blue economy. Dobbiamo cambiare rotta e sviluppare un’economia sostenibile in cui la protezione dell’ambiente e le attività economiche vadano di pari passo».
Blue economy in Europa, 4,5 milioni di persone occupate e 650 miliardi di euro di fatturato
I dati pre-pandemia raccolti da Eurostat ed elaborati dalla Commissione Europea ci dicono che la blue economy impiega almeno 4,5 milioni di persone nella sola Europa. Il comparto genera ben 650 miliardi di euro di fatturato e 176 miliardi di euro di valore aggiunto lordo, con un utile lordo 68 miliardi di euro. In Italia, trainata dal turismo costiero, dà già lavoro a oltre 390.000 persone e genera circa 19,7 miliardi di euro di valore aggiunto al PIL nazionale.
I settori coinvolti nella blue economy, individuati dalla UE, riguardano la preservazione delle risorse marine viventi e non viventi, l’energia rinnovabile ricavata dal mare, le attività portuali. Ma anche tutto il comparto navale, dalla costruzione ai trasporto marittimo. Fino al turismo costiero, alla pesca e all’acquacoltura. Negli ultimi anni, all’interno dei vari settori industriali, secondo il report della Commissione UE, tutto ciò che è sviluppato all’insegna della totale sostenibilità ambientale, è in forte crescita. L’energia delle onde e delle maree, la produzione di alghe, lo sviluppo di attrezzi da pesca innovativi, il ripristino degli ecosistemi marini creeranno nuovi posti di lavoro e imprese verdi nell’economia blu.
Quali sono i settori produttivi della blue economy?
Tra i principali comparti emergenti e innovativi ci sono proprio quelli legati alla produzione di energia rinnovabile marina. Cioè l’energia ricavata in oceano. Dall’eolico offshore ai pannelli fotovoltaici galleggianti, il cosiddetto “solare flottante”. Tecnologie che permettono di raccogliere in modo pulito l’energia necessaria per gli elettrolizzatori, in grado di scindere le molecole di idrogeno e ossigeno e quindi produrre l’idrogeno verde, quello prodotto a partire da fonti esclusivamente rinnovabili. Rientrano nell’economia blu, di conseguenza, la ricerca e lo sviluppo delle infrastrutture marine legate alle comunicazioni e all’energia, come la posa dei cavi sottomarini che richiede, a sua volta, lo sviluppo della robotica. All’energia rinnovabile marina l’UE ha già dedicato una vera e propria strategia di sviluppo. Insieme a quella per l’energia rinnovabile offshore, che dovrebbe portare ad un aumento della capacità eolica offshore da 12 GW a 300 GW entro il 2050.
Altrettanto fondamentale resta la bioeconomia, legata soprattutto alle produzioni biologiche ittiche e algali, le biotecnologie. Solo il settore biologico ha ottenuto profitti lordi per 7,3 miliardi nel 2018, un aumento del 43% in più rispetto al 2009, con un fatturato che ha raggiunto i 117,4 miliardi di euro, il 26% in più rispetto al 2009. Da solo, il nuovo settore delle alghe marine si è rivelato davvero notevole. Anche se i dati socio-economici recenti sono disponibili solo per un numero limitato di Stati membri (Francia, Spagna e Portogallo), il fatturato registrato nel 2018 ammonta a 10,7 milioni di euro. Poiché il cambiamento climatico sta portando a estati più calde e secche, alcuni Paesi devono garantire l’approvvigionamento idrico e quindi hanno investito nella desalinizzazione. Attualmente ci sono 2.309 impianti di desalinizzazione operativi nell’UE che producono circa 9,2 milioni di metri cubi di acqua potabile al giorno.
L’energia degli oceani e la formazione indispensabili per la transizione ecologica
Ma non bastano solo le soluzioni tecnologiche. Per guidare il processo al cambiamento occorre investire in formazione. La blue economy richiede nuove competenze. A oggi già il 17-32% delle aziende sta registrando carenze di competenze e di personale tecnico adeguatamente formato, specie nell’ambito dell’energia rinnovabile offshore. Fattore che richiede l’intervento degli Stati membri e di investimenti sia in ricerca ma anche nella formazione dei futuri giovani lavoratori. O per riqualificare coloro che sono ancora impiegati nel comparto fossile.
Il valore del capitale naturale: i servizi ecosistemici
Per la Blue Economy è fondamentale quantificare i costi e l’impatto dell’inquinamento, che rischia di esaurire il capitale naturale blu, così come di calcolare i benefici economici, ambientali e di benessere derivanti dalla loro conservazione. Sono le aree naturali che presentano vantaggi per la qualità della vita dei cittadini, che assicurano, attraverso la cura dei residenti, la salvaguardia della natura nonché la tutela della terra, della costa, del mare e la conservazione del paesaggio. L’insieme di queste esternalità positive per l’ambiente, corrisponde ai cosiddetti “servizi ecosistemici“.
Il valore dei servizi ecosistemici in Europa è stimato pari a migliaia di miliardi di euro l’anno.
Un patrimonio inestimabile che va protetto e curato ma che, per esempio, con l’innalzamento del livello dei mari e l’erosione delle coste, comporta una perdita stimata di almeno 15 miliardi di euro ogni anno. Gli esperti della Commissione UE hanno calcolato che la perdita dell’1-1,3% di terra e acque interne sommerse porterebbe al declino del 4,3-5,4% del valore dei loro servizi ecosistemici. Dai 360 a 341-344 miliardi di euro all’anno.
Attualmente, però alcuni settori importanti non sono ancora a impatto zero. Vero è che le emissioni di CO2 provenienti dalle flotte pescherecce dell’UE sono diminuite del 18% dal 2009 e il 2018. E l’impatto del pesce e dei prodotti del mare in relazione al cambiamento climatico, rispetto alle altre fonti proteiche nella dieta dei cittadini europei, ha un impatto inferiore rispetto alla carne. Ma ciò non è ancora sufficiente.
Per la UE, l’economia blu è indispensabile per raggiungere gli obiettivi del Green Deal
La Commissione Europea, anche alla luce delle conclusioni del “Blue Economy Report”, ha condiviso un approccio ancora più radicale, aggiornando la road map pubblicata nel 2012 e ribadendo come lo sviluppo di “un’economia blu sostenibile è essenziale per raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo e garantire una ripresa verde e inclusiva dalla pandemia”.
Per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica, le linee di indirizzo della Commissione Europea indicano, oltre che sviluppare l’energia rinnovabile offshore, la decarbonizzazione del trasporto marittimo. Il mix di energia oceanica sostenibile che includa l’energia eolica, termica, quella prodotta dalle onde e dalle maree, potrebbe generare un quarto dell’elettricità dell’UE nel 2050. I porti, sottolineano gli esperti della UE, sono cruciali per la connettività e l’economia delle regioni e dei paesi europei e potrebbero essere utilizzati come hub energetici: porti più verdi, completamente slegati dall’economia fossile.
Investire in natura: investire in economia sostenibile
Non ci può essere una vera blue economy senza un’economia circolare e una riduzione dell’inquinamento, ribadiscono gli esperti. Servono, quindi, standard rinnovati per la progettazione degli attrezzi da pesca, per il riciclaggio delle navi, per lo smantellamento delle piattaforme offshore. Azioni concrete per ridurre l’inquinamento da plastica e microplastica. Occorre “investire sulla natura”: preservare almeno il 30% della superficie marina dell’UE invertirà la perdita di biodiversità, aumenterà gli stock ittici, contribuirà alla mitigazione del clima e alla resilienza, e genererà significativi benefici finanziari e sociali.
L’innalzamento del livello del mare e degli oceani, il surriscaldamento particolarmente aspro per il continente europeo, pongono la sfida dell’adattamento climatico per tutte le aree costiere. Attività di tutela che passano attraverso la protezione dei litorali dal rischio di erosione e inondazioni attraverso infrastrutture verdi, indispensabili per tutelare turismo e l’economia costiera. Con l’adozione delle linee guida strategiche dell’UE per l’acquacoltura sostenibile, la Commissione si è anche impegnata a far crescere linee di produzione alimentari a minor impatto sull’ambiente. La tutela del mare passa, ricordano gli esperti europei, anche attraverso la gestione degli spazi marittimi, conseguenza dei piani nazionali di ciascun Stato membro. Un rapporto sull’attuazione della direttiva UE sulla pianificazione dello spazio marittimo sarà pubblicato nel 2022, rende noto la Commissione.
Con un valore economico annuale stimato in 2,5 trilioni di dollari, equivalente alla settima economia più grande del mondo, l’economia blu sta attraendo sempre più investitori, assicuratori, banche e politici come nuova fonte di prosperità.
Gli oceani, i mari, l’ambiente e gli uomini non si possono permettere altre perdite di capitale naturale che corrisponderebbero ad ingenti perdite anche economiche. Anche per questo il ruolo della comunità finanziaria è ancora più importante, oggi, ricorda ancora la Commissione Europea, individuando linee guida per la finanza blu, nel guidare gli investimenti davvero sostenibili.
Blue deal europeo, come l’Europa combatte la povertà idrica
L’acqua, risorsa indispensabile per la vita e per l’economia, rappresenta una delle sfide sul fronte della sostenibilità e della transizione green che maggiormente dovrebbe attrarre l’attenzione degli investitori. Per questo motivo, da tempo, si parla della realizzazione di un Blue Deal che, alla stregua del Green Deal e in stretta correlazione con esso, dovrebbe regolamentare e pianificare a livello europeo tutte le iniziative per la salvaguardia dell’oro blu.
I punti chiave del progetto Blue Deal fra etica ed economia
Alla fine del 2023 il CESE, Comitato economico e sociale europeo, ha redatto 15 principi guida e 21 azioni che sono contenute nella Dichiarazione per un Blue Deal europeo. L’attenzione è rivolta in particolare alle perdite d’acqua nelle reti e agli sprechi in agricoltura, industria e famiglie. L’obiettivo dichiarato è quello di anticipare i bisogni, di preservare e gestire adeguatamente le risorse idriche comuni nel breve, medio e lungo termine.
Il CESE invita le istituzioni europee e gli Stati membri a riconoscere l’acqua come una priorità strategica nel periodo di programmazione 2028-2034. Il documento, però, oltre a mettere nero su bianco la necessità della realizzazione di una vera e propria politica europea dell’acqua, pone l’accento sullo stretto legame fra risorse idriche e diritti sociali dimostrando una particolare attenzione per gli aspetti di sostenibilità sociale nel combattere la povertà idrica.
Inoltre, nella consapevolezza del valore economico di questa risorsa, il Blue Deal riconosce l’importanza che questo progetto sia accompagnato da un “piano di finanziamento altrettanto ambizioso”, attraverso un Blue Transition Fund che finanzi infrastrutture idriche resilienti e sostenibili, la ricerca e l’adozione di tecnologie innovative e iniziative che puntino a ridurre le disuguaglianze nell’accesso a servizi idrici e igienico-sanitari. È forte la necessità di trovare un “mirabile equilibrio”, esattamente come nel Green Deal, fra sostenibilità ambientale e interessi economici, “in quanto le diverse industrie hanno esigenze e opportunità diverse in materia di acqua”.
Questi i principi guida del “Patto Blu” dell’UE:
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Tutte le politiche dell’UE devono essere allineate con la nuova politica idrica europea, basandosi su dati idrici aggiornati, accurati e accessibili.
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La protezione e il ripristino degli ecosistemi, delle zone umide e della biodiversità devono essere parte essenziale del Patto Blu.
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L’UE deve adottare un approccio basato sull’acqua come diritto umano e combattere la povertà idrica, riconoscendo il diritto a un ambiente sano come diritto umano fondamentale.
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I servizi di acqua, igiene e sanificazionedevono essere sostenibili, equi, di alta qualità e accessibili a tutti, con priorità ai bisogni fondamentali in caso di crisi idrica.
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Tutti gli utenti devono essere incentivati ad adottare soluzioni sostenibiliper l’uso e il consumo dell’acqua.
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L’UE deve sostenere lo sviluppo di tecnologie per l’efficienza idrica, il riciclo e la riduzione dell’inquinamento.
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Le perdite d’acquadovute a perdite nelle reti e sprechi devono essere significativamente ridotte.
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L’agricoltura, essendo sia causa che vittima della scarsità d’acqua, deve avere accesso a risorse idriche di qualità e una gestione sostenibile per una produzione alimentare adeguata nell’UE
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Dato il legame tra energia, acqua e materie prime critiche, l’acqua deve essere considerata un elemento fondamentale della strategia industrialedell’UE.
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È necessario un approccio settoriale poiché le diverse industrie hanno esigenze idriche specifiche. Il principio di non danneggiamento (no-harm principle) deve essere combinato con il diritto delle attività economiche di consumare acqua.
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Deve essere garantita la disponibilità di lavoratori qualificatie specializzati, preservando la competitività delle aziende europee.
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Una politica idrica ambiziosa richiede un piano di finanziamentoaltrettanto ambizioso. Prezzi, costi e tasse dell’acqua devono essere equi e trasparenti, basati sul principio del recupero totale dei costi.
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L’UE deve intensificare gli sforzi in diplomazia blu e integrare l’acqua nella politica esterae nelle relazioni esterne, compresi vicinato, commercio e sviluppo. Uno degli obiettivi principali della diplomazia blu dovrebbe essere migliorare il quadro dei trattati ONU sulle questioni idriche e implementare rapidamente gli accordi internazionali.
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È essenziale sviluppare politiche internazionali per promuovere l’uso parsimonioso ed efficiente dell’acqua in tutti i settori, ridurre l’inquinamento delle acque sotterranee e superficiali e ripristinare le acque inquinate.
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Il Patto Blu dell’UE richiede una governance adeguatadelle risorse idriche dolci, comprese le acque sotterranee. Il CESE chiede un approccio di bacino idrografico che coinvolga tutti gli stakeholder rilevanti.
Il mare, una risorsa strategica per la transizione verde
Mentre si parla di come tutelare la risorsa “acqua dolce”, l’Europa sembra aver ben chiara l’importanza economica del suo mare. Il dato emerge dall’ultima edizione del Blue Economy Report, la ricerca che l’UE dedica alle attività economiche basate o collegate all’oceano, ai mari e alle coste. L’economia del mare in Europa impiega 3,6 milioni di persone (+17% rispetto al 2020), garantisce un fatturato di 624 miliardi di euro l’anno (+21% rispetto al 2020) e rappresenta 171 miliardi di euro di Val, ovvero di Valore aggiunto lordo (+35% rispetto al 2020)
Il report ha messo in evidenza che l’Europa si conferma una meta turistica marina per definizione tanto che proprio questa voce risulta la più importante e pesa per il 29% sul totale del valore aggiunto occupando il 54% dell’intera forza lavoro della blue economy. Al secondo posto si conferma il trasporto marittimo che in termini di fatturato genera quasi un quarto dell’intero valore del comparto. Spicca negli ultimi anni il settore delle energie rinnovabili marine con un trend di crescita costante e profitti lordi stimati nell’ordine dei 2,4 miliardi di euro.
Infine, ottime performance anche nel settore delle risorse biologiche marine (pesca, acquacoltura, lavorazione e distribuzione dei prodotti ittici), che ha registrato un incremento del 24% rispetto al 2020.
La blue economy alla ricerca di resilienza
La nuova edizione del rapporto illustra anche i potenziali impatti dei cambiamenti climaticisull’economia blu lungo le coste dell’UE. In particolare, emerge che se i livelli attuali di protezione costiera non verranno aumentati, i danni economici annuali derivanti dalle inondazioni costiere potrebbero essere compresi tra 137 e 814 miliardi di euro entro il 2100. Lo studio, inoltre, mette in evidenza il contributo che l’economia marina è in grado di offrire concretamente alla strategia di transizione energetica grazie ai passi avanti compiuti nello sviluppo dell’energia derivante dalle onde, dalle maree e dall’energia eolica offshore.
Notizie meno positive per la flotta peschereccia dell’UE poiché il rapporto mostra come, nonostante una diminuzione del 25% del consumo di carburante e delle emissioni di CO2 registrata tra il 2009 e il 2021, l’efficienza del carburante sia peggiorata negli ultimi anni a causa dell’aumento dei prezzi dei combustibili. Su questo fronte, però, si segnala il “varo” a fine 2023 del Regolamento marittimo FuelEU, parte integrante del pacchetto “Fit for 55” che punta a ridurre le emissioni di gas serra nell’Unione del 55% rispetto al 1990 entro il 2030.
Italia, il contributo allo sviluppo della blue economy
All’interno dell’Unione Europea, cinque Stati membri rappresentano il 70% del valore aggiunto lordo dell’intera economia blu della regione: Germania, Francia, Spagna, Italia e Paesi Bassi in questo ordine. In termini di occupazione, questi Paesi rappresentano un contributo combinato del 67% del totale dei posti di lavoro dell’economia blu dell’Unione.
Scopri l'impegno di Etica per la salvaguardia dei mari - Etica Sgr, insieme a 160 istituzioni finanziarie internazionali provenienti da 29 Paesi, ha sottoscritto un accordo globale per la creazione di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica.
A cura di
Carlo GATTI
Rapallo, Mercoledì 4 Giugno 2025
LA NAVE PUNICA DI MARSALA
LA NAVE PUNICA DI MARSALA
L'eccezionalità del ritrovamento della Nave Punica deriva proprio dalla sua antichissima storia. Il relitto risale al III secolo avanti Cristo, siamo in piena battaglia delle Egadi. Si tratta di un reperto unico per gli oltre 2.300 anni passati in fondo al mare. I punici erano MAESTRI nella tecnica costruttiva di imbarcazioni sia militari che commerciali.
La stella rossa a destra, indica il punto del ritrovamento del relitto della nave punica nei pressi di Punta Scario (Isola Grande).
