LA LEGGENDARIA STORIA DEL GENERALE UMBERTO NOBILE

PARTE PRIMA

La leggendaria storia del generale UMBERTO NOBILE

UMBERTO NOBILE

 

Da HISTORIA REGNI riportiamo:

Umberto Nobile è il protagonista di una delle più grandi imprese del Novecento: la prima trasvolata del Polo Nord.

Generale del Genio aeronautico, ideatore, progettista e pilota di dirigibili semirigidi, esploratore polare, docente di Costruzioni Aeronautiche dell’Università di Napoli, scrittore, Umberto Nobile nacque a Lauro, provincia di Avellino, da Vincenzo e Maria La Torraca. Suo padre discendeva da un ramo cadetto della nobile famiglia delle Piane, che, avendo rifiutato l’omaggio ai Savoia in segno di fedeltà ai Borbone, era stata privata del titolo nobiliare e aveva assunto il cognome di Nobile a memoria dell’antica condizione sociale.

La sua storia si illumina il 10 aprile del 1926, il dirigibile Norge della missione decollò da Ciampino per arrivare alla base artica della Baia del Re, sulle isole norvegesi Svalbard, il 7 maggio e puntare poi al Polo Nord.

Dopo un volo di circa 5.300 km, durato tre giorni, il 12 maggio del 1926 “si prende l’altezza del sole. Siamo al Polo; rallento i motori. Si piantano le bandiere (la norvegese, l’americana e quella italiana)…”. Così Umberto Nobile annotava, sul Brogliaccio del Norge, il successo della prima spedizione aerea transpolare della storia, l’obbiettivo era stato raggiunto, fu toccato quel punto singolare della superficie terrestre dove i quattro punti cardinali si confondono in uno solo, il Polo Nord. Con l’allora colonnello Nobile c’erano Roald Amundsen e Lincoln Ellswotrh. In “In volo alla conquista del segreto polare”, così Umberto Nobile ricordò quei momenti:

 “La nebbia, che era durata fittissima per un’ora e dieci minuti, verso le 22,30 cominciò a diradare, lasciando intravedere il ghiaccio. Poco più tardi dileguò del tutto.

Intanto il cielo si era andato annuvolando. Il paesaggio aveva assunto di colpo un aspetto triste e solenne. Non c’è di meglio del sole per vivificare anche le cose morte, ma ora il sole erasi nascosto dietro le nuvole alte, e la sua assenza faceva sentire il silenzio mortale che avvolgeva tutto. L’immenso piano ghiacciato cessava di essere monotono: qua e là fiocchi di nebbia radi vi producevano delle macchie bigiastre.

Tutto l’ambiente aveva assunto una tonalità di color grigio perla.
La quota era di 780 metri. Ci andavamo gradualmente abbassando, quasi senza accorgercene, come per un’attrazione lenta verso il suolo. All’una eravamo a 350 metri e, pochi minuti dopo, a 250. Oramai eravamo a poca distanza dal Polo. Larsen era curvo ad un finestrino col sestante fra le mani, pronto a cogliere l’istante in cui il sole avesse fatto capolino tra le nubi.
Man mano che ci andavamo avvicinando, l’eccitazione a bordo cresceva. Nessuno parlava, ma si leggeva nei volti la contentezza. Io ero un po’ nervoso; mi riempiva il cuore una grande gioia che a stento riuscivo a contenere. Pensavo alla nostra bandiera che finalmente avrei fatta sventolare ancora una volta. Avevo solennemente promesso di farla sventolare su ghiacci del Polo, e detto a me stesso che ciò sarebbe stato fatto a qualunque costo: finalmente l’attimo sospirato, in cui si sarebbe adempiuta la promessa, stava per giungere. Non era che un gesto assai semplice da compiere, ma rappresentava come un rito sacro; non vi era che buttare giù un pezzo di stoffa, ma quel pezzo di stoffa era l’Italia lontana.

Una grande gioia che a stento riuscivo a contenere mi riempiva il cuore.
Chiamai impaziente Alessandrini:
– Prepara la banidera.

La norvegese e l’americana erano piccole e fissate a delle aste come stendardi: avevano perciò potuto – senza ingombrare – tenersi sempre pronte nella carena. La nostra no, era grande; bisognava estrarla dal cofano, spiegarla e fissarla all’asta che i miei ufficiali avevano preparato allo Spitzberg.

 Alessandrini andò, e com’egli si attardava a compiere accuratamente, amorosamente, l’operazione, io lo sollecitai impaziente. Stavamo per giungere.

– Fa’ presto. Vieni. Portala.

Finalmente era lì, accanto a me.

Alle 1,30 l’altezza del sole – che di tanto in tanto traluce fra le nubi – ci avverte che siamo al Polo. Discendiamo ancora di più, forse fino a 200 metri, perchè voglio accostarmi alla superfice dello sterminato mare di ghiaccio più vicino che sia possibile. Ora rallento i motori. Il loro ritmo si attenua, sicché il silenzio del deserto si sente più profondamente. In questo silenzio, religiosamente, si compie il rito.

Primo Amundsen lascia cadere la bandiera norvegese, poi Ellsworth l’americana. Sono di seta, piccole, graziose, fatte a posta per la circostanza. Ora viene la mia volta. Prendo la bandiera fra le mani. Essa contrasta con le altre due, è grande, vecchia, logora, una bandiera di combattimento: quella medesima che per due anni ha volato Italia sulla poppa dell’aeronave ITALIA: ha l’orlo sfilacciato dal vento, un po’ lacera, assai bella.

La prendo fra le mani e la sporgo fuori dalla cabina. Il vento l’investe gonfiandola: essa mi palpita fra le mani come un’ala viva. La lascio andare. La vedo scorrere lungo la parete della cabina ed impigliarsi nel derivometro. Corro a liberarla. Ecco ora che cade tutta aggrovigliata come una massa informe, poi si distende, si spiega tutta, discende solennemente. La vedo fluttuare: i bei colori attraverso l’aria fredda e trasparente vibrano contro il biancore immacolato dei ghiacci; il margine del drappo freme nell’immenso deserto come se partecipasse alla nostra emozione; il mio sguardo la segue come affascinato, né vale a distrarmi nemmeno la preoccupazione della condotta della nave. La bandiera raggiunge il ghiaccio, vi si abbatte, scompare. E’ realmente l’ala d’Italia che si posa sul Polo”.

 

IL COMUNE DI ROMA
L'AERONAUTICA MILITARE
NEL CENTENARIO DELLA NASCITA 1885-1985

UMBERTO NOBILE - Ingegnere aeronautico ed alto ufficiale dell'aeronautica militare, effettuò con i dirigibili spedizioni sopra il Polo nord. L'ultima ebbe esito tragico: la navicella si schiantò al suolo mentre il dirigibile riprendeva quota perdendo poi fra i ghiacci parte dell'equipaggio. I superstiti della navicella dovettero attendere 42 giorni (riparati alla meno peggio in una tenda, che dipinsero di rosso) prima di essere scoperti e salvati. Una commissione d'inchiesta esautorò Nobile dal suo grado. Dopo la guerra una seconda commissione lo riabilitò.

