I MITICI CARAVANA - Prime Regolamentazioni

I MITICI Caravana

Le prime regolamentazioni del lavoro

Prima che il Regno Sabaudo annettesse Genova ai suoi territori, i rapporti di lavoro erano regolamentati, si fa per dire, direttamente fra gli interessati; una stretta di mano e…vinca il più forte, che poi era sempre lo stesso. Non a caso, all’epoca, il datore di lavoro, si chiamava “padrone”.

Arrivato il Regno, bisognava far capire che eravamo una comunità moderna ed allora s'istituì, per la prima volta a Genova, un vero e proprio “libretto di lavoro” che portasse a conoscenza delle parti contraenti, le norme previste dalla nuova legge, promulgata per disciplinare la materia.

 

Nel ricercare documenti del nostro passato, me n’è capitato per le mani una copia, fra le prime stampate, risalente all’inizio della seconda metà del ’800.

 

 

Il documento, scritto in italiano e francese, quest’ultima era lingua in uso a Casa Savoia e fra l’alta borghesia torinese, doveva essere conservato dal datore di lavoro per tutto il tempo che durava il rapporto; quello che ho visto si riferiva ad una domestica che, da diciotto anni, lavorava sotto il medesimo padrone.

 

Leggendo le norme, si riceve la sensazione che il dipendente fosse ritenuto un irresponsabile, quasi equiparato ad un qualsiasi animale domestico presente nella casa. Di tutte le infrazioni sarebbe andato incontro non obbedendo, avrebbe certamente “filato liscio” o pagata cara la mancanza. Duecento anni prima, una necessità assai simile deve aver suggerito l’idea di costruire, in Genova, un gran ricovero entro il quale riunire tutti i poveri: l’Albergo dei Poveri, per l’appunto.che egli avrebbe potuto commettere verso terzi, ne rispondeva direttamente e pienamente il suo datore di lavoro che poi, a sua volta, aveva diritto di rivalersi sul dipendente colpevole. Così, ogni nuovo padrone, prima di assumere o pagare il dipendente, doveva controllare se gli interrotti rapporti con il precedente, fossero stati pienamente soddisfacenti per quest’ultimo, pena il rifondere lui stesso quanto ancora fosse rimasto in contenzioso.

Chi sovrintendeva a questi rapporti era nientemeno che il Commissario di Pubblica Sicurezza competente al quale, in caso di licenziamento e nell'attesa che il disoccupato avesse trovato un nuovo lavoro, bisognava riconsegnare il libretto; doveva provvedere lui a che il nominativo del disoccupato, fintanto che rimaneva tale, fosse iscritto direttamente nelle liste dei…..sospetti.

Questa classificazione la dice lunga su com’era trattato il dipendente; le misere paghe correnti all’epoca, evidentemente era notorio, non gli avrebbero permesso di poter accantonare qualcosa per sopravvivere sia lui sia la sua famiglia, ad un periodo di disoccupazione; ciò lo avrebbe indotto a delinquere per vivere e allora, vivaddio, tanto valeva, per evitare inutili passaggi burocratici, iscrivendolo subito fra i possibili “sospetti”, indipendentemente dall’aver già commessa o meno, colpa. Prima o poi ci sarebbe cascato.

Il dubbio è che quella legge, più che disciplinare i rapporti di lavoro, servisse a controllare i poveri, schedandoli e localizzandoli. Non potendo la Polizia tenerli tutti sotto controllo, responsabilizzando i padroni, avrebbero provveduto loro a che tutto filasse liscio facendo valere, con la consueta durezza, coperta dalla più totale impunità, il loro potere; il dipendente, sapendo a quale alternativa sarebbe andato incontro non obbedendo, avrebbe certamente “filato liscio” o pagata cara la mancanza.

 

Albergo dei Poveri - Genova

Duecento anni prima, una necessità assai simile deve aver suggerito l’idea di costruire, in Genova, un gran ricovero entro il quale riunire tutti i poveri: l’Albergo dei Poveri, per l’appunto.

Fu scelto un sito appena fuori le mura, nella parte Nord Occidentale della Città, nella valletta della Carbonara, dove ancor oggi l’imponente edificio si trova. Non fecero però neppure a tempo ad iniziarlo, che una delle ricorrenti epidemie di peste ne interruppe i lavori per due anni.

La città, all’epoca in piena espansione e benessere, attirava ogni genìa di persone che, nell’abbondanza, potevano trovare come rimediare un pasto e, forse, anche una cena; fu quindi invasa da mendicanti, pezzenti e prostitute. La cosa preoccupò sia la nobiltà sia il potere (all’epoca le due autorità coincidevano) di quel tanto che se ne presero cura o, meglio, si protessero riunendo appunto in quel palazzo-ricovero tutti i bisognosi; controllarne ogni entrata od uscita verificandone costantemente la presenza, fu assai più facile e meno dispendioso che girare per la città a prevenire i disordini.

Per le prostitute invece operava un apposito <Illustrissimo Magistrato >, un lenone istituzionale, che, fin dal 1418, badava a riscuotere la quota spettante alla Repubblica, ancor prima che fosse consumata la marchetta, ritirandola proprio all’ingresso di una bella fetta di città,  recintata e a loro riservata; con quei soldi, per anni, la Repubblica finanziò l’Opera della Porto e del Molo.

Da un altro libercolo d’epoca, si rileva che Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme, Duca di Savoia, di Genova, Principe di Piemonte, ecc. ecc., promulgò un < Regolamento e Tariffa pel servizio dei Facchini di Genova > dove, fatte salve le speciali disposizioni per i facchini da grano, da vino, e quelli del Ponte Spinola, del Ponte Reale e del Ponte Legna (in sostanza le zone dove hanno sempre operato i “camalli”), si affermava che tutti i cittadini possono, se scelti, esercitare tale mestiere all’interno della Città e, fra questa e i Ponti (gli attuali moli). Nell’occasione erano equiparati ai genovesi i cittadini sardi quivi residenti, sino allora parzialmente emarginati, con l’avvertenza, all’Articolo 6, che < Niuno potrà far parte, ad un tempo, delle due categorie >. L’Articolo 4, ci fa capire come all’epoca il porto funzionasse <I facchini delle suddette categorie (quelle dell’elenco sopra riportate) non potranno impedire ai negozianti di sbarcare le merci a quel Ponte che loro converrà…> Il monopolio, che questo articolo tendeva ad eliminare, invece lentamente strozzò il porto e, per oltre un secolo, condizionò l’attività portuale e, attraverso questo mal concepito cooperativismo, parte del benessere della Città; la politicizzazione poi, fece il resto.

