COSTA ROMANTICA - Salvataggio Naufraghi Cubani

COSTA ROMANTICA

Salvataggio naufraghi cubani


Nel febbraio 1994 mi trovavo al comando della M/n Costa Romantica, (GRT 53.049,  Lunghezza mt. 220,6 – Larghezza mt. 30,8 – Velocita max. 20 nodi, propulsione Diesel, potenza 28,800 BHP, dotata di 2 X 1200 KW bow thursters, 1 X 1200 KW stern thruster, capacità max passeggeri 1690, equipaggio 579). La nave, in quel periodo, effettuava crociere di sette giorni nei Caraibi, con partenze da Miami.  Avevo seguito, da circa un anno, l’allestimento di questa bella nave che era, allora, l’ammiraglia della flotta Costa Crociere e della marina italiana. Era stata un’esperienza molto interessante e fui molto onorato di assumerne il comando. Sabato 5 febbraio, partiti da Grand Cayman, ultimo scalo della crociera, stavamo navigando verso Miami e ci trovavamo 40 miglia al traverso di Key West; lontanissima, dalla parte opposta, si intravedeva Cuba. Eravamo in acque internazionali. Ad un certo punto il primo ufficiale di guardia, mi informò di aver visto in lontananza, sul lato sinistro, una chiatta con molte  persone a bordo che stavano facendo segnali di luce. Erano circa le 18.00. Mi recai sul ponte di comando, osservai con il binocolo per rendermi conto della situazione e, senza esitare, assunsi il comando riducendo subito la velocità, avvertendo la sala macchina che accostavamo per una manovra di emergenza in mare. Chiamai sul ponte il comandante in seconda, gli ufficiali e il personale addetto alla manovra.  Furono avvertiti i passeggeri e, in pochi minuti, la “Costa Romantica” invertì la rotta andando incontro ai presunti naufraghi. Mentre ci avvicinavamo, avvertivamo sempre più chiaramente le urla e i segnali degli occupanti la zattera. Mandammo anche a tutte le altre navi e alla Coast Guard di Miami il messaggio che stavamo facendo un recupero di emergenza. Non ci furono problemi e ottenni l’autorizzazione anche dell’ immigrazione americana con la richiesta di inviare, subito dopo, i nominativi dei naufraghi recuperati.


 

 

Mi avvicinai lentamente, date le condizioni del mare molto mosso,  non feci mettere la nostra lancia in mare perché sarebbe stato poi molto difficoltoso riagganciarla, ma sfruttando l’ottima manovrabilità della nave, mi accostai lentamente alla zattera sino a sfiorarla,  azionai le macchine e le eliche di manovra, feci aprire il grande portellone centrale della nave dotato di rampa estendibile in senso orizzontale e manovrabile in senso verticale, fermai le macchine e i naufraghi, con l’aiuto del nostro personale, salirono a bordo. Erano in dieci: sette  uomini, due donne e un bambino di 12 anni; erano tutti giovani, il maggiore aveva 41 anni, gli altri un’età compresa tra i 20 e i 30. Erano cubani, tutti provvisti di documenti. La zattera di circa sei metri per tre metri aveva un telaio in ferro sul quale erano state compresse cassette di legno e polistirolo. Erano in mare da oltre  una settimana, allo stremo delle forze, disidratati, bagnati fradici, assetati e affamati. Avevano una cartina nautica che raffigurava la costa americana sulla quale era indicata la rotta da seguire, non avevano però fatto i conti con la corrente del Golfo. Quando li trovammo erano proprio sull’asse della corrente  con un motorino da 15 HP, senza benzina. La corrente li avrebbe portati lontano dalle coste verso il largo. Furono visitati dal nostro medico, vestiti e rifocillati. Riuscimmo  pure a sollevare e recuperare la zattera che poteva costituire un pericolo per la navigazione. Feci fare un annuncio ai passeggeri informandoli che tutti i naufraghi erano sani e salvi e notificai l’esito dell’operazione alle autorità di Miami e alla nostra Società.  Il giorno dopo, effettuato  il controllo dei loro passaporti da parte delle autorità di immigrazione, i naufraghi  furono assegnati ad una associazione che si sarebbe occupata della loro integrazione nella comunità cubana in America.

Capitano Superiore di Lungo Corso

Mario Terenzio PALOMBO

Rapallo, 10 Gennaio 2015

 

 


BOMBARDAMENTO DI BARI - Cronaca di un Disastro

BOMBARDAMENTO DI BARI

Cronaca di un Disastro

La storia del Bombardamento di Bari é un gravissimo episodio della Seconda guerra mondiale che appartiene, ormai da 72 anni, soltanto alla cronaca. La stessa Marina USA considera quella tragedia un grande disastro militare, secondo solo al bombardamento di Pearl Harbour! Tuttavia, molti segmenti di quel disastro sono tuttora segreti, quindi ignorati dalla GRANDE STORIA.

 

Dopo l’8 settembre 1943, i tedeschi si erano trasformati da alleati in nemici. L’Italia era tagliata in due. Solo il Sud era in mano agli Anglo-Americani. 

La terribile pioggia di bombe lanciate dalla Luftwaffe colpì la città di Bari e il suo porto, la sera del 2 dicembre 1943. Vi furono mille vittime tra militari, alleati e civili. Il Comando Alleato tenne segreta l'esplosione di una nave USA carica di YPRITE.

 

Qualcuno ai massimi vertici militari disse: «Morivano e non si sapeva perché»

Con l’arrivo degli Alleati, che lentamente risalgono la penisola, il porto di Bari è diventato il porto strategico più importante, sia per l’organizzazione logistica dell’VIII armata inglese sul fronte adriatico, sia come base per il rifornimento di carburante della XV Air Force. Il suo Comando si trova nell’aeroporto di Manfredonia, da cui si dirama una rete di oleodotti che veicola 600 mila litri di carburante alla settimana verso gli aeroporti di Foggia, Gioia del Colle e Grottaglie.  Da questi aeroporti partono gli aerei che bombardano non solo il Nord e Centro Italia ancora occupate dai tedeschi, ma anche i punti nevralgici della Germania. Comandante è il generale americano James Doolittle, l’artefice del bombardamento di Tokyo del 18 aprile 1942.