 

BREVE STORIA DELLA DRAMMATICA

"SECONDA SPEDIZIONE ARTICA"

DEL GENERALE UMBERTO NOBILE AL COMANDO

DEL DIRIGIBILE ITALIA

IN MEMORIA DEL
GENERALE PROF. ING.
UMBERTO NOBILE
ESPLORATORE-SCIENZIATO
PIONIERE DELL'AERONAUTICA ITALIANA
DUE VOLTE
CONQUISTATORE DEL POLO NORD
CON LE AERONAVI
"NORGE" (1926) E "ITALIA" (1928)
DA LUI PROGETTATE
COSTRUITE E COMANDATE
QUI VISSUTO
FINO ALLA SUA SCOMPARSA
IL 30 LUGLIO 1978

 

 

 

Il 15 aprile 1928 il dirigibile ITALIA partì da Milano (Aerodromo di Baggio), fece tappa a Stolp (Pomerania), a Vadsö (Norvegia) ed infine giunse alla Baia del Re il 6 maggio compiendo un volo di circa 6.000 km.

Il primo volo esplorativo a Nord Est delle isole Svalbard si concluse con il rientro alla base a causa di venti forti e guasti tecnici;

Il secondo volo durò tre giorni e diede alcuni risultati positivi: furono definiti gli estremi confini occidentali della Terra del Nord, fu dimostrata l'inesistenza della Terra di Gillis e vennero effettuati diversi rilevamenti sulla Terra di Nord-Est.

Il terzo volo fu disastroso: doveva esplorare la parte settentrionale della Groenlandia, alla ricerca di terre emerse, per dirigersi quindi sul Polo, dove erano previste misurazioni scientifiche sul pack. 

Alle 4.28 del 23 maggio 1928 l'ITALIA si alzò in volo con sedici persone a bordo e, nonostante una violenta perturbazione, raggiunse il Polo Nord alla  mezzanotte fra il 23 e il 24 maggio. Fu impossibile attuare la discesa sui ghiacci, a causa del forte vento. Alle 2.20 Nobile ordinò quindi che si prendesse la via del ritorno ma alle 10.30 il capo motorista Cecioni diede l'allarme: l'ITALIA stava perdendo rapidamente quota. Tre minuti più tardi, per cause che restano tuttora sconosciute, il dirigibile si schiantava sul pack, a quasi 100 km dalle isole Svalbard. Dieci uomini caddero dalla navicella di comando sui ghiacci. Il meccanico Pomella fu trovato morto dai superstiti subito dopo la caduta; Nobile e Cecioni subirono fratture agli arti. Sull'involucro privo di comandi restarono invece Alessandrini, Caratti, Ciocca, Arduino, Pontremoli e Lago, il giornalista.

 

Quando giunse la tragica notizia della perdita del dirigibile “ITALIA”, tutte le nazioni artiche offrirono il loro aiuto nella ricerca dei superstiti. L'Italia inviò due aerei, tra cui un Savoia 55, pilotato dall'italiano Umberto Maddalena.

 

Dal Sito della Marina Militare riportiamo:

“L'aeronave si risollevò lentamente scomparendo nella fitta nebbia: della sua sorte e di quella dei sei uomini rimasti a bordo non si ebbero più notizie. Fu rinvenuta una parte dei viveri e delle attrezzature, che l’impatto aveva disperso sui ghiacci ma soprattutto la tenda preparata per la discesa sul Polo e la radio di soccorso Ondina 33. La tenda, colorata di rosso con l'anilina per rilevazioni altimetriche, diventò un indispensabile rifugio per i naufraghi e un punto di riferimento per i soccorsi. Il radiotelegrafista Biagi montò subito l'antenna della radio e attivò l'apparecchio. Il 30 maggio, dopo cinque giorni di infruttuose trasmissioni Mariano, Zappi (da Mercato Saraceno, Forlì)) e Malmgren lasciarono la tenda per una marcia disperata verso la terraferma. Quattro giorni dopo, il 3 giugno, un radioamatore russo di nome Schmidt intercettò l'SOS dei naufraghi. Iniziarono cosi le operazioni di salvataggio che porteranno al recupero di Nobile. In Italia il governo fascista si limitò ad autorizzare la partenza di un idrovolante Siai S-55 pilotato dal maggiore Umberto Maddalena ma finanziato da privati.

La spedizione di soccorso che giunse a salvare gli uomini fu quella sovietica che impiegò due rompighiaccio, il Malyghin e il Krassin. La prima nave, partita da Arcangelo il 12 giugno, doveva raggiungere la parte orientale delle Svalbard e di qui dirigere verso nord. Il Krassin, comandato da Karl Eggi e con a bordo il professor Samoilovich, salpò da Leningrado il 16 giugno. Doveva raggiungere le Svalbard da ovest e perlustrare tutta la parte settentrionale dell'arcipelago verso l'isola di Foyn. La sera del 23 giugno due aerei svedesi raggiunsero nuovamente la Tenda Rossa: uno era il Fokker-31 di Lundborg, che riuscì ad atterrare sulla pista di neve e ghiaccio e a trarre in salvo il "solo" Nobile, che avrebbe dovuto dirigere dalla base svedese le successive operazioni di soccorso. Il comandante di un veliero è l'ultimo ad abbandonare la nave in procinto d'affondare e per questo fu anche lungamente criticato. Lundborg tornò poco dopo in aiuto degli altri naufraghi, ma in fase di atterraggio il suo Fokker si ribaltò e il pilota rimase a sua volta prigioniero dei ghiacci. Il 3 luglio, a nord delle Svalbard, il Krassin subì danni a un'elica; ulteriori avarie convinsero Samoilovich a ritornare per le riparazioni e per rifornirsi di carbone. Ma Nobile telegrafò al comandante della spedizione sovietica, pregandolo di non rinunciare alle ricerche, e riuscì a ottenere che dal rompighiaccio fosse calato il trimotore Junkers pilotato da Boris Ciuknowski. L'aereo decollò alle 16 del 10 luglio e riuscì ad avvistare il gruppo Mariano ma non a rientrare al Krassin. La nebbia lo costrinse infatti a un atterraggio di fortuna presso le Sette Isole, dove il velivolo restò bloccato dai danni subìti. Samoilovich, sostenuto da un equipaggio noncurante delle avarie e della scarsità di carbone, decise di proseguire. All'alba del 12 luglio vennero avvistati e tratti in salvo Mariano, che aveva un piede congelato, e Zappi. Malmgren, purtroppo, non aveva retto alla tremenda marcia sui ghiacci. Alle 20 dello stesso giorno fu avvistata la Tenda Rossa: mezz'ora dopo il rompighiaccio iniziava il salvataggio dei cinque naufraghi rimasti. La tenda fu smontata e trasferita sulla nave insieme all'Ondina 33. Erano trascorsi 48 giorni dal tragico impatto dell'ITALIA. La Tenda Rossa, riportata in Italia, è oggi al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica. La radio Ondina 33 è conservata dal Museo della Marina militare italiana di La Spezia.”

 

PARTE SECONDA

CITTA’ DI MILANO

Una Nave una Storia

Missione Artica di supporto al Dirigibile ITALIA

 

La nave posacavi CITTA’ DI MILANO aveva un dislocamento di 5.380 tonnellate. Lunghezza f.t. 97,72 mt. Varata il 21 ottobre 1905 nei Cantieri tedeschi Schichau di Danzica con il nome “Grossherzog Von Oldemburg” fu consegnata al governo italiano nel 1919 per “risarcimento danni di guerra”. Il 1° agosto 1921 entrò in servizio nella Regia Marina.

MISSIONE ARTICA: Scopo della missione era dare il necessario apporto logistico e organizzativo all'impresa pianificata e fortemente voluta dal generale Umberto Nobile. Fu rinforzato lo scafo mediante la ricopertura di lastre d’acciaio come protezione contro la morsa dei ghiacci polari.