 

Anticamente la corporazione dei portuali ha rappresentato per Genova un punto di forza ma, data l’importanza vitale per l’economia cittadina, poteva anche rappresentare un latente pericolo, specie in un’epoca in cui, XIV e XV secolo, le faide fra le potenti famiglie sovvertivano continuamente il potere nella città. Tradizionalmente, in porto, lavoravano i bergamaschi, forti e pacifici lavoratori che, non essendo genovesi, si sentivano estranei alle “beghe” locali; ma se si fossero schierati, avrebbero potuto sovvertire le sorti a favore di chi avessero difeso, determinando la sconfitta certa per l’avversario. Allora, per garantirne la neutralità senza perdere la loro preziosa e determinante presenza in porto, il Senato decretò che il posto di <caravana >, scaricatore, sarebbe stato appannaggio esclusivo dei cittadini bergamaschi; per poter essere però dichiarati tali, era indispensabile certificare di essere nati nella “Bergamasca”. Così avveniva che le madri incinte, se volevano garantire ai figli sicuri posti di lavoro, dovevano sobbarcarsi un estenuante viaggio per andarli a partorire nei territori d’origine, e, con gli attestati dimostranti che il figlio non era nato a Genova, rinunciavano a che ne divenisse cittadino compresi tutti i conseguenti diritti che quello status, comportava; in questo modo Genova si garantì la totale estraneità dei camalli, gente robusta e dalle mani pesanti, alla vita pubblica locale. Il dizionario Genovese–Italiano del Casaccia, alla voce “caravana” puntualizza: <Chiamavansi già da noi con tal nome alcuni individui, nativi di Bergamo, ammessi per la loro buona condotta e fedeltà a facchineggiare nel nostro Portofranco: oggidì furono sostituiti dai nostri>.Questo come gli altri Dizionari analoghi, editi pressoché contemporaneamente in tutta Italia sul finire dell‘800, li volle Casa Savoia, impegnata a far parlare italiano l’intera comunità nazionale; diede incarico ad eminenti professori locali affinché, in ogni Regione, ne pubblicassero uno che traducesse in italiano i termini del dialetto locale, ma non viceversa, perché l’idioma regionale fu ritenuto fonte d’incomprensioni e campanilistiche divisioni e, non invece un patrimonio culturale da conservare. Ecco perché esistono solo glossari che traducono in italiano i vari dialetti, ma non viceversa. Con lo stesso libercolo sopra accennato, s’istituì anche la figura del “Console”, quale rappresentante dei facchini ed eletto da ciascuna categoria; in oltre la città e il porto vengono suddivise in “zone” e si regolamenta il trasporto nell’ambito delle singole circoscrizioni o fra zona e zona, determinandone le tariffe. Stabilisce anche i pesi sopportabili ed i relativi compensi per retribuire il lavoro effettuato per scaricare le navi, comprese quelle in quarantena, regolando il conseguente sbarco e trasporto a terra delle derrate, prevedendo anche l’uso delle chiatte; si trattava di larghi, robusti barconi da affiancare alla nave e sulle quali scaricare direttamente la merce, da poi essere trainate sino ai moli e, all’occorrenza, coperte da teloni impermeabili, potevano trasformarsi in veri e propri magazzini galleggianti per un provvisorio stoccaggio. Stabiliva altresì le tariffe e la percorrenza in metri, in base alle quali variare le retribuzioni per il trasporto dal molo al magazzino e, giuntivi, le maggiorazioni da conteggiare a seconda del piano al quale la merce doveva essere issata a spalle. portata. Nelle <Disposizioni Generali e Particolari > determina che, come norma, il carico trasportabile, da ritenersi “usuale” per ogni facchino, è di cento chilogrammi; in fine puntualizza che è data facoltà ai negozianti di inserire, nella squadra dei facchini, anche uno di loro fiducia.Tutto quanto sopra fu sancito <Addì 15 Febbraio 1851, Visto d’Ordine di S.M.- Il Ministro Segretario di Stato per la Marina, Agricoltura e Commercio, Camillo Cavour>.

 

 

 

Medaglia commemorariva della Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie del Porto di Genova

 

La statua dedicata ai Caravana

 

La ragione di tal nome? Il vocabolo deriva dal persiano kairewan che significa, come in italiano il vocabolo carovana, compagnia di viaggiatori. E crediamo di essere nel vero ritenendo che quella parola orientale sia passata nella lingua italiana proprio attraverso Genova e i genovesi, considerate le altre non poche parole arabe, greche, e orientali in genere, del dialetto genovese.

 

Allora, per garantirne la neutralità senza perdere la loro preziosa e determinante presenza in porto, il Senato decretò che il posto di <caravana >, scaricatore, sarebbe stato appannaggio esclusivo dei cittadini bergamaschi; per poter essere però dichiarati tali, era indispensabile certificare di essere nati nella “Bergamasca”. Così avveniva che le madri incinte, se volevano garantire ai figli sicuri posti di lavoro, dovevano sobbarcarsi un estenuante viaggio per andarli a partorire nei territori d’origine, e, con gli attestati dimostranti che il figlio non era nato a Genova, rinunciavano a che ne divenisse cittadino compresi tutti i conseguenti diritti che quello status, comportava; in questo modo Genova si garantì la totale estraneità dei camalli, gente robusta e dalle mani pesanti, alla vita pubblica locale.

Il dizionario Genovese–Italiano del Casaccia, alla voce “caravana” puntualizza: <Chiamavansi già da noi con tal nome alcuni individui, nativi di Bergamo, ammessi per la loro buona condotta e fedeltà a facchineggiare nel nostro Portofranco: oggidì furono sostituiti dai nostri>.

 

 

 


Il Porto Vecchio a fine ‘800

Questo come gli altri Dizionari analoghi, editi pressoché contemporaneamente in tutta Italia sul finire dell‘800, li volle Casa Savoia, impegnata a far parlare italiano l’intera comunità nazionale; diede incarico ad eminenti professori locali affinché, in ogni Regione, ne pubblicassero uno che traducesse in italiano i termini del dialetto locale, ma non viceversa, perché l’idioma regionale fu ritenuto fonte d’incomprensioni e campanilistiche divisioni e, non invece un patrimonio culturale da conservare. Ecco perché esistono solo glossari che traducono in italiano i vari dialetti, ma non viceversa. Con lo stesso libercolo sopra accennato, s’istituì anche la figura del “Console”, quale rappresentante dei facchini ed eletto da ciascuna categoria; in oltre la città e il porto vengono suddivise in “zone” e si regolamenta il trasporto nell’ambito delle singole circoscrizioni o fra zona e zona, determinandone le tariffe. Stabilisce anche i pesi sopportabili ed i relativi compensi per retribuire il lavoro effettuato per scaricare le navi, comprese quelle in quarantena, regolando il conseguente sbarco e trasporto a terra delle derrate, prevedendo anche l’uso delle chiatte; si trattava di larghi, robusti barconi da affiancare alla nave e sulle quali scaricare direttamente la merce, da poi essere trainate sino ai moli e, all’occorrenza, coperte da teloni impermeabili, potevano trasformarsi in veri e propri magazzini galleggianti per un provvisorio stoccaggio. Stabiliva altresì le tariffe e la percorrenza in metri, in base alle quali variare le retribuzioni per il trasporto dal molo al magazzino e, giuntivi, le maggiorazioni da conteggiare a seconda del piano al quale la merce doveva essere issata a spalle, portata.

