USS ZUMWALT - Il silenzio tecnologico che domina il mare

 

USS ZUMWALT

Il silenzio tecnologico che domina il mare

PREMESSA

Viviamo in un tempo in cui la forza si misura sempre meno in uomini e sempre più in tecnologia: potenze antiche e nuove competono per risorse, territori e influenza, mentre le istituzioni internazionali e la diplomazia faticano a farsi ascoltare.

Nel mondo di oggi, dove oltre cento conflitti agitano il pianeta, le guerre si combattono spesso non solo con le armi, ma con i brevetti, con le “terre rare”, con la supremazia dei sistemi elettronici e dei satelliti.

In questo contesto, la nave americana USS Zumwalt rappresenta il simbolo della modernità militare più avanzata. È una creatura del nostro tempo: quasi invisibile ai radar, fortemente automatizzata, con un equipaggio ridotto e una potenza di fuoco che si misura in energia più che in metallo. La sua sagoma spezzata e la prua “wave-piercing” sono una dichiarazione al mondo: gli Stati Uniti intendono restare i padroni del mare, capaci di proiettare potenza e presenza in ogni oceano.

Ma la Zumwalt non è solo una nave: è il segno tangibile di un cambiamento epocale. Come un tempo la balestra superò l’arco, o il cannone la spada, così oggi la guerra si sposta nel dominio dell’elettronica e dell’energia diretta. Cannoni elettromagnetici, missili ipersonici, laser, propulsione elettrica integrata — tutti strumenti che trasformano l’oceano in un laboratorio del futuro.

Per chi ama il mare, per chi lo naviga o lo studia, comprendere queste trasformazioni non è curiosità tecnica: è conoscenza che serve a capire come la tecnologia ridisegni la strategia marittima, la sicurezza dei traffici e perfino l’economia globale.

Parlare della Zumwalt, dunque, non significa celebrare la potenza, ma interrogarsi sul suo significato: quale direzione stiamo prendendo, quale prezzo stiamo pagando, e se la ricerca della superiorità non rischi di trasformare il mare — da spazio di libertà e incontro — in uno scenario di continua tensione.

Ho scelto la Zumwalt per i lettori di Mare Nostrum Rapallo proprio per questo: perché racconta la nostra epoca meglio di molti discorsi. È una nave che riflette il presente — potente, sofisticato, ma inquieto — e ci invita a osservare il mare con occhi nuovi, consapevoli che la conoscenza può essere il primo passo verso la pace.

E allora, mentre le flotte si trasformano e le potenze si sfidano nei silenzi elettronici dell’oceano, noi continuiamo a scrutare l’orizzonte. Perché il mare, con la sua antica saggezza, resta più grande di ogni tecnologia: e ci ricorda che chi lo rispetta davvero non cerca di dominarlo, ma di comprenderlo.

 

GLOSSARIO:

Wave-piercing

 E' la parola magica per indicare una nuova filosofia di progettazione: il corpo galleggiante non si muove più sopra le onde, ma attraverso di esse. Finora questo sembrava possibile solo con catamarani e trimarani, oggi anche con navi militari (Zumwalt)

Cannoni elettromagnetici e i LASER

Sono armi ad alta tecnologia che usano l'energia per colpire i bersagli, ma in modi diversi: i cannoni elettromagnetici lanciano proiettili fisici ad altissime velocità grazie a forze elettromagnetiche, mentre i laser emettono un raggio di luce concentrata e altamente direzionale che trasferisce energia direttamente sul bersaglio. Entrambe le tecnologie sono in fase di sviluppo e mirano a potenziare le capacità militari.

Le navi STEALTH

Le navi stealth sono navi da guerra progettate per essere difficili da rilevare da radar e altri sistemi di localizzazione, utilizzando tecnologie che ne riducono la "firma". Questo si ottiene combinando forme geometriche che deviano le onde radar e materiali specifici (come vernici radar-assorbenti o compositi) che le assorbono. Lo scopo è aumentare la capacità di navigare senza essere intercettate, per operazioni militari.

LA “FIRMA” - Nel contesto "stealth", una "firma" si riferisce alle tracce rilevabili da sensori nemici, come la firma radar, infrarossa o acustica. Si tratta di segnali che un veicolo (aereo, nave, missile) emette e che possono essere rilevati dai sistemi di avvistamento nemici, anche se la tecnologia stealth mira a minimizzarli. La riduzione della firma (radar, termica, acustica) è l'obiettivo principale della progettazione stealth.

Firma radar: Riguarda come un oggetto riflette le onde radar. La forma e i materiali di un veicolo stealth sono studiati per deviare le onde radar e minimizzare il segnale riflesso.

Firma infrarossa: Si riferisce al calore emesso dall'oggetto. Le tecnologie stealth cercano di ridurre l'emissione di calore, ad esempio deviando o mascherando i gas di scarico dei motori.

Firma acustica: Comprende i rumori prodotti dal veicolo, come il suono dei motori. Le tecniche stealth cercano anche di ridurre queste emissioni acustiche.

In sintesi, la "firma" è l'insieme di tutti i segnali che un veicolo emette e che possono essere rilevati, e la tecnologia stealth lavora per ridurre al minimo ciascuna di queste "firme" per rendere l'oggetto il più possibile "invisibile" ai sensori nemici.

 Il cannone di Gauss, anche conosciuto come coilgun: (cannone a bobina o solenoide) o cannone magnetico, è una bocca da fuoco che utilizza l'accelerazione magnetica o elettromagnetica per lanciare a velocità molto elevate proiettili di metallo, grazie ad un motore lineare posto su di un asse comune.

MISSILI SONICO-SUBSONICO-SUPERSONICO-IPERSONICO: In materia di missili, "sonico" si riferisce a velocità inferiori a Mach 1 (velocità del suono), "subsonico" è sinonimo di sonico, mentre "supersonico" indica velocità comprese tra Mach 1 e Mach 5. Invece, si parla di "missili ipersonici" per velocità superiori a Mach 5, caratterizzati anche da capacità di manovra e traiettorie non balistiche.

 

 

Saliamo a Bordo ...

La classe di cacciatorpediniere ZUMWALT è considerata una delle più potenti al mondo per la sua tecnologia avanzata, tra cui armi futuribili come cannoni elettromagnetici e laser, la sua capacità "stealth" per eludere i radar nemici e il suo sistema altamente automatizzato che richiede un equipaggio ridotto.

La combinazione di queste caratteristiche permette alla nave di avere una maggiore potenza di fuoco e di essere più difficile da rilevare e colpire rispetto alle navi tradizionali.

Pertanto, la nave militare statunitense USS Zumwalt è considerata tra le più avanzate e potenti al mondo principalmente per la sua combinazione unica di tecnologia stealth avanzata, potenza di fuoco significativa e sistemi di bordo all'avanguardia.

 

Caratteristiche principali che la rendono potente

Armamento avanzato

 Cannoni elettromagnetici:

La nave è progettata per ospitare cannoni elettromagnetici che sparano proiettili ad altissima velocità (circa 7 volte la velocità del suono).

Armi laser:

È prevista l'installazione di armi laser, come quelle che possono essere utilizzate per abbattere droni e piccole imbarcazioni.

Missili:

Possiede missili a lungo raggio, come i Tomahawk, e una disposizione dei missili che consente di sparare anche se la nave è danneggiata.

Design "stealth":

La sua forma a piramide e la struttura sono progettate per ridurre al minimo il suo “shape” al RADAR, facendola apparire sugli schermi nemici come un piccolo peschereccio.

Alta automazione:

È dotata di un elevato livello di automazione che riduce significativamente il numero di membri dell'equipaggio necessari per il suo funzionamento (circa la metà rispetto a una nave di dimensioni simili), migliorando l'efficienza e riducendo i costi.

Potenza energetica:

Dispone di un sistema di alimentazione elettrica molto potente in grado di fornire l'energia necessaria per i suoi sistemi d'arma avanzati e per i propulsori elettrici.

I MOTIVI PRINCIPALI DELLA SUA EXTRA POTENZA INCLUDONO QUINDI

 Tecnologia Stealth: 

La caratteristica più distintiva è la sua progettazione a prua invertita ("wave-piercing") e la sovrastruttura angolata che riducono drasticamente la sua sezione radar, facendola apparire come un peschereccio sulle schermate radar nemiche nonostante le sue grandi dimensioni.

Sistemi d'Arma Avanzati:

Originariamente era dotata di due rivoluzionari cannoni da 155 mm Advanced Gun Systems (AGS), capaci di sparare proiettili a lungo raggio con guida di precisione. Sebbene i costi elevati dei proiettili abbiano portato a una modifica, la nave è ora in fase di aggiornamento per ospitare missili ipersonici nel nuovo "Advanced Payload Module", aumentando ulteriormente la sua capacità d'attacco a lungo raggio.

Elettronica e Automazione: 

La Zumwalt impiega sistemi di bordo altamente automatizzati e un equipaggio notevolmente ridotto rispetto ad altre navi di dimensioni simili, grazie all'uso estensivo di tecnologie informatiche e di controllo all'avanguardia.

Versatilità: 

È dotata di un sistema di lancio verticale (VLS) multiuso, che le consente di utilizzare una vasta gamma di missili per diverse missioni, inclusi attacchi terrestri, antiaerei e antisottomarino.

Propulsione Integrata: 

Un sistema di propulsione elettrica integrata genera una quantità enorme di energia, sufficiente non solo per la navigazione, ma anche per alimentare futuri sistemi d'arma ad alta intensità energetica come i cannoni a induzione (railgun) o le armi laser, quando saranno operativi. 

In sintesi, la sua superiorità deriva dall'integrazione di queste tecnologie futuristiche in un'unica piattaforma, progettata per operare con un profilo di rischio ridotto e una flessibilità operativa senza precedenti.

 YouTube di presentazione della Unità Navale

https://www.youtube.com/watch?v=Cq5sYbnD5fs

DDG-1000 Zumwalt

Descrizione generale

Tipo

cacciatorpediniere missilistico

Classe

Classe Zumwalt

In servizio con

 U.S. Navy

Utilizzatore principale

U.S. Navy

Costruttori

BAE Systems, Bath Iron Works, Huntington Ingalls Industries, Raytheon[1]

Viaggio inaugurale

8 settembre 2016

Entrata in servizio

ottobre 2016

Stato

In servizio

Caratteristiche generali

Dislocamento

14 564[2]

Lunghezza

180 m

Larghezza

24,6 m

Velocità

35 nodi (56 km/h)

Equipaggio

147

Armamento

Armamento

20 moduli VLS MK57 (per un totale di 80 celle missile)

4 lanciatori per missili Tomahawk 1 lanciatore per missili antisottomarino ASROC 1 lanciatore per AGS (Advanced Gun System) 2 x 155 millimetri; 920 × 155 mm ; 70–100 LRLAP; 2 × 30 mm Mk 46 Mod. Nel progetto originale, le due bocche da fuoco da 155mm avrebbero dovuto essere sostituite da due cannoni elettromagnetici (Railgun Weapon System) ma questo sviluppo è stato abortito per cancellazione del progetto Railgun.

Note

Motto

Pax Propter Vim

Stemma

UN PO’ DI STORIA ....

Ha preso il largo la USS Zumwalt, la nave da guerra più ...  degli Stati Uniti è stato infatti paragonato all'Enterprise di Star Treck.

La DDG-1000 Zumwalt è la capoclasse della cl. Zumwalt di cacciatorpediniere della U.S.Navy. 

Il viaggio inaugurale è avvenuto l'8 settembre 2016 e in ottobre è entrata in servizio.

Nonostante l'accettazione in servizio, la nave è ancora affetta da problemi che l'hanno portata tra l'altro a incagliarsi durante l'attraversamento del Canale di Panama a fine settembre 2016, per problemi ai motori dovuti al loro surriscaldamento.

Atlantico, 21 aprile 2016 

Il cacciatorpediniere lanciamissili USS Zumwalt (DDG 1000) ha solcato l’Oceano Atlantico durante le prove di accettazione condotte insieme alla Commissione d’Ispezione e Verifica della Marina statunitense (INSURV).

La U.S. Navy ha ufficialmente preso in consegna la nave il 20 maggio 2016. Dopo la fase di certificazione dell’equipaggio e la cerimonia di entrata in servizio svoltasi nell’ottobre successivo a Baltimora, lo Zumwalt ha intrapreso la traversata verso il suo porto base di San Diego, dove ha iniziato il periodo di post-consegna e attivazione dei sistemi di missione.

Il DDG 1000 rappresenta la nave capoclasse dei nuovi cacciatorpediniere classe Zumwalt: unità di superficie di nuova generazione, multiruolo, concepite per l’attacco terrestre e per garantire la superiorità nelle acque costiere.

(Foto: U.S. Navy – Pubblicazione autorizzata)

ALBUM FOTOGRAFICO

Emblema della USS ZUMWALT DDG-1000

 

Ammiraglio Elmo Zumwalt

 

Il cassero centrale dello Zumwalt pronto per il montaggio a bordo 2012

USS Zumwalt in transito il 6 November 2012 con il cassero montato sullo scafo

USS Zumwalt (DDG1000) arriva alla base di San Diego (California) per la prima volta nel 2016

USS Zumwalt in visita a Yokosuka, Giappone nel 2022

Il costo del cacciatorpediniere USS Zumwalt è di circa $4,4 miliardi per la prima nave della classe, che all'epoca del suo completamento era la più costosa della Marina degli Stati Uniti. 

Il costo totale per le tre navi della classe è di circa $22,4 miliardi, se si include la ricerca e lo sviluppo. 

Cosa sono i missili Tomahawk, gli ordigni che vengono dalla Guerra Fredda e perchè sono ambiti.

Sarebbero un salto di qualità enorme nel conflitto con tutti i rischi che questo comporta. Schierati in Europa occidentale come arma nucleare dopo un accordo NATO del 1979 e poi armati con testate convenzionali

BGM-109 Tomahawk

Cosa sono i missili Tomahawk, gli ordigni che vengono dalla Guerra Fredda e perchè sono ambiti.

Sarebbero un salto di qualità enorme nel conflitto con tutti i rischi che questo comporta. Schierati in Europa occidentale come arma nucleare dopo un accordo NATO del 1979 e poi armati con testate convenzionali.

Ecco che si riparla di nuovo insistentemente di una fornitura (ora negata da Trump) di missili Tomahawk all'Ucraina. 

Si tratta di vettori che "possono essere equipaggiati con testate nucleari". Ma cosa sono e che caratteristiche hanno questi missili a lungo raggio? 

Missile da crociera subsonico 

Il BGM-109 Tomahawk è un missile da crociera subsonico a lungo raggio realizzato in numerose versioni e pensato per attacchi su vasta scala, come avvenne trent'anni fa, nella guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein e come è successo lo scorso giugno con la salva di ordigni lanciata contro un sito nucleare iraniano. 

Chiesti da Zelensky a Trump, costituirebbero un salto di qualità enorme nella guerra in Ucraina per la loro potenza e gittata, con tutti i rischi che questo comporta. Schierati in Europa occidentale come arma nucleare dopo un accordo NATO del 1979, furono armati con testate convenzionali.

 

Un missile cruise Tomahawk lanciato dalla nave statunitense Aegis Uss Uan Jacinto - 2003 (LaPresse).

30/10/2024 

 

Operativi dal 1983

L'US Navy iniziò a considerare lo sviluppo di missili cruise imbarcati nel 1972, prevedendo di impiegare missili subsonici che avrebbero volato a bassissima quota per sfuggire all'intercettazione dei radar.

Il programma nasceva dalla volonta' di aggirare le restrizioni del trattato sulle armi nucleari SALT I che imponeva un numero limitato di missili balistici sui sottomarini, ma non prevedeva restrizioni per i missili cruise. 

Nel giugno 1972 la scelta definitiva cadde sul modello piu' piccolo. Nel 1974 diverse aziende presentarono le loro proposte, e a febbraio venne selezionata General Dynamics per sviluppare il progetto. 

 

 

Nel 1980 un BGM-109A della produzione in serie fu lanciato da una nave con successo, e nel 1983 fu dichiarato operativo.

 

Lancio di un missile Tomahawk da una nave della marina militare americana - immagine d'archivio (Ansa)

In Europa come arma nucleare, poi convenzionale

Schierato in Europa occidentale come arma nucleare nel numero di 464 esemplari, in seguito a un accordo dei Paesi della NATO del 1979, fu armato poi, grazie alla precisione del sistema TERCOM, anche con testate convenzionali. 

Nel frattempo la versione terrestre dell'US Army fu tolta dal servizio in virtu' del trattato INF sugli Euromissili. Una base che doveva ospitare i lanciatori mobili dei cruise era quella di Comiso (Sicilia), scelta che causo' polemiche in Italia.

Dopo il ritiro degli Euromissili, rimase la versione navale, con testate convenzionali, ampiamente usata dagli USA a partire dagli anni '90.

Ci sono diverse versioni del Tomahawk:

 il TLAM-C, missile d'attacco terrestre con testata convenzionale,

il TLAM-N, missile d'attacco terrestre dotato di testata nucleare,

il TLAM-D, missile d'attacco terrestre armato con submunizioni

il TASM, missile antinave.

In Europa come arma nucleare, poi convenzionale

Schierato in Europa occidentale come arma nucleare nel numero di 464 esemplari, in seguito a un accordo dei Paesi della NATO del 1979, fu armato poi, grazie alla precisione del sistema TERCOM, anche con testate convenzionali.

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TOMAHAWAK

Lungo quasi 6 metri

Il missile BGM-109 Tomahawk ha una lunghezza (escluso il booster) di 5,56 metri, un'apertura alare di 2,67 metri, e un diametro di 52 centimetri. Il peso e' di 1.300 chilogrammi, che arriva a circa 1.600 chilogrammi con il booster. Ha due ali retrattili e in coda delle piccole alette che hanno la funzione di timoni direzionali.

 

GITTATA

La gittata di un missile Tomahawk varia a seconda della versione specifica, ma può raggiungere circa 

1.600-2.500 chilometri. A seconda del modello.

Ad esempio, alcune versioni hanno una gittata massima di circa 1.600 km (come la Block IV), mentre altre arrivano a 2.500 km (come la BGM-109A). 

Caratteristiche: Si tratta di un missile da crociera subsonico che può volare a bassa quota per eludere il radar, dotato di un motore turbofan. 

BGM-109 Tomahawk Table_title: BGM-109 Tomahawk Table_content: header: | Raytheon BGM-109 Tomahawk | | row: | Raytheon BGM-109 Tomahawk: Prestazioni...

La versione aviolanciata non ha bisogno di booster, mentre ne fanno utilizzo le versioni imbarcate sulle navi e i sottomarini, e i lanciatori terrestri. 

Cos’è il BOOSTER? :

il booster di un Tomahawk è un razzo a combustibile solido che fornisce la spinta iniziale per il lancio del missile. Questo razzo viene attivato dopo il lancio e si spegne poco dopo, quando il missile raggiunge la velocità necessaria per far entrare in funzione il suo motore a turbogetto per il volo di crociera.

Il booster montato in coda, durante la prima fase di lancio, e' un razzo a combustibile solido, Atlantic Research Corporation (ARC) Mk 106 nelle prime versioni, sostituito da un piu' moderno ARC Mk 135 nelle versioni piu' recenti come l'RGM-109E Block IV.

Questo booster e' lungo 69 centimetri, ha un diametro di 52 centimetri, e un peso di circa 270 chili. La lunghezza totale del missile BGM-109 con il booster e' quindi di 6,25 metri.

 

Alcuni Avvenimenti dell’anno in corso

Razzi russi colpiscono la capitale ucraina Kiev,07_9_2025 (reuters)

Il lancio di missili Tomahawk da una nave militare americana 

27/09/2025 

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CONCLUSIONE

Qualche anno fa, quando la tensione geopolitica nel mondo sembrava più lontana e il mare appariva un rifugio di pace, non avrei scelto di trattare un tema “bellico” come quello della nave Zumwalt. La nostra Associazione, composta anche da molte signore e da persone che amano il mare per la sua bellezza, avrebbe forse trovato l’argomento poco vicino al proprio sentire.

Oggi, però, il contesto è cambiato. Viviamo un tempo in cui la forza e la tecnologia si intrecciano alle politiche globali, e le decisioni prese lontano da noi finiscono per influenzare la vita di tutti. Anche chi non si è mai interessato di armi o strategie militari comprende che non si può più ignorare ciò che accade sopra e sotto la superficie del mondo. Come ricordava il Papa recentemente scomparso, siamo  già dentro una “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”.

Per questo ritengo che sia necessario parlarne — non per spaventare, ma per capire. Tutti, uomini e donne, giovani e adulti, dovremmo imparare a leggere questi segnali e a prepararci psicologicamente ad affrontare un tempo complesso, nel quale l’Europa stessa si scopre fragile. In altri Paesi si richiamano le leve e si costruiscono rifugi; noi, forse, confidiamo ancora troppo nella speranza.

Eppure, la speranza non deve mancare: va nutrita con la conoscenza e con la consapevolezza. Perché solo chi comprende può scegliere, e solo chi è lucido può difendere davvero la pace.

Noi, che del mare abbiamo fatto scuola di vita, sappiamo che ogni tempesta passa, ma che occorre saperla affrontare con la rotta chiara, la mente vigile e il cuore limpido.

 

FINE

 

Carlo GATTI

8/11/2025

 

 

 

 

 

 

 

 


Incrociatore Italiano Raimondo MONTECUCCOLI

INCROCIATORE ITALIANO

RAIMONDO MONTECUCCOLI 

 

L'incrociatore leggero italiano Raimondo Montecuccoli fu una delle navi sopravvissute alla Seconda guerra mondiale, anche se non l'unica unità ad avercela fatta. Dopo la guerra, fu trasformato in nave scuola per la Marina Militare e operò fino al suo disarmo nel 1964, dopodiché fu demolito nel 1972. 

 

CARATTERISTICHE DELL’UNITA’

 

CANTIERE: Ansaldo – Genova

Classe Incr. RAIMONDO MONTECUCCOLI

Gemello: Muzio ATTENDOLO

Impostazione: 1931
Varo: 1934
Completamento: 1935
Radiazione: 1964

Dislocamento:

Normale: 8.875 Tonn.
Pieno carico: 8.895 Tonn.

Dimensioni:

Lunghezza: 182,2 (f.t.) - 166,7 ( pp.) mt.
Larghezza: 16,6 mt.
Immersione: 6 mt.