 

 

Il pomeriggio del 2 Dicembre, la città assiste ad un ampio  volo di ricognizione di un Me.210 della Luftwaffe, ad una quota di 23.000 piedi. Il suo compito è quello di fotografare l’area urbana, il porto e l’aeroporto.

 

All’esperto pilota tedesco, il tenente Werner Hahn, non sfugge di sicuro il molo di “Levante” brulicante di navi e merci ammassate in banchina, come neppure le numerose navi all’ancora in attesa di ormeggiare in banchina per le operazioni commerciali. Sembra impossibile, ma l’Autorità Portuale, ossia il Comando Inglese, ritiene improbabile un attacco della Luftwaffe e compie un drammatico errore di valutazione.

 

 

Gli aviatori tedeschi si preparano per l’attacco

 

 

L’ordine é arrivato. Si parte.

 

Il sole è tramontato da due ore, il cielo é sereno, il mare é calmo. Un insignificante spicchio di luna sovrasta il Salento. Il porto di Bari è illuminato a giorno come se la guerra fosse da un’altra parte. Eppure il centro radar ha registrato i reiterati voli di un ricognitore tedesco, anche nei giorni precedenti la fatale incursione.

 

Improvvisamente, alle ore 19,25, suonano le sirene dell’allarme aereo. Gli aerei si trovano 30 miglia a NE di Bari.

Gli aerei tedeschi in arrivo sono 105, quasi tutti Junkers Ju-88, i bimotori da bombardamento più diffusi e collaudati; alcuni sono partiti dall’aeroporto di Ronchi dei Legionari, vicino a Monfalcone, gli altri da due aeroporti in Grecia, vicino ad Atene. Alle 19.30 gli aerei provenienti dai Balcani, sono sulla città.

 

Il cielo di Bari viene coperto da milioni di piccole strisce di stagnola (Chaff), che mandano in tilt i sistemi radar. Immediatamente i fari della contraerea del porto e dell’aeroporto squarciano il buio della sera, creando effetti cromatici mentre vengono a contatto con la stagnola. L’avvicinarsi cupo e assordante dei bombardieri tedeschi, cattura lo sguardo incredulo della gente che cerca disperatamente un rifugio. Le prime bombe colpiscono l’area urbana, ma l’obiettivo sono le numerose navi presenti in rada e ormeggiate in banchina.

Tutte le luci si spengono, cadono le prime bombe ed é un susseguirsi di esplosioni. La scena infernale é illuminata dai candelotti appesi a piccoli paracadute che scendono lentamente rivelando il disegno del porto e le quaranta grandi navi da carico alla fonda. I piloti tedeschi puntano le loro armi sulle navi della classe “Liberty” cariche di munizioni; ma ce n’é una che ha un carico molto pericoloso, anzi letale, si tratta della John Harvey, nelle sue stive sono presenti 90 bombe all’Yprite, un gas venefico e letale che trovò il suo primo utilizzo bellico sui campi di battaglia della Grande Guerra 1914-18.

Il nome di questa unità USA sarà per sempre legato all’unico episodio di guerra chimica della seconda guerra mondiale; un disastro le cui conseguenze si faranno sentire per più di mezzo secolo.

 

 

La contraerea posta a difesa dell’area portuale è presente in modo massiccio e si difende penetrando il cielo con i suoi 37mm traccianti. Questi proiettili, sviluppano lunghe linee colorate grazie ad una carica di magnesio inserita nel codolo della granata. Presto si delinea nel cielo una rete colorata che nulla può fare contro l’immane potenza di fuoco della Luftwaffe.

 

Alcune bombe centrano le navi sulle quali si sviluppano incendi che producono fiamme e volate di fumo nero a tutte le altezze. Altre cadono in mare sollevando colonne d’acqua biancastre che ricadono fragorose creando onde rapide e violente che strappano i cavi delle navi attraccate.

 

Il bombardamento é molto preciso, si direbbe chirurgico! Per fortuna, in soccorso della città portuale ormai disperata e agonizzante, si muove un VENTO DIVINO, credo sia difficile definirlo in altro modo. Questo imprevisto ALLEATO, all’improvviso, cambia direzione e spinge il fuoco, le fiamme e i fumi tossici verso il mare, mentre i bombardamenti non hanno ancora raggiunto la loro massima intensità. I quartieri dell’angiporto sono già impregnati di aria inquinata dagli incendi e, man mano che il bombardamento s’intensifica, le esplosioni si susseguono a velocità e a cadenza costante, come se fossero telecomandate a intervalli regolari. Alcune navi avvolte dal fumo si abbattono su un fianco e spargono nafta in mare che subito prende fuoco e si spande nell’area portuale, dove lance, zattere, salvagenti, legni informi e suppellettili galleggiano sostenendo naufraghi e corpi privi di vita.

 

Il “sacro vento” aumenta d’intensità e spinge sempre più lontano le nuvole tossiche dal centro abitato. Alcune navi cariche di ordigni esplodono insieme agli equipaggi tuonando per molte miglia di distanza.

 

In questa foto la JOHN HARVEY - La nave USA tipo Liberty, responsabile di una strage che ebbe lunghe ripercussioni sulla salute di tanta gente per i successivi 50 anni.

Alle 19,50 una bomba tra le tante colpisce l’obiettivo più pericoloso in quel momento: la liberty John Harvey, arrivata nel pomeriggio. Nelle sue stive sono stipate 2000 bombe M47A1 all’Azoiprite, dal peso di 45 chili ciascuna, per un totale di 91 tonnellate di Yprite utilizzato per la guerra chimica. Il gas denominato anche mustard per il suo colore simile alla mostarda era proibito dal trattato di Ginevra. La nave esplode e molti dei suoi numerosi ordigni sono proiettati in alto e scoppiano innescati dell’enorme temperatura. Il potente aggressivo chimico precipita inquinando le acque portuali.

 

In questa foto si nota l’effetto del VENTO DELLA PROVVIDENZA che spinge i venefici fumi verso il mare salvando la città da un destino dalle dimensioni catastrofiche.

