AFFONDAMENTO V.L.O.C STELLAR BANNER

AFFONDAMENTO

STELLAR BANNER

 

Era una Very Large Ore Carrier da 300.000 DWT

Per VERY LARGE ORE CARRIER, s’intende quel tipo di Classificazione di navi portarinfuse

con capacità di trasportare fino a 400.000 tonnellate di carico.

I FATTI

 

lL 24 febbraio 2020 - la Stellar Banner subì rilevanti danni alla prua durante la fase di partenza dal terminal Ponta da Madeira di Vale a Maranhão.  Secondo l’Autorità Marittima locale, il Comandante decise di portare la nave al largo, a circa 50 miglia a Nord della costa di São Luís come misura precauzionale per evitare il blocco del transito navale della zona portuale. Appena fu possibile, i 20 membri dell’equipaggio furono evacuati e messi in salvo.

Nel tentativo di salvarla e ripararla, il Comandante ne provocò volontariamente l’incaglio   su un fondale da lui ritenuto idoneo. Dopo un’agonia durata quattro mesi, l’Armatore optò per lo scuttling

IL 12 giugno 2020 -  La Stellar Banner fu affondata nel punto indicato dalla freccia nella foto sotto.

Posizione approssimata dell’affondamento della STELLAR BANNER

 

CARATTERISTICHE DELLA NAVE

 

STELLA BANNER: al momento dell’affondamento aveva soltanto quattro anni vita

Anno di costruzione:……. 2016   -

Tipo d’imbarcazione…….  Bulk Carrier

Stazza Lorda: ……………..  400.000 tons (carico max)

Lunghezza f.t……………….  340 mt

Larghezza……………………   55 mt

Equipaggio………………….   20 persone

PROPRIETA’

 La STELLA BANNER apparteneva alla Compagnia Marittima POLARIS battente bandiera delle Isole Marshall, ma era di proprietà e gestione di una Compagnia Marittima Sud Coreana. Il noleggiatore per il trasporto del minerale di ferro per i viaggi BRASILE-CINA era il ben noto colosso minerario brasiliano VALE.

 

LE FASI DEL DISASTRO

1a Fase -  L’urto della nave contro “qualcosa di non definito” si verificò mentre era ancora in navigazione “di manovra” (in posizione non meglio precisata). Il Coordinatore per le emergenze ecologiche dell'Istituto brasiliano dell'ambiente e delle risorse naturali rinnovabili (Ibama), Marcelo Amorim provvide a circondare la nave con una particolare BARRIERA (nota con il nome di PANNE) per prevenire e circoscrivere un disastro ambientale in caso di fuoriuscita di petrolio o altri liquidi inquinanti.

Tuttavia, nonostante l’allarme diffuso da aeromobili di servizio, risultò che i serbatoi della nave erano intatti, la sala macchine della nave era asciutta e i generatori elettrici erano in funzione.

2a Fase – Il Comandante prese la decisione di proseguire la navigazione per portare ad incagliare la sua nave al largo, con il duplice scopo di evitare l’affondamento in acque portuali e tentarne possibilmente l’eventuale recupero del carico e della nave stessa.

 

 

3a Fase - Dopo aver effettuato un parziale allibo di parte del carico, e dopo aver ottenuto un nuovo rassicurante assetto della nave, sembrava vi fossero le condizioni ideali per un lieto fine dell’avventura.

Successivamente, da perizie effettuate sull’intero scafo dagli operatori della celebre ditta olandese SMIT SALVAGE, gli stress registrati risultarono molto peggiorati.

Il minerale rimasto a bordo, 125.000 tons, secondo le Autorità brasiliane, non rappresentava una minaccia per l’ambiente marino di quella zona.

4° Fase - Maturò così la decisione di rimorchiarla al largo in acque più profonde (vedi foto sotto) con lo scopo di affondarla, tramite l’impiego di cariche di dinamite, non essendoci più garanzie di riportare l’unità ad un normale galleggiamento.

 

 

 

5° Fase - M/V Stellar Banner fu fatta affondare Venerdì 12 Giugno 2020 a circa 70 mg. al largo della costa di Maranhão (Brasile).

LINK VIDEO AFFONDAMENTO STELLAR BANNER   

Video davvero impressionante. Due anni per costruirla, due minuti per farla sparire…! 

https://www.youtube.com/watch?v=1nmTYAShqiY

 (Io lo vedo con Google Crome)

 

 ALCUNI COMMENTI

Entriamo ora in qualche dettaglio tecnico con la speranza di capire ciò che non è stato raccontato...

Su questo ennesimo naufragio sono stati pubblicati soltanto rapporti monchi, dichiarazioni semi ufficiali degli operatori di terra, nessuna testimonianza del Comandante e dell’equipaggio della nave o dagli addetti ai lavori che non sono pochi. L’unico Report che abbiamo trovato sul web è estremamente vago e conciso; lo riportiamo integralmente:

On 26 October 2021, the Maritime Administrator Marshall Islands published the Casualty Investigation Report.  The report concluded that the most significant cause of the accident was a deviation from the planned route when transiting the Baìa de São Marcos, and pointed also to deficiencies in on-board management and in the information available on nautical charts. 

 

 

Carta geografica della regione Nord del Brasile che fu teatro dell’incidente

  

A seguire pubblichiamo

LA MAPPA DELLA BAIA DI SãO MARCOS

L’indicatore rosso (ovale), mostra la Baia de São Marcos nella quale si verificò l’improvviso cambio di rotta della nave STELLAR BANNER

 

 

IPOTESI (del tutto personale) SULLA CAUSA DEL DISASTRO

 

La STELLAR BANNER, durante la manovra di uscita dal terminal marittimo Ponta da Madeira di Vale di São Luís, dove aveva caricato 270.000 tons di minerale urtò, probabilmente, contro il fondale o presumibilmente contro la sponda del canale producendosi una falla di ben 25 metri sul mascone di dritta della prora (nell’opera viva dello scafo) da cui entrò la via d’acqua che provocò il suo vistoso sbandamento su quel lato.

Marinaresco fu il comportamento del Comandante che per evitare l’affondamento della nave in canale decise, rischiando la vita, di portarla ad incagliare su un basso fondale a circa 50 miglia nautiche dal porto di partenza.

La mappa della zona sopra riportata, ci ricorda la geomorfologia di certi fiordi della Norvegia con le sue bellezze “insidiose” per la navigazione, la quale viene sempre e comunque intrapresa con la presenza obbligatoria del Pilota (P.mare o P.canale o P.portuale a bordo).

Ci viene quindi spontaneo immaginare che a bordo della STELLAR BANNER, accanto al Comandante fosse presente anche il “Practico” locale con il suo ricchissimo bagaglio di conoscenze dell’intera zona.

Il che fa supporre che la nave sia andata fuori rotta per motivi NON dipendenti da chi aveva il Comando della nave in quel momento, ma forse, per l’eccessivo pescaggio della nave su un fondale meno profondo del previsto, circostanza che avrebbe potuto determinare la perdita del controllo dell’unità stessa. Ripeto, qui si sta ragionando di navi gigantesche che normalmente rasentano i fondali e le sponde di canali artificiali di enormi altezze.

Come abbiamo accennato nelle varie fasi di questa incredibile storia, nella posizione d’incaglio “provocata e provvisoria”, la SMIT SALVAGE, intervenne con la massima urgenza creando le condizioni per alleggerire la nave: fece scaricare dalle stive ben 145.000 tons. ed oltre 3.900 metri di cubi di olio combustibile. Fu proprio’ alla fine di questa operazione di ALLIBO che i Tecnici sperarono in un recupero totale della S. BANNER.

SPERANZA che fu poi delusa a causa delle falle subite e verificate ulteriormente dai Subacquei, topografi ed altri esperti del settore marittimo che, dopo aver accuratamente ispezionato le  principali strutture della nave, consigliarono di AFFONDARLA.

Sicuramente a malincuore, la società armatrice sudcoreana Polaris Shipping ne prese atto e diede il proprio consenso a quell’inevitabile sentenza.

Secondo le Autorità brasiliane, la restante quantità di merci a bordo non costituiva una minaccia per l’ambiente.

Scuttling*: (dall’inglese “to scuttle” che vuol dire proprio affondare), una tecnica molto in voga durante la Seconda guerra mondiale. Vi si ricorreva per ostacolare il nemico, per evitare di consegnargli risorse o segreti militari e strategici, o più semplicemente per questioni di “onore”, per la serie: meglio affondare che arrendersi.

Oggi tutto ciò lascia trasparire una certa controversa interpretazione su varie tematiche relative all’ambiente. Ciononostante in alcuni casi quella dello scuttling è considerata una pratica “virtuosa” e proprio a basso impatto ambientale. In America si contano circa 700 scafi affondati per la realizzazione di barriere artificiali per proteggere ed incentivare il ripopolamento ittico o il turismo subacqueo di determinati siti.

 

Interessante è il punto di vista della POLIASS INSURANCE BROKERS:

Certamente il caso della Stellar Banner non rientra tra queste operazioni virtuose, perciò abbiamo cercato una spiegazione per capire meglio le scelte di questa operazione eutanasica coinvolgendo la stessa Poliass:

Analizzando gli ipotetici risvolti assicurativi inseriti nel contesto specifico, l’affondamento volontario è una tipologia di PERDITA TOTALEche rientra in una casistica piuttosto ristretta. L’approvazione di questa procedura richiede valutazioni molto attente da parte di tutti gli stakeholders coinvolti: tecnici, periti, broker e assicuratori. Per effettuare lo scuttling* ciascuna delle parti chiamate in causa dovrà, infatti, considerare questa pratica, come la decisione più sicura ed economicamente più vantaggiosa.

Una volta presa la decisione, la prima azione da fare riguarda la riduzione al minimo dell’impatto ambientale (e le responsabilità ad esso conseguenti), e ottenere il consenso delle autorità marittime (e non solo) di riferimento, senza il quale, nessun affondamento volontario può essere effettuato. 

Nel caso di specie, la marina brasiliana ha dichiarato che quanto non è stato possibile recuperare dalla V.L.O.C. non costituisce minaccia per l’ambiente, così l’enorme Stellar Banner è stata affondata. Ci auguriamo di poterla rincontrare in tutta la sua maestosità, protagonista di uno dei romanzi d’avventure marine sullo stile di Clive Cussler.”

 

Voltiamo pagina e dedichiamo la nostra attenzione ad un punto che noi riteniamo, (magari a torto), essere la chiave di lettura della tragica avventura della STELLAR BANNER.

Tutto è possibile! Ma ci sentiamo di escludere che la nave sia andata fuori-canale per un errore di comunicazione tra Stato Maggiore e timoniere (fatto grave che può accadere), ma è molto raro che quattro o cinque persone di guardia - in manovra sul Ponte di Comando, NON s’accorgano di un ordine sbagliato o MALE eseguito da un membro dell’equipaggio.

Mi soffermerei piuttosto su un’altra possibile causa dell’incidente trattandosi di una tra le più grandi unità al mondo, il cui problema principale non è la navigazione in altomare, ma quella costiera e di “approaching” ai porti e ai canali naturali, ma soprattutto  artificiali i cui fondali, se non sono tenuti costantemente sotto controllo, variano continuamente a causa delle condi-meteo, ma anche per le correnti fluviali molto forti da quelle parti che smuovono enormi quantità di detriti che vanno a riempire i “canali subacquei” dove transitano le navi.

A questo punto CREDO CHE LA PAROLA UNDER KEEL CLEARANCE possa essere la chiave di lettura della disastrosa partenza della STELLAR BANNER.

 

Quei tre vocaboli, insieme, UKC indicano lo spazio libero al di sotto della chiglia della nave

Per esperienza personale, posso affermare che queste “giant ships” (navi giganti) se hanno “poca acqua sotto lo scafo”, ossia poco fondale a disposizione, sono soggette ad una precaria manovrabilità che viene disturbata da formazioni di correnti e controcorrenti anche laterali persino difficili da spiegare… essendo forze, ripetiamo, che si formano nel letto di canali artificiali scavati appositamente per permettere il passaggio di queste navi.

Oltre al pescaggio già enorme di queste navi, occorre tenere conto di altri fattori:

  • sbandamenti della nave nelle accostate.