Apparato motore: 6 caldaie - 3 turbine - 3 eliche
Potenza: 106.000 HP

Velocità: 37 nodi

Combustibile: 1.300 Tonn. di nafta

Autonomia: 4.122 miglia a 18 nodi

Protezione:

Orizzontale: 30 mm.
Verticale: 60 mm.
Artiglierie: 70 mm.
Torrione: 100 mm.

Il cannone da 152 mm conservato all'ingresso del parco Città della Domenica di Perugia

Armamento:

 8 pezzi da 152/53 mm.
6 pezzi da 100/47 mm
8 mitragliere da 37/54 mm.
8 mitragliere da 13,2 mm.
4 tubi lanciasiluri da 533 mm.
2 aeroplani

Equipaggio: 507

Incrociatore

 Raimondo Montecuccoli

L’Incrociatore Raimondo Montecuccoli fu varato nel Cantiere Ansaldo di Genova-Sestri il 2 agosto ’34 e il 30 giugno del '35 venne consegnato alla Regia Marina. Faceva parte con l’Eugenio di Savoia, il Duca D’Aosta e il Muzio Attendolo (nave gemella del Montecuccoli) della VII Divisione, inquadrata nella 2^ Squadra Navale (Ammiraglio di Divisione Salza).

Nel ’36 con lo scoppio della guerra civile spagnola, fu impiegato come scorta e per evacuazione di connazionali e profughi.

Il 27 agosto 1937 il Montecuccoli ricevette l’ordine di salpare per l’Estremo oriente per rafforzare la stazione navale italiana in Cina e proteggerla dagli attacchi Giapponesi.

Salpò da Napoli il 30 agosto al comando del Comandante di Vascello Da Zara e giunse a Shanghai il 15 settembre toccando Porto Said, Aden, Colombo e Singapore.

Dopo diverse missioni in Australia e Giappone, il Raimondo Montecuccoli ripartì il 29 agosto del '39 per l’Europa e giunse a Napoli il 7 dicembre.

 

Seconda guerra mondiale

IL MONTECUCCOLI  PARTECIPO’ ALLE BATTAGLIE:

Attacco a Corfù

Luglio 1940 - La Battaglia di Punta Stilo

Nel dicembre 1940, la 7ª Divisione di stanza a Bari Eugenio di Savoia, Duca D’Aosta, Montecuccoli e Attendolo insieme ad alcuni cacciatorpedinieri bombardarono postazioni greche sull'isola di Corfù.

17 dicembre 1941 - la Prima battaglia della Sirte la 2

*16 giugno 1942 - battaglia di Mezzo Giugno e quella  10-15 agosto 1942 - battaglia di Mezzo Agosto

*Il convoglio Harpoon-1942 subì pesanti perdite durante la battaglia di "Mezzo Giugno" (12-16 giugno) a causa di attacchi aerei, navali e sottomarini dell'Asse. Dei sei mercantili partiti da Gibilterra, solo due arrivarono a Malta. Le forze dell'Asse ottennero una vittoria significativa, con la marina italiana che ingaggiò uno scontro di superficie durissimo contro la scorta britannica.

 

L'incrociatore leggero italiano Raimondo Montecuccoli che spara durante la battaglia del convoglio Harpoon nel 1942. Durante lo scontro colpì 11 volte le navi da scorta britanniche, incluso il colpo più lungo effettuato da un incrociatore leggero nella Seconda Guerra Mondiale.

Questa è una trascrizione dello storico italiano Enrico Cernuschi (Amico di Mare Nostrum Rapallo) che include foto rarissime della battaglia, una battaglia molto importante perché tecnicamente è stata la più grande battaglia di superficie della campagna del Mediterraneo che non si è conclusa con una breve scaramuccia in parità (come quella di Calabria), 14 navi alleate hanno difeso il convoglio e sono state sconfitte da una forza italiana di 7 navi; nella forza italiana c'erano i due strani cacciatorpediniere classe Navigatori "modernizzati", che in realtà hanno perso velocità con la modernizzazione, solo 28 nodi, rendendoli una forza particolare per un attacco.

- dicembre 1942Operazione M.42 che andò poi    a   culminare nella:

-  Prima battaglia della Sirte

- Armistizio del settembre 1943 raggiunse Malta (Cobelligeranza) partecipò a diverse missioni di trasporto veloce ed al rimpatrio dei prigionieri.

- 1949 attività addestrativa come Nave Scuola per gli allievi dell'Accademia Navale di Livorno effettuando numerose crociere in tutto il mondo che lo resero famoso.

ARMISTIZIO

All’armistizio dell'8 settembre la nave si trovava a La Spezia,  da dove, insieme alle altre due unità che in quel momento costituivano la VII Divisione, l’Eugenio di Savoia e l’Attilio Regolo, alle corazzate Roma, Vittorio Veneto e Italia della IX  Divisione, i cacciatorpedinieri Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite della XII Squadriglia, i cacciatorpediniere Legionario, Oriani, Artigliere, e Grecale  della XIV Squadriglia ed una squadriglia di torpediniere  formata da Pegaso, Orsa, Orione, Ardimentoso, e Impetuoso,  salpò per congiungersi con il gruppo navale proveniente da Genova, formato dalle unità della VIII Divisione, costituita da Garibaldi, Duca degli Abruzzi, Duca D’Aosta e dalla torpediniera Libra per poi consegnarsi agli Alleati a Malta assieme alle altre unità navali italiane provenienti da Taranto.

Il gruppo, dopo essersi riunito con le unità provenienti da Genova, per ottenere una omogeneità nelle caratteristiche degli incrociatori, il Duca d'Aosta passò dalla VIII alla VII Divisione, sostituendo l’Attilio Regolo   che entrò a far parte della VIII Divisione.

Durante il trasferimento la Roma, nave ammiraglia dell’Ammiraglio affondò tragicamente nel pomeriggio del 9 settembre al largo dell’Asinara  centrata da una bomba Friz-X  sganciata da un Dornier 217  della tedesca Luffwaffe  partito dalla base di Istres vicino a Marsiglia.

Dall'inizio del conflitto all'armistizio, il Montecuccoli effettuò 32 missioni di guerra percorrendo 31.590 miglia.

Durante la cobelligeranza ed al termine del conflitto, partecipò a numerose missioni di trasporto veloce e di rimpatrio di prigionieri.

Il Montecuccoli fu uno dei quattro incrociatori lasciati alla Marina Italiana in seguito al Trattato di Pace post bellico.

 

Missioni post belliche:

- 1946 rimpatrio prigionieri italiani da Porto Said, Philippeville, Algeri ed Orano;

- Dal 1947 al 1949 Attività di squadra;

- Estate 1949 designata nave-scuola per gli allievi dell’Accademia navale, (campagne di istruzione estiva nel Mediterraneo)

- Estate 1951 campagna di istruzione estiva a Santa Cruz de Tenerife.

- Estate 1952 campagna di istruzione estiva a Londra;
- Fino al giugno 1954 a La Spezia per riallestimento
- 1955 Copenaghen;- Dal 1° settembre 1956 al 1° marzo 1957

Olimpiadi di Melbourne - campagna di istruzione con circumnavigazione del globo;

- 1958 Montreal, Boston e Filadelfia;

- 1961 Helsinki;

- 1963 periplo del continente africano;

- 31 maggio 1964 a Taranto venne ammainata per l’ultima volta la bandiera e con il 1° giugno il Montecuccoli fu cancellato dal Quadro del Naviglio Militare dello Stato.

- 1972 Rimorchiato a La Spezia, passò alla demolizione.

 

Il giorno di Santa Barbara

Mentre si trovava a Napoli  il 4 dicembre 1942, , giorno di Santa Barbara, vi fu un bombardamento da parte dei B-24 americani  partiti dall’Egitto che arrivarono indisturbati sulla città in quanto scambiati per una formazione di Ju 52 tedeschi,  sganciando le loro bombe da oltre 6.000 metri  di altitudine, che colpirono il Montecuccoli, l'Eugenio di Savoia, che ebbe 17 morti e 46 feriti e danni alla parte posteriore dello scafo riparabili in 40 giorni ed il gemello Muzio Attendolo che, colpito al centro da una o due bombe venne danneggiato sotto la linea di galleggiamento inclinandosi per finire semiaffondato. Per il Muzio Attendolola stima delle operazioni di recupero e dei lavori di riparazione era da dieci mesi ad un anno, ma lo scafo venne recuperato e demolito al termine del conflitto.

Il Montecuccoli venne colpito da una bomba a centro nave proprio dentro un fumaiolo che venne disintegrato lasciando al suo posto un cratere, ma la protezione della corazzatura riuscì a salvare la nave che, oltre ad avere avuto 44 morti e 36 feriti, ebbe bisogno di ben sette mesi di lavori. Al termine dei lavori vennero installate quattro mitragliere 20/70 mm Oerlikon.

Quadro originariamente collocato nel quadrato ufficiali dell'incrociatore R. Montecuccoli e oggi esposto al museo navale di La Spezia.

Il motto della nave “Con risolutezza con rapidità" ("Festinando non procrastinando"), tratto dagli "Aforismi" dello stesso Montecuccoli si riferiva all'elevata velocità delle unità della classe Condottieri.

Il Montecuccoli possedeva anche il motto non ufficiale “Centum Oculi" (riportato su un quadro nel quadrato ufficiali e oggi conservato al museo navale di La Spezia), anch'esso attribuito al condottiero e che si riferiva le sue indubbie virtù di attenzione e di valutazione all'evolversi della situazione tattica.

Il Montecuccoli oltre al motto "possedeva anche il motto non ufficiale “Centum Oculi" riportato su un quadro nel quadrato ufficiali e oggi conservato al museo navale di La Spezia.

Durante la battaglia di Mezzo Giugno, nel corso dello scontro di Pantelleria (15 giugno 1942), lo scoppio di un colpo a bordo asportò la “O" della parola "oculi" senza causare altri danni: da allora, a ricordo della fortunata circostanza, il motto fu poi tramandato nella forma “Centum Øculi".

 

 Incrociatore "Raimondo Montecuccoli" classe Condottieri.

La Nave è entrata in servizio per la Regia Marina il 30 giugno 1935, dislocamento a pieno carico 8900 t. lunghezza 182,2 mt. larghezza 16,6 mt. velocità 37 nodi, equipaggio 580 uomini.

 Nel periodo post bellico ha operato come Nave Scuola per gli Allievi dell'Accademia Navale di Livorno fino al suo disarmo avvenuto nel 1964.

Il suo motto: Con risolutezza, con rapidità

 

- 1956 Olimpiadi di Melbourne -

La crociera aveva come destinazione finale Melbourne in Australia dove in autunno inoltrato si svolsero le XVI Olimpiadi, alle quali parteciparono atleti italiani; a bordo dell’unità, oltre all’equipaggio, i cadetti dell’Accademia Navale. In tale importantissimo evento mondiale, l’unità fu nave appoggio.

Le foto “comparse” si riferiscono in gran parte ai momenti ufficiali dove il comandante e l’equipaggio furono primi attori, furono i rappresentanti dell’Italia all’estero.

Giro del mondo dell’Incrociatore Raimondo Montecuccoli 1956-1957

 

LA CROCIERA PIU’ LUNGA.....

 

Il 1° settembre 1956 l'incrociatore Raimondo Montecuccoli stava per partire per la più lunga crociera del dopoguerra. 

Doveva spingersi fino all'Indonesia, all'Australia e la Nuova Zelanda per ritornare indietro attraverso gli stessi mari e gli stessi oceani. 

Ma le note vicende che determinarono la temporanea chiusura del canale di Suez bloccarono la via del ritorno, e il mattino del 13 novembre, l'incrociatore ricevette l'ordine di tornare in patria via Panama con conseguente "giro del mondo".

Fu una notizia tutt'altro che spiacevole per chi era a bordo: compiere un viaggio memorabile intorno al globo, percorrendo più di 34.000 miglia. 

La missione affidata agli uomini del Montecuccoli era determinante poiché dal comportamento di tutto l'equipaggio dipendeva il giudizio che paesi di tutto il mondo avrebbero dato al nostro Paese, a un decennio dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Il Montecuccoli riuscì a guadagnarsi grande stima e considerazione presso le varie autorità locali e profonda ammirazione da parte delle navi che l'affiancarono in manovre ed esercitazioni in mari fino ad allora sconosciuti alla nostra bandiera.

Ecco dunque che in occasione del 60ennale degli eventi descritti nel volume, si propone una riedizione di quanto già pubblicato dalla Marina nel 1957, arricchito da prologo, prefazione e postfazione che inquadrano il periplo del mondo al contesto sociale, economico, politico e culturale di quegli anni.

Il volume è dedicato a coloro che hanno vissuto quel tempo e quella navigazione, talvolta molto difficile, ma anche a quanti vorranno calarsi nella realtà dell'epoca.

È posto in vendita al prezzo unitario di € 18,00 (€ 12,00 prezzo ridotto per gli aventi diritto) più spese postali, facendone richiesta all’Ufficio Storico della Marina Militare, Via Taormina, 4 – 00135 ROMA e-mail: ufficiostorico.vendite@marina.difesa.it (modalità di dettaglio per l'acquisto

La nave una volta arrivata a Melbourne per la presenza alle Olimpiadi del 1956, sarebbe dovuta ritornare più o meno per la stessa rotta ma, a causa dei fatti successi in Egitto, (Nasser, presidente della Repubblica,

dopo aver espulso tutti gli stranieri e confiscato i loro beni, nazionalizza il Canale di Suez provocando l’intervento militare franco-inglese) con la conseguente chiusura del Canale, la rotta di ritorno fu riimpostata consentendo così all’unità di circumnavigare il globo.

Imbarcati, oltre all’equipaggio, i cadetti dell’Accademia della 2^ e 3^ classe un totale di 134 allievi di cui 22 di Marine straniere che seguivano gli studi a Livorno.
Furono visitati 34 porti (località) e percorse 33.170 miglia marine.

Le fotografie, qui pubblicate, sono “emerse” nella ricerca di altra documentazione, le stesse mi sono state donate negli anni ‘60 da un componente l’equipaggio dell’unità che ha avuto la fortuna di poter dire “io c’ero”.

Nell’elenco le varie tappe della nave, evidenziate meglio nel percorso sul planisfero; in rosso la rotta d’andata, in verde quella del ritorno.

LIVORNO-PORTO SAID-SUEZ-ADEN-KARACHI-BOMBAY – COLOMBO-SINGAPORE-DJAKARTA-PORT DARWIN-CAIRNS BRISBANE-SIDNEY-AUKLAND-WELLINGTON MELBOURNE-HOBART-ADELAIDE-MELBOURNE - SUVA-PAGO PAGO-PEARL HARBOR-SAN FRANCISO SAN DIEGO-MANZANILLO-ACAPULCO-SALINAS CRUZ LA LIBERTAD-PUNTARENAS-BALBOA CRISTOBAL CARTAGENA-LA GUAYRA-BRIGHTON-PORT OF SPAIN SAO VINCENTE DI CAPO VERDE-GIBILTERRA-LIVORNO

 

Il LINK CHE SEGUE RACCOGLIE MOLTISSIME FOTO DI QUELLA CROCIERA PER CASO....

https://www.marinai.it/comunica/corsi/corsi/monte.pdf

 

 Conclusione

Quando ero un giovane studente del Nautico di Camogli, spesso andavo a Spezia per rubare qualche scatto alle navi della nostra M.M. che si trovavano nell’Arsenale.

A missione compiuta, prima di prendere il treno per tornare a Rapallo, ricordo quella strada in leggera salita: Via Chiodo che porta alla stazione ferroviaria.

Era l’ultima sosta di quella giornata, la più attesa. Era l’ultimo rito che mi dava una gioia indescrivibile. Il libraio/tabacchino sulla destra mi aspettava quel giorno stabilito per consegnarmi le foto-cartolina in bianco e nero delle Unità della Marina che mancavano nella mia collezione.

Molte erano le navi perdute nella guerra, ma quelle che erano sopravvissute le amavo ancora di più per le storie e le “ciccatrici” che ancora raccontavano....

Gli Incrociatori della classe Montecuccoli sono stati apprezzati per la loro linea elegante, affusolata e per l'estetica, considerata tipicamente italiana e che conferiva loro un senso di bellezza e velocità. Le navi da guerra italiane, fin da allora, erano rinomate per il design e l'ingegneria. 

Estetica italiana: 

La progettazione italiana era spesso caratterizzata da linee pulite, eleganti e veloci, che rispecchiavano un'estetica che è stata poi associata anche ad altri incrociatori leggeri italiani dell'epoca.

Bellezza e velocità: 

La linea affusolata, le forme affilate e il design complessivo contribuivano a dare a queste navi un aspetto slanciato e veloce, che le rendeva visivamente attraenti e, come si diceva, potenti.

 Armamento e prestazioni: 

Oltre all'aspetto, le navi erano anche ben armate e progettate per operare in autonomia, tipiche di un incrociatore leggero. 

In sintesi, la classe Montecuccoli è un esempio emblematico della combinazione di bellezza estetica e prestazioni funzionali tipica dell'ingegneria navale italiana. 

 

Il FRIGNANO del Montecuccoli

https://www.ilfrignanodeimontecuccoli.it/incrociatore-raimondo-montecuccoli/

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 24 ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LA MAGIA DEL TINO - SPEZIA

LA MAGIA DEL TINO 

SPEZIA

 

Il TINO fa da sfondo alla Fregata antisom Luigi RIZZO F 596

Il golfo della Spezia è noto anche come il

GOLFO DEI POETI

A definirlo così, il 30 agosto del 1910, fu il commediografo Sem Benelli  che in una villa sul mare di San Terenzo  lavorava alla sua Cena delle Beffe   e che, in occasione dell'orazione funebre per lo scienziato e scrittore Paolo si espresse con queste parole: "Beato te, o Poeta della scienza, che riposi in pace nel Golfo dei Poeti. Beati voi, abitatori di questo Golfo, che avete trovato un uomo che accoglierà degnamente le ombre dei grandi visitatori."

 

 

Un po’ di storia ...

Scavi eseguiti nel 2021 hanno individuato reperti di un edificio di epoca romana e risalenti al primo insediamento nell’isola.

San Venerio, nato nell’isola della Palmaria e patrono  del Golfo della Spezia, si ritira in eremitaggio sull’isola sino alla sua morte, avvenuta nel 630.  Narra la leggenda che accendesse dei fuochi per indicare la rotta ai naviganti. Per questo motivo è patrono dei fanalisti e il suo esempio continua ancora oggi, come testimonia il faro che si erge sulla sommità della scogliera. In sua memoria sulla sua tomba viene costruito dapprima un piccolo santuario nel VII  da Lucio, vescovo di Luni. 

Più tardi, nell’XI secolo, presso l’antico romitorio edificato dove era stato ritrovato il corpo del santo, dai monaci benedettini viene fondato il monastero di San Venerio e Santa Maria del Tino, destinato a godere di ampia fama e ricevere frequenti donazioni dai nobili dei paesi circostanti. 

Nell’estate del 1242, davanti all’isola del Tino, Genova  si prende la rivincita della battaglia del Giglio sconfiggendo la flotta Pisana  alleata dell’imperatore FedericoII. 

Nel 1435,  pontifice Eugenio IV, ai monaci Benedettini succedono gli Olivetani  che vi rimangono fino al 1466,  quando devono abbandonare il luogo, troppo esposto alle incursioni turche.  I ruderi del monastero sono tuttora visibili sulla costa settentrionale dell’isola.

Probabilmente nei primi anni del XVII secolo la Repubblica di Genova  vi erige una torre-fortezza di avvistamento.

Dalla seconda metà del XIX secolo l’isola è interessata dalle ingenti opere di del Golfo della Spezia  ancora oggi di proprietà militare.

Importanti lavori di restauro dell’antica abbazia sono stati eseguiti intorno alla metà del XX secolo. 

 Archeologia subacquea

Ricerche subacquee condotte nel 2012 e 2014 a 17 miglia a sud dell'isola del Tino hanno scoperto due relitti romani. Le navi naufragate trasportavano carichi di anfore vinarie di tipo greco-italico e costituiscono la testimonianza delle rotte di traffico marittimo tra Roma, la Gallia e la Spagna.

Un primo relitto, denominato Daedalus 12, è a una profondità di circa 400 m ed è gravemente danneggiato dai solchi delle reti a strascico che hanno ridotto le anfore ad un ammasso caotico di frammenti, sparsi su un’area molto vasta.

Un secondo relitto, più profondo a 500 m, denominato Daedalus 21, si è conservato sostanzialmente intatto, con il suo carico di oltre duemila anfore vinarie Dressel 1 (di cui 878 visibili in superficie) e vasi, databili intorno al II sec. a.C. Il relitto è lungo circa 25 metri e reca ancora quattro ceppi d’ancora che hanno permesso di definire la posizione della prua.

Il relitto del cpt VINCENZO GIOBERTI, affondato il 9 agosto 1943, è stato localizzato a 600 m di profondità a ponente dell'isola del Tino.

 

Ambiente

Flora

Mirto

La flora prevalente nell’isola è costituita dalla macchia mediterranea e del bosco di leccio. Altre importanti formazioni vegetali sono la macchia ad euforbia e, sulle scogliere più vicine al mare, quelle caratterizzate dal finocchio di mare. Inoltre molto presenti sono anche: la cineraria marittima, il papavero cornuto, la ginestra, il fico degli ottentotti, la centaurea veneris, la valeriana rossa. (Sono presenti anche alcune piante aromatiche come il timo il mirto il rosmarino e l’ampelodesma mauritanica.

Fauna

Gabbiano Reale l'uccello più diffuso nell'isola del Tino

La fauna del Tino è molto simile a quella della Palmaria, a motivo della vicinanza tra le due isole. Sull'isola si trovano alcune delle maggiori emergenze faunistiche rettili, quali il tarantolino, il più piccolo dei gechi europei, facilmente riconoscibile per l'assenza di tubercoli sul lato dorsale. Oltre che sulle isole del Tino e del Tinetto questo geconide è presente in pochissimi altri siti liguri. 

Tra gli uccelli ricordiamo il gheppio, il falco pellegrino, lo sparviero, la pernice, i gabbiani il corvo imperiale, il passero solitario, il cormorano o marangone dal ciuffo. Nell'isola l'elevata presenza di uccelli è dovuta alla quasi totale assenza dell'uomo. Questo ha fatto sì che gli uccelli (in particolare i gabbiani) nidificassero indisturbati anche nei posti più impensabili dell'isola.