Nel 1927 fu equipaggiata con le ultime novità scientifiche in materia di Radio e apparati meteorologici. Al normale equipaggio si aggiunsero alpini, studenti universitari e naturalmente scienziati.

20 marzo 1928 la "Città di Milano", al comando di Giuseppe Manoja, partì dal porto di La Spezia con la funzione di nave appoggio alla spedizione artica del dirigibile "Italia". Prima meta erano le Isole Svalbard.

 

Rompighiaccio KRASSIN

Si attivarono soccorsi d’imbarcazioni e aeroplani provenienti dalla Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia che inviò anche il rompighiaccio militare "Krassin" appartenente all'armata sovietica. Altre unità ebbero un ruolo fondamentale nel recupero dei superstiti come la Hobby, baleniera norvegese, e la Braganza.

La Città di Milano bloccata dai ghiacci

 

Dalla nave “Città di Milano” si attivarono le procedure di coordinamento, ricerca e soccorso che permisero il salvataggio dei superstiti, passati alla storia delle esplorazioni polari come i “naufraghi della Tenda Rossa”.

 Le operazioni di ricerca andarono avanti per giorni, fino a quando, avvistati dal pilota italiano Umberto Maddalena vennero recuperati e messi in salvo Cecioni Natale, Felice Troiani, Giuseppe Biagi, Viglieri Alfredo, Mariano Adalberto, Zappi Filippo e lo stesso Umberto Nobile a bordo della nave "Città di Milano".

Intrapreso il lungo viaggio di ritorno, il "Città di Milano" attraccò nel porto di La Spezia il 20 ottobre 1928 concludendo così la spedizione.

 Il 10 giugno 1940 laCitta’ di Milano” interruppe i cavi telefonici di collegamento tra Gibilterra e Malta. Era la nostra prima missione nel primo giorno dell’entrata in guerra dell’Italia nella Seconda guerra mondiale.

Piano di costruzione

 

CARTOLINA COMMEMORATIVA DEL 90° ANNIVERSARIO DELLA SPEDIZIONE AL POLO NORD - 1928 - 2018

TELEGRAPH SUPPORT SHIP "CITTA DI MILANO"

 

Sulla fine della CITTA’ DI MILANO riportiamo una preziosa TESTIMONIANZA di Giorgio Andreino Mancini, che si rivolge a suo zio Pancrazio Ezio (storico)
in merito all’auto affondamento della regia nave Città di Milano, dicendo che ha avuto una confessione dal Marinaio genovese Di Maria imbarcato su quella nave, e adesso proverò a dirti cosa è successo tra l’8 e il 9 settembre del 1943 nel Porto di Savona da quello che mi ha raccontato Di Maria iscritto all’A.N.M.I.-di-Genova.

“Come tu saprai dall’8 settembre del 1943 è successo di tutto e non solo a Savona, c’era molta confusione, per farla breve nel porto, oltre ai Marinai della Regia Marina, c’erano quelli tedeschi della Kriegsmarine, si conoscevano e c’era anche un sano cameratismo tra loro ed è per questo che non c’è stato nessun atto di forza da parte della Kriegsmarine per impossessarsi della nave (questo naturalmente l’8 settembre). Sempre dal racconto del Di Maria pare che gli stessi marinai della Kriegsmarine avevano avvisato che il giorno 9 reparti della Wermacht avrebbero fatto un colpo di mano per impossessarsi della nave, cosa che poi avvenne il giorno successivo. Mi raccontava che quel giorno successe di tutto nel Porto di Savona, fischiavano pallottole da tutte le parti, l’equipaggio della Città di Milano ha risposto al fuoco con le armi che aveva, ma la superiorità tedesca era nettamente superiore. E’ stato allora che il Di Maria insieme ad un altro Marinaio (che non ricordo il nome) sono scesi in sala macchine per aprire le valvole per l’auto affondamento, operazione avvenuta con successo.
I tedeschi della Wermacht erano molto arrabbiati, fortunatamente per i marinai della Città di Milano, quelli rimasti (parecchi avevano disertato, non so se tu voglia scriverlo), sono stati fatti prigionieri da quelli della Kriegsmarine che li hanno trattati bene, prima di internarli nei campi di prigionia.

 
Spero di essere stato d’aiuto nell’aggiungere un’altra pagina della storia dei Marinai di una volta, sicuramente il Marinaio Di Maria è stato l’artefice dell’auto affondamento della regia nave Città di Milano!
Vedi se riesci a correggere qualcosa, come ti ho già scritto non sono bravo a scrivere, ma ci ho messo tutte le emozioni che il Di Maria mi ha trasmesso raccontandomi questa storia! 
Ti auguro una serena serata e come dici sempre Tu:  
Un abbraccio grande come il mare della Misericordia”

Giorgio Andreino Mancini

PARTE TERZA

 Intervista del giornalista Gianni Bisiach al generale Umberto Nobile

DIRIGIBILE ITALIA di UMBERTO NOBILE AL POLO NORD

https://www.youtube.com/watch?v=HaVlSI_2D1Q

Ernani Andreatta

LA CONQUISTA DELL'ARTICO E DELL'ANTARTICO

https://www.youtube.com/watch?v=vlUOKAv3LFc

IQ3VE – Sezione ARI di Venezia

GIUSEPPE BIAGI – LA TENDA ROSSA

http://www.arivenezia.it/giuseppe-biagi-la-tenda-rossa/

mmta517 - Convegno sul dirigibile Italia - Versione ridotta

https://youtu.be/tWxPbc8BpfY

 

Venerdì 19  Ottobre 2018 si è tenuto il Convegno sul Dirigibile Italia a 90 anni dalla Tenda Rossa. I relatori hanno ricordato la tragedia che sconvolse  la vita del Generale Umberto Nobile. di membri del suo equipaggio che vi persero la vita  con  implicazioni politiche, sociali e  umane nello stesso  tempo. Ma il convegno, che si è rivelato di grande successo,  ha coinvolto personalità della scienza, della tecnica e della navigazione registrando così un evento  inaspettato con la presenza dell'Ammiraglio di Divisione Alberto Bianchi Comandante delle Scuole Militari Italiane. La manifestazione è stata organizzata e condotta dal Tenente Colonnello Guido Casano con la regia del Comandante della Scuola TLC di Chiavari C.V. Nicola Chiacchietta.  

mmta503 – Massimo Minella racconta il Campo 52 

https://youtu.be/Ecfkiq99B60

 

mmta504 – 1928 Dalla Spezia al Polo Nord

https://youtu.be/-Jm4-aHYWZ0

Museo della Memoria - Museo Marinaro Chiavari - Edizioni Giacche' 

Michele Coviello Allievo nocchiere di La Spezia nel 1928 faceva parte dell'equipaggio della nave appoggio Città di Milano. Durante la permanenza alle isole Svalbard scatto’ una serie di fotografie che lasciò in eredità alla nipote Annalisa Coviello, giornalista e scrittrice. Attraverso l'editore "Giacchè" ne usci un interessante libro dal titolo "1928 da la Spezia al Polo Nord"

 

mmta505 –  Spedizione Nobile - Collegamento telefonico eredi Mariano

https://youtu.be/djzUF2cc1ro

mmta506 - 1928  DA LA SPEZIA AL POLO NORD

https://youtu.be/ffqx6X-VyuM

 

Carlo GATTI

Rapallo, 30 Marzo


LE NAVI DEI FILOSOFI

LE NAVI DEI FILOSOFI

In questo periodo caratterizzato da devastanti venti di guerra che ci travolgono ormai dal 24 febbraio 2022, è difficile indirizzare altrove i nostri pensieri, così com’è difficile esprimere opinioni politiche che in questa sede, per abitudine ormai consolidata, non riveliamo per non aprire dibattiti che esulerebbero dagli scopi istituzionali della nostra Associazione.

