NOTE STONATE SULL’OCEANO - 1962 Il vero giustiziere della notte
NOTE STONATE SULL’OCEANO ...
1962
Il vero giustiziere della notte
LE GEMELLE "VULCANIA" E "SATURNIA" A GENOVA
La traversata oceanica Gibilterra-New York a bordo dell’iconica SATURNIA - Gemella della VULCANIA inizia cullandosi nella bonaccia. La luna è una enorme lanterna magica che illumina la nostra rotta.
Il mio capoguardia Vittorio, passate le consegne agli Ufficiali della notte fonda (24h-04h), decide di fare un’ispezione sui ponti alti simulando il gesto di farci un whisky nel Bar di 1a classe.
Dentro di noi prevale il senso di gratitudine verso gli dei del mare per averci donato un placido notturno in cui ogni marinaio dimentica i colpi di mare ricevuti sul muso lungo quella rotta piuttosto infida, anche nei mesi considerati i migliori dalle statistiche.
Attratti dalle note dell’orchestra di bordo mentre abbassa la saracinesca sul sesto giorno di navigazione, entriamo facendoci largo tra le luci soffuse del fascinoso Salone delle Feste intriso di sapore orientale, un azzardo di paradiso tra i più celebrati nel mondo internazionale dei Liners.
Quel sano senso di orgoglio nazionale che ci prende ogni volta che varchiamo il supremo Santuario della bellezza, dura fino a quando veniamo rapiti, a causa delle le nostre divise, da un folto gruppo di turisti americani che sventolano le insegne del Nebraska.
Alcuni di loro gesticolano con vigore invitandoci a far parte del loro gruppo che ci sembra vistosamente avvinghiato alle membra di Bacco...
Il semplice popolo di vaccari che si para davanti ai nostri occhi ondeggia, sbanda, barcolla e si regge in piedi aggrappandosi l’un l’altro per non cadere e ferirsi su quei pregiati tappeti persiani sui quali ogni notte incombe una grigia nuvola di vetri frantumati: bicchieri da Museo colmi di Burbon e ghiaccio... destinati a ferire anche gli abissi dell’oceano.
Visto l’ambiente fortemente alterato, vorrei scappare..., ma l’esperto Vittorio sa come gestire certe situazioni sentendosi per altro sempre in servizio di guardia permanente!
Mi piego visibilmente contrariato sulla tastiera del pianoforte a coda (in alto nella foto sopra) assumendo l’atteggiamento di sfida all’OK-CORRAL che non passa inosservato agli stralunati americani che intendono qualcos’altro: forse sperano nel secondo tempo di un notturno musicale, un fuori programma da vivere alla grande.
Urlano come i coyote delle vaste pianure del Nebraska battendo ritmicamente le mani per invitarmi a suonare al pianoforte una qualsiasi canzone che possa allungare il sogno e la magia di quella notte.
Incrocio lo sguardo di Vittorio, lo vedo teso e rifletto: “in questo strano frangente, il più alto in grado è lui, quindi rappresenta il padrone di casa: la Compagnia di Navigazione.
La decisione di sgomberare il Salone delle Feste col supporto forzuto dei pompieri e dei marò-capi stiva, potrebbe avere una coda di cattiva propaganda in quel mondo di fantasia.
Vittorio ha molta esperienza e presto trova una soluzione che mi convince:
“La compagnia del Nebraska si comporta in modo più pazzerello che pericoloso. Sono pur sempre clienti di 1° classe, diamogli un’altra chance!”
Il mio superiore s’avvicina al pianoforte, mi mette una mano sulla spalla e sbotta in un laconico:
“E mo’ sono c... tuoi”
Per farmi coraggio respiro profondamente e scarico sui tasti dell’incredulo pianoforte le dieci dita a ritmo infernale con la sfacciataggine di un ventenne che ha deciso d’inviare un clamoroso VAFFA al Nebraska e a tutto il mondo insensibile all’arte e alle cose belle di cui noi siamo ambasciatori, e in quel momento anche protettori.
A questo punto il lettore si farà un po' di domande! Prendo ancora un po’ di fiato e procedo umilmente verso una doverosa confessione:
- suono discretamente l’armonica a bocca, ma solo a orecchio.
- non so leggere uno spartito musicale
- sono privo delle più elementari nozioni del pentagramma
Provo quindi un senso di vergogna! Ma ormai sono in ballo e ....
Tuttavia l’effetto scenico che segue è straordinario: gli americani, inzuppati totalmente di Burbon, da vicino profumano anche di stalle del Nebraska, un effluvio che mi è rimasto a lungo nel naso.
Brutalmente i cowboys s’ammucchiano come giocatori di football americano intorno al pianoforte per toccarmi e applaudirmi. Alcuni di loro, convinti d’aver scoperto un pianista Jazz dallo stile innovativo e affascinante, mi invitano ad esibirmi a casa loro negli USA.
In quella imbarazzante situazione in cui mi vengo a trovare, mi soccorre il ricordo del mitico Adriano Celentano quando si scatenava con movenze da contorsionista in un celebre film "Yuppi Do" in cui recita il ruolo di pianista eccentrico e sperimentale con sequenze oniriche e surreali, una pellicola unica nel suo genere, spesso definita folle e geniale allo stesso tempo.
Provo ad imitarlo agitandomi abbondantemente e raggiungo subito l’apice del gradimento.
Alcuni di loro, i meno impegnati in quell’assurdo baccanale, durante una fase di apnea, mi chiedono, taccuino alla mano, i nomi dei brani da me suonati non sapendo che questo è il mio campo preferito...!
Faccio uno sforzo di fantasia e sciorino un’improbabile lista di brani legata al mio territorio:
L’elenco di puttanate è lungo, ma vi concedo soltanto l’inizio...
- CONSCENTI LA NUIT...
- A SUMMER AT MOCONESI...
- WALKING IN THE "NESCI" GULF
- DANCING A NIGHT AT PENTEMA
- LA MONA (anzichè ) RAMONA
Con gli occhi sgranati dalla curiosità, mi giro a dritta e a babordo per godermi quell’incredibile presa per il culo... che va in onda con estrema naturalezza, complici l’estasiate “damine del Nebraska” che si trovano immerse in quell’indimenticabile concerto sull’oceano cullando il sogno della vita da deporre nello scrigno segreto di famiglia: un diario destinato ai posteri nel regno delle vacche del Nebraska.
Nel frattempo l’esibizione prosegue con lo sfinimento progressivo degli ospiti che si trasformano in vacui fantasmi che si agitano sempre meno, senza fare rumore.
Il livello di Burbon nelle loro cisterne ha raggiunto il massimo livello concesso dal loro piano di costruzione...
L’astuto Sommo Sacerdote che ha celebrato lo spettacolo non è ovviamente Nettuno, neppure Eolo, il folletto di quella scoppiettante offesa alla musica si chiama Zagallo, l’unico barman che non soffre il sonno, una specie di gnomo incosciente e bastardello che vive ormai nella ricchezza...avendo capito che il mondo del mare e quello di terra convivono nell’eterna collisione esistenziale:
“Vivere per lavorare O lavorare per vivere”
Ripete spesso:
“Chi ti manda a navigare è l’unico soggetto che passa sempre all’incasso...!” E spiega: “Allora quando navigo mi rifaccio... Attuo la mia vendetta vendendo acqua ghiacciata con poche gocce di Burbon fino alla resa dello sfidante che perde sempre per KO tecnico”.
E conclude il suo vanto: “Non importa chi sia il cliente, ma so che mi ama perché ritorna sempre da chi lo tiene in piedi e qualche volta lo porta sulle spalle in cuccetta.
Il mondo è dei furbi... gli altri brucano come umili capre erranti sugli altipiani del monte Fasce alle spalle della Superba”!
Gli accompagnatori del gruppo, ossia i capi-allevatori del Nebraska, non sono appassionati di Jazz e per tempo hanno infilato l’alveo della propria stalla pensando da sbronzi nell’unico modo che conoscono:
“Negli ampi spazi di mare intorno alla nave, ci sono sempre mandrie da pascolare all’alba”!
Ne godono le “Damine del Nebraska” che si sentono finalmente incustodite... e si lasciano andare a movenze lente e aritmiche facendo saltellare le “antiche grazie” su un davanzale sgargiante color arcobaleno, ma ormai in disarmo inoltrato.
Sullo sfondo le "carrette dimenticate"
A pensarci bene sono tutte al guinzaglio da almeno 20/30 anni e mi ricordano le “carrette dimenticate” che, ormeggiate di punta sulla diga Duca di Galliera del porto di Genova, si stirano avanti e indietro nella risacca forzata dalle navi in entrata e in uscita, per farsi meglio notare da possibili acquirenti.
In effetti, la somiglianza tra i due contesti esiste:
- le ballerine del Nebraska e le navi in disarmo sprigionano la stessa triste speranza di risorgere vergini all’improvviso da una magica conchiglia di mare come la Venere del Botticelli.
A tal proposito e senza cattiveria ci soccorre un detto genovese:
LA BELLA DI TORRIGLIA – Tutti la vogliono e nessuno la piglia!
Il baccano che esce sordo e fastidioso dal Salone di 1° classe fa eco allo sbuffanti stantuffi della Sala Macchina che salgono potenti dalla vicina ciminiera del transatlantico: un muggito vaccino che ricorda le vaste pianure del Nebraska inebriate di creature a quattro zampe lente e pesanti, odori forti di fieno e stallatico!
Giunti ormai alle ore piccole della notte fonda, quel poco di cervello che si è salvato dal Burbon annacquato sapientemente da Zagallo, il barman del “mare a fuera”, dà alle “damine del Nebraska” la speranza d’irretire qualche giovane “besugo” che si è perso come loro nel buio di una notte ruffiana tra le romantiche cineserie e arazzi preziosi di una nave precipitata nel ruolo di grande puttana.
Nel mondo femminile di quel gruppo ormai disinibito e pronto a tutto, si scorgono lunghe e ampie gonne issate a riva con rara destrezza che invitano a prendere il largo. Ricordano le vele a pallone che guarda caso portano GENOA come nome.
Soltanto chi sogna vede possibili amanti nella notte in cerca d’amore!
E’ tardi, le damine indugiano ancora per poco sugli ultimi impavidi saltelli prima di cadere in una arrendevole e sconcia ammucchiata tra le braccia di Morfeo:
“Il vero giustiziere della notte”
Buona notte a tutti !
Fine
Carlo GATTI
Rapallo, lunedì 21 luglio 2025
ALBERTO CANTINO - IL FURTO DEL PLANISFERO PORTOGHESE
ALBERTO CANTINO
IL FURTO DEL PLANISFERO PORTOGHESE
di Carlo GATTI
La connessione tra la scoperta di Colombo e il furto del planisfero portoghese da parte di Cantino è indiretta, ma esiste. Colombo aprì nuove rotte marittime, accendendo la competizione tra le potenze europee per il controllo di queste rotte e delle risorse che offrivano. Questo spiega il valore strategico del planisfero portoghese, che mappava queste nuove terre. L'Italia, sebbene non fosse un unico stato, era comunque protagonista del commercio marittimo rinascimentale, e l'azione di Cantino riflette questa volontà di competere per le risorse e il potere marittimo globali. La sua azione non fu una semplice rapina, ma un atto di spionaggio al servizio della competizione geopolitica tra le maggiori potenze europee.
Alberto Cantino, trafugando in Italia, diede alla Repubblica di Venezia informazioni cruciali sulle rotte commerciali verso le Indie. Questo ebbe un impatto economico enorme, permettendo a Venezia di competere con il Portogallo nel commercio di spezie, oro e tè, e un impatto politico altrettanto significativo, alterando il delicato equilibrio di potere tra le potenze europee nel XV secolo.
Il furto rappresentò un colpo di genio, una scorciatoia per raggiungere la ricchezza e il potere, aggirando anni di esplorazione e conquista.
Il furto del planisfero Cantino non fu solo un evento di spionaggio, ma un punto di svolta nella storia delle esplorazioni geografiche e del commercio globale. Il Portogallo, detentore del monopolio sulle rotte verso le Indie, aveva accumulato immense ricchezze grazie al controllo di preziosi beni come spezie (cannella, chiodi di garofano, noce moscata, pepe), oro, e successivamente tè. Questi prodotti erano ad alta domanda in Europa e generavano profitti enormi.
Il planisfero, con la sua rappresentazione accurata e dettagliata delle rotte, delle coste e delle scoperte portoghesi, rappresentava un tesoro di informazioni strategiche. Il suo trafugamento da parte di Cantino a favore di Venezia, la potente Repubblica Marinara in rivalità con il Portogallo, consentì alla Serenissima di:
Ridurre la dipendenza dal Portogallo: Venezia poté sviluppare rotte commerciali alternative, riducendo il suo vincolo economico con la potenza iberica e aumentando la propria autonomia.
Aumentare i profitti: L'accesso alle informazioni sulle rotte per le Indie permise a Venezia di competere direttamente nel commercio delle spezie e di altri beni di lusso, incrementando considerevolmente i suoi profitti, già descritti in precednza.
Rafforzare la propria posizione geopolitica:
Il furto rappresentò un colpo propagandistico e strategico di grande impatto, dimostrando la capacità di Venezia di competere con le maggiori potenze europee, anche attraverso attività clandestine.
In sintesi: il furto del planisfero Cantino fu un'azione di spionaggio di grande successo dalle conseguenze economiche e politiche di vasta portata, che ebbe un ruolo importante nello spostamento degli equilibri di potere nel Mediterraneo e nel mondo. Fu un atto che accelerò la “globalizzazione del commercio” e la competizione tra le potenze europee per il controllo delle rotte commerciali.
Fine
ENTRIAMO NEL DETTAGLIO:
Il Planisfero di Cantino è importante perché è la prima mappa conosciuta che rappresenta le Americhe come un territorio distinto dall'Asia e include le coste dell'Africa e dell'Asia con un grado di accuratezza senza precedenti per l'epoca, soprattutto per quanto riguarda la costa brasiliana. Inoltre, fu una delle prime mappe a rappresentare l'Indocina e le coste dell’Oceano Idiano e fu ottenuta segretamente dai portoghesi, diventando un importante strumento di conoscenza per il duca di Ferrara.
Perché il Planisfero di Cantino ha avuto un impatto politico significativo?
Il Planisfero di Cantino è stato politicamente importante perché si tratta della prima mappa a rappresentare il Nuovo Mondo come entità distinta, fornendo informazioni cruciali ai portoghesi sulle nuove terre scoperte e contribuendo a definire la loro posizione nel contesto delle “Esplorazioni Geografiche” e delle future rivendicazioni territoriali.
Come si presenta oggi del Planisfero Cantino?
BIBLIO TOSCANA
Planisfero di Cantino (o Mappa del mondo di Cantino o, più semplicemente, Carta del Cantino) è una mappa, composta da 6 fogli di pergamena incollati, che mostra le conoscenze geografiche dell'Impero portoghese all'inizio del XVI secolo. Si tratta del più antico planisfero portoghese sopravvissuto.
Misura 220×105 cm. Il planisfero prende il nome da Alberto Cantino, un agente del Duca di Ferrara che contrabbandò dal Portogallo all'Italia nel 1502. La mappa ritrae la costa brasiliana, scoperta nel 1500 dall'esploratore portoghese Pedro Álvares Cabral, e mostra la costa africana dell'oceano Atlantico e Indiano con grande accuratezza e dettaglio. Il planisfero di Cantino è uno dei primi esempi di mappa nella quale le località sono collocate sulla base della loro latitudine, e non riportando la rotta e la distanza stimata da altre località, come avveniva nei portolani e nelle carte del Mediterraneo del secolo precedente (sistema che rimane, nella mappa, per l'Europa e il Mar dei Caraibi). È stata definita "la mappa più importante della storia della cartografia portoghese, e anche del mondo".
Crediti immagine
Autore: Sconosciuto - Credits: Pieced together from Biblioteca Estense, Modena, Italy -Termini d'uso: Pieced together from Biblioteca Estense, Modena, Italy - Licenza: pd
Amici della Scienza
Planisfero di Cantino (1502), la prima carta geografica antica a rappresentare il Nuovo Mondo come territorio a sé stante.
Fu trafugata da tale Alberto Cantino su incarico del Duca Ercole d’Este, signore di Ferrara che venne così a conoscenza delle informazioni in mano ai portoghesi sui nuovi territori scoperti. Esplicito in questo senso il titolo che compare sulla mappa:
Carta per la navigazione nelle isole recentemente scoperte nelle parti dell’India.
Il planisfero di Cantino è oggi conservato presso la Biblioteca Estense di Modena
Creato da un cartografo sconosciuto, questa mappa infame fu contrabbandata in Italia dal Portogallo da Alberto Cantino.
L'importanza principale di questa mappa è la sua rappresentazione del mondo, diviso tra Portogallo e Spagna nel 1494, decretato dal Trattato di Tordesillas.
Wikipedia
PLANISFERO DI CANTINO
https://it.wikipedia.org/wiki/Planisfero_di_Cantino
Immagini
1502 - Anonimo, Planisfero nautico “del Cantino”, Charta del navicare per le isole novamente trovate in la parte dell'India dono Alberto Cantino al S. duca Hercole, Lisbona (Modena, Biblioteca estense, C.G.A.2)
Per gentile concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo
© 2016 Museo Galileo - Istituto e Museo di Storia della Scienza · Piazza dei Giudici 1 · 50122 Firenze · ITALIA
“Planisfero di Cantino “
O “Carta di Cantino” (1502)
Biblioteca Estense Modena, Italy
https://en.wikipedia.org/wiki/Cantino_planisphere
The Treaty of Tordesillas line
Planisfero di Cantino: Mappa di Alberto Cantino del 1502 che rappresenta la linea di confine imposta dal Trattato di Tordesillas (1494) tra l'America portoghese e quella spagnola. Biblioteca Estense. Modena
The rhumb-line construction scheme and geographic lines in the Cantino planisphere. Adapted from Gaspar (2012), Plate 3
Major wind rose of the Cantino planisphere
https://www.cristoforocolombo.com/cristoforo-colombo/articoli-storici/planisfero-di-cantino-1501-1502/
Ministero della Cultura
La Carta del Cantino e la rappresentazione della Terra nei ...
http://bibliotecaestense.beniculturali.it/info/img/esp/i-mo-beu-1991-sc.rm.1.1-cantino.pdf
Lisbonne, octobre 1502. En pleine fièvre des découvertes, dans un port envahi par l'or, les épices et les esclaves, éclate une étrange affaire d'espionnage. Un planisphère royal a disparu. Représentant, pour la première fois, les Indes atteintes par Vasco de Gama et le Brésil touché par Cabral, il est un véritable secret d'État. Il réapparaît, début 1503, en Italie du Nord, à la cour du Duc de Ferrare, Hercule d'Este. Transféré, en 1598, dans le château ducal de Modène, la carte de Cantino y passe deux siècles et demi, avant de disparaître à nouveau, mystérieusement, lors du soulèvement pour l'unité italienne en juin 1859. Un collectionneur la retrouve neuf ans plus tard au fond... d'une charcuterie de la ville ! Histoire vraie, dans toutes ses péripéties de Lisbonne à Ferrare, Gênes et Modène... mais où les détails manquent, permettant à l'auteur de bâtir, d'aventure en aventure, le roman d'histoire de la carte de Cantino.