Edifici nell'isola

L'isola non è mai stata veramente abitata e le strutture presenti sono quindi poche e quasi tutte a carattere militare. Tra quelle che si sono conservate fino a noi sono: i ruderi del monastero di San Venerio, la batteria G. Ronca, il faro, la vecchia casamatta trasformata in piccolo museo.

 Strutture militari

A causa forse del suo isolamento nell'isola del Tino prima del 1920 non erano presenti installazioni difensive (né durante il dominio genovese né durante quello napoleonico venne presa in considerazione questa possibilità anche se Napoleone Bonaparte lo ritenesse utile). 

La prima struttura difensiva ad essere costruita risale a dopo gli anni '20 ad opera della Regia Marina a nord-ovest dell'isola ed è stata la Batteria G.Ronca, a cui in seguito ci sono aggiunti altri edifici secondari per il funzionamento della batteria cioè: la Casamatta, la Casermetta, i convertitori, i proiettori di tiro e di scoperta, il deposito benzina.

Tutto questo complesso per garantire maggiore sicurezza in caso di possibile attacco via mare (all'epoca dell'edificazione non erano ancora impiegati gli aerei per i bombardamenti) era dislocato in tutta l'isola per garantire maggiore sicurezza ai singoli settori. Inoltre la dislocazione delle quattro torrette di tiro in alture in diverse posizioni garantiva una copertura di tiro molto elevata (la zona interna del porto era coperta solo dal "pezzo" n.4 perché comunque c'era già un numero sufficiente di batterie in tutto il golfo a garantire un'efficiente copertura di tiro.

Strutture religiose

Scavi condotti nel 1962 dalla Soprintendenza ai monumenti della Liguria hanno rivelato gli avanzi delle fondamenta e dell'abside un'antichissima ecclesia databile tra il V  e il VI secolo  e quindi contemporanea agli oratori del vicino Tinetto. 

Presso questi rilevamenti più antichi, ma distinta da essi, è l'antica Abbazia di San Venerio.

In origine in questo luogo era solo una cappella edificata già nel VII secolo sul luogo di sepoltura di San Venerio, santo eremita nativo della Palmaria, isola maggiore dell'arcipelago spezzino.
Per l'insicurezza provocata dalle continue devastazioni dei Saraceni sulle coste liguri, il venerato corpo del santo nell’860 fu traslato in un luogo più sicuro, presso il nascente borgo di Spezia  e i monaci abbandonarono il luogo.

 La vita religiosa poté riprendere quando la potenza di Genova e di Pisa, ai primi dell’XI secolo, sconfitti i saraceni riportò una relativa sicurezza sul Tirreno: i Signori di Vezzano, che della marca Obertenga erano i valvassori sul borgo di Portovenere, fecero rifiorire le istituzioni monastiche con donazioni di terre ai Benedettini. 

Un'abbazia venne edificata dai monaci come trasformazione architettonica della prima cappella.

Il complesso venne poi abbandonato dai successivi monaci Olivetani nel XV secolo, quando questi dovettero trasferirsi in un più sicuro insediamento monastico nella zona del Varignano e quindi andò incontro ad un lento decadimento strutturale. 

Dell'antico edificio medievale rimangono oggi visibili la facciata della chiesa, i suoi muri perimetrali e quelli del chiostro, in stile romanico. 

Nel convento degli Olivetani ha sede il museo archeologico dell'isola del Tino che conserva anfore e monete romane e manufatti dei monaci come boccali in graffita policroma e un catino in maiolica. 

Un altro importante edificio è il Cenotafio di San Venerio.

Strutture civili

 

Il faro dell'isola

Altre strutture sono il porticciolo ed il faro, entrambi direttamente controllati e gestiti dal Comando Militare. 

L'edificio del faro è stato costruito nel 1840 sulla piazza d'armi della seicentesca fortezza di avvistamento genovese  per decisione di re Carlo Alberto.  Il primo combustibile utilizzato per il funzionamento del faro era l’olio vegetale, successivamente sostituito dal carbone. 

Nel 1884 venne costruita una seconda torre, più alta della prima torre, alla cui sommità vennero poste delle lenti ottiche ad incandescenza, alimentate elettricamente da due macchine a vapore. Poiché questo sistema forniva eccessiva potenza al fascio di luce prodotto, nel 1912 l'impianto venne sostituito con uno a vapori di petrolio. Grazie all'arrivo dell’energia elettrica il faro venne elettrificato, mentre la completa automazione avvenne nel 1985. 

Il faro è controllato e gestito dal Comando di Zona Fari della Marina Militare che ha sede alla Spezia  e che soprintende tutti i fari dell'Alto Tirreno.

Di notte da Lerici (che si trova dal lato opposto del golfo della Spezia) o dalle Cinque è possibile vederne i lampi nell'oscurità del mare.

 La ricorrenza di San Venerio

Ogni anno, il 13 settembre, all'isola del Tino si celebra festa di San Venerio.  In questa ricorrenza si svolge una processione in mare che trasporta la statua del santo dalla Spezia all'isola del Tino e viene impartita la benedizione sai fedeli e alle imbarcazioni. 
Poiché il territorio dell'isola è di norma inaccessibile in quanto zona militare, questa giornata e la domenica successiva sono le uniche occasioni per poterlo visitare.

Inoltre viene esposto il reliquiario di San Venerio che ne contiene il teschio (infatti il Santo è sepolto a Reggio Emilia, ma questa parte del suo corpo nel 1959 venne restituita alla Diocesi della Spezia  per disposizione di papa Giuovanni XXIII). 

 

I fari Italiani, gestiti dalla Marina Militare dal 1911, sono sempre stati al passo con ogni innovazione tecnologica sia nel campo della luce, sia nella ricerca e nell’utilizzo di fonti di energia sempre più sicure e performanti, sia, negli ultimi tempi, con l’impiego dell’informatica per garantire sempre un servizio di pubblica utilità, rivolto alla sicurezza della navigazione e strutturato e idoneo al variare delle esigenze e delle tecnologie disponibili.

Il faro del Tino ne è un esempio “lampante” in quanto in esso sono state testate nel tempo moltissime innovazioni tecnologiche. Fu il primo faro, nel 1840, ad essere alimentato da due generatori a corrente alternata a magneti permanenti azionati da due macchine a vapore, ma è stato anche il primo a testare, nel 2016, i nuovi led a lunga portata di ultimissima generazione.

I fari ad ottica fissa, ossia con luce intermittente, e quelli ad ottica rotante, dove la luce è sempre accesa, con la caratteristica data dalla rotazione delle lenti di Fresnell, sono stati alimentati, a partire dal 1800 con vapori di petrolio, con l’acetilene, per poi essere elettrificati o dotati di fonti di energia alternative nel dopoguerra.

Sono stati istallati bruciatori di vario genere a seconda del gas combustibile utilizzato, scambiatori acetilene/elettrici e scambiatori di lampade di vario tipo.

Anche le lampade hanno avuto un’evoluzione nel tempo diventando sempre più piccole ed affidabili.

Le strutture architettoniche dei fari si sono adeguate alle esigenze dei tempi diventando sempre più alte ed articolate, permettendo la vita in pianta stabile dei faristi e delle loro famiglie.

Solo le lenti di Fresnell sono rimaste immutate nel tempo, dall’Ottocento a oggi mantenendo al faro un tocco di antica signorilità e romanticismo.

Nel percorso didattico museale del Tino vedrete questa evoluzione e questa metamorfosi di luci e di tecnologia sia della componente tecnica che infrastrutturale.

Nelle varie sale del bastione Napoleonico potrete ammirare pezzi concessi dal Museo Tecnico Navale di La Spezia, dall’Ufficio Tecnico dei Fari, dal Comando Zona Fari di Spezia e da privati. Pezzi storici, componenti di un lontano e recente passato, che potevano funzionare (“DEVE FUNZIONARE” è il motto dei faristi) solo grazie alla preparazione del personale Farista (personale civile della Difesa), ma anche grazie all’abnegazione e allo spirito di sacrificio di una categoria di persone veramente eccezionali… le loro famiglie.

 

ALBUM FOTOGRAFICO DEL FARO

 

 

Stella Maris (Stella del mare) è un titolo, fra i più antichi, per la Vergine Maria,  madre di Gesù. Il titolo è utilizzato per enfatizzare il ruolo di Maria come segno di speranza e come stella polare per i cristiani; con questo titolo, la Vergine Maria è invocata come guida e protettrice di chi viaggia o cerca il proprio sostentamento sul mare, titolo simile a quello di Odigitria

STELLA MARIS

https://discoverportovenere.com/it/isola-del-tino-san-venerio/

Se prendete il traghetto per la Palmaria da Spezia, mentre state per raggiungere l’isola, potrete anche accorgervi della presenza di una terza “isola”.... forse uno grande scoglio “isolato”, degno quindi d’avere un nome: IL TINETTO emerso in tempi lontani dagli abissi del mare, come nelle favole...

Il Tinetto è ben famoso ai naviganti cosí come agli appassionati di Nautica locale, infatti è presente intorno ad esso una secca capace di provocare danni anche a piccoli natanti.

In tutte le calate dei porti del mondo circolano sempre sia le favole che gli aneddoti a volte anche mescolati con la Fede, come questo che noi abbiamo ascoltato dal vivo:

quello di un piccolo motoscafo esibizionista che, a tutta velocitá e inconsapevole del pericolo, è passato sopra la secca perdendo per completo i due motori. Per questo “gli anziani” del posto hanno rinominato questi scogli sommersi come lo “scoggio do Diao”. Tradotto: lo scoglio del Diavolo.

A protezione dello scoglio e dei turisti della domenica, i nostri avi posizionarono in quella zona una suggestiva Madonnina che si erge sulle acque del mare dedicata a Maria, la “Stella Maris” dei marinai.

Un perimetro di circa due chilometri racchiude i 127.000 mq dell'isola del Tino, lussureggiante per il bosco misto di pini e lecci che nei secoli ha soppiantato le precedenti colture a olivo e vite, risalenti all'epoca degli insediamenti dei monaci benedettini. Un'impervia ed elevata falesia cinge l'isola da occidente rendendola inaccessibile e, al tempo stesso, strategica. Punta estrema della Liguria di levante, faro naturale proteso verso il Mediterraneo, dirimpettaio di Capraia, Gorgona e Corsica.

Dal 1997 l'isola del Tino, insieme alle altre isole Palmaria e Tinetto,  Portovenere e le Cinque Terre  è stata inserita tra i Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO. 

Descrizione

L'isola del Tino (Tyrus mayor nei testi medievali, nome probabilmente di origine fenicia).  La superficie dell'isola, che si erge fino a 117 metri s.l.m., è di 0,13 Km2 e il suo perimetro di quasi 2 km.

 

LA STORIA DI SAN VENERIO 

Scavi eseguiti nel 2021 hanno individuato reperti di un edificio di epoca romana e risalenti al primo insediamento nell'isola.

San Venerio, nato nell'isola della Palmaria e patrono  del Golfo della Spezia, si ritira in eremitaggio sull'isola sino alla sua morte, avvenuta nel 630.  Narra la leggenda che accendesse dei fuochi per indicare la rotta ai naviganti. Per questo motivo è patrono dei fanalisti e il suo esempio continua ancora oggi, come testimonia il faro che si erge sulla sommità della scogliera. In sua memoria sulla sua tomba viene costruito dapprima un piccolo santuario nel VII  da Lucio, vescovo di Luni. 

Più tardi, nell’XI secolo, presso l'antico romitorio edificato dove era stato ritrovato il corpo del santo, dai monaci benedettini viene fondato il monastero di San Venerio e Santa Maria del Tino, destinato a godere di ampia fama e ricevere frequenti donazioni dai nobili dei paesi circostanti. 

Nell’estate del 1242, davanti all’isola del Tino, Genova  si prende la rivincita della battaglia del Giglio sconfiggendo la flotta Pisana  alleata dell'imperatore FedericoII. 

Nel 1435,  pontifice Eugenio IV, ai monaci Benedettini succedono gli Olivetani  che vi rimangono fino al 1466,  quando devono abbandonare il luogo, troppo esposto alle incursioni turche.  I ruderi del monastero sono tuttora visibili sulla costa settentrionale dell'isola.

Probabilmente nei primi anni del XVII secolo la Repubblica di Genova  vi erige una torre-fortezza di avvistamento.

Dalla seconda metà del XIX secolo l'isola è interessata dalle ingenti opere di del Golfo della Spezia  ancora oggi di proprietà militare.

Importanti lavori di restauro dell'antica abbazia sono stati eseguiti intorno alla metà del XX secolo. 

 Chi era San Venerio, patrono del Golfo dei Poeti e dei guardiani dei fari?

 

Il monaco San Venerio nacque sull’isola della Palmaria nel 560 circa e visse in eremitaggio sull’Isola del Tino, dove morì nel 630. 

Nelle notti più buie era solito accendere un falò per aiutare le navi ad orientarsi nel Golfo dei Poeti. 

Oggi è il patrono del Golfo della Spezia e dei guardiani dei fari.

Venerio entra nel Monastero benedettino di Palmaria e diventa monaco. Poi, però, si trasferisce a Tino, un altro isolotto vicino, perché vuole vivere da solo. Egli fugge da un ambiente dove non si rispetta abbastanza la Regola benedettina, basata solo sulla preghiera e sul lavoro. Così, pensando che «è meglio stare da soli che male accompagnati», va a fare l’eremita. In questo isolotto Venerio prega e si rende utile a tutti, soprattutto ai poveri. Per gli umili pescatori, con i suoi consigli da esperto marinaio, l’eremita trova ingegnose soluzioni come quando costruisce una vela per migliorare la navigazione. Quando si fa sera, Venerio raccoglie rami e arbusti e accende un grande falò nel suo isolotto per illuminare la notte e rendere più sicura la rotta dei pescherecci.

[testo di Mariella Lentini su santiebeati.it]

Ogni anno, il 13 settembre, all'isola del Tino si celebra festa di San Venerio.  In questa ricorrenza si svolge una processione in mare che trasporta la statua del santo dalla Spezia all'isola del Tino e viene impartita la benedizione sai fedeli e alle imbarcazioni. 
Poiché il territorio dell'isola è di norma inaccessibile in quanto zona militare, questa giornata e la domenica successiva sono le uniche occasioni per poterlo visitare.

Inoltre viene esposto il reliquiario di San Venerio che ne contiene il teschio (infatti il Santo è sepolto a Reggio Emilia, ma questa parte del suo corpo nel 1959 venne restituita alla Diocesi della Spezia  per disposizione di papa Giovanni XXIII). 

 

Su questo scoglio sarebbe vissuto tra VI e VII secolo San Venerio, eremita e poi riferimento dei marinai, dato che era solito accendere fuochi per segnalare il pericolo notturno dell’isola ai naviganti. Fu lui, secondo la leggenda, ad aver introdotto a La Spezia la pratica dell’armo latino, la vela triangolare con l’antenna, ideale per risalire il vento assai più degli armi precedenti. Santo conteso, controverso, multiplo nelle sue valenze, che scelse il Tino per la sua bellezza naturale, per il romitaggio che garantiva, e su cui, nel tempo, venne eretto il faro attivo tutt’oggi, a centocinquant’anni dall’invenzione di Fresnel, quella che con lenti diagonali alternate consente a una piccola lampadina alogena di essere visibile fino a ventotto miglia. 

Ieri abbiamo assistito da lassù, dalla torre oltre 110 metri sul livello del mare, a un tramonto mozzafiato e all’accensione del faro. Affascinante. Guardare la Corsica, Capraia, Gorgona, le Cinque Terre, il Golfo, Montemarcello, la Versilia in quel tripudio di colori credo sarà indimenticabile.

 

I fari Italiani, gestiti dalla Marina Militare dal 1911, sono sempre stati al passo con ogni innovazione tecnologica sia nel campo della luce, sia nella ricerca e nell’utilizzo di fonti di energia sempre più sicure e performanti, sia, negli ultimi tempi, con l’impiego dell’informatica per garantire sempre un servizio di pubblica utilità, rivolto alla sicurezza della navigazione e strutturato e idoneo al variare delle esigenze e delle tecnologie disponibili.

Il faro del Tino ne è un esempio “lampante” in quanto in esso sono state testate nel tempo moltissime innovazioni tecnologiche. Fu il primo faro, nel 1840, ad essere alimentato da due generatori a corrente alternata a magneti permanenti azionati da due macchine a vapore, ma è stato anche il primo a testare, nel 2016, i nuovi led a lunga portata di ultimissima generazione.

I fari ad ottica fissa, ossia con luce intermittente, e quelli ad ottica rotante, dove la luce è sempre accesa, con la caratteristica data dalla rotazione delle lenti di Fresnell, sono stati alimentati, a partire dal 1800 con vapori di petrolio, con l’acetilene, per poi essere elettrificati o dotati di fonti di energia alternative nel dopoguerra.

Sono stati istallati bruciatori di vario genere a seconda del gas combustibile utilizzato, scambiatori acetilene/elettrici e scambiatori di lampade di vario tipo.

Anche le lampade hanno avuto un’evoluzione nel tempo diventando sempre più piccole ed affidabili.

Le strutture architettoniche dei fari si sono adeguate alle esigenze dei tempi diventando sempre più alte ed articolate, permettendo la vita in pianta stabile dei faristi e delle loro famiglie.

Solo le lenti di Fresnell sono rimaste immutate nel tempo, dall’Ottocento a oggi mantenendo al faro un tocco di antica signorilità e romanticismo.

Nel percorso didattico museale del Tino vedrete questa evoluzione e questa metamorfosi di luci e di tecnologia sia della componente tecnica che infrastrutturale.

Nelle varie sale del bastione Napoleonico potrete ammirare pezzi concessi dal Museo Tecnico Navale di La Spezia, dall’Ufficio Tecnico dei Fari, dal Comando Zona Fari di Spezia e da privati. Pezzi storici, componenti di un lontano e recente passato, che potevano funzionare (“DEVE FUNZIONARE” è il motto dei faristi) solo grazie alla preparazione del personale Farista (personale civile della Difesa), ma anche grazie all’abnegazione e allo spirito di sacrificio di una categoria di persone veramente eccezionali… le loro famiglie.

 

Il pittoresco Faro dell’Isola del Tino [foto di Elisabetta Cesari

 

ASSOCIAZIONE AMICI DEL TINO 

Riportiamo:

Il Tino, piccola isola dell'arcipelago di Portovenere nel golfo della Spezia, è un triangolo roccioso che raggiunge i 97 metri s.l.m. Isola di natura pressoché incontaminata, di storia e leggende, sito archeologico e zona sacra, perla di luce, con il suo faro, luogo di sperimentazione tecnica, il Tino è isola della Marina Militare e, dal 1997, Patrimonio dell'Umanità. Far conoscere e creare reti di cultura attorno a questo immenso patrimonio è l'obiettivo dell'Associazione Amici dell’isola del Tino odv. Tutti possono entrare a far parte di questa storia millenaria e contribuire a scriverne una nuova pagina.

Attracco di Fenici e Greci, l’isola del Tino fu abitata dai Romani, come testimoniano i ritrovamenti di cisterne, monete e navi onerarie al largo delle sue coste. 

Il Tino entra nel mito sul finire del VI secolo d.C., divenendo l'isola del Santo marinaio Venerio, che qui visse da eremita accendendo fuochi notturni per guidare i naviganti. 

In seguito, per quasi un millennio, fu abitata e coltivata dai monaci, divenendo meta di pellegrinaggi europei e preda di pirati ed eserciti. Infine, divenne bastione di difesa, cava di marmo Portoro e luogo militarizzato.

Da ben prima del 1839 risplende la luce del faro di San Venerio. Costruito dalla Regia Marina,  oggi gestito dal Comando MARIFARI La Spezia. 
Gli antichi fuochi notturni del Santo marinaio trovano così un'ideale continuazione per la cura della gente di mare, grazie ai tre lampi e all'eclissi, che il faro, generosa sentinella, ogni notte fa brillare nell'Alto Tirreno, portando la luce fino a 25 miglia marine. Presidiata da guardiani, palestra addestrativa del Comando Subacquei e Incursori Teseo Tesei, il Tino è l'isola più segreta della Liguria che  ora apre i suoi tesori al mondo.

IL FUTURO

Un ambiente naturale e antropico unico, sopra e sotto il mare, sentieri e terrazzamenti, fondali straordinari, fossili, rarità botaniche e faunistiche, archeologia e spiritualità, reperti risalenti dal II sec a. C., caverne, gallerie e installazioni militari, il faro e le sue sale storiche: il Tino è l'isola dei tesori da condividere, salvaguardare e custodire. 

 

l Tino è un’isola ricca di storia e di vegetazione. Arrivando dal mare la si nota per il verde della macchia mediterranea che la ricopre e per la sua forma singolare. I bagliori di luce che emana dopo il tramonto sono un altro suo tratto inconfondibile. 

Al Tino visse a lungo il monaco Venerio, originario della Palmaria, che qui si ritirò in eremitaggio fino alla morte. Primo farista della storia, a sua volta patrono dei faristi, è protettore di tutto il golfo dal 1960. La sua memoria è palpabile sull’isola come in tutta la zona. Esponente del monachesimo insulare fu legato ai monaci di San Colombano che in suo onore edificarono una cappella nei pressi del luogo della sua sepoltura. 

Sono numerosi i resti  archeologici presenti sull’isola e per questa ragione da pochi giorni la Sovrintendenza ha ricominciato a scavare per fare chiarezza sulla sua  storia più antica.

 

Cessate le incursioni saracene, sotto il controllo delle potenze di Genova e Pisa, la ritrovata pace nel golfo riportò i Benedettini prima e gli Olivetani poi a prendersi cura del Tino.

Più recentemente la vocazione militare ha prevalso su quella religiosa. Il faro fu edificato per volere di Re Carlo Alberto nel 1840. Le strutture militari vennero invece costruite a partire dai primi del ‘900.

Visitare l’isola del Tino con l’Associazione “Amici dell’Isola del Tino”

Le persone hanno chiesto anche: Come posso visitare l'isola del Tino?

AI Overview

L'Isola del Tino si può visitare solo due volte l'anno in occasione della Festa di San Venerio, il 13 settembre e la domenica successiva, data in cui l'isola viene aperta al pubblico per una speciale celebrazione legata al santo patrono del golfo. L'accesso è interdetto in altre occasioni perché l'isola è una zona militare di proprietà della Marina Militare.