Nelle <Disposizioni Generali e Particolari > determina che, come norma, il carico trasportabile, da ritenersi “usuale” per ogni facchino, è di cento chilogrammi; in fine puntualizza che è data facoltà ai negozianti di inserire, nella squadra dei facchini, anche uno di loro fiducia.

 

Tutto quanto sopra fu sancito <Addì 15 Febbraio 1851, Visto d’Ordine di S.M.- Il Ministro Segretario di Stato per la Marina, Agricoltura e Commercio, Camillo Cavour >.

 

 

Renzo BAGNASCO

 

 

I CARAVANA

In diversi porti italiani a partire dal XIV secolo, i bergamaschi risultano inquadrati come facchini: a Pisa la maggior parte proviene da Urgnano mentre a Venezia l’importante Compagnia dei Bastagi operante alla Dogana del porto è formata esclusivamente da bergamaschi. Nella Genova medioevale tra le varie arti esercitate da stranieri si segnale per la sua rigorosa organizzazione interna e per i rilevanti compiti ad essa affidati, proprio la Compagnia dei Caravana, cioè i facchini della Dogana, detti in genovese camalli. Quasi tutti di origine lombarda fino al XVI secolo, dal 1576 si sancisce rigidamente l’obbligo e l’esclusività della provenienza bergamasca. I cognomi dei membri della Compagnia che vengono registrati nei documenti ufficiali sono infatti tutti di sicura origine bergamasca e tra le varie località di provenienza si segnalano soprattutto Brembilla, Dossena, Serina e Zogno in Val Brembana. Organizzata secondo i consueti rigidi canoni corporativi, la Compagnia dei Caravana mantiene sempre un ruolo egemone nell’ambito delle attività portuali genovesi fino al XIX secolo, quando la provenienza delle valli di Bergamo inizia a diventare più un’eccezione che una regola statutariamente sancita.

Nota del webmaster Carlo GATTI

Rapallo, 11 Luglio 2014

 

 


PROVERBI MARINARI Italiani e Genovesi

PROVERBI IN LINGUA ITALIANA

-Il sapere ha un piede in terra e l’altro in mare.

 

-Scienza, casa, virtù e mare molto fan l’uomo avanzare.

 

-Un uccello di mare ne val due di bosco.

 

-Chi va e torna, fa buon viaggio.

 

-Popolo marinaro, popolo libero.

 

-Chi va per il mondo impara a vivere.

 

-Tre cose fanno l’uomo accorto: lite, donne e porto.

 

-Chi ha passato il guado sa quanta acqua tiene.

 

-Piè di montagna e porto di mare fanno l’uomo profittare.

 

-Chi non s’avventura non ha ventura.

 

-Chi non sa pregare, vada in mare a navigare.

 

 

-Chi non va per mare, Dio non sa pregare.

 

-Chi scappa ad una tempesta, ne scappa  cento.

 

-Il mare fa la fortuna ma non le fonti.

 

-Abbi fortuna e gettati in mare.

 

-Loda il mare ma tieniti la terra.

 

-Preparati al mare prima di entrarvi.

 

-Chi dice navigar dice disagio.

 

-Mare, fuoco e femmina tre male cose.

 

-Meglio chiamar gli osti in terra che i Santi in paradiso.

 

-Chi fa due volte naufragio, a torto accusa il mare.

 

-Meglio stare al palo che annegare.

 

-Acqua di mare non porta mai quiete.

-Chi non ha navigato non sa che sia male.

 

- La fine del corsaro è annegare.

 

-La bellezza, il fuoco e il mare fanno l’uom pericolare.

 

-Chi vuol viaggiare a stento, metta la prora al vento.

 

-Dal mare sale, dalla donna male.

 

-Se debbo annegare, voglio annegarmi in grande mare.

 

-In tempo di tempesta, ogni scoglio è porto.

 

-Chi sa navigare, va al fondo; chi non sa navigare, anche.

 

-Chi ha danari fa navi.

 

-Chi ha bevuto al mare può bere anche alla pozza.

 

-Chi è portato giù dall’acqua si abbranca ad ogni spino.

 

-Chi s’affoga si attaccherebbe ai rasoi.

 

-Chi casca in mare s’abbraccia anche al serpente.

 

-Chi scioglie le vele ad ogni vento, arriva spesso a porto di tormento.

 

-Vento potente, fotte la corrente.

 

-I temporali più grossi vengono all’improvviso.

 

-Quando si balla nella tempesta ci si dimentica dei temporali.

 

-Ben diremo e ben faremo: ma va la barca senza remo?

 

-Fama vola e la barca cammina.

 

-Vascello torto purché cammini dritto.

 

-Casa senza amministrazione, nave senza timone.

 

-Gran nave vuol grand’acqua.

 

-Nave senza timone va presto al fondo.

 

-Gran nave, gran pensiero.

 

-A nave rotta ogni vento è contrario.

 

-Non giudicar la nave stando a terra.

 

-In nave persa, tutti son piloti.

 

-Tre cose son facili a credere:uomo morto, donna gravida e nave rotta.

 

-Dove va la nave può ire il brigantino (infatti è più piccolo).

 

-A tal nave, tal battello.

 

-Un po’ di bene e un po’ di male tien la barca dritta.

 

-Dove può andare barca, non vada carro.

 

-Nave genovese, mercante fiorentino.

 

-Senza barca non si naviga.

 

-Per un peccatore perisce una nave.

 

-Chi non unge non vara.

 

-La bandiera copre…la mercanzia.

 

-Ogni nave fa acqua.

 

-Chi non rassetta il buchino, rassetterà il bucone.

 

-Chi s’è imbarcato con il diavolo ha da stare in sua compagnia.

 

-Tira più un pel di femmina che gomena di nave.

 

-Chi mette pece nella barca degli altri, perde pece e barca.

 

-Barca luccicante non guadagna.

 

-A barca sfondata non basta la sassola.

 

-Quando la barca và, qualunque coglione la sa guidare.

 

-Barca ormeggiata non fa strada.

 

-A barca rotta, ogni vento ben venga.

 

-Barca rotta, conti fatti.

 

-Dai e dai la barca arriva all’ormeggio.

 

-Bastimento non sta senza zavorra.

 

-Argomento al nocchier son le procelle.

 

-Il buon nocchiero muta vela ma non tramontana.

 

-Ognuno sa navigare quando è buon vento.

 

-Chi ha buon tempo navighi e chi ha denaro, fabbrichi.

 

-Vento in poppa, mezzo porto.

 

-Vento in poppa, vele al largo.

 

-Secondo il vento, la vela.

 

-Chi non s’aiuta, s’annega.

 

-Molti piloti, barca a traverso.

