BOMBARDAMENTO DI BARI

Cronaca di un Disastro

La storia del Bombardamento di Bari é un gravissimo episodio della Seconda guerra mondiale che appartiene, ormai da 72 anni, soltanto alla cronaca. La stessa Marina USA considera quella tragedia un grande disastro militare, secondo solo al bombardamento di Pearl Harbour! Tuttavia, molti segmenti di quel disastro sono tuttora segreti, quindi ignorati dalla GRANDE STORIA.

 

Dopo l’8 settembre 1943, i tedeschi si erano trasformati da alleati in nemici. L’Italia era tagliata in due. Solo il Sud era in mano agli Anglo-Americani. 

La terribile pioggia di bombe lanciate dalla Luftwaffe colpì la città di Bari e il suo porto, la sera del 2 dicembre 1943. Vi furono mille vittime tra militari, alleati e civili. Il Comando Alleato tenne segreta l’esplosione di una nave USA carica di YPRITE.

 

Qualcuno ai massimi vertici militari disse: «Morivano e non si sapeva perché»

Con l’arrivo degli Alleati, che lentamente risalgono la penisola, il porto di Bari è diventato il porto strategico più importante, sia per l’organizzazione logistica dell’VIII armata inglese sul fronte adriatico, sia come base per il rifornimento di carburante della XV Air Force. Il suo Comando si trova nell’aeroporto di Manfredonia, da cui si dirama una rete di oleodotti che veicola 600 mila litri di carburante alla settimana verso gli aeroporti di Foggia, Gioia del Colle e Grottaglie.  Da questi aeroporti partono gli aerei che bombardano non solo il Nord e Centro Italia ancora occupate dai tedeschi, ma anche i punti nevralgici della Germania. Comandante è il generale americano James Doolittle, l’artefice del bombardamento di Tokyo del 18 aprile 1942.

 

 

Il pomeriggio del 2 Dicembre, la città assiste ad un ampio  volo di ricognizione di un Me.210 della Luftwaffe, ad una quota di 23.000 piedi. Il suo compito è quello di fotografare l’area urbana, il porto e l’aeroporto.

 

All’esperto pilota tedesco, il tenente Werner Hahn, non sfugge di sicuro il molo di “Levante” brulicante di navi e merci ammassate in banchina, come neppure le numerose navi all’ancora in attesa di ormeggiare in banchina per le operazioni commerciali. Sembra impossibile, ma l’Autorità Portuale, ossia il Comando Inglese, ritiene improbabile un attacco della Luftwaffe e compie un drammatico errore di valutazione.

 

 

Gli aviatori tedeschi si preparano per l’attacco

 

 

L’ordine é arrivato. Si parte.

 

Il sole è tramontato da due ore, il cielo é sereno, il mare é calmo. Un insignificante spicchio di luna sovrasta il Salento. Il porto di Bari è illuminato a giorno come se la guerra fosse da un’altra parte. Eppure il centro radar ha registrato i reiterati voli di un ricognitore tedesco, anche nei giorni precedenti la fatale incursione.

 

Improvvisamente, alle ore 19,25, suonano le sirene dell’allarme aereo. Gli aerei si trovano 30 miglia a NE di Bari.

Gli aerei tedeschi in arrivo sono 105, quasi tutti Junkers Ju-88, i bimotori da bombardamento più diffusi e collaudati; alcuni sono partiti dall’aeroporto di Ronchi dei Legionari, vicino a Monfalcone, gli altri da due aeroporti in Grecia, vicino ad Atene. Alle 19.30 gli aerei provenienti dai Balcani, sono sulla città.

 

Il cielo di Bari viene coperto da milioni di piccole strisce di stagnola (Chaff), che mandano in tilt i sistemi radar. Immediatamente i fari della contraerea del porto e dell’aeroporto squarciano il buio della sera, creando effetti cromatici mentre vengono a contatto con la stagnola. L’avvicinarsi cupo e assordante dei bombardieri tedeschi, cattura lo sguardo incredulo della gente che cerca disperatamente un rifugio. Le prime bombe colpiscono l’area urbana, ma l’obiettivo sono le numerose navi presenti in rada e ormeggiate in banchina.