Da qualche tempo però visitare l’isola del Tino con più frequenza  è diventata la missione di un’Associazione che si occupa di valorizzare, proteggere e tutelare al massimo questo angolo di paradiso ligure.

Si chiama “Amici dell’Isola del Tino”

l’organizzazione di volontariato che dall’autunno 2020 si occupa di promuovere, tutelare e preservare l’insieme dei valori storici, culturali ed ambientali che caratterizzano questo lembo di terra che emerge dai flutti.

 

Per questa sua attuale natura l’isola del Tino è di esclusivo  appannaggio della Marina Militare che presenzia il faro e tutto il suo perimetro ogni giorno dell’anno. L’accesso a cittadini e turisti è consentito solo il 13 settembre quando si celebra San Venerio.

Il faro del Tino

13 settembre 2019

L'Isola del Tino è un sito assegnato alla Marina Militare, proclamato patrimonio dell'UNESCO con la convenzione WHC97/CONF.208/17 in data 27.02.1998 e che fa parte del Parco Naturale Marino di Portovenere. Sull'isola si può visitare l'edificio del faro, con la sua lanterna, esempio di costruzione fortificata neoclassica su basamento medioevale, successivamente ampliato in epoca napoleonica. La struttura del faro, è oggi l’edificio principale dell'isola, risalente al periodo delle Repubbliche Marinare, ospita, oltre al segnalamento marittimo, una Sala Storica del Servizio Fari (che illustra l'evoluzione e una Sala Archeologica tecnologica dei fari) contenete i reperti degli scavi effettuati negli anni 50 e 80. Entrambe le sale sono state aperte di recente. Il faro posto su una torre cilindrica bianca su torrione è ad ottica rotante ed ha le seguenti caratteristiche:

Numero nell'Elenco Fari: 1708

Portata nominale: 25 Mn;

Altezza della torre: 24 m;

Altezza luce sul livello medio del mare: 117 m;

Caratteristica: 3 lampi -periodo 15 sec;

Colore della luce: bianco;

Anno di costruzione: 1840.

Dalle sue finestre poste ai piani intermedi si gode di una vista meravigliosa su l’isola della Palmaria, Punta Mesco, e il golfo di La Spezia, mentre salendo ancora per la scala a chiocciola in marmo si arriva alla stanza cilindrica dell’ottica rotante dove una vista a 360 gradi tra cielo e mare toglie il fiato. Il mare liscio e verde come le prime foglie dei fichi, aprie le porte dell’immaginazione. Da questo punto d’osservazione e facile fantasticare, velieri fantasma, vascelli pirata, mostri marini e magari all’orizzonte scorgere la nave di Papà Lucerna e chiedersi se veramente l’origine di quest’isola e la sua figlia sono da attribuire alla sua abilità e non del succedersi di eventi geologici.

 

UNO STUPENDO YouTube

Per vedere il filmato apri il seguente LINK  

https://discoverportovenere.com/it/isola-del-tino-san-venerio/

 fai scorre la pagina del sito: “Video Visita Isola Del Tino” verso l’alto fino ad incontrare l’immagine sotto, cliccala su “riproduci” in basso a sinistra

 

 

Chiudiamo con l’informazione più importante

L'Isola del Tino può essere visitata solo in due occasioni all'anno, in concomitanza con la Festa di San Venerio, il 13 settembre e la domenica successiva. L'isola è una zona militare e l'accesso è interdetto al pubblico, quindi è fondamentale verificare le date precise di apertura e organizzare la visita con largo anticipo, prenotando i posti disponibili sui traghetti speciali.

TINO - SAN VENERIO

 L’accesso all’Isola del Tino sarà possibile esclusivamente attraverso un servizio di battelli con partenza dalla Spezia e da Porto Venere alle 9 e imbarco dal Tino alle 13.30 e con partenza dalla Spezia e Porto Venere alle  13 e imbarco al ritorno alle 17.30. Le prenotazioni sono effettuabili solo ed esclusivamente dal portale messo a disposizione dal Cai della Spezia. I visitatori saranno accolti dal personale della Marina Militare, dai volontari del Club Alpino Italiano e dall’Associazione Amici dell’isola del Tino Odv che forniranno il necessario coordinamento per agevolarne la permanenza sull’isola. Di conseguenza non saranno consentiti approdi e accessi a imbarcazioni private e visitatori occasionali.

 L’Isola del Tino è di proprietà della Marina Militare ed è solitamente chiusa al pubblico. Ma ogni anno, in occasione della Festa di San Venerio del 13 settembre, è possibile visitare quest’isola che è patrimonio UNESCO insieme a Portovenere, le Cinque Terre e le isole Palmaria e Tinetto.

Festa di San Venerio 2025: come e quando visitare l’isola del Tino

Il 13, 14 e 15 settembre 2025 sarà possibile visitare l’Isola del Tino partendo da Portovenere e da La Spezia. Questo evento offre un’opportunità rara di esplorare questo angolo di natura incontaminata, scoprire i suoi panorami mozzafiato e godersi la bellezza del luogo!

Sono state organizzate corse giornaliere con prenotazione obbligatoria e per un numero limitato di partecipanti. 

Corse speciali per il Tino dalla Spezia

Orari – venerdì 12 settembre
1° turno, sabato mattina: partenze ore 09:00 con rientro obbligatorio alle ore 13:30 dall’Isola del Tino.

2° turno, sabato pomeriggio: partenza ore 13:00 con rientro obbligatorio alle ore 17:30 dall’Isola del Tino.

Orari – sabato 13 settembre
Turno unico, sabato pomeriggio: partenza ore 13:00 con rientro obbligatorio alle ore 17:30 dall’Isola del Tino.

Orari – domenica 14 settembre
1° turno, domenica mattina: partenza ore 09:00 con rientro obbligatorio alle ore 13:30 dall’Isola del Tino.

2° turno, domenica pomeriggio: partenza ore 13:00 con rientro obbligatorio alle ore 17:30 dall’Isola del Tino.

Corse speciali per il Tino da Portovenere

Orari – sabato 13 settembre
Turno unico, sabato pomeriggio: partenza ore 13:30 con rientro obbligatorio alle ore 17:45 dall’Isola del Tino.

Orari – domenica 14 settembre
1° turno, domenica mattina: partenza ore 09:30 con rientro obbligatorio alle ore 13:45 dall’Isola del Tino.

2° turno, domenica pomeriggio: partenza ore 13:30 con rientro obbligatorio alle ore 17:45 dall’Isola del Tino.

Per più informazioni e per acquistare i biglietti, visita www.navigazionegolfodeipoeti.it.

 

Ringraziamenti:

- Andrea Bonati  storico

- Mariella Lentini scrittrice

- Elisabetta Cesari fotografa

- Serena Borghesi giornalista

- ASSOCIAZIONE AMICI DEL TINO

Bibliografia

 

  • Ossian De Negri,Storia di Genova, Firenze, Giunti Martello, 1986

  • Braudel,Mediterraneo. Lo spazio e la storia, gli uomini e la tradizione, Milano, Bompiani, 1986.

  • Caselli,La Spezia e il suo Golfo – Notizie storiche e scientifiche, ristampa anastatica, La Spezia, Luna Editore, 1998

  • Faggioni,Fortificazioni in provincia della Spezia – 2000 anni di architettura militare, Milano, Ritter Ed., 2008

 

 

 Carlo GATTI

Rapallo, martedì 21 ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LA TERRIFICANTE COLLISIONE: EMPRESS OF IRELAND - STORSTAD

LA TERRIFICANTE COLLISIONE TRA LA NAVE PASSEGGERI EMPRESS OF IRELAND E LA NAVE CARBONIERA NORVEGESE STORSTAD

Avvenne il 29 maggio 1914 nelle prime ore del mattino, in un fitto banco di nebbia. La prua della Storstad colpì il fianco destro della Empress, causando il suo rapido affondamento nel fiume San Lorenzo in Quebec-Canada. La collisione provocò 1.012 vittime, su 1.477 persone a bordo, rendendolo uno dei peggiori disastri marittimi in tempo di pace del XX secolo. Resti umani si possono ancora trovare a bordo tutt'oggi.

Relitto della RMS Empress of Ireland, fiume San Lorenzo, Canada

Ecco come si presentava la prora della STORSTAD dopo la collisione

Il Comandante G.H. Kendall, il discusso Capitano che si salvò e fu preso a bordo dalla nave che lo aveva colpito.

Descrizione generale

Tipo

piroscafo

Proprietà

Canadian Pacific Steamship Company

Costruttori

Fairfield Shipbuilding and Engineering Company

Cantiere

GlasgowRegno Unito

Varo

27 gennaio 1906

Entrata in servizio

29 giugno 1906

Destino finale

Affondata il 29 maggio 1914 dopo collisione con la Storstad

Caratteristiche generali

Stazza lorda

14,191 Gross Register Tons (GRT) tsl

Lunghezza

174,1 m

Larghezza

20 m

Velocità

18 nodi (33,34 km/h)

Passeggeri

1.580

 

La RMS EMPRESS OF IRELAND 

Nave passeggeri inglese, affondò il 29 maggio 1914 alle 01.20 di notte nel golfo   del fiume San Lorenzo dopo la collisione con la nave da carico norvegese SS/STORSTAD. Nell'incidente morirono 1.012 persone, fra cui numerosi italiani.

Commissionata dalla CPL (Canadian Pacific Line) per la rotta transatlantica tra Québec (Canada) e Regno Unito fu varata il 26 gennaio 1906.

La nave era lunga 174 m, larga 20,1 m, con una Stazza Lorda di 14.191 tonnellate, essa poteva ospitare 1.580 tra passeggeri e personale di bordo.

Insieme alla sistership Empress of Britain era una nave passeggeri tra le più grandi e veloci sulla rotta settentrionale.

 

 L'affondamento

 L'RMS Empress of Ireland partiva dal porto di Québec City alle 16.30 (ora locale) del 28 maggio 1914 con 1.477 persone a bordo con destinazione Liverpool Inghilterra.

Intorno alle 01.00 del mattino il marinaio di vedetta segnalava la presenza di un'altra nave che procedeva (controbordo) in senso contrario sulla medesima rotta, era la nave da carico norvegese SS Storstad

Il comandante Henry Kendall dell'Empress of Ireland inviava segnali con la sirena alla Storstad per avvertire quest'ultima della propria presenza.

La SS Empress of Ireland affondò solo un paio d’anni dopo il TITANIC, In 14 minuti è passata da nave passeggeri di lusso a relitto.

 

 UN PRECEDENTE

 Dopo la tragica collisione del TITANIC in cui si evidenziarono parecchie carenze in fatto di sicurezza,

Sulla EMPRESS c’erano abbastanza scialuppe di salvataggio per far sopravvivere tutti, purtroppo l’equipaggio non ebbe abbastanza tempo per usarle perché la nave in pochi minuti imbarcò grandi quantitativi di acqua e sbandò sul fianco di dritta.

 

LA DINAMICA DELL’INCIDENTE NON  PUO’ CHE ESSERE QUESTA

 

La STORSTAD colpì e penetrò con la prua rinforzata nello scafo della EMPRESS OF IRELAND (le due navi procedevano con abbrivo sostenuto) squarciando e aprendo nello scivolamento i ponti inferiori, che hanno iniziato a riempirsi d'acqua a vagonate - oltre un quarto di milione di litri di acqua di mare al secondo è stato stimato.

La maggior parte dei passeggeri dormiva al momento della collisione e ha avuto poco tempo per reagire.

Meno di 10 minuti dopo, l'Empress of Ireland si è sbandata violentemente sul lato di dritta - il lato su cui è stata colpita - per un minuto o due, dando il tempo a circa 700 passeggeri di uscire attraverso i ponti e i boccaporti sul lato di sinistra. I passeggeri nelle parti inferiori del lato di dritta sono rimasti per lo più intrappolati.

Pochi minuti dopo la collisione, la Empress già paurosamente inclinata sulla dritta, rese le scialuppe di dritta inutilizzabili. Sono state calate in totale 7 scialuppe - 2 delle quali si sono capovolte.

C'erano anche delle porte progettate per chiudersi e rendere stagni i compartimenti della nave, ma di nuovo, non c'è stato abbastanza tempo per chiuderle. Ogni apertura della nave iniziò a imbarcare acqua, la falla enorme sul lato di dritta, i boccaporti, tutto!

Circa 5 minuti dopo l’impatto, le luci si spensero e l'Empress  s’inabissò nel buio.

I passeggeri del ponte superiore hanno avuto la “fortuna” di trovarsi più vicini alle scialuppe di salvataggio, e molti sono sopravvissuti.

I passeggeri dei ponti inferiori sono annegati quasi subito, ammesso che siano sopravvissuti al catastrofico impatto.

La tragedia marittima in cifre

- partenza: porto di Québec City: 28 maggio 1914;

- numero dei passeggeri del transatlantico: 1.477 persone

- collisione: dopo 9 ore e 42 minuti, alle 01:20 del 29 maggio 1914;

- inabissamento: avvenuto in appena 14 minuti;

- vittime: 1.012 persone muoiono subito annegate, fra cui 134 bambini;

- superstiti: sono 465 i sopravvissuti al naufragio, di cui soltanto 4 bambini su 138;

- tempo d'esposizione alle gelide acque fluviali: tra le 24 e le 48 ore prima di essere ripescati e tratti a riva.

Dei circa 20 naufraghi di nazionalità italiana, 19 erano umbro-marchigiani: 11 vittime di Sassoferrato (An) e 5 di Costacciaro  (Pg):

Sassoferrato: Luciano Bellucci (33); Sante Bellucci; Nazzareno Biondi (24); Francesco Dellamorte (34); Luigi Minardi (20); Lorenzo Piermattei, (19); Adele Vagni (10); Ameriga Vagni; Amerigo Vagni; Angelo Vagni (44); Luigi Vagni.

Costacciaro: Giovanni Bucciarelli (52); Davide Fabbri; Giuseppe Marini (33); Cesare Pompei (28); Aurelio Sagrafena (30).

Sopravvissuti tra Marche ed Umbria (due di Costacciaro, uno di Sassoferrato e due della provincia di Milano): Nazzareno Lupini, Paolo Morelli e Domenico Pierpaoli, nonché Egildo e Carolina Braga.

Solo 465 persone sono sopravvissute, mentre le altre sono annegate o sono morte di ipotermia durante i soccorsi:

Il 97% dei bambini a bordo è morto

L'86% delle donne a bordo è morto

Il 71% degli uomini a bordo è morto

Il 40% dell'equipaggio è morto

 

Nel corso di numerose ricerche mi sono imbattuto in un articolo ricco d’immagini, locandine e disegni. Non perdetevelo!

https://powerandmotoryacht.com/blogs/the-tragic-story-of-the-empress-of-ireland/

Consiglio di vedere anche:

Il canale YouTube Italia-1 ha pubblicato un documentario intitolato "Empress of Ireland: il naufragio dimenticato", che racconta la collisione tra l'RMS Empress of Ireland e il mercantile norvegese Storstad il 29 maggio 1914. 

https://www.youtube.com/watch?v=AlX2-JARmIM

Contenuto del video: Il documentario esplora le cause dell'incidente, mostra immagini subacquee dei relitti e ne ricostruisce la storia, mettendo in evidenza la tragica dimenticanza che segnò questo disastro marittimo.

Collegamento a YouTube: Per guardare il video, è possibile cercarlo direttamente su YouTube, o tramite il link fornito YouTube

Empress of Ireland: il naufragio dimenticato - YouTube

12 lug 2024 — Il tempo ha fatto riemergere il ricordo di quel tragico affondamento tra le correnti e le maree del fiume San Lorenzo.

La tragedia della Empress è stata nuovamente riportata all'attenzione pubblica grazie al lavoro dello storico canadese William D. Kennedy e del suo libro del 1970, "The «Empress of Ireland": A History of the Ship, her Passengers, and her «Destiny».

GRAZIE a questo libro, la riscoperta del naufragio della EMPRESS è avvenuta 56 anni dopo  contribuendo a riportare alla luce il terribile episodio.

 

 

CONCLUSIONE

 La causa di questo insensato ritardo nel riaprire le indagini, viene attribuito allo scoppio della Prima Guerra Mondiale che avvenne soltanto due mesi dopo la collisione e che avrebbe quindi oscurato gli esiti giudiziari del NAUFRAGIO.

Probabilmente la lunga attesa è dovuta anche alla profondità in cui si trova il relitto, il quale è raggiungibile soltanto con gli strumenti tecnologici fruibili nella nostra epoca e che sono in grado di superare le difficoltà dovute al notevole fondale, ma anche  gli  ostacoli che presenta il fiume S.Lorenzo: banchi di nebbia, maree, correnti e basse temperature dell’acqua.

Qualche volta invece, come nel caso della collisione tra ADREA DORIA e STOCKHOLM, le Assicurazioni delle due navi raggiunsero un accordo nel dividersi le responsabilità dell’accaduto decidendo per:

                                               THE SHOW MUST GO ON !

Data del naufragio della Empress of Ireland:

29 maggio 1914

Data dello scoppio della Prima Guerra mondiale:

28 luglio 1914

42 anni dopo, nel 1956, un’altra nave nordica, la STOCKHOLM colpì a morte la nostra Ammiraglia ANDREA DORIA.

Lo sconcerto da brividi che ci assale ....consiste nel constatare la somiglianza dinamica delle "accostate" effettuate dai rispettivi Comandi di bordo nelle due collisioni causate, a nostro modesto parere, dagli stessi “errori di manovra”.

 

 

Carlo GATTI

Venerdì 17 Ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


TURCHIA - IL BOSFORO TRA GEOGRAFIA E STORIA - LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI

 TURCHIA

IL BOSFORO TRA GEOGRAFIA E STORIA

LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI

 

Istanbul è una città europea o asiatica?

In Turchia si trova l'estremità più occidentale del continente asiatico. Ankara è la capitale della Turchia. Istanbul è la città più grande della Turchia e seconda d'Europa.

Il Bosforo (in turco Boğaziçi, İstanbul Boğazı o Boğaz; in greco Βόσπορος, Bósporos) è lo stretto che unisce il Mar Nero al Mare di Marmara e segna, assieme allo stretto dei Dardanelli, il confine meridionale tra il continente europeo e il continente asiatico.

Perché Istambul è divisa in due?

Istanbul è divisa in due dal Bosforo, lo stretto di 30 km che separa l'Europa dall'Asia e che collega il Mar Nero e il Mar di Marmara. Nella parte sud dello stretto, sulla sponda europea, si trova il Corno d'Oro, un braccio di mare lungo circa 7 km, che – dalla parte europea – divide ulteriormente in due la città.

 

LO STRETTO DEL BOSFORO

Lo Stretto del Bosforo, noto anche come stretto di Istanbul, è una meraviglia naturale che collega il Mar Nero con il Mar di Marmara.

Questo stretto non solo divide fisicamente le parti europea e asiatica della Turchia, ma unisce anche culture e tradizioni, estendendosi per circa 30 chilometri di lunghezza, con una larghezza che varia tra 700 metri e 3,5 chilometri. Il Bosforo è un testimone silenzioso ma potente della storia dell’umanità.

Importanza strategica

Lo Stretto del Bosforo è una delle rotte marittime più trafficate del mondo, un punto cruciale per il commercio internazionale e il traffico locale, collegando l’Europa e l’Asia e fungendo da ponte verso i mercati globali. 

Un protagonista della storia

Nei secoli, il Bosforo ha avuto un ruolo centrale nella storia geopolitica, specialmente per i maestosi imperi Bizantino e Ottomano. Sulle sue rive sorge Istanbul, l’antica Costantinopoli, una città che continua a essere il crocevia tra passato e futuro.

Unione tra due mondi

Oggi il Bosforo unisce le persone attraverso i suoi iconici ponti, come il Ponte del Bosforo, e le sue moderne gallerie sotterranee, come il tunnel Marmaray, che collega le parti europea e asiatica della città.

 Un tesoro culturale e turistico

Oltre alla sua importanza economica e strategica, il Bosforo è anche un luogo di straordinaria bellezza naturale e culturale. Le sue rive ospitano monumenti storici spettacolari, come palazzi, fortezze e moschee, ognuno con storie affascinanti da raccontare.

È incredibile pensare che un luogo così ricco di storia e significato continui a essere un ponte tra mondi diversi, unendo passato, presente e futuro.

 

ISTAMBUL

Istanbul, situata in Turchia, è una delle città più importanti del mondo per la sua storia, cultura e posizione geografica. È l'unica città che abbraccia due continenti, Europa e Asia, divisi dallo stretto del Bosforo. Fondata come Bisanzio, poi conosciuta come Costantinopoli, è stata la capitale di tre grandi imperi: romano, bizantino e ottomano.

Istanbul è famosa per la sua imponente architettura, tra cui la Basilica di Santa Sofia, la Moschea Blu e il Palazzo Topkapi, ex residenze dei sultani ottomani. La città è anche nota per la sua vibrante cultura e diversità, che si riflette nella sua cucina, nei bazar e nei monumenti storici.

Oggi Istanbul è il centro economico e culturale della Turchia e unisce l'antico al moderno. Le sue strade sono piene di mercati vivaci come il Grand Bazaar, ma anche di quartieri cosmopoliti e grattacieli moderni. È una destinazione turistica popolare per la sua miscela unica di culture, storia e modernità.

Il centro storico di Istanbul riflette le influenze culturali dei vari imperi che hanno governato la regione.

 

Istanbul è una città affascinante, sospesa tra due mondi. La sua unicità risiede nello stretto del Bosforo, un confine naturale che non solo divide la metropoli in due, ma segna anche la separazione tra Europa e Asia. Istanbul così, vanta una posizione geografica straordinaria: una città a cavallo di due continenti.

Le due aree della città sono collegate da tre ponti sul Bosforo, il passaggio naturale che collega il Mar di Marmara al Mar Nero.

Nella foto, ripresa dalla Stazione Spaziale Internazionale durante un sorvolo sul Mar Nero, sono visibili sul lato europeo le cave di marmo bianco (in alto a sinistra) utilizzato nella costruzione di molti edifici storici in tutta la città. L'area metropolitana è la regione grigia che si estende nella parte inferiore della foto.

Le tonalità rosa chiaro che si vedono nella parte centrale della foto sono dovute ai tetti di molti dei suoi edifici.