 

-Chi mal naviga, mal arriva.

 

 

-Chi naviga contro vento, conviene stia sulle volte.

 

-Tutti vogano alla galeotta (tirando a sé).

 

-Altro è vogare, altro arrivare.

 

-Il mondo è fatto a tondo; chi non sa navigare va a fondo.

 

-E’ un cattivo andar contro corrente.

 

-Gran laguna fa buon porto.

 

-Più vale un remo che sia indietro che dieci che vanno avanti(basta uno contrario per far saltare un affare).

 

-In tempo di burrasca, ogni tavola basta.

 

-Isola fa porto.

 

-L’arte del marinaio morire in mare; l’arte del mercante, fallire.

 

-Il buon marinaio si conosce al maltempo.

 

-O polli o grilli; o principe o marinaio.

 

-Barca rotta, marinaio a spasso.

 

-Promesse di marinai e incontro d’assassini costano sempre quattrini.

 

-“Montagnini” e gente acquatica, amicizie e poca pratica.

 

-Giuramenti d’amore, giuramenti da marinaio.

 

-I marinai son come la luna; in tutti i paesi ce n’han una.

 

-L’amor di marinaio non dura un’ora; dove va lui, s’innamora.

 

-Chi perde in mare, perde in terra.

 

-Il mondo è come il mare; vi affoga chi non sa nuotare.

 

-Chi teme acqua e vento, non si metta per mare.

 

-Il mare è il facchino della terra.

 

-Chi sa nuotare non se lo scorda mai.

 

-Come ogni acqua vien dal mare, così ogni acqua torna al mare.

 

-A togliere senza mai mettere, si seccherebbe il mare.

 

-Chi vuol prendere a mattonate il mare, perde tempo e mattoni.

 

-Chi teme acqua e vento non si metta in mare.

 

 

-Chi lo smidollato mandi al mare non aspetti il suo tornare.

 

-Chi casca in mare e non si     bagna, paga la pena.

 

-Naviglie ad acqua, febbre bella e fatta.

 

-Per mare non ci stanno le taverne.

 

-Merita di bere il mare a capo chino chi, con l’acqua, rovina il vino.

 

-Né moglie, né acqua, né sale a chi non te ne chiede non glie ne dare.

 

-Onda che si piega, si riversa.

 

-In cento anni e cento mesi, il mare si riprende quello che gli vien tolto.

 

-Chi dorme non piglia pesci.

 

-Invan si pesca se l’amo non ha l’esca.

 

-Dal mar salato nasce il pesce fresco.

 

-Un pesce in man vale più che uno in mare.

 

-Meglio padrone di una barchetta che garzone di nave.

 

-Pesce cotto e carne cruda.

 

-Carne giovane e pesce vecchio.

 

-Pesce in mare e carne in terra.

 

-Tramontana torba e scirocco chiaro, tieniti all’erta o marinaio.

 

-Vento a libeccio; ne pane ne neccio (castagnaccio toscano)

 

-Levante chiaro e tramontana scura, buttati in mare e non aver paura.

 

-Nuvole grosse, vento a mucchi.

 

-Dal mare le “pecorelle” annunzian le procelle.

 

-Pallidezza del nocchiero, di burrasca segno vero.

 

-Arco in mare, buon tempo vuol fare.

 

-Nave senza timone va presto a fondo.

 

-Barca senza timone non può tenere la rotta.

 

-Chi dorme non piglia pesci.

 

-Chi non ha fortuna non vada a pescare.

 

PROVERBI LIGURI (liberamente tradotti)

- A barca ormai senza speranza, Dio trova un porto.

A barca disperâ Dio treuva porto.

- Acqua dal cielo, acciughe nella rete.

Aegua in çe anciùe in ta ræ.

- A Febbraio la vita del mare si risveglia.

A Frevà primmaveja in mâ.

- Affinché sia bel tempo; scirocco a mezzodì e a sera ponentino.

Pe ese tempö fin: sciöco a mezzogiorno e a sèja ponentin.

- A nave in avaria, ogni vento è contrario.

A nave rotta, ogni vento l’è contraio.

- A seconda del vento, fai vela.

A secondo do vento fanni e veje.

- Attrezzati prima di entrare in mare.

Preparite a-o mâ primma d’intraghe.

- Bandiera vecchia onore di Capitano

Bandëa vegia onô do Capitànio

- Barca carica regge il vento.

Barco carrigòu o reze ô vento.

- Calma piatta invernale, occhio marinaio che il tempo vuol cambiare.

Carma ciatta d’inverno stà all’euggio mainâ che u tempo o vue cangiâ.

- Carne al sole ma pesce all’ombra.

Carne a o sô e pescio a l’ombra.

- Cinque lire di meno ma liberi di mugugnare.

Cinque franchi de meno ma o mugugno.

- Cielo a “pani” se non piove oggi pioverà domani.

Çè a pan, se no ciêuve anchêu ciûve doman.

- Cielo a pagnotte, se non piove di giorno pioverà di notte.

Çè faeto a pagnotte, se no ciêuve au giorno ciêuve a nêutte.

- Cielo a pecorelle, acqua a catinelle.

Çè a pegoëtte, ægua a conchette.

- Chi annoda bene, facilmente snoda.

Chi ben liga, ben derliga.

- Chi è in mare naviga, chi è a terra giudica.

Chi l’è in mà naviga, chi l’è in taera giudica.

- Chi è padrone del mare è padrone della terra.

Chi l’è padron do mâ l’è padron da tæra.

- Chi ha del pesce vada subito ad esitàrlo.

Chi ha pescio, cammin-e.

- Chi impugna la barra, governa il timone.

Chi manezza a manoela, manezza o timon.

- Chi lavora mangia un’acciuga, chi non lavora, (ahimè), due.

Chi lâoa mangia un’anciôa chi no lâoa ne magia due.

- Chi naviga male, male arriva.

Chi mä naviga, mä arriva.

- Chi non ha mai navigato, non sa cosa sia il mare.

Chi no l’ha navegòu no sa cöse l’è o mâ.

- Chi non si dà da fare, annega.

Chi no s’aggiûtta nega.

- Chi orina o sputa sopravvento, se li ritrova addosso.

Chi piscia o spûa sorvevento o se piscia o spûa adosso.

- Chi orina contro vento si bagna le scarpe.

Chi piscia contro vento se bagna e scarpe.

- Chi spinge la barca in mare, un piede almeno ce l’ha ancora in terra.

Chi in mâ la barca abbriva,con un pè o sta in scia riva.

- Chi vuol passare per fesso, giudichi il tempo.

Chi veu passà per belinon, giudighe ô tempô.

- Chi orina contro vento si bagna le scarpe.

Chi piscia contro vento se bagna e scarpe.

- Chi sa navigare bene, solca qualunque mare.

Chi sa ben navegâ passa ogni mâ.

- Confondere il pene con un cordino.