  • cambiamenti di assetto legato ai consumi di bordo: acqua, carburante ed eventuali tramacchi (trasbordi) di quantità di carico ecc…

  • l’effetto squat (un termine la cui spiegazione meriterebbe un capitolo a parte)

  • gli effetti “suction” e “cushion”, dovuti alle differenze di pressione che si creano tra le sponde e lo scafo della nave.

  • la densità dell’acqua che varia, le presumibili altezze del moto ondoso che si vanno ad incontrare…

Quando uno soltanto di questi elementi entra in azione, produce un’istantanea variazione del pescaggio e dell’assetto della nave ed infine sulla manovrabilità della nave..

Se avete afferrato il concetto di UKC vi sarà ancora più facile immaginarlo dopo averlo proiettato sulla STELLAR BANNER, che aveva un pescaggio probabilmente superiore ai 20 metri (un palazzo di 7 piani).

 

CONCLUSIONE

Conosciamo ormai per esperienza i tempi ed i modi di come vengono chiusi certi brutti capitoli di marineria e ritengo superfluo ritornarci sopra; il nostro sito ce ne racconta in abbondanza.

Abbiamo letto che la nave aveva caricato nelle stive 270.000 tons di minerale delle 400.000 che poteva trasportare. Probabilmente, se ne avesse caricato di meno, avrebbe avuto un UNDER KEEL CLEARANCE maggiore, cioè molta più acqua sotto la chiglia, che le avrebbe consentito una maggiore MANOVRABILITA’ E SICUREZZA in navigazione permettendole di tenersi in mezzo al canale di uscita, seppure in acque già di per sé molto insidiose.

Se questa fosse la vera causa della “scomparsa” della STELLAR BANNER, l’intera tematica ricondurrebbe ad un’unica spiegazione:

Il desiderio “generale” d’incrementare i PROFITTI a scapito della sicurezza!

 

LINK SUL TEMA: di Carlo GATTI

Il primo è magnifico!

SUPER PETROLIERA "SALEM"- UNA FRODE COLOSSALE

https://www.marenostrumrapallo.it/salem/

 

SYRAKOSIA - Gigantismo Navale nell’antichità

https://www.marenostrumrapallo.it/sracusana/

 

“GIGANTISMO NAVALE” - Un sogno che viene da lontano JAHRE VIKING

https://www.marenostrumrapallo.it/giga-2/

 IL GIGANTISMO NAVALE PETROLIFERO

https://www.marenostrumrapallo.it/giga/

Carlo GATTI

Rapallo, 29 Agosto 2022

 


GUERRA E PACE ... AD ALLEGREZZE

 GUERRA E PACE…. AD ALLEGREZZE

Fu un Agosto di sangue quello del 1944 in Val d’Aveto (GE). Siamo nelle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale e i nazisti sono in ritirata dietro la linea Gotica dopo un anno dalla caduta del fascismo, con la collaborazione di delatori in camicia nera al servizio di Mussolini e della Repubblica Sociale di Salò.

 

 

Di giorno il marittimo ligure è occupato a tener d’occhio il mare, la nave ed il carico, ma quando riposa sogna i verdi campi, le vallate e spesso addirittura le montagne. Chi ha navigato lo sa, e quando ritorna a casa porta la famiglia a villeggiare in Trentino oppure in Val D’Aosta. Il perché di questa “transumanza” non la conosco, ma forse si tratta del desiderio di uno “stacco” geo-climatico che, tuttavia, dopo una settimana trascorsa tra le mucche scompare per fare posto nuovamente ai sogni di mare.

Fu così che dopo aver scoperto il Trentino e la Val d’Aosta c’innamorammo perdutamente della nostra più vicina Val D’Aveto, dei loro valligiani, delle loro storie e delle tante gite che dal Passo del Tomarlo si potevano fare nei dintorni: Bobbio, il Penice, Grazzano Visconti, Compiano, Bardi alla scoperta d’incantevoli borghi medievali e persino quelli “antico-romani” a Velleia.

Il destino volle che nel 1978 “gettassimo l’ancora” a 920 metri d’altezza, qualche chilometro prima di Santo Stefano D’Aveto, precisamente ad Allegrezze, un borgo di poche case che tuttavia aveva una scuola elementare, un piccolo Ufficio Postale, un negozietto di generi alimentari, un tabacchino ed una vista mozzafiato che va dal Monte Penna all’Antola da cui scendono ripoidi  versanti verso il Tigullio ed il golfo Paradiso.

Nella casa attigua alla nostra abitavano i fratelli e le sorelle di ALBINO BADINELLI. Persone umili, sempre disponibili, religiosissimi con i quali ci siamo ben presto sentiti come un’unica famiglia.

Fu così che piano piano venimmo a conoscenza di ciò che accadde a quella sfortunata famiglia e all’intera comunità che si trovò, durante la Seconda guerra mondiale, in un autentico ciclone che ora cercherò di raccontare.

 

 ALBINO BADINELLI  

1920 - 1944

UN EROE IN ODORE DI SANTITA’

Il carabiniere che si costituì ai nazifascisti per salvare 20 ostaggi e l'intero paese dalla rappresaglia

Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta

La chiesa di Santa Maria Assunta sorge in località Allegrezze di Santo Stefano D'Aveto, isolata, con orientamento Est-Ovest, preceduta da un ampio sagrato, lastricato in pietra, chiuso sul lato destro da un basso muretto, in pietra. La facciata a salienti, in pietra a vista è rinserrata agli angoli da cantonali in conci di pietra posti a risega. Al centro si apre il portale, rettangolare, con stipiti e architrave, modanati, in arenaria. Il portale è coronato da una cornice, in aggetto, su mensole a voluta, in pietra. Al di sopra del portale si apre una piccola nicchia a tutto sesto che accoglie la statua, in pietra, della Madonna Assunta. In alto, centrale, si apre il rosone circolare. I fronti laterali, nella parte alta sono forati da quattro monofore a tutto sesto, per lato. La parte bassa del fronte sinistro, corrispondente alla parete della navata minore, presenta una monofora a tutto sesto. Al fronte destro si addossa la Canonica. Al fronte sinistro, sul retro si addossa un edificio parrocchiale. Sul retro l'abside semicircolare è forato ai lati da due larghe monofore a tutto sesto. All'abside si addossa, sul retro, un volume, in leggero aggetto, con fronte a capanna, con rosone che si apre al centro del timpano. Il campanile sorge isolato a sinistra della chiesa. In pietra a vista, a pianta quadrata, su due ordini, separati da una leggera cornice marcapiano, con fronti decorati a specchi rettangolari, strombati, ad angoli smussati, termina con una cella con lesene d'angolo doriche che reggono una trabeazione curvilinea in aggetto. La cella è forata sui quattro lati da alte monofore a tuto sesto e sormontata da un tamburo ottagonale, forato su quattro lati da monofore a tutto sesto e coperto da tetto a guglia piramidale, con manto in lamiera.

L’esterno e l’interno della chiesa di Allegrezze

Eretta parrocchia nel X secolo, i primi documenti sulla locale chiesa di Allegrezze risalgono al 1287 quando un cartario del monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia accertò la presenza di una cappella dedicata alla Vergine Maria.

Dipendente fino alla metà del XVI secolo dal monastero pavese fu in seguito aggregata alla pieve di Ottone in val Trebbia, in occasione della visita pastorale di monsignor Maffeo Gambara vescovo della diocesi di Tortona.

L'interno dell'edificio è diviso da colonne in ardesia - denominata anche "pietra nera" - e conserva sul muro della vasca battesimale un affresco raffigurante il Battesimo di Gesù di pittore sconosciuto, ma forse risalente al Cinquecento.

Negli anni della Seconda guerra mondiale l’artista Italo PRIMI, nato a Rapallo nel 1903 e spentosi nel 1983, da sfollato ad Allegrezze, dedicò il suo tempo alla cura architettonica e artistica della chiesa di Allegrezze riportando alla luce tesori d’arte come le colonne originali in pietra nera (ardesia) della navata centrale che erano ricoperte da comune materiale edilizio e naturalmente valorizzando altre opere importanti già esistenti.

Italo PRIMI era un artista a tutto tondo: scultore, pittore, creatore di forme e oggetti. Stimato scultore, appassionato pittore, abile decoratore e uomo legato alla sua famiglia e alla sua terra, non ha mai smesso di coltivare la sua passione per l’arte. Artista vivace e aperto a nuove sperimentazioni, ma anche uomo riservato e incline alla solitudine.

All’epoca quel piccolo angolo di mondo girava intorno alla sua chiesa, un antico santuario dedicato alla Madonna delle Grazie, da cui il nome Allegrezze. Il suo altissimo campanile è visibile dappertutto ed è tuttora il punto di riferimento della religiosità molto sentita dalle comunità montane di quel comprensorio. Il borgo si anima d’estate con la presenza di famiglie rivierasche attirate dalla posizione dominante alla quale si accede dalla costa attraverso i Passi della Forcella (875 mt.s.l.m.) o della Scoglina (926 mt.s.l.m.)

Negli anni ’80-‘90 la maggior parte dei giovani residenti abbandonarono i campi e le stalle e si trasferirono nelle grandi città in cerca di lavoro. Oggi si assiste ad un ritorno al passato molto promettente che vede alcune iniziative famigliari dedite non solo alla produzione di latte ma anche dei suoi derivati: formaggi tradizionali della vallata, e persino yogurt che sono molto richiesti per la loro fragranza.  

Non hanno più riaperto il negozio d'alimentari e gli altri esercizi cui accennavo perché le anime di questo paese non raggiungono il numero di 25 e, sia i pochi residenti che i turisti, sono ormai motorizzati e raggiungono in pochi minuti il vicino comune di Santo Stefano. Le mucche sono 35, il numero è proporzionate al terreno di pascolo dei proprietari.

A questo punto vi chiederete: “ma perché Carlo ci ha portato fin quassù dopo averci abituato ai settimanali viaggi di mare … ?”

Innanzitutto, dopo questa estate infuocata, penso che una gita da queste parti vi possa solo giovare… dal punto di vista climatico e non solo… ma il vero motivo è un altro, ed è giunto il momento d’entrare in argomento.

QUADRO STORICO

 Dopo lo sbarco in Sicilia degli Alleati e la caduta del fascismo il nuovo governo italiano tratta con gli Alleati per uscire dalla guerra. I tedeschi capiscono quello che sta per accadere e danno il via all’Operazione Alarico, con cui mandano consistenti truppe nella penisola. Mentre le trattative per l’armistizio vanno avanti tra ambiguità e tentennamenti da parte italiana, i nostri vertici militari si preparano al mutare degli eventi. In un documento: la Memoria Op 44, si danno disposizioni su come reagire alla probabile rappresaglia tedesca dopo l’armistizio, e si indicano chiaramente i nostri ex alleati come il nuovo nemico. Nonostante tutto, l’8 settembre ‘43 coglie il governo impreparato. Gli ordini non vengono diramati, i vertici dello Stato e delle forze armate abbandonano la capitale e lasciano i comandi territoriali, in Italia e all’estero, privi di indicazioni. Molti decidono di combattere, ma vengono presto sopraffatti dai tedeschi, che in poco tempo catturano un milione di militari italiani, la maggior parte dei quali viene condotto in prigionia nei lager di Germania e Polonia.

I Carabinieri sono tra i pochi militari che rimangono al loro posto, in virtù delle funzioni di polizia che devono svolgere e grazie alla loro presenza capillare sul territorio. In quei giorni concitati, a Torrimpietra, una località a 30 chilometri da Roma, un'esplosione causata incidentalmente da un gruppo di paracadutisti tedeschi durante un'ispezione, viene fatta passare per un attentato. I tedeschi rastrellano per rappresaglia 22 civili, destinandoli alla fucilazione. Il vicebrigadiere dei carabinieri SALVO D’ACQUISTO, di stanza in caserma, si autoaccusa dell'atto e sacrifica la propria vita per salvare quella degli ostaggi. Medaglia d'oro al valor militare, Salvo D'Acquisto diventa il simbolo della dedizione e dello spirito di sacrificio dell'Arma e il suo gesto non rimarrà isolato. Durante i venti mesi di occupazione tedesca, infatti, altri carabinieri daranno la vita per proteggere le popolazioni civili, oppure supporteranno la Resistenza e la lotta di liberazione.