SCUOLAMEDIA DIGITALE
Le scoperte geografiche: il Planisfero di Cantino
Il planisfero prende il nome da Alberto Cantino, un agente del Duca di Ferrara che fu inviato in Portogallo allo scopo di entrare in possesso delle conoscenze ...
Le scoperte geografiche:
il Planisfero di Cantino
Il planisfero di Cantino è una carta geografica realizzata su sei fogli di pergamena nei primi anni del Cinquecento; probabilmente si tratta della copia di una mappa realizzata per il Re del Portogallo, in cui veniva descritto il mondo fino ad allora conosciuto.
1 di 9
https://www.scuolamediadigitale.it/archivi/Storia/430000178_STO_Le%20scoperte%20geografiche_Fonti%20storiche_Il%20Planisfero%20di%20Cantino.pdf
IL TRATTATO DI TORDESILLAS
Dall’avventura di Colombo alla nascita del colonialismo
https://www.marenostrumrapallo.it/tordesillas/#:~:text=Con%20questo%20atto%20il%20pontefice,di%20Cristo%20le%20popolazioni%20indigene
Carlo GATTI
ALBERTO CANTINO
STORIA – Wikipedia
Alla fine del XV secolo Ercole I d'Este, duca di Ferrara, inviò Alberto Cantino a Lisbona con l'incarico formale di commerciante di cavalli ma in realtà per raccogliere riservatamente informazioni sulle scoperte geografiche portoghesi. In due lettere al Duca, datate al 17 e al 18 ottobre 1501, Cantino riferisce di aver sentito l'esploratore Gaspar Corte-Real esporre al re Manuele I i risultati del suo ultimo viaggio a Terranova.
Alcuni fra i primi studiosi della mappa hanno suggerito che essa sia stata commissionata a un cartografo ufficiale del Regno del Portogallo, che l'avrebbe realizzata copiando la mappa in possesso della Corona, il cosiddetto Padrão Real, compilato dall'Armazéns da Índia. Mancano tuttavia i riscontri storiografici per questa ipotesi, ed è stato notato che il planisfero contiene diversi errori che difficilmente sarebbero stati presenti in uno standard ufficiale.
Un'altra possibilità è che la mappa sia stata clandestinamente acquistata dopo essere stata realizzata su commissione di un nobile o di un funzionario locale.
Cantino afferma di aver pagato 12 ducati per la mappa, una cifra considerevole per l'epoca. Da un'altra lettera, è noto che inviò la mappa al Duca di Ferrara il 19 novembre 1502. Sul retro della mappa vi è un'iscrizione che dice: Carta de navigar per le Isole nouam trovate in le parte de India: dono Alberto Cantino al S. Duca Hercole.
Il possesso della mappa svelò alla Signoria di Ferrara l'esistenza di molti territori in precedenza sconosciuti; nondimeno, la mappa divenne obsoleta in pochi mesi, a causa di successive spedizioni esplorative condotte dai portoghesi.
Poco dopo il suo arrivo in Italia, le informazioni presenti sulla mappa furono ricopiate nel planisfero di Caverio, che a sua volta servì da base per la rappresentazione dell'America nella carta Universalis cosmographia di Martin Waldseemüller.
La mappa fu mantenuta nella biblioteca ducale di Ferrara per circa 90 anni, finché il papa Clemente VII la trasferì a Modena. Nel 1859 il palazzo in cui si trovava la mappa fu depredato, e il planisfero fu disperso. La cartina fu ritrovata e acquistata nel 1868 da Giuseppe Boni, direttore della Biblioteca Estense, in una salumeria di Modena. Il planisfero di Cantino è tuttora conservato alla Biblioteca Estense di Modena.
70 Anni dopo....
La Sala del Mappamondo, o Sala delle Carte Geografiche, è uno degli ambienti più affascinanti e significativi di Palazzo Farnese a Caprarola, un capolavoro dell'architettura manierista.
La sua realizzazione, avvenuta tra la fine del 1573 e il 1575, si deve al cardinale Alessandro Farnese il Giovane, nipote di Paolo III, che la volle decorata con una precisione scientifica all'avanguardia per l'epoca.
Queste carte, realizzate da Giovanni Antonio da Varese, detto il Vanosino, con l'aiuto di Giovanni de' Vecchi e Raffaellino Motta da Reggio, rappresentano le terre conosciute fino al 1574. Si possono ammirare mappe dell'Asia, dell'America, dell'Europa e dell'Africa, oltre a un planisfero. Negli angoli delle pareti, quattro matrone personificano i continenti.
#viaggiaconwallace #borghidaraccontare #palace
Carlo GATTI
Rapallo, 26 Giugno 2025
2.to
LE TORRI E GLI SCAGNI
DUE SIMBOLI DELLA GENOVA MERCANTILE
La Repubblica di Genova
Nel periodo delle Repubbliche Marinare, Genova era costellata di torri, con stime che variano da 66 a 80, costruite principalmente dalle famiglie più potenti come elemento di prestigio e difesa del proprio patrimonio, inclusa l'area portuale.
Queste torri non erano necessariamente costruite dagli armatori, ma piuttosto dalle famiglie nobili genovesi, che spesso avevano interessi sia commerciali che politici.
Torre Dei Morchi
Torre degli Embriaci
Torre Maruffo vista dai tetti della Cattedrale di San Lorenzo
(foto di Antonio Figari)
Gli armatori genovesi al tempo delle Repubbliche Marinare, sono stati una componente fondamentale della storia marittima di Genova, protagonisti di una lunga tradizione di attività cantieristica e di trasporto navale. Le principali famiglie armatoriali genovesi, hanno gestito flotte mercantili di grande rilievo, contribuendo allo sviluppo economico della città e del paese.
Gli armatori genovesi, in particolare quelli che appartenevano alle principali famiglie nobili, erano soliti costruire torri proporzionate all'altezza delle loro navi più grandi.
Queste TORRI, spesso erette nelle vicinanze del porto, servivano sia come simbolo del loro potere e ricchezza, sia come punti di osservazione strategici per monitorare le proprie flotte e il traffico marittimo.
Più alta e imponente era la torre, maggiore era la reputazione e il prestigio dell'armatore.
Queste torri, quindi, non avevano solo una funzione pratica di controllo, ma anche un forte valore simbolico e sociale, rappresentando l'importanza degli armatori nella vita economica e politica di Genova.
Vi propongo il LINK di una pregevolissima ricerca sulle Torri di Genova.
iSEGRETIdeiVICOLIdiGENOVA
http://www.isegretideivicolidigenova.com/p/le-torri-di-genova.html
DALLA TORRE ALLO SCAGNO ....
La parola genovese "scagno", che significa ufficio, scrivania o studio, è attestata fin dal XVI secolo, con il significato di "ufficio commerciale" o "scrivania". L'etimologia della parola è legata al termine tedesco "Schagen", che indica un banco o un tavolo da lavoro, e al latino medievale "scannus".
Lo "Scagno" è una parola molto antica e indicava lo spazio in cui si svolgeva l'attività commerciale e la gestione di materiali, come un ufficio o una scrivania. "Scagno" veniva anche usato per indicare un magazzino o una stanza dove si smistavano merci, soprattutto in riferimento alle banchine storiche di Genova-Porto.
L’Evoluzione del termine:
Nel tempo, il termine ha assunto il significato più ampio di ufficio o studio, sia commerciale che di altro tipo, e anche quello più specifico di scrivania, dove si svolgono attività amministrative o di lavoro intellettuale.
Diffusione:
La parola "scagno" e la locuzione "cammara-scagno" è tipica della “lingua” genovese e non si trova in altre varianti dialettali liguri con la stessa frequenza o significato. La locuzione indicava un ufficio commerciale o una scrivania.
Importanza storica:
L'istituzione dello "scagno" si perde quindi nella notte dei tempi della storia della Repubblica di Genova, e si pensi a quanti magazzini sorgevano lungo la Ripa Maris...
In sostanza, "scagno" è un termine che evoca il mondo del commercio e della gestione dei beni, particolarmente legato alla storia portuale di Genova.
VOCABOLARIO: zeneize.net
stipetto = scagnétto, segretèr [682, FB]
scagno (ufficio/2) = scàgno [FB]
scrittoio/2 (stanza per scrivere o studiare) = scàgno [682]
ufficio/2 (locale, stanza) = scàgno, ofìçio [682, 546]
- oggi scàgno denota l’ufficio, lo studio di qualunque attività; più anticamente era l’ufficio di avvocati, procuratori, notai e agenti marittimi.
Scagnetté. Ebanista , chi lavora di Ebano , oggi nell'uso, artefice il quale con Ebano e altri le gni preziosi, od anche con legni comuni, fa lavori più minuti e più gentili che non farebbe il falegname.
Scagno. Banco, Studio, il Banco è il luogo dove i banchieri custodiscono i denari ed esercitano la lor professione; Studio, stanza destinata allo studio, e segnatamente quella dell'Avvocato, del Procuratore e del Notaio.
F/b -
Iniziamo il nostro viaggio per farvi conoscere un po' meglio Villa Cambiaso, la sua storia e i vini che in essa vengono selezionati.
#TradizioniLiguri #valpolcevera #ValPolcevera #villacambiasowine #Tradizione #SavorTheMoment #Territorialità #VillaCambiaso
La famiglia Cattaneo Adorno è di antichissima origine genovese e, nel vecchio scagno, gli archivi conservano fin dal Medioevo contabilità e documenti che narrano della coltivazione dell’azienda agricola.
Vivo era l’interesse al vino dimostrato in quelle antiche carte aziendali ma soprattutto a quello che si produceva, con passione e cura, nel Monferrato e nell’Oltrepò Pavese.
Incuriosisce quindi trovare anche conti e filze del secolo scorso che parlavano di vaste distese di vigne, uva e vini pregiati prodotti sulle colline del Genovesato.
Tanto che l’uva Bosco, oggi alla base di molti vini liguri, dal Bianco di Coronata al Bianco delle Cinque Terre, era stata selezionata nei boschi dell’azienda ai primi dell’Ottocento da una mutazione in bianco della Barbera, più rustica e resistente della Bianchetta e del Vermentino.
- La madia di Renata Merlo
Lo scagno: solo chi è “genovese dentro” sa cosa significa questa parola:
Un brulichio di attività
Una vecchia macchina per scrivere, un bugigattolo disadorno, con mobili tarlati, una scrivania e due sedie. Era lo "scagno", uno stanzino il più delle volte a livello strada dove si facevano nel Centro Storico di Genova contratti a volte di entità milionaria, iniziati magari nella vicina Piazza Banchi conoscendosi con una stretta di mano. In uno scagno di vico Cartai ebbe la sua prima sede la Compagnia di Navigazione di Raffaele Rubattino, al numero 8 rosso.
LO SCAGNO DELL’ARMATORE
(Museo Navale di Pegli)
https://www.museidigenova.it/it/node/8035
Nell’epoca della vela capitano e armatore erano sovente la stessa persona, nella quale confluivano tutte le scelte – da quelle nautiche a quelle commerciali.
Quando i guadagni erano consistenti, il capitano-armatore reinvestiva gli utili incrementando la flotta.
Lo faceva sovente insieme a dei soci, e – per ridurre i rischi – anche diversificando i settori di attività. L’armatore diventava allora un vero dirigente d’azienda.
Nell'ufficio dell'armatore - o scagno come veniva chiamato - si trovano documenti di ordini diversi: quelli commerciali, relativi al traffico delle merci, e quelli più strettamente "marittimi".
Tra i documenti commerciali, troviamo le polizze di carico, un tipo di documento che certificava che un vettore aveva preso in consegna a bordo di una nave merce di un determinato tipo, con l'incarico di condurla a una destinazione in cambio di un nolo precedentemente pattuito.
Quasi sempre, nell'Ottocento, la merce è accompagnata da una polizza assicurativa, che assicura la merce stessa dalla perdita o dal danneggiamento durante il viaggio.
Le navi, oltre ad essere assicurate per le singole merci, erano assicurate come corpo presso le Società di Mutua Assicurazione stabilite tra armatori di una stessa area: in caso di perdita del veliero, ogni membro della Società contribuiva, per la sua quota, a rifondere il danno del proprietario del bastimento incorso in avaria o naufragio.
Tra i documenti marittimi, ecco i registri contabili di bordo dei viaggi già compiuti: l'armatore li controllava attentamente per vedere se i capitani avevano proceduto a una oculata (e parsimoniosa) gestione.
Lo scagno dell'armatore
SCAGNI E CARRETTE:
GLI IMPRENDITORI PORTUALI GENOVESI A CAVALLO FRA OTTO E NOVECENTO
https://www.acompagna.org/rivista/2020/2/p14.pdf
di Francesco Pittaluga
Lo “scagno”, (foto sopra) inteso come luogo di lavoro e per estensione anche come “filosofia del lavoro” ha origini antichissime. Il termine lo si trova, seppur con alcune variazioni fonetiche, non solo nella parlata ligure ma anche nel veneziano, nel provenzale, nel catalano, nel portoghese, nelle lingue del Baltico e del Mare del Nord laddove, si può dire, erano assimilabili le varie modalità commerciali che hanno sempre unito chi parlava suddette lingue.
Circa poi l’etimologia del termine, tante sono le ipotesi. Fra le più accreditate vi è quella che lo vuole derivato dal latino “scrannum” che indicava il sedile sopraelevato (una specie di “seggiolone per bambini” in scala più grande) dotato di ribalta e scrittoio sul quale stava assiso il responsabile del fondaco o del magazzino dove avveniva lo stoccaggio delle merci che lui stesso poteva così controllare e seguire nel loro smistamento.
A Genova l’istituzione dello scagno si perde nella notte della storia della Repubblica: basti pensare ai tanti magazzini che si stendevano lungo la “Ripa Maris”
(foto sopra).
da F/B
Lo "scagno" a Genova.
Così si era soliti denominare, all'epoca del Comune e della Repubblica, il luogo dove era collocato il banco sul quale i mercanti contavano il denaro e scrivevano i rendiconti economici (lo utilizzavano anche i notai, gli avvocati e i procuratori). Col tempo lo scagno assunse il significato di ufficio, spesso piccolo e poco sfarzoso.
Ma lo scagno, nella realtà genovese, è il “ponte di comando” da cui, generazione dopo generazione, imprenditori, agenti marittimi, intermediari, grossisti hanno diretto i loro traffici in arrivo e in partenza dal porto.
Da quei piccoli locali di Sottoripa, via San Luca, via Luccoli, di tutto il centro e della zona attorno al porto, ieri come oggi, con attrezzature tecnologiche più avanzate, si spostano tonnellate di prodotti.
Lo scagno lo frequentò anche Eugenio Montale, aiutando il padre nell'azienda di famiglia: prodotti chimici, come acquaragia e colofonia nell'ufficio di piazza Pellicceria.
Nello scagno poi si ambientano le macchiette di Govi-Pastorino, genovesi astuti e tirchi (Pignasecca e Pignaverde), pronti ad acchiappare al volo ogni occasione vantaggiosa sulle tariffe delle merci.
Per il titolare lo scagno rimane comunque un luogo magico, il centro di tutto, una ragione di vita, una creatura da curare come un figlio.
Sergio de Nicolai
.....L’AVVISATORE MARITTIMO DI UN TEMPO.....
Farsi identificare dai frati aveva un’importanza vitale per le famiglie dei marinai che da mesi e forse da anni aspettavano notizie dei loro cari; ma era economicamente rilevante soprattutto per l’armatore che aveva il tempo di predisporre i lavori di bordo, il cambio dell’equipaggio, i nuovi noli e le relative destinazioni.
Il santuario di N.S. delle Grazie, posizionato a Zoagli sulla antica ss. AURELIA, aveva sicuramente il compito di vedetta, tuttora testimoniato dagli ex voto appesi ai vecchi muri in centinaia di esemplari e lasciati dai nostri avi-marinai a testimonianza della loro devozione alla Madonna.
Avvenuto il “contatto” tra il Comandante del veliero ed il Capo Guardiano, la missione proseguiva e si esauriva soltanto dopo la avvenuta comunicazione dell’avvistamento del vascello all’armatore o alle autorità portuali preposte. L’operazione si svolgeva in poche ore, alla velocità della carrozza a cavalli.
NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE – CHIAVARI
UN ANTICO TEMPIO MARINARO
https://www.marenostrumrapallo.it/nostra-signora-delle-grazie-chiavari-tempio-dei-marinai/
di Carlo GATTI
Vallo a spiegare il Mare a chi non c'è nato!
Vallo a spiegare che per Noi, Gente di Mare,
il solo guardarlo è già tutto!
Carlo GATTI
Rapallo, 23 giugno 2025
GIORNATA MONDIALE DEGLI OCEANI 2025
GIORNATA MONDIALE DEGLI OCEANI 2025
Introduzione di Carlo Gatti
"L'8 Giugno celebriamo la Giornata Mondiale degli Oceani, un evento cruciale per ricordare l'importanza vitale degli oceani per l'umanità e il pianeta. Gli oceani, veri e propri polmoni blu del nostro pianeta, producono il 50% dell'ossigeno che respiriamo, regolano il clima e ospitano una biodiversità straordinaria.
Tuttavia, sono sottoposti a una crescente pressione antropica: inquinamento da plastica, surriscaldamento, acidificazione delle acque e perdita di biodiversità minacciano seriamente questo ecosistema fondamentale.
La Giornata Mondiale degli Oceani ci ricorda l'urgenza di agire per proteggere gli oceani, non solo per la loro intrinseca bellezza, ma per la nostra stessa sopravvivenza.
Il loro valore economico è immenso – dal turismo alla pesca, all'assorbimento di CO2 – ma è a rischio. Dobbiamo promuovere politiche di gestione sostenibile delle risorse marine e contrastare gli impatti negativi dell'attività umana, per garantire un futuro sano per gli oceani e per le generazioni a venire."
Riteniamo che l’argomento “OCEANI” sia troppo importante per essere sottovalutato o addirittura ignorato. Questo è il motivo per cui riportiamo interamente il testo ufficiale che è stato diffuso in tutto il mondo!
Giornata Mondiale degli Oceani 2025: il valore del mare tra ambiente, economia e futuro. La Giornata Mondiale degli Oceani si celebra l'8 giugno.
LA GRANDE BELLEZZA
Promossa dalle Nazioni Unite, l’edizione di quest’anno ha come tema Wonder: Sustaining What Sustains Us (Meravigliarsi di ciò che ci sostiene, per imparare a proteggerlo). L’iniziativa vuole richiamare l’attenzione sull’importanza vitale degli oceani per il nostro pianeta: regolano il clima, producono oltre la metà dell’ossigeno che respiriamo, assorbono anidride carbonica, proteggono le coste e offrono cibo e lavoro a più di tre miliardi di persone nel mondo.
L’edizione 2025 della Giornata Mondiale degli Oceani vuole proporre un cambio di prospettiva: nessun allarme, ma un invito a riconoscere il valore reale dell’ecosistema oceano. Se gli avvertimenti non servono a invertire la rotta, la consapevolezza del ruolo che l’oceano svolge per la vita sul pianeta può essere invece il punto di partenza per un impegno più concreto. E quindi per un cambiamento reale.