Confonde o belin con a terragninn-a

- Con rete bucata è un brutto pescare.

Rae pertuzâ, grammo pescâ.

- Dal mare sale, dalla donna male (in dialetto mare e male hanno egual grafia)

Da-o mâ sâ, da donna mâ.

- Donna, cavallo e barca sono di chi li cavalca.

Donna, cavallo e barca son de chi e cavarca.

- Dopo il lampo segue il tuono.

Doppo o lampo ven o tron.

- Dopo il bel tempo viene il brutto.

Doppo u bello ven o brutto.

- Doppiato Portofino, moglie ti saluto: sono tornato scapolo.

Passòu ô Monte de Portofin te salùo maggè che son fantin.

- Due a comandare, barca sugli scogli.

Duì Capitanni, barco in tu schêuggi.

- Dove va la barca và Baciccia.

Dove va la barca, va Baciccia.

- E’ brutto navigare contro corrente.

L’è cattivo navegâ contro a corrente.

- E’ il marinaio che rovina il porto.

L’è o mainà che o ruinn-a o pôrto.

- E’ meglio essere padroni di una sassola che capitano di una nave.

L’è mëgio ëse padrön d’unn-a sàssoa che capitanino d’unn-a nave.

- Fare come lo sciocco che per andare a poppa girava l’albero di prua.

Fa comme o demöa che pè andà a poppa o giâva l’erbo de prua.

- Fuggi la tempesta a tutto timone.

Scappa ô mà groussô a fi de roa.

- Fuochi di Sant’Elmo in coperta preannunciano pioggia a lavare coperta e corridoi.

Sant’Ermo in cöverta o lava cöverta e corridô.

- Grande nave, grande pensiero.

Gran nave, gran pensciëo.

- Giornata di mare non può essere tassata (un tempo!)

Giornâ de mâ a no pue ëse tasciâ.

- Il mare è fatto di rotte.

O mâ o l’è faeto de sentè.

- Il marinaio deve saper fare di tutto.

Mainà no ghe ninte che o no sacce fa.

-  temporali più sono grossi e più si sfogano.

I tempörari ciù son grossi e ciù se sfogan

- Il vento gonfia le vele.

O vento o carega e veje.

- Il vento nasce a Voltri, si sposa a Cornigliano e finisce a Sampierdarena.

O vento nasce a Vôtri, o se sposa a Corniggen e se perde a Sampêaenn-a.

- In quarantena il marinaio….si annoia.

In quarantenn-à ö mainà ö sö menn-à.

- I pesci grossi stanno sul fondo.

I pesci grossi stan a-o fondo.

- Il buon marinaio si vede con il maltempo.

O mainà bôn ô se conosce con ô tempo grammo.

- Il mondo è tondo e chi non sa navigare va a fondo.

O mondo ô l’è riondo; chi no sa navegà va a-o fondo.

- Il marinaio è difficile da accontentare; quando è a bordo vorrebbe essere a casa e viceversa.

Mainà diffiçile da contentà; quando o lè a bordo ô vô ê a cà, quando ô l’è a cà ô vou êse in mà.

- Il mare (come la vita) ha le onde, prima t’innalza e poi ti …..nasconde.

O mà o ghà e onde, primma o tè mette in mostra e poi o t’asconde.

- Il mondo è come il mare, annega chi non sa nuotare.

O mondo o lé comme o mâ, nega chi no sa nuâ.

- Il tepore dei panni, mai recò danni.

O câdo di panni o n’ha mai portoû di danni.

- L’acqua del mare guarisce le piaghe.

L’aegua do mà a fa sann-à a carne inciagà.

- L’acqua va sempre nel punto più basso.

L’ægua và sempre in to ciù fondo.

- L’amore di un marinaio dura un’ora perché in ogni porto che và, s’innamora.

L’amô do mainâ o dûa ûnn’ôa perché in tutti i porti che o và o s’innamôa

- Lascia scendere l’acqua e salire il vento (non ti opporre al destino)

Lascià andà l’aegua inzù e o vento in sciù.

- La tramontana non inizia a soffiare se il vento di mare non la precede.

A tramontann-a a no s’addescia se o marin a no a remescia.

- Le mogli dei marinai non sono né vedove né maritate.

E mòggê di mainâ no son né vidue ne maiè.

- Loda il mare ma, se puoi, stai a casa.

Lôda o mâ ma stanni a câ.

-Luglio, mentre a terra si “batte” il grano in  mare si “batte” a vuoto.

Luggio battuggio.

- Luna coricata, marinaio allerta.

Lunn-a accöegâ mainâ in pê.

- Luna rossa o piove o vento.

Lûnna rossa o piscia o soffia

- Mare, fuoco e donna sono tre cose grame.

Mà, fêugo e donna son tre cose gramme

- Mare da tartarughe o pesci mola( tanto è piatto).

Mâ da tartarûghe o da moe.

- Mare (grosso) da ex voto.

Mâ da quadri.

- Marinaio, mai niente (mani bucate)

Mainâ, mai ninte.

- Marinaio non ti fidare dell’aumentare della marea, del controvento, della mezzaluna alta e di colei che ti lancia un’occhiata.

Mainà no te fià da marea ca mònta, do controvento, da lûnna accoegà e da quella che a te dà un’oggià.

- Meglio maiale che pesce

Mëgio porco che pescio.

- Meglio scandagliare tre volte che finire a secco

L’è megio sondà tre voutte che andà in secco

- Montagne chiare e marina scura, naviga sicuro.

Montagna ciaea e marinn-a scùa mettite a veja sensa puia.

- Mozzi, chierichetti e tamburini ( i più in vista) hanno poche speranze di salvarsi.

Mucciacci, ceighetti e tamburin de reggimento han poca speranse dae portà ô cù a salvamento.

- Nei mesi di grano maturo si pesca poco: negli altri và meglio.

Quande o gran o l’abbonda o pescio l’affonda; quande o gran o l’affonda o pescio abbonda.

- Nave vecchia rende all’armatore.

Nave vëgia, richessa de padron.

- Nebbia bassa buon tempo lascia.

Nebbia bassa bon tempo a lascia.

- Nella coda stanno gli aculei velenosi.

In ta côa ghe sta ô venin.

- Non c’è mai bonaccia senza tempesta.

No ghe mai bônassa sensa bôrrasca-

- Non c’è marinaio che non tema il mare.

No ghè mainà sensa puiaa du mà.

- Non c’è pesce senza lisca

No ghè pescio sensa resca.

- Non conta il viaggio, conta l’arrivo.

O no l’è o viagio che conta ma o porto.

- Non fare come Capitan Pesce che orinava in mare per farlo crescere.

No fâ comme Capitan Pesce che o pisciava in mâ pe fâlo cresce.

- Non giudicare una barca stando a terra.

No giudicà a barca stando in tæra.

- Non si può comprare due soldi di pesce grosso.

No se pêu accattâ due palanche de pescio grosso.

- Non si può scendere più in basso del pagliolo.