La Nave, scoperta dalla archeologa inglese Honor Frost nel tratto di mare al largo dell’Isola Grande, presso l’imboccatura nord dello Stagnone di Marsala, rappresenta un’importante testimonianza della Prima Guerra punica, combattuta dai Romani contro i Cartaginesi per la conquista della Sicilia, quando probabilmente fu affondata durante l’assedio di Lilibeo o nella battaglia delle Egadi che pose fine al conflitto (241 a.C.).
La X rossa (al centro della carta) indica il probabile luogo della BATTAGLIA
LE ISOLE DELLO STAGNONE
Le isole dello Stagnone prendono il nome dalla laguna più vasta della Sicilia che è caratterizzata da acque basse (1–2 m e spesso non più di 50 cm) ed è compresa tra le quattro isole:
. I. Grande o Isola Lunga, la più grande dell’arcipelago. Anticamente era composta da 5 isolette (Frati Janni, Altavilla, Burrone, Sorci e San Todaro) unite da canali.
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La Scuola o Isola Schola, la più piccola
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Santa Maria, stretta e allungata
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Isola di San Pantaleo (l'antica Mozia) è la più importante delle isole dello Stagnone dal punto di vista paesaggistico e archeologico. Antica Colonia Fenicia, ha forma circolare.
. L’isolotto di Mozia fu baluardo punico sin dal XII sec. a.C.
Fu il primo emporium di questo popolo di mercanti che veniva dall’Asia.
Splendidi i ruderi di Mozia che oggi si possono osservare nel piccolissimo isolotto al quale si giunge con un battello che parte dalla limitrofa Marsala. Una volta giunti si respira aria del passato.
Si passeggia nell’isolotto, porto fenicio di grandissima importanza nell’antichità, sommersi dai ritrovamenti archeologici.
Lo Stagnone nell'antichità, in particolare in epoca fenicia, era un luogo strategicamente importante per la presenza di Mozia, influente e sicuro centro commerciale fenicio per gli scambi tra Oriente e Occidente. Il periodo di splendore dello Stagnone si concluse con la conquista romana e rimase nel silenzio fino alle soglie dell'età moderna. Infatti, con un notevole salto di secoli, lo Stagnone tornò ad avere una funzione importante ai tempi della dominazione spagnola, nel XV secolo, quando lungo il suo litorale furono costruite le saline e quando si incrementò l'attività della pesca. Le saline sono ancora oggi una delle peculiarità della Riserva dello Stagnone e possono essere visitate. Così come gli imponenti mulini a vento che venivano e vengono utilizzati per il pompaggio dell'acqua e la macinazione del sale. Tra le caratteristiche che rendono unica la Riserva cè comunque anche la presenza di numerose specie di pesci (orate, spigole, triglie, anguille, saraghi, seppie, polpi, crostacei e via dicendo). Le calde acque della Laguna e la scarsa profondità dei suoi fondali rendono, infatti, lo Stagnone un habitat ideale per la deposizione delle uova e per il ripopolamento ittico, peraltro tutelato dal regolamento della Riserva che prevede il divieto di caccia e di pesca subacquea e con le reti. Anche la pesca sportiva (attraverso lenze e nasse), pur essendo consentita, è opportunamente regolamentata. Ma lo Stagnone è anche un piccolo paradiso per gli appassionati di ornitologia. In determinati periodi dell’anno diverse specie di uccelli migratori, cavalieri d’Italia, anatre selvatiche, aironi e fenicotteri bianchi o rosa, qui nidificano o sostano durante le loro migrazioni. La Riserva dello Stagnone accoglie, inoltre, una rigogliosa vegetazione tipica degli acquitrini salmastri mediterranei: la Palma nana, i giunchi e le salicornie.
LO STAGNONE VISTO DAL SATELLITE
IL RITROVAMENTO
Il recupero della nave è avvenuto tra gli anni 1971 e 1974. Terminati gli scavi, i legni della nave vennero conservati in acqua dolce e successivamente montati e conservati in questo “baglio”, adibito per l'occasione a museo.
Il “Baglio Anselmi”, è un antico stabilimento marsalese costruito intorno al 1880 e destinato alla produzione del Marsala e della distillazione dell’alcool puro; dal 1986 è attualmente adibito a MUSEO all’interno del quale è ospitato il relitto della nave cartaginese ritrovata nel 1969 nello Stagnone di Marsala.
"Il relitto della Nave Punica" a Marsala
di Giovanni Teresi
“Il relitto della nave punica custodito nel Museo Archeologico: Baglio Anselmi di Marsala, rappresenta ad oggi un vero e proprio gioiello della collezione.
Ritrovata nel 1969 durante i lavori di scavo di una draga, vennero scoperti dei vasi antichi e altri reperti nella zona di Punta Scario, al largo dell’Isola Grande, presso l’imboccatura nord della laguna dello Stagnone. Nel 1971 lo spostamento di un banco di sabbia fece emergere la poppa della nave a pochi metri sotto il livello del mare, nei pressi del canale artificiale punico (“fretum intraboream”) che oggi è andato perduto.
Lo scavo fu affidato alla famosa archeologa Honor Frost dalla British School at Rome, in collaborazione con la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale.
Con il suo arrivo a Marsala, nell’estate del 1970, iniziarono i lavori con una équipe di volontari per eseguire ricognizioni subacquee e archeologiche sulla costa a nord della città.
La Nave Punica si trova a Marsala grazie a Honor Frost, una delle più famose archeologhe subacquee mai esistite.
La Frost, deceduta nel 2010, fu l’artefice del recupero della Nave Punica. L’operazione durò tre anni e fu un periodo eccezionale per la raccolta di reperti di vario tipo e testimonianze storiche della Prima guerra punica, antecedente quindi al 241 a.C.
Dell’antico reperto si è conservata la parte poppiera e la fiancata di sinistra, per circa 10 metri di lunghezza e 3 di larghezza.
L’archeologa Rossella Giglio ipotizza che: «[…]
“ipoteticamente la lunghezza era di m. 35, la larghezza di 4,80, la stazza di tonnellate 120, con un possibile equipaggio di 68 vogatori, 34 per lato, che azionavano i 17 remi di ogni fiancata.».
La nave punica era costruita secondo la tecnica detta «a guscio portante», basata sulla realizzazione prima del fasciame e poi della struttura interna. La parte esterna era rivestita da lamiere di piombo, fissate con chiodi di bronzo, mentre un tessuto impermeabilizzante stava in mezzo tra il fasciame ed il rivestimento metallico. La parte interna, invece, era costituita da madieri e ordinate, rispettivamente costruite in quercia e acero le prime, e in pino e acero le seconde, mentre il fasciame era realizzato in pino silvestre e marittimo. I segni geometrici che si trovano sulla nave costituivano le linee-guida per la costruzione della stessa e costituiscono, già da soli, una testimonianza di grande importanza. Aveva un’àncora, la chiglia e un rostro”.
ALBUM FOTOGRAFICO
LO STAGNONE
Il Relitto nel BAGLIO "ANSELMI"
Segue l’interessante elenco degli oggetti trovati a bordo del relitto:
Al momento della scoperta furono trovati, tra i resti dello scafo, anche altri oggetti che facevano comunque parte dell'imbarcazione o che appartenevano ai membri dell'equipaggio:
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sassi usati per zavorrare l’imbarcazione che, con molta probabilità, provenivano dalle coste laziali
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ossa di animali tagliate a pezzi
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noccioli d’oliva e gusci di noce (forse la nave affondò in un periodo autunnale o invernale, data l'assenza di resti di frutta fresca)
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foglie di cannabis sativa (forse utilizzata per alleviare le fatiche dei marinai)
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scopa in sparto (fibra vegetale utilizzata ancora oggi per fare i panieri)
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corde “piombate”, ossia intrecciate e rinforzate grazie a uno strumento in legno terminante a punta e che ancora oggi viene utilizzato (la caviglia)
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boccali, piatti, ciotole, un mortaio, tappi di sughero
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un pugnale
Questi ed altri reperti sono stati analizzati con il carbonio 14 e concordano nel datare la nave alla metà del III secolo a.C.
Il relitto di Marsala è una inequivocabile testimonianza del metodo di prefabbricazione delle navi fenicie e puniche, già noto dalle fonti storiche (Polibio). I corsi di fasciame e le parti strutturali venivano costruite in serie e contrassegnate con segni o lettere dell’alfabeto fenicio, per essere poi assemblate velocemente e consentire il varo di un’intera flotta in pochi giorni.
I trattamenti per la conservazione
A Marsala in un primo momento vennero esposti solo i pezzi di legno disassemblati, mentre la nave intera fu assemblata solo dopo che alcuni tecnici locali, i fratelli Bonanno, costruttori di barche e navi, riuscirono a ricostruire l'imbarcazione sotto la guida di Austin P. Farrar, un ingegnere navale della missione di scavo inglese, grazie alle lettere e ai segni presenti sul materiale recuperato.
Naturalmente va detto che non furono rinvenuti tutti i pezzi originari. Fu trovata solamente una parte di questi, ovvero la poppa e la fiancata di babordo, mentre altri pezzi sono stati montati su supporti appositi, visibili ad occhio nudo a causa del differente colore del legname. Dopo il rinvenimento, i legni vennero dapprima messi in vasche d'acqua dolce e, successivamente la nave venne reimmersa in una vasca con cera sintetica (polietelene glycol – PEG 4000 ad alta percentuale) dissolta in acqua a diverse concentrazioni e temperature.
La nave punica venne poi esposta nel museo nel 1978, ma per 21 anni rimase sotto un telone in quanto le condizioni architettoniche del museo non erano idonee per la sua corretta esposizione; infatti la si poteva ammirare soltanto tramite alcune finestrelle di plastica trasparente poste lungo le fiancate della copertura.
Nel maggio del 1999, ultimati i lavori che permisero la creazione di un clima adatto ad una conservazione ottimale, attraverso l'installazione di impianti di climatizzazione per mantenere umidità e temperatura costanti, venne tolto il telone e la nave fu esposta al pubblico.
Nave da guerra o nave oneraria?
Sono numerose le questioni ancora aperte sulla nave punica di Marsala. Prima di tutto ci si chiede ancora se fosse una nave da guerra o una nave oneraria (da carico) anche se addirittura c'è chi mette in dubbio che fosse effettivamente una nave punica.
Particolare della chiglia
Caratteristica importante di questo tipo d'imbarcazione era il rostro, elemento tipico delle navi puniche da guerra, una punta di bronzo o lignea posta sulla prua sotto il livello del mare, che serviva a speronare e ad aprire una falla nello scafo delle navi nemiche e che dopo lo scontro si staccava dalla chiglia facendo affondare la nave speronata. Anche se della nave di Marsala si conserva solo una parte della poppa, gli studiosi suppongono che a prua ci potesse essere un rostro, proprio come quello che si è trovato nel 2004 a Trapani in quanto intorno ai legni ricurvi del lato di prua sono state rinvenute tracce di tessuto imbevuto di resina e un frammento di lamina di piombo.
Ciò fa pensare che probabilmente questa nave fosse una nave da guerra, teoria sostenuta dall’archeologa Honor Frost, dalla Giglio e da molti altri studiosi.
A favore di questa tesi, ci sarebbe anche la questione della datazione, che il test del carbonio 14 fissa alla metà del III secolo a.C. Sulla scorta di questi dati la Giglio sostiene che la nave “con tutta probabilità affondò il 10 marzo del 241 a.C., nel corso della battaglia navale combattuta nel mare delle Egadi che concluse la Prima guerra punica.”
L'archeologa Honor Frost e il prof. Maurizio Vento, docente di latino nei licei e autore di un testo sull'argomento, sostengono che si tratta di una nave da carico, in quanto le misure e la forma coincidono con quelle delle classiche navi puniche onerarie. Egli inoltre sottolinea che l'identificazione fatta dalla Frost fosse più legata al fatto che all'epoca del rinvenimento, il ritrovamento di una nave punica da guerra costituiva un vero e proprio sogno per gli archeologi.
Ecco la spiegazione circa la doppia versione: militare o da carico....
Come scrive infatti la Frost alla vigilia del rinvenimento: «[…] Ancora una volta non si può dire niente fin quando uno scavo sarà stato realizzato, eccetto che la scoperta di una nave da guerra antica è da un secolo il vecchio sogno degli archeologi navali. Nessun relitto di questo genere è stato mai scoperto […]».
Sono affermazioni che svelano, secondo Maurizio Vento che, «prima ancora che fossero visitati scientificamente i reperti» esisteva il proposito «di voler materializzare quel sogno, non tenendo conto di molti fattori che, pur messi in luce da tempo, vengono generalmente trascurati».
I dubbi di Vento vengono alimentati ulteriormente anche dal fatto che in questa nave si sia trovato:
« il vasellame (ciotole, macine per granaglia, poche anfore per l'acqua potabile, per il vino e per la salsa di pesci), i rifiuti degli alimenti (come resti ossei di animali da cacciagione o come resti vegetali quali noccioli di frutta secca, di olive in salamoia), numerosi oggetti (come legna da ardere, tappi di anfore, cordami, canapa per spaghi e stoppa, pece, punteruoli per funi, attrezzi da pesca) che fanno tutti parte del normale corredo delle navi onerarie e sono presenti pure a bordo della nave punica di Marsala» – e, invece, non si sono trovati – «i moltissimi remi (che permettevano le rapide mosse strategiche per colpire il fianco della nave nemica), le catene dei numerosi rematori e i banconi dove sedevano» – ma soprattutto – «il rostro bronzeo tricuspidato, le varie armi (scudi, corazze, spade, pugnali ecc.), e poi materiali di ricambio, argani, carrucole, arnesi vari, e tutto ciò che è facile immaginare fosse il consueto corredo di una nave bellica».
Un'altra considerazione importante viene fatta da Piero Bartoloni citato da Maurizio Vento, e cioè che «le navi onerarie di Cartagine erano lunghe tra i 20 e i 30 metri, con una larghezza compresa tra i 5 e i 7 metri, e avevano un pescaggio di circa un metro e mezzo, analogo all'altezza dell'opera morta» - e ancora - «tra la carena ed il pagliolo era situata la zavorra, costituita da pietrame in schegge ed eventualmente sostituita con sabbia se il carico era costituito da anfore; per attutire gli urti delle pietre contro i corsi, veniva disposta una coltre di fogliame. Lo stesso carico costituiva parte necessaria della zavorra, come è dimostrato indirettamente da una delle navi puniche di Punta Scario, all'interno della quale è stata rinvenuta una certa quantità di pietrame che, a quanto risulta dalle analisi effettuate, proveniva probabilmente dalla costa settentrionale del Lazio».
E conclude dicendo che «questo rinvenimento […], secondo il nostro avviso, dimostra che la nave in questione era giunta carica nel porto etrusco e che, una volta scaricati i prodotti importati e non essendovi nulla da caricare per il viaggio di ritorno, la sua zavorra era stata sostituita con del pietrame locale.
Maurizio Vento conclude la sua tesi sostenendo che «la nave oneraria […] sarebbe dunque naufragata per un errore del nocchiere, dovuto o ad imperizia o più probabilmente a cause naturali (come, ad esempio, una tempesta), al momento di virare nei pressi del Borrone, lungo l'unica rotta praticabile che consentisse di approdare in quella che un tempo era stata la Cartagine siciliana».
Il ritrovamento dell'imbarcazione ha permesso di conoscere il sistema di costruzione navale dei Cartaginesi, che aveva suscitato ammirazione nell'antichità per la velocità costruttiva della prefabbricazione in cantiere.
Ogni asse della nave punica reca inciso, infatti, un simbolo dell'alfabeto fenicio-punico utile ai carpentieri per il rapido assemblaggio dello scafo, proprio come per una moderna scatola di montaggio.
Le ricerche continuano....
Il Parco archeologico di Lilibeo-Marsala e la Honor Frost Foundation, in collaborazione con il Centre Camille Jullian dell’Università di Aix Marseille-CNRS, promuovono ciclicamente la realizzazione di convegni internazionali sulla Nave Punica. Così avvenne esattamente 50 anni dopo l’avvio della missione archeologica guidata da Honor Frost.
CONCLUSIONE
La storia della nave punica, del suo ritrovamento, è una storia di archeologia, di ricerca nel passato più antico di questa terra. E’ la storia, però, anche della tenacia di archeologi che da tutto il mondo si sono concentrati su Marsala e sul mare della battaglia delle Egadi.
A cura di
CARLO GATTI
Rapallo, Venerdì 16 Maggio 2025
USS MONITOR – CSS VIRGINIA. Le Prime Corazzate della Storia
USS MONITOR – CSS VIRGINIA
Le Prime Corazzate della Storia Navale
Le Carte di LIMES
La battaglia tra i Monitor e Virginia, seppur breve e dalla tecnologia rudimentale, segnò una svolta epocale nella storia della guerra navale. Da quel conflitto a distanza ravvicinata tra due prototipi di corazzate, durante la Guerra di Secessione americana, nacque una nuova era di potenza marittima.
L'idea geniale di una torre corazzata mobile, seppur con i limiti evidenti delle prime unità, innescò una corsa agli armamenti che portò, in pochi decenni, alla costruzione di imponenti corazzate, protagoniste delle principali battaglie navali del XX secolo.
Questa evoluzione tecnologica, culminata con le mastodontiche navi da battaglia della Seconda Guerra Mondiale, fu infine soppiantata dalla rivoluzione missilistica, decretando la fine di un'era.
L'USS Monitor fu un monitore dell'Union Navy (Nordista). È famosa per la sua partecipazione alla prima battaglia tra due navi corazzate, la battaglia di Hampton Roads del 9 marzo 1862 durante la Guerra di secessione americana nella quale combatté contro la nave corazzata CSS Virginia della Confederate States Navy (Sudista). Per questo motivo le due unità hanno un posto speciale nella storia degli Stati Uniti.