Tutte le luci si spengono, cadono le prime bombe ed é un susseguirsi di esplosioni. La scena infernale é illuminata dai candelotti appesi a piccoli paracadute che scendono lentamente rivelando il disegno del porto e le quaranta grandi navi da carico alla fonda. I piloti tedeschi puntano le loro armi sulle navi della classe “Liberty” cariche di munizioni; ma ce n’é una che ha un carico molto pericoloso, anzi letale, si tratta della John Harvey, nelle sue stive sono presenti 90 bombe all’Yprite, un gas venefico e letale che trovò il suo primo utilizzo bellico sui campi di battaglia della Grande Guerra 1914-18.

Il nome di questa unità USA sarà per sempre legato all’unico episodio di guerra chimica della seconda guerra mondiale; un disastro le cui conseguenze si faranno sentire per più di mezzo secolo.

 

 

La contraerea posta a difesa dell’area portuale è presente in modo massiccio e si difende penetrando il cielo con i suoi 37mm traccianti. Questi proiettili, sviluppano lunghe linee colorate grazie ad una carica di magnesio inserita nel codolo della granata. Presto si delinea nel cielo una rete colorata che nulla può fare contro l’immane potenza di fuoco della Luftwaffe.

 

Alcune bombe centrano le navi sulle quali si sviluppano incendi che producono fiamme e volate di fumo nero a tutte le altezze. Altre cadono in mare sollevando colonne d’acqua biancastre che ricadono fragorose creando onde rapide e violente che strappano i cavi delle navi attraccate.

 

Il bombardamento é molto preciso, si direbbe chirurgico! Per fortuna, in soccorso della città portuale ormai disperata e agonizzante, si muove un VENTO DIVINO, credo sia difficile definirlo in altro modo. Questo imprevisto ALLEATO, all’improvviso, cambia direzione e spinge il fuoco, le fiamme e i fumi tossici verso il mare, mentre i bombardamenti non hanno ancora raggiunto la loro massima intensità. I quartieri dell’angiporto sono già impregnati di aria inquinata dagli incendi e, man mano che il bombardamento s’intensifica, le esplosioni si susseguono a velocità e a cadenza costante, come se fossero telecomandate a intervalli regolari. Alcune navi avvolte dal fumo si abbattono su un fianco e spargono nafta in mare che subito prende fuoco e si spande nell’area portuale, dove lance, zattere, salvagenti, legni informi e suppellettili galleggiano sostenendo naufraghi e corpi privi di vita.

 

Il “sacro vento” aumenta d’intensità e spinge sempre più lontano le nuvole tossiche dal centro abitato. Alcune navi cariche di ordigni esplodono insieme agli equipaggi tuonando per molte miglia di distanza.

 

In questa foto la JOHN HARVEY – La nave USA tipo Liberty, responsabile di una strage che ebbe lunghe ripercussioni sulla salute di tanta gente per i successivi 50 anni.

Alle 19,50 una bomba tra le tante colpisce l’obiettivo più pericoloso in quel momento: la liberty John Harvey, arrivata nel pomeriggio. Nelle sue stive sono stipate 2000 bombe M47A1 all’Azoiprite, dal peso di 45 chili ciascuna, per un totale di 91 tonnellate di Yprite utilizzato per la guerra chimica. Il gas denominato anche mustard per il suo colore simile alla mostarda era proibito dal trattato di Ginevra. La nave esplode e molti dei suoi numerosi ordigni sono proiettati in alto e scoppiano innescati dell’enorme temperatura. Il potente aggressivo chimico precipita inquinando le acque portuali.

 

In questa foto si nota l’effetto del VENTO DELLA PROVVIDENZA che spinge i venefici fumi verso il mare salvando la città da un destino dalle dimensioni catastrofiche.

 

Le bombe all’Yprite che non scoppiano a bordo, si squarciano depositando il prodotto tossico sul fondale del porto. Il gas “mustard” si miscela alla nafta incendiata, il fumo prodotto diventa un potentissimo veleno. Si disse che queste bombe dovevano essere utilizzate per contrastare un’eventuale attacco chimico tedesco.