No se peò andà ciù sutta du paggiò.

- Non si vende il pesce prima di pescarlo.

No se vende o pescio ancon in mâ.

- Non t’imbarcare mai senza viveri se non vuoi morire di fame.

No te imbarcà sensa galletta se non ti vòu moui de famme.

- Non t’imbarcare senza gallette se non vuoi morire di fame.

No t’imbarcâ sensa beschêutto se ti no vê moî de famme.

- Non t’imbarcare senza la scorta dei viveri.

Non imbarcarte sensa pan.

- Non tuona mai senza poi piovere.

No tronn-a mai che no ciêuve.

- Nuvole rosse o piove o tira vento.

Nûvia rossa o che ciêuve o che buffa.

- Ormeggiare con due ancore a prua.

Ormezzo a barba de gatto.

- Pescatori da canna, uccellatori con il visco, traslocatori dei Cristi (colui che nelle processioni trasloca la grande croce da un portatore ad un altro): fresconi così non ne ho mai visto.

Pescoei da canna, caccioei da vischio, stramuei da Cristo: bellinoin coscì no n’ho mai visto.

- Più è violento il fortunale e prima finisce.

A burrasca ciù a l’ë cattiva e ciù a finïsce aspedïa.

- Più si va al largo e più profondo è il fondale.

Ciù se va foa e ciù ghe fondo.

- Poca gomena, poco marinaio.

Poca çimma, poco mainà.

- Promessa da marinaio: subito fatta ma mai rispettata.

Promissa dö mainà, fito faeta e mai ammiâ.

- Quando i gabbiani volano a terra, la burrasca è vicina.

Quando i ochin xeuan in tæra unn-a burriann-a a no l’è lontann-a.

- Quando il promontorio di Portofino è scuro, piove di sicuro.

Portofin scûo, ciêuve segûo.

- Quando l’acqua è arrivata al sedere, tutti imparano a nuotare.

Quande l’aegua all’arriva ou cù, tutti imparan a noà.

- Quando la barca affonda i topi scappano.

Quande a barca a va ä föndo i ratti scappan.

- Quando le nuvole vanno verso mare, prendi la zappa e vai a zappare; se verso la montagna, copriti con il sacco se non vuoi bagnarti.

Quando le nûvie van a-o mâ, piggia a sappa e va a sappà; quando e nûvie van a muntagna, piggia o saccun che l’ægua a te bagna.

- Quando piove e c’è il sole, le streghe fanno all’amore.

Quande ciêuve a luxe ô sô tutte e strie fan l’amô.

- San Pietro ne vuole uno con se.(Inizia la stagione dei bagni e gli inesperti affogano)

San Pê ne vêu un pel ê.

- Sant’Antonio, Sant’Antonio hai la barba d’oro se ci mandi il vento in poppa ma se ti dimentichi di noi, ce l’hai di stoppa.

Sant’Antonio Sant’Antonio, t’æ a barba d’öu se ti ne mandi o vento in poppa, ma se no ti t’arregordi de nöi, ti l’æ de stoppa.

- Sappi navigare secondo il vento se vuoi arrivare in porto salvo.

Sacci navegà secondo o vento se ti voe arrivà in porto a sarvamento.

- Santa Barbara e San Simone, salvaguardaci dal lampo e dal tuono.

Santa Barbara e San Scimu agguardin da o lampo e da-o trun.

- Scirocco estivo fa morire di sete

Sciöco de stae ô fa moi da sae.

- Se con i venti da mezzodì si formano i fuochi di Sant’Elmo sui pennoni, marinaio controlla le scotte.

Sant’Ermo a-o bu de verga con vento a-i mezzogiorni, mainâ attento a-a scotta.

- Se diviene scuro a tramontana, preparati alla tempesta.

Se lë negro a tramontann-a, preparite a buriann-a.

- Se dopo un po’ di maretta le nuvole lambiscono il monte come fossero fumo, sta per piovere.

Se doppo un po’ de böllezzûmme e nuvie rasan o monte comme u fumme,stà allegro mainâ che t’avanzi o lavaggio.

- Se vai alla guerra, dì una preghiera ma due se vai in mare.

Se ti vae in guaera dinne una preghiera, se ti vae in mà dinne due.

- Senza mozzo e granata di brugo, l’immondizia aumenta.

Sensa mucciaccio e sensa spassuia de brugu a rumenta all’aumenta.

- Senza remo non crei mulinelli.

Sensa remmo nö ghe remoin.

- Senza vino si può navigare, senza  il mugugno, no.

Sensa vin se naviga, sensa mugugno no.

- Se si sta ad osservare tutte le nuvole, non si parte più.

Chi dà a mente a tutte e nuvie, no se mette in viagio.

- Stelle brillanti ma senza nuvole avvertono che cambierà il tempo in peggio (non sarà miele).

Stelle che brillano sensa unn-a nuvia in çe, dixan a-o mainâ che o tempo non sa de amê.

- Se piove a Santa Bibiana, piove quaranta giorni e una settimana.

Se ciêuve a Santa Bibiann-a, ciêuve quaranta giorni e unn-a settimann-a-

- Se ciêuve a Santa Bibiann-a, ciêuve quaranta giorni e unn-a settimann-a-

Se piove a Santa Bibiana, piove quaranta giorni e una settimana.

- Se la barca affonda non è certamente colpa di chi ha salpato l’ancora.

Quando a barca a và a picco, no l’è corpa do sarpante.

- Sino a che al mare (mâ come “male”) non gli diranno bene, navigare non mi conviene.

Fin che a-o mâ no ghe dixan ben, navegâ no me conven.

- Sono tutti bravi a navigare con il tempo buono.

Tutti san navegà quande l’è tempo bon.

- Sole sdoppiato, neve e freddo.

Duî sôi, neuive e freido.

- Stelle molto luminose, cambia repentinamente il tempo.

Stelle grosse che fan cieu, cangia o tempo tutto a reo.

- Stelle molto appariscenti, cambia il tempo rapidamente.

Stelle grosse fan gran sciäto, cangia o tempo tutto a rèo.

- Su una nave alla deriva, tutti sono piloti.

In nave persa tutti son pilotti.

- Sul tardi abboccano i muggini.

In sciô tardi i mûsai toccan.

- Tempo, vento, padrone donna e fortuna, possono mutare come fa la luna.

Tempo, vento, padron, donna e fortunn-a se vortan e se regian comme fa a lunn-a.

- Tracciati la rotta e spiega le vele.

Tïte a rotta e allarga e veje.

- Tutto fa, diceva quello che orinava in mare.

Tûtto fa, dixeiva quello ch’o pisciava in mâ.

- Tira più un pelo di donna che l’argano d’una nave.

Tia ciù un peì de mussa che un argano d’en vapore.

- Una volta imparato a nuotare non si dimentica più.

Chi sa nuâ no se-o scordià.

- Uno tira su la pietra e l’altro si prende l’anguilla.