Tuttavia ci sono altri modi per rimanere sia nel campo navale che in quello della tragica attualità, specialmente quando essa c’impone la riflessione sul tempo che passa… che migliora gli standard di vita di tutti i popoli del mondo, anche di quelli che non intendono mutare il proprio pensiero di fondo che rimane antidemocratico! Uno snodo etico-morale sul quale non ci sarà mai un incontro ma piuttosto uno scontro…

Questo almeno è il messaggio che il sottoscritto ha percepito ascoltando la trasmissione PASSATO E PRESENTE mandata in onda alcuni giorni fa da Paolo Mieli (nella foto) in cui il bravo storico ha voluto dedicare al suo pubblico una pagina dimenticata ma sempre attuale, intitolata: Le Navi dei Filosofi.

Della trasmissione ho colto soprattutto il desiderio dell’autore di ricordare, con l’aiuto di altri esperti e giovani storici, almeno uno dei metodi di deportazione forzata di liberi pensatori, scrittori, dissidenti politici che erano già stati vittime dello “zarismo”. Stiamo parlando della Russia di ieri che “appare”, per molti aspetti, speculare a quella di oggi.

La nave dei Filosofi: Si tratta di uno sguardo sul destino di molti intellettuali filosofi, teologi, sociologi e scienziati, che dopo la rivoluzione bolscevica sono stati costretti a lasciare il Paese, insieme ad oltre un milione di russi dissidenti.

A tanto si può arrivare per impedire la libera circolazione delle idee!

LE NAVI DEI FILOSOFI FURONO DUE:

- Oberbürgermeister Haken

- Preussen

Un po’ di Storia

Il 6 febbraio 1922 la Čeka diventava Direzione Politica di Stato: GPU, una sezione dell'NKVD della RSSF Russa. Fu quindi il GPU che ricevette l’incarico di arrestare gli intellettuali.

Era il maggio del 1922 quando LENIN ordinò di studiare un piano per esiliare l’élite degli intellettuali russi che si opponevano con i loro scritti ai bolscevichi, una fazione marxista rivoluzionaria di estrema sinistra fondata da Vladimir Lenin.

Nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1922 gli intellettuali furono sommariamente processati, condannati e costretti a scegliere tra l'esecuzione e l'espulsione. Chi sceglieva l’esilio doveva pagarsi il viaggio e lasciare in patria gli oggetti di valore e persino i libri.

Le cronache riportano che: “Le due navi che trasportarono gli intellettuali da Pietrogrado a Stettino erano due, la prima partì il 29 settembre 1922 e giunse a destinazione il 1º ottobre 1922 con 35 intellettuali russi e le loro famiglie. La seconda si chiamava Preussen e partì a novembre.”

La data di partenza della nave l'Oberbürgermeister Haken entrò nella storia rappresentando il momento simbolico che fece da spartiacque tra la cultura sovietica e la cultura emigrata.

La Oberbürgermeister Haken, una delle due navi che trasportò gli intellettuali dal porto sovietico da Pietrogrado a Stettino verso la Germania

Monumento dedicato all'espulsione dei "filosofi" a San Pietroburgo

Intellettuali espulsi

 

su RUSSIA BEYOND leggiamo:

Titolo:

Nel 1922, a bordo di due piroscafi tedeschi, il capo del nuovo Stato sovietico (Lenin) costrinse all’esilio filosofi, teologi, sociologi e molti scienziati non allineati.

“L’espulsione degli elementi controrivoluzionari e dell’intellighenzia borghese è il primo avvertimento del potere sovietico a questi elementi sociali”, scriveva la Pravda verso la fine di agosto del 1922.

Un paio di mesi più tardi, due navi tedesche, la “Oberbürgermeister Haken” e la “Preussen” salpavano dalle coste sovietiche carichi di influenti pensatori russi.

In tutto oltre 160 persone (contando anche i familiari) furono forzati a lasciare il Paese. Tra questi, professori, medici, insegnanti, economisti, scrittori e figure politiche e religiose. Tutti avevano una cosa in comune: si opponevano fieramente al regime sovietico.

Non fu loro permesso di portare molto con sé: due ricambi di biancheria, calzini e scarpe, una giacca, un paio di pantaloni, una giacca e un cappello. E questo era tutto. Soldi e gioielli non erano permessi, e tutti i beni di valore, comprese le obbligazioni, furono loro confiscati.

Scienziati prolifici

Tra gli espulsi c’era la crema degli intellettuali e degli accademici. Il più famoso di loro era Pitirim Sorokin (1889-1968), uno dei padri fondatori della moderna sociologia. All’epoca della rivoluzione aveva supportato i rivali dei bolscevichi ed era stato arrestato, ma poi si era allontanato dalla vita politica, scrivendo una lettera a Lenin. Dopo qualche tempo a Praga, passò gran parte della sua vita negli Stati Uniti, diventando persino presidente dell’American Sociological Association”.

Poi c’erano famosi scrittori, teologi e filosofi non marxisti, come Sergej Bulgakov, Nikolaj Berdjaev, Nikolaj Losskij, Ivan Ilijn e Semen Frank, che avevano profondamente segnato il pensiero russo prima del 1917. Ma allo stesso tempo, la maggioranza degli emigrati forzati non era composta da nomi famosi. Erano spesso ricercatori o scienziati, e si considera che tra il momento in cui furono esiliati e il 1939 abbiano pubblicato all’estero qualcosa come 13 mila lavori in vari settori scientifici”.

 

Tra la Rivoluzione russa del 1917 e la successiva formazione del nuovo Stato sovietico fino al crollo dell’URSS, avvenuto nel 1991, si contano cinque diverse ondate di migrazione di massa. 

Con la nascita del nuovo Stato sovietico, formatosi ufficialmente nel 1922, si registrò una massiccia emigrazione di coloro che si erano opposti alla salita al potere del nuovo governo bolscevico, i cosiddetti Emigrati Bianchi.  

LA STORIA SI RIPETE…

Un solo esempio: il primo esodo nella storia della Russia fu il più massiccio e devastante. Il numero di persone che fuggirono dal Paese fu di circa 2 milioni di persone.

Fin qui abbiamo parlato di “esodi forzati”, ma ci furono anche tentativi di fuga e ammutinamenti, il più celebre dei quali ispirò il film: “CACCIA A OTTOBRE ROSSO”. Lo scrissi dieci anni fa per “riportare alla luce” il vero retroscena storico che ispirò il film del regista John McTiernan e magistralmente interpretata dal com.te Ramius (Sean Connery).

Quella tragica storia VERA venne alla luce molti anni dopo …

L’ammutinamento della fregata

STOROZHEVOY

Ispirò il film ‘Caccia a Ottobre Rosso’

https://www.marenostrumrapallo.it/storozhevoy/

di Carlo GATTI

Rapallo, 14 maggio 2012


MARCO VIPSANIO AGRIPPA - IL PANTHEON E LA BATTAGLIA DI AZIO

RITRATTO DI MARCO VIPSANIO AGRIPPA

UN GRANDISSIMO AMMIRAGLIO CHE, GRAZIE ALLE SUE INNATE CAPACITA’, ENTRO’ DI DIRITTO ANCHE NEL MONDO DELL’ARTE UNIVERSALE

 

Se dovessi cercare un simbolo per rappresentare il connubio: ARTE – MARE, non avrei il minimo dubbio: sceglierei il busto marmoreo di Marco Vipsanio AGRIPPA, brillante politico, grande militare e architetto romano. Questo eclettico personaggio nacque ad Arpino nel 63 a.C. - morì in Campania nel 12 a.C.