 

Le bombe all’Yprite che non scoppiano a bordo, si squarciano depositando il prodotto tossico sul fondale del porto. Il gas “mustard” si miscela alla nafta incendiata, il fumo prodotto diventa un potentissimo veleno. Si disse che queste bombe dovevano essere utilizzate per contrastare un’eventuale attacco chimico tedesco.


 

Quel “velo mortale” che si forma sulla superficie delle acque avvelenate del porto, ustiona la pelle dei naufraghi avvelenando i loro polmoni. Degli 800 militari che vengono ricoverati e curati in modo superficiale al Policlinico gestito dal Comando Neozelandese per ustioni e ferite, ben 617 risultano intossicati dall'Yprite, ma i medici ignorano la causa per molti giorni. Per la stessa ragione, muoiono 250 civili. L'ultima vittima morirà un mese dopo il bombardamento, tra atroci dolori.

 

Alle 23 le sirene danno il cessato allarme.

Si contano le navi distrutte: 28

5 statunitensi: John Bascom - John Harvey - John L.- Joseph Wheeler -Samuel J.Tiden – John L.Motley.

 

5 inglesi: Devon Coast – Fort Athabaska – Fort Lajoie – Lars Kruse - Testbank

 

3 norvegesi: Bollsta - 1920 – Norlom -

 

11 italiane: Ardito – Cassala – Corfù – Frosinone – Genepesca II – Goggiam – Inaffondabile – Luciano Orlando – MB 10 – Porto Pisano – Volodda - Barletta

 

2 polacche: Puk - Lwòw

 

1 Francese: Aube

 

Non meno di quarantamila le tonnellate di materiale perduto.

 

TESTIMONIANZE

Le sofferenze e gli effetti del gas vengono raccontati dai superstiti,  gli americani cercano invece di mettere tutto sotto silenzio. Non vogliono che si sappia del carico di armi vietate dalla convenzione di Ginevra.

 

“Le navi, specie quelle che erano lungo il molo foraneo di levante“ - scriverà Augusto Carbonara, che era in città e vide scardinata dal bombardamento la finestra della sua camera da letto, “furono sorprese d’infilata dalle bombe tedesche. Erano tanto vicine che le bombe cadute in acqua furono molto poche. Alcune navi bruciavano, altre affondavano, altre, incendiate, rotti gli ormeggi, andavano alla deriva, avvicinandosi alle navi non colpite. Le navi che nella stiva trasportavano esplosivi dapprima si incendiarono e poi finirono per deflagrare e colpire tutto il porto e anche molte case della città vecchia. I vetri delle abitazioni di mezza Bari andarono in frantumi”.

La sorpresa dell’attacco e l’ignoranza del carico presente sulla Harvey causano i danni più gravi. La maggior parte dei marinai è in franchigia. Cinema e teatri - il Piccinini, il Petruzzelli, l’Oriente, il Margherita, il Kursaal - sono aperti e pieni di inglesi e americani; al Margherita, ribattezzato Garrison Theatre, si proietta “Springtime in the rockies”, con Betty Grable e John Payne. I militari più alti in grado si trovano al vicino Barion, trasformato in Circolo Ufficiali.

 

Gli italiani no. “Al momento dell’attacco, dal comandante agli ufficiali, ai marinai” - racconterà Oberdan Fraddosio, che quel giorno era l’ufficiale di guardia - “eravamo tutti in Capitaneria o sul posto di manovra delle ostruzioni retali alla testata del molo foraneo di levante. Non esistevano rifugi antiaerei. Non esistevano mezzi di protezione personale che non fossero vecchie maschere antigas inutilizzabili e inutilizzate. Perfino gli elmetti erano in numero inadeguato. Tutti rimasero ai loro posti fino alla fine dell’incursione”.

Il porto, come altre basi navali, ha sull’imboccatura una rete che viene aperta parzialmente per il passaggio di una nave. “Il Comandante” - racconterà ancora Fraddosio - “mi ordinò di eseguire una ricognizione nel bacino portuale portandomi fino alle ostruzioni. Nel percorrere le acque del bacino passammo molto vicini a navi che bruciavano e sulle quali esplodevano ancora le cariche dei cannoncini e delle mitragliere. Dovevamo tenerci sopravvento per evitare di essere avvolti dal fumo denso e acre degli incendi”. Quello che sembra fumo non è soltanto il fumo degli incendi; è anche il vapore dell’iprite”.

“Tra le navi” - racconterà ancora Augusto Carbonara - “fu colpita e incendiata anche la John Harvey, quella che, con altro materiale esplosivo, trasportava le cento tonnellate di bombe con l’iprite. I marinai rimasti a bordo tentarono con ogni mezzo di domare il fuoco, ma inutilmente, e dopo mezz’ora l’incendio si propagò alla stiva. Non ci volle molto che la nave saltasse in aria con tutto il suo carico e tutti gli uomini, compresi quei pochi che conoscevano la verità sul carico. Da quel momento cominciò l’inferno”.

 

La maledetta Mustard” - dirà ancora Carbonara - “si mescolò alla nafta venuta fuori dalle petroliere affondate e formò un velo mortale su tutta la superficie del porto. Coloro che dalle altre navi si lanciavano in acqua furono ben presto zuppi della maleodorante sostanza. I vapori dell’iprite si spargevano intanto su tutto il porto; bruciavano la pelle e intossicavano i polmoni dei sopravvissuti”.

All’ospedale neozelandese - scriverà Carbonara - “cominciarono ad arrivare i primi feriti. Molti, più che colpiti dalle esplosioni, erano provati dall’effetto del gas vescicante. Ma non si sapeva che fosse stato il gas a provocare tali effetti, perché, sul momento, nessuno lo intuì. Non vi erano vestiti di ricambio e pertanto non fu possibile cambiare d’abito i soldati che erano caduti nelle acque del porto. Chi non poté cambiarsi di sua iniziativa rimase quindi con gli abiti zuppi d’iprite, che non solo agì sulla pelle, ma fu assunta attraverso le vie respiratorie.

 

I primi inspiegabili collassi si ebbero dopo cinque o sei ore dalla contaminazione. Dopo, seguirono le prime morti, quasi improvvise, di gente che qualche minuto prima sembrava stesse per riprendersi. Tutti avevano la pelle piena di vesciche. Sulle ascelle, l’inguine e i genitali le pelle si staccava come avviene per le ustioni più gravi”.