Fino alla metà del XIX secolo quasi tutte le navi da guerra erano state costruite principalmente in legno, invece negli anni immediatamente precedenti la Battaglia di Hampton Roads il progetto delle navi da guerra e - di conseguenza - lo svolgimento degli scontri navali cambiò notevolmente a causa dell'introduzione della corazza.
Lo svedese John ERIKSON fu il progettista della MONITOR, anche i suoi cannoni portano il nome di un altro costruttore svedese: Dahlgren.
Solo tre mesi dopo la Battaglia di Hampton Roads il progetto venne offerto alla Svezia e nel 1865 il primo monitor svedese venne costruito al molo di Motala a NorrKöping e battezzato John Ericsson in onore dell'ingegnere. Venne seguito da altri 14 monitor. Uno di questi, il Sölve, è ancora conservato nel museo marittimo di Göteborg.
Il Monitor era una nave piccola, anche per l’epoca. Aveva una lunghezza di 54 metri ed era molto bassa di bordo, meno di un metro.
L'opera viva è la parte immersa in acqua, mentre l'opera morta è la parte asciutta che comprende la zona superiore dello scafo e le strutture di coperta e sovraccoperta.
Il fasciame di legno era coperto da 10 a 20 centimetri di corazzatura d’acciaio. A bordo aveva 49 tra marinai e ufficiali.
La torretta centrale rivestita di acciaio ospitava i due cannoni.
Cannone Dahlgren
Vista della torretta del Monitor che mostra il danno subito
Le navi militari costruite fino a quel momento avevano i cannoni in una posizione fissa nello scafo e dovevano accostare, cioè posizionare la nave nella direzione dell’obiettivo da colpire. Il MONITOR invece disponeva di una torre mobile a centro nave che ruotava e puntava direttamente il suo cannone verso il bersaglio. Mentre il primo cannone sparava l’altro veniva caricato. Pertanto il fuoco era continuo, diretto e preciso.
Il “monitore” aveva dei limiti operativi: era una speciale “nave corazzata” adatta ad azioni nei fiumi o sotto costa, ma assolutamente inadatta per velocità e qualità nautiche come unità di squadra in mare aperto.
USS Monitor |
|
Descrizione generale |
|
Tipo |
monitore |
Ordine |
4 ottobre 1861 |
Cantiere |
Continental Iron Works, Greenpoint, New York |
Impostazione |
1861 |
Varo |
30 gennaio 1862 |
Entrata in servizio |
25 febbraio 1862 |
Destino finale |
affondato il 31 dicembre 1862 |
Caratteristiche generali |
|
Dislocamento |
987 |
Lunghezza |
52 m |
Larghezza |
12,6 m |
Propulsione |
macchina alternativa a doppio pistone, 1 elica |
|
|
Velocità |
8 nodi (15 km/h) |
Equipaggio |
59 tra ufficiali e marinai |
Armamento |
|
Artiglieria |
2 cannoni a canna liscia Dahlgren da 11 pollici (280 mm) |
Corazzatura |
verticale 114-51 mm, orizzontale 25 mm, torre 228-203 mm |
USS Monitor in action with CSS Virginia, 9 March 1862
La CSS VIRGINIA, fu un ariete corazzato della Confederate States Navy, fu protagonista assieme alla USS MONITOR della Battaglia di Hampton Roads, primo scontro tra navi corazzata della storia.
Tipo |
Ariete corazzato |
Cantiere |
Gosport Navy Yard - Norfolk |
Impostazione |
1861 |
Completamento |
1862 |
Entrata in servizio |
1862 |
Destino finale |
11 maggio 1862, autoaffondata dal suo equipaggio |
Caratteristiche generali |
|
Stazza lorda |
circa 3200 tons (i dati differiscono, 800 tons è improbabile) tsl |
Lunghezza |
275 piedi (84 m) m |
Larghezza |
38 piedi 6 pollici (11,73 m) m |
Pescaggio |
22' pari a circa 6,7 m |
Velocità |
9 nodi (16,67 km/h) |
Equipaggio |
320 Ufficiali e comuni |
Armamento |
|
Artiglieria |
· 2 cannoni rigati da 7" (178 mm)· 2 cannoni rigati da 6" (152 mm)· 6 cannoni Dahlgren a canna liscia da 9" (229 mm)· 2 obici da 12 libbre (5 kg) |
Altro |
rostro prodiero |
Corazzatura |
24 pollici (610 mm) in legno ricoperto da 2 pollici (51 mm) in ferro |
UN PO' DI STORIA ...
NORDISTI E SUDISTI
UNITED STATES OF AMERICA
DEPARTMENT OF THE NAVY
L'Union Navy corrispose all’United States Navy (MARINA NORDISTA) durante la Guerra di Secessione Americana quando combatté contro le forze messe in campo dalla Confederate States Navy (MARINA SUDISTA).
CONFEDERATE STATES OF AMERICA
NAVY DEPARTMENT
La Marina Confederata (Confederate States Navy - CSN) era la Marina Militare delle Confederate States Armed Forces (MARINA SUDISTA) degli Stati Confederati d’America, che nel corso della Guerra di Secessione Americana, combatté contro la Union Navy.
La Guerra di Secessione Americana, detta anche guerra civile americana, venne combattuta dal 12 aprile 1861 al 26 maggio 1865 fra gli Stati Uniti d’America e gli Stati Confederati d’America (CSA), entità politica sorta dalla riunione confederale di Stati Secessionisti dall’Unione. Questo conflitto venne combattuto dagli schieramenti anche attraverso le forze navali.
Durante la Guerra Civile Americana, la Marina Militare dell’Unione – l’Union Navy - molto più forte, bloccava gli Stati Confederati d’America i quali non disponevano che di poche navi mercantili armate in guerra.
Per liberarsi dal blocco, i Confederati dettero incarico al capitano Brookle di costruire una speciale nave corazzata. Questi impiegò lo scafo di una fregata nordista a vapore, la USS Merrimack, che era stata danneggiata in parte da un incendio e catturata allo scoppio delle ostilità. La rasò ad un metro di sopra dell'acqua e vi costruì sopra una grande casamatta, terminante a prora e a poppa con due facce inclinate dalle quali sporgevano due cannoni rigati da 19 cm. Aprì sui fianchi otto portelli per altrettanti obici Dahlgren da 24 cm e la coprì con lunghe piastre formate da rotaie, dello spessore dai 40 ai 68 cm. A prora e a poppa vi erano due vasti compartimenti che potevano essere allagati e così la nave si sommergeva fino al livello della casamatta. La nave così ristrutturata venne ribattezzata CSS VIRGINIA.
Nello stesso periodo entrava in servizio presso la marina federale una nave del tutto speciale che prese il nome di USS MONITOR. Questo bastimento era stato costruito in tre mesi: dislocava 1200 tonnellate, era lungo 40 metri e largo 11. Aveva l'opera morta elevata meno di un metro sul galleggiamento. I fianchi e la coperta erano corazzati con piastre di 18 cm di spessore. Portava al centro una sola torre, progettata dall'inventore americano Theodore Timby, alta 3 metri, del diametro di 6 metri e mezzo, girevole per 360 gradi e armata con due cannoni Dahlagren, da 38 cm. Aveva una macchina a vapore che gli imprimeva la velocità di 9 miglia orarie.
L'8 marzo 1862, mentre una divisione federale era ancorata nella rada di Hampton Roads, venne assalita dal VIRGINIA, questa nave semi-sommersa che non faceva più di tre miglia all'ora. Attaccò con lo sperone uno sloop-of-war, il Cumberland, che colò a picco adagiandosi sul basso fondale; subito dopo distrusse la fregata Congress sparando palle arroventate. Le altre navi, per salvarsi, dovettero buttarsi in secca. Il VIRGINIA, da solo, era riuscito così a distruggere una divisione di quattro bastimenti. Ritornò l'indomani nella stessa rada per distruggere le altre navi, ma non aveva ancora incominciato il combattimento, che si vide giungere addosso il MONITOR, inviato nel frattempo dai Federali e si impegnò un duello che durò più di quattro ore. Alla fine il Monitor riuscì a colpire il Virginia alla linea di galleggiamento, aprendogli una grossa falla. Nello stesso tempo il Virginia feriva gravemente il comandante Worden del Monitor, ma, essendo l'acqua penetrata nello scafo e le macchine quasi inservibili, il Virginia dovette allontanarsi.
Ebbe così termine uno dei combattimenti più caratteristici della guerra di secessione americana e che segna definitivamente la fine delle navi da guerra in legno.
TUTTO INIZIO’ CON IL BLOCCO NAVALE ....
Il Blocco dell’Unione (NORDISTA) fu una strategia militare volta ad impedire il commercio internazionale degli Stati Confederati d’America (SUDISTI).
il Blocco fu messo in atto dagli squadroni marini dell’Union Navy (nordisti) tra il 1861 e il 1865, serrò completamente l'intera linea costiera degli Stati Uniti meridionali (Confederati).
Il blocco commerciale venne proclamato dal presidente degli Stati Uniti d’America ABRAHAM LINCOLN nell'aprile del 1861 e richiese il monitoraggio attivo di 3.500 miglia (5.600 km) di costa dall’Oceano Atlantico al Golfo del Messico, compresi i 12 scali portuali principali del profondo Sud ed in particolar modo New Orleans e Mobile (Alabama).
I cosiddetti “corridori del blocco”, abbastanza veloci da riuscire a sfuggire i controlli federali, riusciranno a trasportare solamente una minima parte delle scorte necessarie al Sud belligerante; gestiti in larga parte da cittadini dell’Impero Britannico fecero uso di porti neutrali quali l’Avana, Nassau e Bermuda.
Vennero commissionate circa 500 navi tra le più grandi e quelle di minore stazza, le quali perverranno alla distruzione o alla cattura di oltre 1.500 "violatori del blocco" nel corso dell'intera durata del conflitto.
"Affamare la Confederazione": National Park Service. Nell'aprile del 1861 il presidente Lincoln ordinò un blocco navale dei porti meridionali per fermare il flusso di importazioni ed esportazioni da e verso gli Stati Confederati d’America.
I corridori del blocco, che trasportavano cotone (fibra) e altri prodotti, sfidarono l’embargo, con risultati più o meno soddisfacenti. Charleston (Caroline del Sud), il principale porto di sbarramento sudista, fu sin dall'inizio un obiettivo importante per far ottenere la vittoria finale all’Unione.
Alcuni investitori dell’Impero britannico allestirono allora navi piccole e veloci, che partendo da Cuba e dalle Bahamas, cercavano di violare il blocco, portando nei porti del Sud armi, rifornimenti militari e generi di lusso, appetiti dall'alta società confederata.
I cosiddetti corridori del blocco o "violatori del blocco" tornavano poi indietro, non prima di aver acquistato tabacco e cotone da rivendere nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. I profitti erano ovviamente alti e i rischi relativi: gli equipaggi erano di nazionalità britannica e, in caso di cattura, venivano rilasciati. I carichi catturati andavano all’’asta ed il ricavato veniva equamente distribuito ai marinai unionisti.
La guerra navale vide diverse innovazioni tecnologiche, come le prime corazzate e i primi sommergibili in servizio effettivo.
La confederata CSS Virginia (nella foto sopra), nel suo viaggio di prova ad Hampton Roads, affondò la nave unionista USS Cumberland ed incendiò la USS Congress. Il secondo giorno si scontrò con la corazzata unionista USS Monitor, episodio che vide la vittoria strategica dell’Unione.
Per gli appassionati di Storia Americana riporto:
Battaglie ed avvenimenti navali
Nome dello scontro |
Data iniziale |
Data conclusiva |
Note |
Blocco dell'Unione |
19 aprile 1861 |
1865 |
Parte del Piano Anaconda |
Battaglia di Fort Sumter |
12 aprile 1861 |
13 aprile 1861 |
Primi colpi sparati della guerra navale, prima battaglia della guerra |
Battaglia di of Gloucester Point |
7 maggio 1861 |
7 maggio 1861 |
Prima battaglia navale della guerra |
Battaglia di Sewell's Point |
18 maggio 1861 |
19 maggio 1861 |
|
Battaglia di Aquia Creek |
29 maggio 1861 |
1º giugno 1861 |
Primo utilizzo della mina navale da parte delle forze confederate in combattimento |
Battaglia di Pig Point |
5 giugno 1861 |
5 giugno 1861 |
|
Battaglia di Mathias Point |
27 giugno 1861 |
27 giugno 1861 |
|
Naufragio della Petrel |
28 luglio 1861 |
28 luglio 1861 |
Una delle ultime battaglie navali della storia che coinvolgono una nave corsara |
Battaglia di Cockle Creek |
5 ottobre 1861 |
5 ottobre 1861 |
|
Battaglia di the Head of Passes |
12 ottobre 1861 |
12 ottobre 1861 |
Primo utilizzo dello sperone ferrato in guerra |
Battaglia di Port Royal |
7 novembre 1861 |
7 novembre 1861 |
Prima grande battaglia navale della guerra |
Incidente del Trent |
8 novembre 1861 |
8 novembre 1861 |
Cattura dei Confederati Mason e Slidell da bordo della nave britannica HMS Trent da parte della USS San Jacinto. |
Battaglia di Cockpit Point |
3 gennaio 1862 |
3 gennaio 1862 |
|
Battaglia di Lucas Bend |
11 gennaio 1862 |
11 gennaio 1862 |
Prima battaglia che coinvolge le corazzate dell'Unione durante la guerra |
Battaglia di Fort Henry |
6 febbraio 1862 |
6 febbraio 1862 |
|
Battaglia di Elizabeth City |
10 febbraio 1862 |
10 febbraio 1862 |
|
Battaglia di Hampton Roads |
8 marzo 1862 |
9 marzo 1862 |
Prima battaglia navale tra due navi da guerra corazzate |
Battaglia di Fort Jackson e St. Philip |
16 aprile 1862 |
28 aprile 1862 |
Terminata con la conquista di New Orleans da parte dell'Unione a seguito della Battaglia di New Orleans (25 aprile - 1º maggio 1862)La flotta unionista al comando dell'Ammiraglio David G. Farragut prende la più grande città confederata (e il suo porto principale) cominciando la risalita del Mississippi. |
Battaglia dell'Isola numero 10 |
28 febbraio 1862 |
8 aprile 1862 |
Prima sconfitta confederata sul fiume Mississippi |
Battaglia navale di Fort Pillow |
10 maggio 1862 |
10 maggio 1862 |
Primo affondamento di corazzate unioniste da parte della flotta confederata fluviale |
Battaglia di Drewry's Bluff |
15 maggio 1862 |
15 maggio 1862 |
|
Battaglia di Memphis |
6 giugno 1862 |
6 giugno 1862 |
La flotta confederata di difesa fluviale viene annientata dalle navi da guerra e dalle cannoniere corazzate unioniste |
Battaglia di Saint Charles |
17 giugno 1862 |
17 giugno 1862 |
|
Battaglia di Tampa |
30 giugno 1862 |
1º luglio 1862 |
|
Scontro navale alle porte di Vicksburg (Mississippi) |
15 luglio 1862 |
15 luglio 1862 |
La corazzata confederata Arkansas infligge seri danni alla flotta unionista. |
Battaglia di Corpus Christi |
12 agosto 1862 |
18 agosto 1862 |
|
Battaglia di Baton Rouge |
5 agosto 1862 |
5 agosto 1862 |
La corazzata Arkansas rimane incagliata e i confederati sono costretti ad affondarla. |
Battaglia di Galveston Harbor |
4 ottobre 1862 |
4 ottobre 1862 |
|
Spedizione congiunta contro Franklin (Crumpler's Bluff) |
3 ottobre 1862 |
3 ottobre 1862 |
|
Battaglia di Fort Hindman |
9 gennaio 1863 |
11 gennaio 1863 |
Ha portato alla più grande resa delle truppe confederate a Ovest del fiume Mississippi prima della fine della guerra |
Azione al largo del faro di Galveston |
11 gennaio 1863 |
11 gennaio 1863 |
|
Battaglia di Fort McAllister |
3 marzo 1863 |
3 marzo 1863 |
|
Spedizione di Yazoo Pass (battaglia di Fort Pemberton) |
11 marzo 1863 |
11 marzo 1863 |
|
Prima battaglia di Charleston Harbor |
7 aprile 1863 |
7 aprile 1863 |
Attacco navale a Charleston (Carolina del Sud) da parte di corazzate dell'Unione. |
Battaglia di Wassaw Sound |
17 giugno 1863 |
17 giugno 1863 |
|
Battaglia di Portland Harbor |
27 giugno 1863 |
27 giugno 1863 |
|
Prima battaglia di Fort Wagner |
10 luglio 1863 |
11 luglio 1863 |
|
Seconda battaglia di Fort Wagner |
18 luglio 1863 |
18 luglio 1863 |
|
Seconda battaglia di Charleston Harbor |
17 agosto 1863 |
8 settembre 1863 |
|
Seconda battaglia di Sabine Pass |
8 settembre 1863 |
8 settembre 1863 |
La maggiore vittoria confederata unilaterale della guerra |
Seconda battaglia di Fort Sumter |
9 settembre 1863 |
9 settembre 1863 |
|
Attacco all'USS New Ironsides |
5 ottobre 1863 |
5 ottobre 1863 |
La CSS David diventa la prima torpediniera ad effettuare un attacco di successo su una nave da guerra nemica in combattimento |
Battaglia di Fort Brooke |
16 ottobre 1863 |
18 ottobre 1863 |
|
Naufragio della USS Housatonic |
17 febbraio 1864 |
17 febbraio 1864 |
Il CSS H. L. Hunley diventa il primo sottomarino ad affondare una nave da guerra nemica in combattimento |
Battaglia di Fort Pillow |
12 aprile 1864 |
12 aprile 1864 |
|
Battaglia di Plymouth |
17 aprile 1864 |
20 aprile 1864 |
|
Battaglia di Albemarle Sound |
5 maggio 1864 |
5 maggio 1864 |
|
Battaglia di Cherbourg |
19 giugno 1864 |
19 giugno 1864 |
Ha portato all'affondamento del raider confederato CSS Alabama da parte della USS Kearsarge al largo di Cherbourg, nel Secondo Impero francese. |
Battaglia della baia di Mobile |
2 agosto 1864 |
23 agosto 1864 |
La più ampia vittoria navale unionista dell'intera guerra |
Incidente di Bahia |
7 ottobre 1864 |
7 ottobre 1864 |
Ha portato alla cattura del raider confederato CSS Florida, incidente internazionale con l'Impero del Brasile |
Conquista di Plymouth |
29 ottobre 1864 |
31 ottobre 1864 |
|
Spedizione di Rainbow Bluff (incidente di Jamesville) |
9 dicembre 1864 |
9 dicembre 1864 |
|
Seconda battaglia di Fort Fisher |
13 gennaio 1865 |
15 gennaio 1865 |
Il più vasto assalto anfibio della guerra |
Battaglia di Trent's Reach |
23 gennaio 1865 |
25 gennaio 1865 |
La più grande battaglia navale conclusiva della guerra |
La prima battaglia tra navi corazzate ebbe luogo il 9 marzo 1862, quando alla Monitor fu assegnato il compito di proteggere la flotta in legno dell'Unione dalla nave corazzata Virginia e dalle altre navi da guerra confederate.