IL PANTHEON E LA BATTAGLIA DI AZIO

DUE TRA I SUOI TANTI CAPOLAVORI….

GALLERIA DEGLI UFFIZI

FIRENZE

Seconda metà del I secolo a.C.

68 x 42 cm

Questo ritratto è noto in numerose raffigurazioni: dalle gemme ai cammei, e dalle statue ai rilievi.  La testa è posta su un busto moderno, e presenta una marcata accentuazione dello sguardo che conferisce forza, decisione e carisma al personaggio.

L’opera conservata nella Galleria è entrata nelle collezioni medicee attraverso una donazione di Papa Pio IV a Lorenzo de’ Medici, giunto a Roma nel 1471 ed è da annoverare fra i pochissimi marmi antichi sicuramente riconducibili al nucleo originario della collezione di antichità della famiglia Medici.

 

UN PO’ DI STORIA

 

Legato da amicizia con il giovane Ottavio (Gaio Giulio Cesare Ottaviano), nacquero lo stesso anno, gli fu sempre a fianco dalla prima spedizione in Macedonia contro i Parti fino alla sua ascesa all’'Impero di Roma.

 

Agrippa e Augusto avevano servito come ufficiali di cavalleria sotto Cesare durante la battaglia di Munda nel 45 a.C., al termine della quale Ottaviano venne adottato dal grande condottiero romano e mandato a studiare ad Apollonia presso le legioni macedoni, sempre insieme ad Agrippa.

In Macedonia Agrippa si guadagnò ben presto i favori delle legioni, dimostrando grande dimestichezza con il comando, inoltre in quei luoghi approfondì le sue conoscenze dell’architettura che mise a frutto nel corso degli anni. Ad Apollonia in quel periodo giunse la notizia dell’assassinio di Giulio Cesare, così Ottaviano fece immediatamente ritorno a Roma.

Agrippa assunse il comando delle legioni lì stanziate, con le quali corse in aiuto dell’amico, permettendogli così di dare il via al secondo triumvirato, insieme a Marco Antonio e ad Emilio Lepido, lo scopo era di contrastare e combattere gli assassini di Giulio Cesare.

Agrippa combatté al fianco di Ottaviano e di Marco Antonio nella decisiva battaglia di Filippi, nel 42 a.C.

Dopo il ritorno a Roma, nel 41 a.C., Ottaviano Augusto inviò Agrippa a dirigere la guerra contro Lucio Antonio e Fulvia Antonia, rispettivamente fratello e moglie di Marco Antonio, guerra che si concluse con la loro cattura a Perusia (Perugia) nel 40 a.C. Due anni dopo, represse una rivolta degli Aquitani in Gallia e attraversò il fiume Reno per punire le aggressioni delle tribù germaniche.

 

Prima di aver compiuto i 43 anni richiesti dalla carica, Marco Vipsanio Agrippa viene richiamato a Roma da Ottaviano per il Consolato nel 37 a.C. Ottaviano subisce alcune sconfitte navali umilianti contro Sesto Pompeo e ha bisogno del suo fidato amico per elaborare la strategia da seguire in guerra. Al suo comando sconfigge Sesto Pompeo prima e annienta Antonio ad Azio.

Marco Vipsanio Agrippa, oltre ad essere stato il braccio destro del I° Imperatore di Roma, in seguito divenne suo genero avendo sposato la figlia Giulia.

 

Ma le sue doti militari si rivelarono magnificamente quando, con energia e rapidità, seppe dare a Roma una base navale con la costruzione del Portus Julius (riunì i laghi di Averno e Lucrino) e una poderosa flotta. 

PORTUS JULIUS (37 a.C.)

Mentre Sesto Pompeo controlla le coste italiche, il primo obiettivo di Agrippa è di trovare un porto sicuro per la flotta. Durante la sua precedente campagna, Agrippa non aveva trovato basi navali in Italia vicino alla Sicilia. Agrippa mostra però un "grande talento di organizzatore e di costruttore" intraprendendo "lavori giganteschi" edificando in Campania una base navale partendo da zero, facendo scavare un canale fra il mare ed il LAGO DI LUCRINO per formare un porto esterno e un altro fra il Lucrino ed il lago d'Averno per avere un porto interno. Il nuovo complesso portuale viene chiamato Portus JULIUS in onore di Ottaviano.

Il suo cursus honorum iniziò con la pretura, poi fu per tre volte console:

37 a.C., 28 a.C., 27 a.C.

 

L'Orbis pictus era una grande carta geografica del mondo conosciuto, fatta redigere da Ottaviano su indicazioni di Agrippa, che le inserì nel suo testamento, poi esposta nel Porticus Vipsania a Roma e oggi perduta.

 

Le mappe nel mondo antico. La Tabula Peutingeriana – parte I –

 

Questo segmento rappresenta una sezione dell’Italia centro-meridionale, del Nord Africa e dell’Europa centrale. Sono visibili in particolare gli Appennini, la città di Napoli e la Campania, compresa la Crypta Neapolitana, parte della Sicilia occidentale fino ad Agrigento, Spalato in Croazia e i Balcani, Macomades e altre città dell’odierna Algeria.

 

L’eclettico Ammiraglio, come abbiamo accennato, seppe anche rivelare le sue doti di grande costruttore quando accettò nel 33 a.C. la carica di EDILE. Sue opere furono il Porticus Vipsaniae contenente la prima carta geografica mondiale (l’Orbis pictus) di cui aveva preparato i materiali, il pons Agrippae, la Basilica Neptuni e, infine, opera magistrale, il Pantheon.

 

L'iscrizione originale di dedica dell'edificio, fu ricollocata sulla successiva ricostruzione di epoca adrianea, recita: M·AGRIPPA·L·F·COS·TERTIVM·FECIT, ossia:

     «Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, edificò»

Al suo ritorno rifiutò di celebrare il trionfo offertogli, ma accettò il suo primo consolato, era il 37 a.C.

Un anno più tardi, nel 36 a.C., Agrippa fu nominato Comandante in capo della flotta romana, fatto che gli permise di sottoporre gli equipaggi ad un addestramento intensivo e molto duro, dopo di che sconfisse Sesto Pompeo a Mylae e a Nauloco e in un mese distrusse completamente la forza navale di Sesto, ricevendo la corona navale per le sue vittorie in Sicilia.

 

 

In quanto EDILE e curator aquarum, iniziò la costruzione del monumentale acquedotto del Serino, una delle più grandi opere architettoniche dell'intero Impero Romano, destinato a rifornire la flotta imperiale ancorata a Miseno.

 

Agrippa restaurò anche gli acquedotti più antichi e ne costruì due nuovi (l’Aqua Iulia e, più tardi, nel 19 a.C., l’Aqua Virgo*), inoltre restaurò e ripulì la Cloaca massima e attuò la politica edilizia di Augusto nel Campo Marzio, costruendo terme, portici e giardini.

*L'Aqua Virgo fu il sesto degli undici acquedotti romani antichi. Restaurato nel Rinascimento e ribattezzato Acqua Vergine, è tuttora funzionante.