Il giorno dopo, alcuni medici cominciano a intuire qualcosa. Un capitano della sanità si reca dalle Autorità Alleate per chiedere l’esatto contenuto delle navi colpite. Si telegrafa alle Autorità dei porti USA da cui le navi erano partite, ma nessuno dà o vuole dare una spiegazione; e anche in futuro la risposta non arriverà mai. Quante le vittime? Sarà impossibile calcolarne il numero; sicuramente intorno a un migliaio tra civili e militari. Oltre ai morti per le bombe e per i crolli, oltre ottocento militari sono ricoverati per ustioni o ferite; di essi 617 a causa dell’iprite. A Bari ne moriranno 84 e molti in altri ospedali italiani sia, ma anche in Africa del nord e negli Stati Uniti dove verranno trasportati.

 

I civili sono almeno 250. Nella città vecchia sono crollate alcune vecchie case e una di esse, non ricostruita, creerà una piazzetta al fianco della sacrestia della cattedrale. Nella parte nuova della città crollano tre edifici; due tra via Andrea e via Roberto, vicino alla chiesa di San Ferdinando, un terzo in via Crisanzio nei pressi della manifattura dei tabacchi.

 

Ma se il bombardamento” - racconta Paolo de Palma, un altro testimone della tragedia di Bari - “non si trasformò in un vero e proprio massacro per i cittadini baresi lo si deve al vento che si mise a spirare verso levante, evitando così un pericolo devastante. Forse fu San Nicola che volle ancora una volta tutelare la sua città”.

 

Su esplicite pressioni di Winston Churchill, verrà scritto: ”Morti a seguito di ustioni dovute ad azione nemica. Il porto di Bari verrà chiuso per tre settimane”.

 

Per la gravità del disastro, quello di Bari è conosciuto come il peggior disastro navale della seconda guerra mondiale dopo l’attacco di Pearl Harbor in cui le navi demolite furono parimenti 17.

 

Molti interrogativi rimangono ancora senza risposta.

 

Chi ha studiato a fondo il bombardamento di Bari si chiede:

 

- “I tedeschi sapevano del carico presente sulla Harvey?”

 

- “Il bombardamento fu davvero una casuale operazione pianificata contro un porto in mano nemica, oppure essi conoscevano i segreti che si trovavano al suo interno e la tragedia che ne sarebbe scaturita?

 

- “I cieli del Mediterraneo ed in particolare quelli dell'Italia del sud erano a quel tempo dominio incontrastato dell'aviazione Alleata, la quale poteva schierare quasi 3000 velivoli, mentre l'Asse poteva a stento schierarne 500. Com’é possibile che una forza di 105 bombardieri non sia stata intercettata da alcun caccia dell'USAAF o della RAF? Né dai radar che pure avvistarono più volte un ricognitore Me.210 volare sulla città e sul porto?”

 

- Dal relitto della USS John Harvey siano state recuperate molte bombe d’aereo inesplose, ognuna delle quali contiene 30 Kg di Iprite, C’é chi sospetta che siano state affondate nel basso Adriatico e che non siano mai più state recuperate.

 

Career (USA)

Name:

SS John Harvey

Builder:

North Carolina Shipbuilding Company-Wilmington

Yard number:

56

Way number:

2

Laid down:

6 December 1942

Launched:

9 January 1943

Completed

19 January 1943

Fate:

Bombed in Bari, 1943. Scrapped 1948.

CARATTERISTICHE:

Class & type:

Type EC2-S-C1 Liberty ship

Displacement:

14,245 long tons (14,474 t)

Length:

441 ft 6 in (134.57 m) o/a

417 ft 9 in (127.33 m) p/p

427 ft (130 m)w/l

Beam:

57 ft (17 m)[1]

Draft:

27 ft 9 in (8.46 m)

Propulsion:

Two oil-fired boilers-Triple expansion steam E.

2,500 hp (1,900 kW)

Single screw

Speed:

11 Knots  (20 km/h; 13 mph)

Range:

20,000 nmi (37,000 km; 23,000 mi)

Capacity:

10,856 t (10,685 long tons) (DWT)

Crew:

81

Armament:

Stern-mounted 4 in (100 mm) deck gun  for use against surfaced submarines, variety of   aircraft guns

In seguito alle tragiche conseguenze del bombardamento, Bari fu la prima città da cui partirono gli studi sugli effetti delle bombe chimiche sulle persone.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 14 Gennaio 2014

 

COMMENTO

Leggendo il saggio sul Bombardamento di Bari mi tornano in mente alcuni ricordi di quando avevo 6/7 anni. Finita la guerra ci eravamo trasferiti tutti in un paesino sul mare, Santo Spirito,  a pochi chilometri da Bari. Ricordo che a quel tempo le spiagge e le campagne erano piene di proiettili, spaghetti di ballistite ed altri materiali bellici abbandonati. Con i miei fratelli e altri compagni di scuola andavamo a raccogliere questi pericolosi reperti e poi ci divertivamo a confezionare dei razzi che una volta accesi partivano verso l'alto come dei piccoli missili. Ogni tanto, purtroppo, arrivavano notizie di agricoltori che erano “saltati in aria” mentre aravano i campi a causa di esplosioni innescate da mozziconi di sigarette gettati inavvertitamente a terra. Anche se ero ancor più piccolo, ricordo che durante la guerra abitavamo a Masnago, vicino a Varese perchè mio padre era ufficiale di cavalleria ed era di stanza a Varese. Quando lui non c'era, gli prendevamo i proiettili di scorta della sua pistola di ordinanza e ci divertivamo a metterli sulle rotaie del tram e sentire i botti che facevano quando scoppiavano perchè schiacciati dalle ruote. Purtroppo a quei tempi non c'erano i pc, la tv e per divertirci e passare il tempo dovevamo pur inventarci qualcosa. Beata incoscienza!!!