CRONACA DELLO SCONTRO E FINE DI UNA EPOCA
Le due navi si affrontarono nella battaglia di Hampton Roads. Il giorno prima la Virginia era uscita dal porto ed era riuscita ad affondare da sola due navi del Nord, senza riportare danni rilevanti. Quando le due navi si incontrarono nessuna delle due fu in grado di danneggiare seriamente l’altra.
I colpi di cannoni rimbalzavano contra la corazzatura senza penetrarla, nonostante le due navi si fossero trovate più volte a pochi metri di distanza. Le due navi si spararono decine di colpi per ore.
Alla fine dello scontro, il rumore delle cannonate che facevano vibrare gli scafi d’acciaio aveva incominciato a far sanguinare le orecchie dei marinai. Scesa la sera le due navi si ritirarono. Lo scontro era finito in un pareggio, ma i Confederati non erano riusciti a interrompere il blocco del nord.
Entrambe le navi affondarono in maniera poco gloriosa qualche mese dopo. La Virginia venne affondata due mesi dopo dal suo stesso equipaggio per evitare che venisse catturata quando il porto venne abbandonato dall’esercito del sud.
Il Monitor affondò il 31 dicembre di quell’anno a causa di una tempesta, mentre veniva rimorchiata verso un nuovo obbiettivo. Buona parte dell’equipaggio riuscì a mettersi in salvo. A bordo restarono soltanto 16 uomini, di cui due nella torretta dove vennero ritrovati nel 2002.
Il Virginia attaccò lo squadrone del blocco navale dell'Unione ad Hampton Roads, Virginia, l'8 marzo 1862, distruggendo il USS Cumberland e il Congress e forzando il Minnesota a riva prima di ritirarsi. Quella notte il Monitor, al comando del tenente John L. Worden, arrivò a rimorchio. Quando il Virginia tornò il giorno dopo, il 9 marzo 1862, per dare il colpo di grazia al Minnesota ed al resto della flotta della federazione venne intercettato dal Monitor.
Le due navi corazzate combatterono per circa quattro ore, senza che nessuna delle due riuscisse a danneggiare seriamente l'altra.
Tatticamente la battaglia fu un pareggio, nessuna delle due inflisse un danno significativo all'altra. Comunque fu una vittoria strategica per il Monitor.
La missione del Virginia era di rompere il blocco navale dell'Unione, questa missione fallì. La missione del Monitor era di difendere la flotta dell'Unione, cosa che gli riuscì. Le due navi non si combatterono mai più a vicenda.
LE CAUSE DEL NAUFRAGIO
Incisione del Monitor mentre affonda
Siccome il progetto del Monitor era adatto al combattimento sul fiume, la sua bassa linea di galleggiamento e la sua torretta pesante lo mettevano a rischio in acque agitate.
Questa caratteristica portò probabilmente al naufragio del Monitor originale, che affondò durante una tempesta. Sommerso da onde alte mentre era al traino del Rhode Island, affondò il 31 dicembre 1862 nell’Oceano Atlantico al largo di Capo Hatteras nella Carolina del Nord.
Sedici dei sessantadue membri dell'equipaggio persero la vita, due dei quali vennero individuati nel 2002; una volta recuperati i resti, si tentò di identificarli, arrivando alla possibile identità di William Bryan, un emigrato scozzese arruolatosi con il Nord e Robert Williams. A questi fu dato l'ultimo saluto l'8 marzo 2013 nel cimitero di Arlington.
La riscoperta
Nel 1973 il relitto della Monitor venne localizzato sul fondo dell'oceano Atlantico a circa 26 miglia a sudest di capo Hatteras. Il sito del relitto venne designato come primo santuario marino degli Stati Uniti.
Il santuario del Monitor è attualmente uno dei tredici santuari marini creati per proteggere una risorsa culturale, piuttosto che una risorsa naturale.
Il sito è ora sotto la supervisione della amministrazione oceanica e atmosferica nazionale (NOAA). Molti artefatti del Monitor, inclusa la sua torretta, elica, ancora, motore ed alcuni effetti personali dell'equipaggio, sono stati recuperati e sono In mostra al Mariner’s Museum di Newport News in Virginia.
Nel 1986 il Monitor venne designato "Sito storico nazionale".
Bibliografia
Military Heritage contiene un articolo sul USS Merrimack (CSS Virginia), sul USS Monitor, e sulla Battaglia di Hampton Roads (Keith Milton, Military Heritage, dicembre 2001, Volume 3, No. 3, pp. 38 to 45 and p. 97).
ALBUM FOTOGRAFICO
Illustrazione della Battaglia di New Orleans (1862)
La CSS Albemarie contro la USS Sassacus nella Battaglia di Albemarie Sound
Dipinto di Louis Prang che ritrae la Battaglia della Baia di Mobile
La CSS ARKANSAS muove attraverso la flotta dell'Unione davanti a Vicksburg, 15 luglio 1862
La corazzata CSS VIRGINIA, ex USS Merrimac
Illustrazione della battaglia di Menphis
Illustrazione della Battaglia di Drewry’s Bluff.
Carlo GATTI
Rapallo, Martedì 13 Maggio 2025
LEPTIS MAGNA - Patrimonio dell'Umanità - UNESCO
LEPTIS MAGNA
Provincia Romana di Prima grandezza
Definita “porta principale per l'Africa” - il suo porto SITUATO al centro del Mediteranneo, è stato unO DEI polI strAtegiCI PER GLI SCAMBI commerciali DELL’IMPERO ROMANO.
Nel 1982 il sito archeologico della città è stato riconosciuto
PATRIMONIO DELL'UMANITA' UNESCO
E’ una delle attrazioni turistiche più visitate della Libia sia per l’importanza degli scavi romani al di fuori dell’Italia sia per l’ottima conservazione delle rovine antiche che danno tuttora un’idea chiara di come doveva essere una città romana nella sua completezza.
UN PO’ DI STORIA...
Leptis Magna (in fenicio Lepqī o Lpqī e poi Lebdah o Lebda), nota anche come Lepcis, è stata un'antica città fenicia poi cartaginese ed infine romana della Tripolitania, sita nei pressi di Homs, in Libia.
La città sarebbe stata fondata, secondo fonti latine (tra cui la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e Punica di Silio Italico da coloni fenici provenienti da Tiro agli inizi del I millennio a.C. e secondo quanto riportato da Gaio Sallustio Crispo i coloni avrebbero avuto rapporti amichevoli con le locali tribù libiche.
Il sito, cresciuto intorno al suo celebre porto, ricomparve nel IV a.C. col nome di Neapolis ad opera dei cartaginesi per proteggere la loro supremazia sulla fascia costiera nordafricana. La città godeva di una discreta autonomia godendo del diritto di epigamia con gli abitanti di Cartagine. (Nell'antica Grecia si chiamava così il privilegio concesso da una città a uno straniero di contrarre matrimonio fra abitanti di città alleate).
Nel III secolo a.C., forse dopo la Seconda guerra punica, la città e la regione circostante passarono al Regno di Numidia, sebbene il dominio numida rimase più formale che effettivo. Nel 111 a.C., durante la guerra giugurtina, la città inviò dei legati al Senato romano chiedendo l'amicizia e l'alleanza di Roma, a cui fornì aiuto contro Giugurta, e ottenne nel 107 a.C. lo stanziamento di quattro coorti dal console Quinto Cecilio Metello Numidico. Alla fine della guerra tuttavia la città rimase nel regno numidico, ottenendo lo status di civitas federata e conservando la sua autonomia, fino a quando non fu ricompresa nella provincia romana d’Africa dopo la guerra civile tra Cesariani e Pompeiani (questi ultimi alleati col re numida Giuba I). La città comunque entrò a far parte dei domini romani libera et immunis, guadagnando il diritto di battere moneta.
L'11 Aprile del 146 d.C. SETTIMIO SEVERO nasceva a Leptis Magna (Libia).
Giunto al potere dopo la guerra civile del 193-197 d.C., come fondatore alla dinastia severiana, ripristinò alla sua morte il principio dinastico di successione facendo subentrare i figli, Caracalla e Geta.
Molte le riforme dello Stato e le opere intraprese a livello urbanistico nell'Urbe; la sua corte fu un cenacolo di dotti, ma ingenti furono le confische avviate che servirono ad accrescere le proprie finanze.
Duro e risoluto con la sorte di Cristiani ed Ebrei che mandò a morire in gran numero, fu iniziatore di un nuovo culto che si incentrava sulla figura dell'imperatore.
E' considerato infatti l'iniziatore della nozione di "dominato" in cui l'imperatore non è più un privato gestore dell'impero per conto del Senato, quanto piuttosto l'unico e vero "dominus", traendo forza dall'investitura militare delle legioni.
Fino al IV secolo la città fu nel suo periodo di maggior splendore, arrivando ad avere una popolazione di circa 80.000 abitanti.
Sotto il dominio romano, LEPTIS crebbe e si espanse già a partire da Augusto attraverso la costruzione di numerosi edifici.
Sotto Traiano ricevette il titolo di colonia, mutando il suo nome in Colonia Ulpia Traiana Leptis. Nello stesso periodo, tra I e II secolo, si decise di ribattezzare la città in Leptis Magna, per distinguerla dall'omonima città in Bizacena (divenuta Leptis Parva).
IL PORTO
da EMILIO ROSAMILIA riportiamo:
Nessuno studio di Leptis è completo senza studiare il suo porto, che racconta la storia intera economica ed architettonica dell'Africa romani. I mercanti fenici che navigavano il Mediterraneo sin dal primo millennio a.C. scoprirono per primi la protezione naturale del porto di Leptis. Essi riconobbero subito le possibilità di contatti commerciali con la popolazione locale. Le tribù primitive mandavano dalle oasi del deserto del Fezzan caravane con merci costose e affascinanti verso l’altopiano e poi verso la zona costiera di Gefara dove si trovavano i posti commerciali. Era lì che loro potevano scambiare le loro merci con i commercianti fenici.
Vista generale del vecchio Forum: resti di una basilica
(a sinistra) e tre piccoli templi (a destra).
L’improvviso declino
Il berbero Septimius Severus (193-211 d.C), che più tardi diventó il primo imperatore romano proveniente dall’Africa, la città si arricchì non solo di un nuovo, grande foro ma fu anche costruito lo straordinario porto arricchito di monumenti architettonici spettacolari. Settimio Severo tentó anche di porre rimedio ai frequenti allagamenti dovuti alle piene dell’Uadi Libda.
Purtroppo questo tentativo, sia pure bene intenzionato, si riveló nocivo. Poichè adesso che le acque dell’Uadi non ponevano più resistenza all’acqua del mare, la sabbia portata dalle onde non veniva più riportata in mare dalle acque dell’Uadi. Il porto si interró quasi immediatamente e impedì alle navi di poter entrare. Fino ad oggi è possibile vedere i resti conservati magnificamente del molo orientale con i suoi magazzini praticamente mai usati.
Resti del faro
Questo sbaglio causó il declino di Leptis Magna perchè la città non era più in grado di importare o esportare merci. La popolazione lasció la città che diventó un paesino fantasma alla balia del vento sempre presente del Sahara e delle razzie di vari conquistatori.
Leptis Magna fu riscoperta dagli italiani nel 1915 ed è grazie a loro che i resti del porto e della città sono adesso tra i siti romani meglio conservati al di fuori dell’Italia.
Sul sito archeologico si vedono ancora i resti del porto romano. Il faro, la torre di controllo, i magazzini e i grossi anelli di pietra lungo la banchina ai quali attraccavano le navi quando dovevano caricare o scaricare le merci, sono tuttora testimoni silenziosi pronti a raccontarci quello che è successo a Leptis negli ultimi 2000 anni.
Tradotto da Simona Bombarda
ROMAN PORTS
I pontili orientali
La frangionde orientale con gli anelli di pietra per ormeggiare le navi
Busto di Settimio Severo conservato presso il Museo del Louvre di Parigi.
I CELEBRI MONUMENTI ROMANI DI LEPTIS MAGNA
- uno stupendo teatro di impianto augusteo;
- un mercato del I secolo a.c., modificato sotto Tiberio, ma che risale all’VIII sec. a.c.:
- le Terme adrianee;
- l'Arco di Severo, l'arco del 37 in onore di Tiberio, un altro arco quadrifronte di Traiano;
- il Nuovo Foro;
- un ippodromo;
- un anfiteatro;
- un circo;
- una basilica;
- tre templi;
- un’esedra monumentale;
- la curia;
- il calcidico (forse mercato per particolari merci);
- i modiglioni di ormeggio alle banchine del porto;
- resti di un tempietto dorico;
- resti del tempio di Giove Dolicheno;
- resti del faro;
- resti di case e ville;
- l’anfiteatro;
- ruderi di mausolei;
- le terme extraurbane;
- due fortezze sulle colline, per la difesa del limes tripolitanus.
Anfiteatro
l’Africa aveva assunto grande importanza economica e politica, e ancor più ne avrà nel III. Settimio Severo decise di assumersi personalmente, una volta imperatore, il compito di monumentalizzare la città: molti edifici in pietra locale vennero rifatti o rivestiti in marmo e verso est venne aggiunto, sempre in marmo, un intero nuovo quartiere monumentale. Venne anche realizzato un nuovo porto, allo sbocco del Wadi Lebdah, ma purtroppo fu quasi subito interrato dai detriti, senza, peraltro, che ciò frenasse le attività commerciali della città. Accanto alle terme di Adriano vi era una piazza con fontana monumentale. Questa piazza era collegata al porto da una via colonnata (N.26) di circa 400 m, simile a quelle di Palmira, Gerasa, Antiochia o altre città: una via rettilinea e lastricata, fiancheggiata sui due lati da portici sui quali si aprivano le botteghe. Queste vie erano il vero cuore delle città ed erano illuminate anche di notte. A fianco c’era il nuovo foro (N.14 sulla pianta generale e immagine in basso), una grande piazza circondata da portici e con un tempio su alto podio del culto imperiale. Sul lato nord-est del foro, poi, c’era un’altra basilica (N. 13) con due absidi sui lati brevi, a imitazione di quella di Traiano a Roma, ma non visibili dall’esterno, in quanto chiuse da muri, e che quindi dovevano produrre un effetto di sorpresa in chi entrava. Per questi tre monumenti furono usati marmi colorati, fatti venire da lontano senza badare a spese: il granito rosa di Assuan, dall’Alto Egitto, e il marmo cipollino, un marmo screziato verdino, proveniente dall’isola greca dell’Eubea. Per le decorazioni furono chiamati artisti greci e dell’Asia minore, mentre gli architetti dovevano essere siriani. Nei portici della via colonnata e del foro, poi, fu adottata una soluzione innovativa, destinata ad avere grande seguito: sopra le colonne, al posto di un architrave diritto, furono posti degli archi, un po’ come vediamo nei chiostri dei conventi medievali.
Foro dei Severi
L'arco di Settimio Severo è uno dei monumenti più celebri di Leptis. Fu eretto nel 203 d.C., in occasione di una visita dell'imperatore Settimio Severo alla sua città natale, per rendere onore a lui e alla sua famiglia. Il nucleo della struttura fu costruito in pietra calcarea e poi rivestito in marmo. L'opera che oggi tutti possono vedere è in realtà una semi-fedele ricostruzione dell'antico monumento, al pieno recupero del quale gli archeologi stanno tuttora lavorando.
L'arco è costituito da quattro pilastri che sorreggono una copertura a cupola. Ciascuna delle quattro facciate esterne dei pilastri era affiancata da due colonne corinzie, tra le quali erano scolpite decorazioni in rilievo rappresentanti le virtù e le imprese dei Severi. Nel punto di intersezione tra la cupola e i pilastri sono scolpite delle aquile con le ali piegate, uno dei simboli della Roma Imperiale. Sopra le colonne si trovano due pannelli scolpiti che riproducono nei dettagli processioni trionfali, riti sacrificali e lo stesso Settimio Severo che tiene per mano il figlio Caracalla. Sulla facciata interna delle colonne sono riportate scene di campagne militari, cerimonie religiose e l'immagine della famiglia dell'imperatore.