Nel 31 a.C., Agrippa fu richiamato alle armi come Comandante della flotta, durante la decisiva e vittoriosa battaglia di Azio, contro le navi di Antonio e Cleopatra, e se Ottaviano si ritrovava ora a capo di un Impero, lo doveva in buona parte alle competenze dell’amico Marco Vipsanio Agrippa. Augusto per facilitare l’ascesa al potere dell’amico, lo associò alla famiglia imperiale, costringendolo a separarsi dalla moglie Claudia Marcella Maggiore, sposata nel 28 a.C., per sposarsi invece con Giulia, la figlia di Augusto, rimasta vedova.

Inoltre ottenne un secondo consolato con Ottaviano lo stesso anno.

Nel 27 a.C., anno in cui Ottaviano ottenne il titolo di Augusto, Agrippa rivestì per la terza volta il consolato insieme all’amico.

Nel 19 a.C., lo stesso anno Agrippa fu impiegato per sedare alcune rivolte in Gallia e a difendere il confine dai Germani, ed infine venne incaricato di spegnere una rivolta dei Cantabrici in Spagna.  Fu poi nominato governatore della Siria una seconda volta nel 17 a.C., e lì la sua amministrazione giusta e prudente gli fece guadagnare rispetto e benevolenza, in particolare della popolazione ebraica. Agrippa inoltre ristabilì un efficace controllo romano sul Chersoneso Cimmerico (l’attuale Crimea) durante il suo governatorato.

Il sostegno di Agrippa per il suo amico Ottaviano non venne mai meno.

L’ultimo servizio pubblico reso da Agrippa fu l’avvio della conquista della regione superiore del Danubio, regione che si sarebbe poi trasformata nella provincia romana della Pannonia nel 13 a.C.

Agrippa morì in Campania nel marzo del 12 a.C. all’età di 51 anni a causa di una malattia. Dopo la sua morte nacque - da Giulia - l’ultimo dei suoi figli Marco Vipsanio Agrippa Postumo. Augusto onorò la sua memoria con un funerale magnifico ed egli stesso passò più di un mese in lutto per l’amico scomparso a cui lui e Roma dovevano parte della loro grandezza.

Successivamente Augusto adottò i figli di Agrippa e di sua figlia Giulia, Gaio Cesare e Lucio Cesare, come suoi successori designati.

Il PANTHEON DI AGRIPPA

Il nome Pantheon in greco, significa “di tutti gli Dèi”.

Ricostruzione particolare del PANTHEON DI AGRIPPA

Marco Vipsanio Agrippa (Louvre)

 

 

Il primo Pantheon fu fatto costruire nel 27-25 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa nel quadro della monumentalizzazione del CAMPO MARZIO, affidandone la realizzazione a Lucio Cocceio Aucto. Esso sorgeva infatti fra i Saepta Iulia e la Basilica di Nettuno, fatti erigere a spese dello stesso Agrippa su un’area di sua proprietà, in cui si allineavano da sud a nord le Terme di Agrippa, la basilica di Nettuno e il Pantheon stesso.

 

IL CELEBRE CAMPO MARZIO

In Età Romana

 

Dai resti rinvenuti a circa 2,50 metri sotto l'edificio, alla fine del XIX secolo, si sa che questo primo tempio era di pianta rettangolare (metri 43,76×19,82) con cella disposta trasversalmente, più larga che lunga costruito in blocchi di travertino rivestiti da lastre di marmo. L'edificio di Agrippa aveva comunque l'asse centrale che coincideva con quello dell'edificio più recente e la larghezza della cella era uguale al diametro interno della rotonda. L'intera profondità dell'edificio augusteo coincide inoltre con la profondità del pronao adrianeo.

La sola fonte che descrive quali fossero le decorazioni del Pantheon di Agrippa è Plinio il Vecchio, che lo vide di persona. Nella sua Naturalis Historia riporta, infatti, che i capitelli erano realizzati in bronzo siracusano e che la decorazione comprendeva delle cariatidi e statue frontali.  Le cariatidi, collocate sulle colonne del tempio, furono scolpite dall'artista neoattico Diogenes di Atene.  Il tempio si affacciava su una piazza (ora occupata dalla rotonda adrianea) limitata sul lato opposto dalla basilica di Nettuno.

Cassio Dione Cocceiano afferma che il "Pantheon" aveva questo nome perché accoglieva le statue di molte divinità o più probabilmente perché la cupola della costruzione richiamava la volta celeste (e quindi le sette divinità planetarie), e che l'intenzione di Agrippa era stata quella di creare un luogo di culto dinastico, dedicato agli dei protettori della Gens Iulia (Marte e Venere)  e dove fosse collocata una statua di Ottaviano Augusto, da cui l'edificio avrebbe derivato il nome.

Essendosi l'imperatore opposto ad entrambe le cose, Agrippa fece porre all'interno una statua del Divo Giulio, (ossia di Cesare divinizzato) e, all'esterno, nel pronao, una di Ottaviano e una di sé stesso, a celebrazione della loro amicizia e del proprio zelo per il bene pubblico.

Distrutto dal fuoco nell'80, venne restaurato sotto Domiziano, ma subì una seconda distruzione nel 110 d.C. sotto Traiano a causa di un fulmine.

 

IL PANTHEON DI ADRIANO

ESPRIME ANCORA

LA GRANDEZZA DI ROMA

 

Il Pantheon di Adriano, riporta tuttora sulla trabeazione l’iscrizione del precedente tempio costruito da Agrippa M·AGRIPPA·L·F·COS·TERTIVM·FECIT (“Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, fece”).

Nel 125 d.C. fu l’Imperatore ADRIANO a volerne fortemente la ricostruzione. Così come le strade aiutarono a tenere collegato l’impero, il PANTHEON diede al mondo l’immagine della reale grandezza di Roma e tra tutti i resti dell’Impero Romano è quello che meglio si è conservato ai giorni nostri.

Il Pantheon viene considerato uno tra i monumenti più belli e particolari del mondo antico. La sua caratteristica principale è il foro circolare, posto in alto e al centro chiamato oculo, che ha un diametro addirittura di nove metri e che spicca dunque all’interno della cupola.

Curiosità: Quell’oculo comunque ha la sua importanza perché si possono osservare dei fenomeni astronomici, cioè si osservano le stelle dall’interno dell’edificio e infatti il Pantheon è stato anche chiamato “tempio solare”.

Ad esempio, il giorno 21 del mese di aprile di ogni anno, 21 aprile che è il giorno in cui è stata fondata la città di Roma (il 21 aprile si chiama per questo motivo il “Natale di Roma”), a mezzogiorno esatto, un raggio di sole penetra dall’oculo all’interno nel Pantheon e colpisce il portale d’accesso, colpisce esattamente la porta di ingresso.

Dal sito: Le meraviglie di Roma

La Cupola stessa, comunque, che ha dimensioni esagerate se consideriamo il diametro lungo ben quarantaquattro metri che la rendono, tuttora, la più grande mai costruita al mondo senza l’ausilio del cemento armato.

Lo stesso imperatore Adriano lo utilizzava per riunire la corte oltre che per rendere omaggio agli dei (nonostante questa fosse una pratica tipica della cultura greca).

La struttura architettonica

La facciata del Pantheon fu idealizzata con l’intento di esprimere la netta supremazia nonché egemonia culturale dell’impero romano: a sorreggere il portico greco, antistante l’ingresso principale, troviamo ben sedici colonne costruite in Egitto e che quindi dovettero fare un viaggio lunghissimo prima di sbarcare nella Capitale. Nonostante ciò, però, arrivarono in condizioni eccelse e la loro struttura di granito le rendono ancora oggi indistruttibili.