Nella Val D’Aveto. Un anno dopo!

ALBINO BADINELLI (6.marzo 1920- 2.settembre 1944)

il carabiniere che si costituì ai nazifascisti per salvare 20 ostaggi e l'intero paese dalla rappresaglia.

La strada che taglia l’abitato di Allegrezze porta il nome di questo giovane carabiniere: Albino Badinelli che testimonia al passante un gesto di amore ed altruismo infiniti nel dare la propria vita per salvare quella di 20 civili avetani presi a caso e destinati alla fucilazione quali vittime di un’infame rappresaglia decisa dal comando nazifascista di Santo Stefano D’Aveto per vendicare alcuni militari caduti tra i reparti della Monterosa.

La Monterosa fu una delle unità militari create durante la Repubblica Sociale Italiana dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, nonché una delle più importanti che combatterono sotto le insegne del Fascismo repubblicano. La divisione, composta da circa 20.000 uomini era stata addestrata in Germania e quando tornò in Italia fu impiegata a ridosso delle Alpi Apuane e dell’Appenino Tosco-Emiliano ed anche nella Val D’Aveto.

ALBINO BADINELLI in alta uniforme

«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

 

Davanti al plotone di esecuzione, come Gesù in croce, Albino disse: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Un perdono che nasceva da una fede nutrita in famiglia, fin dall’infanzia. E la Chiesa guarda con crescente interesse alla sua figura.

 

Settimo di 11 figli di Caterina e Vittorio, contadini, Albino nasce ad Allegrezze, frazione del paesino ligure di Santo Stefano d’Aveto. Fin da piccolo, quando non è impegnato con la scuola, aiuta la famiglia nei campi. La sera, per genitori e figli, è consueta la recita del Rosario attorno al focolare. Albino porterà sempre con sé la devozione per la Madonna coltivata tra le mura domestiche ed espressa anche con il custodire, nelle sue tasche, la coroncina del Santo Rosario.

 

Il giovane carabiniere di Allegrezze, dopo l'8 settembre 1943, privo di comando nella Caserma di S. Maria del Taro a cui era stato assegnato, torna presso la famiglia di origine che cerca in tutti i modi di aiutare con il suo lavoro nei campi e nella ricerca del fratello disperso in Russia.

Nell’agosto 1944 diversi scontri tra partigiani e nazifascisti mettono a ferro e fuoco i paesi del circondario. Per contrastare gli attacchi della Resistenza, il comandante della Divisione Monte Rosa (maggiore Cadelo) minaccia di incendiare S. Stefano d’Aveto e di uccidere 20 ostaggi se i partigiani e gli sbandati non si presenteranno al Comando. Poiché nessuno si costituisce, terrorizzato dall’idea che venti innocenti possano essere trucidati, Albino si presenta il 2 settembre in caserma accompagnato dalla madre, invocando moderazione e pace. Viene invece immediatamente condotto davanti al plotone d’esecuzione presso il Cimitero del borgo attiguo alla chiesa, dove confida al sacerdote, un attimo prima di essere fucilato, la volontà di perdonare i suoi carnefici.

Segnalato da Tommaso Mazza, pronipote. Candidatura proposta per il Monte Stella nel 2016

 

Desidero a questo punto aggiungere alcune testimonianze, rese a chi scrive, dal fratello Antonio (Tony) e da sua moglie Augusta durante i lunghi pomeriggi trascorsi insieme.

“Le sue giornate passavano tra casa, campagna e chiesa. Albino leggeva molto e studiava sempre, era il più intelligente di tutti noi. Fin da bambino aveva dimostrato un forte senso religioso, intriso di profondi valori cristiani: umanità, generosità, carità, bontà d’animo e spirito di servizio. Albino era profondamente radicato nelle tradizioni religiose proprie della nostra montagna.

Albino aveva una bella voce, ed il suo canto aggiungeva solennità alle celebrazioni liturgiche in occasione delle festività, e anche quando poteva ogni mattina alle messe feriali, mentre nel tempo libero si dedicava a disegni artistici.

Diventare carabiniere era il suo sogno fin da bambino. Nel 1939 entrò all’Accademia Militare di Torino. Ai primi di marzo del 1940 venne incorporato, quale Carabiniere Ausiliario a piedi, presso la Legione Allievi Carabinieri di Roma, con la ferma ordinanza di leva di mesi 18.

Nominato Carabiniere il 10 giugno dello stesso anno, fu trasferito alla Legione di Messina il 14 successivo, per poi prestare servizio nella cittadina di Scicli. Il 2 maggio 1941 è assegnato alla Legione di Napoli per il costituendo XX Battaglione Mobilitato e giunge in Balcania, territorio dichiarato in stato di guerra, il 21 settembre 1941. 

Nei primi tempi Albino non se la passò male, almeno non come nostro fratello Marino che non tornò mai più dalla campagna di Russia. Tutto cambiò nel 1944 quando, dopo la distruzione della caserma in provincia di Parma dove prestava servizio, fu invitato a tornare a casa in attesa di ordini. Molti suoi colleghi in quei mesi passarono tra i partigiani. Lui era un animo pacifico, ma aiutava come poteva coloro che si erano dati alla macchia per non essere catturati e deportati.

 Nell'estate del 1944 i partigiani uccidono cinque fascisti. Per rappresaglia, il comandante Cadelo della divisione  Monterosa, “Caramella” era il soprannome che gli fu dato per il monocolo che gli copriva un occhio, fece diffondere un ultimatum terribile: se i partigiani non si fossero consegnati subito, avrebbe fatto fucilare tutti i civili, tra i quali c'erano anche donne e bambini, detenuti nella Casa Littoria del paese. In più avrebbe dato ordine di incendiare Santo Stefano, come già era stato fatto con alcuni paesi vicini. Di fronte a questa prospettiva, Albino prese la sua decisione:

 Prima che uccidano qualcuno, mi presento io. Altrimenti non avrei pace

ci disse. “Noi eravamo tutti terrorizzati, ma pensavamo che al massimo l'avrebbero portato in Germania. E invece quando “Caramella” lo vide si mise a urlare:

"Tu sei un carabiniere! Il tuo dovere è catturare i disertori!”.

Albino provò a obiettare che lui voleva solo la pace, ma "Caramella" urlò ancora più forte:

“Altro che pace! Il plotone di esecuzione ti aspetta!”.

In una delle lettere di quel periodo, il 7 giugno 1942, scrive:

«Cara mamma, non posso descriverti tutta la poesia che mi suscitò nel cuore l’immagine di quella Madonnina alla quale vengono rivolte preghiere che non potranno non essere esaudite, essendo rivolte con tanta devozione dal cuore di una madre, che con ansia implora la protezione dei figli lontani... Siate sempre tranquilli, perché ovunque Ella stenderà il Suo manto sopra di noi, ne conserveremo la devozione».

Il 21 agosto successivo, in un’altra lettera, raccomanda ai familiari: «Rassegnatevi sempre al volere di Dio».

Nel biennio ’43-’44 la famiglia Badinelli è segnata prima dall’angoscia di non avere più notizie di uno dei fratelli di Albino, Marino, impegnato a combattere sul fronte russo, e poi dal dolore per la certezza della sua morte. Sarà san Pio da Pietrelcina - una delle persone a cui mamma Caterina aveva scritto - a far sapere alla famiglia di non cercare più Marino perché giaceva sepolto in una fossa comune in Russia. Circostanza che verrà confermata dal Ministero della Difesa negli anni Ottanta.

Nel ’43, Albino viene richiamato in Italia per prestare servizio a Santa Maria del Taro, piccola località in provincia di Parma. Il giovane carabiniere stringe amicizie profonde e non manca, nel suo piccolo, di evangelizzare. Testimonierà il collega Fabio Morelli, conosciuto durante l’esperienza lavorativa nel parmense: «Albino era una persona speciale, dotata di grande umanità e profonda religiosità. Andava ogni giorno a Messa nella chiesa parrocchiale e spesso ci invitava tutti a pregare il Rosario con lui. Era un grande esempio per noi che gli eravamo legatissimi […]».

LA GUERRA CIVILE

Ulteriori testimonianze

 

Dopo il Proclama Badoglio dell’8 settembre ‘43, che annuncia l’armistizio con gli Alleati, l’Italia si trova spaccata in due, tra nazifascisti e forze della Resistenza. Anche Albino sperimenta presto la durezza di quella guerra nella guerra, dove pure vecchi amici e familiari possono trovarsi su fronti opposti. Alcuni partigiani, siamo già nel ’44, attaccano la caserma di Santa Maria del Taro, devastandola con una bomba. Seguendo gli ordini di un superiore, Albino fa ritorno a casa, ma prima si libera del moschetto perché sconvolto dall’idea di potersene servire per uccidere dei fratelli.

Come abbiamo già visto, anche la Val d’Aveto non rimane estranea agli scontri tra “repubblichini” di Salò e "partigiani". È l’agosto del ’44 quando la Divisione nazifascista Monterosa entra in quei territori, incendiando le case in diversi borghi. Al suo comando c’è il maggiore Girolamo Cadelo, il quale ha diversi obiettivi: stanare i ribelli che infestavano quelle campagne, neutralizzare l’attività partigiana e rastrellare disertori e renitenti alla leva (in osservanza del decreto legislativo del Duce 18 febbraio 1944, n. 30:

“Pena capitale a carico di disertori o renitenti alla leva”)» [cfr. Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri, Anno II, n. 4, p. 93].

Nel giorno dell’ingresso a Santo Stefano d’Aveto, il 27 agosto, la Monterosa subisce un agguato partigiano, patendo alcune vittime. La frazione di Allegrezze, due giorni più tardi, viene incendiata dalle bande fasciste. Arriva quindi il 2 settembre. Il maggiore Cadelo e i suoi uomini hanno con sé una ventina di ostaggi. Dei manifesti, sparsi in tutto il territorio cittadino, invitano i giovani “sbandati” a presentarsi alla locale Casa del Fascio. In caso contrario, i prigionieri saranno uccisi e le case di Santo Stefano date alle fiamme. Pochi si consegnano e tra questi - pur non partecipando attivamente alla Resistenza - c’è Albino, che ai familiari aveva detto: «Devo presentarmi prima che venga ucciso qualcuno, perché non avrei più pace. Io devo essere il primo!».

 

Alla Casa del Fascio, Badinelli spiega a Cadelo di appartenere all’Arma e di volere la pace, ma il maggiore gli urla di aver mancato al dovere di catturare i disertori ed emette la sua ‘sentenza’: «Plotone di esecuzione!». Albino chiede a quel punto di potersi confessare, ma gli viene negato. Un giovane ha però la pietà di andare a chiamare monsignor Giuseppe Monteverde, un anziano sacerdote del posto, che accompagna Albino verso il luogo dell’esecuzione, il cimitero di S.Stefano D’Aveto, e ne raccoglie le ultime confidenze. Tra queste, c’è anche il perdono per coloro che di lì a breve saranno i suoi uccisori. Il buon sacerdote lo benedice, gli consegna un crocifisso e lo raccomanda alla Madonna di Guadalupe, molto venerata a Santo Stefano.

 

Chiesa parrocchiale di Santo Stefano - Santuario della Madonna di Guadalupe

Nell'edificio viene conservata un'immagine della Santa portata nel santuario nel 1804 dalla chiesa di San Pietro in Piacenza. Il santuario conserva dal 1811 anche una tela che raffigura la Vergine donata all'edificio dal cardinale Giuseppe Maria Doria Pamphilj, segretario di Stato di papa Pio VII. Si narra che questa tela fosse sulle navi del suo antenato Andrea Doria nel 1571, durante la Battaglia di Lepanto. Il quadro, copia dell'immagine impressa sulla tilma, gli era stato donato all'ammiraglio dal re di Spagna Filippo II. La chiesa di stile gotico toscano fu ricostruita nel 1928 in sostituzione della vecchia settecentesca di cui rimane il campanile. L'altare maggiore espone ai lati del vecchio quadro due pale dedicate a Santo Stefano ed a Santa Maria Maddalena. Le parti in legno sono state eseguite da maestri della val Gardena.

 

Albino BADINELLI fu fucilato con la schiena al muro dove oggi è posta la targa commemorativa  qui  fotografata mentre viene benedetta da un sacerdote.