Sicurezza alimentare e biodiversità sotto pressione
La tutela degli oceani è strettamente legata alla disponibilità di risorse alimentari e alla conservazione della biodiversità marina. Gli ecosistemi oceanici forniscono cibo a miliardi di persone e ospitano una parte significativa delle specie viventi del pianeta. Il loro degrado, causato da inquinamento, pesca eccessiva e riscaldamento delle acque, mette a rischio sia la capacità degli oceani di sostenere la produzione alimentare sia l’equilibrio degli habitat naturali da cui dipende la varietà delle forme di vita marine.
Secondo il rapporto State of World Fisheries and Aquaculture 2024 della Fao, 3,2 miliardi di persone nel mondo dipendono in modo diretto dal pesce come fonte primaria di proteine animali. I prodotti ittici rappresentano il 17% delle proteine animali consumate nel mondo con punte molto più alte in alcune regioni dell’Asia e dell’Africa. Il Living Planet Report 2024pubblicato dal Wwf documenta una riduzione media del 73% delle popolazioni di vertebrati marini negli ultimi cinquant’anni. Inquinamento, sovrasfruttamento delle risorse e aumento delle temperature oceaniche sono le principali cause di un degrado che colpisce non solo gli equilibri ecologici, ma anche le catene di approvvigionamento alimentare.
Ad essere compromessa non è soltanto la varietà biologica, ma anche la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi e mantenere funzioni essenziali. Dati Fao indicano che il 35,4% degli stock ittici globali è oggi sfruttato oltre livelli sostenibili, una quota più che raddoppiata rispetto al 1974, quando era pari al 10%. Il Mediterraneo è una delle aree più critiche: qui oltre il 60% degli stock è sovrasfruttato. In assenza di misure efficaci le conseguenze saranno irreparabili non solo per l’ambiente, ma anche per l’occupazione e la sicurezza alimentare di intere fasce di popolazione.
Composizione della plastica negli oceani per area geografica
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Oceano Pacifico
→46% della plastica totale
→ Principali rifiuti: bottiglie, reti da pesca
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Oceano Atlantico
→24% della plastica totale
→ Principali rifiuti: microplastiche, sacchetti
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Oceano Indiano
→15% della plastica totale
→ Principali rifiuti: contenitori, frammenti
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Oceano Artico
→8% della plastica totale
→ Principali rifiuti: microplastiche
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Oceano Antartico
→ 7% della plastica totale
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La Blue Economy continua a crescere
La protezione degli oceani riguarda anche la tenuta economica di settori strategici per numerosi Paesi. Secondo l’EU Blue Economy Report 2024, nel 2023 l’economia legata al mare (Blue Economy) dell’Unione Europea ha impiegato 3,6 milioni di persone, registrando una crescita del 17% rispetto al 2020. Il valore complessivo generato ha raggiunto i 623,6 miliardi di euro, con un incremento del 21% nello stesso periodo. Le attività principali comprendono pesca, acquacoltura, cantieristica navale, turismo costiero e produzione di energia rinnovabile da fonti marine.
In questo scenario è facile capire perché siano così diffusi i blue bond, strumenti obbligazionari emessi per finanziare progetti legati alla conservazione degli oceani e all’uso sostenibile delle risorse marine. Nel 2024, le emissioni di blue bond sono aumentate del 10,6% rispetto all’anno precedente, e oggi rappresentano lo 0,24% del totale delle obbligazioni sostenibili globali, secondo i dati dell’Intercontinental Exchange (Ice).
Innovazione e tecnologie al servizio della sostenibilità
L’integrazione tra innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale risponde sempre più ai criteri Esg (Environmental, Social, Governance) e diventano un fattore distintivo per investitori istituzionali e soggetti pubblici. La disponibilità di dati accurati e tempestivi consente di migliorare la gestione delle risorse oceaniche e di definire politiche più efficaci in materia di conservazione. Inoltre, tecnologie meno invasive riducono l’impatto delle attività di ricerca sull’ambiente marino e contribuiscono concretamente alla tutela della biodiversità.
L’applicazione dei criteri Esg in ambito “oceanico” si traduce in un vantaggio competitivo per le imprese perché riduce i rischi ambientali e reputazionali, migliora l’accesso a capitali e finanziamenti, favorisce l’innovazione sostenibile e rafforza il posizionamento sul mercato, rispondendo alla crescente domanda di responsabilità ambientale nel settore marittimo.
L’impegno di Etica Sgr per la tutela degli oceani
In occasione della Giornata Mondiale degli Oceani 2025, Etica Sgr riafferma il proprio impegno nella salvaguardia degli oceani, con particolare attenzione alla lotta contro l’inquinamento da plastica, che rappresenta una delle minacce più gravi per la salute degli ecosistemi marini. Non a caso Etica Sgr ha aderito all’iniziativa globale A Line in the Sand – The New Plastics Economy, promossa dalla Ellen MacArthur Foundation, sostenendo la transizione da un modello economico lineare a uno circolare, in cui i prodotti siano progettati per essere riutilizzati, riparati e riciclati, con l’obiettivo di ridurre la produzione di rifiuti e l’impatto sull’ambiente marino.
Etica Sgr è anche tra i firmatari della Plastic Pollution Financial Declaration, sottoscritta da 160 istituzioni finanziarie a livello internazionale. La dichiarazione chiede ai governi l’adozione di un trattato globale e vincolante sull’inquinamento da plastica e promuove misure per affrontare l’intero ciclo di vita dei materiali plastici.
Attraverso il proprio impegno in ambito Esg, Etica Sgr punta a favorire politiche pubbliche e investimenti orientati alla tutela degli oceani, sostenendo la definizione di obiettivi comuni e strumenti finanziari capaci di contribuire concretamente alla riduzione dell’inquinamento e alla protezione della biodiversità marina.
Inquinamento nel Mediterraneo, un “mare di plastica” - Inquinamento da plastica nel mar Mediterraneo: le causa e le soluzioni
L’inquinamento del mare da plastica è una delle emergenze ambientali più gravi dell’epoca moderna. Mari e oceani sono invasi dalla plastica, al punto che si sono formate delle vere e proprie isole: le cosiddette Plastic island o il Great Garbage Patch. Ne esistono cinque: due fluttuano nel Pacifico, due nell’Atlantico e una nell’Oceano Indiano. Enormi piattaforme di inquinamento che galleggiano tra le onde in un’area più estesa di quella di Stati Uniti e India.
L’inquinamento da plastica è un problema globale, tanto che le Nazioni Unite hanno inserito la tutela dei mari tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: è il Goal 14 – Vita sott’acqua. Nell’Agenda 2030 si legge che occorre “conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile”.
Inquinamento del mare da plastica nel Mediterraneo
Nel Mediterraneo non esistono vere e proprie isole di plastica, ma la situazione non è affatto rosea. Il nostro mare è la sesta grande zona per inquinamento da plastica al mondo. I numeri descrivono una vera emergenza: la plastica rappresenta il 95% dei rifiuti nel Mediterraneo e proviene principalmente da Turchia, Spagna, Italia, Egitto e Francia. Nel complesso l’Europa, secondo maggiore produttore di plastica al mondo dopo la Cina, riversa in mare ogni anno tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche e tra le 70 e 130 mila tonnellate di microplastiche. Il Mar Mediterraneo rappresenta l’1% delle acque ma contiene il 7% delle microplastiche marine a livello mondiale.
Gli effetti negativi dell’inquinamento si vedono anche sulla fauna. La maggior parte delle specie marine ingeriscono plastiche o microplastiche. Non c’è una sola specie di tartaruga marina che nuoti nel Mediterraneo senza plastica nello stomaco. Ogni anno un milione e mezzo di animali marini sono vittime della plastica scaricata nei mari.
In Italia cattiva depurazione delle acque e troppa pesca
Nel nostro Paese la situazione è statica da anni: non si vede alcun cambiamento né dal punto di vista legislativo né degli indicatori. La denuncia arriva dal Rapporto ASviS 2018 (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile). In cima alla lista delle cause dell’inquinamento dei nostri mari c’è la cattiva depurazione delle acque e lo scarico illecito di rifiuti sulle nostre spiagge, che riguarda un abitante su quattro.
Ma il Mediterraneo è impoverito anche dalla pesca eccessiva che, sottolinea ASviS, “ha ridotto la produzione in campo alimentare, danneggiato gli ecosistemi e colpito la biodiversità”. Anche in Italia il sovra sfruttamento degli stock ittici ha raggiunto una quota dell’88% secondo i dati 2014. In altre parole, il pesce nel Mediterraneo è in diminuzione.
Nota positiva: le aree protette
In Italia, fortunatamente, non mancano le aree protette. ASviS rileva la notevole ampiezza: oltre 3 mila chilometri di cui il 75% si trova in Sardegna, Sicilia e Toscana. Diversi studi dimostrano che le aree protette sono l’unico modo per rallentare la bio-invasione, che si lega al fenomeno del cambiamento climatico e in particolare all’innalzamento della temperatura delle acque.
Etica Sgr, protagonista nella lotta all’inquinamento da plastica
Anche il sistema finanziario può fare qualcosa per ridurre l’inquinamento da plastica. In Etica Sgr abbiamo deciso di fare la nostra parte promuovendo la blue economy e il progetto “A line in the sand – The New Plastic Economy“. Un accordo globale per eliminare il problema della plastica e salvaguardare la vita negli oceani. Come? Sostenendo il passaggio dalla cosiddetta economia lineare – produco, uso e getto – all’economia circolare, dove ogni prodotto viene prodotto per essere usato, riutilizzato e riciclato, riducendo così al minimo i rifiuti.
Nello specifico le aziende che aderiscono alla campagna si impegnano a eliminare gli imballaggi in plastica problematici o non strettamente necessari attraverso l’innovazione, la riprogettazione e lo studio di nuovi modelli di consegna. Si impegnano inoltre ad applicare modelli di riutilizzo, laddove possibile, per eliminare la necessità di imballaggi monouso. Tra i firmatari dell’accordo, ricordiamo, ci sono numerose aziende multinazionali che producono il 20% di tutti gli imballaggi di plastica prodotti nel mondo.
Giornata mondiale degli Oceani 2024: il polmone blu della Terra
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Giornata mondiale degli Oceani 2024, gli oceani rappresentano il polmone del nostro Pianeta. Producono il 50% dell’ossigeno presente sulla Terra e hanno contribuito ad arginare, fino a ora, i cambiamenti climatici estremi, fungendo da equilibratore naturale. Negli ultimi vent’anni hanno assorbito enormi quantità di anidride carbonica, pari a circa il 25% di quella prodotta, e il 90% del calore immesso in atmosfera.
Che cos’è la Giornata mondiale degli Oceani?
La Giornata mondiale degli Oceani si celebra l’8 giugno ed è un evento che vuole portare all’attenzione di cittadini, enti e istituzioni l’importanza degli oceani e il ruolo fondamentale che svolgono negli equilibri della vita sulla Terra. Gli oceani sono infatti ecosistemi straordinariamente ricchi e ancora parzialmente inesplorati, soggetti tuttavia a una forte pressione antropica che rischia di metterne a repentaglio la biodiversità.
Gli oceani sono fonte di cibo, energia e lavoro per gli esseri umani. Coprono tre quarti della superficie terrestre dando ospitalità alla più grande biodiversità di specie animali e vegetali. Regolano anche la temperatura terrestre rendendo possibile la vita sulla Terra. La nostra salute e i cambiamenti climatici sono indissolubilmente legati alle grandi distese marine: per questo occorre salvaguardarle.
Come nasce
L’8 giugno del 1992 il vertice sull’ambiente di Rio de Janeiro decise di istituire questa giornata come monito sui rischi legati allo sfruttamento dell’ambiente marino e come auspicio per interventi mirati sul medio e lungo periodo. Dal 2008 la Giornata è riconosciuta anche dalle Nazioni Unite. Vi partecipano oltre 140 Paesi che si impegnano a considerare l’importanza degli oceani e a studiare opportune iniziative a loro tutela.
Perché è importante
Il 70% della superficie terrestre è costituita da acqua. Sono migliaia le specie di animali e di piante che vivono in ambienti marini e che richiedono tutela, alla stregua delle specie terricole. Non solo, gli oceani regolano la temperatura terrestre rendendo possibile la vita sulla Terra. La nostra salute e i fenomeni climatici sono quindi legati alle grandi distese marine, che oggi soffrono dei danni causati dall’inquinamento e dalla dispersione di plastiche e microplastiche.
Il tema del 2024 | Awaken New Depths (Risvegliare nuove profondità)
L’oceano sostiene l’umanità e tutta la vita sulla Terra. Anche se sappiamo poco dell’oceano rispetto alla sua immensa vastità – abbiamo esplorato solo circa il 10% delle sue profondità – conosciamo le conseguenze delle azioni antropiche sulla salute dei mari. Ogni anno l’umanità continua a prendere decisioni rischiose e miopi che aumentano il rischio di rovina per l’oceano (abbiamo visto la campagna di Etica contro l’estrazione dai fondali marini, per fare un esempio) e, di conseguenza, per noi stessi. Per dare vita ad un ampio movimento a favore dell’oceano, la Giornata vuole risvegliare nuove profondità di consapevolezza e azione.
Promossa da un Consiglio consultivo dei giovani composto da 25 leader giovanili provenienti da 21 paesi, la Giornata mondiale degli oceani 2024 unisce il mondo per celebrare il ‘Pianeta blu’ e intraprendere azioni collettive per un oceano sano e un clima stabile. Sono previste decine di migliaia di attività, celebrazioni e altri eventi. Insieme, queste azioni coinvolgeranno milioni di persone in oltre 150 paesi.
La leadership giovanile è una caratteristica fondante di questa giornata. “Come giovani sostenitori del clima, possediamo la chiave per la sua protezione. Attraverso la nostra azione collettiva, passione e dedizione, possiamo proteggere i nostri oceani e combattere il cambiamento climatico per un futuro più sostenibile. Abbiamo il potere di potenziare e amplificare le nostre voci come giovani in tutto il mondo per influenzare e creare un impatto per la risorsa più preziosa del nostro pianeta blu: il nostro oceano! ” – ha affermato Leena Joshi(India), durante il lancio della giornata di quest’anno.
Ha aggiunto Maria Jose Rodriguez Palomeque (Messico): “i giovani, soprattutto quelli provenienti da comunità vulnerabili, sono voci essenziali nella creazione di soluzioni climatiche per proteggere l’oceano. Ignorare le loro voci significa ignorare il nostro futuro. I giovani meritano di essere riconosciuti come soggetti politici”.
Per la Giornata Mondiale degli Oceani 2024 in Italia si svolgeranno conferenze, dibattiti, proiezioni cinematografiche, mostre fotografiche, eventi sportivi, pulizie delle spiagge e delle coste, laboratori educativi per tutte le età e molto altro ancora.
L’importanza degli oceani
Gli oceani producono metà dell’ossigeno che respiriamo e sono una fonte diretta di cibo per un miliardo di persone, oltre a rappresentare anche un’importante fonte di energia e di lavoro. Ma i vantaggi per l’uomo non si fermano qui. Il legame è così stretto che stupisce non sia mai stato messo abbastanza in rilievo: se il mare è vivo vive anche l’uomo, se il mare è in sofferenza lo siamo anche noi.
Il valore economico degli oceani
Come tutte le risorse anche gli oceani hanno un “valore economico”. Secondo un report del WWF (Reviving the Ocean Economy: The case for action – 2015) gli oceani – con la pesca, il turismo, le rotte di navigazione e le attività costiere – sono un soggetto economico da 24 mila miliardi di dollari, al settimo posto tra le principali economie mondiali.
Nel 2010, il prodotto economico delle industrie marittime e oceaniche era di circa 1,5 miliardi di dollari, rappresentando il 2,5% del valore aggiunto lordo mondiale e impiegando circa 31 milioni di persone. Entro il 2030, si prevede che questo valore potrebbe raddoppiare, con un aumento significativo nei settori dell’acquacoltura marina, dell’energia eolica offshore e della cantieristica navale.
Nel 2016 gli scienziati del NOAA, ente governativo statunitense per le risorse oceaniche e atmosferiche, si sono spinti a calcolare il valore di alcune aree marine. Quella, immensa, compresa tra la costa occidentale degli Stati Uniti, le isole Hawaii e il Perù, è stimata in 17 miliardi di dollari. E gli introiti da pesca commerciale rappresentano solo una quota marginale, dovendosi conteggiare nel valore complessivo anche le altre attività e, soprattutto, il naturale assorbimento di carbonio da parte delle acque, che da solo vale circa 13 miliardi di dollari.
La “Blue Economy” offre anche opportunità di investimento sostenibile, come i Blue Bond, strumenti finanziari che raccolgono capitale per progetti marini e oceanici, mirati a migliorare la salute degli oceani e a promuovere pratiche ecologiche.
Perché gli Oceani sono a rischio
Insomma, una ricchezza enorme. Che però viene messa sempre più a rischio dallo sfruttamento intensivo e dai cambiamenti climatici. L’inquinamento, il riscaldamento dei mari e l’acidificazione delle acque, insieme alla perdita di biodiversità (crollata del 39% tra 1970 e 2010) sono i principali rischi a cui è sottoposto il grande involucro liquido che ricopre gran parte della Terra.
Plastica e inquinamento
È stato calcolato che ogni anno in tutto il mondo vengono riversati in mare dai 4 ai 12 milioni di tonnellate di plastica. Come segnala l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, nel solo mare Mediterraneo vengono gettati più di 200.000 tonnellate di plastica all’anno, cioè il contenuto di oltre 500 container. Il risultato è che a livello mondiale la plastica rappresenta l’80% dei rifiuti presenti negli oceani, dalle acque superficiali giù giù fino ai fondali marini. Tra le fonti di inquinamento non mancano gli scarichi urbani e industriali, che immettono nell’ambiente sia sostanze organiche sia materiali non degradabili come metalli pesanti e particelle radioattive. Si stima che entro il 2040 ci saranno circa 700 milioni di tonnellate di plastica negli oceani.
Surriscaldamento
Per il settimo anno consecutivo nel 2022 il riscaldamento degli oceani ha registrato temperature in costante aumento, con il Mediterraneo a fare da capofila tra i bacini in cui il fenomeno è più evidente. Incrementi che, uniti a livelli sempre più elevati di salinità e a una maggiore separazione dell’acqua in strati, possono compromettere il naturale scambio tra la superficie e le zone più profonde, alterando così gli spostamenti delle specie ittiche.
Acidificazione delle acque
L’acidità degli oceani è un fenomeno naturale dovuto all’assorbimento dell’anidride carbonica atmosferica. Ma se le concentrazioni di CO2 aumentano, anche l’acidificazione subisce un incremento, con conseguente riduzione di altre sostanze minerali necessarie alla sopravvivenza degli organismi marini.
L’acidità media superficiale, rimasta stabile per milioni di anni, ha subito un’accelerazione del 26% negli ultimi 150 anni. In assenza di interventi specifici, il dato potrebbe aumentare del 150% entro il 2100.
Le principali politiche per preservare gli oceani
Una gestione sostenibile delle risorse marine richiede un radicale cambiamento di approccio, che coinvolga le politiche dei Paesi rivieraschi e le numerose industrie di settore.
Nel febbraio 2022 il vertice One Ocean, tenutosi a Brest, è stato uno degli eventi più importanti nell’ambito del decennio ONU delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile. La Commissione Europea ha fornito il suo contributo presentando tre iniziative:
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una coalizione internazionale per proteggere la biodiversità marina nelle zone non soggette a giurisdizione nazionale;
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un progetto informatico che consenta ai ricercatori di creare simulazioni digitali degli oceani del mondo;
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una missione di ricerca UE per migliorare le condizioni degli oceani entro il 2030.