 

Quel “velo mortale” che si forma sulla superficie delle acque avvelenate del porto, ustiona la pelle dei naufraghi avvelenando i loro polmoni. Degli 800 militari che vengono ricoverati e curati in modo superficiale al Policlinico gestito dal Comando Neozelandese per ustioni e ferite, ben 617 risultano intossicati dall’Yprite, ma i medici ignorano la causa per molti giorni. Per la stessa ragione, muoiono 250 civili. L’ultima vittima morirà un mese dopo il bombardamento, tra atroci dolori.

 

Alle 23 le sirene danno il cessato allarme.

Si contano le navi distrutte: 28

5 statunitensi: John Bascom – John Harvey – John L.- Joseph Wheeler -Samuel J.Tiden – John L.Motley.

 

5 inglesi: Devon Coast – Fort Athabaska – Fort Lajoie – Lars Kruse – Testbank

 

3 norvegesi: Bollsta – 1920 – Norlom –

 

11 italiane: Ardito – Cassala – Corfù – Frosinone – Genepesca II – Goggiam – Inaffondabile – Luciano Orlando – MB 10 – Porto Pisano – Volodda – Barletta

 

2 polacche: Puk – Lwòw

 

1 Francese: Aube

 

Non meno di quarantamila le tonnellate di materiale perduto.

 

TESTIMONIANZE

Le sofferenze e gli effetti del gas vengono raccontati dai superstiti,  gli americani cercano invece di mettere tutto sotto silenzio. Non vogliono che si sappia del carico di armi vietate dalla convenzione di Ginevra.

 

“Le navi, specie quelle che erano lungo il molo foraneo di levante“ – scriverà Augusto Carbonara, che era in città e vide scardinata dal bombardamento la finestra della sua camera da letto, “furono sorprese d’infilata dalle bombe tedesche. Erano tanto vicine che le bombe cadute in acqua furono molto poche. Alcune navi bruciavano, altre affondavano, altre, incendiate, rotti gli ormeggi, andavano alla deriva, avvicinandosi alle navi non colpite. Le navi che nella stiva trasportavano esplosivi dapprima si incendiarono e poi finirono per deflagrare e colpire tutto il porto e anche molte case della città vecchia. I vetri delle abitazioni di mezza Bari andarono in frantumi”.

La sorpresa dell’attacco e l’ignoranza del carico presente sulla Harvey causano i danni più gravi. La maggior parte dei marinai è in franchigia. Cinema e teatri – il Piccinini, il Petruzzelli, l’Oriente, il Margherita, il Kursaal – sono aperti e pieni di inglesi e americani; al Margherita, ribattezzato Garrison Theatre, si proietta “Springtime in the rockies”, con Betty Grable e John Payne. I militari più alti in grado si trovano al vicino Barion, trasformato in Circolo Ufficiali.

 

Gli italiani no. “Al momento dell’attacco, dal comandante agli ufficiali, ai marinai” – racconterà Oberdan Fraddosio, che quel giorno era l’ufficiale di guardia – “eravamo tutti in Capitaneria o sul posto di manovra delle ostruzioni retali alla testata del molo foraneo di levante. Non esistevano rifugi antiaerei. Non esistevano mezzi di protezione personale che non fossero vecchie maschere antigas inutilizzabili e inutilizzate. Perfino gli elmetti erano in numero inadeguato. Tutti rimasero ai loro posti fino alla fine dell’incursione”.

Il porto, come altre basi navali, ha sull’imboccatura una rete che viene aperta parzialmente per il passaggio di una nave. “Il Comandante” – racconterà ancora Fraddosio – “mi ordinò di eseguire una ricognizione nel bacino portuale portandomi fino alle ostruzioni. Nel percorrere le acque del bacino passammo molto vicini a navi che bruciavano e sulle quali esplodevano ancora le cariche dei cannoncini e delle mitragliere. Dovevamo tenerci sopravvento per evitare di essere avvolti dal fumo denso e acre degli incendi”. Quello che sembra fumo non è soltanto il fumo degli incendi; è anche il vapore dell’iprite”.