LA MEDAGLIA D’ORO conferita al carabiniere Albino Badinelli

 

Onorificenze e riconoscimenti

Domenica 25 settembre 2016, durante la visita a Stella (Savona), paese natio di Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incontrato Agnese Badinelli, sorella di Albino.

Dal 6 marzo 2017 Albino Badinelli viene commemorato come “Giusto dell’umanità”, titolo riservato a coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi. A lui e ad altre venti figure è stata dedicata la cerimonia di apertura delle celebrazioni per la Giornata europea dei Giusti, a Palazzo Marino, Milano, con la consegna delle pergamene per l’inserimento nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. E’ seguita poi la commemorazione in Consiglio Comunale, con la lettura dei nomi dei nuovi Giusti, ospiti d’onore nella seduta del Consiglio.

Anche la Chiesa cattolica sta lavorando per riconoscere ufficialmente la fama di santità di questo giovane. Papa Francesco è stato informato della vicenda legato alla figura di Albino Badinelli nel settembre 2015, quando il Comitato, in visita a Roma, ha donato un piccolo volume a Papa Francesco, nel contesto dell’Udienza generale. Nella stessa occasione, il volume è stato dato anche al Papa emerito Benedetto XVI, attraverso il suo segretario personale.

Il 2 gennaio 2016, Tommaso Mazza, sacerdote della diocesi di Chiavari, ha avuto l’opportunità di intrattenere una conversazione personale con Papa Francesco a Casa Santa Marta. In questa occasione, tra le molte cose proposte, ha presentato al Santo Padre, in modo più dettagliato, la storia di Albino Badinelli, facendo particolare riferimento alla storia della sua morte. Nel maggio 2018 i Cardinali e i Vescovi lo hanno scelto come “Testimone” del Sinodo dei Giovani.

Decreto del Presidente della Repubblica 

 3 agosto 2017 

Medaglia d'oro al merito civile alla memoria

«Carabiniere effettivo alla Stazione di Santa Maria del Taro (PR), dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, non volendo venir meno al giuramento prestato e deciso a non far parte delle milizie della Repubblica di Salò, si dava dapprima alla macchia e successivamente decideva di consegnarsi al reparto nazifascista che, come rappresaglia ad un attacco subito, minacciava di trucidare venti civili inermi. Condotto davanti al plotone di esecuzione sacrificava la propria vita per salvare quella dei prigionieri. Chiaro esempio di eccezionale senso di abnegazione e di elette virtù civiche spinte fino all’estremo sacrificio. 2 settembre 1944 Santo Stefano d'Aveto(GE)

 

Giunti al cimitero del Comune di Santo Stefano d’Aveto, Albino viene posto con le spalle al muro. È in quegli istanti che, dopo aver baciato con grande devozione il crocifisso, dice come Gesù in croce:

«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».

Qualcuno nel plotone si rifiuta di sparare. Ma la sua sorte è segnata. Viene raggiunto da tre colpi di arma da fuoco, due al cuore e uno alla testa. Così, il 2 settembre 1944, il ventiquattrenne Albino torna al Creatore (sul luogo della sua morte, oggi si trova una lapide, la cui scritta finisce così:

«O tu che passi / chinati al suo ricordo / e prega a lui ed al mondo / pace»).

A piangerlo, tra i tanti familiari e amici, la fidanzata Albina, che tempo dopo chiederà di essere sepolta insieme alle lettere che lui le scriveva.

Il suo cadavere, ancora sanguinante, viene lasciato per un po’ davanti al cimitero e poi portato nel coro della vecchia chiesa parrocchiale, con l’ordine del maggiore Cadelo di non spostarlo da lì, perché serva da monito. Ma nella notte il corpo esanime di Albino viene trafugato da alcuni compaesani, guidati da monsignor Casimiro Todeschini, per dargli degna sepoltura.

Il suo sacrificio contribuisce comunque a placare l’ira di Cadelo, che rinuncia al proposito di uccidere gli ostaggi e incendiare Santo Stefano. Lo stesso maggiore finirà vittima di un’imboscata alcuni giorni più tardi, il 27 settembre, nei pressi del Passo della Forcella.

Ma chi comunica il fatto a mamma Caterina, pensando di portarle una buona notizia, si sente rispondere da lei:

«Non voglio ritirare il perdono che mio figlio ha dato prima di morire!».

E qualche tempo dopo, mentre sta recitando il Rosario in un angolo della sua cucina, interpellata da un cappellano militare giunto con altri a raccogliere informazioni sulla morte di Albino, la donna confida:

«Prego per coloro che hanno ucciso mio figlio».

Da quel giorno il ricordo del sacrificio di Albino non si è ancora spento: a suo nome è stata intitolata una via del Comune, dove si trovano la stazione dei Carabinieri e la scuola.

Nel 2015 è stato poi fondato il Comitato Albino Badinelli, per favorire lo sviluppo e la conoscenza della sua testimonianza.

«In questo modo - come afferma una dichiarazione di un testimone - il Carabiniere Albino Badinelli entrò nel novero di quegli eletti che, con il loro sacrificio supremo, resero possibile il nostro riscatto».

ESEMPIO PER LA CHIESA E IL MONDO

Naturalmente, la Chiesa guarda con grande attenzione alla figura di Badinelli. Almeno quattro Papi - Pio XII, Paolo VI, Benedetto XVI, Francesco - hanno conosciuto ed espresso in vario modo la loro gratitudine per l’esempio di Badinelli. Ratzinger ha parlato del suo sacrificio come «testimonianza di amore e di pace che dona forza e stimolo ai giovani del nostro tempo». E nel Sinodo dei Giovani del 2018, voluto da Bergoglio, Albino è stato incluso tra i testimoni dell’amore di Cristo da far conoscere alle nuove generazioni.

Di recente lo stesso giornalista Italo Vallebella ha scritto per il SECOLO XIX un articolo così intitolato:

Santo Stefano D’Aveto, beatificazione e canonizzazione del carabiniere Badinelli: la Congregazione dà il nulla osta

 

Per saperne di più:

Libro: L’amore più grande

Autore Tommaso Mazza

 

 

LA BATTAGLIA DI ALLEGREZZE NELL’ANNO 1944

http://www.valdaveto.net/documento_655.html

 

Con il nome di Bando Graziani furono chiamati una serie di bandi di reclutamento militare obbligatorio, destinati ai giovani italiani nati negli anni tra il 1916 e il 1926, emanati dal Ministro della Difesa della Repubblica Sociale Italiana, Rodolfo Graziani, per la costituzione del nuovo Esercito della RSI. 

Il primo di questi bandi risale al 9 novembre 1943 e riguardava i giovani delle classi 1923, 1924 e 1925. Dei 180 000 richiamati alla leva da questo primo bando, solo 87.000 si presentarono, tutti gli altri disertarono e molti di loro fuggirono raggiungendo le formazioni partigiane. Il 18 febbraio 1944 un decreto di Mussolini sanciva la pena di morte mediante fucilazione  per i renitenti e i disertori. Questi bandi, tuttavia, ebbero scarso successo e anzi rafforzarono la resistenza partigiana clandestina, verso la quale furono attratti inevitabilmente i tanti renitenti in fuga dalla leva.

Come un ruvido panno passa sull'umanità, privandola di quelle differenziazioni sociali di cui la collettività stessa si nutre.

Rimane infine l'uomo, nella sua essenza. Nel bene e nel male.

Ecco allora che questa pagina rievocando i drammatici accadimenti della cosiddetta Battaglia di Allegrezze, rappresenta un vero monito per tutti: non lasciamo mai che la bestia che vive in ognuno di noi prenda il sopravvento.

Pensiamo al prof. Podestà, al canonico Moglia e al falegname Zaraboldi. Diversi per formazione e ruolo sociale, ma accomunati da quello che più conta: essere uomini.
Nell'accezione più sublime del termine.

Di Massimo Brizzolara

Chiavari 30 giugno 1946

Il sottoscritto dichiara che la sera del 27 agosto 1944 alle ore 17 circa, venne prelevato (arma alla mano) da due soldati accompagnati da due borghesi che erano stati prelevati in rastrellamento da una colonna di nazifascisti (gruppo Cadelo di esplorazione della Monte Rosa) ed invitato a recarsi ad Allegrezze d'Aveto per prestare soccorso medico a feriti nel combattimento in corso con un gruppo di partigiani che aveva aggredito la colonna stessa.
Il sottoscritto era a La Villa d'Aveto dove aveva la propria famiglia sfollata e da pochi giorni era venuto a visitarla. Il sottoscritto si fece accompagnare dal figlio del suo padrone di casa sig. Zaraboldi Costantino ed insieme ai militari e borghesi suddetti si recò ad Allegrezze che dista circa 1 Km.


Ferveva sempre il combattimento, ivi giunto trovò il parroco Don Primo Moglia dal quale apprese che lui stesso era stato preso in ostaggio dal comandante della colonna dei nazifascisti e che mentre veniva condotto a S. Stefano d'Aveto con la stessa, aveva inizio un fiero combattimento con i partigiani, per cui la colonna stessa era stata decimata ed aveva dovuto retrocedere.

Il parroco Don Primo allora aveva disposto il raccoglimento dei feriti e dei morti, improvvisando in casa sua (canonica) l'infermeria. Infatti io trovai nei vari letti e stanze, una quantità di feriti più gravi. Pregai il parroco di disporre in modo che mi si aprisse la scuola di fronte alla sua canonica per poter medicare e ricoverare anche altri feriti che via via affluivano portati dai borghesi. Posso attestare che la popolazione di Allegrezze guidata dal suo parroco fece miracoli in quella sera e in tutta la notte successiva, mettendo a disposizione i pagliericci e la biancheria occorrente a medicare e ricoverare ben 37 feriti gravi e a portare al cimitero sette morti.


Furono tutti medicati dal sottoscritto con l'aiuto della popolazione e in modo speciale dal parroco e da una donna che era stata presa in ostaggio certa Caprini Maria.

Nella notte stessa, con l'aiuto dell'interprete tedesco P. Tomas Ruckert, il sottoscritto potè tenere dal tenente tedesco delle SS che apparteneva al Comando della colonna stessa, la promessa su parola d'onore dello stesso, di liberare all'alba gli ostaggi presi e tra questi il parroco Don Primo Moglia ed il giovane sacerdote Giovanni Barattini di Alpicella.

Tutto ciò in premio dell'opera veramente encomiabile prestata da Don Primo e dalla popolazione della sua parrocchia da lui guidata. Infatti, all'alba del giorno dopo, prima di partire io stesso recandomi alla sua abitazione mi accertai personalmente che tale liberazione fosse mantenuta.

ALLEGREZZE BRUCIA

29 AGOSTO 1944

Purtroppo, il giorno appresso venne bruciato il paese, su ordine di un militare italiano Maggiore Cadelo che comandava la colonna.

Infrangendo la parola d'onore con il sottoscritto impegnata in proposito dal Tenente tedesco delle SS a lui in sott'ordine, mentre al mattino del 29 agosto 1944 il parroco Don Primo Moglia celebrava la messa per la festa della Madonna della Guardia presente tutti i suoi parrocchiani, faceva circondare il paese e appiccare il fuoco a tutte le abitazioni della frazione impedendo ai parrocchiani di altre frazioni di accorrere in aiuto per spegnere gli incendi. La chiesa fu salva soltanto perchè il parroco si era adoperato come già detto per i feriti. Così anche la scuola, la canonica e la stessa sua vita.


Giorni dopo assieme al parroco Don Primo Moglia, al becchino e al figlio del mio padrone di casa sig. Costantino Zaraboldi, per mia iniziativa ci recammo in località "La Cava" per raccogliere il cadavere del partigiano Berto, che su ordine del su menzionato Maggiore Cadelo, era stato lasciato sulla strada con minaccia per chi lo avesse toccato e gli demmo onorata sepoltura.

 La bara fu fabbricata dallo stesso Costante Zaraboldi gratuitamente.
Un mese dopo circa, tanto il sottoscritto (che aveva rimesso di proprio tutta la medicazione dei feriti stessi) che il Zaraboldi e il padre suo, vennero arrestati assieme al parroco di S. Stefano d'Aveto ed al parroco di Pievetta sotto l'accusa di collaborazione con i partigiani e non vennero fucilati insieme ad altri otto disgraziati del luogo, solo perché nel frattempo il Maggiore Cadelo (che aveva dato ordine di fucilazione) venne ucciso in imboscata dai partigiani.