L’approccio è stato ribadito nel corso della successiva Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, tenutasi a Lisbona, che ha condotto nel marzo di quest’anno alla sottoscrizione del cosiddetto Trattato d’alto mare, un fondamentale accordo che prevede la creazione di aree marine protette in acque internazionali e l’obbligo di valutazione di impatto ambientale per le attività in alto mare.
Scopri l'impegno di Etica per la salvaguardia degli oceani
Per salvaguardare i nostri oceani dall’inquinamento da plasticaabbiamo sottoscritto, insieme a 160 istituzioni finanziarie internazionali provenienti da 29 Paesi, un accordo per invitare i governi di tutto il mondo a sostenere il settore finanziario nell’adozione di misure per combattere l’inquinamento da plastica e creare un trattato storico e ambizioso che tenga conto delle sfide e dei costi associati a questo problema globale. Il Finance Statement on Plastic Pollution sollecita i governi a concordare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante (ILBI – International Legally Binding Instrument), supportato da regole vincolanti e obblighi per gli Stati per gestire l’intero ciclo di vita della plastica e porre, fine all’inquinamento derivante da questo materiale.
La Blue economy è decisiva per un futuro sostenibile
HOME APPROFONDIMENTI LA BLUE ECONOMY È DECISIVA PER UN FUTURO SOSTENIBILE
La Blue economy, l’economia che ruota intorno agli oceani, ai mari e ai fiumi, è decisiva per un Green Deal europeo all’insegna della sostenibilità. Il settore della finanza e l’economia blu a basso impatto ambientale sono indispensabili per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e per contrastare i cambiamenti climatici
È quanto emerge dall’ultimo rapporto della Commissione Europea, il quarto “Blue Economy Report” pubblicato nel mese di giugno.
Oceani e mari in salute sono la precondizione per la blue economy sostenibile
Preservare l’ambiente marino è indispensabile per la blue economy secondo Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal.
«L’inquinamento, la pesca eccessiva e la distruzione degli habitat, insieme agli effetti della crisi climatica, minacciano la ricca biodiversità marina da cui dipende la blue economy. Dobbiamo cambiare rotta e sviluppare un’economia sostenibile in cui la protezione dell’ambiente e le attività economiche vadano di pari passo».
Blue economy in Europa, 4,5 milioni di persone occupate e 650 miliardi di euro di fatturato
I dati pre-pandemia raccolti da Eurostat ed elaborati dalla Commissione Europea ci dicono che la blue economy impiega almeno 4,5 milioni di persone nella sola Europa. Il comparto genera ben 650 miliardi di euro di fatturato e 176 miliardi di euro di valore aggiunto lordo, con un utile lordo 68 miliardi di euro. In Italia, trainata dal turismo costiero, dà già lavoro a oltre 390.000 persone e genera circa 19,7 miliardi di euro di valore aggiunto al PIL nazionale.
I settori coinvolti nella blue economy, individuati dalla UE, riguardano la preservazione delle risorse marine viventi e non viventi, l’energia rinnovabile ricavata dal mare, le attività portuali. Ma anche tutto il comparto navale, dalla costruzione ai trasporto marittimo. Fino al turismo costiero, alla pesca e all’acquacoltura. Negli ultimi anni, all’interno dei vari settori industriali, secondo il report della Commissione UE, tutto ciò che è sviluppato all’insegna della totale sostenibilità ambientale, è in forte crescita. L’energia delle onde e delle maree, la produzione di alghe, lo sviluppo di attrezzi da pesca innovativi, il ripristino degli ecosistemi marini creeranno nuovi posti di lavoro e imprese verdi nell’economia blu.
Quali sono i settori produttivi della blue economy?
Tra i principali comparti emergenti e innovativi ci sono proprio quelli legati alla produzione di energia rinnovabile marina. Cioè l’energia ricavata in oceano. Dall’eolico offshore ai pannelli fotovoltaici galleggianti, il cosiddetto “solare flottante”. Tecnologie che permettono di raccogliere in modo pulito l’energia necessaria per gli elettrolizzatori, in grado di scindere le molecole di idrogeno e ossigeno e quindi produrre l’idrogeno verde, quello prodotto a partire da fonti esclusivamente rinnovabili. Rientrano nell’economia blu, di conseguenza, la ricerca e lo sviluppo delle infrastrutture marine legate alle comunicazioni e all’energia, come la posa dei cavi sottomarini che richiede, a sua volta, lo sviluppo della robotica. All’energia rinnovabile marina l’UE ha già dedicato una vera e propria strategia di sviluppo. Insieme a quella per l’energia rinnovabile offshore, che dovrebbe portare ad un aumento della capacità eolica offshore da 12 GW a 300 GW entro il 2050.
Altrettanto fondamentale resta la bioeconomia, legata soprattutto alle produzioni biologiche ittiche e algali, le biotecnologie. Solo il settore biologico ha ottenuto profitti lordi per 7,3 miliardi nel 2018, un aumento del 43% in più rispetto al 2009, con un fatturato che ha raggiunto i 117,4 miliardi di euro, il 26% in più rispetto al 2009. Da solo, il nuovo settore delle alghe marine si è rivelato davvero notevole. Anche se i dati socio-economici recenti sono disponibili solo per un numero limitato di Stati membri (Francia, Spagna e Portogallo), il fatturato registrato nel 2018 ammonta a 10,7 milioni di euro. Poiché il cambiamento climatico sta portando a estati più calde e secche, alcuni Paesi devono garantire l’approvvigionamento idrico e quindi hanno investito nella desalinizzazione. Attualmente ci sono 2.309 impianti di desalinizzazione operativi nell’UE che producono circa 9,2 milioni di metri cubi di acqua potabile al giorno.
L’energia degli oceani e la formazione indispensabili per la transizione ecologica
Ma non bastano solo le soluzioni tecnologiche. Per guidare il processo al cambiamento occorre investire in formazione. La blue economy richiede nuove competenze. A oggi già il 17-32% delle aziende sta registrando carenze di competenze e di personale tecnico adeguatamente formato, specie nell’ambito dell’energia rinnovabile offshore. Fattore che richiede l’intervento degli Stati membri e di investimenti sia in ricerca ma anche nella formazione dei futuri giovani lavoratori. O per riqualificare coloro che sono ancora impiegati nel comparto fossile.
Il valore del capitale naturale: i servizi ecosistemici
Per la Blue Economy è fondamentale quantificare i costi e l’impatto dell’inquinamento, che rischia di esaurire il capitale naturale blu, così come di calcolare i benefici economici, ambientali e di benessere derivanti dalla loro conservazione. Sono le aree naturali che presentano vantaggi per la qualità della vita dei cittadini, che assicurano, attraverso la cura dei residenti, la salvaguardia della natura nonché la tutela della terra, della costa, del mare e la conservazione del paesaggio. L’insieme di queste esternalità positive per l’ambiente, corrisponde ai cosiddetti “servizi ecosistemici“.
Il valore dei servizi ecosistemici in Europa è stimato pari a migliaia di miliardi di euro l’anno.
Un patrimonio inestimabile che va protetto e curato ma che, per esempio, con l’innalzamento del livello dei mari e l’erosione delle coste, comporta una perdita stimata di almeno 15 miliardi di euro ogni anno. Gli esperti della Commissione UE hanno calcolato che la perdita dell’1-1,3% di terra e acque interne sommerse porterebbe al declino del 4,3-5,4% del valore dei loro servizi ecosistemici. Dai 360 a 341-344 miliardi di euro all’anno.
Attualmente, però alcuni settori importanti non sono ancora a impatto zero. Vero è che le emissioni di CO2 provenienti dalle flotte pescherecce dell’UE sono diminuite del 18% dal 2009 e il 2018. E l’impatto del pesce e dei prodotti del mare in relazione al cambiamento climatico, rispetto alle altre fonti proteiche nella dieta dei cittadini europei, ha un impatto inferiore rispetto alla carne. Ma ciò non è ancora sufficiente.
Per la UE, l’economia blu è indispensabile per raggiungere gli obiettivi del Green Deal
La Commissione Europea, anche alla luce delle conclusioni del “Blue Economy Report”, ha condiviso un approccio ancora più radicale, aggiornando la road map pubblicata nel 2012 e ribadendo come lo sviluppo di “un’economia blu sostenibile è essenziale per raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo e garantire una ripresa verde e inclusiva dalla pandemia”.
Per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica, le linee di indirizzo della Commissione Europea indicano, oltre che sviluppare l’energia rinnovabile offshore, la decarbonizzazione del trasporto marittimo. Il mix di energia oceanica sostenibile che includa l’energia eolica, termica, quella prodotta dalle onde e dalle maree, potrebbe generare un quarto dell’elettricità dell’UE nel 2050. I porti, sottolineano gli esperti della UE, sono cruciali per la connettività e l’economia delle regioni e dei paesi europei e potrebbero essere utilizzati come hub energetici: porti più verdi, completamente slegati dall’economia fossile.
Investire in natura: investire in economia sostenibile
Non ci può essere una vera blue economy senza un’economia circolare e una riduzione dell’inquinamento, ribadiscono gli esperti. Servono, quindi, standard rinnovati per la progettazione degli attrezzi da pesca, per il riciclaggio delle navi, per lo smantellamento delle piattaforme offshore. Azioni concrete per ridurre l’inquinamento da plastica e microplastica. Occorre “investire sulla natura”: preservare almeno il 30% della superficie marina dell’UE invertirà la perdita di biodiversità, aumenterà gli stock ittici, contribuirà alla mitigazione del clima e alla resilienza, e genererà significativi benefici finanziari e sociali.
L’innalzamento del livello del mare e degli oceani, il surriscaldamento particolarmente aspro per il continente europeo, pongono la sfida dell’adattamento climatico per tutte le aree costiere. Attività di tutela che passano attraverso la protezione dei litorali dal rischio di erosione e inondazioni attraverso infrastrutture verdi, indispensabili per tutelare turismo e l’economia costiera. Con l’adozione delle linee guida strategiche dell’UE per l’acquacoltura sostenibile, la Commissione si è anche impegnata a far crescere linee di produzione alimentari a minor impatto sull’ambiente. La tutela del mare passa, ricordano gli esperti europei, anche attraverso la gestione degli spazi marittimi, conseguenza dei piani nazionali di ciascun Stato membro. Un rapporto sull’attuazione della direttiva UE sulla pianificazione dello spazio marittimo sarà pubblicato nel 2022, rende noto la Commissione.
Con un valore economico annuale stimato in 2,5 trilioni di dollari, equivalente alla settima economia più grande del mondo, l’economia blu sta attraendo sempre più investitori, assicuratori, banche e politici come nuova fonte di prosperità.
Gli oceani, i mari, l’ambiente e gli uomini non si possono permettere altre perdite di capitale naturale che corrisponderebbero ad ingenti perdite anche economiche. Anche per questo il ruolo della comunità finanziaria è ancora più importante, oggi, ricorda ancora la Commissione Europea, individuando linee guida per la finanza blu, nel guidare gli investimenti davvero sostenibili.
Blue deal europeo, come l’Europa combatte la povertà idrica
L’acqua, risorsa indispensabile per la vita e per l’economia, rappresenta una delle sfide sul fronte della sostenibilità e della transizione green che maggiormente dovrebbe attrarre l’attenzione degli investitori. Per questo motivo, da tempo, si parla della realizzazione di un Blue Deal che, alla stregua del Green Deal e in stretta correlazione con esso, dovrebbe regolamentare e pianificare a livello europeo tutte le iniziative per la salvaguardia dell’oro blu.
I punti chiave del progetto Blue Deal fra etica ed economia
Alla fine del 2023 il CESE, Comitato economico e sociale europeo, ha redatto 15 principi guida e 21 azioni che sono contenute nella Dichiarazione per un Blue Deal europeo. L’attenzione è rivolta in particolare alle perdite d’acqua nelle reti e agli sprechi in agricoltura, industria e famiglie. L’obiettivo dichiarato è quello di anticipare i bisogni, di preservare e gestire adeguatamente le risorse idriche comuni nel breve, medio e lungo termine.
Il CESE invita le istituzioni europee e gli Stati membri a riconoscere l’acqua come una priorità strategica nel periodo di programmazione 2028-2034. Il documento, però, oltre a mettere nero su bianco la necessità della realizzazione di una vera e propria politica europea dell’acqua, pone l’accento sullo stretto legame fra risorse idriche e diritti sociali dimostrando una particolare attenzione per gli aspetti di sostenibilità sociale nel combattere la povertà idrica.
Inoltre, nella consapevolezza del valore economico di questa risorsa, il Blue Deal riconosce l’importanza che questo progetto sia accompagnato da un “piano di finanziamento altrettanto ambizioso”, attraverso un Blue Transition Fund che finanzi infrastrutture idriche resilienti e sostenibili, la ricerca e l’adozione di tecnologie innovative e iniziative che puntino a ridurre le disuguaglianze nell’accesso a servizi idrici e igienico-sanitari. È forte la necessità di trovare un “mirabile equilibrio”, esattamente come nel Green Deal, fra sostenibilità ambientale e interessi economici, “in quanto le diverse industrie hanno esigenze e opportunità diverse in materia di acqua”.
Questi i principi guida del “Patto Blu” dell’UE:
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Tutte le politiche dell’UE devono essere allineate con la nuova politica idrica europea, basandosi su dati idrici aggiornati, accurati e accessibili.
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La protezione e il ripristino degli ecosistemi, delle zone umide e della biodiversità devono essere parte essenziale del Patto Blu.
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L’UE deve adottare un approccio basato sull’acqua come diritto umano e combattere la povertà idrica, riconoscendo il diritto a un ambiente sano come diritto umano fondamentale.
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I servizi di acqua, igiene e sanificazionedevono essere sostenibili, equi, di alta qualità e accessibili a tutti, con priorità ai bisogni fondamentali in caso di crisi idrica.
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Tutti gli utenti devono essere incentivati ad adottare soluzioni sostenibiliper l’uso e il consumo dell’acqua.
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L’UE deve sostenere lo sviluppo di tecnologie per l’efficienza idrica, il riciclo e la riduzione dell’inquinamento.
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Le perdite d’acquadovute a perdite nelle reti e sprechi devono essere significativamente ridotte.
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L’agricoltura, essendo sia causa che vittima della scarsità d’acqua, deve avere accesso a risorse idriche di qualità e una gestione sostenibile per una produzione alimentare adeguata nell’UE
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Dato il legame tra energia, acqua e materie prime critiche, l’acqua deve essere considerata un elemento fondamentale della strategia industrialedell’UE.
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È necessario un approccio settoriale poiché le diverse industrie hanno esigenze idriche specifiche. Il principio di non danneggiamento (no-harm principle) deve essere combinato con il diritto delle attività economiche di consumare acqua.
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Deve essere garantita la disponibilità di lavoratori qualificatie specializzati, preservando la competitività delle aziende europee.
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Una politica idrica ambiziosa richiede un piano di finanziamentoaltrettanto ambizioso. Prezzi, costi e tasse dell’acqua devono essere equi e trasparenti, basati sul principio del recupero totale dei costi.
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L’UE deve intensificare gli sforzi in diplomazia blu e integrare l’acqua nella politica esterae nelle relazioni esterne, compresi vicinato, commercio e sviluppo. Uno degli obiettivi principali della diplomazia blu dovrebbe essere migliorare il quadro dei trattati ONU sulle questioni idriche e implementare rapidamente gli accordi internazionali.
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È essenziale sviluppare politiche internazionali per promuovere l’uso parsimonioso ed efficiente dell’acqua in tutti i settori, ridurre l’inquinamento delle acque sotterranee e superficiali e ripristinare le acque inquinate.
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Il Patto Blu dell’UE richiede una governance adeguatadelle risorse idriche dolci, comprese le acque sotterranee. Il CESE chiede un approccio di bacino idrografico che coinvolga tutti gli stakeholder rilevanti.
Il mare, una risorsa strategica per la transizione verde
Mentre si parla di come tutelare la risorsa “acqua dolce”, l’Europa sembra aver ben chiara l’importanza economica del suo mare. Il dato emerge dall’ultima edizione del Blue Economy Report, la ricerca che l’UE dedica alle attività economiche basate o collegate all’oceano, ai mari e alle coste. L’economia del mare in Europa impiega 3,6 milioni di persone (+17% rispetto al 2020), garantisce un fatturato di 624 miliardi di euro l’anno (+21% rispetto al 2020) e rappresenta 171 miliardi di euro di Val, ovvero di Valore aggiunto lordo (+35% rispetto al 2020)
Il report ha messo in evidenza che l’Europa si conferma una meta turistica marina per definizione tanto che proprio questa voce risulta la più importante e pesa per il 29% sul totale del valore aggiunto occupando il 54% dell’intera forza lavoro della blue economy. Al secondo posto si conferma il trasporto marittimo che in termini di fatturato genera quasi un quarto dell’intero valore del comparto. Spicca negli ultimi anni il settore delle energie rinnovabili marine con un trend di crescita costante e profitti lordi stimati nell’ordine dei 2,4 miliardi di euro.
Infine, ottime performance anche nel settore delle risorse biologiche marine (pesca, acquacoltura, lavorazione e distribuzione dei prodotti ittici), che ha registrato un incremento del 24% rispetto al 2020.
La blue economy alla ricerca di resilienza
La nuova edizione del rapporto illustra anche i potenziali impatti dei cambiamenti climaticisull’economia blu lungo le coste dell’UE. In particolare, emerge che se i livelli attuali di protezione costiera non verranno aumentati, i danni economici annuali derivanti dalle inondazioni costiere potrebbero essere compresi tra 137 e 814 miliardi di euro entro il 2100. Lo studio, inoltre, mette in evidenza il contributo che l’economia marina è in grado di offrire concretamente alla strategia di transizione energetica grazie ai passi avanti compiuti nello sviluppo dell’energia derivante dalle onde, dalle maree e dall’energia eolica offshore.
Notizie meno positive per la flotta peschereccia dell’UE poiché il rapporto mostra come, nonostante una diminuzione del 25% del consumo di carburante e delle emissioni di CO2 registrata tra il 2009 e il 2021, l’efficienza del carburante sia peggiorata negli ultimi anni a causa dell’aumento dei prezzi dei combustibili. Su questo fronte, però, si segnala il “varo” a fine 2023 del Regolamento marittimo FuelEU, parte integrante del pacchetto “Fit for 55” che punta a ridurre le emissioni di gas serra nell’Unione del 55% rispetto al 1990 entro il 2030.
Italia, il contributo allo sviluppo della blue economy
All’interno dell’Unione Europea, cinque Stati membri rappresentano il 70% del valore aggiunto lordo dell’intera economia blu della regione: Germania, Francia, Spagna, Italia e Paesi Bassi in questo ordine. In termini di occupazione, questi Paesi rappresentano un contributo combinato del 67% del totale dei posti di lavoro dell’economia blu dell’Unione.
Scopri l'impegno di Etica per la salvaguardia dei mari - Etica Sgr, insieme a 160 istituzioni finanziarie internazionali provenienti da 29 Paesi, ha sottoscritto un accordo globale per la creazione di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica.