 

PINO SORIO

 

 


LE PRIME NAVI DELLA STORIA FURONO BATTEZZATE SUL NILO

LE PRIME NAVI DELL STORIA FURONO BATTEZZATE SUL NILO

Il Nilo veniva considerato come una via tra la vita, la morte e l'oltretomba. L'Est era visto come un luogo di nascita e crescita, l'ovest come il luogo della morte, così come il dio Ra, il dio del sole, che nasceva, moriva, e risorgeva ogni volta che attraversava il cielo. Tutte le tombe vennero situate pertanto ad ovest del Nilo, da cui partire per l’oltretomba, ossia la meta finale per tutti.

 

Lo storico greco Erodoto scrisse che l’Egitto fu il dono del Nilo, e in un certo senso può essere vero. Senza le acque del fiume Nilo per l'irrigazione, la civiltà egiziana sarebbe stata probabilmente di breve durata. Il fiume fornì il limo e gli elementi per rendere vigorosa una civiltà, e ha contribuito molto alla sua durata che si snodò per 3.000 anni.

 

In origine l’Egitto era chiamato dai suoi abitanti: “To-Mera” (la terra del triangolo “Mr”). Questo simbolo geometrico era ritenuto sacro, perchè era, ed è ancora l’emblema delle nostre scienze matematiche e fra le sue applicazioni c’é la mappatura del cosmo e la sua proiezione sulla Terra: a certi astri corrispondono, ad esempio, le piramidi costruite appunto in Egitto.

 

 

 

 

Dal triangolo “mr” si possono ricavare i valori trigonometrici di tutti gli angoli da 1 a 360 gradi, perchè 36° sono 2/5 di un angolo retto e 1/10 di un’intera circonferenza. Oltre che essere un utile strumento di misurazione e rilevazione, esprimeva anche la sezione aurea, che è un rapporto fra numeri o dimensioni diversi, ed è espressa matematicamente dalla famosa serie di Fibonacci dove partendo da uno e sommando i numeri successivi si ottiene 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89 eccetera e dove il rapporto fra due di questi consecutivi numeri dà sempre il risultato di 1,618. E’ per questo che si usa il termine “Intelligenza Divina”, perchè sembra che la natura sia stata creata da un Grande Architetto e Matematico.

 

 

“Visto dall’alto l’Egitto, entro i noti confini, si presentava quindi come un rettangolo molto allungato, simile ad una colonna, entro il quale, col Nilo e l’estuario, un meraviglioso fiore cresceva a rappresentare  l’Armonia e la bellezza dell’Universo. Fu così che, ad immortalare questi concetti e queste realtà per l’eternità originò l’idea della “COLONNA”. Le colonne ed i colonnati, con i loro splendidi capitelli, la parte ridondante fino al confine estremo di 31° 30′ Nord, da quei remoti tempi dei creatori della civiltà, hanno ornato ed ornano i monumenti di tutto il mondo, a testimoniare i sentimenti di omaggio e ammirazione per la perfezione del Cosmo e del suo Spirito Divino”.

 

 

Questa premessa di carattere scientifico ci fa capire in parte, quanto ancora oggi – specialmente nel settore dell’arte navale – il mondo intero abbia un debito storico verso la civiltà antica egizia.

 

Gli egizi furono, infatti, i primi marinai della storia ed inventarono le navi per il trasporto fluviale. Dopo circa 2 millenni i romani inventarono le galere, navi robuste che montavano uno sperone per offendere meglio le navi nemiche. Questo tipo di navi continuò ad essere usato fino alla prima metà del '700.

 

 

 

NAVI EGIZIE ANTICHE

 

 

Seguono alcuni profili di navi egizie che mostrano lo sviluppo del disegno e della progettazione navale attraverso i secoli. (sito di riferimento: mitidelmare.it )

 

 

1) - Nave egizia del Regno Antico - V Dinastia – 2550 a.C.

 

 

 

2) - Nave egizia del Regno Nuovo XVIII Dinastia – 1500 a.C.

 

 

3)- Nave egizia da cerimonia Anno 1800 a.C.

 

 

 

4) -Nave egizia in legno - Anno 1700 a.C.

 

 

 

 

 

 

Piramide di Cheope

 

LA BARCA SOLARE DI CHEOPE

 

 

La barca solare di Cheope vista di prora

 

 

La barca solare di Cheope, una delle imbarcazioni  più antiche del mondo, fu scoperta nel 1954  dagli archeologi egiziani Kamal El-Mallakh e Zaki Nour nella piana di Giza, in una fossa sul lato sud della Grande piramide.

 

 

 

La Barca Solare di Cheope vista di poppa. Si notano i due remi-timone

 

 

 

Barca Solare di Cheope, primo piano dei cinque remi della sezione prodiera, lato sinistro.

 

 

Barca Solare di Cheope. Sezione centrale e Cassero.

 

 

 

Barca Solare di Cheope. Il Cassero centrale visto da poppavia.

 

 

 

Barca Solare di Cheope. Parte della chiglia vista dal basso.

 

 

 

Serviva a condurre il faraone nell'oltretomba. Racchiusa in una camera ermeticamente sigillata, la barca era scomposta in 1224 pezzi, il cui legno si è conservato intatto per più di 4600 anni.

 

Gli elementi della barca furono trasportati in un vicino magazzino, dove venne intrapresa una grandiosa opera di restauro e di paziente  “rimontaggio” della nave che durò oltre vent'anni. Il risultato del lavoro fu una barca lunga oltre 43 metri, con cinque file di remi per lato, più due a poppa, con funzione di timone. Dal 1982 il grande e prezioso reperto è esposto in un museo progettato e creato appositamente dall'architetto italiano Franco Minissi che lo sistemò a fianco della Grande piramide di Cheope.

 

 

Per chi si accinge a visitare Giza, conosciuta al mondo perchè ospita le tre famose piramidi della IV dinastia, ecco come si presenta esternamente il Museo della Barca Solare di Cheope, racchiusa in una stravagante capsula spaziale, costruito nel 1982 dall’architetto italiano Franco Minissi. Il museo è stato collocato nello stesso sito in cui, nel 1954, venne alla luce un’imbarcazione tra le più antiche del mondo per opera di un’équipe di archeologi egiziani. L’imbarcazione, realizzata in cedro del Libano, misura 42 metri di lunghezza ed è dotata di cinque remi per lato. La ricostruzione ha permesso l’unione di ben 1200 pezzi in quattordici anni di lavoro. Il legno si è conservato intatto per oltre 4600 anni.