Un o tîa sciû a ciappa e l’atro o piggia l’anghilla.

- Un conto è vogare, altro arrivare.

Atro l’è vögâ, atro l’è arrivà.

- Un po’ di bene e un po’ di male…fanno andare la barca dritta.

Un pô de ben e un pô de mâ o ten a barca drita.

- Un pesce in mano è meglio di uno in mare.

Un pescio in man o l’è mëgio d’un pescio in mâ.

- Uomo di mare; oggi ricco, domani potrebbe questuare.

Ommo de mâ, ancheu ricco e doman a domandà.

- Val più un’oncia i pratica che una lira di scienza.

Vâ ciû unn’onsa de pratica che unn-a lîa de scienza.

- Vale più un “occhiata” che.. dieci “pagari”

Và de ciù una oëgià che dexe pagai.

- Vale più un “occhiata” che.. dieci “pagari”.

Và de ciù una oëgià che dexe pagai.

- Vomitare anche gli intestini per il mal di mare.

Caccià e bele da-o mâ de mâ.

- Voto di marinaio è presto dimenticato; basta che passi la tempesta e se ne scorda.

Voto da mainâ presto o se scorda, passâ a burriann-à ciù o no se ricorda.

A cura di Renzo Bagnasco

e del Webmaster Carlo Gatti

Rapallo, 11 luglio 2014

 

 

 


CANAL DU MIDI

CANAL DU MIDI

NAVIGANDO CON IL RE SOLE...

La cartina mostra i canali navigabili che collegano il Mediterraneo all’Atlantico: Canal du Midi (241 Km) - Canal de Garonne (193 km) - L’estuario della Garonna che collega Castets-en Dorthe a Bordeaux (57 km)

Il Canal du Midi Costruito sotto il regno di Luigi XIV, dal 1666 al 1681, fu considerato il più moderno progetto idraulico del mondo che aprì la strada alla rivoluzione industriale. Nel 1996 fu inserito nell'elenco dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO.

Il Canale della Garonna é certamente il meno celebre dell’asse Mediterraneo-Atlantico, ma la scoperta della sua storia e del patrimonio delle regioni che attraversa, merita il viaggio. La sua costruzione risale al 1860.

La navigazione sull’estuario de la Garonne verso Bordeaux é affascinante, ma soggetta a maggiori difficoltà nautiche (venti, correnti e onde di marea). Occorre esperienza, prudenza e rispetto delle regole prescritte dall’Autorità.

Dal Mediterraneo all’Atlantico

 

Realizzare il sogno di collegare l'Atlantico al Mediterraneo...

Sin dall'antichità era stato elaborato un gran numero di progetti volti allo scavo di un canale di collegamento dei due Mari, ma per realizzarlo ci volle la fortuita combinazione dell’unione di tre personaggi formidabili: il Re Sole Luigi XIV, il suo ministro delle finanze Colbert* ed un ingegnere caparbio come il Riquet**.

L’opera idraulica avrebbe risparmiato ai francesi la circumnavigazione della nemica Spagna con un risparmio di 3.000 Km (circa un mese di navigazione).

Inizialmente il canale fu utilizzato prevalentemente da chiatte a vela di piccole dimensioni, con alberi facilmente abbassabili, per il commercio delle granaglie e del vino Bordeaux verso la riviera francese e l’Italia ed ebbe un incremento strepitoso. La nuova via d’acqua fu sfruttata anche per scopi militari da imbarcazioni che trasportavano truppe e armi. Verso la metà del XVIII secolo , furono utilizzati anche i cavalli per rimorchiare battelli da carico fino all'avvento dei mezzi a vapore che iniziarono nel 1834.

Nel 183 8 fu registrato il passaggio di 273 navi, sia per trasporto di merci, sia di quello passeggeri, e il suo utilizzo continuò fino all'avvento delle ferrovie nel 1857 .

 

L’architetto di quest'opera riuscì a coniugare la sua grande funzione tecnica con il rispetto del paesaggio. Una prodezza tecnica e un'opera d'arte integrata  nella grande varietà dei paesaggi attraversati.

La rapida evoluzione tecnica dei trasporti terrestri, marittimi e aerei, non incise affatto sul traffico commerciale sul Canal du Midi che durò fino al 1980. In seguito, a causa della persistente siccità della fine degli anni ’80, iniziò a diminuire per cause naturali, cessando quasi del tutto.

La frequentazione del canale, iniziata negli anni sessanta del XX secolo, registrò il suo boom nel decennio 1980-1990. Tra i principali siti attraversati citiamo i più famosi per la loro storia, arte antica e moderna: Tolosa, Castelnaudary, Carcassonne, Trèbes, Béziers, Narbonne, Sète, Agde…

Il canale, aperto da marzo a novembre, oggi è una delle mete principali del turismo fluviale e della possibilità di praticare numerosi sport: canottaggio, pesca, ciclismo e, naturalmente escursioni su chiatte di lusso come l'Anjodi. Gli ultimi dati stimano una media annua di 100.000 turisti che l’attraversano da un mare all’altro.

Canal du Midi - Escursioni all’ombra dei platani

Lungo il canale che collega Sète - Tolouse a Bordeaux L'alzaia *** funge da pista pedonale e ciclabile e. Le biciclette possono essere noleggiate presso diverse stazioni lungo il Canal du Midi. Inizialmente il canale era arricchito da filari di platani maestosi su ogni lato. I 42.000 alberi, che risalgono al 1830, furono piantati per stabilizzare le banchine. Nel 2006 un’infezione fece appassire e successivamente morire gli alberi. Circa 2.500 vennero distrutti a metà del 2011, dopo di che l’Amministrazione decise che l’intera piantagione sarebbe stata distrutta e sostituita nel giro di 20 anni.

Inizialmente, i 42.000 platani che costeggiavano le Canal du Midi, erano stati piantati per ridurre il movimento franoso e stabilizzare le sponde del canale.

L'allineamento di questi alberi, posti a 7-8 metri di distanza l'uno dall'altro, crea ancora, dopo 350 anni, l'effetto di un colonnato, dando così luogo a un “magnifico monumento paesaggistico”. I platani filtrano la luce e proteggono i turisti-naviganti dalla calura estiva del Sud della Francia.

Il ponte-canale di Cesse costituisce tuttora un’autentica ed audace invenzione d’architettura idraulica. Fu costruito dagli ingegneri Riquet e Vauban tra il 1689 e 1690. Misura 64 metri di lunghezza e 20 d’altezza.

Fonsèranes a Beziers - Le nove chiuse a sinistra e l’ascensore d’acqua a destra.

Le famose “Nove chiuse di Fonserannes” alle porte di Bezieres

Lungo il percorso che porta a Bezieres oltre alle chiuse vinciane multiple di Fonsèranes, si passerà il ponte-canale sull’Orb e il tunnel di Malpas qui fotografato.