Più precisamente: Il pronao è formato da 16 colonne, 8 colonne di granito grigio in facciata e 8 colonne di granito rosa provenienti dalle cave di Mons Claudianus e di Assuan (Egitto), distribuite nelle due file retrostanti.

Curiosità: Le cave più preziose erano gestite da fiduciari dell’imperatore; vere e proprie cave imperiali mentre le altre erano gestite da appaltatori. L’organizzazione era gerarchica: da un procuratore o centurione, fino ai cavatori che erano schiavi o condannati per reati (damnati ad metalla). Ad esempio il porfido rosso, bellissimo marmo color porpora proveniente dall'Egitto, era ritenuto il marmo dell'imperatore, tanto che ognuno di essi tenne a farsene fare una statua.

I marmi erano trasportati via mare dalle naves lapidariae, in grado di portare ciascuna da 100 a 300 tonnellate di marmo. Il luogo principale di destinazione era Roma e l’attracco avveniva alla statio marmorum di Ostia, un porto presso la foce del Tevere. Da qui i marmi affluivano, risalendo il fiume, nei magazzini di stoccaggio, in particolare nella zona sotto l’Aventino chiamata appunto Marmorata e poi, per la vendita e la lavorazione, nelle officine dei marmorari, ad esempio a Campo Marzio o nella zona tra le chiese di Santa Maria in Vallicella e di Sant’Apollinare.

I relitti di navi naufragate, rinvenuti nel Mediterraneo in epoca anche recente, permettono di ricostruire le rotte principali. Le navi trasportavano non solo blocchi di marmo ma anche elementi architettonici e altri tipi di manufatti scultorei in vario stadio di lavorazione, quali fusti, basi, capitelli, statue, sarcofagi ed elementi di arredo.

 

A partire dalla fine del II sec. d.c. il marmo lunense venne progressivamente soppiantato dal marmo proconnesio (utilizzato per la costruzione di Costantinopoli), un marmo bianco proveniente dalla piccola isola di Proconneso, nel mar di Marmara, favorita dalla vicinanza delle cave al mare, per cui i blocchi estratti potevano essere direttamente caricati sulle navi per il trasporto. L'abbondanza di vene sfruttabili anche per grandi blocchi e la produzione in loco di manufatti semirifiniti o finiti, dai capitelli, ai fusti di colonna, ai sarcofagi, permetteva di contenere ulteriormente i costi favorendo la diffusione di questo marmo nei secoli successivi.

Tratto dal sito: ROMANO IMPERO

All’inizio del VII-secolo il Pantheon fu convertito in basilica cristiana chiamata Santa Maria della Rotonda o Santa Maria ad Martyres: il fatto gli consentì di sopravvivere quasi integro alle spoliazioni inflitte dai papi agli edifici della Roma classica. Gli abitanti di Roma lo chiamavano popolarmente la Rotonna (“la Rotonda”).

La trave che passa sopra le colonne era completamente rivestita di bronzo così come lo erano le due porte gigantesche (alte sette metri) che anticipavano l’ingresso alla struttura e quindi alla sala circolare.

Una maestosità riconosciuta dai numeri

Ad oggi la struttura fa parte del demanio Italiano e conta migliaia di visitatori mensilmente tanto da superare nel 2017 le soglie degli otto milioni di visitatori annuali.

 

Calco-Gesso - Dimensioni: altezza: 46 cm -Provenienza: (originale) Museo del Louvre – Parigi

 

Gaio Giulio Cesare Ottaviano

 

(Roma, 23 settembre 63 a.C. – Nola, 19 agosto 14 a.C.) meglio conosciuto come Ottaviano o Augusto, è stato il primo imperatore romano dal 27 a.C. al 14 d.C., una persona che volle trasmettere l’immagine di sé come imperatore pacifico di quella Roma trionfatrice su tutto il mondo conosciuto. Egli lo fece attraverso un uso abile delle immagini e con l’abbellimento della città di Roma. Tutelò gli intellettuali che celebravano il principato, riqualificò il Senato e l’Ordine degli Equites. Fece molte importanti e durature riforme. Ma dal punto di vista militare di certo non eccelleva, cosa non da poco in quella Roma.

“Non era uno stratega né un cuor di leone in battaglia”

Ma Ottaviano aveva un asso nella manica in tal senso e rispondeva al nome di Marco Vipsanio Agrippa.

  

MARCO VIPSANIO AGRIPPA

AMMIRAGLIO

 

Come abbiamo già visto, Agrippa si dovette occupare di Sesto Pompeo che tentava di indebolire la posizione di Ottaviano agli occhi del Senato, si dedicarono alla pirateria e bloccarono i rifornimenti di grano provenienti dall’Africa per l’Impero, arrivando a conquistare anche la Sicilia.

In terra sicula, proprio in quell’occasione, conquistò gloria eterna quando nel 36 a.C., nella località di Nauloco, quando annientò completamente la flotta di Sesto Pompeo e grazie alle sue straordinarie capacità strategiche e militari, perse solo 3 navi, mentre Sesto Pompeo si ritirò con sole 17 navi sulle 350 che inizialmente aveva!

Proprio durante questo conflitto si cominciò a pensare che senza Agrippa, Ottaviano non sarebbe mai riuscito a compiere la sua straordinaria ascesa al titolo imperiale.

Ottaviano fece dichiarare Antonio nemico pubblico e il senato romano dichiarò guerra all’Egitto.

Ancora una volta toccò ad Agrippa prendere il comando della flotta quando scoppiò la guerra contro Antonio e Cleopatra. Sul finire del 32 a.C. I due sposi furono sconfitti nella battaglia di Azio, del 2 settembre 31 a.C., e si suicidarono entrambi l’anno successivo in Egitto. La vittoria di Ottaviano ad Azio, che gli diede il controllo di Roma, fu principalmente dovuta ad Agrippa.

Lo hai reso così grande che deve divenire tuo genero o essere ucciso

 

BATTAGLIA DI AZIO

IL SUO SECONDO CAPOLAVORO

LA NAVE DI AGRIPPA

Marco Vipsanio Agrippa, braccio destro di Ottaviano Augusto, fu un grande comandante e ammiraglio. Osservando le navi dei pirati illirici, concepisce un nuovo tipo di imbarcazione particolarmente adatto all’incontro ravvicinato. Saranno queste nuove costruzioni determinanti per la vittoria di Azio del 31 d.C.

 

Sulla Battaglia di AZIO getto la spugna… e vi affido ad un eccellente “PASSATO E PRESENTE” (Paolo Mieli), in cui è ospite il prof. Alessandro Barbero.

(Torino, 30 aprile 1959) – Storico, Accademico e scrittore, specializzato in Storia del Medioevo e in Storia Militare. 

 

LA BATTAGLIA AZIO

 

https://www.raicultura.it/storia/articoli/2019/02/La-battaglia-di-Azio-87574d9f-728b-4cd4-a402-5ddc56fb360e.html

 

GENOVA – LA CASA DEL BOIA   di Carlo Gatti

 

https://www.marenostrumrapallo.it/boia/

 

Agrippa da magistrato fece restaurare e costruire molte opere pubbliche (acquedotti, terme, templi, impianti fognari...). A Genova esisteva forse un recinto sacro in onore della famiglia imperiale, a lui dedicato.