 

L’utilizzo pare sia stato quello di trasportare il corpo del faraone Cheope dalla sponda orientale a quella occidentale del Nilo, per meglio dire dal mondo dei vivi a quello dei morti. Alcuni segni sul legno lasciano intendere un uso in acqua prima del seppellimento. Tuttavia gli egittologi ancora non sono concordi sull’uso e soprattutto sul significato simbolico dello smontaggio e della tumulazione.

 

 

Barca Solare di Cheope. Una delle cinque Fosse rinvenute.

 

In totale, cinque fosse di "barca solare" sono state scoperte nei pressi della Grande Piramide di Cheope, e altre cinque vicino a quella di Chefren, ma soltanto la prima di esse fu ricostruita con tutti gli attrezzi nautici, remi, cime e cabina ed è esposta, come abbiamo già visto, nel museo che si trova a sud di Cheope (nella foto).

Interrogativi senza risposta

 

- Quale era la reale funzione di queste imbarcazioni?

 

Gli studiosi se lo chiedono dal giorno della loro scoperta, purtroppo inutilmente.

 

Nei rilievi dell'antico Egitto sono spesso raffigurate barche di quel tipo. In unatomba di Deir el Bersha è stato trovato un modello di barca che reca la riproduzione di una mummia in viaggio verso la sepoltura. Gli egittologi propendono nel credere che anche Khufu sia stato trasportato verso la tomba su un'imbarcazione funeraria simile (in effetti sembrerebbe che la barca sia stata usata in navigazione).

 

- Per quale motivo sarebbe stata sepolta a così poca distanza da un'altra barca dello stesso tipo rinvenuta nel 1984?

 

- Perché tagliarla in 1224 pezzi invece di seppellirla intera?

 

Nessuna risposta certa, se si considera che le “barche solari” sono presenti fin dalle prime Dinastie e si ritrovano anche nella IV; mancano, invece, completamente nella III (Huni), e nel primo sovrano della IV dinastia (Snefru).

 

 

Allo stato attuale delle conoscenze, legate alla casualità dei ritrovamenti archeologici, l'egittologia non è in grado di dare risposte certe.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 9 Gennaio 2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LA MIA GUERRA

LA MIA GUERRA

Cinque sensi per vivere una guerra da bambina. Freddo, umidità: così il tatto ha esplorato la guerra. Ricordo il freddo gelido dell’inverno del ’45 su a Ganna in provincia di Varese, dove eravamo sfollate la mamma e io, ospiti di una anziana zia nella sua casa di campagna. Casa senza riscaldamento naturalmente come si usava allora.. Certi giorni si toccarono punte di meno venticinque gradi e l’acqua gelava nei tubi, l’umidità della casa sigillava le porte, cosicché al mattino, per uscire, bisognava accendere un giornale e con questa fiaccola improvvisata sciogliere il ghiaccio, formatosi tra l’uscio e il pavimento, ma io non potevo uscire perché la neve era più alta di me e vi restavo intrappolata. A sera il letto gelido, dove mia madre si coricava prima di me per scaldarlo e poi chiamarmi stretta a lei, finché mi addormentavo intirizzita a felice, mentre lei si rialzava per finire i lavori di cucina. Al mattino lei si svegliava presto per andare a lavorare a Boarezzo, circa tre chilometri di salita, dove si era trasferita la direzione della Ducati di Bologna. Ogni sera, con una collega, scendeva a valle piena di geloni alle mani, ai piedi e persino alle ginocchia; tutto questo solo per vedermi, per non lasciarmi sola con la vecchia zia brontolona. Infatti tutti gli altri impiegati della Ducati erano ospitati nel Grande Albergo di Boarezzo.

Gesti d’amore in un tempo di odio, in cui l’umanità dà il meglio e il peggio di se stessa.

L’umidità. Parlo di umidore umano, quello del sudore, del sangue ma soprattutto quello delle lacrime. Spesso gli adulti famiglia mi  abbracciavano e piangevano. E queste loro lacrime, di cui non capivo l’origine, mi bagnavano le guance, il collo e istintivamente mi irrigidivo, quasi a staccarmi, ma poi intuivo che forse avevano bisogno di me. Ora penso che fosse perché i bambini rappresentano la vita, l’amore, il futuro: tutti valori che la guerra soffoca.

Il gusto: un anno di riso in bianco. Sembrava che la zia non trovasse altro da cucinare a Ganna. Almeno io ricordo così. All’olfatto si ricollegano i flashback degli incendi, magari lontani che appena intravedevo, con la testa nascosta sulla spalla di mia madre che fuggiva attraversando Milano nell’autunno del ’44.

Più piacevole il ricordo dell’odore appetitoso di salsicce, appese come festoni nella camera di mia nonna a Rapallo nel ’43 ed io stesa nel lettone, convalescente dell’itterizia come si diceva allora e si pensava causata dallo spavento per un bombardamento subito a Genova

Oggi sappiamo che fu un’epatite e lo spavento ha lasciato altre tracce profonde e nascoste.


I bombardamenti e l’udito. L’urlo della sirena, il sibilo delle bombe, il tonfo, lo scoppio, il crepitare degli incendi e delle mitragliatrici antiaeree e poi il silenzio e gli urli e i lamenti e i pianti.

La vista è l’ala nera dell’aereo che s’inclina, scende in picchiata, sembra entrare dalla finestra e mia madre mi getta sul letto, si butta sopra di me, mentre tutto sembra crollare, ma sono solo i calcinacci del soffitto per noi. E poi il grigio della polvere e del fumo. Rapallo sembra sparita, distrutta. Non si capisce dalla collina dove il bombardamento sia stato più crudele. Lo sapremo ben presto. Mentre il grigio si dirada salgono i pianti delle donne che accompagnano a casa una madre inebetita dal dolore.

Rapallo-1044 – così si presentava la chiesa dei SS.Gervasio e Protasio dopo il bombardamento del 28 luglio

Era in chiesa con la figlia, tutt’e due inginocchiate allo stesso confessionale, una da una parte, l’altra dall’altra. Cadde una bomba, seppellendo la figlia sotto le macerie, lasciando illesa lei, la madre.