A cura di
Carlo GATTI
Rapallo, Mercoledì 4 Giugno 2025
PERCEBES E PERCEBEIROS - UN'AVVENTURA TRA MARE E GASTRONOMIA
PERCEBES E PERCEBEIROS
UN'AVVENTURA TRA MARE E GASTRONOMIA
Le coste del Mediterraneo sono famose per i "denti di cane", o balani: crostacei immobili che ricoprono scogli, banchine e scafi, tanto da rallentare le navi in navigazione.
I cosiddetti “denti di cane”, quelle strutture che somigliano a piccole piramidi o vulcani visibili su scogli, barche, boe e qualsiasi altra cosa sia immersa in acqua di mare, sono appunto BALANI.
Ma pochi conoscono un loro "parente" famoso in ambito gastronomico, soprattutto lungo le coste atlantiche: i percebes (Pollicipes pollicipes).
Questi crostacei sorprendono per la raccolta pericolosissima, che richiede abilità da rocciatori esperti: i “percebeiros”.
Le tre frecce rosse indicano tre famose località della GALIZIA spagnola: La Coruña – Santiago de Compostela – Cabo de Finisterre
Immaginate la Galizia: onde impetuose, rocce a strapiombo. Qui, i valorosi percebeiros si calano con funi, sfidando mare e vento, per raccogliere questi preziosi crostacei.
I percebes, cirripedi dalle forme bizzarre, ricordano dita di animali preistorici: un corpo cilindrico, un carapace grigio scuro e una chela avorio, simile ad un artiglio.
Si attaccano saldamente alle rocce, filtrando il plancton con sottili membrane. La densità delle colonie influenza le dimensioni: in colonie fitte, la competizione per il cibo li allunga, rendendo il corpo affusolato; in colonie rade, sono più tozzi. La lunghezza varia dai 2 agli 8 cm, la chela da 1,5 a 3 cm.
Nonostante l'aspetto, questi crostacei offrono carni delicate e gustose, apprezzate in tutto il mondo. La pesca difficile e la grande richiesta li rendono molto costosi (fino a 180€ al kg in Italia!). Bolliti per 40-45 secondi, si gustano con limone o salse delicate, spezzandoli con le mani. I più coraggiosi li preferiscono crudi, per apprezzare appieno il sapore intenso di mare, simile a quello dei molluschi freschi, con una consistenza che ricorda i gamberetti.
Le domande più frequenti:
Perché la pesca dei percebes è una esclusiva di poche regioni atlantiche?
Se i mari italiani possono contare su tante varietà di cozze e altri molluschi, i percebes sono esclusiva delle coste dell’Oceano Atlantico nord occidentale. In particolare, la loro terra d’elezione è la Galizia: è in questa regione della Spagna che trovano le condizioni ideali per vivere e riprodursi. Quello di cui necessitano sono scogliere alte e impervie, battute da onde alte. Stare troppo sotto il livello del mare li renderebbe infatti facili prede di orate e tordi, ma d’altro canto fuori dall’acqua c’è un altro cacciatore a insidiarli, il gabbiano. Il fatto di proliferare soprattutto sulle parti rocciose emerse dove si infrangono le onde ne rende difficile la pesca.
Quanto costa 1 kg. di percebes
In Italia, il prezzo dei percebes può toccare anche i 180 euro al kg. Chiaramente il costo aumenta con l'aumentare della domanda. In alcuni mercati di Spagna e Portogallo, presso pescatori autonomi, i percebes possono essere acquistati anche a 30 euro al kg.
Dove si può trovare il percebes in Italia?
Molto raro e difficile trovarlo in Italia, ma allo stesso tempo piuttosto apprezzato dagli amatori dei prodotti dal sapore intenso, marino, iodato.
I percebes si trovano soprattutto nella regione spagnola della Galizia dove vengono pescati a mano dal perceberos: un pescatore coraggioso e particolare che impiega tecniche da rocciatore indossando per l’occasione la muta da subacqueo. La sua bravura eccelle nella sfida contro le onde dell’oceano quasi sempre impetuose, fredde e taglienti!
Nonostante l’aspetto non sia dei più invitanti, questi frutti di mare racchiudono carni delicate e gustose tanto da renderli una prelibatezza molto ricercata. Le altre zone dov’è possibile reperire il percebes sono il Portogallo ed il Marocco, anche se ultimamente si possono trovare “sotto vuoto” presso sperduti supermercati europei.
Vista la difficoltà della pesca e la numerosa richiesta del mercato, il costo di questi crostacei è variabile e molto alto. (intorno ai 100 euro al kg).
Consumati prevalentemente lessati (40-45 secondi il tempo di cottura) vengono serviti con una fetta di limone o qualche salsina molto delicata. Basta ora spezzarli con le mani e gustare il contenuto presente all’interno. I veri puristi li mangiano crudi!
“Il gusto di questi crostacei ricorda il mare”!
Questa è la prima impressione che viene in mente a chi assaggia questi piccoli prodotti. Il sapore è quello dei molluschi freschi, mentre la consistenza è quella di un gamberetto. Per aprirli si deve strappare l’artiglio con le mani e mangiare la polpa all’interno.
Vengono cucinati in acqua bollente per qualche minuto, esattamente come la pasta ma senza aggiungere sale perché il loro sapore di mare è già molto carico.
Percebes, vera rarità “strappata” al mare
L'ARRELHADA: UNO STRUMENTO ANTICO PER UN LAVORO PERICOLOSO
L'arrelhada, un bastone con spatola, è l'unico strumento utilizzato per staccare i percebes dalle rocce.
Uno dei luoghi migliori per pescarli è nel sud del Portogallo, sulla Costa Vicentina (Faro di Sao Vicente), dove, grazie al mare molto agitato, la concentrazione di fitoplancton maggiore dona ai crostacei un gusto particolare, molto apprezzato.
YouTube
La dura jornada de los percebeiros gallegos | NATIONAL GEOGRAPHIC ESPAÑA
Conclusione
Il percebes non è solo un alimento prelibato, ma un simbolo di coraggio, di sfida contro la natura, di tradizione antica. Rappresenta il legame indissolubile tra l'uomo e il mare, una relazione di rispetto e di ardua conquista. Il suo gusto intenso e la sua storia affascinante lo rendono un'esperienza unica da scoprire e raccontare.
Carlo GATTI
Rapallo, Martedì 27 Maggio 2025
LA NAVE PUNICA DI MARSALA
LA NAVE PUNICA DI MARSALA
L'eccezionalità del ritrovamento della Nave Punica deriva proprio dalla sua antichissima storia. Il relitto risale al III secolo avanti Cristo, siamo in piena battaglia delle Egadi. Si tratta di un reperto unico per gli oltre 2.300 anni passati in fondo al mare. I punici erano MAESTRI nella tecnica costruttiva di imbarcazioni sia militari che commerciali.
La stella rossa a destra, indica il punto del ritrovamento del relitto della nave punica nei pressi di Punta Scario (Isola Grande).
La Nave, scoperta dalla archeologa inglese Honor Frost nel tratto di mare al largo dell’Isola Grande, presso l’imboccatura nord dello Stagnone di Marsala, rappresenta un’importante testimonianza della Prima Guerra punica, combattuta dai Romani contro i Cartaginesi per la conquista della Sicilia, quando probabilmente fu affondata durante l’assedio di Lilibeo o nella battaglia delle Egadi che pose fine al conflitto (241 a.C.).
La X rossa (al centro della carta) indica il probabile luogo della BATTAGLIA
LE ISOLE DELLO STAGNONE
Le isole dello Stagnone prendono il nome dalla laguna più vasta della Sicilia che è caratterizzata da acque basse (1–2 m e spesso non più di 50 cm) ed è compresa tra le quattro isole:
. I. Grande o Isola Lunga, la più grande dell’arcipelago. Anticamente era composta da 5 isolette (Frati Janni, Altavilla, Burrone, Sorci e San Todaro) unite da canali.
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La Scuola o Isola Schola, la più piccola
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Santa Maria, stretta e allungata
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Isola di San Pantaleo (l'antica Mozia) è la più importante delle isole dello Stagnone dal punto di vista paesaggistico e archeologico. Antica Colonia Fenicia, ha forma circolare.
. L’isolotto di Mozia fu baluardo punico sin dal XII sec. a.C.
Fu il primo emporium di questo popolo di mercanti che veniva dall’Asia.
Splendidi i ruderi di Mozia che oggi si possono osservare nel piccolissimo isolotto al quale si giunge con un battello che parte dalla limitrofa Marsala. Una volta giunti si respira aria del passato.
Si passeggia nell’isolotto, porto fenicio di grandissima importanza nell’antichità, sommersi dai ritrovamenti archeologici.
Lo Stagnone nell'antichità, in particolare in epoca fenicia, era un luogo strategicamente importante per la presenza di Mozia, influente e sicuro centro commerciale fenicio per gli scambi tra Oriente e Occidente. Il periodo di splendore dello Stagnone si concluse con la conquista romana e rimase nel silenzio fino alle soglie dell'età moderna. Infatti, con un notevole salto di secoli, lo Stagnone tornò ad avere una funzione importante ai tempi della dominazione spagnola, nel XV secolo, quando lungo il suo litorale furono costruite le saline e quando si incrementò l'attività della pesca. Le saline sono ancora oggi una delle peculiarità della Riserva dello Stagnone e possono essere visitate. Così come gli imponenti mulini a vento che venivano e vengono utilizzati per il pompaggio dell'acqua e la macinazione del sale. Tra le caratteristiche che rendono unica la Riserva cè comunque anche la presenza di numerose specie di pesci (orate, spigole, triglie, anguille, saraghi, seppie, polpi, crostacei e via dicendo). Le calde acque della Laguna e la scarsa profondità dei suoi fondali rendono, infatti, lo Stagnone un habitat ideale per la deposizione delle uova e per il ripopolamento ittico, peraltro tutelato dal regolamento della Riserva che prevede il divieto di caccia e di pesca subacquea e con le reti. Anche la pesca sportiva (attraverso lenze e nasse), pur essendo consentita, è opportunamente regolamentata. Ma lo Stagnone è anche un piccolo paradiso per gli appassionati di ornitologia. In determinati periodi dell’anno diverse specie di uccelli migratori, cavalieri d’Italia, anatre selvatiche, aironi e fenicotteri bianchi o rosa, qui nidificano o sostano durante le loro migrazioni. La Riserva dello Stagnone accoglie, inoltre, una rigogliosa vegetazione tipica degli acquitrini salmastri mediterranei: la Palma nana, i giunchi e le salicornie.
LO STAGNONE VISTO DAL SATELLITE
IL RITROVAMENTO
Il recupero della nave è avvenuto tra gli anni 1971 e 1974. Terminati gli scavi, i legni della nave vennero conservati in acqua dolce e successivamente montati e conservati in questo “baglio”, adibito per l'occasione a museo.
Il “Baglio Anselmi”, è un antico stabilimento marsalese costruito intorno al 1880 e destinato alla produzione del Marsala e della distillazione dell’alcool puro; dal 1986 è attualmente adibito a MUSEO all’interno del quale è ospitato il relitto della nave cartaginese ritrovata nel 1969 nello Stagnone di Marsala.
"Il relitto della Nave Punica" a Marsala
di Giovanni Teresi
“Il relitto della nave punica custodito nel Museo Archeologico: Baglio Anselmi di Marsala, rappresenta ad oggi un vero e proprio gioiello della collezione.
Ritrovata nel 1969 durante i lavori di scavo di una draga, vennero scoperti dei vasi antichi e altri reperti nella zona di Punta Scario, al largo dell’Isola Grande, presso l’imboccatura nord della laguna dello Stagnone. Nel 1971 lo spostamento di un banco di sabbia fece emergere la poppa della nave a pochi metri sotto il livello del mare, nei pressi del canale artificiale punico (“fretum intraboream”) che oggi è andato perduto.
Lo scavo fu affidato alla famosa archeologa Honor Frost dalla British School at Rome, in collaborazione con la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale.
Con il suo arrivo a Marsala, nell’estate del 1970, iniziarono i lavori con una équipe di volontari per eseguire ricognizioni subacquee e archeologiche sulla costa a nord della città.
La Nave Punica si trova a Marsala grazie a Honor Frost, una delle più famose archeologhe subacquee mai esistite.
La Frost, deceduta nel 2010, fu l’artefice del recupero della Nave Punica. L’operazione durò tre anni e fu un periodo eccezionale per la raccolta di reperti di vario tipo e testimonianze storiche della Prima guerra punica, antecedente quindi al 241 a.C.
Dell’antico reperto si è conservata la parte poppiera e la fiancata di sinistra, per circa 10 metri di lunghezza e 3 di larghezza.
L’archeologa Rossella Giglio ipotizza che: «[…]
“ipoteticamente la lunghezza era di m. 35, la larghezza di 4,80, la stazza di tonnellate 120, con un possibile equipaggio di 68 vogatori, 34 per lato, che azionavano i 17 remi di ogni fiancata.».
La nave punica era costruita secondo la tecnica detta «a guscio portante», basata sulla realizzazione prima del fasciame e poi della struttura interna. La parte esterna era rivestita da lamiere di piombo, fissate con chiodi di bronzo, mentre un tessuto impermeabilizzante stava in mezzo tra il fasciame ed il rivestimento metallico. La parte interna, invece, era costituita da madieri e ordinate, rispettivamente costruite in quercia e acero le prime, e in pino e acero le seconde, mentre il fasciame era realizzato in pino silvestre e marittimo. I segni geometrici che si trovano sulla nave costituivano le linee-guida per la costruzione della stessa e costituiscono, già da soli, una testimonianza di grande importanza. Aveva un’àncora, la chiglia e un rostro”.
ALBUM FOTOGRAFICO
LO STAGNONE
Il Relitto nel BAGLIO "ANSELMI"
Segue l’interessante elenco degli oggetti trovati a bordo del relitto:
Al momento della scoperta furono trovati, tra i resti dello scafo, anche altri oggetti che facevano comunque parte dell'imbarcazione o che appartenevano ai membri dell'equipaggio:
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sassi usati per zavorrare l’imbarcazione che, con molta probabilità, provenivano dalle coste laziali
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ossa di animali tagliate a pezzi
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noccioli d’oliva e gusci di noce (forse la nave affondò in un periodo autunnale o invernale, data l'assenza di resti di frutta fresca)
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foglie di cannabis sativa (forse utilizzata per alleviare le fatiche dei marinai)
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scopa in sparto (fibra vegetale utilizzata ancora oggi per fare i panieri)
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corde “piombate”, ossia intrecciate e rinforzate grazie a uno strumento in legno terminante a punta e che ancora oggi viene utilizzato (la caviglia)
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boccali, piatti, ciotole, un mortaio, tappi di sughero
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un pugnale
Questi ed altri reperti sono stati analizzati con il carbonio 14 e concordano nel datare la nave alla metà del III secolo a.C.
Il relitto di Marsala è una inequivocabile testimonianza del metodo di prefabbricazione delle navi fenicie e puniche, già noto dalle fonti storiche (Polibio). I corsi di fasciame e le parti strutturali venivano costruite in serie e contrassegnate con segni o lettere dell’alfabeto fenicio, per essere poi assemblate velocemente e consentire il varo di un’intera flotta in pochi giorni.
I trattamenti per la conservazione
A Marsala in un primo momento vennero esposti solo i pezzi di legno disassemblati, mentre la nave intera fu assemblata solo dopo che alcuni tecnici locali, i fratelli Bonanno, costruttori di barche e navi, riuscirono a ricostruire l'imbarcazione sotto la guida di Austin P. Farrar, un ingegnere navale della missione di scavo inglese, grazie alle lettere e ai segni presenti sul materiale recuperato.
Naturalmente va detto che non furono rinvenuti tutti i pezzi originari. Fu trovata solamente una parte di questi, ovvero la poppa e la fiancata di babordo, mentre altri pezzi sono stati montati su supporti appositi, visibili ad occhio nudo a causa del differente colore del legname. Dopo il rinvenimento, i legni vennero dapprima messi in vasche d'acqua dolce e, successivamente la nave venne reimmersa in una vasca con cera sintetica (polietelene glycol – PEG 4000 ad alta percentuale) dissolta in acqua a diverse concentrazioni e temperature.
La nave punica venne poi esposta nel museo nel 1978, ma per 21 anni rimase sotto un telone in quanto le condizioni architettoniche del museo non erano idonee per la sua corretta esposizione; infatti la si poteva ammirare soltanto tramite alcune finestrelle di plastica trasparente poste lungo le fiancate della copertura.
Nel maggio del 1999, ultimati i lavori che permisero la creazione di un clima adatto ad una conservazione ottimale, attraverso l'installazione di impianti di climatizzazione per mantenere umidità e temperatura costanti, venne tolto il telone e la nave fu esposta al pubblico.
Nave da guerra o nave oneraria?
Sono numerose le questioni ancora aperte sulla nave punica di Marsala. Prima di tutto ci si chiede ancora se fosse una nave da guerra o una nave oneraria (da carico) anche se addirittura c'è chi mette in dubbio che fosse effettivamente una nave punica.
Particolare della chiglia
Caratteristica importante di questo tipo d'imbarcazione era il rostro, elemento tipico delle navi puniche da guerra, una punta di bronzo o lignea posta sulla prua sotto il livello del mare, che serviva a speronare e ad aprire una falla nello scafo delle navi nemiche e che dopo lo scontro si staccava dalla chiglia facendo affondare la nave speronata. Anche se della nave di Marsala si conserva solo una parte della poppa, gli studiosi suppongono che a prua ci potesse essere un rostro, proprio come quello che si è trovato nel 2004 a Trapani in quanto intorno ai legni ricurvi del lato di prua sono state rinvenute tracce di tessuto imbevuto di resina e un frammento di lamina di piombo.
Ciò fa pensare che probabilmente questa nave fosse una nave da guerra, teoria sostenuta dall’archeologa Honor Frost, dalla Giglio e da molti altri studiosi.
A favore di questa tesi, ci sarebbe anche la questione della datazione, che il test del carbonio 14 fissa alla metà del III secolo a.C. Sulla scorta di questi dati la Giglio sostiene che la nave “con tutta probabilità affondò il 10 marzo del 241 a.C., nel corso della battaglia navale combattuta nel mare delle Egadi che concluse la Prima guerra punica.”
L'archeologa Honor Frost e il prof. Maurizio Vento, docente di latino nei licei e autore di un testo sull'argomento, sostengono che si tratta di una nave da carico, in quanto le misure e la forma coincidono con quelle delle classiche navi puniche onerarie. Egli inoltre sottolinea che l'identificazione fatta dalla Frost fosse più legata al fatto che all'epoca del rinvenimento, il ritrovamento di una nave punica da guerra costituiva un vero e proprio sogno per gli archeologi.
Ecco la spiegazione circa la doppia versione: militare o da carico....
Come scrive infatti la Frost alla vigilia del rinvenimento: «[…] Ancora una volta non si può dire niente fin quando uno scavo sarà stato realizzato, eccetto che la scoperta di una nave da guerra antica è da un secolo il vecchio sogno degli archeologi navali. Nessun relitto di questo genere è stato mai scoperto […]».
Sono affermazioni che svelano, secondo Maurizio Vento che, «prima ancora che fossero visitati scientificamente i reperti» esisteva il proposito «di voler materializzare quel sogno, non tenendo conto di molti fattori che, pur messi in luce da tempo, vengono generalmente trascurati».