 

In fede di quanto sopra firmato Dott. Prof. Vittorio Podestà *

* Medico Chirurgo Radiologo - Docente nella Regia Università di Genova - Perito Medico Giudiziario

 

I due partigiani: BRIZZOLARA ANDREA di Villanoce e SILVIO SOLIMANO “BERTO” di Santa Margherita Ligure caddero combattendo contro i nazifascisti ad Allegrezze il 27 Agosto 1944.

 

Albino Badinelli – L’Arcivescovo di Chiavari, incontra la sorella del carabiniere martire.

http://www.ordinariatomilitare.it/2021/04/28/albino-badinelli-larcivescovo-a-chiavari-incontra-la-sorella-del-carabiniere-martire/

 

TESTIMONIANZE RACCOLTE PRESSO I PARENTI DI

ALBINO BADINELLI

 

IL CIMITERO DI ALLEGREZZE

Due giganteschi alberi di SEQUOIA fanno da guardiani e custodiscono la memoria per sempre

Anni Ottanta dell’Ottocento, epoca della messa a dimora da parte di Agostino Zanaboldi, figlio di immigrati liguri negli Stati Uniti, che ritornò da New York con due piantine di sequoia….

 

 

Concludo con alcune riflessioni personali:

I carabinieri avevano due compiti principali:

di polizia, tutela della sicurezza della popolazione italiana - di militari nelle Forze Armate, avevano giurato fedeltà al re e non al fascismo.

Domenica 25 luglio 1943 ore 17.00

Tra coloro che si occupano dell'arresto di Mussolini: i carabinieri Giovanni Frignani e Raffaele Aversa saranno tra gli uccisi alle cave Ardeatine.

Per questo motivo i nazifascisti non si fideranno mai dei carabinieri.

La situazione diventa estremamente difficile per l’Arma Regia dopo l’8 settembre 1943, quando il Re abbandona la capitale e l’Arma dei Carabinieri riceve l’ordine di rimanere sul posto per mantenere l’ordine pubblico e collaborare con l’occupante.

Viene chiesta loro la “fedeltà a Salò” e da quel momento iniziano le diserzioni, le deportazioni e gli arruolamenti presso le unità partigiane.

In questo drammatico quadro storico avviene la fucilazione di Salvo D’Acquisto seppure innocente e riconosciuto tale dal comando tedesco.

Il suo gesto eroico salva la vita a 22 ostaggi presi nei dintorni quando tutti sapevano che la causa della morte di due militari tedeschi era dovuta ad una esplosione da loro stessi provocata. Gli ostaggi furono liberati ma i tedeschi ottennero il loro scopo: creare panico e terrore tra la popolazione.

A guerra finita i numeri ci spiegheranno meglio di tante parole il SACRIFICIO dei Carabinieri:

2.735 ……….. caduti

6.521 …………feriti

0ltre 5.000 deportati in Germania

Nel 2001 Papa Giovanni Paolo II, in un discorso rivolto ai Carabinieri disse:

La storia dell’Arma dimostra che si può raggiungere la vetta della SANTITA’ nell’adempimento fedele e generoso verso il proprio STATO.

SALVO D’ACQUISTO:

Nascita:

Napoli, 15 ottobre 1920

Morte:

23-settembre-1943
Località Torre Perla di Palidoro, nella frazione di Palidoro, nel comune di Roma  (oggi-Fiumicino).

ALBINO BADINELLI:

Nascita:

Allegrezze, 6 marzo 1920

Morte:

2 settembre 1944

Santo Stefano D’Aveto

Tra questi due GIGANTI dello SPIRITO DI SERVIZIO è difficile trovare persino le più sottili differenze caratteriali e comportamentali.

Entrambi si presentarono spontaneamente davanti ai loro carnefici esibendo ciascuno il PROPRIO ONORE MILITARE, QUEL VALORE che non trovarono sia nel Comando Tedesco di Roma sia in quello Nazifascista della Liguria montana.

Rimane soltanto da aggiungere qualcosa sull’enfasi, la pubblicità dei media, del cinema e della politica data al tragico evento riferito al povero Salvo D’ACQUISTO ed il lunghissimo SILENZIO dedicato al NOSTRO carabiniere Albino BADINELLI.

Gli storici “sopra le parti” affermano che la politica non nobilita mai certi fatti… ma che è soltanto capace di MITIZZARE la parte che più gli conviene.

Credo si riferiscano all’azione compiuta dai Gruppi di Azione Patriottica il 23 marzo 1944 quando attaccarono una colonna del battaglione di polizia tedesca Bozen in via Rasella a Roma provocando la morte di 26 soldati austriaci, fatto che fece scattare immediatamente la “rappresaglia nazista”.

Nessuno degli autori di quella strage si presentò per autodenunciarsi al Comando tedesco e, com’è noto, la conseguenza fu la seguente: il giorno dopo, il 24 marzo 1944 un plotone tedesco, comandato da Herbert Kappler giustiziò 335 italiani “incolpevoli” alle Fosse Ardeatine

Un massacro tra i più efferati della storia della Seconda guerra mondiale.

Una giustificazione per i responsabili dell’eccidio di Via Rasella esiste in ogni caso: Kappler, per ordine perentorio dello stesso Hitler, fu obbligato a eseguire la strage in tempi brevissimi, motivo per cui non ci sarebbe stato il tempo materiale per mettere a punto una qualsiasi strategia tesa ad evitare la morte di quei poveri Martiri delle Fosse Ardeatine.

                 Tutto comprensibile! Ma per i nostri due VALOROSI Carabinieri:

SALVO D’ACQUISTO E ALBINO BADINELLI

A IMITAZIONE DI CRISTO

bastarono pochi minuti per autodenunciarsi, salire sul patibolo e morire per salvare degli innocenti.

Carlo GATTI

Rapallo, 3 Agosto 2022


IL MARINAIO DI UN TEMPO CHE FU...

IL MARINAIO DI UN TEMPO CHE FU …

Vita di bordo

Porto di Savona – MONUMENTO AL MARINAIO

 

 

I FERRI DEL MESTIERE

Il marinaio di un tempo teneva una varietà di piccoli attrezzi e oggetti personali. La maggior parte di questi strumenti erano primitivi ma altamente funzionali - anche piuttosto belli - e spesso realizzati dallo stesso individuo che li usava.

 

 

 

 

 

MUSEO MARINARO TOMMASSINO ANDREATTA DI CHIAVARI

 

Guardamano per cucire le vele

Italia, primi del ’900

Dimensioni: cm 12×7

Materiali: tela olona e ferro

Donazione Elio Costanzo

M.M.T.A. – Invent. n. 218

Apparteneva al nostromo Andrea Schiaffino.

 

Veniva indossato per proteggere la mano durante la cucitura delle vele. Con la parte metallica veniva spinto l’ago per bucare la tela.

Punteruoli, caviglie, cavigliere, aghi da velaio, pece, bobine di filo per vele

 

Caviglia è anche il cavicchio conico con cui si divaricano i legnoli, ossia gli elementi ritorti dei quali è costituita una cima, per farvi giunte o gasse impiombate.

 

TENDI COMANDO  dell’autore

 

 

Sacchetti porta utensili in tela olona

 

REPERTI DI CALAFATO - dell’autore

Il calafato, o maestro calafato, è un operaio specializzato, o altra figura specializzata, che fa parte delle maestranze impiegate nelle costruzioni navali e nelle manutenzioni nautiche. Il calafato si occupa di calafatare le navi o, più in genere, le imbarcazioni in legno, con cadenza periodica, o qualora si rendesse necessario.

Sulle imbarcazioni di dimensioni maggiori, il calafato poteva essere imbarcato a bordo insieme ad un maestro d’ascia, mentre le imbarcazioni di dimensioni minori facevano riferimento a maestri d'ascia o maestri calafati che operavano a terra.

L'opera del calafato è un lavoro difficile e di precisione, tanto che anticamente ci volevano 8 anni di apprendistato per diventare maestro calafato mentre ne bastavano 5 per diventare maestro d’ascia.

Purtroppo di queste maestranze storiche, altamente qualificate, se ne trovano pochi nei cantieri navali più longevi d’Italia, essendo un mestiere di tramando generazionale che va via via scomparendo.

 

Gli attrezzi del Maestro d’ascia e del Calafato non hanno età

Soltanto visitando i Musei Marinari possiamo “gustarne” tutte le varianti tenendo presente che ogni Mastro d’ascia, così come il Calafato, costruiva i suoi attrezzi a misura dei propri arti: spalla, braccio, gomito, avambraccio, polso e mano.

 

GLI ATTREZZI DEL CALAFATO

MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA - CHIAVARI

 

 

Asce, pialle, seghe, verine, raspe, magli, scalpelli … per ricordare quelli dai nomi risaputi che, basta citarli, richiamano le loro forme. “Sono di tutte le dimensioni, a misura di ogni intervento (anche per quelli in spazi angusti) e di ogni… braccia. Sì, perché a seconda della loro diversa stazza, a cominciare dalla lunghezza delle braccia, maestri d’ascia e calafati si costruivano l’attrezzo specifico, di cui erano gelosi”, racconta Giorgio, ultimo dei maestri d’ascia rapallini, che ne puntualizza il valore: “Ogni attrezzo corrisponde ad un antenato, che qui continua idealmente a vivere … questi attrezzi sono intrisi del suo sudore, del suo sangue, del suo pensiero …” Ecco spiegata la sacralità del luogo!

 

 

CALDARO DA PECE

 

MARMOTTA

 

Gli attrezzi del calafato sono il maglio, martello di legno a due teste rinforzato da cerchi di metallo; la mazzola più corta e tozza; vari ferri tipo scalpelli di diverse dimensioni, privi di affilatura ma con il bordo piatto, alcuni con scanalatura, per non recidere la treccia, chiamati palelle o calcastoppa.

 

GLI ATTREZZI DEL MAESTRO D’ASCIA

MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA – CHIAVARI

Il maestro d’ascia é un professionista le cui origini affondano nell’antichità più remota. Purtroppo di questi mitici personaggi, a metà tra l’artigiano e l’artista, ne rimangono pochi e sono introvabili. Costruire uno scafo preciso al millimetro presuppone anni di fatica e tanto amore per la costruzione navale. Esperienza, perizia e competenza sono tutti elementi che maturano nel corso del tempo, sotto la guida di maestri d’ascia più anziani, spesso nonni e padri che tramandano l’abilità nell’adoperare l’ascia da una generazione all’altra.

 

 

Un po' di letteratura...

IL VECCHIO E IL MARE

ERNEST HEMINGWAY

Tutto in lui era vecchio, tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti.

 

CHARLES BAUDELAIRE

Umo libero, tu amerai sempre il mare! E’ il tuo specchio il mare! Contempli la tua anima nell’infinito svolgersi della sua onda e non è meno amaro l’abisso del tuo spirito.

 

JOSEPH CONRAD

Il mare non è mai stato amico dell'uomo. Tutt'al più è stato complice della sua irrequietezza.

 

ANONIMO

POESIA ANTICA

Vuga t'è da vugâ prexuné

E spuncia spuncia u remu fin au pë.

Vuga t'è da vugâ turtaiéu

E tia tia u remmu fin a u cheu...

 

CONCLUDO

 

 

A scuola ero incazzato nero perché dovevo studiare lavagnate di formule trigonometriche ...  

Era il mio primo viaggio e, superato l’Atlantico quel giorno, con incredibile precisione, mi trovai davanti a New York!

Mi emozionai alla vista della grande MELA con i suoi grattacieli, ma ancor di più quando mi resi conto che quelle “bagasce" di formule analitiche antiche non le avevo studiate invano…

Carlo GATTI

Rapallo, 4.8.2022


LUPO DI MARE

LUPO DI MARE

Navigando qua e là sul web….

LUPO DI MARE: il termine lupo di mare a bordo degli antichi velieri di un tempo era affibbiato al NOSTROMO, il marinaio più anziano, rozzo ma molto autorevole. Abile e coraggioso, era temuto per la sua austerità e capacità di comando della ciurma. Era certamente il più esperto tra i marinai di bordo e colui che sentiva e vedeva tutto, non era sensibile alle lodi e alle critiche. Prendeva molto dal carattere e dall’aspetto dell’animale lupo e, come questo, accomunava in sé la forza e la determinazione.