Terme Adriano
Lo sviluppo della città, insieme all'arrivo dell’acqua e alla diffusione dell'impiego del marmo portarono l'imperatore Adriano, agli inizi del II secolo d.C., a commissionare l'impianto termale che porta il suo nome. Il complesso fu inaugurato nel 137 d.C., ma alcuni archeologi sostengono che l'effettiva apertura sia avvenuta dieci anni prima. Conformemente alla tradizione romana, esso si sviluppa su un asse nord-sud con ambienti disposti simmetricamente.
Le terme sono accessibili dalla palestra, dalla quale si passa nella natatio, ampio ambiente con il pavimento rivestito da marmi e mosaici in cui si trova una piscina all'aperto circondata da colonne su tre lati. Oltre la natatio, si apre il frigidarium con le vasche di acqua fredda. La stanza misura 30 m per 15 m, è pavimentata in marmo; otto massicce colonne con fusti di marmo cipollino alte quasi 9 m sorreggono un soffitto a volta, un tempo ornato con mosaici di colore blu e turchese, di cui oggi però non rimane più nulla. Ad entrambe le estremità della sala si trova una vasca, mentre, lungo le pareti sono presenti nicchie che ospitavano 40 statue, alcune delle quali sono oggi conservate nei musei di Leptis e di Tripoli.
Immediatamente a sud del frigidarium si trova il tepidarium, il locale adibito al bagno tiepido, in origine formato da una piscina centrale fiancheggiata su due lati da colonne - le altre due vasche furono aggiunte successivamente. Tutto intorno si aprono le stanze del calidarium, per il bagno caldo, orientate verso sud. Un tempo, probabilmente, avevano grandi finestre in vetro sul lato meridionale. A questo locale furono aggiunte cinque laconica (bagni di vapore) durante il regno di Commodo. All'esterno, sul lato meridionale, erano collocate le fornaci usate per riscaldare l'acqua. Sui lati orientale e occidentale degli edifici corrono le cryptae, i deambulatori. Alcuni ambienti più piccoli erano i cosiddetti apodyteria, gli spogliatoi. Le forica, le latrine, meglio conservate sono quelle che si trovano sul lato nord-orientale del complesso.
Tempio delle Ninfe
A est della palestra e delle terme di Adriano vi è una piazza aperta dominata dal nymphaeum, o tempio delle Ninfe. Si tratta di una monumentale con la facciata riccamente articolata da colonne con fusti di granito rosso e marmo cipollino e con nicchie, ora vuote, che un tempo ospitavano delle statue di marmo. Risale all'epoca del regno di Settimio Severo.
Via colonnata
Per mettere in comunicazione il porto con la parte meridionale di Leptis venne costruita una grandiosa via colonnata, lunga 400 m e larga 44. Essa collegava il porto alle terme e terminava in una piazza ottagonale decorata con un ninfeo.Ciascun lato di questa imponente via era dotato di 125 colonne di marmo verde con venature bianche, sulle quali poggiavano delle arcate.
Poiché collegava le terme e il nuovo foro dei Severi con il lungomare, era una delle strade più importanti della città.
Testa di Gorgone
Il progetto di trasformazione della città attuato da Settimio Severo prevedeva anche la revisione della struttura del centro cittadino, che fu da lui trasferito dal vecchio foro ad uno nuovo, battezzato con il nome della dinastia imperiale.
La piazza pavimentata in marmo, misura 100 m per 60 ed era circondata da portici ad arcate. Sulla facciata, tra un arco e l'altro erano medaglioni, di cui si conservano 70 esemplari. Nella maggior parte dei casi sono rappresentazioni simboliche della dea romana della Vittoria. Oltre ad esse vi sono alcune splendide immagini di Medusa. Gli archi erano di pietra calcarea, mentre le teste erano scolpite in marmo. Davanti alle colonne dei portici erano basamenti per statue, che conservano le iscrizioni dedicatorie.
Sul lato sud-occidentale del foro sorgeva il tempio dedicato alla dinastia dei Severi, del quale rimangono soltanto la scalinata, il podio e un magazzino sotterraneo. Ad esso appartenevano pure alcun fusti di colonna in granito rosa che si trovano sparse per il foro.
Basilica
La basilica dei Severi è una struttura lunga 92 m e larga 40 che sorge sul lato nord-orientale del Foro. Presenta l'ingresso sui lati lunghi verso la piazza del Foro e absidi su entrambi lati corti. Lo spazio interno era articolato in tre navate, divise da colonne con fusti in granito rosa.
La sua costruzione fu avviata da Settimio Severo e completata da suo figlio Caracalla nel 216 d.C.
Le absidi sono decorate da più ordini architettonici con pilastri scolpiti al primo ordine e ospitavano i templi di Liber Pater (per i Romani Bacco e per i Greci Dioniso) e di Ercole-Eracle: sul lato dedicato ad Ercole i pilastri scolpiti hanno raffigurazioni delle mitiche dodici fatiche del semidio).
Nel VI secolo Giustiniano trasformò la basilica in una chiesa cristiana, facendo sistemare l'altare nell'abside sud-orientale. Dall'alto delle scale vicine all'angolo nord-occidentale si godono vedute della città.
La Porta Bizantina
Sul tratto della "Via trionfale" che passa per l'angolo meridionale del mercato si erge l'arco di Tiberio (I secolo d.C.) Poco più avanti si trova l'arco di Traiano, fatto costruire nel 110 d.C., eretto probabilmente per commemorare l'acquisizione, da parte di Leptis, dello status di colonia romana. Entrambi gli archi sono in pietra calcarea.
A nord-ovest della Basilica inizia una strada che conduce alla Via Trionfale, il cardo maggiore, e alla Porta Bizantina. Da notare quelli che sembrano fori di proiettile, che in realtà sono i buchi lasciati dagli “arcaici chiodi” martellati nel muro per appendere lastre di marmo.
FORO VECCHIO
Il foro più antico di Leptis Magna (detto "Foro vecchio") era al centro della vecchia città punica. Su di esso gravitava l'antico culto cittadino di Šadrafa-Liber Pater (IPT 31). Un ampio saggio di scavo realizzato lungo il lato orientale della piazza ha messo in luce una complessa sequenza di strutture fenicio-puniche. La piazza fu realizzata o comunque ebbe un nuovo assetto monumentale sotto l’imperatore Augusto, a cura del proconsole Cn. Calpurnio Pisone nel 4-6 d.C. (IRT 520) e fu completamente lastricata nel 53-54 d.C. (IRT 338-IPT 26 e IRT 615). Presentava dei portici colonnati su tre lati.
Entrando nel foro dalla Porta bizantina, si vedono le rovine di tre templi su alto podio. A sinistra il tempio d'età augustea tradizionalmente attribuito a Liber Pater, ma per il quale è stata avanzata l'attribuzione al culto di Giove, di cui resta solo il podio e pochi resti della cella. Al centro il tempio di Roma e di Augusto, costruito tra il 14 e il 19 d.C. (IPT 22) in pietra calcarea. Il tempio presentava un'alta tribuna anteriore decorata da rostri, probabilmente utilizzata come palco dagli oratori che tenevano discorsi sulla piazza. I colonnati dei due templi maggiori furono rifatti in marmo nel II secolo d.C., ma una semicolonna originale del tempio di Roma e Augusto è rimasta sempre in piedi. A destra si hanno i resti del cosiddetto tempio di Ercole, il più rovinato dei tre: le pareti del podio e il colonnato sono opera di restauro.
Sul lato opposto della piazza alcuni fusti di colonna in granito grigio, fortemente erosi, ricordano la presenza dell'antica basilica civile, eretta una prima volta nel I secolo d.C. e ricostruita nel IV secolo dopo un incendio.
Nei pressi della basilica era collocata la curia, sede del senato cittadino, risalente al II secolo d.C. A sinistra dell'ingresso alla piazza è un edificio di età traianea, in seguito trasformato in una chiesa bizantina, della quale si distinguono l’abside, le navate laterali e il nartece. Al centro del foro si notano un piccolo battistero con vasca a pianta a croce e un'esedra.
Il porto fu trasformato sotto Settimio Severo, che vi eresse un faro di cui restano solo le fondamenta. Il faro era alto più di 35 m e secondo le fonti antiche era simile al più rinomato faro di Alessandria.
Delle installazioni portuali si conservano il molo orientale, i magazzini, le rovine di una torre di osservazione e una parte delle banchine utilizzate per il carico delle merci.
Nei pressi del porto si conservano i resti del tempio dedicato a Giove Dolicheno, con la sua scalinata.
GIOVE DOLICHENO
CHALCIDICUM
Il chalcidicum si trova nell'isolato immediatamente a ovest dell'arco di Traiano. Costruito nel I secolo d.C., durante il regno di Agusto, ha un portico colonnato collegato alla via Trionfale per mezzo di una serie di gradini.
MERCATO
Al suo interno sorgeva un tempietto in onore di Augusto e di Venere e si conservano fusti in marmo cipollino e capitelli corinzi del II secolo d.C. Presso l'angolo orientale si può notare un basamento a forma di elefante.
Il mercato conserva nello spazio centrale due padiglioni ottagonali ricostruiti: quello settentrionale era forse adibito alla compravendita dei tessuti e conserva una tavola di pietra (in copia: l'originale è custodito nel museo del sito), risalente al III d.C. d.C., sulla quale sono incise le principali unità di misura: il braccio romano o punico (51,5 centimetri), il piede romano o alessandrino (29,5 centimetri) e il braccio greco o tolemaico (52,5 centimetri). Intorno allo spazio centrale corre un portico colonnato.
MERCATO (Macellum)
Mercato e veduta di una delle tholoi ottagonali.
Interno della tholos del mercato.
Tabula mensoria (ritrovata all'interno del mercato).
Il complesso venne edificato nel 9 a.C. e poi ricostruito durante il regno di Settimio Severo: alcune colonne con capitello di marmo risalgono a questa seconda epoca. Nel quadriportico fu ritrovato, nel 1930, un busto di Afrodite.
TEATRO
VEDUTE
Il teatro di Leptis, capace di ospitare 15.000 spettatori, è il secondo dell'Africa per dimensioni (dopo quello di Sabratha). Risale ai primi anni del I d.C., come mostrano le iscrizioni celebrative apposte da ricchi cittadini di Leptis. Fu costruito sul sito di una precedente necropoli punica utilizzata tra il V e il III secolo a.C.
Il palcoscenico fu ricostruito in marmo e conserva il frontescena come facciata monumentale, articolata in tre nicchioni semicircolari e decorata da un triplice ordine di colonne. Questa struttura risale all'epoca di Antonino Pio (138-161 d.C.). Vi si trovavano anche numerose sculture che raffiguravano divinità, imperatori e cittadini illustri. Due di esse sono tuttora nella loro posizione originaria: la statua di Bacco ornata da viti e foglie, e quella di [Eracle], con la testa ricoperta da una pelle di leone.
La cavea era stata tagliata nella roccia all'epoca della costruzione del teatro; nel 90 d.C. i gradini riservati ai seggi dei notabili della città furono ricavati subito sopra l’orchestra separati da quelli del pubblico pagante da una massiccia balaustra di pietra. In cima alla cavea si trovavano alcuni tempietti e un porticato con fusti di colonna in marmo cipollino.
Terme dei Cacciatori
Le terme dei Cacciatori sono costituite da una serie di ambienti con volte a botte scavati nell’arenaria. Il complesso venne realizzato nel II secolo d.C. e fu utilizzato per quasi tre secoli. Conservano mosaici e affreschi, uno dei quali, situato nel frigidarium e nel quale sono raffigurate scene di caccia ambientate nell’Anfiteatro, ha dato il nome al complesso. Uno degli affreschi risale ad un'epoca precedente alle terme e vi è stato riutilizzato al momento della loro costruzione. Sono inoltre presenti pannelli marmorei scolpiti.
File:Circus Leptis Magna Libya.JPG
Anfiteatro
L'anfiteatro di Leptis Magna, capace di contenere 16 000 spettatori, venne scavato nel fianco di una collina nel I secolo d.C. Al di sopra dei gradini superiori della cavea correva probabilmente un portico colonnato.
Circo (ippodromo)
Il Circo era realizzato lungo la costa orientale della città e le gradinate del lato nord-orientale erano accessibili dalla pista, mentre quelle del lato opposto si potevano raggiungere anche dall'anfiteatro, attraverso dei passaggi secondari. Edificato nel 162, durante il regno di Marco Aurelio, poteva ospitare 25.000 spettatori ed era ampio 450 m per 100. Sono parzialmente conservati gli spalti e rimangono scarsi resti della spina centrale e dei carceres di partenza.
Colonne
Resti dell'edificio scenico del teatro.
Veduta delle rovine
Piccola Porta occidentale
Arco quadrifronte dei Severi
Colonna parzialmente scavata.
Veduta interna di uno dei parodoi d'ingresso al teatro.
Sopra e sotto - Una delle strade fondamentali dell'impianto urbano, compresa fra l'arco dei Severi e l'arco di Traiano.
Basilica severiana, pertinente all'omonimo foro.
Scala all'interno del foro severiano
Basilica severiana, fusti in marmo inquadranti le absidi con decorazione scultorea di tipo a girali popolati.
Dettaglio pertinente alla basilica severiana
Diana di Versailles è una famosa statua della dea Diana conservata nel Museo del Louvre Parigi.
La statua è stata rinvenuta in Italia: il sito del Louvre suggerisce la città di Nemi, dove anticamente esisteva un santuario; altre fonti ritengono sia stato rinvenuto a Tivoli, nei pressi di Villa Adriana; Statue dello stesso soggetto sono state ritrovate nelle aree archeologiche di Leptis Magna (l'attuale Libia) e di Antalya (l'attuale Turchia). Nel 1556 fu donato da Papa Paolo IV a Enrico II di Francia, con una sottile ma ineludibile allusione alla sua maîtresse-en-titre, Diana di Poitiers.
ALCUNE INFORMAZIONI SULLA CITTA'
NOME ORIGINALE |
LPQS |
NOME FENICIO; POI LEPCIS E POI LEPTIS |
SIGNIFICATO |
- |
- |
NOME COMUNE ATTUALE |
LEPTIS MAGNA |
- |
CONTINENTE |
AFRICA |
- |
STATO ATTUALE |
LIBIA |
- |
REGIONE/STATO/DISTRETTO ATTUALE |
DISTR. DI AL BURGUB |
- |
CULTURA |
FENICIA-PUNICA E ROMANA |
NASCE COME "EMPORIUM" DI CARTAGINE |
POPOLAZIONE STIMATA (ANTICHITA') |
100.000 |
- |
- |
- |
|
VII SEC. A.C. |
- |
|
DATA DELL'ABBANDONO O DISTRUZIONE |
SUPERFICIE |
- |
DATA DELLA SCOPERTA/RISCOPERTA |
DATA DELLA FONDAZIONE |
- |
SCOPRITORE |
- |
- |
SCAVI ARCHEOLOGICI |
PRIMI DEL 1700 |
- |
ARCHEOLOGO /I |
CLODE DE MARIE |
CONSOLE FRANCESE A TRIPOLI |
SITO ARCHEOLOGICO |
LEPTIS MAGNA |
MUNICIPIO DI AL BURGUB A 3 KM DALL'AEROPORTO DI TRIPOLI |
UNESCO - PATRIMONIO DELL'UMANITA' |
1982 |
- |
PRINCIPALI MONUMENTI DA VISITARE |
ARCO DI SETTIMIO SEVERO, TERME DI ADRIANO, TEMPIO DELLE NINFE, VIA COLONNATA, FORO DEI SEVERI, BASILICA, PORTA BIZANTINA, ARCHI MONUMENTALI, CHALCIDIUM, TEATRO, MERCATO, ANFITEATRO ECC. |
FONTI
- LEPTIS MAGNA, PORTA PRINCIPALE PER L'AFRICA
https://www.romanports.org/it/articoli/ports-in-vista/178-leptis-magna-il-porto-d-accesso-all-africa.html
- archeologiavocidalpassato
Gea 2021-Ica: “Archeologia e inclusione”. Contributo 15: “Storie dalla sabbia – La Libia di Antonino Di Vita (Università di Macerata)”
- ICA – Istituto Centrale per l’Archeologia
https://archeologiavocidalpassato.com/tag/leptis-magna/
- Cartine Leptis:
GRANDI CITTA’ DEL PASSATO
http://www.luckyjor.org/sitocity/leptis/pagleptis.html
RENOVATIO IMPERII.
Leptis Magna, la città dell’imperatore
LEPTIS MAGNA (Libia)
https://www.romanoimpero.com/2015/01/leptis-magna-libia.html
Carlo GATTI
Rapallo, Martedì 6 Maggio 2025
AFFONDAMENTO DELLA PETROLIERA IRIDIO MANTOVANI E DELLA SUA SCORTA CTP ALVISE DA MOSTO
AFFONDAMENTO DELLA PETROLIERA
Il 1º dicembre 1941
IRIDIO MANTOVANI
E della sua scorta
Ctp ALVISE DA MOSTO
Il 1º dicembre 1941 l'Arno, di nuovo insieme alle altre navi Ospedale: Virgilio e Laurana, fu mandata a cercare i sopravvissuti della grossa nave cisterna Iridio Mantovani e del cacciatorpediniere Alvise da Mosto che la stava scortando, affondati circa 75 miglia a nord-ovest di Tripoli (rispettivamente in 33°53' N e 12°50' E e 33°53' )
La petroliera Iridio Mantovani e le sue gemelle erano le più grandi, moderne e veloci motonavi cisterna italiane della loro epoca: gioielli della cantieristica italiana, erano le “superpetroliere” del tempo, e tra le navi cisterna più grandi al mondo al momento della loro costruzione.