I dubbi di Vento vengono alimentati ulteriormente anche dal fatto che in questa nave si sia trovato:
« il vasellame (ciotole, macine per granaglia, poche anfore per l'acqua potabile, per il vino e per la salsa di pesci), i rifiuti degli alimenti (come resti ossei di animali da cacciagione o come resti vegetali quali noccioli di frutta secca, di olive in salamoia), numerosi oggetti (come legna da ardere, tappi di anfore, cordami, canapa per spaghi e stoppa, pece, punteruoli per funi, attrezzi da pesca) che fanno tutti parte del normale corredo delle navi onerarie e sono presenti pure a bordo della nave punica di Marsala» – e, invece, non si sono trovati – «i moltissimi remi (che permettevano le rapide mosse strategiche per colpire il fianco della nave nemica), le catene dei numerosi rematori e i banconi dove sedevano» – ma soprattutto – «il rostro bronzeo tricuspidato, le varie armi (scudi, corazze, spade, pugnali ecc.), e poi materiali di ricambio, argani, carrucole, arnesi vari, e tutto ciò che è facile immaginare fosse il consueto corredo di una nave bellica».
Un'altra considerazione importante viene fatta da Piero Bartoloni citato da Maurizio Vento, e cioè che «le navi onerarie di Cartagine erano lunghe tra i 20 e i 30 metri, con una larghezza compresa tra i 5 e i 7 metri, e avevano un pescaggio di circa un metro e mezzo, analogo all'altezza dell'opera morta» - e ancora - «tra la carena ed il pagliolo era situata la zavorra, costituita da pietrame in schegge ed eventualmente sostituita con sabbia se il carico era costituito da anfore; per attutire gli urti delle pietre contro i corsi, veniva disposta una coltre di fogliame. Lo stesso carico costituiva parte necessaria della zavorra, come è dimostrato indirettamente da una delle navi puniche di Punta Scario, all'interno della quale è stata rinvenuta una certa quantità di pietrame che, a quanto risulta dalle analisi effettuate, proveniva probabilmente dalla costa settentrionale del Lazio».
E conclude dicendo che «questo rinvenimento […], secondo il nostro avviso, dimostra che la nave in questione era giunta carica nel porto etrusco e che, una volta scaricati i prodotti importati e non essendovi nulla da caricare per il viaggio di ritorno, la sua zavorra era stata sostituita con del pietrame locale.
Maurizio Vento conclude la sua tesi sostenendo che «la nave oneraria […] sarebbe dunque naufragata per un errore del nocchiere, dovuto o ad imperizia o più probabilmente a cause naturali (come, ad esempio, una tempesta), al momento di virare nei pressi del Borrone, lungo l'unica rotta praticabile che consentisse di approdare in quella che un tempo era stata la Cartagine siciliana».
Il ritrovamento dell'imbarcazione ha permesso di conoscere il sistema di costruzione navale dei Cartaginesi, che aveva suscitato ammirazione nell'antichità per la velocità costruttiva della prefabbricazione in cantiere.
Ogni asse della nave punica reca inciso, infatti, un simbolo dell'alfabeto fenicio-punico utile ai carpentieri per il rapido assemblaggio dello scafo, proprio come per una moderna scatola di montaggio.
Le ricerche continuano....
Il Parco archeologico di Lilibeo-Marsala e la Honor Frost Foundation, in collaborazione con il Centre Camille Jullian dell’Università di Aix Marseille-CNRS, promuovono ciclicamente la realizzazione di convegni internazionali sulla Nave Punica. Così avvenne esattamente 50 anni dopo l’avvio della missione archeologica guidata da Honor Frost.
CONCLUSIONE
La storia della nave punica, del suo ritrovamento, è una storia di archeologia, di ricerca nel passato più antico di questa terra. E’ la storia, però, anche della tenacia di archeologi che da tutto il mondo si sono concentrati su Marsala e sul mare della battaglia delle Egadi.
A cura di
CARLO GATTI
Rapallo, Venerdì 16 Maggio 2025
LEPTIS MAGNA - Patrimonio dell'Umanità - UNESCO
LEPTIS MAGNA
Provincia Romana di Prima grandezza
Definita “porta principale per l'Africa” - il suo porto SITUATO al centro del Mediteranneo, è stato unO DEI polI strAtegiCI PER GLI SCAMBI commerciali DELL’IMPERO ROMANO.
Nel 1982 il sito archeologico della città è stato riconosciuto
PATRIMONIO DELL'UMANITA' UNESCO
E’ una delle attrazioni turistiche più visitate della Libia sia per l’importanza degli scavi romani al di fuori dell’Italia sia per l’ottima conservazione delle rovine antiche che danno tuttora un’idea chiara di come doveva essere una città romana nella sua completezza.
UN PO’ DI STORIA...
Leptis Magna (in fenicio Lepqī o Lpqī e poi Lebdah o Lebda), nota anche come Lepcis, è stata un'antica città fenicia poi cartaginese ed infine romana della Tripolitania, sita nei pressi di Homs, in Libia.
La città sarebbe stata fondata, secondo fonti latine (tra cui la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e Punica di Silio Italico da coloni fenici provenienti da Tiro agli inizi del I millennio a.C. e secondo quanto riportato da Gaio Sallustio Crispo i coloni avrebbero avuto rapporti amichevoli con le locali tribù libiche.
Il sito, cresciuto intorno al suo celebre porto, ricomparve nel IV a.C. col nome di Neapolis ad opera dei cartaginesi per proteggere la loro supremazia sulla fascia costiera nordafricana. La città godeva di una discreta autonomia godendo del diritto di epigamia con gli abitanti di Cartagine. (Nell'antica Grecia si chiamava così il privilegio concesso da una città a uno straniero di contrarre matrimonio fra abitanti di città alleate).
Nel III secolo a.C., forse dopo la Seconda guerra punica, la città e la regione circostante passarono al Regno di Numidia, sebbene il dominio numida rimase più formale che effettivo. Nel 111 a.C., durante la guerra giugurtina, la città inviò dei legati al Senato romano chiedendo l'amicizia e l'alleanza di Roma, a cui fornì aiuto contro Giugurta, e ottenne nel 107 a.C. lo stanziamento di quattro coorti dal console Quinto Cecilio Metello Numidico. Alla fine della guerra tuttavia la città rimase nel regno numidico, ottenendo lo status di civitas federata e conservando la sua autonomia, fino a quando non fu ricompresa nella provincia romana d’Africa dopo la guerra civile tra Cesariani e Pompeiani (questi ultimi alleati col re numida Giuba I). La città comunque entrò a far parte dei domini romani libera et immunis, guadagnando il diritto di battere moneta.
L'11 Aprile del 146 d.C. SETTIMIO SEVERO nasceva a Leptis Magna (Libia).
Giunto al potere dopo la guerra civile del 193-197 d.C., come fondatore alla dinastia severiana, ripristinò alla sua morte il principio dinastico di successione facendo subentrare i figli, Caracalla e Geta.
Molte le riforme dello Stato e le opere intraprese a livello urbanistico nell'Urbe; la sua corte fu un cenacolo di dotti, ma ingenti furono le confische avviate che servirono ad accrescere le proprie finanze.
Duro e risoluto con la sorte di Cristiani ed Ebrei che mandò a morire in gran numero, fu iniziatore di un nuovo culto che si incentrava sulla figura dell'imperatore.
E' considerato infatti l'iniziatore della nozione di "dominato" in cui l'imperatore non è più un privato gestore dell'impero per conto del Senato, quanto piuttosto l'unico e vero "dominus", traendo forza dall'investitura militare delle legioni.
Fino al IV secolo la città fu nel suo periodo di maggior splendore, arrivando ad avere una popolazione di circa 80.000 abitanti.
Sotto il dominio romano, LEPTIS crebbe e si espanse già a partire da Augusto attraverso la costruzione di numerosi edifici.
Sotto Traiano ricevette il titolo di colonia, mutando il suo nome in Colonia Ulpia Traiana Leptis. Nello stesso periodo, tra I e II secolo, si decise di ribattezzare la città in Leptis Magna, per distinguerla dall'omonima città in Bizacena (divenuta Leptis Parva).
IL PORTO
da EMILIO ROSAMILIA riportiamo:
Nessuno studio di Leptis è completo senza studiare il suo porto, che racconta la storia intera economica ed architettonica dell'Africa romani. I mercanti fenici che navigavano il Mediterraneo sin dal primo millennio a.C. scoprirono per primi la protezione naturale del porto di Leptis. Essi riconobbero subito le possibilità di contatti commerciali con la popolazione locale. Le tribù primitive mandavano dalle oasi del deserto del Fezzan caravane con merci costose e affascinanti verso l’altopiano e poi verso la zona costiera di Gefara dove si trovavano i posti commerciali. Era lì che loro potevano scambiare le loro merci con i commercianti fenici.
Vista generale del vecchio Forum: resti di una basilica
(a sinistra) e tre piccoli templi (a destra).
L’improvviso declino
Il berbero Septimius Severus (193-211 d.C), che più tardi diventó il primo imperatore romano proveniente dall’Africa, la città si arricchì non solo di un nuovo, grande foro ma fu anche costruito lo straordinario porto arricchito di monumenti architettonici spettacolari. Settimio Severo tentó anche di porre rimedio ai frequenti allagamenti dovuti alle piene dell’Uadi Libda.
Purtroppo questo tentativo, sia pure bene intenzionato, si riveló nocivo. Poichè adesso che le acque dell’Uadi non ponevano più resistenza all’acqua del mare, la sabbia portata dalle onde non veniva più riportata in mare dalle acque dell’Uadi. Il porto si interró quasi immediatamente e impedì alle navi di poter entrare. Fino ad oggi è possibile vedere i resti conservati magnificamente del molo orientale con i suoi magazzini praticamente mai usati.
Resti del faro
Questo sbaglio causó il declino di Leptis Magna perchè la città non era più in grado di importare o esportare merci. La popolazione lasció la città che diventó un paesino fantasma alla balia del vento sempre presente del Sahara e delle razzie di vari conquistatori.
Leptis Magna fu riscoperta dagli italiani nel 1915 ed è grazie a loro che i resti del porto e della città sono adesso tra i siti romani meglio conservati al di fuori dell’Italia.
Sul sito archeologico si vedono ancora i resti del porto romano. Il faro, la torre di controllo, i magazzini e i grossi anelli di pietra lungo la banchina ai quali attraccavano le navi quando dovevano caricare o scaricare le merci, sono tuttora testimoni silenziosi pronti a raccontarci quello che è successo a Leptis negli ultimi 2000 anni.
Tradotto da Simona Bombarda
ROMAN PORTS
I pontili orientali
La frangionde orientale con gli anelli di pietra per ormeggiare le navi
Busto di Settimio Severo conservato presso il Museo del Louvre di Parigi.
I CELEBRI MONUMENTI ROMANI DI LEPTIS MAGNA
- uno stupendo teatro di impianto augusteo;
- un mercato del I secolo a.c., modificato sotto Tiberio, ma che risale all’VIII sec. a.c.:
- le Terme adrianee;
- l'Arco di Severo, l'arco del 37 in onore di Tiberio, un altro arco quadrifronte di Traiano;
- il Nuovo Foro;
- un ippodromo;
- un anfiteatro;
- un circo;
- una basilica;
- tre templi;
- un’esedra monumentale;
- la curia;
- il calcidico (forse mercato per particolari merci);
- i modiglioni di ormeggio alle banchine del porto;
- resti di un tempietto dorico;
- resti del tempio di Giove Dolicheno;
- resti del faro;
- resti di case e ville;
- l’anfiteatro;
- ruderi di mausolei;
- le terme extraurbane;
- due fortezze sulle colline, per la difesa del limes tripolitanus.
Anfiteatro
l’Africa aveva assunto grande importanza economica e politica, e ancor più ne avrà nel III. Settimio Severo decise di assumersi personalmente, una volta imperatore, il compito di monumentalizzare la città: molti edifici in pietra locale vennero rifatti o rivestiti in marmo e verso est venne aggiunto, sempre in marmo, un intero nuovo quartiere monumentale. Venne anche realizzato un nuovo porto, allo sbocco del Wadi Lebdah, ma purtroppo fu quasi subito interrato dai detriti, senza, peraltro, che ciò frenasse le attività commerciali della città. Accanto alle terme di Adriano vi era una piazza con fontana monumentale. Questa piazza era collegata al porto da una via colonnata (N.26) di circa 400 m, simile a quelle di Palmira, Gerasa, Antiochia o altre città: una via rettilinea e lastricata, fiancheggiata sui due lati da portici sui quali si aprivano le botteghe. Queste vie erano il vero cuore delle città ed erano illuminate anche di notte. A fianco c’era il nuovo foro (N.14 sulla pianta generale e immagine in basso), una grande piazza circondata da portici e con un tempio su alto podio del culto imperiale. Sul lato nord-est del foro, poi, c’era un’altra basilica (N. 13) con due absidi sui lati brevi, a imitazione di quella di Traiano a Roma, ma non visibili dall’esterno, in quanto chiuse da muri, e che quindi dovevano produrre un effetto di sorpresa in chi entrava. Per questi tre monumenti furono usati marmi colorati, fatti venire da lontano senza badare a spese: il granito rosa di Assuan, dall’Alto Egitto, e il marmo cipollino, un marmo screziato verdino, proveniente dall’isola greca dell’Eubea. Per le decorazioni furono chiamati artisti greci e dell’Asia minore, mentre gli architetti dovevano essere siriani. Nei portici della via colonnata e del foro, poi, fu adottata una soluzione innovativa, destinata ad avere grande seguito: sopra le colonne, al posto di un architrave diritto, furono posti degli archi, un po’ come vediamo nei chiostri dei conventi medievali.
Foro dei Severi
L'arco di Settimio Severo è uno dei monumenti più celebri di Leptis. Fu eretto nel 203 d.C., in occasione di una visita dell'imperatore Settimio Severo alla sua città natale, per rendere onore a lui e alla sua famiglia. Il nucleo della struttura fu costruito in pietra calcarea e poi rivestito in marmo. L'opera che oggi tutti possono vedere è in realtà una semi-fedele ricostruzione dell'antico monumento, al pieno recupero del quale gli archeologi stanno tuttora lavorando.
L'arco è costituito da quattro pilastri che sorreggono una copertura a cupola. Ciascuna delle quattro facciate esterne dei pilastri era affiancata da due colonne corinzie, tra le quali erano scolpite decorazioni in rilievo rappresentanti le virtù e le imprese dei Severi. Nel punto di intersezione tra la cupola e i pilastri sono scolpite delle aquile con le ali piegate, uno dei simboli della Roma Imperiale. Sopra le colonne si trovano due pannelli scolpiti che riproducono nei dettagli processioni trionfali, riti sacrificali e lo stesso Settimio Severo che tiene per mano il figlio Caracalla. Sulla facciata interna delle colonne sono riportate scene di campagne militari, cerimonie religiose e l'immagine della famiglia dell'imperatore.
Terme Adriano
Lo sviluppo della città, insieme all'arrivo dell’acqua e alla diffusione dell'impiego del marmo portarono l'imperatore Adriano, agli inizi del II secolo d.C., a commissionare l'impianto termale che porta il suo nome. Il complesso fu inaugurato nel 137 d.C., ma alcuni archeologi sostengono che l'effettiva apertura sia avvenuta dieci anni prima. Conformemente alla tradizione romana, esso si sviluppa su un asse nord-sud con ambienti disposti simmetricamente.
Le terme sono accessibili dalla palestra, dalla quale si passa nella natatio, ampio ambiente con il pavimento rivestito da marmi e mosaici in cui si trova una piscina all'aperto circondata da colonne su tre lati. Oltre la natatio, si apre il frigidarium con le vasche di acqua fredda. La stanza misura 30 m per 15 m, è pavimentata in marmo; otto massicce colonne con fusti di marmo cipollino alte quasi 9 m sorreggono un soffitto a volta, un tempo ornato con mosaici di colore blu e turchese, di cui oggi però non rimane più nulla. Ad entrambe le estremità della sala si trova una vasca, mentre, lungo le pareti sono presenti nicchie che ospitavano 40 statue, alcune delle quali sono oggi conservate nei musei di Leptis e di Tripoli.
Immediatamente a sud del frigidarium si trova il tepidarium, il locale adibito al bagno tiepido, in origine formato da una piscina centrale fiancheggiata su due lati da colonne - le altre due vasche furono aggiunte successivamente. Tutto intorno si aprono le stanze del calidarium, per il bagno caldo, orientate verso sud. Un tempo, probabilmente, avevano grandi finestre in vetro sul lato meridionale. A questo locale furono aggiunte cinque laconica (bagni di vapore) durante il regno di Commodo. All'esterno, sul lato meridionale, erano collocate le fornaci usate per riscaldare l'acqua. Sui lati orientale e occidentale degli edifici corrono le cryptae, i deambulatori. Alcuni ambienti più piccoli erano i cosiddetti apodyteria, gli spogliatoi. Le forica, le latrine, meglio conservate sono quelle che si trovano sul lato nord-orientale del complesso.
Tempio delle Ninfe
A est della palestra e delle terme di Adriano vi è una piazza aperta dominata dal nymphaeum, o tempio delle Ninfe. Si tratta di una monumentale con la facciata riccamente articolata da colonne con fusti di granito rosso e marmo cipollino e con nicchie, ora vuote, che un tempo ospitavano delle statue di marmo. Risale all'epoca del regno di Settimio Severo.
Via colonnata
Per mettere in comunicazione il porto con la parte meridionale di Leptis venne costruita una grandiosa via colonnata, lunga 400 m e larga 44. Essa collegava il porto alle terme e terminava in una piazza ottagonale decorata con un ninfeo.Ciascun lato di questa imponente via era dotato di 125 colonne di marmo verde con venature bianche, sulle quali poggiavano delle arcate.
Poiché collegava le terme e il nuovo foro dei Severi con il lungomare, era una delle strade più importanti della città.
Testa di Gorgone
Il progetto di trasformazione della città attuato da Settimio Severo prevedeva anche la revisione della struttura del centro cittadino, che fu da lui trasferito dal vecchio foro ad uno nuovo, battezzato con il nome della dinastia imperiale.
La piazza pavimentata in marmo, misura 100 m per 60 ed era circondata da portici ad arcate. Sulla facciata, tra un arco e l'altro erano medaglioni, di cui si conservano 70 esemplari. Nella maggior parte dei casi sono rappresentazioni simboliche della dea romana della Vittoria. Oltre ad esse vi sono alcune splendide immagini di Medusa. Gli archi erano di pietra calcarea, mentre le teste erano scolpite in marmo. Davanti alle colonne dei portici erano basamenti per statue, che conservano le iscrizioni dedicatorie.
Sul lato sud-occidentale del foro sorgeva il tempio dedicato alla dinastia dei Severi, del quale rimangono soltanto la scalinata, il podio e un magazzino sotterraneo. Ad esso appartenevano pure alcun fusti di colonna in granito rosa che si trovano sparse per il foro.
Basilica
La basilica dei Severi è una struttura lunga 92 m e larga 40 che sorge sul lato nord-orientale del Foro. Presenta l'ingresso sui lati lunghi verso la piazza del Foro e absidi su entrambi lati corti. Lo spazio interno era articolato in tre navate, divise da colonne con fusti in granito rosa.