Consiglio la lettura del saggio di cui riporto il titolo e LINK. Il bravissimo Ufficiale della M.M. Domenico CARRO vi convincerà che AGRIPPA è stato il più grande Ammiraglio che la “storia navale” ricordi. Un personaggio che più lo si conosce, più ci sorprende la sua enorme capacità d’esprimersi ai più alti livelli in molteplici campi dello scibile umano che, con grande spirito di servizio, affetto e amor di patria, mise a disposizione dell’Imperatore OTTAVIANO AUGUSTO del quale divenne anche genero, come abbiamo imparato da questa modestissima ricerca.

Di singolare e versatile ingegno Agrippa, va ricordato anche come autore di orazioni e memorie.

VESSILLO AZZURRO

LA STRATEGIA NAVALE DI AGRIPPA

Di Domenico CARRO

http://www.societaitalianastoriamilitare.org/COLLANA%20SISM/2014%20CARRO%20Vessillo%20Azzurro.pdf

 

Chi è Domenico CARRO

http://www.romaeterna.org/vitae.htm

 

Ricerca a cura di 

Carlo GATTI

Rapallo, 7 Marzo 2022


PONTE DEI MILLE - PORTO DI GENOVA

PONTE DEI MILLE

PORTO DI GENOVA

UN PO’ DI STORIA:

GIUSEPPE GARIBALDI - UN UOMO DI MARE

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=189;garibaldi&catid=36;storia&Itemid=163

Proprio qui, tra Capo D'Arena e la Villa del Principe, sorgeranno le strutture della Stazione Marittima inaugurata nel 1889 con il nome di Ponte Federico Guglielmo. (ora Ponte dei Mille).

Il nome di Ponte Federico Guglielmo è comunque confermato nel 1889 dopo la costruzione della nuova Sala Passeggeri.

da LA MIA GENTE omaggio del Secolo XIX – Genova 1884

 

 

1900 – La Stazione Marittima

Testata della Stazione Marittima con il monumento a memoria dell'Impresa dei Mille. Venne eretto nel 1910 nel luogo dove Nino Bixio "prelevò"  il Lombardo ed il Piemonte iniziando così la spedizione che doveva portare all'Unità d'Italia.


Per il monumento venne usata una antica colonna portata a Genova dall'Oriente all'epoca delle Crociate.

 

 

Banchina di Levante. Nave passeggeri in partenza – 1913

La dicitura "Ponte Carlo Alberto del Belgio" lascia perplessi....  Federico Guglielmo durante la prima Guerra mondiale non era più un nome "popolare"?  Non è così. Nel 1914 era stato costruito un nuovo "prolungamento" alla banchina con una nuova Stazione Marittima intitolata appunto al re del Belgio.


E per un certo periodo la due Stazioni Marittime mantennero i loro nomi, finchè, intorno agli anni 20 l'intera struttura non prese il nome di "Ponte dei Mille" che mantiene tutt'oggi.

Principessa Mafalda

Anni ‘20

 

Cartolina Ed. Calì - sped 1920

 

La stazione marittima, così come si presentava nelle immagini precedenti, non era più sufficiente a garantire l'operatività delle grandi navi passeggeri per cui nel 1924 si cominciò a costruire la nuova Stazione (l'attuale stazione marittima di Ponte dei Mille) che fu inaugurata nel 1930 e comprendeva gli Uffici delle Dogane e della Polizia di Frontiera oltre alla Capitaneria del Porto. Qui ne vediamo il Progetto A.Di Lorenzi.

 

Il nuovo edificio della Stazione Marittima e Capitaneria del Porto

Anni ’30 – compaiono le ciminiere del REX…

Navi militari classe ‘Cadorna’ ormeggiate di punta a calata Zingari. A destra il REX

REX (a sinistra) e CONTE DI SAVOIA (Primi Anni ’30)

 

Anni ’50-‘60 (Gulio Cesare oppure Augustus) all’ormeggio Ponte dei Mille Levante

Anni ’60-’70 (T/n Andrea Doria va all’ormeggio)

 

Ponte dei Mille e la "sopraelevata" intorno al 1970. C'é la "Sopraelevata".

T/n MICHELANGELO IN USCITA DAL PORTO - ANNI ‘70

PONTE DEI MILLE

GENOVA

Nuovo Millennio

Stazioni Marittime S.p.A. nasce nel 1989 con lo scopo di occuparsi della pianificazione, costruzione e gestione delle infrastrutture del Porto passeggeri di Genova e del suo traffico.


La Società gestisce cinque terminal passeggeri: Ponte dei Mille e Ponte Andrea Doria sono principalmente dedicati al traffico crocieristico, mentre i tre terminal di Calata Chiappella, Ponte Caracciolo e Ponte Colombo sono quasi esclusivamente dedicati al traffico traghetti. L’area ricopre in totale circa 290.000 metri quadrati di superficie e comprende 12 accosti per circa 3.000 metri di banchine.

A partire dai primi anni 90’ Stazioni Marittime S.p.A., con il contributo dell’Autorità Portuale di Genova, ha effettuato investimenti per oltre 122 milioni di euro, ridisegnando i profili delle banchine e la viabilità interna, ristrutturando ed ampliando gli edifici esistenti e costruendo nuove infrastrutture che hanno portato Genova al ruolo di principale hub portuale del traffico crociere e traghetti nel mediterraneo.

L’area passeggeri è situata nei pressi del centro città, a 200 metri dalla stazione ferroviaria e dista solo 5 km dall’Aeroporto Internazionale di Genova, oltre ad essere collegata direttamente al nodo autostradale. Tutti i terminal gestiti da Stazioni Marittime S.p.A. rispondono alle sempre più stringenti normative di safety e security fissate dall’IMO e dalle normative europee.

CROCIERE
Genova oggi è un importante realtà del mercato delle crociere ed un porto base tra i più utilizzati per itinerari di vacanza verso il Medio Oriente, il Nord Africa, il Mediterraneo, l’Atlantico, il Nord Europa e le Americhe.

Il Terminal Crociere di Ponte dei Mille copre una superficie totale di circa 16.000 mq (comprese le terrazze di imbarco) e si sviluppa su 3 piani collegati con scale mobili ed ascensori. Il Terminal può ospitare contemporaneamente due navi da crociera di ultima generazione con un movimento complessivo giornaliero fino a 10.000 passeggeri e presenta una banchina di circa 340 metri di lunghezza adeguata ad ospitare le grandi navi da crociera di ultima generazione. Ponte dei Mille è dotato anche di un accosto di circa 290 metri lungo la parte di levante dell’edificio.

La nave al centro (ponte dei Mille ponente): la MSC FANTASIA

ALCUNI INTERNI DELLA STAZIONE MARITTIMA

PONTE DEI MILLE

Dal 1930 la Stazione Marittima di Ponte dei Mille rappresenta l’ideale punto d’incontro tra Genova ed il suo porto. Teatro del periodo delle grandi migrazioni e dell’epoca d’oro dei grandi transatlantici, è forse la più bella Stazione Marittima del mondo, certamente la più ricca di storia e valenza simbolica. I saloni della Stazione Marittima di Ponte dei Mille sono considerati una delle “location” più esclusive ed affascinanti a livello nazionale. La galleria centrale, composta da due saloni separabili, ha una superficie complessiva di circa 2.500 mq e può ospitare cene ed eventi per oltre 1.500 persone. Di eccezionale suggestione sono le due grandi terrazze d’imbarco adiacenti la galleria sul lato di ponente e sul lato di levante, dalle quali si può ammirare un affascinante panorama del porto e della città.

 

Stazione Marittima – salone Nord

 

Stazione Marittima - Salone Prima Classe

 

STAZIONE MARITTIMA – prima class

STAZIONE MARITTIMA – Prima classe

 

Carlo GATTI

Rapallo, 22 Marzo 2021