LUPI DI MARE

Qualcuno sostiene che il “detto” nacque negli ambenti marinari degli angiporti. In questo caso la bocca del lupo era una specie di lavagna dove i capitani che arrivavano alla Giudecca (VE) registravano il loro arrivo e la quantità di uomini e merci portati a casa. L’espressione significava quindi augurare di fare una buona navigazione e di tornare salvi in porto. In Bocca al Lupo - che il Dio del mare ti ascolti”.

 Il STV Enzino GAGGERO ci ha donato la

C’è anche un’altra versione più realistica:

Nei mari della Groenlandia il “lupo di mare” è un pesce comune

Questa espressione si usa con significato solo leggermente differente. Infatti serve per indicare un marinaio che ha molti anni di esperienza in fatto di navigazione, e proprio per questo gode di rispetto tra i suoi colleghi.......

Viene usato come AUGURIO:

“Buon vento a tutti coloro che oggi possono spiegare le vele"!

 

Ecco tre foto del pesce nordico LUPO DI MARE

In francese:  Loup de mer 

In inglese:   sea dog

In tedesco:  sea wolf= Der Seewolf

In spagnolo: Lobo marino

In svedese:   Havsvarg

Ancora un esempio del termine marinaro

 BOCCA DI LUPO (nodo)

La bocca di lupo era conosciuto fin dal Primo Secolo dal medico greco Heraklas, che lo descrisse in una monografia dedicata ai nodi ad uso chirurgico.

Perché si dice in bocca al lupo?

 

Numerose sono le interpretazioni di questo modo di dire dalla valenza scaramantica, dal folklore, all’etologia, passando per la storia di Roma.

Il lupo, l’abbiamo già detto, è un archetipo più che un animale. Nel corso della storia numerose sono state le “visioni” di questo animale, nella tradizione medioevale era visto come l’incarnazione del pericolo e del male, nelle antiche tradizioni nordiche evocava invece conoscenza e rivelazioni epifaniche. In letteratura l'epifania è, secondo Joyce, un'improvvisa rivelazione spirituale, causata da un gesto, un oggetto, una situazione della quotidianità, forse banali, ma che rivelano inaspettatamente qualcosa di più profondo e significativo.

Numerose sono le interpretazioni del proverbio “in bocca al lupo”. Espressioni simili si ritrovano anche in altre lingue europee.

Oggi, dopo aver rischiato l’estinzione negli anni Settanta, il lupo è tornato, scende in collina e spesso si fa anche fotografare. Purtroppo stiamo assistendo ad un nuovo tentativo di demonizzare questo elusivo e prezioso predatore. Il lupo è così radicato nella nostra cultura che è presente anche in numerosi proverbi e modi di dire. Su tutti l’augurio in bocca al lupo, ma cosa significa veramente? Ecco alcune interpretazioni di questa locuzione.

 

Funzione apotropaica

L’interpretazione più accreditata dell’origine del detto è quella della funzione apotropaica (ovvero una formula che allontana o annulla un’influenza maligna) della locuzione, “capace di allontanare lo scongiuro per la sua carica di magia”, sostiene l’Accademia della Crusca. Questa versione prevede la risposta: “crepi”, sottintendendo il lupo, e sarebbe nata come frase di augurio rivolta a chi si appresta ad affrontare una prova difficile. L’origine dell’augurio viene attribuita sia a pastori e allevatori, che consideravano il lupo un nemico, sia ai cacciatori, che vagavano di villaggio in villaggio mostrando carcasse di lupi e pretendendo una ricompensa per il servizio reso.

La lupa di Romolo e Remo

Questa spiegazione si basa sul simbolo della città eterna, la lupa che ha salvato Romolo e Remo nella storia dell’origine di Roma. I gemelli, figli del dio Marte e della vestale Rea Silvia, vengono allattati dalla lupa che salva loro la vita, il senso dell’augurio cambia dunque radicalmente e il lupo diviene sinonimo di protezione. La risposta “crepi” non avrebbe pertanto senso.

Al sicuro nella bocca di mamma lupa

Questa, anche se può essere storicamente inesatta, è probabilmente l’interpretazione più romantica. Il significato è simile alla spiegazione precedente e propone una lettura etologica del proverbio. Mamma lupa è solita trasportare i propri cuccioli in bocca in caso di pericolo, in una situazione così non c’è posto più sicuro della bocca del lupo, augurare quindi a qualcuno di trovarsi tra le fauci di questo animale è un modo per auspicare che sia protetto. In questo caso la risposta non è “crepi”, ma un più pacifico “lunga vita al lupo”, o “evviva il lupo” o “grazie”.

 “Lupo di mare” nei testi

The Dubliners - la Irish Rover

ma presto il tormento dovra’ finire;
dell’amore di una donna non ha mai paura
il vecchio lupo di mare della Irish Rover

Giuseppe Ungaretti - Allegria di naufragi

dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.

Đorđe Balašević - Il marinaio della Pannonia

o meglio come capitan Cook
In questa piana tra i campi perdo la speranza
un lupo di mare arenato in un campo di grano

Joan Manuel Serrat - Incubi per telenovele

che gli sorrideva ad un palmo dal naso
e gli offriva una tazza di caffè
con la voce di un lupo di mare gli diceva:
“Loro hanno dormito bene, signora, signore?

Marco Sbarbati - La mia casa alla fine del mondo

Fra le tue dita si posa l'estate
Chiedimi ancora se so dove andare
Fammi sentire un lupo di mare
Meglio seguire la stella polare

Le Piccole Ore - Piccola strega

Ti sei aggrappata al mio cuore
Credevo di esser forte ed insensibile
Un vecchio lupo di mare

El Presi - Pescatori Asturiani

Lastres, Guijón, Avilés y Tapia de Casariego.

Soltanto un lupo di mare
sopporta la solitudine

Massaroni Pianoforti - Lupo di mare

Hai il dono raro di una bellezza elegante
Perfino se indossi un berretto discutibile da marinaio
Quando mi hai detto "Lupo di mare"
La tua promessa è come una stella da guardare e mai seguire

 

 

Non avete udito mai parlare di mastro Catrame? No?…

Allora vi dirò quanto so di questo marinaio d’antico stampo, che godette molta popolarità nella nostra marina: ma non troppe cose, poiché, quantunque lo abbia veduto coi miei occhi, abbia navigato molto tempo in sua compagnia e vuotato insieme con lui non poche bottiglie di quel vecchio e autentico Cipro che egli amava tanto, non ho mai saputo il suo vero nome, né in quale città o borgata della nostra penisola o delle nostre isole egli fosse nato.

Era, come dissi, un marinaio d’antico stampo, degno di figurare a fianco di quei famosi navigatori normanni che scorrazzarono per sì lunghi anni l’Atlantico, avidi di emozioni e di tempeste, che si spinsero dalle gelide coste dei mari del nord fino a quelle miti del mezzogiorno, che colonizzarono la nebbiosa Islanda e conquistarono il lontano Labrador, quattro o forse cinquecento anni prima che il nostro grande Colombo mettesse piede sulle ridenti isole del golfo messicano.

Quanti anni aveva mastro Catrame? Nessuno lo sapeva, perché tutti l’avevano conosciuto sempre vecchio. È certo però che molti giovedì dovevano pesare sul suo groppone, giacché egli aveva la barba bianca, i capelli radi, il viso rugoso, incartapecorito, cotto e ricotto dal sole, dall’aria marina e dalla salsedine. Ma non era curvo, no, quel vecchio lupo di mare!

Procedeva, è vero, di traverso come i gamberi, si dondolava tutto, anche quando il vascello era fermo e il mare perfettamente tranquillo, come se avesse indosso la tarantola, tanta era in lui l’abitudine del rollio e del beccheggio; ma camminava ritto, e quando passava dinanzi al capitano o agli ufficiali teneva alto il capo come un giovinotto, e da quegli occhietti d’un grigio ferro, che pareva fossero lì lì per chiudersi per sempre, sprizzava un bagliore come di lampo. Ma che orsaccio era quel mastro Catrame! Ruvido come un guanto di ferro, brutale talvolta, quantunque in fondo non fosse cattivo: poi superstizioso come tutti i vecchi marinai, e credeva ai vascelli fantasmi, alle sirene, agli spiriti marini, ai folletti, ed era avarissimo di parole. Pareva che faticasse a far udire la sua voce, si spiegava quasi sempre a monosillabi e a cenni, non amava perciò la compagnia e preferiva vivere in fondo alla tenebrosa cala, dalla quale non usciva che a malincuore. Si sarebbe detto che la luce del sole gli faceva male e che non poteva vivere lontano dall’odore acuto del catrame, e forse per questo gli avevano imposto quel nomignolo, che poi doveva, col tempo, diventare il suo vero nome.

Chi aveva mai veduto quell’uomo scendere in un porto? Nessuno senza dubbio. Aveva un terrore istintivo per la terra, e quando la nave si avvicinava alla spiaggia, lo si vedeva accigliato, lo si udiva brontolare, e poi spariva e andava a rintanarsi in fondo del legno. Di là nessuno poteva trarlo; guai anzi a provarsi! Mastro Catrame montava allora in bestia, alzava le braccia e quelle manacce callose, incatramate, dure come il ferro e irte di nodi, piombavano con sordo scricchiolio sulle spalle dell’imprudente, e i mozzi di bordo sapevano se pesavano!

Per tutto il tempo che la nave rimaneva in porto, mastro Catrame non compariva più in coperta. Accovacciato in fondo alla cala, passava il tempo a sgretolare biscotti con quei suoi denti lunghi e gialli, ma solidi quanto quelli del cignale, a tracannare con visibile soddisfazione un buon numero di bottiglie di vecchio Cipro, alle quali spezzava il collo per far più presto, e a consumare non so quanti pacchetti di tabacco.

Quando però udiva le catene contorcersi nelle cubìe e attorno all’argano, e lo sbattere delle vele e il cigolare delle manovre correnti entro i rugosi bozzelli, si vedeva la sua testaccia apparire a poco a poco a fior del boccaporto e, dopo essersi assicurato che la nave stava per ritornare in alto mare, compariva in coperta a comandare la manovra.

Sembrava allora un altro uomo, tanto che si sarebbe detto che invecchiava di mano in mano che si avvicinava alla terra e che ringiovaniva di mano in mano che se ne allontanava per tornare sul mare. Forse per questo si sussurrava fra i giovani marinai che egli fosse uno spirito del mare e che doveva esser nato durante una notte tempestosa da un tritone e da una sirena, poiché quello strano vecchio pareva si divertisse quando imperversavano gli uragani, e dimostrava una gioia maligna che sempre più cresceva, allora che più impallidivano dallo spavento i volti dei suoi compagni di viaggio.

Da che cosa provenisse quell’odio profondo che mastro Catrame nutriva per la terra? Nessuno lo sapeva, e io non più degli altri, quantunque mi fossi più volte provato ad interrogarlo. Egli si era contentato di guardarmi fisso fisso e di voltarmi bruscamente le spalle, dopo però avermi fatto il saluto d’obbligo, poiché mastro Catrame era un rigido osservatore della disciplina di bordo.

Del resto tutti lo lasciavano in pace, mai lo interrogavano, poiché lo temevano e sapevano per esperienza che aveva la mano sempre pronta ad appioppare un sonoro scapaccione, malgrado l’età, e qualche volta anche faceva provare la punta del suo stivale. Gli uni lo rispettavano per l’età, gli altri per paura.

Lo stesso capitano lo lasciava fare quello che voleva, sapendo che in fatto di abilità marinaresca non aveva l’eguale, che poteva contare su di lui come su d’un cane affezionato, sebbene ringhioso, e che valeva a far stare a dovere l’equipaggio anche con una sola occhiata, né mancava mai al suo servizio.
Una sera però, mentre dai porti del Mar Rosso navigavamo verso i mari dell’India, mastro Catrame, contrariamente al solito, commise una mancanza che fece epoca a bordo del nostro veliero: fu trovato nientemeno che ubriaco fradicio in fondo alla cala!… Come mai quell’orso, che da tanti anni aveva dato un addio ai forti liquori che tanto piacciono ai marinai e che mai una volta si era veduto barcollare pel soverchio bere, si era ubriacato? Il caso era grave; ci doveva entrare qualche gran motivo, e il nostro capitano, che voleva veder chiaro in tutto, ordinò un’inchiesta, su per giù come fanno le nostre autorità quando accade qualche grosso avvenimento.