Mia nonna quel giorno 28 luglio 1944 era come sempre alla cassa del suo bar sul lungomare. Non c’erano rifugi vicini e lei si appiattì contro il pilastro del locale, sotto al quadro di San Francesco, con la borsa dell’incasso stretta al seno.


De Havilland DH98 - Mosquito
Fu un Mosquito da caccia il primo velivolo inglese ad abbattere una V-1 sulla Manica, il 15 giugno.
Entro un mese, il bottino era già di 428 bombe volanti. 
Per logorare le difese avversarie, non fu poi trascurabile l'impiego d'una cinquantina di «Wooden Wonder» (meraviglia di legno) per notte, con il compito di volare e disturbare mezza Europa, sganciando saltuariamente qualche bomba.
A tale tattica fu interessata anche l'Italia Settentrionale, ad opera dei Mk.XVI del No.680 Squadron basati a Foggia, ma anche in Corsica.
L'isolato protagonista di quei voli fu denominato ben presto «Pippo, il ferroviere».

La borsa mia nonna non la dimenticava mai. Anche nelle notti serene, quando Pippetto o Pippo*, il pilota insonne, veniva a minacciare le nostre vite. Qualcuno mi strappava dal letto, ma non del tutto dal sonno e, nella confusione, sentivo mia nonna ripetere in milanese: “la bursa e i dané, la bursa e i dané” e poi via, con qualche coperta sui prati, sotto gli alberi di fico, tra i cui rami si intravedevano le  stelle. E mentre gli altri parlottavano, qualcuno apriva il termos con il caffè e in quell’aroma pacificamente mi riaddormentavo.

*La leggenda di Pippo.

“Spegni la luce che passa Pippo” era però una frase ripetuta da tutti, allora. A nulla sono valse le smentite delle due parti in guerra; né le ricostruzioni di autorevoli storici e giornalisti: Pippo passava, puntualmente, ogni notte. Del resto una leggenda per essere tale deve resistere ad ogni spiegazione, ad ogni tentativo di smentita. Nonostante non sia mai, o quasi mai, rintracciabile la sua origine, né il suo vero protagonista.

Nasce il mito di “Pippo”, così radicato che la propaganda fascista ritiene necessario intervenire per decretarne la morte: “Campane a morto per Pippo! La fine del molestatore volante”.

Nei confronti dei "Pippo" nacquero varie leggende, tra cui quella che si trattasse di un velivolo delle forze dell'Asse che, utilizzando armamento ridotto e spaventando i civili, volesse instillare nella popolazione l'odio verso gli Alleati o che controllasse il rispetto del coprifuoco notturno, colpendo indiscriminatamente ogni fonte luminosa visibile.

Tra le convinzioni più diffuse vi era quella che si trattasse di un solo aereo. Ciò era dovuto alla segretezza della missione mantenuta dagli Alleati e alla forte censura dei mezzi di informazione che impediva di conoscere la reale dimensione del fenomeno: gli attacchi dei "Pippo" furono molte centinaia. La stampa fascista sposava la tesi di un unico aereo sfuggito alle maglie della contraerea che veniva definito il "Molestatore Volante". Ciclicamente apparivano notizie sull'avvenuto abbattimento del molestatore in varie località del Nord Italia.

La denominazione popolare di "Pippo" ebbe nel Venetol la variante di "Pippetto" o "Pipetto", mentre in Toscana veniva generalmente chiamato "Il Notturno".

Indubitabilmente Pippo fu soprattutto un’arma psicologica nei confronti della popolazione; in contrapposizione alla teoria del bombardamento strategico valida soprattutto nei confronti dei grandi agglomerati urbani, questo tipo di minaccia, con apparenza casuale, poteva colpire anche i piccoli centri abitati che si sentivano al sicuro dai bombardamenti massicci.

Nei confronti di Pippo sono nate varie leggende urbane. Oltre a quella citata che si trattasse di un velivolo alleato. Verso la fine della guerra si era diffusa anche la voce che potesse trattarsi di un aereo delle forze dell’Asse che, utilizzando armamento ridotto e spaventando i civili, volesse instillare nella popolazione l’odio per le forze alleate.


Ada BOTTINI

Rapallo, 19 Gennaio 2015

 



Relazione ATTIVITA' MARE NOSTRUM 2014

Relazione

ATTIVITA’ MARE NOSTRUM 2014

L’anno 2014 è stato ricco di eventi ed avvenimenti che, grazie anche all’attività culturale e promozionale portata avanti dalla nostra Associazione, hanno particolarmente arricchito l’offerta storico-documentale dedicata alle nostre radici marinare ed agli appassionati  cultori di storia locale.

 

In linea generale vanno ricordati per il loro valido supporto promozionale il nostro Sito web, il periodico Il MARE, il MUSEO MARINARO Tommasino-Andreatta ospitato presso la Scuola TTLLC di Chiavari e l’Associazione il SESTANTE di cui il presidente Giancarlo Boaretto é nostro socio.

 

 

 

Ciò detto si evidenzia il corposo elenco degli eventi realizzati nell’anno 2014.

 

 

 

2 Febbraio 2014

 

L’Associazione A Compagna ha organizzato l’incontro al Palazzo Ducale di Genova sull’avvenimento: “La tragedia della LONDON VALOUR”. Relatori i Comandanti Carlo Gatti e Ernani Andreatta. Presente il Console inglese a Genova e molte personalità dello Shipping internazionale.

 

12 Aprile 2014

 

IL Lions Club Rapallo ha organizzato il Convegno “AMA IL TUO MARE”Sicurezza ed opportunità. Relatori: Ammiraglio Vincenzo Melone Comandante della Capitaneria di Porto, Dott. Nicola Costa, Dott. Giorgio Fanciulli, Moderatore Emilio Carta. Per Mare Nostrum hanno partecipato attivamente: Carlo Gatti e Giancarlo Boaretto.