“Tra le navi” – racconterà ancora Augusto Carbonara – “fu colpita e incendiata anche la John Harvey, quella che, con altro materiale esplosivo, trasportava le cento tonnellate di bombe con l’iprite. I marinai rimasti a bordo tentarono con ogni mezzo di domare il fuoco, ma inutilmente, e dopo mezz’ora l’incendio si propagò alla stiva. Non ci volle molto che la nave saltasse in aria con tutto il suo carico e tutti gli uomini, compresi quei pochi che conoscevano la verità sul carico. Da quel momento cominciò l’inferno”.

 

La maledetta Mustard” – dirà ancora Carbonara – “si mescolò alla nafta venuta fuori dalle petroliere affondate e formò un velo mortale su tutta la superficie del porto. Coloro che dalle altre navi si lanciavano in acqua furono ben presto zuppi della maleodorante sostanza. I vapori dell’iprite si spargevano intanto su tutto il porto; bruciavano la pelle e intossicavano i polmoni dei sopravvissuti”.

All’ospedale neozelandese – scriverà Carbonara – “cominciarono ad arrivare i primi feriti. Molti, più che colpiti dalle esplosioni, erano provati dall’effetto del gas vescicante. Ma non si sapeva che fosse stato il gas a provocare tali effetti, perché, sul momento, nessuno lo intuì. Non vi erano vestiti di ricambio e pertanto non fu possibile cambiare d’abito i soldati che erano caduti nelle acque del porto. Chi non poté cambiarsi di sua iniziativa rimase quindi con gli abiti zuppi d’iprite, che non solo agì sulla pelle, ma fu assunta attraverso le vie respiratorie.

 

I primi inspiegabili collassi si ebbero dopo cinque o sei ore dalla contaminazione. Dopo, seguirono le prime morti, quasi improvvise, di gente che qualche minuto prima sembrava stesse per riprendersi. Tutti avevano la pelle piena di vesciche. Sulle ascelle, l’inguine e i genitali le pelle si staccava come avviene per le ustioni più gravi”.

Il giorno dopo, alcuni medici cominciano a intuire qualcosa. Un capitano della sanità si reca dalle Autorità Alleate per chiedere l’esatto contenuto delle navi colpite. Si telegrafa alle Autorità dei porti USA da cui le navi erano partite, ma nessuno dà o vuole dare una spiegazione; e anche in futuro la risposta non arriverà mai. Quante le vittime? Sarà impossibile calcolarne il numero; sicuramente intorno a un migliaio tra civili e militari. Oltre ai morti per le bombe e per i crolli, oltre ottocento militari sono ricoverati per ustioni o ferite; di essi 617 a causa dell’iprite. A Bari ne moriranno 84 e molti in altri ospedali italiani sia, ma anche in Africa del nord e negli Stati Uniti dove verranno trasportati.

 

I civili sono almeno 250. Nella città vecchia sono crollate alcune vecchie case e una di esse, non ricostruita, creerà una piazzetta al fianco della sacrestia della cattedrale. Nella parte nuova della città crollano tre edifici; due tra via Andrea e via Roberto, vicino alla chiesa di San Ferdinando, un terzo in via Crisanzio nei pressi della manifattura dei tabacchi.

 

Ma se il bombardamento” – racconta Paolo de Palma, un altro testimone della tragedia di Bari – “non si trasformò in un vero e proprio massacro per i cittadini baresi lo si deve al vento che si mise a spirare verso levante, evitando così un pericolo devastante. Forse fu San Nicola che volle ancora una volta tutelare la sua città”.

 

Su esplicite pressioni di Winston Churchill, verrà scritto: ”Morti a seguito di ustioni dovute ad azione nemica. Il porto di Bari verrà chiuso per tre settimane”.

 

Per la gravità del disastro, quello di Bari è conosciuto come il peggior disastro navale della seconda guerra mondiale dopo l’attacco di Pearl Harbor in cui le navi demolite furono parimenti 17.