L'area urbana contrasta con le tonalità verde scuro delle colline boscose a nord.

 

IL CORNO D’ORO

 

 

Giovanni Andrea Vavassore circa 1535, particolare della mappa di Bisanzio/Costantinopoli.Galea turca e il Serraglio dove habita el Gran Turcho che al tempo era Solimano il Magnifico.

 

POSIZIONE E PROTEZIONE DEL CORNO D’ORO

 Il Corno d'Oro ha impersonato un ruolo essenziale nell'evoluzione di Istanbul come porto naturale e notevolmente sorvegliato, e spesso ha dovuto affrontare attacchi poiché non aveva maree. Quindi, l'Impero Bizantino stabilì il suo quartier generale nella sua lunga insenatura.

Per proteggere la città da letali attacchi navali, un paio di misure di sicurezza messe in atto per prima cosa sono la costruzione del muro lungo la costa. Mettere un'enorme catena di ferro da Costantinopoli al ponte di Galata è stata la seconda misura di sicurezza.

Finora, la catena è stata spezzata o disturbata solo in tre occasioni. La prima volta nel X secolo, la seconda nel 10 e la terza nel 1204.

Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, fu assistito a un massiccio movimento di ebrei, greci, armeni, mercanti italiani e altri non musulmani. Di conseguenza, il Corno d'Oro ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della città.

Durante il commercio, le navi scaricavano le merci al Corno d'Oro per secoli. Poi progressivamente le fabbriche e il settore industriale si risvegliano e purtroppo anche quella produzione industriale ha avuto un ruolo nell'inquinare l'acqua del Corno d'Oro. Oggi il problema dell'inquinamento è stato affrontato con lo sbarco delle navi nel Mar di Marmara.

IL CORNO D’ORO

Le antiche immagini pittoriche che seguono rappresentano il CORNO D’ORO è da sempre il porto principale e naturale della città di Istanbul, un estuario che ha fornito un riparo sicuro e strategico per le navi fin dai tempi dell'antica Bisanzio e fino agli imperi Bizantino e Ottomano. Ancora oggi, il Corno d'Oro è un'insenatura vitale che divide la parte europea di Istanbul e ospita attività portuali, tra cui traghetti e altre imbarcazioni.

 

 Il Ponte di Galata

Sullo sfondo emerge la Torre di Galata

Detta anche Torre dei Genovesi

Santa Sofia è visibile da ogni angolazione nelle foto sotto

 

 

Le Mura di Costantinopoli prima e dopo il 1453

LA TURCHIA OGGI – 85,33 milioni di abitanti

ISTAMBUL:

Il paese ha una estensione di 783.562 km², divisi tra Europa e Asia dallo Stretto del Bosforo, dal Mar di Marmara e dallo Stretto dei Dardanelli. Il territorio della Turchia è quindi vasto oltre due volte e mezza quello dell'Italia.

Nella città, che ospita il 18,34% della popolazione turca, vivono 7,80 milioni di uomini e 7,84 milioni di donne. La metropoli Istanbul, ha lasciato indietro 131 paesi, con la sua popolazione che tocca a 15 milioni 655mila 924 persone nel 2023.

Le città più grandi d'Europala classifica delle più popolose

Istanbul con 15.655.924 abitanti.

Mosca con 13.149.803 abitanti.

Londra con 8.866.180 abitanti.

San Pietroburgo con il 5.597.763 abitanti.

Berlino con 3.755.251 abitanti.

Madrid con 3.332.035 abitanti.

KIEV – 2.952.301 abitanti

Roma con 2.754.719 abitanti.

Baku – Azerbaigian con 2.3336.600 abitanti

Parigi con 2.087.577 abitanti

Per cosa è importante la Turchia?

La Turchia è anche un importante corridoio per gli approvvigionamenti energetici ed è collocata vicino a oltre il 70% delle riserve energetiche primarie del mondo, mentre il principale consumatore di energia, l'Europa, si trova a ovest della Turchia, il che rende il Paese un cardine nel transito energetico.

Perché la posizione di Istanbul è così importante?

 Questa posizione è così importante perché tutti i prodotti che vanno dall'Asia e dal Medio Oriente verso l'Europa devono passare attraverso la città di Istanbul, per non parlare del fatto che si trova sulla famosa via della seta mondiale che parte dalla Cina e finisce in Europa.

InfoMercatiEsteri

Perchè TURCHIA (Punti di forza)

Economia in crescita

La Turchia è la 17° economia al mondo con un PIL che nel 2023 ha superato i 1.000 miliardi di USD. La crescita economica recente mostra una tendenza positiva, con un'espansione del 4.5% del PIL nel 2023. (Fonte: Banca Mondiale)

Popolazione giovane e istruita

Il paese conta su una popolazione di 85 milioni di abitanti con un'età media di circa 33 anni. Secondo i dati pubblicati da ISPAT, circa 900.000 studenti provenienti da più di 200 università turche si laureano ogni anno.

Posizione strategica

Ponte naturale tra Europa ed Asia, il Paese dispone di sbocchi efficienti verso i mercati più importanti di queste aeree, con un accesso agevolato a circa 1,6 miliardi di clienti in Europa, Eurasia, Medio Oriente e Nord Africa. La Turchia è anche un importante corridoio per gli approvvigionamenti energetici ed è collocata vicino a oltre il 70% delle riserve energetiche primarie del mondo, mentre il principale consumatore di energia, l'Europa, si trova a ovest della Turchia, il che rende il Paese un cardine nel transito energetico e un terminale energetico nella regione.

Clima favorevole per gli investimenti

Numerosi benefici fiscali nelle Zone per lo Sviluppo Tecnologico, Zone Industriali e Zone Franche quali riduzioni sull'imposta societaria e sui contributi previdenziali e assegnazione di terreni. Numerosi incentivi per gli investimenti e possibilità di avvalersi dell'arbitrato internazionale per la risoluzione delle controversie.

Unione Doganale con l'Unione Europea dal 1996

Tra Turchia e Unione Europea è in vigore dal 1996 un'Unione Doganale che ha molto contribuito a rendere l'UE il primo partner commerciale del paese. Sono inoltre in vigore accordi di libero scambio (FTA) con 27 Paesi (Ministero dell'economia). Fonte ISPAT

Ultimo aggiornamento: 06/08/2024

L'esercito turco è molto forte e costituisce il secondo contingente NATO per numero di effettivi, dopo quello degli Stati Uniti. Le sue forze armate sono considerate tra le più addestrate e possiedono una forza complessiva di circa un milione di uomini, di cui oltre 500.000 effettivi attivi e centinaia di migliaia di riservisti.

 

Mustafa Kemal Atatürk

L'uomo della svolta

È l’eroe nazionale turco e il padre della Turchia moderna.

Salonicco, 19 maggio 1881 - Istambul, 10 novembre 1938

E’ stato un generale e politico turco, fondatore e primo presidente della Repubblica Turca (1923-1938). Dal 1916 fu chiamato Mustafa Kemal “Pasa”, dal 1934 Kemal "Atatürk".

 Mustafa Kemal Atatürk è considerato l'innovatore della Turchia in quanto fondatore della Repubblica Turca e artefice della sua modernizzazione radicale, che trasformò l'Impero Ottomano in uno stato laico, indipendente e moderno attraverso riforme politiche, sociali, culturali ed economiche. Tra le sue innovazioni più significative vi furono l'introduzione dell'alfabeto latino, la concessione dei diritti civili alle donne, l'adozione del calendario gregoriano e un forte impulso all'industrializzazione per svincolare il paese dalle potenze straniere. 

POLITICA E RELIGIONE

Il carattere secolare dello Stato è forse la caratteristica più conosciuta della Turchia repubblicana fondata da Kemal Atatürk. 

La laicità turca, elemento considerato come marcatamente “occidentale” del paese, viene quasi sempre lodata e difesa, in gran parte a ragione, rispetto alle visioni religiose della società e della politica. Questo non deve però farci dimenticare ciò che invece la differenzia, e talvolta la contrappone, rispetto alle nostre concezioni del rapporto tra Stato e religioni. La laicità è un’idea che giunse in Turchia dall’Europa occidentale nel corso del XIX secolo, tuttavia, una volta importata in una diversa realtà, essa subì un’evoluzione decisamente originale.

Il principio liberale della separazione tra politica e religione così come sviluppatosi in Europa occidentale e nell’America del nord a partire dalla Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688, si configura come l’esistenza di due sfere del tutto autonome di cui bisogna, per quanto possibile, impedire la reciproca interferenza.

L’approccio kemalista è totalmente diverso. Con l’abolizione del Califfato anche la principale autorità normativa in ambito religioso, lo Şeyh-ül İslam, cessò di esistere e venne sostituita da un ufficio statale, il Diyanet İşleri Başkanlığı (letteramente Presidenza degli affari religiosi, nel linguaggio comune viene spesso chiamato semplicemente Diyanet). Non si tratta qui di separare la sfera politica da quella religiosa, ma di porre la seconda sotto il controllo della prima, con il paradosso di un’autorità laica che controlla e regola quanto concerne la fede religiosa. La concezione liberale della laicità è quindi ribaltata.

 

UN PO’ DI STORIA.....

I PALEOLOGI

Il Palazzo Topkapı non era l’abitazione di Costantino XI; questo serraglio fu costruito dopo la caduta dell'Impero Bizantino e la morte di Costantino XI nel 1451, quando l'Impero Ottomano conquistò Costantinopoli nel 1453.

L'imperatore bizantino risiedeva nel Palazzo Imperiale Bizantino, che si trovava vicino all'Ippodromo (immagine sopra a sinistra in alto) e fu distrutto durante la conquista ottomana.

La famiglia dei Paleologi o Paleologhi fu l'ultima dinastia a governare l’Impero Romano d’Oriente.

Fondata dal generale Niceforo Paleologo nell’XI secolo, la famiglia raggiunse i più alti circoli aristocratici attraverso i rapporti matrimoniali con le dinastie dei Dukas, dei Comneni e degli Angeli.

Dopo la Quarta Crociata, i membri della famiglia fuggirono nel vicino Impero di Nicea, dove Michele VIII Paleologo  divenne co-imperatore nel 1259, riconquistò Costantinopoli  e fu incoronato unico Imperatore dell’Impero Romano d’Oriente nel 1261.  

I suoi discendenti governarono l'Impero fino alla Caduta di Costantinopoli per mano dei Turchi Ottomani il 29 maggio 1453 diventando la dinastia regnante più longeva nella storia bizantina. 

Sotto i Paleologi, mentre l'Impero s'avviava verso la rovina, l’arte romana orientale attraversò un periodo di rinnovamento, acquistando nuovo splendore prima d'estinguersi.

Grazie al matrimonio tra l'imperatore Andronico II Paleologo e Violante degli Aleramici, un loro figlio, Teodoro I, ereditò i diritti e i titoli feudali del Marchesato  in Italia. 

Questo ramo dei Paleologi regnò nel Monferrato dal 1305 al 1566, più a lungo di quanto il ramo imperiale regnò a Costantinopoli.

Dopo di loro, la successione e il governo nel Monferrato passò ai Gonzaga,  famiglia con la quale i Paleologi si erano imparentati tramite il matrimonio di Margherita Paleologa,  ultima marchesa della dinastia, con Federico II Gonzaga, già sovrano di Mantova.  

Paleologi non imperiali

Paleologi che furono imperatori di Costantinopoli

 

MAOMETTO II

MEHMET II

Quando morì improvvisamente il 3 maggio del 1481, a 51 anni d’età, era in viaggio per l’Asia, ma nemmeno i suoi visir sapevano esattamente quale fosse la sua meta.

Quel che aveva in mente di fare, lo teneva per sé e agli altri non restava che adeguarsi, senza aprire bocca.

Il sultano Maometto II, detto “il Conquistatore”, nel maggio del 1453 era riuscito nell’impresa di espugnare Costantinopoli, così cambiando la storia del mondo.

Nato ad Edirne, antica capitale ottomana, fin da ragazzo aveva sognato di realizzare l’impresa in cui suo padre Murad aveva fallito.

Per la Casa di Osman, Costantinopoli costituiva da sempre oggetto di desiderio.

Costruita sulla punta di una penisola triangolare, la città era delimitata a nord da un grande porto naturale detto “il Corno d’Oro”, a oriente dal Bosforo e a sud dal Mar di Marmara.

Costituiva di per sé una fortezza naturale unica al mondo, crocevia obbligato delle principali rotte terrestri e marittime fra l’Europa e l’Asia, il Danubio e l’Eufrate.

Inoltre, era circondata da una tripla cinta muraria lunga 7 chilometri eretta nel V secolo, protetta da fossati e intervallata da 192 torrioni, ritenuta inespugnabile.

La popolazione, che nel momento di massimo splendore superava il mezzo milione di persone, si era ridotta di dieci volte, ma per storia, monumenti e posizione geografica Costantinopoli agli Ottomani faceva ancora gola come capitale ideale di quel grande impero che si sentivano predestinati a fondare.

Appena diventato sultano, la prima preoccupazione di Maometto II fu proprio quella di concentrare subito tutte le sue energie sulla preparazione dell’assedio che nel maggio del 1453 l’avrebbe fatta capitolare Costantinopoli.

Il massacro che seguì, vide le strade trasformarsi in torrenti di sangue e la cattedrale di Santa Sofia riempirsi di cadaveri sopra i quali, secondo la leggenda, il Conquistatore sarebbe salito a cavallo per stampare in rosso su una colonna l’impronta della mano.

Da quel giorno tuttavia Maometto II si mise all’opera per ricostruire la “sua” capitale, anzitutto pensando a ripopolarla non solo col trasferimento forzoso di migliaia di turchi musulmani dalle sconfinate lande anatoliche, ma anche liberando migliaia di prigionieri cristiani a condizione che accettassero di risiedere in città, con promessa di libertà di culto e restituzione dei beni.

Il sultano era infatti spietato, se si trattava di affermare la sua sovranità assoluta, ma animato da vivo interesse per tutto ciò che rappresentasse cultura, arte, innovazione e diversità.

Oltre a favorire l’insediamento nei suoi domini di artigiani e commercianti provenienti da tutto il mondo, mostrò curiosità per la religione cristiana, al punto di partecipare di persona a funzioni religiose sia nella cattedrale ortodossa

che in una delle numerose chiese latine rimaste aperte in città, con l’unico divieto di suonare le campane.

Forse soltanto la morte improvvisa, quando già la sua flotta nel 1480 s’era assicurata una testa di ponte nella nostra Penisola espugnando Otranto, gli impedì di realizzare il sogno di conquistare, dopo Costantinopoli, anche Roma, la “Mela Rossa” che secondo la leggenda il Profeta in persona in sogno gli aveva promesso.

 

LA CONCRETIZZAZIONE DELLA MINACCIA OTTOMANA

Nonostante il trattato di pace fosse ancora in vigore, Maometto II fece erigere una nuova fortezza a pochi chilometri da Costantinopoli, collegandola a quella già costruita dal sultano Bayazet I. Attraverso queste fortezze, gli ottomani controllavano completamente il Bosforo, facilitando enormemente l'attacco a Costantinopoli.

Dopo la costruzione della fortezza, gli ottomani iniziarono il saccheggio sistematico delle zone limitrofe, culminato nel massacro del villaggio di Epibation. Costantino reagì ordinando l'arresto di tutti i turchi residenti in città, la chiusura delle porte di Costantinopoli e l'invio di due ambascerie per indurre il sultano a rispettare il trattato.

La risposta di Maometto II fu brutale: rifiuto secco, uccisione degli ambasciatori e duri attacchi alle città bizantine sul Mar Nero per isolare il Peloponneso affidato ai fratelli dell'Imperatore.

(Testo di Anselmo Pagani)

 

LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI

 

 

La freccia rossa (in alto a sinistra) indica il fiume Lycus e la direzione da cui partirono gli attacchi via terra dei turchi contro le mura colorate di verde. La distanza dalle Mura più esterne al Great Palace era di circa 4.500 metri.

 

Eroi Genovesi alla Caduta di Costantinopoli

 

Giovanni Giustiniani Longo

in una scena tratta dalla serie TV Netflix OTTOMAN.

L'8 giugno 1363, l’Imperatore bizantino Giovanni V Paleologo conferì i titoli di Re, Despota e Principe di Chio, ai seguenti nobili patrizi genovesi: Nicolò de Caneto de Lavagna, Giovanni Campi, Francesco Arangio, Nicolò di San Teodoro, Gabriele Adorno (doge di Genova 1363 al 1370. Paolo Banca, Tommaso Longo, Andriolo Campi, Raffaello de Forneto, Luchino Negro, Pietro Oliverio e Francesco Garibaldi e Pietro di San Teodoro. Con il conferimento di questi titoli, questi maonesi, avevano il dominio su: Chio, Samo, Enussa, Santa Panagia e Focea.

 

Il genovese

GIOVANNI GIUSTINIANI LONGO

fu a capo della difesa di  Costantinopoli  

Giovanni Giustiniani Longo è stato un genovese illustre. Corsaro, ammiraglio, indomito guerriero. Ha legato il suo nome all’eroica e purtroppo infausta difesa di Costantinopoli, assediata dal poderoso esercito ottomano guidato dal sultano Mehemet II. Gennaio 1453.

Appresa la notizia, Giustiniani Longo salpa alla volta di Costantinopoli alla testa di settecento fedelissimi soldati. L’imperatore Costantino XI Paleologo gli affida la difesa della città. Il 5 aprile Mehemet II manda un ultimatum a Costantino: se si arrenderà avrà salva la vita, con gli abitanti di Costantinopoli.

Costantino rifiuta.

Mehemet II ordina di concentrare i bombardamenti dei suoi poderosi cannoni nel punto più debole delle mura, presidiato dalle truppe di Giustiniani Longo. La battaglia infuria per settimane. Alla fine di maggio, gli attacchi dei turchi hanno ragione della disperata resistenza degli uomini del genovese.

Ferito il 29 aprile, il Generalissimo viene tratto in salvo dai suoi uomini e trasferito sull’isola di Chio (possedimento della famiglia Giustiniani) e lì spira il 1° giugno.

 Ammirato dal suo coraggio il sultano ordina che gli vengano riservate solenni onoranze funebri. “Giustiniani da solo valeva tutti i difensori di Costantinopoli”, furono le parole di Mehemet II.

 

 

I genovesi e la loro colonia di Chio inviarono materiale bellico e una schiera di guerrieri d'élite, guidati da Giovanni Giustiniani Longo appartenente a una delle più potenti famiglie di Genova. Ma la disparità di forze era spaventosa:

5.000 bizantini e poco più di 2.000 latini avrebbero dovuto difendere 22 chilometri di mura da un esercito di 100.000 turchi in grado di sfondare persino le MURA con un cannone potententissimo quanto sconosciuto all’epoca.

Quando venne a sapere dell'esistenza di quel Comandante genovese così coraggioso, provò a corromperlo, ma diede come risposta un no secco” adducendo come motivo che lui non era uomo da rimangiarsi la parola e aveva giurato fedeltà a Costantino XI.

E quando Mehmet II seppe della sua morte, lo stesso volle che i funerali fossero celebrati a Costantinopoli, dove il genovese fu ricordato dal sultano come un uomo speciale dalle molte qualità. Arrivò ad affermare che lui da solo valeva più di tutta la marina bizantina messa insieme.

 

LA PRESA DI COSTANTINOPOLI

 Con i suoi iconici personaggi

Due dettagliate carte del Bosforo che meritano di essere ingrandite

 

I Turchi partirono dalla rada di Gallipoli (Dardanelli) per conquistare Constantinopoli

Nel marzo 1453, a Gallipoli si radunò un'enorme flotta turca di circa 250 imbarcazioni che si attestò davanti alle mura marittime di Costantinopoli insieme a un'armata terrestre di 100.000 uomini, di cui 60.000 bashi-bazuk irregolari.

 

GALLIPOLI (turco Gelibolu) Cittadina della Turchia europea (20.266 ab. nel 2007), nella prov. di Çanakkale, sopra la costa meridionale della penisola omonima, in posizione strategica.

 

PIANI DI GUERRA 

TURCHI E BIZANTINI

 Si evidenziano tratteggiate le Mura di Costantinopoli

I Turchi attaccheranno le mura di terra più vulnerabili  (sulla sinistra della carta)

 

 

 

Sotto: Mappa di Costantinopoli con la disposizione delle forze bizantine di difesa (rosso) e le forze assedianti ottomane (verde)

 

 

IL POTENTISSIMO CANNONE “URBAN”

In questa famosa stampa francese la freccia rossa indica il grande cannone puntato contro le mura della fortezza triangolare di  Costantino XI

 

Il gigantesco cannone URBAN la cui devastante potenza non era ancora nota ai bizantini.

 

Maometto II aveva anche un'arma segreta: "La Bombarda", un cannone gigantesco che sparava proiettili di granito di 600 chili a una distanza di un chilometro e mezzo ogni 90 minuti.

Era stato costruito da Urbano di Transilvania, ex alleato di Costantino passato agli ottomani, che però morì nei primi giorni d'assedio per l'esplosione della sua stessa creazione.

Il 5 aprile 1453, Maometto II intimò a Costantino XI di arrendersi tramite un messaggero. Se lo avesse fatto, avrebbe avuto salva la vita e sarebbe diventato governatore di Costantinopoli, risparmiando anche la popolazione dal saccheggio.

La risposta di Costantino XI fu ferma:

«Darti la città non è volontà mia né di alcuno dei suoi abitanti; abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere e non risparmieremo la vita.»

I cannoni di minor calibro avevano il compito di correggere il tiro di “URBAN”.

 

L’AMMIRAGLIO GENOVESE

Giovanni GIUSTINIANI LONGO

Genova 1418- Chio 1453

Raffigurazione immaginaria

Stemma Giustiniani

Giovanni Giustiniani Longo, Podestà di Caffa, è stato un corsaro, ammiraglio e generale italiano della Repubblica di Genova che operò nel Levante.

 

DA GENOVA A COSTANTINOPOLI

Quando G. Giustiniani Longo, nella sua Genova, seppe dell'arruolamento di soldati pronti a combattere per difendere Costantinopoli, posta sotto la minaccia dell'esercito ottomano, decise di imbarcarsi alla volta dell'antica Bisanzio con un reparto "personale" di settecento soldati.