Cacciatorpediniere ALVISE DA MOSTO
Il 1° dicembre 1941, la petroliera Iridio Mantovani era in navigazione da Trapani a Tripoli con un carico di prodotti petroliferi. Verso le ore 13.20, quando ormai si trovava a poche ore dall’arrivo a Tripoli, fu attaccata e ferita gravemente da 4 aerei Blenheim del 107° Sq. della R.A.F. di Malta.
Alle ore 16.45 fu nuovamente attaccata da aerei nemici e colpita mortalmente con bombe. Abbandonata dall'equipaggio con incendio a bordo, venne poco dopo raggiunta e affondata a cannonate da una formazione navale UK, composta dagli incrociatori Aurora e Penelope e dal cacciatorpediniere Lively, in Lat. 33°50'N e Long. 12° 50'E (circa 60 miglia a nord-nord-ovest di Tripoli).
M/n IRIDIO MANTOVANI
Un po’ di storia...
Bandiera | Flag | Italiana - Italian |
Armatore | Owner | Agenzia Generale Italiana Petroli - Roma - ITALY |
Impostazione chiglia | Keel laid | 27.01.1938 |
Varo | Launched | 22.12.1938 |
Consegnata | Delivered | 13.05.1939 |
Cantiere navale | Shipyard | Cantieri Riuniti dell'Adriatico - Monfalcone - ITALY |
Costruzione n. | Yard number | 1204 |
Tipo di scafo | Hull type | scafo singolo - single hull |
Materiale dello scafo | Hull material | acciaio - steel |
Nominativo Internazionale | Call Sign | I B K I - |
I.M.O. International Maritime Organization | 5615034 | |
M.M.S.I. Maritime Mobile Service Identify | ||
Compartimento Marittimo | Port of Registry | Genova |
Numero di Registro | Official Number | 2350 |
Posizione attuale | Actual position | CLICCA QUI / CLICK HERE |
Stazza Lorda | Gross Tonnage | 10.539 Tons |
Stazza Netta | Net Tonnage | 6.826 Tons |
Portata (estiva) | DWT (summer) | 14.770 Tonn |
Lunghezza max | L.o.a. | 158,50 m |
Lunghezza tra le Pp | L. between Pp | |
Larghezza max | Breadth max | 20,90 m |
Altezza di costruzione | Depth | |
Bordo libero (estate) | Summer Freeboard | |
Velocità massima | Max speed | 16,0 kn |
Con la pelle appesa a un chiodo
Con le gemelle Sergio Laghi, Franco Martelli e Giulio Giordani – tutte battezzate, per disposizione del governo, con nomi di militari decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria –, faceva parte del programma di modernizzazione della flotta AGIP, avviato a fine anni Trenta con l’espansione commerciale della compagnia. Tale programma, che nelle intenzioni doveva dotare l’AGIP di una flotta all’avanguardia per l’epoca, prevedeva la realizzazione di quattro motocisterne da 10.500 tsl e 15.000 tpl (appunto Mantovani, Laghi, Martelli e Giordani) per il lungo corso, quattro motocisterne più piccole da 2000 tpl (da impiegarsi sulle rotte con la Libia e l’Africa Orientale) e due di dimensioni ancora più ridotte, 1000 tpl (per il traffico con la Dalmazia) e 600 tpl (per il traffico con il Dodecaneso).
UN PO’ DI STORIA...
col supporto di Wikipedia
27 gennaio 1938
La Iridio MANTOVANI
Impostata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1204).
22 dicembre 1938
Varata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone, alla presenza del Ministro delle Comunicazioni, Giovanni Host-Venturi, in rappresentanza del governo.
Essendo una costruzione interamente autarchica, la stampa dà gran risalto al varo della Mantovani e della gemella Franco Martelli.
13 maggio 1939
Completata (seconda delle quattro unità della sua serie ad entrare in servizio) per l’Azienda Generale Italiana Petroli (AGIP), con sede a Roma.
28 novembre 1940
Requisita dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
9 gennaio 1941
Derequisita dalla Regia Marina.
1° maggio 1941
Nuovamente requisita dalla Regia Marina, ancora senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
La petroliera I.Mantovani in navigazione - (foto da “Il vero traditore” di Alberto Santoni, Mursia, 1981) |
2 maggio 1941
Subito derequisita.
1° novembre 1941
Requisita per la terza ed ultima volta dalla Regia Marina, sempre senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
14-15 novembre 1941
La Mantovani lascia la Liguria per trasferirsi a sud, scortata dalla torpediniera Giacinto Carini.
I NEMICI
Incrociatore Inglese HMS AURORA
Incrociatore Inglese HMS ARETHUSA
Incrociatore Inglese HMS PENELOPE
Cacciatorpediniere inglese LIVELY
Aerei della RAF Bristol Blenheim
DUE NAVI CON DUE MISSIONI DIVERSE
STESSO DESTINO
CRONACA DELL’AFFONDAMENTO
Il 1º dicembre 1941 il Da Mosto, al comando del capitano di fregata Francesco Dell’Anno (nato a Taranto il 16 ottobre 1902), era di scorta alla grande e moderna motonave cisterna Iridio Mantovani in navigazione, carica di 8.500 tonnellate di carburante, da Napoli a Tripoli. Come abbiamo già visto, alle 13.20 il convoglio italiano fu attaccato da quattro bombardieri Bristol Bleheim del 107° Squadron della Royal Air Force. Centrata da alcune bombe, la petroliera si immobilizzò con gravi danni.
Il Da Mosto prese a rimorchio la petroliera danneggiata ma, causa del suo sbandamento, i cavi si spezzarono.
Alle 16.45 il convoglio fu nuovamente attaccato da aerei: colpita da altre bombe sul ponte di comando, la Mantovani s'incendiò, mentre il Da Mosto recuperava l’equipaggio della petroliera.
Alle 18, furono avvistati fumi all’orizzonte. Il cacciatorpediniere si avvicinò alle navi ritenendo fossero motovedette italiane, ma si trattava invece della Forza britannica K, composta dagli incrociatori leggeri Aurora e Penelope e dal cacciatorpediniere Lively.
Il Da Mosto si avvicinò coraggiosamente fino a 1.000 metri di distanza dalle navi inglesi, lanciò vari siluri aprì il fuoco con i cannoni, emise cortine fumogene, ma la sproporzione di forze rese tutto inutile: ripetutamente colpito, il cacciatorpediniere s'immobilizzò con gravi danni e dovette essere abbandonato dall'equipaggio; mentre era in corso l'abbandono della nave, questa, colpita nel deposito munizioni poppiero, fu scossa dall’esplosione di tale deposito, impennò la prua ed affondò rapidamente di poppa, alle 18.15, in posizione 33°53' N e 12°28' O (circa 75 miglia a nordovest di Tripoli).
Il Lively sfilò a bassa velocità e a breve distanza dal gruppo dei naufraghi e dalla nave agonizzante, rendendo loro l’onore delle armi prima di allontanarsi senza raccogliere nessuno. Anche la Mantovani fu finita a cannonate dalle navi inglesi, inabissandosi in posizione 33°50' N e 12°50' E; il suo equipaggio fu recuperato dall’Aurora.
Dell'equipaggio del Da Mosto scomparvero in mare 138 uomini, mentre il comandante Dell'Anno ed altri 134 superstiti furono recuperati da unità italiane.
Il comandante Dell'Anno (poi scomparso in mare con il cacciatorpediniere Scirocco) fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare per la sua eroica difesa.
Nel corso del conflitto il Da Mosto aveva svolto 79 missioni di guerra per un totale di 23.531 miglia percorse e 1.440 ore di moto.
Comandanti
Capitano di fregata Giangiacomo Ollandini (nato a Genova il 2 gennaio 1901) (10 giugno 1940 - novembre 1941)
Capitano di fregata Francesco Dell’Anno (nato a Taranto il 16 ottobre 1902) (novembre - 1 dicembre 1941)
Conclusione
Nel dicembre 1941, l'Italia era in grave difficoltà nel Mediterraneo. La Regia Marina, oberata dai compiti operativi e con risorse energetiche limitate, non riusciva più a garantire una scorta adeguata alle proprie navi mercantili.
La superiorità aeronavale britannica era schiacciante, impedendo efficacemente qualsiasi intervento aereo a protezione dei convogli.
L'affondamento dell'Iridio Mantovani e dell'Alvise da Mosto è un esempio lampante della vulnerabilità italiana in quel periodo che evidenzia la crescente inferiorità rispetto alla potenza navale e aerea britannica.
Le carte di LIMES
(Rivista Italiana di geopolitica)
In questo senso, molti storici individuano nella mancata occupazione dell’isola di Malta da parte di Mussolini e Hitler un fatale errore strategico che portò alla graduale perdita di controllo strategico-militare delle rotte navali commerciali e militari dell’intero Mare Mediterraneo.
Carlo GATTI
Rapallo, 29 Aprile 2025
LA STORIA DI MARY ANN
LA STORIA DI MARY ANN
Image: National Portrait Gallery, Mary Ann Brown Patten 1857
Due anni fa è stata celebrata negli Stai Uniti il mese della storia delle donne, e vale oggi la pena di riportare in Italia, con un ritardo inspiegabile, la tragica storia di Mary Patten, che comandò un clipper di 216 piedi (66 metri) attorno a Capo Horn fino a San Francisco.
Il clipper Flying Cloud al largo dell’isola di Wight
Dipinto di James E. Buttersworth
La rotta compiuta da Mary Ann al comando del clipper Neptune's Car
LA PROPAGANDA DELL'EPOCA
Solo 105 giorni da New York a San Francisco via Capo Horn
SULLA ROTTA DELL'ORO
In basso a sinistra il famigerato CAPO HORN
Durante una traversata da New York a San Francisco nel 1856, il capitano del clipper Neptune's Car si ammalò. Poi, nei pressi di Capo Horn, il capitano Joshua Patten cadde in coma. Il primo ufficiale cercò di convincere l'equipaggio a fare scalo in Argentina o a tornare a New York.
La moglie del capitano, Mary (l'unica altra persona a bordo che sapeva navigare), assicurò loro di poterli portare a San Francisco.
Ottenuto il loro unanime appoggio, la Neptune's Car doppiò Capo Horn sotto il suo comando e arrivò sana e salva a San Francisco.
All'epoca, Mary Patten aveva 19 anni ed era incinta di otto mesi. Oggi è considerata la prima comandante donna di una nave mercantile americana.
L'ospedale presso la Merchant Marine Academy di Kings Point, NY, porta il suo nome.
MASSACHUSSETS
TERRA DI MARINAI D’ALTOMARE
Mary Ann Patten nacque nel 1837 a Chelsea, Massachusetts, cuore pulsante di una fiorente tradizione marinara. La zona era famosa per i suoi abili costruttori navali e per le sue audaci spedizioni, in particolare la caccia alle balene, che aveva plasmato una cultura marinara unica, in cui intere famiglie erano coinvolte nella vita a bordo.
Le donne, spesso trascurate dalla narrazione storica, svolgevano ruoli importanti, dal cucito e le riparazioni alle attività domestiche, contribuendo al buon funzionamento delle navi e al benessere dell'equipaggio.
Questa immersione familiare nel mondo marittimo fornì a Mary Ann una base unica di conoscenze e competenze, che le sarebbero state preziose in seguito. La sua familiarità con le navi, le carte nautiche e i principi della navigazione non era insolita, ma piuttosto un'eredità della sua stessa famiglia e della cultura marinara del Massachusetts, una cultura che, seppur valorizzando innanzitutto l'abilità maschile, non negava mai il contributo determinante delle donne.
Mary Ann Patten, appena diciannovenne e incinta, si trovò a fronteggiare una situazione disperata. Il viaggio da New York a San Francisco sulla Neptune's Car, iniziato con il marito Joshua, capitano, si trasformò in un incubo. Joshua, colpito da tubercolosi, era costretto a letto, inabile al comando.
Il primo ufficiale era stato allontanato, e il secondo risultava troppo inesperto per guidare la nave attraverso l'Oceano Pacifico.
La responsabilità, improvvisamente e inesorabilmente, ricadde sulle spalle di Mary Ann.
Nonostante la sua giovane età e la delicata situazione fisica, lei, grazie alla sua profonda conoscenza della navigazione, acquisita con passione e impegno, si fece carico del comando.
Per 56 giorni, si trovò ad affrontare le dure prove della navigazione. Tempeste violente scuotevano la Neptune's Car, mettendo a dura prova l'equipaggio e la stessa struttura della nave. Mary Ann, con fredda determinazione, diede prova di grandi capacità di leadership, gestendo l'equipaggio, prendendo decisioni difficili, mantenendo la rotta nonostante le avversità. Navigò tra le onde, lottando contro la disperazione e la minaccia di un possibile ammutinamento. Di giorno comandava la nave, di notte si occupava del marito morente.
La sua tenacia, unita alla sua conoscenza tecnica, furono decisive per portare la Neptune's Car a destinazione.
Arrivarono a San Francisco, dopo due mesi di viaggio infernale. Ma, pur avendo salvato la nave e l'equipaggio, Mary Ann ebbe l'amaro in bocca della perdita del suo amato marito, che morì poco prima di raggiungere il porto. La giovane, sola e distrutta dal dolore, contrasse la stessa malattia e morì nel 1861 a soli 25 anni.
Il silenzio che avvolge la storia di Mary Ann Patten è un silenzio assordante, una lacuna inspiegabile nella narrazione della storia marittima. Un'eroina dimenticata, un'impresa straordinaria relegata all'oblio. Le pagine bianche che seguono rappresentano quell'assenza, quel vuoto che la storia ufficiale ha lasciato, un vuoto che oggi, finalmente, possiamo iniziare a colmare, raccontando la sua storia, rendendole finalmente giustizia."
Il classico shape del CLIPPER
“Smashing her way through enormous cross seas and howling winds the Neptune’s Car began to run her easting down. She passed a battered barque bearing Hamburg markings vainly attempting to make westing against a thundering south-westerly gale.” Those with an interest in American maritime history would know of the story of Mary Patten and the clipper ship Neptune’s Car. However few would be aware of the cursed nature of the ship. The Patten’s fateful voyage was just one in the career of a clipper whose travels spanned the globe. Built at the yard of Page & Allen in Gosport, Virginia in the spring of 1853, the Neptune’s Car quickly established her reputation for speed. However murder, mutiny, mayhem, plague, disaster, war, death and financial ruin haunted any who know her. The fickle hand of fate was always at the helm and like the oceans upon which the clipper sailed, she spared none who showed weakness! Volume One of the Virginia Clippers.
Chiunque conosca la storia marittima americana saprà della storia di Mary Patten e del clipper Neptune's Car. Tuttavia, pochi sarebbero a conoscenza della natura maledetta della nave. Il fatale viaggio dei Patten fu solo uno nella carriera di un clipper i cui viaggi attraversarono il globo.
Costruita nel cantiere di Page & Allen a Gosport, Virginia, nella primavera del 1853, la Neptune's Car si guadagnò rapidamente la reputazione di nave velocissima. Tuttavia, omicidio, ammutinamento, caos, peste, disastro, guerra, morte e rovina finanziaria perseguitarono chiunque la conoscesse.
La mano capricciosa del destino era sempre al timone e, come gli oceani su cui navigava il clipper, non risparmiava nessuno che mostrava debolezza! "Fracassandosi attraverso enormi mari incrociati e venti ululanti, la Neptune's Car iniziò a diminuire la sua rotta verso est. Passò una goletta malconcia con marcature di Amburgo che tentava invano di dirigersi verso ovest contro una tempesta di sud-ovest fragorosa.
Volume Uno dei Virginia Clippers.
ALBUM FOTOGRAFICO
Clipper a Capo Horn
Il SESTANTE DEI PATTEN
Image: Sextant, ca 1825-1850, The Mariners’ Museum and Park 1998.0050.000001
New York - San Francisco: La rotta seguita dal clipper Neptune's Car
Image: Boston-San Francisco route taken by Dashing Wave in 1860, from Cruise of the Dashing Wave, Peabody Essex Museum.
Certificato di morte del Comandante Joshua Patten
Image: Captain Joshua Patten Obituary July 25, 1857
Image: Mary Patten Obituary March 18, 1861
Le tombe dei coniugi PATTEN
I CLIPPERS
le “FERRARI” dell’800
https://www.marenostrumrapallo.it/i-clippers-le-qferrariq-dell800/
Carlo GATTI
CUTTY SARK
UN CLIPPER NELLA LEGGENDA
https://www.marenostrumrapallo.it/cutty-sark-un-clipper-nella-leggenda/
Carlo GATTI
LA BALENIERA CHARLES W.MORGAN
https://www.marenostrumrapallo.it/charles/
Carlo GATTI
Carlo GATTI
Rapallo, Lunedì 21 Aprile 2025
RICORDI PASQUALI ...
RICORDI PASQUALI ...
Foto di Marco FIGARI
Quest'anno, mentre ci prepariamo a celebrare la Pasqua, il mio pensiero vola indietro nel tempo, a un'epoca in cui la semplicità e le ristrettezze del dopoguerra plasmavano le nostre tavole e i nostri cuori. Ricordo la frenetica attività dei miei genitori, giorni e giorni prima della Pasqua, intenti a preparare con cura gli ingredienti per il nostro pranzo di festa.
L'acquisto di uova di cioccolato era un lusso impensabile, ma la ricchezza della nostra tradizione culinaria compensava ampiamente la sua assenza.
Fave, salame e pecorino: un antipasto rustico e saporito, preludio a un banchetto di sapori genuini. Le panissette e i gattafin, fritti dorati e fragranti, deliziosamente croccanti. La torta pasqualina, con la sua farcitura di erbette profumate e la sua pasta sottile e friabile. E poi, i ravioli e i pansotti, simboli di una tradizione che si tramanda di generazione in generazione, seguiti dall'agnello in fricassea, il cui profumo inebriava la casa.