Il Ponte-canale sull’Orb fu costruito nel 1854 per risolvere il problema dell’attraversamento del fiume Orb, assai capriccioso per le forti escursioni in altezza delle sue acque che non consentono un livello medio adatto alla navigazione.

 

Le Canal du Midi nei pressi di Carcassonne

Ma chi fu il vero ideatore del progetto?

Nel 1662, la proposta di Pierre-Paul Riquet, alto funzionario della regione della Linguadoca, suscitò l'attenzione di Luigi XIV che vide in essa molte opportunità economiche e soprattutto militari. A questa enorme operazione finanziaria diede il proprio contributo il Colbert (Ministro delle Finanze).

 

Con l'editto reale dell'ottobre del 1666 si diede avvio alla costruzione del canale la cui apertura alla navigazione avverrà il 15 maggio del 1682. L’opera  fu resa possibile grazie all’impiego di ben 12.000 operai e ad una precisa e scrupolosa organizzazione del lavoro.

Un'opera d'arte eccezionale, una sfida tecnica

Da Toulouse a Carcassonne. La cartina mostra la posizione del Bacino di San Ferreol rispetto al Canal du Midi.

La diga ha una lunghezza di 780 m, un'altezza massima di 32 m e uno spessore-base di oltre 140 m. L'acqua può essere prelevata dal bacino tramite un tunnel a volta di pietra posto alla base della diga, pertanto il limo può essere rimosso dal fondale del bacino attraverso il tunnel. Quando il livello si trova alla sua massima capacità, l’invaso contiene circa 680.000 metri cubi di acqua.

Il bacino di Saint-Ferréol constituisce la risorsa principale per l’alimentazione del Canal du Midi. Si tratta in effetti del luogo in cui Pierre-Paul RIQUET decise, nel 1667, di posare la prima pietra di una diga gigantesca che doveva sbarrare la vallata del Laudot e trattenere una immensa quantità d’acqua: più di 4,5 milioni di metri cubi che l’architetto Vauban aumenterà, qualche anno più tardi, ad una capacità di 6,5 milioni di metri cubi.

Il Bacino de Saint-Ferréol e la diga costruita appositamente per fornire acqua al Canale navigabile du Midi, costituirono l’opera di ingegneria civile più importante d’Europa.

Originariamente, il lago artificiale doveva essere alimentato dal solo fiume Laudot, ma quando questo fu ritenuto insufficiente, P.P. Riquet fece convogliare altri emissari in un unico canale chiamato "rigole de la montagne". Questo flusso raccolse in seguito le acque dei fiumi Alzau, Vernassone, Lampillon, Lampy e Rieutort e li confluì nella galleria di Cammazes; 132 m di lunghezza e 2,7 metri di diametro che si collega al bacino. Il tunnel è stato costruito dall'ingegnere militare Marshall Sebastien Vauban nel 1686-1687.

Il lago si trova nei tre comuni di Vaudreuille (Haute-Garonne), Les Brunels (Aude) e Sorèze (Tarn) .

Bassin de St-Ferrol

L'opera fu inaugurata ufficialmente il 15 maggio 1681 con il nome di Canal Royal de Languedoc. Pierre-Paul Riquet finì in bancarotta per gli ingenti costi da lui sostenuti in prima persona dopo che le casse di Luigi XIV non poterono più fornire il sostegno necessario e morì nel 1680, pochi mesi prima dell'apertura del canale alla navigazione.

Ancora qualche dato:

Il Canal du Midi ha 103 chiuse che servono a superare un dislivello totale di 190 metri. Considerando anche i ponti, le dighe, e un tunnel, il canale è costituito complessivamente da 328 strutture. La via d'acqua è lunga 240 chilometri, larga anche 15-20 metri e profonda 2.

Una curiosità: l’opera fu costruita grazie al lavoro di centinaia di donne che portarono canestri pieni di terra nel vasto cantiere.

Il progetto del canale prevedeva anche la costruzione del primo tunnel mai realizzato per permettere il passaggio di un canale, il tunnel de Malpas , una galleria lunga 173 metri, all'interno di una collina nei pressi di Nissan-lez-Enserune. Questo tunnel è considerato un simbolo dell'ostinazione di Pierre-Paul Riquet contro le avversità.

Note:

*Jean-Baptiste Colbert (Reims, 29 agosto 1619 - Parigi, 6 settembre 1683) è stato un politico ed economista francese .

La sua opera fu diretta principalmente ad accrescere la ricchezza del Paese, incoraggiandone lo sviluppo industriale e coloniale. Modernizzò le finanze pubbliche francesi, salvandole dalla bancarott a e facendo raggiungere il pareggio al Bilancio dello Stato , ma la sua opera risanatrice fu gravemente ostacolata dalle enormi spese belliche di Luigi XIV . Nel 1669 ottenne dal re la creazione del Ministero della Marina , carica di cui fu il primo titolare e che fece di lui il padre della moderna marina francese. La politica di Colbert è considerata una delle più genuine interpretazioni del mercantilismo.

** Pierre-Paul Riquet (Bèzieres, 29 giugno 1609 - Tolosa, 4 ottobre 1680) è stato un ingegnere francese, responsabile della costruzione del Camal du Midi.

Sin da ragazzo Riquet era interessato soltanto alla matematica e alla scienza. All'età di 19 anni ha sposato Catherine de Milhau. Era «fermier général» (colòno generale) della «Languedoc-Roussilon» con la qualifica di appaltatore d'imposte, cioè era responsabile della raccolta e dell'amministrazione della gabella in Linguadoca . Riquet divenne facoltoso e gli fu concesso dal re di imporre le proprie tasse. Ciò gli conferì una discreta ricchezza, che gli consentì di eseguire grandi progetti con competenza tecnica.

Riquet è l'ingegnere responsabile della costruzione del canale navigabile dalla lunghezza di 240 km che collega la costa meridionale della Francia alla baia di Biscay, una delle grandi opere ingegneristiche del XVII secolo. La logistica fu talmente immensa e complicata che gli antichi Romani ne discussero il progetto ma non lo realizzarono. Ciò nonostante re Luigi XIV fu propenso a realizzare il progetto, principalmente a causa dell'aumento delle spese e del pericolo per il trasporto marittimo delle merci attorno alla Spagna meridionale, dove i pirati erano comuni. La progettazione, il finanziamento e la costruzione del Canal du Midi assorbirono completamente Riquet dal 1665 in poi. Si presentarono numerosi problemi, compreso la navigazione intorno a molte colline e a un sistema per riempire il canale con l'acqua anche durante i mesi estivi. I miglioramenti nell'ingegneria delle chiuse e dighe del canale, e la creazione di un lago artificiale di 6 milioni di metri cubi permisero di risolverli. Il canale venne completato nel 1681, un anno dopo la morte di Riquet.

*** L'alzaia è la fune che serviva a tirare dalla riva di fiumi e canali chiatte e battelli controcorrente.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 14 Luglio 2014