Non c’erano le radio a quei tempi e, visto il ritardo accumulato, nessuno ormai credeva che i soccorsi invocati e sperati potessero arrivare in tempo.

Il destino volle che a fine gennaio del 1453, le due navi “latine”, battenti bandiera genovese, comparissero all’orizzonte: era Giovanni Giustiniani con 700 armati, di cui 500 erano i temutissimi balestrieri genovesi.

Ad accoglierlo – però - si presentarono numerose imbarcazioni turche che aprirono il fuoco provocando incendi e danni a bordo dei genovesi.

Ma il Giustiniani fece subito capire il suo valore con una mossa tanto ardita quanto marinarescamente perfetta.

Il comandante genovese diede l’ordine di affiancare le due galee facendone un corpo unico con due murate anziché quattro da difendere.

I turchi caddero nel tranello!

Ai primi turchi che raggiungevano il capo di banda  della nave, venivano mozzate le mani e i loro corpi nella caduta trascinavano in mare gli altri assalitori.

 

LA TORRE DI GALATA

TORRE DEI GENOVESI

Quartiere genovese di PERA

(Al centro della carta sotto)

il suo nome originario era TORRE DI CRISTO. Venne costruita dai genovesi nel 1348 come parte delle fortificazioni del quartiere di Galata, tanto da essere anche chiamata informalmente "Torre dei Genovesi" per via dei suoi costruttori e della colonia genovese a cui apparteneva. 

 

La torre di Galata è una torre in pietra di epoca medievale  fu costruita dai genovesi  e situata nel distretto di Galata a Istambul. 

Descrizione

Misura 66,9 metri in altezza (62,59 escludendo l'ornamento in cima al tetto conico), con un diametro interno di 8,95 metri e mura spesse 3,75 metri. Si trova a circa 140 metri sopra il livello del mare. Quando venne edificata era l'edificio più alto della città.

Nel 2020, la torre è stata ristrutturata e riaperta come museo e punto panoramico.

Storia

Foto della Torre di Galata scattata da J. Pascal Sébah tra il 1875 e il 1895. 

 

La torre venne costruita nel 1348 da Rosso Doria, primo governatore genovese di Galata, che la battezzó Christea Turris (Torre di Cristo). In origine la torre faceva parte delle fortificazioni che circondavano la cittadella di Galata, colonia di Genova sul Bosforo. Durante l’Impero Ottomano la parte superiore della torre e il suo tetto conico vennero modificati in seguito a numerose ristrutturazioni.

A partire dal 1717 gli Ottomani iniziarono a utilizzare la torre come punto di osservazione per individuare gli incendi in città. Nel 1794, durante il regno del sultano Selim III,  il tetto di piombo e legno subì seri danni a causa di un incendio. Le fiamme colpirono di nuovo la torre nel 1794 e nel 1875 una violenta tempesta spazzò via il tetto, che fu ristrutturato solo tra il 1965 e il 1967 utilizzando pietra al posto del legno.

Blocco del Porto bizantino

La freccia BLU indica la posizione della Catena che impediva l’accesso in porto alle navi nemiche

 

Sorpresi dalla reazione dei genovesi, i turchi fermarono l’assalto per trovare un altro modo per fermarli. Ne approfittò il “Genovese” che, con una ardita manovra, riuscì a raggiungere la famosa catena del Corno d’Oro che era stata tempestivamente abbassata per favorire l’entrata in sicurezza delle due galee salvando gli equipaggio, il prezioso carico di armigeri, le munizioni e i viveri.

Lo sbarco a Costantinopoli avvenne tra l’entusiasmo della popolazione.

Vista la sua esperienza in assedi, il Giustiniani fu nominato protostator, ossia:

Comandante delle difese dall’Imperatore

e messo a guardia e a protezione delle mura della città.

 Costantino XI fece molto affidamento sul Comandante genovese, determinato a combattere per difendere la cristianità.

Con questo presupposto di FEDE, ma anche forte di un legame di amicizia con l'Imperatore bizantino, Giustiniani decise di porsi alla difesa della città, sebbene ormai conoscesse quanto disastrosa fosse la situazione: il rapporto tra bizantini e ottomani era di uno a undici.

Ma c’era un’altra incognita da risolvere: Costantinopoli aveva la cerchia di mura più sicura e impenetrabile d'Europa.

L’Avvincente storia di Giovanni Giustiniani Longo, uomo d’arme e di mare che, nonostante la giovane età, riuscì fino all’ultimo a tenere testa alle truppe del sultano, infondendo coraggio e speranza alle truppe greche grazie al suo forte carisma; solo una tragica eventualità, voluta dal destino, infranse i suoi piani.

Giovanni Giustiniani Longo fu sicuramente uno tra i più importanti personaggi apparsi come testimone sulle scene degli ultimi giorni dell’impero bizantino ed esponente di una delle più nobili famiglie della città (la famiglia Giustiniani infatti aveva possedimenti e traffici commerciali nel levante e in particolare nel mar Egeo), e svolgeva a tutti gli effetti il mestiere di corsaro “ante litteram”, cioè era comandante di una nave pirata, autorizzato dal proprio governo di attaccare navi nemiche.

In quegli anni, i turchi ottomani, forti degli ultimi successi contro le potenze balcaniche, avevano circondato la città di Costantinopoli, la capitale dell’impero bizantino: infatti la città, posta sul Bosforo tra Asia e Europa, da sempre considerata la “seconda Roma”, era ormai una città in decadenza, e il giovane sultano ottomano, Maometto II, la bramava più di qualsiasi altra cosa.

L’ultimo imperatore bizantino, Costantino XI, cosciente della drammaticità della situazione in cui versava la città, mandò richieste d’aiuto alle potenze europee; purtroppo, nessun aiuto giunse da Occidente, anche le “promesse” Galee del Papa non furono mai avvistate davanti al Corno d’Oro, soltanto Genova rispose all’appello disperato dell’ultimo Paleologo, l’ultimo difensore rimasto della Cristianità.

 

L’ULTIMA PROPOSTA DI RESA

 

Giovedì 5 aprile 1453 Maometto II inviò un ultimatum all'imperatore Costantino XI promettendo di salvare la vita a lui e ai suoi cittadini se si fosse arreso; promise anche che non vi sarebbero stati saccheggi.

 

L’inevitabile  battaglia di Costantinopoli

Costantinopoli e  le sue MURA

(tratteggiate nella carta sotto)

Questa preziosa cartina  spiega più di tante parole la posizione e l’estensione delle Mura costruite intorno al Palazzo imperiale (a destra in basso) e che risultano raddoppiate sul lato sinistro da dove partì l’assedio dei turchi.

Santa Sofia era molto vicina al PALAZZO DEL THEMA,(TOPKAPI) ultima residenza imperiale di Costantino XI vicino al centro della città, mentre l’imperatore si trovava a difendere le mura teodosiane all’esterno di questo quartiere.

 

Sotto - Rappresentazione del piano d’attacco di Memet II nel colore verde. La difesa di Costantino XI nel colore rosso.

 

Ma Costantino rifiutò e Maometto II, vedendo che non arrivava risposta, il giorno successivo iniziò il bombardamento contro le difese prospicienti il fiume LYCINO a NORD OVEST delle Mura reputato il punto più debole delle mura di Costantinopoli.

Costantino XI presidiava di persona quella zona insieme alle sue guardie imperiali e designò Giovanni Giustiniani Longo al ruolo di suo aiutante, affidandogli il punto più critico delle mura, dove il comandante genovese e i suoi settecento soldati combatterono con estremo coraggio.

 

L'ultima Messa

L’Ammirazione del Sultano

 Quando Maometto II venne a sapere dell'esistenza di quel generale genovese così coraggioso, provò a corromperlo, ma G. Giustiniani diede come risposta un no secco adducendo come motivo che lui non era uomo da rimangiarsi la parola e aveva giurato fedeltà a Costantino XI Paleologo.

L'assedio durò  un mese e mezzo. Sabato 26 maggio 1453, il sultano ordinò la sospensione dell'attacco per tre giorni al fine di preparare l'assalto finale. 
I bizantini, saputa la notizia, furono presi dalla disperazione e la sera del lunedì 28 maggio fecero celebrare dal cardinale Isidoro l'ultima messa a Santa Sofia. Alla celebrazione partecipò tutta la cittadinanza di Costantinopoli.

Giovanni - ricordano i suoi biografi - sedeva vicino a Costantino. Quando Isidoro finì il suo sermone, Costantino si alzò in piedi e si diresse lentamente verso l'altare per tenere un breve discorso.

Cercando di rincuorare il suo popolo, disse: "con l'aiuto di Dio e della Santa Vergine, Costantinopoli avrebbe potuto salvarsi dall'attacco ottomano"; proseguì ringraziando tutta la popolazione, il clero e infine i Latini che erano venuti ad aiutare Costantinopoli. Un particolare ringraziamento lo rivolse a Giovanni Longo Giustiniani, dicendo che non avrebbe mai pensato che un genovese si sarebbe battuto con tanto coraggio e lealtà verso Costantinopoli.

Costantino riuscì per un giorno a riunire le due chiese, cattolica e ortodossa, raccolte nella stessa chiesa e con la stessa disposizione d'animo.

 

L’EPILOGO

Dopo la messa, Giovanni Giustiniani Longo si diresse verso la porta di San Romano, quella che il giorno dopo avrebbe dovuto difendere, e siccome la porta stessa e le sue vicine mura erano piene di brecce, ordinò ai suoi uomini di ripararle.

Le mura furono riparate e rinforzate in breve tempo con l'ausilio di legna, cocci di mattoni, arbusti paglia e ogni cosa che potesse risultare utile alla bisogna. Fece anche costruire un fossato che corresse dietro le mura in modo tale da potersi trincerare insieme ai suoi uomini.

Il sultano, scoraggiato, sospese temporaneamente l'assedio in attesa di rinforzi. Arrivarono 60.000 uomini che si aggiunsero alle forze già schierate. Il bombardamento riprese e durò ininterrottamente per 48 giorni, provocando crolli continui in due punti diversi presso il fiume Lycino.

Il colpo di grazia arrivò quando i bizantini videro le navi ottomane nel Corno d'Oro: il sultano era riuscito a trasportare via terra decine di imbarcazioni, aggirando la catena che sbarrava l'ingresso del porto. Ora anche le mura marittime erano sotto attacco.

 

L'ULTIMA SPERANZA

Costantino capì che la fine era vicina. I viveri scarseggiavano e l'unica speranza erano le navi promesse da Venezia che ancora non erano giunte. Dal porto di Costantinopoli fu inviato un brigantino battente bandiera turca con un equipaggio di 12 volontari travestiti da ottomani per sollecitare i veneziani.

Il 23 maggio 1453, dopo 20 giorni, il brigantino fece ritorno. Il capitano chiese di parlare urgentemente con Costantino XI: aveva setacciato per tre settimane il mar Egeo senza trovare traccia della spedizione promessa dai veneziani.

Costantino, consapevole del triste destino che incombeva sul suo popolo, ringraziò i marinai uno a uno, con la voce soffocata dalle lacrime che contagiarono tutti i presenti in uno straziante pianto collettivo.

Tuttavia l'imperatore poteva ancora salvarsi. Moltissime corti europee lo avrebbero accolto con tutti gli onori. Ma Costantino aveva già deciso:

 «Il mio popolo ha scelto di non abbandonare la città e di difenderla fino alla morte, ed io, come rappresentante supremo della Seconda Roma, non posso esimermi dal fare altrettanto.»

 

L'ULTIMA NOTTE

Sabato 26 maggio, Maometto II riunì il consiglio di guerra e annunciò che il 28 maggio ci sarebbe stato un giorno di riposo e preghiera, e la mattina del 29 maggio tutto l'esercito ottomano avrebbe iniziato l'attacco finale.

Quando giunse il giorno di pausa, tutto tacque. Gli ottomani pregavano e riposavano mentre il sultano faceva un lungo giro di ispezione. La sera del 28 maggio, Costantino XI e Giustiniani Longo si misero a presidio della porta di San Romano.

In quell'ultimo lunedì della Costantinopoli romana, Costantino chiese ai suoi cittadini di dimenticare tutte le liti e i contrasti tra ortodossi e latini. Si svolse una lunghissima processione spontanea che attraversò ogni angolo della città, con i fedeli che si ricongiungevano tutti insieme, per l'ultima volta, a Santa Sofia.

Lì li attendeva il loro imperatore che pronunciò le sue ultime parole pubbliche:

«So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo. Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra. Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia e il Basileus. Ora, per vostra stessa scelta, voi dovete essere pronti a sacrificare la vostra vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrificio della mia stessa vita.»

 Costantino abbracciò tutti i presenti, continuando: «Vi chiedo scusa per ogni eventuale sgarbo che io ho compiuto verso di voi senza volerlo.»

Poi si inginocchiò, chiese perdono per i propri peccati e ricevette l'eucaristia.

Quella fu l'ultima liturgia cristiana nella Cattedrale di Santa Sofia, e probabilmente la più commovente di tutta la storia.

Alle prime ore di martedì 29 maggio 1453 ci fu l'ultimo attacco ottomano: la battaglia durò circa sei ore; Giovanni e suoi pochi soldati superstiti erano alla difesa della porta di San Romano; i soldati ottomani non riuscivano a penetrare, continuamente respinti. Giovanni e i suoi uomini difesero Costantinopoli con ferocia e coraggio.

La battaglia intanto proseguiva, con la strenua difesa dei soldati di Giustiniani Longo, ai quali si erano aggiunti tutti i latini ormai fedeli a lui. Ma quando i giannizzeri - reparto d'élite degli ottomani - arrivarono, Giovanni fu colpito almeno 2 volte e infine gravemente (ferito mortalmente al petto, morì dopo soli 3 giorni).

Secondo i resoconti, i suoi uomini superstiti abbandonarono le posizioni caricando il ferito su una barella per trasportarlo al luogo in cui erano attraccate le navi. La popolazione e gli altri soldati, vedendo passare quella sorta di corteo, che portava via l'ultimo baluardo e l'eroe della battaglia, si addolorarono rassegnandosi alla sconfitta.

 

Costantino, vedendo che ormai non vi era più nulla da fare, si tolse le insegne imperiali e con le sue poche guardie sopravvissute secondo una leggenda si buttò nella mischia scomparendo per sempre: nessuno di quegli uomini avrebbe avuta salva la vita.

Giovanni e suoi uomini riuscirono a imbarcarsi sulla loro nave genovese e si diressero verso Chio; la nave arrivò a destinazione nei primi giorni di giugno, ma il condottiero genovese morì appena giunto per le ferite riportate nella difesa di Costantinopoli.

Il suo funerale si svolse a Costantinopoli a opera del condottiero turco vittorioso, Maometto II che, venuto a sapere della sua morte, organizzò un rito a suo nome e apostrofò con parole di stima il suo avversario: disse che quell'uomo da solo valeva più di tutti i difensori di Costantinopoli messi assieme, celebrandolo con una messa cristiana.

L'ammiraglio genovese 

Giovanni Giustiniani Longo è considerato un eroe della difesa di Costantinopoli nel 1453, dove divenne una figura chiave nell'organizzazione della resistenza contro l'assalto ottomano di Maometto II.

Nonostante l'esito della battaglia con la caduta della città, Giustiniani guidò le difese in modo valoroso, pianificando la riparazione delle mura e respingendo le gallerie scavate dai Turchi. Morì per le ferite riportate durante l'assedio

 E quando seppe della sua morte, lo stesso Maometto II volle che i funerali fossero celebrati a Costantinopoli, dove il genovese fu ricordato dal sultano come un uomo speciale dalle molte qualità. Arrivò ad affermare che lui da solo valeva più di tutta la marina bizantina messa insieme.

Il contingente genovese riuscì a contenere gli attacchi nemici; lo stesso Giovanni combatté valorosamente ispirando coraggio sia nei greci che nei latini, incutendo allo stesso tempo timore e rispetto nei suoi nemici, al punto tale che il sultano rimase abbagliato dalla sua forza e dal suo coraggio.

Così una nenia popolare greca ricorda la data fatidica in cui, dopo circa cinquanta giorni d'assedio, il sultano Mehmet II decise di sferrare l'attacco finale che avrebbe determinato la vittoria e la conseguente conquista della “seconda Roma” oppure la ritirata definitiva degli assedianti.

"Piangete, Cristiani, e lacrimate su questa grande distruzione. Martedì ventinovesimo giorno del mese di maggio dell'anno 1453 il figlio di Agar si impadronì della città di Costantinopoli".

 

L'Eredità Immortale

 La "Seconda Roma" però non morì davvero quel giorno.

I costantinopolitani che migrarono in Occidente diedero un contributo fondamentale al Rinascimento con la riscoperta dei grandi studi classici.

Inoltre, la nipote dell'ultimo imperatore romano, Sofia Paleologa, sposò Ivan III di Russia.

Grazie a questo matrimonio e ai già solidi legami iniziati con l'imperatore Basilio II e Vladimir I di Kiev, Mosca poté assurgere al rango di "Terza Roma" e la religione cristiana continuò a vivere non da naufraga, ma come conquistatrice di nuove rotte di terra e di mare.

Costantino XI Paleologo era riuscito nell'impresa più difficile: morire da Imperatore romano, lasciando un esempio immortale di coraggio e dedizione che avrebbe attraversato i secoli, dimostrando che a volte la sconfitta può essere più gloriosa della vittoria stessa.

Il successore Ivan IV si proclamò "Zar", ovvero "Cesare", rivendicando con orgoglio il sangue romano che scorreva nelle sue vene.

Da quel momento molti sovrani si proclamarono successori dei Cesari, compreso lo stesso sultano dell'Impero Ottomano.

L'ultimo imperatore di Bisanzio era morto, ma l'idea di Roma, con il suo mito e la sua grandezza, continuava a vivere e a ispirare i popoli d'Europa e d'Oriente.

 

 

FINE

 

 

Riferimenti:

 - Wikipedia

- ALDO CAZZULLO: Una giornata particolare - Costantinopoli: la caduta dell'Impero - 27/11/2024

https://www.youtube.com/watch?v=7oUOtfE2vqo

- GIOVANNI GIUSTINIANI LONGO

http://www.giustiniani.info/giovannigiustiniani.html

- MURA DI TEODOSIO A. COSTANTINOPOLI

 https://www.danielemancini-archeologia.it/le-mura-di-teodosio-a-costantinopoli-in-3d/

 

 Carlo GATTI

Rapallo, 16 Ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


"PIPPO" PARTIVA DALLA USS CORSICA

“PIPPO” PARTIVA DALLA USS CORSICA

Era il famoso bombardiere medio americano

North American B-25 Mitchell

Ne furono costruiti 10.596 esemplari in 31 versioni

 

La storia del B-25 Mitchell ha inizio nel marzo 1939, quando l’US Army Air Corps emise specifiche per un bombardiere medio capace di trasportare un carico di 1.100 kg per 1.900 km alla velocità di 480 km/h.

A U.S. Army Air Force North American B-25C Mitchell bomber (s/n 41-12823) in volo vicino  Inglewood, California (USA)

 

Il bombardiere medio B-25 Mitchell è un bimotore monoplano ad ala media, carrello retrattile di tipo triciclo anteriore, propulso da due motori raffreddati ad aria.

 Alle 7,48 del mattino di domenica 7 dicembre 1941, due ondate da 358 aerei nipponici decollati da sei portaerei, si riversano sulla baia di Pearl Harbor, obiettivo la Flotta navale degli Stati Uniti. Il tutto avviene a tradimento, senza dichiarazione di guerra giapponese, il ché provoca sgomento e accuse d’infamia e segnerà l’ingresso nella Seconda guerra mondiale degli Stati Uniti. 

 Ammiraglio Giapponese Isoroku Yamamato con riferimento all’attacco di Pearl Harbour disse:

 "Temo che tutto ciò che abbiamo fatto sia stato svegliare un gigante addormentato e riempirlo di una terribile determinazione"!

La Storia ci racconta che ...

 Il 18 aprile 1942 sedici bombardieri B-25 Mitchell furono protagonisti di un’impresa storica/eroica: decollati dalla portaerei americana HORNET  riuscirono a bombardare Tokyo per poi atterrare in territorio cinese.

Ne riparleremo a breve...

Il North American B-25 Mitchell rappresenta uno dei bombardieri medi più significativi della Seconda guerra mondiale; un aereo che grazie alla sua versatilità e robustezza riuscì a operare efficacemente in ogni teatro del conflitto.

Introdotto nel 1941 e battezzato in onore del generale di brigata William “Billy” Mitchell, pioniere dell’aviazione militare statunitense, il B-25 fu uno dei velivoli alleati più longevi, rimanendo in servizio anche dopo la fine della guerra, per un totale di quattro decenni di impiego operativo.

La produzione di questo aereo fu impressionante: circa 10.000 esemplari costruiti in numerose varianti, che ne fecero il bombardiere medio americano più prodotto e il terzo bombardiere americano in assoluto per numero di esemplari.

La United States Air Force (abbreviazioni comunemente utilizzate: U.S. Air ForceUS Air ForceAir ForceUSAF) è l’Aeronautica Militare degli Stati Uniti d’America, parte integrante delle Forze Armate USA. Rappresenta la branca dell'amministrazione militare statunitense.

L'USAF è uno degli otto "servizi in uniforme" ed è nata come Foza Armata Separata e Indipendente dall’Esercito il 18 settembre 1947. Attualmente rappresenta la più grande forza aerea del mondo con oltre 9.000 velivoli  in servizio, basi sparse su tutto il globo e circa 329.100 uomini e donne in servizio attivo.

 

USS CORSICA AIRFIELD COMPLEX

Un capitolo di storia poco conosciuto!

 YouTube (in italiano)

https://www.youtube.com/watch?v=NwPSWTyN0kQ

 

USS (United States Ship), sono le iniziali che precedono i nomi di tutte le navi da guerra della marina americana.

Non c’è mai stata una nave della marina statunitense  con il nome Corsica. Quindi, da dove viene il nome USS Corsica?

Come gran parte dell’Europa e tutta la Francia, la Corsica fu occupata durante la Seconda guerra mondiale, ma il 16 settembre 1943 divenne la prima parte della Francia metropolitana a essere liberata. Circa 12.000 partigiani locali, conosciuti come Maquis, scacciarono le forze tedesche e italiane d’occupazione.

Dopo la liberazione, l’isola divenne una base fondamentale per le operazioni dell’aeronautica statunitense. Furono rapidamente costruiti quindici campi d’aviazione, trasformando la Corsica in una sorta di “portaerei terrestre”: da qui, USS CORSICA.