E per finire, la sacripantina e i canestrelli pasquali con l'uovo, dolcetti che portavano con sé il gusto della festa.
Più che un semplice pranzo, era una celebrazione della vita, dell'amore famigliare, della fede. Un'epoca in cui le gioie erano semplici, condivise nell'intimità del focolare domestico, radicate in una profonda spiritualità che ci guidava dalla sofferenza della Passione alla gioia della Risurrezione. Quest'anno, mentre gustiamo i sapori della nostra tradizione, portiamo nel cuore la memoria dei nostri genitori, e la dolce nostalgia di quei tempi, in cui la semplicità e la fede erano i nostri doni più preziosi.
BUONA PASQUA
PASQUA DI RISURREZIONE
Nella teologia dei cristiani, la Risurrezione di Gesù è
"il mistero fondamentale della fede"
Galleria degli Arazzi, Città del Vaticano
“La risurrezione di Gesù è l'evento culminante della narrazione dei Vangeli e degli altri testi del Nuovo Testamento: secondo questi testi, il terzo giorno dalla sua morte in croce, GESU’ risorse, ad alcune discepole e quindi anche ad altri apostoli e discepoli in forma corporea. Per il CRISTIANESIMO l'evento è il principio e fondamento della FEDE, ricordato annualmente nella Pasqua, la più importante festività cristiana”.
I NAVIGANTI E LA FEDE
LINEA DI FEDE
Sul mortaio (che è vincolato alla barca) è tracciata la linea di fede, una linea che indica sempre l'asse longitudinale della nave che corre esattamente da poppa a prora).
La linea di fede, rappresenta quindi la direzione della prora ed indica sulla bussola i gradi della rotta che sta seguendo.
Nave AMERIGO VESPUCCI
Interno plancia prodiera
Giornale di chiesuola, Registro sul quale, nella marina militare, l’ufficiale in comando di guardia o il comandante, quando assume direttamente la direzione della nave, annotano tutti gli elementi relativi alla navigazione.
LA CHIESUOLA DELLA BUSSOLA
Bussola per Lancia di Salvataggio
Custodia e colonna, di metallo diamagnetico, che protegge e sostiene la bussola magnetica navale; viene munita di dispositivi atti a compensare l’influenza dello scafo metallico sull’ago magnetico, a illuminare la bussola, a prendere rilevamenti (➔ bussola).
Bussola per Lancia di Salvataggio
Perché la bussola si chiama così?
Deve il suo nome alla scatola in legno di bosso che originariamente conteneva tale strumento. Negli antichi velieri la bussola si custodiva nella chiesuola, alloggio posto a prua della ruota del timone.
Cosa simboleggia la bussola?
La bussola è associata al concetto di guida e protezione, simile a un faro nella notte che indica il cammino da seguire quando ci si sente smarriti.
Qual è la frase d'uso di bussola?
Perdere la bussola, per la gente di mare, è fonte di pericolo; all’impossibilità di conoscere la propria posizione sono legati altri detti come “perdere la tramontana”, cioè il Nord, o “perdere l’orientamento”.
Cosa significa la bussola nei tatuaggi?
Tatuaggio bussola: significato con esempi e foto
Questa combinazione di simboli per il tatuaggio della bussola sta a significare il viaggio in una nuova direzione (fisica, mentale o spirituale) oppure indicare un nuovo capitolo della propria vita in cui si vuole viaggiare nella giusta direzione.
Gli antichi termini tecnici navali che sopravvivono a bordo delle navi:
- Linea di fede
- Chiesuola della bussola
- Crocetta degli alberi
- S.O.S (save our soul, salvate le nostre anime)
Fateci caso:
- Ci sono chiese che hanno la volta a carena di nave rovesciata
- Ci sono fari che somigliano a Santuari Mariani
Bussola sulla Bibbia
MARINAI E FEDE
https://www.marenostrumrapallo.it/cri/
di Carlo GATTI
Alla scuola del Vangelo
A conclusione di queste considerazioni del legame della FEDE legata al mare e ai marinai, si vorrebbe che l’ago che orienta la bussola fosse lo stesso Cristo che con la sua testimonianza si è rivelato come la via, la verità e la vita.
La bussola offre la direzione: intende illuminare il percorso di chi si è smarrito per trovare la rotta/la strada. La vita umana è un itinerario verso la meta che è il Dio vivente:
«Ci hai fatti per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non trova pace in Te», canta sant’Agostino nelle prime righe delle sue Confessioni (1,1.5).
Musei di Genova
Guarigione del cieco nato
del pittore genovese Orazio De Ferrari
La figura di sinistra è la terza più illuminata ed è stata identificata dai critici non in uno dei farisei, ma in Pietro, l’uomo di mare per eccellenza! Egli, dunque, è innanzitutto un discepolo che impara da Gesù quello che egli stesso è chiamato a realizzare per perpetuare l’opera redentrice. Nella scena è presente proprio l’allegoria della Chiesa che è madre che e genera alla fede i figli di Dio attraverso il Battesimo.
Orazio De Ferrari nacque a Voltri nel 1606 da genitori di umili estrazione. Fu un pittore italiano tra i maggiori esponenti del barocco genovese. Fu allievo del pittore voltrese Giovanni Andrea Ansaldo, fra i principali esponenti del manierismo genovese.
Ci piace rileggere il racconto del cieco nato di Gv 9 alla luce di un’opera pittorica di Orazio de Ferrari, Guarigione del cieco nato, olio su tela della prima metà del XVII secolo, Genova, Palazzo Bianco (è quella che troviamo in copertina).
L’opera appartiene ad uno dei maggiori esponenti del manierismo genovese, e riporta visivamente il momento centrale dell’opera di Gesù:
«“Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”.
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: “Va' a lavarti nella piscina di Siloe”, che significa "Inviato".
Quegli andò̀, si lavò e tornò che ci vedeva» (Gv 9, 5-7).
Al centro della rappresentazione, infatti, campeggia la figura di Gesù che spalma il fango sull’occhio destro del cieco. Gesù indossa una tunica rossa e un mantello blu, colori che rimandano alla sua duplice natura umana e divina; il cieco invece è raffigurato con un corpo visibilmente molto vigoroso e muscoloso, non da mendicante.
Si può pertanto affermare che il cieco si presenta come un iniziato alla vita nuova della FEDE, che raggiungerà la pienezza dopo che egli avrà aperto gli occhi del suo cuore, per riconoscere colui che lo ha guarito come il Figlio di Dio.
GENOVA E LA FEDE
Quella di Santa Fede, nell'antico Sestiere di Prè, appena fuori dalle mura di porta di Vacca, è una delle zone più interessanti della città di Genova a livello archeologico. Santa Fede fu una martire gallica originaria di Agen, conosciutissima e venerata in epoca medievale anche fuori dalla nostra penisola. Una giovinetta di dodici anni resa martire durante la persecuzione di Diocleziano e Adone prima posta sopra una graticola arroventata e poi decapitata. Ancora oggi le basi di questa chiesa ci riservano ad ogni scavo nuove sorprese. Un pavimento a vetri all'interno consente di rendersi conto della preziosità in termini di antichità del complesso, periodicamente posto a manutenzione a causa dello scorrere sotto a via Fontane del Rio Carbonara. Sotto quello che resta della chiesa si trova un insediamento paleocristiano dello stesso periodo della necropoli rinvenuta nella vicinissima Santa Sabina la cui abside è attualmente inglobata nella sede di una banca. Negli scavi sono state rinvenute ossa, ceramiche di epoca tardo - romana. La chiesa, a suo tempo restaurata in epoca rinascimentale aveva la sua abside originariamente rivolta verso levante, così come avvenne in San Giovanni di Prè. Di queste mutazioni dal medioevo ad oggi è difficile spiegare le ragioni.
CONCLUSIONE:
Vorremmo che l’ago che orienta la bussola fosse lo stesso CRISTO che con la sua testimonianza e pedagogia si è rivelato come la via, la verità e la vita.
La bussola offre la direzione: intende illuminare il percorso di chi si è smarrito per trovare la rotta/la strada. La vita umana è un itinerario verso la meta che è il Dio vivente: «Ci hai fatti per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non trova pace in Te».
Canta sant’Agostino nelle prime righe delle sue Confessioni (1,1.5).
Sant'Agostino, con questa sua celebre frase esprime perfettamente questa tensione interiore.
L'analogia con la bussola, che guida il navigante, sottolinea l'importanza di una guida spirituale che ci aiuta a orientarci nel labirinto della vita per giungere alla meta finale, che è proprio Dio.
I pericoli che corre il navigante sono molteplici e penso che la Fede del marinaio abbia molto a che fare con i pericoli del Mare. Anche nella modernità di oggi, ogni anno affondano circa 360 navi. Questa realtà secondo me ha molto a che fare con la Fede, con la preghiera e con l'eterna incertezza di partire e ritornare a casa...
La Fede del marinaio, storicamente, è stata strettamente legata ai pericoli del mare.
I naufragi e le tempeste hanno sempre avuto un profondo impatto sulla spiritualità dei marinai, che spesso affidavano la loro vita alla protezione divina.
La consapevolezza del rischio di perdere la vita, l'incertezza del viaggio e della possibilità di non tornare a casa sono tutti elementi che hanno alimentato la preghiera e la fede.
Gli ex voto, testimonianze concrete di questo legame, sono un modo per ricordare la dipendenza dal divino e la gratitudine per la protezione ricevuta. La cifra di 360 navi che affondano ogni anno, anche nell'era moderna, sottolinea la perenne sfida che il mare rappresenta, evidenziando ulteriormente il ruolo della fede nella vita di chi si affida alle acque.
Carlo GATTI
Rapallo, Mercoledì 16 Aprile 2025
L'affondamento dell'ARMENIA - Ogni anno, a Yalta, si ricorda il sacrificio delle 5.000 vittime
L'AFFONDAMNENTO DELL'ARMENIA
Ogni anno, a Yalta, si ricorda il sacrificio delle 5.000 vittime
La nave Ospedale ARMENIA in navigazione (Wikipedia)
Descrizione generale |
|
Tipo |
nave ospedale |
Classe |
Adzharija |
Armatore |
Sovtorgflot |
Porto di registrazione |
Odessa |
Costruttori |
Baltijskiji zavod |
Cantiere |
di Leningrado, URSS |
Destino finale |
affondata da aerei tedeschi il 7 novembre 1941 |
Stato |
relitto, giace a -472 m |
Caratteristiche generali |
|
Dislocamento |
(a pieno carico) 5.770 t |
Stazza lorda |
4.727 tsl |
Stazza netta |
2.566 tsn |
Portata lorda |
1.600 tpl |
Lunghezza |
(fuori tutto) 112,15 m
|
Larghezza |
15,54 m |
Pescaggio |
(max.) 5,95 m |
Propulsione |
Russkiy Dizel 2 × 1472 |
Velocità |
(max.) 15 nodi |
Passeggeri |
518 in 3 classi
|
Nave Ospedale ARMENIA
Fonte: https://it.topwar.ru/
Il 7 novembre 1941, nel Mar Nero, la nave ospedale sovietica Armenia affondò a seguito di un attacco di un aerosilurante tedesco Heinkel He 111. A bordo si trovavano oltre 5.000 persone, tra soldati feriti, civili e rifugiati, rendendo questo evento la più grande tragedia marittima della Seconda Guerra Mondiale. L'alto numero di vittime fu mantenuto segreto dall'URSS per decenni.
E’ doveroso segnalare a questo proposito che alcune fonti sostengono/sospettano che il numero delle vittime sia il doppio di quello ipotizzato e mai stabilito.
La nave, pur essendo designata come Nave Ospedale, trasportava anche munizioni e truppe, un fatto che potrebbe aver contribuito all'attacco nazista.
L'equipaggio, inoltre, seguì ordini controversi che li portarono in acque pericolose vicino a Yalta, già minacciata dai tedeschi. L'insufficiente scorta e il cielo nuvoloso impedirono l'intervento efficace di aerei e motovedette sovietiche.
Il siluro tedesco colpì la Armenia, provocando l'affondamento in pochi minuti. La maggior parte dei passeggeri, intrappolati sottocoperta, non ebbe alcuna possibilità di salvarsi. Solo un piccolo numero di persone sopravvisse. Il silenzio imposto dall'Unione Sovietica contribuì a relegare questa tragedia nell'oblio, a differenza del più noto affondamento del Titanic. Ogni anno, a Yalta, si ricorda il sacrificio delle 5.000 vittime.
Quadro Storico dell'Affondamento dell'Armenia
L'affondamento dell'Armenia avvenne il 7 novembre 1941, durante la fase cruciale dell'invasione tedesca dell'Unione Sovietica. La 11ª Armata tedesca, guidata dal generale Erich von Manstein, stava per sferrare l'assedio a Sebastopoli, importante base navale sovietica in Crimea. A Mosca, nello stesso giorno, si celebrava la parata militare per il 24º anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, un atto di propaganda che mascherava la gravità della situazione militare a pochi chilometri dalla capitale.
La situazione in Crimea era critica: l'esercito sovietico stava subendo pesanti perdite e si stava ritirando verso Sebastopoli. L'evacuazione di civili e feriti dai porti della Crimea, tra cui Yalta e Sebastopoli, era diventata una necessità disperata. Questa situazione di emergenza contribuì al sovraffollamento e alla confusione che caratterizzarono l'ultima missione dell'Armenia.
Fase decisiva dell'attacco:
Dopo aver imbarcato un numero eccessivo di passeggeri a Yalta, l'Armenia, pur mostrando segni distintivi di nave ospedale (croci rosse, bandiera della Croce Rossa), salpò alle 7:00 del 7 novembre, scortata da due motovedette e due caccia. Intorno alle 10:00, un aereo da ricognizione tedesco individuò la nave. Alle 11:15, un Heinkel He 111 del 1./KG 28, pilotato dal tenente H.W. George, attaccò senza preavviso. Le motovedette di scorta e i caccia sovietici, a causa delle cattive condizioni meteorologiche e di una scarsa coordinazione, non riuscirono ad intervenire efficacemente. Il siluro lanciato dall’He 111 colpì la prua dell'Armenia, causando la rapida rottura dello scafo. La nave affondò in circa quattro minuti al largo di Gurzuf, a sud di Yalta. Il panico e la mancanza di tempo impedirono l'utilizzo delle scialuppe di salvataggio.
Heinkel He 111 – Bombardiere a medio raggio
Descrizione |
|
Tipo |
Bombardiere a medio raggio |
Equipaggio |
5 |
Costruttore |
Heinkel |
Data primo volo |
24 febbraio 1935 |
Data entrata in servizio |
1936 |
Utilizzatore principale |
Luftwaffe |
Esemplari |
circa 7.540 |
Dimensioni e pesi |
|
Tavole prospettiche |
|
Lunghezza |
16,40 m |
Apertura alare |
22,60 m |
Altezza |
4,01 m |
Superficie alare |
86,50 m² |
Peso a vuoto |
6,53 t |
Peso max al decollo |
14 000 kg |
Propulsione |
|
Motore |
2 Junkers Jumo 211 F sovralimentati, 12 cilindri a V rovesciato |
Potenza |
1 350 CV(993 kW) ciascuno |
Prestazioni |
|
Velocità max |
415 km/h |
Velocità di crociera |
350 km/h |
Autonomia |
1 950 km |
Tangenza |
8 500 m |
Armamento |
|
Mitragliatrici |
6 MG 15 calibro7,92 mm
|
Cannoni |
1 MG FF calibro 20 mm |
Bombe |
fino a 2 000 kg |
Note |
dati riferiti alla versione H-3 |
Precendenti:
L'attacco all'Armenia non fu un evento isolato. La flotta sovietica subì ripetuti attacchi nel Mar Nero, e diverse altre navi ospedale subirono danni o furono affondate, violando le convenzioni internazionali. L’Unione Sovietica si era rifiutata di riconoscere l’immunità delle navi ospedale tedesche, creando un clima di reciprocità nella violazione delle regole di guerra. A titolo di esempio, nel Giugno 1942, la nave ospedale Abkhazia, di stazza simile all'Armenia, era stata bombardata e affondata da un Heinkel He 111. Precedentemente, nel luglio 1941, le navi ospedale Kotovsky, Anton Čechov e Adjara erano state danneggiate o affondate da attacchi aerei tedeschi. Questi attacchi precedenti mostrano che la vulnerabilità delle Navi Ospedale nel Mar Nero era nota, ma non si presero misure efficaci per prevenire altre tragedie.
l segreto imposto dall'Unione Sovietica sulla tragedia dell'Armenia per quasi cinquant'anni è un comportamento che può essere giudicato in diversi modi, non solo dal punto di vista morale, ma anche in base al contesto storico e politico del regime stalinista e del periodo post-guerra.
Da un punto di vista morale:
il silenzio sulle migliaia di vittime è inaccettabile. Nascondere una simile tragedia, negando alle famiglie il diritto di sapere cosa era accaduto ai propri cari, rappresenta una violazione profonda della dignità umana e un atto di disprezzo per la memoria delle vittime. La mancanza di trasparenza e di responsabilità nei confronti dei cittadini è in sé un atto grave.
Dal punto di vista politico:
il regime sovietico probabilmente decise di mantenere il silenzio per diversi motivi.
Controllo della Narrazione:
Il regime stalinista aveva un rigido controllo sull'informazione. Una tragedia di tale portata, con possibili implicazioni sulla capacità militare e sulla gestione della guerra, avrebbe potuto minare la fiducia pubblica nel regime. Nascondere la verità era un modo per mantenere il controllo sulla narrazione e preservare l'immagine di invincibilità del regime.