La sua costruzione fu avviata da Settimio Severo e completata da suo figlio Caracalla nel 216 d.C.
Le absidi sono decorate da più ordini architettonici con pilastri scolpiti al primo ordine e ospitavano i templi di Liber Pater (per i Romani Bacco e per i Greci Dioniso) e di Ercole-Eracle: sul lato dedicato ad Ercole i pilastri scolpiti hanno raffigurazioni delle mitiche dodici fatiche del semidio).
Nel VI secolo Giustiniano trasformò la basilica in una chiesa cristiana, facendo sistemare l'altare nell'abside sud-orientale. Dall'alto delle scale vicine all'angolo nord-occidentale si godono vedute della città.
La Porta Bizantina
Sul tratto della "Via trionfale" che passa per l'angolo meridionale del mercato si erge l'arco di Tiberio (I secolo d.C.) Poco più avanti si trova l'arco di Traiano, fatto costruire nel 110 d.C., eretto probabilmente per commemorare l'acquisizione, da parte di Leptis, dello status di colonia romana. Entrambi gli archi sono in pietra calcarea.
A nord-ovest della Basilica inizia una strada che conduce alla Via Trionfale, il cardo maggiore, e alla Porta Bizantina. Da notare quelli che sembrano fori di proiettile, che in realtà sono i buchi lasciati dagli “arcaici chiodi” martellati nel muro per appendere lastre di marmo.
FORO VECCHIO
Il foro più antico di Leptis Magna (detto "Foro vecchio") era al centro della vecchia città punica. Su di esso gravitava l'antico culto cittadino di Šadrafa-Liber Pater (IPT 31). Un ampio saggio di scavo realizzato lungo il lato orientale della piazza ha messo in luce una complessa sequenza di strutture fenicio-puniche. La piazza fu realizzata o comunque ebbe un nuovo assetto monumentale sotto l’imperatore Augusto, a cura del proconsole Cn. Calpurnio Pisone nel 4-6 d.C. (IRT 520) e fu completamente lastricata nel 53-54 d.C. (IRT 338-IPT 26 e IRT 615). Presentava dei portici colonnati su tre lati.
Entrando nel foro dalla Porta bizantina, si vedono le rovine di tre templi su alto podio. A sinistra il tempio d'età augustea tradizionalmente attribuito a Liber Pater, ma per il quale è stata avanzata l'attribuzione al culto di Giove, di cui resta solo il podio e pochi resti della cella. Al centro il tempio di Roma e di Augusto, costruito tra il 14 e il 19 d.C. (IPT 22) in pietra calcarea. Il tempio presentava un'alta tribuna anteriore decorata da rostri, probabilmente utilizzata come palco dagli oratori che tenevano discorsi sulla piazza. I colonnati dei due templi maggiori furono rifatti in marmo nel II secolo d.C., ma una semicolonna originale del tempio di Roma e Augusto è rimasta sempre in piedi. A destra si hanno i resti del cosiddetto tempio di Ercole, il più rovinato dei tre: le pareti del podio e il colonnato sono opera di restauro.
Sul lato opposto della piazza alcuni fusti di colonna in granito grigio, fortemente erosi, ricordano la presenza dell'antica basilica civile, eretta una prima volta nel I secolo d.C. e ricostruita nel IV secolo dopo un incendio.
Nei pressi della basilica era collocata la curia, sede del senato cittadino, risalente al II secolo d.C. A sinistra dell'ingresso alla piazza è un edificio di età traianea, in seguito trasformato in una chiesa bizantina, della quale si distinguono l’abside, le navate laterali e il nartece. Al centro del foro si notano un piccolo battistero con vasca a pianta a croce e un'esedra.
Il porto fu trasformato sotto Settimio Severo, che vi eresse un faro di cui restano solo le fondamenta. Il faro era alto più di 35 m e secondo le fonti antiche era simile al più rinomato faro di Alessandria.
Delle installazioni portuali si conservano il molo orientale, i magazzini, le rovine di una torre di osservazione e una parte delle banchine utilizzate per il carico delle merci.
Nei pressi del porto si conservano i resti del tempio dedicato a Giove Dolicheno, con la sua scalinata.
GIOVE DOLICHENO
CHALCIDICUM
Il chalcidicum si trova nell'isolato immediatamente a ovest dell'arco di Traiano. Costruito nel I secolo d.C., durante il regno di Agusto, ha un portico colonnato collegato alla via Trionfale per mezzo di una serie di gradini.
MERCATO
Al suo interno sorgeva un tempietto in onore di Augusto e di Venere e si conservano fusti in marmo cipollino e capitelli corinzi del II secolo d.C. Presso l'angolo orientale si può notare un basamento a forma di elefante.
Il mercato conserva nello spazio centrale due padiglioni ottagonali ricostruiti: quello settentrionale era forse adibito alla compravendita dei tessuti e conserva una tavola di pietra (in copia: l'originale è custodito nel museo del sito), risalente al III d.C. d.C., sulla quale sono incise le principali unità di misura: il braccio romano o punico (51,5 centimetri), il piede romano o alessandrino (29,5 centimetri) e il braccio greco o tolemaico (52,5 centimetri). Intorno allo spazio centrale corre un portico colonnato.
MERCATO (Macellum)
Mercato e veduta di una delle tholoi ottagonali.
Interno della tholos del mercato.
Tabula mensoria (ritrovata all'interno del mercato).
Il complesso venne edificato nel 9 a.C. e poi ricostruito durante il regno di Settimio Severo: alcune colonne con capitello di marmo risalgono a questa seconda epoca. Nel quadriportico fu ritrovato, nel 1930, un busto di Afrodite.
TEATRO
VEDUTE
Il teatro di Leptis, capace di ospitare 15.000 spettatori, è il secondo dell'Africa per dimensioni (dopo quello di Sabratha). Risale ai primi anni del I d.C., come mostrano le iscrizioni celebrative apposte da ricchi cittadini di Leptis. Fu costruito sul sito di una precedente necropoli punica utilizzata tra il V e il III secolo a.C.
Il palcoscenico fu ricostruito in marmo e conserva il frontescena come facciata monumentale, articolata in tre nicchioni semicircolari e decorata da un triplice ordine di colonne. Questa struttura risale all'epoca di Antonino Pio (138-161 d.C.). Vi si trovavano anche numerose sculture che raffiguravano divinità, imperatori e cittadini illustri. Due di esse sono tuttora nella loro posizione originaria: la statua di Bacco ornata da viti e foglie, e quella di [Eracle], con la testa ricoperta da una pelle di leone.
La cavea era stata tagliata nella roccia all'epoca della costruzione del teatro; nel 90 d.C. i gradini riservati ai seggi dei notabili della città furono ricavati subito sopra l’orchestra separati da quelli del pubblico pagante da una massiccia balaustra di pietra. In cima alla cavea si trovavano alcuni tempietti e un porticato con fusti di colonna in marmo cipollino.
Terme dei Cacciatori
Le terme dei Cacciatori sono costituite da una serie di ambienti con volte a botte scavati nell’arenaria. Il complesso venne realizzato nel II secolo d.C. e fu utilizzato per quasi tre secoli. Conservano mosaici e affreschi, uno dei quali, situato nel frigidarium e nel quale sono raffigurate scene di caccia ambientate nell’Anfiteatro, ha dato il nome al complesso. Uno degli affreschi risale ad un'epoca precedente alle terme e vi è stato riutilizzato al momento della loro costruzione. Sono inoltre presenti pannelli marmorei scolpiti.
File:Circus Leptis Magna Libya.JPG
Anfiteatro
L'anfiteatro di Leptis Magna, capace di contenere 16 000 spettatori, venne scavato nel fianco di una collina nel I secolo d.C. Al di sopra dei gradini superiori della cavea correva probabilmente un portico colonnato.
Circo (ippodromo)
Il Circo era realizzato lungo la costa orientale della città e le gradinate del lato nord-orientale erano accessibili dalla pista, mentre quelle del lato opposto si potevano raggiungere anche dall'anfiteatro, attraverso dei passaggi secondari. Edificato nel 162, durante il regno di Marco Aurelio, poteva ospitare 25.000 spettatori ed era ampio 450 m per 100. Sono parzialmente conservati gli spalti e rimangono scarsi resti della spina centrale e dei carceres di partenza.
Colonne
Resti dell'edificio scenico del teatro.
Veduta delle rovine
Piccola Porta occidentale
Arco quadrifronte dei Severi
Colonna parzialmente scavata.
Veduta interna di uno dei parodoi d'ingresso al teatro.
Sopra e sotto - Una delle strade fondamentali dell'impianto urbano, compresa fra l'arco dei Severi e l'arco di Traiano.
Basilica severiana, pertinente all'omonimo foro.
Scala all'interno del foro severiano
Basilica severiana, fusti in marmo inquadranti le absidi con decorazione scultorea di tipo a girali popolati.
Dettaglio pertinente alla basilica severiana
Diana di Versailles è una famosa statua della dea Diana conservata nel Museo del Louvre Parigi.
La statua è stata rinvenuta in Italia: il sito del Louvre suggerisce la città di Nemi, dove anticamente esisteva un santuario; altre fonti ritengono sia stato rinvenuto a Tivoli, nei pressi di Villa Adriana; Statue dello stesso soggetto sono state ritrovate nelle aree archeologiche di Leptis Magna (l'attuale Libia) e di Antalya (l'attuale Turchia). Nel 1556 fu donato da Papa Paolo IV a Enrico II di Francia, con una sottile ma ineludibile allusione alla sua maîtresse-en-titre, Diana di Poitiers.
ALCUNE INFORMAZIONI SULLA CITTA'
NOME ORIGINALE |
LPQS |
NOME FENICIO; POI LEPCIS E POI LEPTIS |
SIGNIFICATO |
- |
- |
NOME COMUNE ATTUALE |
LEPTIS MAGNA |
- |
CONTINENTE |
AFRICA |
- |
STATO ATTUALE |
LIBIA |
- |
REGIONE/STATO/DISTRETTO ATTUALE |
DISTR. DI AL BURGUB |
- |
CULTURA |
FENICIA-PUNICA E ROMANA |
NASCE COME "EMPORIUM" DI CARTAGINE |
POPOLAZIONE STIMATA (ANTICHITA') |
100.000 |
- |
- |
- |
|
VII SEC. A.C. |
- |
|
DATA DELL'ABBANDONO O DISTRUZIONE |
SUPERFICIE |
- |
DATA DELLA SCOPERTA/RISCOPERTA |
DATA DELLA FONDAZIONE |
- |
SCOPRITORE |
- |
- |
SCAVI ARCHEOLOGICI |
PRIMI DEL 1700 |
- |
ARCHEOLOGO /I |
CLODE DE MARIE |
CONSOLE FRANCESE A TRIPOLI |
SITO ARCHEOLOGICO |
LEPTIS MAGNA |
MUNICIPIO DI AL BURGUB A 3 KM DALL'AEROPORTO DI TRIPOLI |
UNESCO - PATRIMONIO DELL'UMANITA' |
1982 |
- |
PRINCIPALI MONUMENTI DA VISITARE |
ARCO DI SETTIMIO SEVERO, TERME DI ADRIANO, TEMPIO DELLE NINFE, VIA COLONNATA, FORO DEI SEVERI, BASILICA, PORTA BIZANTINA, ARCHI MONUMENTALI, CHALCIDIUM, TEATRO, MERCATO, ANFITEATRO ECC. |
FONTI
- LEPTIS MAGNA, PORTA PRINCIPALE PER L'AFRICA
https://www.romanports.org/it/articoli/ports-in-vista/178-leptis-magna-il-porto-d-accesso-all-africa.html
- archeologiavocidalpassato
Gea 2021-Ica: “Archeologia e inclusione”. Contributo 15: “Storie dalla sabbia – La Libia di Antonino Di Vita (Università di Macerata)”
- ICA – Istituto Centrale per l’Archeologia
https://archeologiavocidalpassato.com/tag/leptis-magna/
- Cartine Leptis:
GRANDI CITTA’ DEL PASSATO
http://www.luckyjor.org/sitocity/leptis/pagleptis.html
RENOVATIO IMPERII.
Leptis Magna, la città dell’imperatore
LEPTIS MAGNA (Libia)
https://www.romanoimpero.com/2015/01/leptis-magna-libia.html
Carlo GATTI
Rapallo, Martedì 6 Maggio 2025
LA STORIA DI MARY ANN
LA STORIA DI MARY ANN
Image: National Portrait Gallery, Mary Ann Brown Patten 1857
Due anni fa è stata celebrata negli Stai Uniti il mese della storia delle donne, e vale oggi la pena di riportare in Italia, con un ritardo inspiegabile, la tragica storia di Mary Patten, che comandò un clipper di 216 piedi (66 metri) attorno a Capo Horn fino a San Francisco.
Il clipper Flying Cloud al largo dell’isola di Wight
Dipinto di James E. Buttersworth
La rotta compiuta da Mary Ann al comando del clipper Neptune's Car
LA PROPAGANDA DELL'EPOCA
Solo 105 giorni da New York a San Francisco via Capo Horn
SULLA ROTTA DELL'ORO
In basso a sinistra il famigerato CAPO HORN
Durante una traversata da New York a San Francisco nel 1856, il capitano del clipper Neptune's Car si ammalò. Poi, nei pressi di Capo Horn, il capitano Joshua Patten cadde in coma. Il primo ufficiale cercò di convincere l'equipaggio a fare scalo in Argentina o a tornare a New York.
La moglie del capitano, Mary (l'unica altra persona a bordo che sapeva navigare), assicurò loro di poterli portare a San Francisco.
Ottenuto il loro unanime appoggio, la Neptune's Car doppiò Capo Horn sotto il suo comando e arrivò sana e salva a San Francisco.
All'epoca, Mary Patten aveva 19 anni ed era incinta di otto mesi. Oggi è considerata la prima comandante donna di una nave mercantile americana.
L'ospedale presso la Merchant Marine Academy di Kings Point, NY, porta il suo nome.
MASSACHUSSETS
TERRA DI MARINAI D’ALTOMARE
Mary Ann Patten nacque nel 1837 a Chelsea, Massachusetts, cuore pulsante di una fiorente tradizione marinara. La zona era famosa per i suoi abili costruttori navali e per le sue audaci spedizioni, in particolare la caccia alle balene, che aveva plasmato una cultura marinara unica, in cui intere famiglie erano coinvolte nella vita a bordo.
Le donne, spesso trascurate dalla narrazione storica, svolgevano ruoli importanti, dal cucito e le riparazioni alle attività domestiche, contribuendo al buon funzionamento delle navi e al benessere dell'equipaggio.
Questa immersione familiare nel mondo marittimo fornì a Mary Ann una base unica di conoscenze e competenze, che le sarebbero state preziose in seguito. La sua familiarità con le navi, le carte nautiche e i principi della navigazione non era insolita, ma piuttosto un'eredità della sua stessa famiglia e della cultura marinara del Massachusetts, una cultura che, seppur valorizzando innanzitutto l'abilità maschile, non negava mai il contributo determinante delle donne.
Mary Ann Patten, appena diciannovenne e incinta, si trovò a fronteggiare una situazione disperata. Il viaggio da New York a San Francisco sulla Neptune's Car, iniziato con il marito Joshua, capitano, si trasformò in un incubo. Joshua, colpito da tubercolosi, era costretto a letto, inabile al comando.
Il primo ufficiale era stato allontanato, e il secondo risultava troppo inesperto per guidare la nave attraverso l'Oceano Pacifico.
La responsabilità, improvvisamente e inesorabilmente, ricadde sulle spalle di Mary Ann.
Nonostante la sua giovane età e la delicata situazione fisica, lei, grazie alla sua profonda conoscenza della navigazione, acquisita con passione e impegno, si fece carico del comando.
Per 56 giorni, si trovò ad affrontare le dure prove della navigazione. Tempeste violente scuotevano la Neptune's Car, mettendo a dura prova l'equipaggio e la stessa struttura della nave. Mary Ann, con fredda determinazione, diede prova di grandi capacità di leadership, gestendo l'equipaggio, prendendo decisioni difficili, mantenendo la rotta nonostante le avversità. Navigò tra le onde, lottando contro la disperazione e la minaccia di un possibile ammutinamento. Di giorno comandava la nave, di notte si occupava del marito morente.
La sua tenacia, unita alla sua conoscenza tecnica, furono decisive per portare la Neptune's Car a destinazione.
Arrivarono a San Francisco, dopo due mesi di viaggio infernale. Ma, pur avendo salvato la nave e l'equipaggio, Mary Ann ebbe l'amaro in bocca della perdita del suo amato marito, che morì poco prima di raggiungere il porto. La giovane, sola e distrutta dal dolore, contrasse la stessa malattia e morì nel 1861 a soli 25 anni.
Il silenzio che avvolge la storia di Mary Ann Patten è un silenzio assordante, una lacuna inspiegabile nella narrazione della storia marittima. Un'eroina dimenticata, un'impresa straordinaria relegata all'oblio. Le pagine bianche che seguono rappresentano quell'assenza, quel vuoto che la storia ufficiale ha lasciato, un vuoto che oggi, finalmente, possiamo iniziare a colmare, raccontando la sua storia, rendendole finalmente giustizia."
Il classico shape del CLIPPER
“Smashing her way through enormous cross seas and howling winds the Neptune’s Car began to run her easting down. She passed a battered barque bearing Hamburg markings vainly attempting to make westing against a thundering south-westerly gale.” Those with an interest in American maritime history would know of the story of Mary Patten and the clipper ship Neptune’s Car. However few would be aware of the cursed nature of the ship. The Patten’s fateful voyage was just one in the career of a clipper whose travels spanned the globe. Built at the yard of Page & Allen in Gosport, Virginia in the spring of 1853, the Neptune’s Car quickly established her reputation for speed. However murder, mutiny, mayhem, plague, disaster, war, death and financial ruin haunted any who know her. The fickle hand of fate was always at the helm and like the oceans upon which the clipper sailed, she spared none who showed weakness! Volume One of the Virginia Clippers.
Chiunque conosca la storia marittima americana saprà della storia di Mary Patten e del clipper Neptune's Car. Tuttavia, pochi sarebbero a conoscenza della natura maledetta della nave. Il fatale viaggio dei Patten fu solo uno nella carriera di un clipper i cui viaggi attraversarono il globo.
Costruita nel cantiere di Page & Allen a Gosport, Virginia, nella primavera del 1853, la Neptune's Car si guadagnò rapidamente la reputazione di nave velocissima. Tuttavia, omicidio, ammutinamento, caos, peste, disastro, guerra, morte e rovina finanziaria perseguitarono chiunque la conoscesse.
La mano capricciosa del destino era sempre al timone e, come gli oceani su cui navigava il clipper, non risparmiava nessuno che mostrava debolezza! "Fracassandosi attraverso enormi mari incrociati e venti ululanti, la Neptune's Car iniziò a diminuire la sua rotta verso est. Passò una goletta malconcia con marcature di Amburgo che tentava invano di dirigersi verso ovest contro una tempesta di sud-ovest fragorosa.
Volume Uno dei Virginia Clippers.