 

17 Maggio 2014

 

Lions Club S. Michele di Pagana - Tigullio Imperiale ha organizzato

 

L’Affondamento della ANDREA DORIA - Imperiale Palace Hotel - S. Margherita Ligure. Relatori: Com.te Ernani Andreatta – Com.te Carlo Gatti

 

 

31 Maggio 2014

 

L’Associazione “Spazio Aperto” di Via dell’Arco di Santa Margherita Ligure ha organizzato la Conferenza sull'interessante argomento:

 

"QUANDO SI NAVIGAVA CON LE STELLE".

 

Ospite-Relatore il nostro socio Comandante Cicci Pannella

 

5 Luglio 2014

 

Conferenza Stampa del presidente Carlo Gatti sui Programmi di Mare Nostrum e sulle interferenze degli hackers sul sito dell’Associazione.

 

8 Agosto 2014

 

Mare Nostrum, con Emilio Carta, Carlo Gatti, Enzo Marciante, Ernani Andreatta, Alessandra Rotta é stata ospite della Confraternita dell’Oratorio dei Neri a Rapallo per la Presentazione in anteprima del saggio sul “Sacco di Rapallo operato dal pirata DRAGUT”.

 

8 Novembre 2014

 

Inaugurata la Mostra Mare Nostrum 2014 che si é protratta per tutto il mese di Novembre secondo il seguente programma di Eventi che riportiamo:

 

Durante tutti gli EVENTI collaterali alla Mostra, sono stati proiettati filmati di notevole interesse storico-artistico con il supporto tecnico del Comandante Ernani Andreatta, autore egli stesso di gran parte dei DVD proiettati per gli argomenti in programma.

8 Novembre 2014

 

 

Mare Nostrum ha partecipato a “APERILIBRO” presso L’ALTERNATIVA di Rapallo con il tema: “Cristoforo Colombo, Ammiraglio del Mare Oceano”. Matite e nuvole di Enzo Marciante. Ha presentato Emilio Carta.

 

 

29 Novembre 2014

 

 

 

4 luglio 1549 – Presso la Sala Conferenze di via dell’ARCO a Santa Margherita L. si é svolta la Conferenza: Dragut assalta Rapallo. L'incredibile vita del pirata saraceno. Il sacco di Rapallo e il ruolo di Santa Margherita. Hanno partecipato: Emilio Carta, giornalista e scrittore; Enzo Marciante, cartoonist; Alessandra Rotta, Gruppo Storico Rapallo 1608.

 


 

13 Dicembre 2014

 

ore 11.00

 

 

Presso l’Oratorio dei Bianchi di Rapallo é stata presentata la seconda Edizione di “RAPALLIN E... FORESTI” alla presenza dagli stessi autori Emilio Carta e Mauro Mancini.

 

 

13 Dicembre 2014

 

ore 17.00

 

 

Presso la Lega Navale di Chiavari, L’ing. Stefano “Nitti” Risso, socio di Mare Nostrum, ha presentato un saggio sulla Resa dei Tedeschi a Scapa Flow (Prima guerra mondiale) con la finalità di mettere a confronto il rapido recupero delle Unità che si auto affondarono e quello rallentato della M/n Costa Concordia all’isola del Giglio. Ottimo il supporto tecnico di Ernani Andreatta.

 

 

 

20 Dicembre 2014

 

Presso la Lega Navale di Chiavari, il Comandante Ernani Andreatta ha tenuto la Conferenza sul Veliero camogliese GEORGES VALENTINE e le CASE RIFUGIO per i naufraghi dell’Isola di SABLE ISLAND (USA). Spettacolare il DVD composto per l’occasione dallo stesso conferenziere.

 

 

 

Concludo rivolgendo il nostro fraterno pensiero ai carissimi Amici e Soci  che ci hanno lasciato nel 2014.

 

 

 

ELVI SBARBARO MARTINI deceduta a S.Martino-Genova il 30 Gennaio ‘14

 

STEFANO “NITTI “ RISSO deceduto deceduto il 28 Dicembre 2014

 

 

 

 

 

 

 

Carlo GATTI

Il Presidente  - Webmaster

 

 

 

Rapallo, Lunedì 5 Gennaio 2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


DIMMI, dimmi marinaio

Illustrazione di Patrizia Bianchi


Dimmi, dimmi marinaio

cosa ti spinge a navigare?

Bella domanda ragazzina,

la vita devo pur guadagnare

Dimmi, dimmi marinaio,

non c’è forse del lavoro

sulla terra, per le strade

o nei bei campi d’oro?

Sei insistente piccolina

Ognun lavora secondo natura

io non amo l’officina

ho bisogno d’aria pura.

Dimmi, dimmi marinaio

non sarà mica l’avventura

che ti spinge in mezzo al mare?

Una donna in ogni porto

Senza far fatica ad amare?

Cosa dici impertinente?

Chi ti ha messo per la mente

queste fandonie di origine antica?

Sulla terra ho la mia vita

moglie, figli, mamma, fratelli

a casa mia ho gli affetti più belli.

Dimmi, dimmi marinaio

con che coraggio ti puoi allontanare

se a casa tua hai tanta gente da amare?

Ragazzina insofferente

non capisco cos’hai in mente

le mie risposte non sono d’aiuto

sento che in te c’è un rifiuto

per la mia scelta di vita

forse qualcosa ti ha ferita.

Hai indovinato, marinaio

il tuo bel mare dall’aria pulita

a mio papà ha rapito la vita

neanche il corpo ci ha ridato

a noi che tanto l’abbiamo amato.

Ora io odio la scelta di vita

che lui ha fatto senza pensare

che così ci poteva lasciare.

Piccolo cuore gonfio di pianto

come vorrei per un poco soltanto

farti capire che tuo padre ti ha amato

non per il mare ti ha abbandonato.

L’amore è grande non si divide.

Anche a terra mia piccola amica,

a un certo punto finisce la vita.

Nel breve tempo molto ti ha dato

se tanto rimpianto in te ha lasciato.

Sei sicuro marinaio

sei sicuro che così è stato?

Solo un triste, crudele destino

Impedì a mio padre di tornarmi vicino?

Certo piccina, ma se tu lo vorrai

una lunga vita a lui donerai.

Se ami le cose che lui ha amato

se nel tuo cuore sarà ricordato

mentre il mare lo cullerà

egli in te ancora vivrà.

 

ADA BOTTINI

 

Rapallo, 2 Gennaio 2015