Preservazione dell'immagine:
L'ammissione della tragedia avrebbe messo in evidenza le carenze strategiche, operative e organizzative dell'esercito sovietico, così come le scelte politiche che avevano portato al sovraffollamento della nave e alla sua permanenza in acque pericolose.
Protezione della reputazione dei vertici militari e politici:
Le decisioni che avevano portato all'affondamento avrebbero potuto incriminare alti ufficiali e figure politiche. Il segreto serviva anche a proteggere la reputazione del regime e a evitare possibili conseguenze interne.
Controllo delle risorse:
In un periodo di guerra e di scarsità, ogni aspetto riguardante la logistica bellica doveva essere rigorosamente sorvegliato. Avere accesso ad alcune informazioni e avrebbe potuto provocare malcontento o sollevazioni interne, compromettendo la stabilità del paese.
In conclusione:
il segreto sull'Armenia fu una scelta politica calcolata che rifletteva i metodi autoritari del regime sovietico: una scelta immorale ma perfettamente coerente con la sua natura totalitaria, desiderosa di controllo e di occultamento della verità a favore della sua propaganda. La rivelazione della verità, avvenuta solo dopo la fine del regime sovietico, rappresenta un momento di giustizia tardiva, ma fondamentale, per onorare la memoria delle migliaia di vittime dimenticate.
Ci chiediamo: Era forse anche come ammettere che la Luftvaffe aveva dimostrato una superiorità in fatto di potenza e anche qualità operativa?
L'ammissione della tragedia dell'Armenia avrebbe implicato anche una certa ammissione di inferiorità, o perlomeno di una significativa fragilità, della marina e dell'aviazione sovietica di fronte alla Luftwaffe. Diversi aspetti avrebbero potuto essere interpretati in questo senso:
Superiorità tattica della Luftwaffe:
L'attacco riuscito dimostrava la capacità della Luftwaffe di individuare e colpire una nave obiettivo, anche in condizioni di mare mosso e scarsa visibilità, superando le difese aeree sovietiche. Questo evidenziava una superiorità tattica nell'utilizzo dell'aviazione in ambito marittimo.
Inefficacia della difesa aerea sovietica:
L'incapacità della scorta di aerei e delle motovedette di intercettare e respingere l'He 111 prima che colpisse l'Armenia metteva in luce gravi carenze nella difesa aerea sovietica. Questo aspetto avrebbe minato la fiducia nell’efficacia delle proprie strategie difensive, mostrando una potenziale superiorità tecnologica ed operativa tedesca.
Vulnerabilità delle navi ospedale:
L'affondamento, pur avvenuto in violazione delle convenzioni internazionali, evidenziava la vulnerabilità delle Navi Ospedale sovietiche di fronte all'aviazione nemica. Questa consapevolezza avrebbe potuto mettere in crisi la fiducia nel sistema di evacuazione e di protezione dei feriti e dei civili.
Problemi di comunicazione e coordinazione:
L'inefficacia della difesa sovietica era anche dovuta a problemi di comunicazione e coordinazione tra le diverse forze armate. Questo suggerisce una mancanza di efficienza ed organizzazione all’interno delle forze armate sovietiche, in contrasto con la presunta organizzazione efficientissima propinata dalla propaganda.
In sintesi:
Ammettere pubblicamente l’evento avrebbe significato riconoscere non solo una grave perdita di vite umane, ma anche un'inferiorità in termini di preparazione, efficacia operativa e forse tecnologia, in un momento in cui il regime cercava un’immagine di potenza e di superiorità militare. Il segreto, quindi, serviva anche a occultare una potenziale debolezza strategica e tecnologica di fronte al nemico.
Conclusione:
l paragone tra la tragedia dell'Armenia e quella del Titanic è inevitabile, ma evidenzia una profonda disparità nel modo in cui queste due catastrofi sono state raccontate e ricordate.
Entrambe rappresentano tragedie marittime di grandi proporzioni, ma le loro narrazioni sono profondamente diverse a causa di fattori storici e politici.
Il Titanic, affondato nel 1912, è stato oggetto di numerosissimi libri, film e documentari, diventando un vero e proprio mito culturale. La sua storia è stata raccontata in modo dettagliato, esplorando diverse prospettive, dalle classi sociali più elevate ai membri dell'equipaggio e ai passeggeri di terza classe. La tragedia ha ispirato riflessioni sul classismo, sulla sicurezza marittima e sulla natura della tragedia stessa.
L’Armenia, invece, è rimasta per decenni avvolta nel silenzio e nell'oblio, una tragedia seppellita dalla propaganda del regime sovietico. La sua storia, emersa solo dopo la caduta dell'URSS, è rimasta relativamente meno nota al pubblico internazionale, con una copertura mediatica e letteraria significativamente inferiore rispetto al Titanic. La maggiore diffusione a livello mondiale del racconto del Titanic, rispetto a quello dell'Armenia, influisce inevitabilmente su quale tragedia abbia una maggiore rilevanza e memorabilità nella cultura popolare.
La differenza principale sta nella disponibilità di informazioni e nel contesto politico. La storia del Titanic è stata documentata fin dall'inizio, con numerose testimonianze sopravvissute e accessibili. La tragedia dell'Armenia, al contrario, è stata attivamente censurata, rendendo difficile la ricostruzione dei fatti per decenni.
In sostanza, il paragone pone in evidenza non solo la portata umana di entrambe le tragedie, ma anche la politica della memoria e il ruolo che il potere può svolgere nel determinare cosa viene ricordato e come viene ricordato. L'Armenia rappresenta una tragedia meno celebrata, ma non meno significativa, offrendo una potente testimonianza del costo umano della guerra e della manipolazione storica.
Conclude lo storico Francesco MATTESINI:
“In ricordo di questa tragedia, ogni anno, il 9 maggio, i lavoratori del porto di Yalta prendono il mare per recarsi sul luogo dell'affondamento della motonave ARMENIA per onorare la memoria dei caduti nella tragedia e depongono corone di fiori, pregando:
"Ricorda, Signore, le anime dei perduti, perdona loro tutti i peccati, volontari e involontari, e concedi loro il Regno dei Cieli”.
FONTE principale:
https://www.aidmen.it/
AIDMEN – Associazione Italiana Documentazione Marittima e Navale
Articolo di riferimento:
L’Armenia, la nave della morte.
La più grande tragedia marittima del 20° secolo
Francesco Mattesini
Carlo GATTI
Rapallo, Giovedì 10 Aprile 2025
IL SEGRETO DI PORTOFINO: Maestranze del Tigullio e l'Invincibile Armada
IL SEGRETO DI PORTOFINO
MAESTRANZE DEL TIGULLIO E L'INVINCIBILE ARMADA
Filippo II di Spagna
Ritratto di Anthonis Mor
l'Invincibile Armada attorniata da navi inglesi nell'agosto del 1588
Dipinto di anonimo inglese
La storia dell'Invincibile Armada è ricca di intrighi e colpi di scena, e un capitolo meno noto ma affascinante riguarda il contributo segreto delle maestranze liguri, in particolare quelle di Portofino. Mentre la grande flotta spagnola si preparava a conquistare l'Inghilterra, artigiani e cantieri navali della Repubblica di Genova giocavano un ruolo fondamentale, a volte persino in segreto, fornendo navi e armamenti.
L'archeologo genovese Gianni Ridella ha portato alla luce prove inconfutabili di questa collaborazione. Le sue ricerche, incentrate sull'artiglieria navale, hanno rivelato la presenza di cannoni prodotti da Dorino II Gioardi, un artigiano genovese con fonderia nel Porto Antico, su diverse navi dell'Armada.
Questi cannoni, identificabili dalla lettera "D" incisa sul focone, sono stati ritrovati sui relitti della Juliana (affondata al largo dell'Irlanda), della Rata Santa Maria Encoronada e della Trinitad de Scala.
La scoperta più sorprendente riguarda la San Giorgio e Sant'Elmo, costruita a Portofino e affondata da Sir Francis Drake nel 1587.
Costruita nel segreto della sua posizione geografica, raggiungibile solo via mare, Portofino offriva il riparo ideale per la costruzione di navi destinate a una potenza straniera come la Spagna. I cannoni della San Giorgio e Sant'Elmo, anch'essi marchiati con la "D" di Gioardi, confermano il coinvolgimento di Portofino nella fornitura di equipaggiamento navale all'Armada.
Questa operazione segreta evidenzia l'abilità e la discrezione delle maestranze liguri, capaci di operare in un contesto di relazioni internazionali complesse e spesso tese.
Il contributo genovese all'Armada non si limita alle forniture di Portofino. La Rata Santa Maria Encoronada e la Trinitad de Scala, entrambe di origine genovese, dimostrano la partecipazione più ampia di cantieri navali liguri alla costruzione della flotta spagnola. La loro partecipazione, unitamente alle forniture di artiglieria, sottolinea una stretta collaborazione tra Genova e la Spagna, nonostante le tensioni politiche dell'epoca.
Il contesto storico:
La Repubblica di Genova, potenza marittima di primo piano, intratteneva rapporti complessi con la Spagna nel contesto delle guerre di religione. La Spagna, impegnata nella lotta contro i protestanti, necessitava di una flotta potente. Genova, pur mantenendo una certa autonomia, beneficiava degli scambi commerciali con la Spagna e aveva interesse a mantenere buoni rapporti con una potenza così importante. Questa collaborazione, documentata dalle navi e dagli armamenti genovesi nell'Invincibile Armada, dimostra la complessità delle alleanze e delle dinamiche economiche e politiche del XVI secolo.
Portofino, per la sua posizione strategica e la sua discrezione, rappresenta un tassello significativo in questo intricato quadro storico.
Conclusione:
INVINCIBILE ARMADA: 130 navi con circa 30.000 uomini e più di 2000 pezzi di artiglieria allestita da Filippo II di Spagna per rendere possibile lo sbarco in Inghilterra del corpo di spedizione riunito nelle Fiandre da A. Farnese.
IL FALLIMENTO
L'Armada spagnola non era stata realmente battuta sul mare, pur avendo subito danni pesanti e perdite dolorose, aveva però perso la speranza di sconfiggere gli inglesi, manovrava ormai a fatica e avrebbe dovuto aprirsi la strada combattendo per raggiungere le coste dei Paesi Bassi. Decise quindi di desistere dall'impresa e cercò faticosamente di riorganizzarsi.
Ormai il tentativo di imbarcare le truppe con la conseguente invasione era fallito, così i galeoni spagnoli cercarono di ritornare in patria ma a causa dei venti contrari decisero di puntare verso nord, navigando tra gli arcipelaghi delle Orcadi e delle Shetland per poi dirigersi a sud veleggiando ad ovest dell’Irlanda.
Gli inglesi, che in un primo momento avevano inseguito il nemico, lo lasciarono poi andare tranquillamente, sebbene consapevoli che sarebbe tornato.
Il 10 agosto la flotta inglese si avvicinò per tentare un attacco alle navi spagnole rimaste attardate, ma Medina Sidonia riuscì a ricompattare le sue squadre e si preparò a dar nuovamente battaglia, cui gli inglesi tuttavia preferirono sottrarsi e quindi, dopo un fiacco scambio di cannonate, le due flotte si separarono definitivamente.
Tuttavia un'incredibile serie di tre violentissime tempeste si abbatté sugli spagnoli. La prima li sorprese il 12 agosto, al largo delle Isole Orcadi e presso le Isole Shetland; la seconda il 12 settembre al largo delle coste irlandesi; seguita dopo pochi giorni da una terza al largo delle coste del Connacht (sempre in Irlanda).
Delle 138 navi e dei circa 24.000 uomini salpati da Lisbona, 45 imbarcazioni e 10.000 uomini andarono perduti. La grande impresa di Filippo II sfumò, e lo stesso re cattolico pensò che DIO proteggesse i protestanti e punisse coloro che credevano in Lei.
La sconfitta dell'Invincibile Armada, 8 agosto 1588 di Philippe-Jacques de Loutherburg, dipinto nel 1796.
Il cosiddetto Ritratto dell'Armada (The Armada Portrait) è un dipinto allegato di artista ignoto, realizzato nel tardo XVI secolo ed eseguito con la tecnica dell’olio su tela. Vi è rappresentata Elisabetta I d’Inghilterra: l'opera celebra la vittoria della Marina Inglese sull’Invincibile Armada di Filippo II di Spagna avvenuta nel 1588. In passato è stato attribuito da diversi critici a George Gower. Si trova conservato presso la Woburn Abbey.
Grazie a questo importantissimo successo, l'Inghilterra della regina anti-spagnola Elisabetta I affermò il proprio dominio sui mari del Nord e inflisse una battuta d'arresto al tentativo spagnolo di egemonia sullo scacchiere europeo. La Spagna continuò però la sua guerra navale, riuscendo anche a ottenere alcuni importanti successi (come quelli nelle campagne delle Isole Azzorre del 1583); altre flotte spagnole operarono ugualmente nella Manica nei decenni seguenti.
L'Invincibile Armada, benché sconfitta, rappresenta un momento cruciale nella storia marittima europea. Le ricerche di Ridella mettono in luce il ruolo spesso trascurato delle maestranze liguri, e in particolare quelle di Portofino. Le loro capacità tecniche e la loro discrezione sono state fondamentali per il progetto spagnolo. Questo ci offre l'opportunità di riscoprire e celebrare la perizia dei nostri antenati, la loro capacità di lavorare per importanti potenze, e l'importanza strategica di Portofino anche in un contesto storico di portata mondiale.
Analisi Geopolitica:
La Repubblica di Genova, nel XVI secolo, si trovava in una posizione delicata tra le grandi potenze europee. Mentre manteneva una formale indipendenza, cercava di bilanciare i rapporti con Francia e Spagna, evitando di alienarsi nessuna delle due. La collaborazione con la Spagna per l'Armada va vista in questo contesto: un modo per guadagnare favori e vantaggi commerciali senza compromettere eccessivamente le relazioni con la Francia (che in quel momento aveva altre priorità). Genova, abile nel gioco diplomatico e commerciale, si inserì nel conflitto tra Spagna e Inghilterra in modo pragmatico, sfruttando le proprie competenze navali per un profitto economico.
Cantieri Navali di Portofino:
Sebbene la documentazione sia scarsa, possiamo ipotizzare che i cantieri di Portofino, più piccoli di quelli genovesi ma ben equipaggiati, si focalizzassero su navi di dimensioni medie, adatte al trasporto di armi e rifornimenti. La loro posizione nascosta offriva un vantaggio strategico in termini di segretezza, rendendoli ideali per costruire navi per potenze straniere che volevano evitare di essere facilmente rintracciate.
Non era un mistero per nessuno che già nel 1287 maestri d’ascia del Tigullio avessero costruito delle Galee per i Savoia sul lago di Ginevra.
MAESTRI D'ASCIA RAPALLINI SUL LAGO DI GINEVRA
https://www.marenostrumrapallo.it/leman/
di Carlo GATTI
Dorino II Gioardi:
La storia di Dorino II Gioardi, oltre al dettaglio della lettera "D" sui cannoni, ci tramanda le cause della sua bancarotta. Possiamo ipotizzare che, fornendo cannoni a basso costo alla Repubblica, si sia indebitato gravemente, finendo in prigione. Questo fatto aggiunge un tocco umano alla narrazione, evidenziando le difficoltà economiche degli artigiani dell'epoca e il rischio connesso alla gestione di un'attività complessa come una fonderia di cannoni.
Aspetti Commerciali:
La collaborazione tra Genova e la Spagna sulla costruzione dell'Armada aveva una forte componente commerciale. La Repubblica di Genova si sarebbe garantita il pagamento per la costruzione delle navi e dei cannoni, acquisendo un vantaggio economico importante, da cui l'ipotesi che fossero coinvolti mercati diversi, creando una rete commerciale globale che vedeva come punto nodale le maestranze liguri.
FONTI
Fabio Pozzo - LA STAMPA
09 Maggio 2017
- Il segreto genovese dell’Invincibile Armada
Gianni Ridella, archeologo, ha scoperto che nella flotta di Filippo II c’erano due navi della Repubblica di Genova. E che una terza, varata a Portofino e affondata da Francis Drake, aveva qualcosa da nascondere.
Raffaele Gargiulo
- FRANCIS DRAKE – IL CORSARO DELLA REGINA
- I CANNONI DI LAVAGNA
Renato Gianni Ridella
https://www.academia.edu/22114794/I_CANNONI_DI_LAVAGNA
Il relitto della San Giorgio, veliero mercantile genovese costruito a Portofino e affondato a Cadice dal corsaro Francis Drake nel 1587
Presentazione dell’articolo pubblicato nella rivista Archeologia Postmedievale
Introduzione del Direttore dell’Archivio di Stato di Genova Annalisa Rossi
Presentazione del fondatore e Direttore della Rivista, Marco Milanese, Direttore Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione, Università di Sassari.
Discussione tra il pubblico e gli autori dell’articolo.
I lavori per la costruzione del nuovo terminal container nel Porto di Cadice hanno portato alla scoperta di tre relitti. La ricerca documentale condotta su quello di essi denominato Delta II, congiuntamente alle informazioni tratte dai pezzi d’artiglieria rinvenuti e alle diverse merci del carico conservate, hanno permesso l’identificazione dei resti come quelli del veliero mercantile genovese San Giorgio e Sant’Elmo, affondato da Francis Drake durante la sua incursione contro il porto di Cadice nella primavera del 1587.
Si è anche capito che la nave stava allora trasportando armamenti per la flotta spagnola che, su ordine di Filippo II, si stava allora allestendo a Lisbona per attaccare l’Inghilterra.
...E LA STORIA CONTINUA FINO AI GIORNI NOSTRI ...
PORTOFINO
https://portofino.it/italy/i-carpentieri-i-costruttori-di-portofino/
Carlo GATTI
Rapallo, 1 Aprile 2025