E la nostra inchiesta approdò a buon porto, poiché si constatò con tutta precisione che mastro Catrame si era ubriacato per errore! Qualche burlone aveva mescolato fra le bottiglie di Cipro una di rhum più o meno autentico, e il vecchio lupo l’aveva tracannata tutta senza nemmeno accorgersi della sostituzione.

Un mastro che si ubriaca durante la navigazione non la può passar liscia, e tanto meno doveva passarla mastro Catrame, che era così rigido osservatore delle discipline marinaresche. Quale brutto esempio, se lo si fosse graziato!

Il capitano con tutta serietà ordinò che si portasse il colpevole sul ponte appena l’ebrezza fosse passata, e avvertì l’equipaggio di tenersi pronto per un consiglio straordinario. Dopo due ore mastro Catrame, ancora stordito da quella abbondante libazione, che avrebbe potuto riuscire fatale a uno stomaco meno corazzato, compariva in coperta torvo, accigliato, coi peli del volto irti. I suoi occhietti correvano dall’uno all’altro marinaio, come se volessero scoprire il colpevole di quella brutta gherminella.

Il capitano, appena lo vide, gli andò incontro, lo prese ruvidamente per un braccio e lo fece sedere su di un barile che era stato collocato ai piedi dell’albero maestro. Con un cenno fece radunare attorno al colpevole l’equipaggio, poi, affettando una gran collera che non provava e facendo la voce grossa per darsi maggior importanza, disse:

– Papà Catrame, – lo chiamava così, – sapete che i regolamenti di bordo condannano il marinaio che si ubriaca durante il servizio?

Il lupo di mare fece un cenno affermativo e barbugliò un “fate”.

– Quest’uomo è colpevole? – chiese il capitano, volgendosi verso l’equipaggio, che rideva sotto i baffi, sapendo già come doveva finire quella commedia.

– Sì, sì, – confermarono tutti.

– Se tu fossi più giovane, ti farei chiudere nella cabina coi ferri alle mani e ai piedi; ma sei troppo vecchio. Ebbene, io cambio la pena condannandoti a sciogliere quella lingua, che è sempre muta, per dodici sere.

– Orsù, papà Catrame, taglia i gherlini che la tengono legata, accendi la tua pipa e narraci dodici storie, le più belle che sai – e ne devi sapere, veh! – e tu, dispensiere, reca una bottiglia del più vecchio vino di Cipro che troverai nella mia cabina, onde la lingua del vecchio orso non si secchi. Avete capito?

Una salva d’applausi accolse le parole del capitano, a cui fece eco un sordo grugnito di mastro Catrame, non so poi se di contentezza per essere sfuggito ai ferri o di malcontento per dover sciogliere la lingua.

EMILIO SALGARI

[da Le novelle marinaresche di Mastro Catrame]

Concludo:

Non sono un Agente di Viaggi, tuttavia, essendo stato a Cipro due volte… in qualche modo mi sento di consigliare quella meta in particolar modo a chi ama la natura, la storia, l’archeologia, la religione e la buona cucina! Sarete sorpresi!

Il vino di Cipro, tra storia e leggenda

https://patatofriendly.com/vino-cipro-storia-leggenda/

AGGIUNGIAMO A QUESTA RICERCA I CONTRIBUTI  DEI NOSTRI AMICI E SOCI:

-  STV Enzo GAGGERO:

Mio padre (classe 1916) aveva fatto il servizio di leva nella Regia Marina, proprio a Venezia ed ero a conoscenza della lavagna Bocca di lupo e del suo significato nella marineria veneziana. 

Mi è gradito inviarti il simpatico "In bocca al lupo" che distribuiamo ai visitatori delle serate astronomiche.

 

Com.te Mario T. Palombo

… il tuo inserimento "LUPI DI MARE " mi ha fatto venire in mente mio padre che,  pur essendo un Padrone Marittimo e avendo comandato bastimenti a vela, a motore e fatto tanta gavetta, quando arrivava a Camogli e con il suo Nettuno entrava in porto con le mareggiate,  la gente rimaneva sbalordita per la sua abilità, sicurezza e coraggio. Un vero lupo di mare. 

Com.te Ernani Andreatta

NOSTROMO: "Uomo rozzo e buzzurro che con urla e fischi conduceva la ciurma all'arrembaggio, l'unica persona a cui era ammessa la bestemmia".

Questa è la descrizione storica del Nostromo, figura importantissima della Marineria sia militare che mercantile.

https://www.marinaiditalia.com/public/uploads/2012_7_30.pdf

Sub Giancarlo Boaretto

 

"… che bello leggere qualcosa sui lupi di mare, mi hai fatto ricordare di quando mi imbarcai per la prima volta, ma non come marinaio, bensì come sommozzatore, e dal 1968 al 1995 imbarchi ne ho fatto qualcuno... Non mi sono mai sentito un "lupo di Mare" come di fatto non lo ero, ma soltanto ospite in una piccola città galleggiante, dove non sempre eravamo ben visti dai marinai, perché moltissime volte stavamo a guardarli mentre loro sfacchinavano e quando la nave non era operativa in attesa di nuovi materiali inerenti la costruzione delle piattaforme petrolifere, noi andavamo a pescare in apnea attorno alla stessa; tornando al primo imbarco, io ero già un Lupo, ma di montagna."

La modestia di Gianca è nota! Ma noi conosciamo come pochi il suo lavoro di un tempo sui fondali freddi del Nord Europa per cui ritengo che in lui si sommino: due LUPI, quello di mare e quello di montagna.

 

Anch'io ho ancora qualcosa da aggiungere:

ATTACCO A BRANCO DI LUPI

L'U-190, che partecipò agli attacchi ai convogli HX 229 e SC-122

 Branco di lupi (Wolfsrudeltaktik in lingua tedesca) è il nome dato alla tattica di guerra sottomarina adottata dai sommergibili tedeschi nella Seconda guerra mondiale. 

La tattica del "branco di lupi" (Rudeltaktik) venne utilizzata per la prima volta nel settembre e nell'ottobre del 1940, con effetti devastanti. Il 21 settembre, il convoglio HX-72 di 42 navi mercantili venne attaccato da un gruppo di sottomarini, che affondarono 11 navi e ne danneggiarono due.

Scopo primario della tattica del "branco di lupi" era quello di rendere possibile un obiettivo nemico comune a più sommergibili. Lo sforzo tattico consisteva nel trovarsi a sopraffare il nemico in battaglia. Per questo il momento ideale per l'attacco comune era la notte, poiché in quel frangente l'U-Boot, che si trovava a sufficiente distanza dal convoglio al di sotto dell'orizzonte, a causa della sua stretta silhouette, era difficile da individuare da parte del nemico. L'attacco veniva incominciato da un U-Boot, che il nemico, idealmente costituito da più bersagli potenziali, non attaccava per non richiamare altri sommergibili. Un gruppo di U-Boo toperante con la tattica del "branco di lupi" poteva comportarsi in due modi diversi. Grazie alla segnalazione di un sommergibile di pattuglia o di un aereo, potevano venir comandati più sommergibili nella stessa zona di mare. Di gran lunga più frequentemente un tale gruppo di U-Boot però si raccoglieva "al tavolo verde" a seguito di avviso ufficiale: per esempio a seguito dell'informazione su un convoglio e del corrispondente ordine di recarvisi.

In caso di una tale ricerca di prede ogni U-Boot, a distanza di circa 8 miglia nautiche  uno dall'altro, "batteva" una determinata zona del mare. Quando uno di loro aveva individuato un convoglio nemico, avvertiva agli altri con un breve segnale di 20 caratteri, indicando tempo atmosferico, punto, rotta, velocità, numero di navi e scorta del convoglio, informandoli anche sulla disponibilità di carburante da parte sua. Queste informazioni venivano ripetute dall'U-Boot in questione ogni due ore e teneva così il contatto, mentre gli altri U-Boot accorrevano in direzione del convoglio.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 2 Agosto 2022


IL FARO ROMANO DI DUBRIS / DOVER IL CASTELLO DI DOVER

IL FARO ROMANO DI DUBRIS / DOVER

IL CASTELLO DI DOVER

DUBRIS-DOVER

Panoramica sul CASTELLO e sul FARO DI DOVER oggi

 

Dubris Pharos è un antico faro costruito dal governo della Britannia Romana nel II secolo d.C. sul Porto di Dubris, l’attuale città di Dover nel Kent, all’estuario del fiume Dour, il punto più adatto per l’attraversamento dello lo stretto della Manica (English Channel). Il faro di DUBRIS è il più alto edificio di epoca romana sopravvissuto nel Regno Unito ed è l’unico faro romano sopravvissuto al mondo.

Il Porto militare e mercantile di DUBRIS fu fortificato e presidiato dalla “Classis Britannica” (la flotta navale romana della provincia di Britannia) ed aveva il compito di pattugliare la Manica e il mare attorno alla Britannia, di trasportare uomini e mezzi e di mantenere le comunicazioni tra la provincia e il resto dell’Impero.  

Un po’ di Storia - FONTE:

(PDF) Cesare in Britannia – ResearchGate

 

I ROMANI chiamarono lo stretto Fretum Gallicum e lo attraversarono nell'agosto del 54 a.C.  sotto la guida di Giulio Cesare per intraprendere la conquista della Britannia. 

«Cesare riteneva molto utile partire per la Britannia, poiché capiva che di là giungevano ai nostri nemici aiuti in quasi tutte le guerre in Gallia; inoltre, anche se la stagione non bastava per le operazioni belliche, riteneva molto utile raggiungere almeno l’isola, vedere quale genere di uomini l’abitassero, rendersi conto dei luoghi, degli approdi, degli accessi, notizie quasi tutte sconosciute anche ai Galli.

L’isola offriva stagno argentifero, ferro, argento e tanto grano; tutte materie indispensabili per la

permanenza delle truppe da una parte all’altra della Manica.

I collegamenti col continente dovettero essere già normalmente assicurati da quei popoli (Belgi) che poco prima di Cesare invasero l’isola passando dallo stretto che collegava l’odierna Boulogne (foto sotto) alle coste della Canzia (Kent). Cesare ben sapeva dei rapporti stretti che univano alcune popolazioni della Gallia del nord e la Britannia e giustificò le proprie mire con la urgente esigenza di spezzare i legami tra le tribù britanniche e quelle galliche”.

Nel 55 a.C. Giulio Cesare, consigliato da Voluseno*, tentò di sbarcare a Dubris il cui porto naturale sembrava il più adatto allo sbarco, ma quando arrivò a poca distanza dalla spiaggia, trovò una brutta sorpresa: le numerose avanguardie britanniche erano appostate sulle le falesie ed erano “così vicine alla riva che i giavellotti potevano essere lanciati da loro verso chiunque avesse tentato lo sbarco”. Cesare cambiò subito strategia: attese “fino alla nona ora” (circa le 15:00) aspettando che le sue navi-rifornimento arrivassero dal secondo porto e poi ordinò ai suoi Comandanti di agire di propria iniziativa; quindi salpò con la flotta a circa sette miglia lungo la costa per una spiaggia aperta.

*Gaio Voluseno Quadrato (I secolo a.C. – …) è stato un ufficiale romano che servì nell’esercito di Cesare, prima durante la conquista della Gallia e poi durante la guerra civile contro Pompeo.

In questa immagine pittorica medievale è rappresentata la parte continentale (forse Boulogne) - Dover è sull’altra sponda.

In epoca romana DUBRIS divenne un importante porto militare, mercantile e cross-channel che, con Rutupiae – è uno dei due punti di partenza della strada più tardi nota come Watling Street. Dubris fu fortificato e presidiato inizialmente dalla Classis Britannica, e successivamente da truppe con sede in un Saxon Shore Fort.

Una piccola parte dei resti del FORTE è ora visibile, su richiesta, presso la Dover Library and Discovery Center, e una casa pubblica al largo di Market Square e prende il nome da Roman Quay.