Le piste furono costruite e rese operative in brevissimo tempo da brigate di ingegneria specializzate, create appositamente per questo compito. Molte di queste unità, composte da circa 800 uomini ciascuna, erano formate esclusivamente da afroamericani — a testimonianza della segregazione allora vigente negli Stati Uniti.

La 812ª brigata “nera” arrivò in Corsica dall’Africa alla fine del 1943 e si mise subito al lavoro per costruire gli aeroporti, destinati principalmente ai bombardieri B25 e B26. Tra coloro che prestarono servizio nel 340° gruppo bombardieri vi era un certo Joseph Heller, che sarebbe poi diventato l’autore del romanzo Comma 22 (Catch-22), scritto negli anni ’50 e ispirato proprio alla sua esperienza in Corsica.

 

B-25J sulla Base aerea di SOLENZARA nel 1944

Qualche anno fa, il Tour de France attraversò varie di queste storiche basi aeree — Figari, Bastia, Ajaccio e Calvi — oggi tutti aeroporti civili, senza dimenticare Solenzara, sulla costa orientale, che rimane un aeroporto militare attivo.

“Oggi restano poche tracce del ruolo svolto dalla Corsica durante la Seconda guerra mondiale; tuttavia, se volete visitare un reperto unico di quell’epoca, perché non fare un’immersione nei pressi di Calvi per vedere il relitto di un bombardiere B17 Flying Fortress, adagiato sul fondo del mare dal 1944?”

 

LE BASI AMERICANE IN CORSICA

https://www.corse-images-sous-marines.com/copie-de-les-dossiers-les-epaves-sous-marines-corses

In questa cartina sono riportati 10 aeroporti soltanto nella parte orientale dell’Isola da cui partivano i B-25 Mitchell per bombardare ponti, ferrovie e strutture militari italiane in mano ai tedeschi.

Nel golfo del Tigullio, un aereo della USS CORSICA, era conosciuto e temuto col nomignolo: PIPPO (Pippetto), il quale aveva la missione di affondare le motozattere tedesche (ex italiane), che ogni sera partivano dal porto LANGANO di RAPALLO caricate alla marca di armi e viveri destinati al fronte della Garfagnana dove i tedeschi avevano il compito di fermare l’avanzata verso Nord degli Americani sbarcati in Sicilia e ad Anzio.

 

 ALTO - Aeroporto

https://www.forgottenairfields.com/airfield-alto-1279.html

 

Monuments and Memorials 

489 th squadrone Bombardieri Corsica

https://alcpress.org/kaiser/489thbs/memorials/index.html

 

 Dalla Corsica a Framura e a Punta Bianca. Il viaggio senza ritorno di quindici giovani

https://www.cittadellaspezia.com/2022/04/03/dalla-corsica-a-framura-e-a-punta-bianca-il-viaggio-senza-ritorno-di-quindici-giovani-438161/

 

 

Les aérodromes de l'USS Corsica Parmi les 17 aérodromes établis, certains étaient préexistants, tandis que d'autres ont été construits par les Américains :

Aérodromes préexistants :

o Ajaccio Campo dell'Oro
o Borgo (Bastia)
o Corte
o Casabianda
o Calvi
o Ghisonaccia-Gare

Aérodromes construits par les Américains :

o Bevinco
o Poretta (Bastia)
o Serragia
o Alto
o Alesani
o Aghione
o Solenzara
o Calvi Sainte Catherine
o Calenzana
o Fiume Secco

Ces aérodromes ont servi de bases pour des missions de bombardement, de reconnaissance et de soutien aux opérations alliées, notamment le débarquement de Provence en août 1944

Unités aériennes et opérations

Plusieurs unités aériennes alliées ont opéré depuis la Corse, dont le 57th Fighter Group de l'US Army Air Forces, composé des escadrons :
• 64th Fighter Squadron "Black Scorpions"
• 65th Fighter Squadron "Fighting Cocks"
• 66th Fighter Squadron "Exterminators"

 

Korsika Bomber Group

https://www.dansetzer.us/planes_index.htm

 

North American B-25 Mitchell

 

Un B-25 Mitchell con insegne USAAF durante una esibizione aerea.

Due B-25 Mitchell ancora in condizione di volo in un recente airshow.

 

L’incursione Doolittle su Tokyo

 Pista cortissima... Decollo al limite!

Un B-25 decolla dal Ponte di Volo della portaerei USS HORNET  per attaccare Tokio nel raid organizzato da Jmmy Doolittle 

 

Il B-25 acquisì fama come bombardiere utilizzato nella celebre incursione Doolittle” del 18 aprile 1942, quando 15 B-25B guidati dal tenente colonnello Jimmy Doolittle attaccarono il Giappone continentale, quattro mesi dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor (un sedicesimo aereo che partecipò fu costretto ad abortire, atterrando in Russia, dove fu inizialmente internato insieme al suo equipaggio).

La missione diede un necessario ristoro al morale degli americani e allarmò i giapponesi, che avevano creduto che le loro isole fossero inviolabili dalle forze nemiche. Sebbene i danni effettivi fossero relativamente lievi, costrinse i giapponesi a dirottare truppe per la difesa interna per il resto della guerra.

IL DECOLLO AL LIMITE....

 “Mentre la Hornet virò preparandosi a lanciare i bombardieri che erano stati preparati per il decollo il giorno precedente un vento di più di 40 nodi agitava il mare sollevando onde alte 10 metri, che facevano inclinare la nave e superavano la prua bagnando il ponte di volo e infradiciando le squadre di volo.

 L'aereo leader, comandato dal tenente colonnello Doolittle aveva disponibili per il decollo solo 142 metri di ponte di volo, con l'ultimo dei B-25 che sporgeva di coda fuori dal ponte.

 Il primo dei bombardieri sincronizzandosi con l'alzarsi e l'abbassarsi della prua si lanciò pesantemente lungo il ponte di volo, fece un giro intorno alla Hornet dopo il decollo e quindi fece rotta per il Giappone. Entro le 09:20 tutti e 16 i bombardieri erano in volo per la prima incursione aerea contro il cuore del Giappone.”

I raiders decollarono dalla portaerei USS HORNET (CV-8) e bombardarono Tokyo e altre quattro città giapponesi.

Quindici dei bombardieri successivamente si schiantarono durante il volo verso i campi di recupero nella Cina orientale.

Le perdite furono dovute all’avvistamento della task force da parte di una nave giapponese, che costrinse i bombardieri a decollare con 270 km di anticipo, all’esaurimento del carburante, alle condizioni di tempesta notturna con visibilità zero e al mancato azionamento degli ausili elettronici di guida alle basi di recupero.

Come detto solo un bombardiere B-25 atterrò intatto, a Vladivostok, dove il suo equipaggio di cinque uomini fu internato e l’aereo confiscato. Degli 80 membri dell’equipaggio, 69 sopravvissero alla loro storica missione e alla fine riuscirono a tornare alle linee americane.

 

LA GUERRA E' FINITA: dalla Pista al Museo

B-25J fotografato in un museo dell’Oregon

 

North American B-25 Mitchell

In cifre ...

In onore del generale Billy Mitchell pioniere e forte sostenitore del concetto di difesa aerea nel 1920 e su suggerimento di Lee Atwood, l'USAAC assegnò ufficialmente al velivolo il nome "Mitchell". 

DESCRIZIONE

Tipo

Bombardiere medio

Equipaggio

6

Costruttore

 North American

Data primo volo

gennaio 1939

Utilizzatore principale

 USAAF

Esemplari

10.596 in 31 versioni

Sviluppato dal

North American XB-21

Altre varianti

North American XB-28 Dragon

Dimensioni e pesi

Lunghezza

16,13 m (52 ft 11 in)

Apertura alare

20,60 m (67 ft 7 in)

Altezza

4,98 m (16 ft 4 in)

Superficie alare

56,67  (610 ft²)

Peso a vuoto

8 855 kg (19 480 lb)

Peso max al decollo

15 876 kg (35 000 lb)

Propulsione

Motore

Wright R-2600-92 Twin Cyclone
radiali 14 cilindridoppia stella raffreddati ad aria

Potenza

1 700 hp (1 267 kW) ciascuno

Prestazioni

Velocità max

438 km/h (272 mph, 237 kt) a 3 960 m (13 000 ft)

Velocità di crociera

370 km/h (230 mph, 200 kt)

Autonomia

2 173 km (1 350 mi, 1 174 nmi)

Tangenza

7 378 m (24 200 ft)

Armamento

Mitragliatrici

2-3 Browning M2calibro .50 in (12,7 mm)

Cannoni

un T13E1 calibro 75 mm (2.95 in)

Bombe

fino a 1 360 kg (3 000 lb)

Razzi

rastrelliere per 8 HVAR da 127 mm (5 in)

i dati sono estratti da United States Military Aircraft

Progettato per essere un aereo da attacco al suolo ma rivalutato come bombardiere medio, il B-25 fu famoso per il Doolittle Raid sul Giappone e per la sua versatilità, dimostrata anche in Missioni Antinave e pattugliamento. 

 

Sviluppo e Caratteristiche

 Versatilità 

Inizialmente pensato per l'esportazione, il suo impiego si estese a diverse funzioni, tra cui pattugliamento costiero antinave e missioni di bombardamento.

Ruolo nella guerra 

Fu impiegato su tutti i fronti, dimostrando notevole affidabilità e divenendo uno dei migliori bombardieri medi della Seconda Guerra Mondiale. 

L'avvio alla produzione

La produzione del B-25 iniziò nel 1939. La base per la prima versione del B-25 era un modello migliorato del NA-62. A causa del grandissimo bisogno di bombardieri medi, non furono costruite versioni sperimentali e tutte le modifiche che si rendevano necessarie venivano fatte direttamente in fase di produzione o, per i modelli già esistenti, in appositi centri. 

Il primo gruppo operativo a bordo del B-25 fu il 17th Bomb Group che lo ricevette nella versione A nel 1941. 

Fu da questo reparto che vennero scelti i 16 aerei che portarono a termine l’incursione aerea su Tokyo il 18 aprile 1942.

Impiego operativo

 Dopo un certo numero di modifiche, tra cui motori migliori, migliore visibilità per il navigatore, maggior armamento nel muso ed equipaggiamenti antighiaccio, il B-25C fu consegnato all'esercito: fu la prima produzione di massa per questo velivolo. Furono inoltre introdotte anche le torrette servocomandate dorsali e ventrali per migliorare la difesa dei settori più vulnerabili, l'autopilota e rastrelliere subalari: era anche possibile trasportare un siluro. 

Il Mitchell era un aereo sicuro e facile da pilotare: con un motore fuori uso, era possibile virare di 60º in quella direzione ed era facile mantenere il controllo sotto i 230 km/h.

Inoltre il carrello d’atterraggio triciclo permetteva un'eccellente visibilità durante la fase di rullaggio. Era un aereo incredibilmente robusto:

un B-25C del 321st Bomb Group fu soprannominato "Patches" perché l'equipaggio aveva dipinto tutti i buchi provocati dalla contraerea con zinco cromato; alla fine della guerra l'aereo aveva completato 300 missioni, era atterrato senza carrello sei volte ed ebbe circa 400 fori nella fusoliera.

Il più grande difetto del B-25 era l'elevata rumorosità, tanto che parecchi dei piloti con molte ore di volo subirono danni all'apparato uditivo.

Il Mitchell operò su tutti i fronti del conflitto: da quello del Pacifico, in cui si rivelò un'arma fondamentale, a quello Europeo, dove, a partire dallo sbarco anglo-americano in Algeria, Marocco, CORSICA sganciò complessivamente circa 84.980 tonnellate di bombe e abbatté 193 aerei nemici, compiendo circa 63.177 missioni.

 

Servizio e Azioni Notevoli

 Doolittle Raid: Fu una delle sue azioni più celebri. il primo attacco americano sul Giappone, che vide l'impiego di B-25.

Impiego Alleato

Oltre all'USAAF, il B-25 fu utilizzato da diverse forze aeree alleate, tra cui la Royal Air Force (RAF), l'Unione Sovietica e l'Australia.

Esempi di impiego operativo

La sua versatilità è testimoniata dal suo impiego in Europa, nel Pacifico e in altre aree operative, come l'Australia e la Cina. 

 Dopo la Guerra

Lunga carriera: 

Molti B-25 rimasero in servizio per decenni dopo la fine della guerra, dimostrando la loro longevità.

Reparti che impiegarono il B-25

  • 310th Bomb Group (Mediterraneo)

  • 321st Bomb Group (Mediterraneo)

  • 340th Bomb Group (Mediterraneo)

Medio Oriente e Italia

I primi B-25 arrivarono in Egitto e stavano conducendo operazioni indipendenti entro ottobre 1942. Le operazioni contro gli aeroporti dell’Asse e le colonne di veicoli motorizzati supportarono le azioni di terra della Seconda Battaglia di El Alamein. Successivamente, l’aereo partecipò al resto della campagna in Nord Africa, all’invasione della Sicilia e all’avanzata su per l’Italia.

Nello Stretto di Messina fino al Mar Egeo, il B-25 condusse pattugliamenti marittimi come parte delle forze aeree costiere. In Italia, il B-25 fu utilizzato nel ruolo di attacco al suolo, concentrandosi su attacchi contro collegamenti stradali e ferroviari in Italia, Austria e nei Balcani.

Il B-25 aveva un raggio d’azione più lungo rispetto ai bombardieri: Douglas/A-20-Havoc e Douglad/A-26 Invader   permettendogli di raggiungere più in profondità l’Europa occupata. I cinque gruppi di bombardamento – 20 squadroni – della Nona e Dodicesima Forza Aerea che utilizzarono il B-25 nel Teatro di Operazioni del Mediterraneo furono le uniche unità statunitensi ad impiegare il B-25 in Europa.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 14 Ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


PORTI, GRANDI NAVI E SICUREZZA: LA SFIDA DELLA PPU

PORTI, GRANDI NAVI E SICUREZZA: LA SFIDA DELLA PPU

(Portable Pilot Unit)

È ormai riconosciuto che uno dei problemi principali della portualità italiana riguarda il gigantismo navale: l’aumento costante delle dimensioni delle navi, a fronte di spazi portuali rimasti pressoché invariati, riduce i margini di manovra e la sicurezza delle operazioni.

Un esempio:

IL PORTO DI GENOVA

L’area più moderna del Porto di Genova, ancora oggi chiamata Porto Nuovo, è formata dai moli “a pettine” che si vedono sotto la Lanterna.

Porto Nuovo in costruzione - Anni '20-'30

 

Porto Nuovo tuttora operativo

Quel complesso di banchine fu costruito negli anni ‘20-’30 del ‘900 per ospitare navi commerciali lunghe al massimo 130 mt. La diga, le banchine e gli spazi di manovra erano quindi progettati per quelle dimensioni.

Un secolo dopo, le navi da carico hanno superato i 400 metri di lunghezza. Da qui è nata l’esigenza di costruire porti più idonei alle nuove richieste del mercato navale.

Il gigantismo navale si è imposto così rapidamente che i porti storici, spesso sorti a ridosso delle città medievali, sono stati esclusi dal circuito dei containers.

Genova, per restare tra i principali scali del Mediterraneo, ha dovuto adattarsi: allungare banchine, eliminare impianti obsoleti, colmare spazi tra i moli per creare piazzali destinati a gru gigantesche e a migliaia di container. Queste trasformazioni, però, hanno comportato un effetto collaterale: più cemento e piazzali significano meno specchio acqueo disponibile per le manovre

Rubare spazio al mare aperto

La crescente pressione del traffico marittimo ha reso indispensabile progettare una nuova diga foranea del porto di Genova, spostata circa 400 metri al largo rispetto a quella costruita negli anni ’20.
Lo spazio così guadagnato equivale alla lunghezza di una moderna portacontainer.

Genova – e con essa l’Italia intera – non può permettersi di restare fuori dal circuito degli approdi delle grandi navi, pena gravi ripercussioni sull’economia nazionale.

In questa lunga fase di transizione, i Servizi Portuali (Piloti, Rimorchiatori, Ormeggiatori) sono chiamati a uno sforzo eccezionale, affrontando ogni giorno rischi crescenti, soprattutto nelle giornate di vento forte, frequenti sul nostro mare.

Il supporto tecnologico: la PPU

l compito più delicato spetta ai Piloti portuali, responsabili di dirigere e portare in banchina navi dalle dimensioni imponenti. Da alcuni anni, però, la tecnologia è divenuta un alleato prezioso grazie alla PPU (Portable Pilot Unit).

Si tratta di una valigetta magnetizzata, dotata di antenne, che il Pilota colloca sulla plancia poco prima della manovra. La PPU fornisce in tempo reale dati dettagliati su posizione, velocità, rotta e rilevamenti, aumentando la sicurezza delle operazioni in porto, soprattutto in caso di scarsa visibilità o in passaggi complessi come canali stretti e banchine congestionate.

L’unità è indipendente dagli strumenti della nave: questo aspetto è fondamentale, perché il Pilota dispone così di un sistema personale, accurato e affidabile, che integra le sue competenze locali e riduce lo stress delle manovre.

La PPU non sostituisce l’esperienza e l’intuito del Pilota, ma li potenzia con la precisione della tecnologia satellitare, offrendo anche la previsione immediata della manovra. È lo strumento che unisce tradizione marittima e innovazione, a garanzia della sicurezza del porto e del mare.

Un’ulteriore funzione di grande utilità è la possibilità di integrare nella PPU, in caso di nebbia, il sistema AIS (Automatic Identification System). In questo modo il Pilota visualizza sullo stesso schermo la presenza di altre navi in canale, con i relativi dati nautici (posizione, rotta, velocità), affiancando così le informazioni del radar di bordo ma con un supporto diretto e immediato nelle proprie mani. Una combinazione che aumenta notevolmente il livello di sicurezza della navigazione portuale.

La tecnologia come la PPU è un alleato prezioso, ma la manovra resta sempre un atto profondamente umano. È il cuore del Pilota che guida la nave fino all’ormeggio, ed è in quel momento, quando il Comandante sussurra un semplice “Good job, Pilot”, che tutta la tensione si scioglie e il mare restituisce al Pilota la sua più grande ricompensa: la consapevolezza di aver fatto, ancora una volta, bene il proprio dovere

 

ENTRIAMO NEL MERITO DELLO STRUMENTO

PPU (Portable Pilot Unit) è lo strumento che fornisce al pilota portuale una visualizzazione dettagliata e precisa dei dati di navigazione, come posizione, velocità, rotta e rilevamenti, aumentando la sicurezza delle manovre portuali, specialmente in condizioni di scarsa visibilità o per operazioni complesse come ormeggi e passaggi in canali stretti dove sono presenti anche altre navi in manovra. Il PPU può essere utilizzato in modo indipendente dalla nave per operazioni di manovra fine, migliorando le informazioni già disponibili e consentendo operazioni più sicure.

L’abilità nella manovra e le L’unità portatile di ausilio al Pilota, conosciuta come PPU (Portable Pilot Unit), nasce dall’esigenza di aumentare la sicurezza della manovra in tutte le situazioni di scarsa visibilità che possono crearsi per motivi climatici, come nel caso di foschia, nebbia o piovaschi intensi o anche per motivi dimensionali, come nel caso di grandi navi che operano in spazi ristretti o in bassi fondali.

Le conoscenze generali e locali di un Pilota vengono così affiancate dalla più moderna tecnologia satellitare, non solo per la localizzazione precisa e istantanea della nave, ma, soprattutto, per la sua previsione di manovra, che avviene in tempo reale.

Il Pilota può quindi avvalersi oggi di un sistema grafico portatile, personale, indipendente dalle strumentazioni della nave sulla quale sta operando e di cui conosce il reale grado di accuratezza.

Questo non è un aspetto di poco conto per comprendere quanto questo strumento possa diventare utile e affidabile in mano a un professionista con la giusta competenza che, garantendone un uso consapevole, contribuisce ad abbattere lo stress della manovra.

 Come funziona e a cosa serve

 Visualizzazione dati:

Mostra i dati di navigazione della nave in tempo reale, inclusi GPS, AIS e sensori di profondità.

Sicurezza delle manovre:

Migliora la sicurezza delle manovre in ingresso e in uscita dal porto, nonché delle manovre di ormeggio, fornendo informazioni precise al pilota.

Indipendenza:

È particolarmente utile quando il pilota necessita di un posizionamento indipendente e informazioni di precisione per manovre più complesse, come in prossimità di chiuse o in spazi ristretti.

Miglioramento delle informazioni:

Aumenta le informazioni già provenienti dal pilot house, offrendo una prospettiva più completa e dettagliata.

Casi d'uso specifici:

Operazioni portuali: Utile per l'accesso ai porti e per il processo di ormeggio, rendendo le manovre più sicure.

Operazioni notturne:

Consente di scalare porti anche durante le ore notturne, grazie all'aumento della precisione dei dati di navigazione.

Gestione di spazi ristretti:

Ideale per passaggi in spazi ristretti come le chiuse, dove la precisione della posizione è fondamentale.

 

 

PORTO DI GENOVA

EVERGREEN INAUGURA LA LINEA DELLE 22000 TEUs

10 Luglio 2024

L’arrivo della nave Everglory  al terminal PSA segna un ulteriore successo nelle operazioni portuali. La gigantesca imbarcazione della compagnia Evergreen, lunga 400 metri e larga 59, con una capacità di oltre 22.000 TEU, ha scalato il porto di Genova-Prà.

La manovra, ancora in fase sperimentale, si è svolta come da pianificazione, con l’ausilio di tre potenti rimorchiatori che hanno assicurato condizioni di sicurezza ottimali e l’uso del PPU (Portable Pilot Unit) ormai da tempo  in uso ai piloti genovesi ed impiegato per le manovre che richiedono impegno e margini di sicurezza maggiori.

L’operazione rappresenta un ulteriore passo avanti per il porto di Genova che, confermandosi capace di accogliere navi di tali dimensioni, ha aperto nuove prospettive per il commercio e la logistica nella regione, rendendosi competitivo e richiesto dalle maggiori compagnie di shipping mondiali.

Questo successo sottolinea l’importanza della collaborazione tra tecnologia e competenza umana, con l’obiettivo di rendere le operazioni portuali sempre più efficienti e sicure.