ALBUM FOTOGRAFICO
Clipper a Capo Horn
Il SESTANTE DEI PATTEN
Image: Sextant, ca 1825-1850, The Mariners’ Museum and Park 1998.0050.000001
New York - San Francisco: La rotta seguita dal clipper Neptune's Car
Image: Boston-San Francisco route taken by Dashing Wave in 1860, from Cruise of the Dashing Wave, Peabody Essex Museum.
Certificato di morte del Comandante Joshua Patten
Image: Captain Joshua Patten Obituary July 25, 1857
Image: Mary Patten Obituary March 18, 1861
Le tombe dei coniugi PATTEN
I CLIPPERS
le “FERRARI” dell’800
https://www.marenostrumrapallo.it/i-clippers-le-qferrariq-dell800/
Carlo GATTI
CUTTY SARK
UN CLIPPER NELLA LEGGENDA
https://www.marenostrumrapallo.it/cutty-sark-un-clipper-nella-leggenda/
Carlo GATTI
LA BALENIERA CHARLES W.MORGAN
https://www.marenostrumrapallo.it/charles/
Carlo GATTI
Carlo GATTI
Rapallo, Lunedì 21 Aprile 2025
IL SEGRETO DI PORTOFINO: Maestranze del Tigullio e l'Invincibile Armada
IL SEGRETO DI PORTOFINO
MAESTRANZE DEL TIGULLIO E L'INVINCIBILE ARMADA
Filippo II di Spagna
Ritratto di Anthonis Mor
l'Invincibile Armada attorniata da navi inglesi nell'agosto del 1588
Dipinto di anonimo inglese
La storia dell'Invincibile Armada è ricca di intrighi e colpi di scena, e un capitolo meno noto ma affascinante riguarda il contributo segreto delle maestranze liguri, in particolare quelle di Portofino. Mentre la grande flotta spagnola si preparava a conquistare l'Inghilterra, artigiani e cantieri navali della Repubblica di Genova giocavano un ruolo fondamentale, a volte persino in segreto, fornendo navi e armamenti.
L'archeologo genovese Gianni Ridella ha portato alla luce prove inconfutabili di questa collaborazione. Le sue ricerche, incentrate sull'artiglieria navale, hanno rivelato la presenza di cannoni prodotti da Dorino II Gioardi, un artigiano genovese con fonderia nel Porto Antico, su diverse navi dell'Armada.
Questi cannoni, identificabili dalla lettera "D" incisa sul focone, sono stati ritrovati sui relitti della Juliana (affondata al largo dell'Irlanda), della Rata Santa Maria Encoronada e della Trinitad de Scala.
La scoperta più sorprendente riguarda la San Giorgio e Sant'Elmo, costruita a Portofino e affondata da Sir Francis Drake nel 1587.
Costruita nel segreto della sua posizione geografica, raggiungibile solo via mare, Portofino offriva il riparo ideale per la costruzione di navi destinate a una potenza straniera come la Spagna. I cannoni della San Giorgio e Sant'Elmo, anch'essi marchiati con la "D" di Gioardi, confermano il coinvolgimento di Portofino nella fornitura di equipaggiamento navale all'Armada.
Questa operazione segreta evidenzia l'abilità e la discrezione delle maestranze liguri, capaci di operare in un contesto di relazioni internazionali complesse e spesso tese.
Il contributo genovese all'Armada non si limita alle forniture di Portofino. La Rata Santa Maria Encoronada e la Trinitad de Scala, entrambe di origine genovese, dimostrano la partecipazione più ampia di cantieri navali liguri alla costruzione della flotta spagnola. La loro partecipazione, unitamente alle forniture di artiglieria, sottolinea una stretta collaborazione tra Genova e la Spagna, nonostante le tensioni politiche dell'epoca.
Il contesto storico:
La Repubblica di Genova, potenza marittima di primo piano, intratteneva rapporti complessi con la Spagna nel contesto delle guerre di religione. La Spagna, impegnata nella lotta contro i protestanti, necessitava di una flotta potente. Genova, pur mantenendo una certa autonomia, beneficiava degli scambi commerciali con la Spagna e aveva interesse a mantenere buoni rapporti con una potenza così importante. Questa collaborazione, documentata dalle navi e dagli armamenti genovesi nell'Invincibile Armada, dimostra la complessità delle alleanze e delle dinamiche economiche e politiche del XVI secolo.
Portofino, per la sua posizione strategica e la sua discrezione, rappresenta un tassello significativo in questo intricato quadro storico.
Conclusione:
INVINCIBILE ARMADA: 130 navi con circa 30.000 uomini e più di 2000 pezzi di artiglieria allestita da Filippo II di Spagna per rendere possibile lo sbarco in Inghilterra del corpo di spedizione riunito nelle Fiandre da A. Farnese.
IL FALLIMENTO
L'Armada spagnola non era stata realmente battuta sul mare, pur avendo subito danni pesanti e perdite dolorose, aveva però perso la speranza di sconfiggere gli inglesi, manovrava ormai a fatica e avrebbe dovuto aprirsi la strada combattendo per raggiungere le coste dei Paesi Bassi. Decise quindi di desistere dall'impresa e cercò faticosamente di riorganizzarsi.
Ormai il tentativo di imbarcare le truppe con la conseguente invasione era fallito, così i galeoni spagnoli cercarono di ritornare in patria ma a causa dei venti contrari decisero di puntare verso nord, navigando tra gli arcipelaghi delle Orcadi e delle Shetland per poi dirigersi a sud veleggiando ad ovest dell’Irlanda.
Gli inglesi, che in un primo momento avevano inseguito il nemico, lo lasciarono poi andare tranquillamente, sebbene consapevoli che sarebbe tornato.
Il 10 agosto la flotta inglese si avvicinò per tentare un attacco alle navi spagnole rimaste attardate, ma Medina Sidonia riuscì a ricompattare le sue squadre e si preparò a dar nuovamente battaglia, cui gli inglesi tuttavia preferirono sottrarsi e quindi, dopo un fiacco scambio di cannonate, le due flotte si separarono definitivamente.
Tuttavia un'incredibile serie di tre violentissime tempeste si abbatté sugli spagnoli. La prima li sorprese il 12 agosto, al largo delle Isole Orcadi e presso le Isole Shetland; la seconda il 12 settembre al largo delle coste irlandesi; seguita dopo pochi giorni da una terza al largo delle coste del Connacht (sempre in Irlanda).
Delle 138 navi e dei circa 24.000 uomini salpati da Lisbona, 45 imbarcazioni e 10.000 uomini andarono perduti. La grande impresa di Filippo II sfumò, e lo stesso re cattolico pensò che DIO proteggesse i protestanti e punisse coloro che credevano in Lei.
La sconfitta dell'Invincibile Armada, 8 agosto 1588 di Philippe-Jacques de Loutherburg, dipinto nel 1796.
Il cosiddetto Ritratto dell'Armada (The Armada Portrait) è un dipinto allegato di artista ignoto, realizzato nel tardo XVI secolo ed eseguito con la tecnica dell’olio su tela. Vi è rappresentata Elisabetta I d’Inghilterra: l'opera celebra la vittoria della Marina Inglese sull’Invincibile Armada di Filippo II di Spagna avvenuta nel 1588. In passato è stato attribuito da diversi critici a George Gower. Si trova conservato presso la Woburn Abbey.
Grazie a questo importantissimo successo, l'Inghilterra della regina anti-spagnola Elisabetta I affermò il proprio dominio sui mari del Nord e inflisse una battuta d'arresto al tentativo spagnolo di egemonia sullo scacchiere europeo. La Spagna continuò però la sua guerra navale, riuscendo anche a ottenere alcuni importanti successi (come quelli nelle campagne delle Isole Azzorre del 1583); altre flotte spagnole operarono ugualmente nella Manica nei decenni seguenti.
L'Invincibile Armada, benché sconfitta, rappresenta un momento cruciale nella storia marittima europea. Le ricerche di Ridella mettono in luce il ruolo spesso trascurato delle maestranze liguri, e in particolare quelle di Portofino. Le loro capacità tecniche e la loro discrezione sono state fondamentali per il progetto spagnolo. Questo ci offre l'opportunità di riscoprire e celebrare la perizia dei nostri antenati, la loro capacità di lavorare per importanti potenze, e l'importanza strategica di Portofino anche in un contesto storico di portata mondiale.
Analisi Geopolitica:
La Repubblica di Genova, nel XVI secolo, si trovava in una posizione delicata tra le grandi potenze europee. Mentre manteneva una formale indipendenza, cercava di bilanciare i rapporti con Francia e Spagna, evitando di alienarsi nessuna delle due. La collaborazione con la Spagna per l'Armada va vista in questo contesto: un modo per guadagnare favori e vantaggi commerciali senza compromettere eccessivamente le relazioni con la Francia (che in quel momento aveva altre priorità). Genova, abile nel gioco diplomatico e commerciale, si inserì nel conflitto tra Spagna e Inghilterra in modo pragmatico, sfruttando le proprie competenze navali per un profitto economico.
Cantieri Navali di Portofino:
Sebbene la documentazione sia scarsa, possiamo ipotizzare che i cantieri di Portofino, più piccoli di quelli genovesi ma ben equipaggiati, si focalizzassero su navi di dimensioni medie, adatte al trasporto di armi e rifornimenti. La loro posizione nascosta offriva un vantaggio strategico in termini di segretezza, rendendoli ideali per costruire navi per potenze straniere che volevano evitare di essere facilmente rintracciate.
Non era un mistero per nessuno che già nel 1287 maestri d’ascia del Tigullio avessero costruito delle Galee per i Savoia sul lago di Ginevra.
MAESTRI D'ASCIA RAPALLINI SUL LAGO DI GINEVRA
https://www.marenostrumrapallo.it/leman/
di Carlo GATTI
Dorino II Gioardi:
La storia di Dorino II Gioardi, oltre al dettaglio della lettera "D" sui cannoni, ci tramanda le cause della sua bancarotta. Possiamo ipotizzare che, fornendo cannoni a basso costo alla Repubblica, si sia indebitato gravemente, finendo in prigione. Questo fatto aggiunge un tocco umano alla narrazione, evidenziando le difficoltà economiche degli artigiani dell'epoca e il rischio connesso alla gestione di un'attività complessa come una fonderia di cannoni.
Aspetti Commerciali:
La collaborazione tra Genova e la Spagna sulla costruzione dell'Armada aveva una forte componente commerciale. La Repubblica di Genova si sarebbe garantita il pagamento per la costruzione delle navi e dei cannoni, acquisendo un vantaggio economico importante, da cui l'ipotesi che fossero coinvolti mercati diversi, creando una rete commerciale globale che vedeva come punto nodale le maestranze liguri.
FONTI
Fabio Pozzo - LA STAMPA
09 Maggio 2017
- Il segreto genovese dell’Invincibile Armada
Gianni Ridella, archeologo, ha scoperto che nella flotta di Filippo II c’erano due navi della Repubblica di Genova. E che una terza, varata a Portofino e affondata da Francis Drake, aveva qualcosa da nascondere.
Raffaele Gargiulo
- FRANCIS DRAKE – IL CORSARO DELLA REGINA
- I CANNONI DI LAVAGNA
Renato Gianni Ridella
https://www.academia.edu/22114794/I_CANNONI_DI_LAVAGNA
Il relitto della San Giorgio, veliero mercantile genovese costruito a Portofino e affondato a Cadice dal corsaro Francis Drake nel 1587
Presentazione dell’articolo pubblicato nella rivista Archeologia Postmedievale
Introduzione del Direttore dell’Archivio di Stato di Genova Annalisa Rossi
Presentazione del fondatore e Direttore della Rivista, Marco Milanese, Direttore Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione, Università di Sassari.
Discussione tra il pubblico e gli autori dell’articolo.
I lavori per la costruzione del nuovo terminal container nel Porto di Cadice hanno portato alla scoperta di tre relitti. La ricerca documentale condotta su quello di essi denominato Delta II, congiuntamente alle informazioni tratte dai pezzi d’artiglieria rinvenuti e alle diverse merci del carico conservate, hanno permesso l’identificazione dei resti come quelli del veliero mercantile genovese San Giorgio e Sant’Elmo, affondato da Francis Drake durante la sua incursione contro il porto di Cadice nella primavera del 1587.
Si è anche capito che la nave stava allora trasportando armamenti per la flotta spagnola che, su ordine di Filippo II, si stava allora allestendo a Lisbona per attaccare l’Inghilterra.
...E LA STORIA CONTINUA FINO AI GIORNI NOSTRI ...
PORTOFINO
https://portofino.it/italy/i-carpentieri-i-costruttori-di-portofino/
Carlo GATTI
Rapallo, 1 Aprile 2025
HONFLEUR - UN ANGOLO DI TIGULLIO IN NORMANDIA-FRANCIA
HONFLEUR
Un angolo di Tigullio in Normandia
La Senna scorre per quasi 200 km tra Parigi, Rouen e Le Havre prima di sfociare nel Canale della Manica.
L’estuario della Senna ad Honfleur
Honfleur è una piccola cittadina costiera a poca distanza dall’estuario della Senna e dal famoso Ponte di Normandia, visibile a occhio nudo dal molo del porto nuovo.
Honfleur è un Comune francese di 8.363 abitanti situato nel dipartimento del Calvados nella regione della Normandia, situata sulla riva meridionale dell'estuario della Senna.
Veduta sul vecchio Bacino (Vieux bassin). Un piccolo porto sull’Atlantico, un tempo protetto da fortificazione; fu d’ispirazione per artisti, scrittori e pittori impressionisti, tra cui Claude Monet.
Città dei pittori
Sull'estuario della Senna, le luci cangianti del cielo hanno ispirato Courbet, Monet, Boudin, il musicista Erik Satie e molti altri. Ancora oggi, numerose gallerie e studi presentano in permanenza opere di pittori del passato e contemporanei.
Le case rivestite di ardesia sul Vecchio Porto di Honfleur (Calvados)
Chaque weekend de Pentecôte Honfleur se prépare et s’habille de ses plus beaux atouts. Depuis quelques jours la ville entière est pavoisée et affiche les couleurs des marins à chaque fenêtre, à chaque coin de rue.
LE PROCESSIONI DI OGNI FINE SETTIMANA DI PENTECOSTE...
LA CHIESA DI SANTA CATERINA DEI BOSCHI
LUOGO DI CULTO MARINARO PER ECCELLENZA
La più grande chiesa in legno della Francia
La chiesa di Santa Caterina non è altro che una delle chiese in legno più grandi di Francia!
È unico con la sua sagoma del mercato coperto e il suo campanile separato,,si erge orgogliosamente al centro della piazza centrale, è uno dei gioielli del patrimonio di Honfleur.
Risalente alla seconda metà del XV secolo, la Chiesa di Santa Caterina sostituisce un’antica chiesa in pietra distrutta durante la Guerra dei Cent’anni.
Fu ricostruita nel centro storico della città dai maestri d’ascia (« maîtres de Hache ») impiegati nei Cantieri Navali dopo la partenza degli inglesi.
Avendo poche risorse, questi artisti del legno utilizzarono come materia prima gli alberi della foresta di Touques e, soprattutto la loro conoscenza della costruzione navale.
Si tratta della chiesa più grande di Francia costruita in legno con il campanile separato (per evitare incendi.
GLI INTERNI DELLA CHIESA
Il pregiatissimo ORGANO
L'esposizione di Ex Voto Marinari
Il soffitto a forma di scafo rovesciato a due navate una porta all’altare, l’altra ad un altare secondario dove sono poste gli ex voto dei marinai scampati alle tempeste atlantiche.
Ex Voto marinari, dipinti e oggetti sacri
SANTA CATHERINE EN BOIS
Statua della Madonna Incoronata protettrice dei marinai
Celebre vetrata di chiesa in stile gotico francese
PONTE DI NORMANDIA
HONFLEUR
https://www.france-voyage.com/francia-guida-turismo/honfleur-141.htm
Il ponte di Normandia completato nel 1995, collega l'Alta Normandia, dipartimento della Senna Marittima, alla Bassa Normandia, dipartimento del Calvados, scavalcando il fiume Senna a 59 metri d'altezza.
Lunghezza totale: 2.141 m
Altezza: 52 m
Altezza: 215 m
Attraversa: Senna
Campate: 3
Costruzione: 1988-1995
Inaugurazione: 20 gennaio 1995
Ponte di Normandia, conosciuto anche come Pont de Normandie, rappresenta una straordinaria opera di ingegneria visibile da chilometri di distanza. La costruzione del viadotto iniziò nel 1988 e fu inaugurata il 20 gennaio 1995. Il progetto aveva come obiettivo strategico collegare le sponde delle città di Le Havre e Honfleur attraverso l’estuario del fiume Senna.
Oggi, il ponte di Normandia, con i suoi 2.143 metri di lunghezza e 214 metri di altezza alla torre principale, è uno dei ponti sospesi più imponenti al mondo.
L’attraversamento richiede il pagamento di un pedaggio di 5,60 euro per auto (prezzo aggiornato a novembre 2023), che finanzia la sua manutenzione continua.
Nel 2022, il ponte ha visto il passaggio di 7,9 milioni di veicoli.
Collegando Le Havre a Honfleur, il Pont de Normandie è stato inaugurato nel 1995, per rinforzare il Pont de Tancarville. Straordinario ponte strallato, è stato progettato da Michel Virlogeux, autore anche del viadotto di Millau!
Il Ponte di Normandia completato nel 1995, collega l’Alta Normandia, dipartimento della Senna Marittima, alla Bassa Normandia, dipartimento del Calvados, scavalcando il fiume Senna a 59 metri d'altezza.
Opera di Michel Virlogeux e Bertrand Deroubaix, quando fu realizzato era il ponte strallato con la maggiore luce libera nel mondo (850 m), ed è tuttora (per la campata centrale) il più grande ponte strallato in Europa.
CONCLUSIONE
Honfleur, con la sua bellezza pittoresca e la sua ricca storia, presenta sorprendenti analogie con diverse località del nostro Tigullio.
Architetture simili: L'uso dell'ardesia nelle case crea un'atmosfera caratteristica e suggestiva, presente sia a Honfleur che in questa parte del nostro Golfo.
Tradizioni marinare: Le processioni religiose dei pescatori, gli ex voto marinari, e l'importanza della pesca come attività principale, creano un legame forte con la nostra identità marittima.
Patrimonio artigianale: La chiesa di Sainte-Catherine a Honfleur, costruita dai maestri d'ascia dei cantieri navali locali, riflette lo stesso spirito di maestria artigianale che contraddistingue le realtà del nostro territorio.
Paesaggio incantevole: Il connubio tra colline e mare, che crea un panorama mozzafiato, è un elemento comune a entrambe le località baciate per altro dallo stesso tipo di turismo consapevole.
Vicinanza a grandi porti: La posizione di Honfleur vicino a Le Havre ricorda la vicinanza a Genova.
Tradizione e modernità: Entrambe le località riescono ad armonizzare la ricchezza della tradizione cattolica con lo spirito della modernità.
La comune storia marittima ha forgiato, nei secoli, legami sorprendenti tra comunità geograficamente distanti ma culturalmente affini.
https://it.normandie-tourisme.fr/scoprire/patrimonio-architettura/architettura-normandia/ponte-di-normandia/
Ringraziamenti:
Quasi tutte le foto provengono da Tripadvisor - Le altre sono dell'autore o sono state prese da Wikipedia e dal web.
Carlo GATTI
Rapallo, giovedì 27 Marzo 2025