I resti più estesi e pubblicamente accessibili si trovano presso la Roman Painted House, dove sono visibili parti della mansio, Saxon Shore Fort e Classis Britannica.

IL FARO ROMANO DI DUBRIS (DOVER) E’ L’EDIFICIO PIU’ ANTICO D’INGHILTERRA

I disegni riportati sotto sono basati sulle descrizioni ritrovate nei testi antichi; le foto dei ruderi testimoniano ancora oggi l’abilità degli architetti militari romani nel realizzare strutture adeguate al controllo di operazioni militari di sbarco, ma non c’è alcun dubbio sulla loro utilità per la navigazione ad uso mercantile in tempo di pace.

 

Nelle due foto sotto, ciò che rimane del FARO DI DOVER

 

IL CASTELLO DI DOVER

 

Il Castello di Dover, nel Kent, è famoso come “Key to England” a causa della sua importanza difensiva durante gli ultimi 2 millenni di storia. La rocca medievale risale all’XI secolo, ed è il più grande e importante castello d’Inghilterra. Il sito potrebbe esser stato fortificato già durante l’età del ferro, molto prima che i Romani attaccassero la Britannia (nel 43 dopo Cristo con l’Imperatore Claudio). Una datazione così antica è suggerita dalla forma dei terrapieni, insoliti per un castello di epoca medievale. Gli scavi archeologici suggeriscono attività antropiche nell’area del castello, ma non hanno ancora dato la certezza che queste siano poi state concluse con la costruzione di un qualche tipo di fortificazione.

Per gli amanti di questa materia propongo un riassunto della storia legata al celebre castello che abbraccia un lungo ed intenso periodo …

Fonte: STAMPA Press

21 miglia di distanza separano l’Europa dalla grande isola, ma in particolare da Dover, la chiave d’accesso all’Inghilterra, dove sono passate invasioni e attacchi e non a caso è stato eretto una dei più grandi castelli della Gran Bretagna.

Con oltre 1 km di mura, il castello di Dover ha difeso gli attacchi dai Francesi, contro Napoleone e infine dai tedeschi di Adolf Hitler, ma tutto ha inizio ai tempi dell’antica Roma, quando Giulio Cesare sbarca sulle coste della Britannia nel primo secolo a.C. nel punto in cui oggi c’è il castello erigono una grande struttura chiamata Faros, il suo scopo era guidare le navi romane sulla costa, dopo 2000 anni il faro è ancora in piedi.

La fortezza che ancora oggi è presente all’interno del castello di Dover fu costruita dal pronipote di Guglielmo il conquistatoreEnrico II, 30 anni di regno che hanno dato all’Inghilterra le basi. Enrico II costruì le mura con 14 torri e al centro la grande torre, maestoso e imponente il castello è anche un palazzo stupendo, al suo interno ci sono 2 sontuosi appartamenti dedicati agli ospiti ma soprattutto al re.

La cappella del castello di Dover

La cappella è situata al secondo piano, per accedervi bisogna percorrere un corridoio molto stretto, fu costruita da Enrico II, qui il re passava molto tempo venerando un grande Santo, Thomas Becket, la storia racconta che fu proprio Enrico II ad ordinare la sua uccisione.

Becket ed Enrico erano amici fino a quando Becket divento arcivescovo ed Enrico, gli ordino di imporre la legge reale sulla chiesa inglese, Becket si rifiutò e tra i due scatta l’inimicizia. Nel Dicembre del 1170 Becket viene assassinato mentre sta pregando nella cattedrale di Canterbury.

Becket viene fatto santo

L’intera Europa è sconvolta, dopo 2 anni Becket viene fatto santo, il re si pente e a piedi scalzi, vestito solo di sacco cammina fino a Canterbury, ordina agli 80 monaci di colpirlo 3 volte a testa con un bastone di legno, dopo si reca sulla tomba del santo pregando tutta la notte, da quel giorno la tomba del santo è meta di pellegrini.

Nel 1179 Luigi VII re di Francia ha il figlio molto malato e vuole venire a pregare sulle tomba di Becket, Enrico per la grande occasione vuole allestire un grande spettacolo, anche se Dover non è la sede più adatta per ricevere un nobile, decide di fare forti investimenti sul castello. In 10 anni il Re investe ingenti somme di denaro, l’obiettivo è impressionare ogni pellegrino che viene in visita al castello.

Dover la fortezza più sicura del medioevo

Enrico rende il castello di Dover la fortezza più grande e sicura di tutto il medioevo, fino all’arrivo nel 1199 del monarca più odiato di tutta la Bretagna, Giovanni re d’Inghilterra ricordato per le storie di Robin Hood, portò tutta la Gran Bretagna quasi alla distruzione.  Per capire cosa è veramente successo ci spostiamo nella cattedrale di Salisbury a circa 200 km da Dover, dove troviamo un documento importantissimo la Magna Carta, un trattato del 1215 tra i baroni ribelli e il re.

Giovanni era vendicativo e spietato, imponeva tasse altissime per finanziare guerre fallimentari, derubava la chiesa e dichiarò guerra ai baroni che si opponevano al suo modo di governare fino alla pace con la stesura del trattato, 63 leggi per mettere in riga il re, la più importante è la 61 che dichiara, in caso di non osservanza del trattato, 25 baroni avrebbero dichiarato guerra al re, esattamente quello che poi successe.

Giovanni si appella alla chiesa che gli da ragione, i baroni vengono scomunicati e scoppia la guerra civile, il principe Luigi di Francia viene in aiuto del popolo inglese, che in pochissimo tempo conquista LondraCanterbury e altre città, a questo punto il re d’Inghilterra si barrica nel castello di Dover, Luigi di Francia lo assedia attaccandolo con le catapulte, il castello non cede e il re di Francia cambia tattica, scavando dei tunnel nelle scogliere di gesso, sotto la fortezza, l’obiettivo è far cedere le fondamenta, ma quest’ultimi sono arrivati fino alla corte esterna del castello, aprendo un varco, gli inglesi hanno resistono cacciando all’esterno i francesi. Dopo tre mesi d’assedio Luigi negozia la pace, alcuni giorni dopo Giovanni muore di dissenteria.

Il castello di Dover viene ampliato

Il castello viene riparato e vengono ampliate le difese che vanno oltre le mura di cinta, negli anni a seguire viene fortificato e reso impenetrabile da diversi sovrani fino alla guerra di Francia contro Napoleone, Nel 1803 con un esercito di 130 mila uomini decide di attaccare l’Inghilterra.  il generale William Twiss dell’esercito inglese, rinforza il castello di Dover, aggiungendo una grande piattaforma rialzata sulla porta di nord, piazzole per i cannoni nelle mura esterne e infine rinforza il tetto della grande torre contro l’artiglieria pesante.

Contro un esercito così imponente Twiss si rende conto che occorre molto spazio per i soldati inglesi, gli viene in mente un’idea costruire dei tunnel per accoglierli, ma c’è ancora un punto debole, le scogliere. Twiss progetta un passaggio diretto che arriva ai piedi della scogliera, un imponente scala larga 8 metri per 55 di profondità, geniale nella sua progettazione possiede 3 scalinate, un passaggio veloce per i soldati che dovevano arrivare alla spiaggia, per spostare 1000 uomini bastavo 12 minuti e mezzo.

Dopo tutti questi accorgimenti, Napoleone fu bloccato dalla marina reale annullando l’invasione, nel 1820 i francesi iniziano a scavare un tunnel sotto la Manica, anche se poi venne interrotto per problemi di sicurezza nazionale.

Il castello di Dover nella Seconda guerra mondiale

Per 130 anni il castello rimane tranquillo fino al 1940 con l’arrivo della Seconda guerra mondiale, 400.000 soldati inglesi vengono circondati dalle truppe tedesche sulle coste della Francia, oltre 800.000 uomini comandati da Hitler sferreranno il colpo di grazia.

Winston Churchill vuole salvare i soldati inglesi e incarica il vice ammiraglio Ramsay di portare avanti questa operazione che sarà chiamata Dynamo, il luogo di comando ricade sul castello di Dover, l’obiettivo è evacuare nel più breve tempo possibile la costa francese di Dunkerque con una flotta di cacciatorpediniere e navi per trasporto truppe, in soli 6 giorni dai sotterranei del castello viene pianificato il piano di recupero del maggior numero di soldati, la speranza è salvarne 30/45 mila.

Ramsay ordina l’inizio dell’operazione Dynamo, le navi inglesi ancorano allargo della costa francese e trasportano i soldati in salvo, dopo 3 giorni oltre 70.000 uomini tornano a casa, non contento Ramsay lancia un SOS a tutte le imbarcazioni private, riesce a radunare oltre 700 barche tra Yatch, motoscafi e traghetti, il 28 maggio fanno tutti rotta su Dunkerque, un’idea vincente, perché questi natanti potevano raggiungere la spiaggia e portare sulla navi i superstiti, il 4 Giugno l’operazione si conclude con il salvataggio di 338.226 uomini.

Il castello di Dover diventa la prima linea delle difese inglesi, Ramsay decide di ampliare i tunnel con la costruzione di alloggi, sale operative e ospedali, una grande centrale operativa per il lancio del D-Day.

Ramsay muore in un incidente aereo nel Gennaio del 1945, oggi è ricordato per il grande contributo dato all’Inghilterra.

Il castello di Dover rifugio antiatomico

Dopo la guerra i tunnel del castello vengono trasformati in rifugi antiatomici, causa la guerra fredda, la Gran Bretagna viene divisa in 12 regioni con sedi governative, Dover è una di queste e in caso di attacco nucleare doveva accogliere 300 funzionari miliari.

 Visitare il castello di Dover

Il castello di Dover oggi è un monumento nazionale ed è possibile visitarlo.

Orari del Castello di Dover

Si consiglia di informarsi sugli orari perché sono soggetti a variazione.

Il prezzo dei biglietto del castello

Adulti : £17.50

Bambini 5-15 anni: £10.50

Studenti e over 60: £15.80

Famiglie composte da 2 adulti più 3 bambini: £45.50

Come arrivare al Castello di Dover

E possibile arrivare in treno con fermata a Dover Pryory

In BUS con i numeri 15, 15X, 80, 80A, 93

Il fantasma del castello di Dover

Bufala o realtà? In rete gira un video che riprende un fantasma che attraversa la strada, il cineamatore che ha ripreso l’evento pubblicandolo su youtube, ha dichiarato ”non è assolutamente un falso, non ho le capacità per creare questo tipo d’effetti”. Nel video si vede un’ombra nera che passeggia di fronte all’ingresso del castello, anche la guardia presente al momento del fatto si è insospettita, fornendo al video ancora più credibilità, purtroppo rimane comunque il dubbio se il video sia vero o sia stato costruito a tavolino.

Se fosse vero non mi stupirei, come tutti i castelli che si rispettano la presenza di un fantasma è doverosa in particolare al castello di Dover.

Facciamo un salto nel presente …

OGGI

Stretto di Dover o Passo di Calais

Faro di South Foreland sulle scogliere di Dover, East Kent, Regno Unito

Dimensioni

Larghezza: 33,3 Km - Profondità max: 55 mt – Media 30 mt

Lo stretto di Dover, o passo di Calais (in inglese Strait of Dover o Dover Strait; in francese Pas de Calais), è il punto del Canale della Manica che costituisce la distanza più breve tra l’Europa continentale e la Gran Bretagna e, amministrativamente, tra la Francia ed il Regno Unito.

Descrizione

Lo stretto è posto all'estremità orientale del canale della Manica. Ha una ampiezza minima di circa 32 km misurata dal promontorio di South Foreland, posto a circa 6 km a nord-est di Dover in Inghilterra, al promontorio di Cap Gris-Nez, posto a circa 20 km a sud-ovest di Calais in Francia. I fondali sono profondi poche decine di metri.

 

Vie di comunicazione

Lo stretto è una via di comunicazione molto importante tra l'Atlantico e i mari del Nord e Baltico.  È attraversato da più di 400 navi al giorno. Inoltre è solcato dal servizio di navi traghetto che mettono in comunicazione le due sponde opposte. 

Dal 1994 è entrato in servizio il Tunnel della Manica che passa sotto lo stretto ad una profondità media di 45 metri collegando Folkestone con Coquelles. 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 1 Agosto 2022