 

Molti interrogativi rimangono ancora senza risposta.

 

Chi ha studiato a fondo il bombardamento di Bari si chiede:

 

– “I tedeschi sapevano del carico presente sulla Harvey?”

 

– “Il bombardamento fu davvero una casuale operazione pianificata contro un porto in mano nemica, oppure essi conoscevano i segreti che si trovavano al suo interno e la tragedia che ne sarebbe scaturita?

 

– “I cieli del Mediterraneo ed in particolare quelli dell’Italia del sud erano a quel tempo dominio incontrastato dell’aviazione Alleata, la quale poteva schierare quasi 3000 velivoli, mentre l’Asse poteva a stento schierarne 500. Com’é possibile che una forza di 105 bombardieri non sia stata intercettata da alcun caccia dell’USAAF o della RAF? Né dai radar che pure avvistarono più volte un ricognitore Me.210 volare sulla città e sul porto?”

 

Dal relitto della USS John Harvey siano state recuperate molte bombe d’aereo inesplose, ognuna delle quali contiene 30 Kg di Iprite, C’é chi sospetta che siano state affondate nel basso Adriatico e che non siano mai più state recuperate.

 

Career (USA)

Name:

SS John Harvey

Builder:

North Carolina Shipbuilding Company-Wilmington

Yard number:

56

Way number:

2

Laid down:

6 December 1942

Launched:

9 January 1943

Completed

19 January 1943

Fate:

Bombed in Bari, 1943. Scrapped 1948.

CARATTERISTICHE:

Class & type:

Type EC2-S-C1 Liberty ship

Displacement:

14,245 long tons (14,474 t)

Length:

441 ft 6 in (134.57 m) o/a

417 ft 9 in (127.33 m) p/p

427 ft (130 m)w/l

Beam:

57 ft (17 m)[1]

Draft:

27 ft 9 in (8.46 m)

Propulsion:

Two oil-fired boilers-Triple expansion steam E.

2,500 hp (1,900 kW)

Single screw

Speed:

11 Knots  (20 km/h; 13 mph)

Range:

20,000 nmi (37,000 km; 23,000 mi)

Capacity:

10,856 t (10,685 long tons) (DWT)

Crew:

81

Armament:

Stern-mounted 4 in (100 mm) deck gun  for use against surfaced submarines, variety of   aircraft guns

In seguito alle tragiche conseguenze del bombardamento, Bari fu la prima città da cui partirono gli studi sugli effetti delle bombe chimiche sulle persone.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 14 Gennaio 2014

 

COMMENTO

Leggendo il saggio sul Bombardamento di Bari mi tornano in mente alcuni ricordi di quando avevo 6/7 anni. Finita la guerra ci eravamo trasferiti tutti in un paesino sul mare, Santo Spirito,  a pochi chilometri da Bari. Ricordo che a quel tempo le spiagge e le campagne erano piene di proiettili, spaghetti di ballistite ed altri materiali bellici abbandonati. Con i miei fratelli e altri compagni di scuola andavamo a raccogliere questi pericolosi reperti e poi ci divertivamo a confezionare dei razzi che una volta accesi partivano verso l’alto come dei piccoli missili. Ogni tanto, purtroppo, arrivavano notizie di agricoltori che erano “saltati in aria” mentre aravano i campi a causa di esplosioni innescate da mozziconi di sigarette gettati inavvertitamente a terra. Anche se ero ancor più piccolo, ricordo che durante la guerra abitavamo a Masnago, vicino a Varese perchè mio padre era ufficiale di cavalleria ed era di stanza a Varese. Quando lui non c’era, gli prendevamo i proiettili di scorta della sua pistola di ordinanza e ci divertivamo a metterli sulle rotaie del tram e sentire i botti che facevano quando scoppiavano perchè schiacciati dalle ruote. Purtroppo a quei tempi non c’erano i pc, la tv e per divertirci e passare il tempo dovevamo pur inventarci qualcosa. Beata incoscienza!!!

 

PINO SORIO