 

 

CONCLUSIONE

l gigantismo navale ha trasformato profondamente la vita dei porti e delle città di mare, imponendo nuove soluzioni infrastrutturali e operative. In questo scenario la tecnologia ha saputo offrire strumenti impensabili fino a pochi anni fa: la PPU, con le sue funzioni di precisione satellitare e l’integrazione con sistemi come l’AIS, rappresenta un alleato prezioso per il Pilota.

Eppure, nessun dispositivo elettronico potrà mai sostituire l’esperienza, la sensibilità e il coraggio dell’uomo di mare. La manovra di una grande nave in porto non è mai soltanto un calcolo di dati: è un equilibrio delicato tra tecnica e intuizione, tra decisione rapida e pazienza attenta, tra prudenza e responsabilità.

Ogni Pilota sa che dietro lo schermo della PPU c’è sempre il battito del proprio cuore, la concentrazione assoluta, la fiducia in sé stesso e nei compagni di lavoro. Oggi la tecnologia riduce i rischi e restituisce possibilità impensabili fino a pochi decenni fa, ma resta sempre l’uomo a trasformare i numeri in sicurezza e a condurre, con fermezza e umiltà, i giganti del mare al sicuro ormeggio.

 

IL GIGANTISMO NAVALE

https://www.marenostrumrapallo.it/giga/

 Carlo Gatti

Venerdì 13 Febbraio 2015 

 

QUANDO A GENOVA SI FACEVANO LE GRANDI OPERE PORTUALI

https://www.marenostrumrapallo.it/diga/

30 novembre 2015

MANOVRA IMPORTANTE NEL PORTO DI GENOVA

YM Wondrous

CALATA SANITA’ – SECH 

https://www.marenostrumrapallo.it/sek/

 

 

 

Carlo GATTI 

Rapallo, venerdì 3 ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


CAMPI FLEGREI

 

CAMPI FLEGREI

 

SOMMARIO

- INTRODUZIONE

- CAMPI FLEGREI – POZZUOLI ED IL SUO    MONDO

- SAN GENNARO DI POZZUOLI

- BRADISISMI NEI CAMPI FLEGREI

- CONCLUSIONE

 

EVVIVA I CAMPI FLEGREI! 

Il suolo il più infido, sotto il cielo il più limpido! Acque bollenti, grotte le quali sprigionano vapori zolforosi, monti calcari, decomposti, selvaggi, ostili alla vita delle piante, ed ad onta di ciò, vegetazione rigogliosa quanto si possa vedere dovunque; la vita che trionfa sulla morte; stagni, ruscelli, e per ultimo una foresta stupenda di querce, sulla pendice di un antico volcano.

Johann Wolfgang von Goethe

 

 INTRODUZIONE

 La “Baia Sommersa” dei Campi Flegrei si estende lungo il litorale tra Bacoli e Pozzuoli, proprio di fronte all’antico porto di Baia. Oggi quest’area, divenuta Parco Archeologico Sommerso di Baia (2002), è un luogo unico al mondo: un museo subacqueo che custodisce templi, ville, mosaici e statue romane inghiottite dal mare a causa del bradisismo.

Il fenomeno dello sprofondamento del terreno, che nei secoli ha mutato il profilo costiero flegreo, ha reso possibile la conservazione straordinaria di un’intera città romana sotto il livello del mare, donandoci una testimonianza viva della grandezza e della fragilità del mondo antico.

Per me, però, Baia non è soltanto un sito archeologico. È anche un ricordo personale, nitido e indimenticabile.
Era il 1969 e mi trovavo al comando del rimorchiatore d’altomare M/r BRASILE, quando ricevetti l’ordine di recarmi a Baia per prendere a rimorchio una nave destinata alla demolizione a Spezia.

 

Banchina del Porto di Baia

Arrivammo dopo il tramonto e ottenemmo dalla Capitaneria l’autorizzazione ad attraccare alla banchina. La manovra procedeva regolarmente, in condizioni di assoluta calma di mare e di vento.

Eppure, a poche decine di metri dall’ormeggio, sentimmo un colpo secco sotto lo scafo: non forte, ma abbastanza da lasciarci perplessi. Nessuno a bordo seppe spiegarselo. Il giorno successivo, mandai in acqua il nostro sommozzatore Dugga, veterano coraggioso della Seconda guerra mondiale.

Dopo aver controllato lo scafo e rassicurato che non vi fosse alcun danno, tornò su con una rivelazione che ci lasciò senza parole: sotto di noi si estendeva una città sommersa, con mosaici, statue e persino ninfei. Forse avevamo urtato proprio il tetto di una villa romana.

Da quel giorno Baia è rimasta impressa nella mia memoria. Non solo come un porto di transito, ma come un luogo di mistero e fascino senza tempo, capace di legare la mia vita di mare alle profondità della storia.

 

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I CAMPI FLEGREI – POZZUOLI ED IL SUO MONDO

GOLFO DI NAPOLI

 

Il golfo di Napoli visto da Castellamare di Stabia

 

POZZUOLI E IL SUO MONDO

 

I Campi Flegrei sono un'area vulcanica attiva situata ad ovest di Napoli, che include i comuni di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania e parte della città di Napoli.

Cartina SAT dei Campi Flegrei con i laghi

 

I laghi dei Campi Flegrei sono quattro: il Lago d'Averno, un lago vulcanico dal fascino mitologico; il Lago di Lucrino e il Lago Fusaro, lagune costiere sorte per sbarramento; e il Lago Miseno, anch'esso una laguna costiera conosciuta come Mar Morto. Questi specchi d'acqua sono un'importante risorsa idrografica e testimoniano l'intensa attività vulcanica che ha caratterizzato l'area nel corso dei secoli.

Lago d'Averno: È un tipico lago vulcanico situato all'interno di un cratere, circondato da colline e boschi. Il suo nome deriva dal greco "Aornos" (senza uccelli) a causa delle antiche esalazioni sulfuree che un tempo rendevano l'aria tossica. È stato considerato l'ingresso agli Inferi nella mitologia e nella letteratura classica, come nell'Eneide e nell'Odissea. 

Lago di Lucrino: Una laguna costiera la cui origine è legata a uno sbarramento naturale. Un tempo era molto più grande e fu sfruttato fin dall'epoca romana per l'itticoltura, soprattutto per l'allevamento di ostriche. 

Lago Fusaro: Anch'esso una laguna costiera e un'altra testimonianza dell'attività vulcanica dei Campi Flegrei. È famoso per la Casina Vanvitelliana, una struttura architettonica settecentesca situata sull'isola nel lago. 

Lago Miseno: Conosciuto anche come Mar Morto, è una laguna costiera situata nel comune di Bacoli, tra Monte di Procida e Capo Miseno. È caratterizzato da una natura affascinante e radici storiche che si intrecciano con il mito. 

I Campi Flegrei non hanno un unico vulcano, ma sono una vasta area vulcanica con diversi centri eruttivi attivi e quiescenti, tra cui spiccano la Solfatara di Pozzuoli, nota per le sue attività fumaroliche, e il Monte Nuovo, (nella foto SAT), l'edificio vulcanico più recente formatosi nel 1538.

MONTE NUOVO - Storia 

https://it.wikipedia.org/wiki/Monte_Nuovo

 

Monte Nuovo e lago d'Averno come si vedono dalla SS 7 via Domiziana

Campi Flegrei, vulcano Monte Nuovo. Veduta Lago di Lucrino

 

POZZUOLI

 

 

ANFITEATRO FLAVIO

POZZUOLI

https://it.wikipedia.org/wiki/Anfiteatro_Flavio_(Pozzuoli)

ANFITEATRO FLAVIO Il terzo anfiteatro romano più grande d'Italia, terminato dagli imperatori della dinastia FLAVIA capace di ospitare 40.000 spettatori.

Le principali attrazioni a Pozzuoli

Solfatara. 1.757. Vulcani. ... 

Baia Archeological Park. 174. Siti storici. ... 

Parco Archeologico di Cuma. 426. Siti storici. ... 

Anfiteatro Flavio. 726. Rovine antiche. ... 

Lago d'Averno. 436. Corsi e bacini d'acqua. ... 

Campi Flegrei. Sorgenti d'acqua calda e geyser. ... 

Rione Terra. 524. ... 

Antro della Sibilla. 279.

Comune di Pozzuoli - Città dei campi Flegrei

 I due Anfiteatri di Pozzuoli

https://comune.pozzuoli.na.it/percorso-archeologico-del-rione-terra/anfiteatri/

 

Chi è più antica, Napoli o Pozzuoli?

La storia di Pozzuoli però è più antica, perchè ci sono prove della sua frequentazione fin dal VII sec. a.  Inoltre nel 421 a.c. passò in mano ai Sanniti.

 

 

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SAN GENNARO DI POZZUOLI

San Gennaro non è nato a Pozzuoli; le fonti indicano che è nato a Benevento (o forse Napoli) e fu martirizzato a Pozzuoli nel 305 d.C. durante le persecuzioni di Diocleziano, motivo per cui viene chiamato "San Gennaro di Pozzuoli", in riferimento al luogo del suo martirio e non della sua nascita.

San Gennaro di Pozzuoli

 Il Santuario di San Gennaro alla Solfatara, situato nella zona dei Campi Flegrei, dove, secondo la tradizione, il Santo vescovo fu decapitato. La chiesa conserva la pietra del martirio, sulla quale si dice appaiano macchie di sangue che si ravvivano in sincronia con il fenomeno del miracolo del sangue di Napoli.

 

IL SANTUARIO DI SAN GENNARO ALLA SOLFATARA DI POZZUOLI

HOLY BLOG

https://www.holyart.it/blog/articoli-religiosi/il-santuario-di-san-gennaro-alla-solfatara-di-pozzuoli/

https://it.wikipedia.org/wiki/Santuario_di_San_Gennaro_alla_Solfatara

San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli

 

 

FAMIGLIA CRISTIANA

 SAN GENNARO, DAL MARTIRIO AL MIRACOLO DEL SANGUE, LE COSE DA SAPERE

https://www.famigliacristiana.it/articolo/san-gennaro-dal-martirio-al-miracolo-del-sangue-le-cose-da-sapere.aspx

 

SAN GENNARO NELL’ANFITEATRO DI POZZUOLI

QUADRO FAMOSO – STORIA

https://it.wikipedia.org/wiki/San_Gennaro_nell%27anfiteatro_di_Pozzuoli

 

OSSERVATORE ROMANO

Una compagnia di amici cristiani

La storia di S. Gennaro vescovo di Benevento martire sotto Diocleziano

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2020-09/una-compagnia-di-amici-cristiani.html

San Gennaro condannato al martirio

 Era il 305 d.C. quando si trovò a visitare Pozzuoli, in una missione per incontrare il vescovo di Bacoli, suo stretto amico.

Proprio in quest’occasione fu condannato, assieme ad altri sette predicatori cristiani (fra cui anche San Procolo, il protettore di Pozzuoli), al martirio dinanzi alle bestie. E fu qui che accadde il miracolo: una volta scatenati i leoni feroci, anziché avventarsi sul santo e sugli altri martiri, si ammansiscono.

Artemisia li dipinse così: San Gennaro, con la mano in alto, come nell’atto di una benedizione, con i leoni di fronte: in alto uno feroce, che ringhia ancora, al centro uno che lo osserva, quasi ipnotizzato, e in primo piano uno ammansito che quasi si inchina.

 

E sotto la veste si vede un piede che il santo prova a tirare indietro mentre la bestia si avvicina, perché San Gennaro era pur sempre un uomo e, in cuor suo, quel pizzico di umana paura è tradito proprio da questo particolare.

Accanto a lui, San Procolo che ringrazia Dio per il miracolo.

Questo prodigio non salvò nessuno dei martiri cristiani. E lo stesso San Gennaro fu decapitato.

 

ARTEMISIA GENTILESCHI

 

Artemisia Gentileschi è stata una celebre pittrice italiana del XVII secolo, nota per le sue opere di grande intensità emotiva e per essere una delle prime donne a ottenere riconoscimento nel mondo dell'arte europea.
Nata a Roma nel 1593, Artemisia mostrò un talento precoce per la pittura. Grazie anche alla guida artistica di suo padre, il pittore Orazio Gentileschi, potè imparare i trucchi del mestiere.

https://it.wikipedia.org/wiki/Artemisia_Gentileschi

STORIENAPOLI

Opere di Artemisia Gentileschi

https://storienapoli.it/2022/01/07/san-gennaro-nellanfiteatro-pozzuoli/

 

 

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BRADISISMI NEI CAMPI FLEGREI

La storia del bradisismo ai Campi Flegrei è una successione di lenti movimenti del suolo, che includono periodi di sollevamento (fase ascendente) e di abbassamento (fase discendente) dovuti alla pressione del magma in profondità. Le crisi bradisismiche più recenti e intense si sono verificate tra il 1970 e il 1972 e tra il 1982 e il 1984, causando un sollevamento del suolo di diversi metri, numerosi terremoti, danni agli edifici e lo spostamento di parte della popolazione di Pozzuoli. Dopo un periodo di subsidenza, dal 2005 è iniziata una nuova fase di sollevamento del suolo, tuttora in atto e accompagnata da un livello di allerta giallo. 

 

BRADISISMO FLEGREO

https://it.wikipedia.org/wiki/Bradisismo_flegreo

 Il Bradisismo dei Campi Flegrei nelle fonti storiche

https://www.archeoflegrei.it/il-bradisismo-dei-campi-flegrei-nelle-fonti-storiche/

 

 

 Dati termici della Stazione Spaziale Internazionale nella zona dei #CampiFlegrei per rilevare le variazioni di temperatura che precedono i terremoti più intensi.

Secondo un nuovo importante studio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (#INGV), il monitoraggio satellitare potrebbe migliorare la sorveglianza dei Campi Flegrei, integrandosi con i sistemi di allerta sismica e termica esistenti.

Grazie alle osservazioni satellitari, si potrebbero rilevare con maggiore precisione variazioni anomale di temperatura e deformazioni del suolo, offrendo avvisi anticipati su scosse intense in modo da proteggere la popolazione.

 

La freccia Rossa indica la posizione del Tempio di Serapide

 

Macellum di Pozzuoli

TEMPIO DI SERAPIDE

 II Secolo d.C.

 

 

Il Tempio di Serapide è uno dei monumenti più noti e rappresentativi dei Campi Flegrei: si trova nella zona più vitale del centro di Pozzuoli, a pochi passi dalle banchine del porto.

Verso la metà del ‘700 il re Carlo di Borbone, incuriosito da grandi colonne di marmo cipollino che affioravano da un fondo noto come “Vigna delle tre colonne”, (Antonio Niccolini, ”Descrizione della gran Terma Puteolana, volgarmente detta Tempo di Serapide”, Stamperia Reale Napoli 1846), ne ordinò uno scavo archeologico e, al di sotto di molti metri di residui marini, fu dissotterrato il cd Tempio di Serapide, che, nel corso dei secoli, è diventato il simbolo del bradisismo flegreo.

Numerose, infatti, sono le immagini che lo ritraggono ora semi-sommerso dal livello del mare, ora completamente all’asciutto.

Si presenta come un cortile a pianta quadrata, circondato da un porticato sul quale si affacciano le botteghe che si aprono alternativamente ora verso l'interno ora verso l'esterno; due latrine pubbliche sono dislocate ai lati dell'abside di fondo. Mentre resti di scale che conducevano al piano superiore del porticato si conservano ai lati dell'ingresso monumentale che si apriva verso il porto; infine, al centro del cortile vi è una costruzione circolare sopraelevata, circondata un tempo da colonne sul quale podio si poteva salire tramite quattro scalinate disposte a croce.

Tutto l'edificio ricorda nella pianta altri mercati di città antiche, come quelli di PompeiMorgantinaRoma e Cremna.

Tra questi il Macellum di Pozzuoli resta uno dei più grandiosi ed integri, grazie anche alla sommersione bradisismica che nei secoli passati lo ha preservato da una più grande spoliazione dei suoi elementi architettonici.

L'edificio è stato a lungo impropriamente denominato Tempio di Serapide, per il rinvenimento di una statua del dio egizio nel 1750, all'epoca dei primi scavi. Studi successivi hanno invece accertato che si tratta dell'antico Macellum, cioè il mercato pubblico della Puteoli romana.

Esso è, per dimensioni, il terzo più importante monumento napoletano di questo tipo.

A livello scientifico, esso ha rappresentato per alcuni secoli l'indice metrico più prezioso e preciso che si aveva a disposizione per misurare il fenomeno del bradisismo. 

 

Il monumento a Pozzuoli che ha testimoniato e misurato il fenomeno del bradisismo per secoli è il Macellum, meglio conosciuto come il Tempio di Serapide. Le sue colonne presentano infatti fori scavati da molluschi marini fino a una certa altezza, indicando il livello massimo raggiunto dal mare, e quindi l'entità del sollevamento o abbassamento del suolo.

 

Protezione Civile Pozzuoli

Portale del Cittadino 

https://protezionecivilepoz.wixsite.com/pozzuoli/copia-di-pianificazioni-di-protezio

 

Dipartimento della Protezione Civile

Presidenza del Consiglio dei Ministri

 

Mappa zone di pianificazione nazionale di emergenza nell’area flegrea

 

La mappa indica la zona rossa e la zona gialla, previste dalla pianificazione nazionale di emergenza per il rischio vulcanico per i Campi Flegrei. Le aree sono state individuate nel Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 24 giugno 2016.

La zona rossa è l’area per cui l’evacuazione preventiva è, in caso di “allarme”, l’unica misura di salvaguardia per la popolazione. In caso di eruzione, sarebbe infatti esposta al pericolo di invasione di flussi piroclastici che, per le loro elevate temperature e velocità, rappresentano il fenomeno più pericoloso per le persone. Nell’area vivono circa 500mila abitanti.

La zona gialla è l’area che, in caso di eruzione, sarebbe esposta alla significativa ricaduta di ceneri vulcaniche. Per quest’area potrebbero essere quindi necessari allontanamenti temporanei della popolazione che risiede in edifici resi vulnerabili o difficilmente accessibili dall’accumulo di ceneri. 

Nell’area vivono oltre 800mila abitanti. 

Le aree di attesa sono quelle da cui, in caso di dichiarazione di “allarme”, partono i pullman della Regione Campania per condurre i cittadini nelle aree di incontro, al di fuori della zona rossa. Sono individuate nei Piani di protezione civile comunali.

Le aree di incontro sono le 6 aree, al di fuori della zona rossa, da cui partono i cittadini che scelgono il trasporto assistito (via pullman, treno, nave) per raggiungere le Regioni e le Province autonome gemellate con i propri Comuni.

 

 

CONCLUSIONE

La nostra Italia è uno scrigno straordinario, ricco di tesori che spaziano dall’arte alla musica, dalla storia alla religiosità, senza dimenticare il clima, il mare, lo sport. Ogni regione custodisce meraviglie uniche, ma ciò che rimane più impresso nel cuore di chi viaggia non sono solo i monumenti o i panorami: è l’umanità della gente incontrata lungo il cammino.

Ebbene, i Campi Flegrei rappresentano in pieno questa ricchezza. Qui la bellezza della natura e della storia si intreccia con la forza e la resilienza di chi vi abita. In questa terra che palpita, che si muove, che vive sospesa tra il respiro profondo del vulcano e il mare che custodisce la memoria del passato, la vita continua con una normalità sorprendente.

Ciò che più colpisce è proprio questo: gli abitanti dei Campi Flegrei, pur consapevoli del rischio di vivere sopra un terreno che da sempre trema e sprofonda, non pensano a fuggire. Restano, radicati alla loro terra, con un senso di appartenenza che rasenta il religioso fatalismo. È un atteggiamento che commuove, un mistero difficile da spiegare, ma che dona a questa zona un carattere unico, capace di restare nella memoria di chiunque vi si avvicini.

In questa terra che respira e trema, la forza della gente rende eterno ciò che il tempo minaccia di cancellare.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, mercoledì 24 settembre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


STOCKHOLM - La storia di una nave che non voleva morire ...

STOCKHOLM

La storia di una nave che non voleva morire ...

La STOCKHOLM nel suo periodo felice di Liner sulla rotta Europa-Stati Uniti

 

Apprendiamo dalla rivista specializzata:

26 GIUGNO 2025, 08:45

Fine della corsa per la ex Stockholm, 70 anni fa ‘nave killer’ della mitica Andrea Doria.

Con l’ultimo nome operativo di Astoria, la costruzione del 1948 era rimasta l’unità da crociera più vecchia al mondo. Tramontata l’ipotesi di hotel galleggiante, va in demolizione per conto dell’acquirente del ferro, la società belga Galloo.

 

Ringraziamo la rivista SHIPSHORE e c’immergiamo nella storia molto particolare di questa nave.

 La “famosa” nave passeggeri svedese  STOCKHOLM  nel luglio 1956 entrò in collisione con l'Andrea Doria affondandola e provocando 61 vittime. La nave è sopravvissuta 75 anni cambiando nome ben 9 volte, nella vana speranza di non essere riconosciuta con quel carico immenso di tristezza e dolore che si era diffuso nell’intero mondo dello shipping.

La sua incredibile longevità, si spiega con l’attenzione costante che molti armatori ebbero per la robustezza del suo scafo che era stato costruito con acciaio speciale e prora rinforzata molto adatta per affrontare la navigazione sui ghiacci nordici.

In un certo senso fu il Gigantismo Navale a decretarne la fine a causa della sua Stazza ritenuta minore dalle nuove tendenze proiettate verso il “gigantismo navale” nel mercato delle crociere.

La sua fine fu pertanto decretata pochi anni fa quando venne acquistata da una società portoricana per essere demolita in una struttura approvata dall'Unione Europea, con la vendita avvenuta all'inizio del 2023.

 

27 Luglio 1956, La STOCKHOLM, con la prora distrutta, entra a New York dopo la collisione con lAndrea Doria avvenuta al largo dell’isola di Nantucket, a circa 200 chilometri da New York, nello stato del Massachusetts, il 25 luglio 1956

La Stockholm è passata alla storia per essere stata la causa del drammatico affondamento del transatlantico italiano. Nell'incidente morirono anche cinque membri del suo equipaggio. 

 

Questa foto scattata dall’autore durante l’ultima sosta dell’Andrea Doria a Genova, mostra il punto esatto in cui la nave sarà colpita dalla prora dello Stockholm.

 

Quando le due navi si avvistarono reciprocamente, erano ormai troppo vicine; l'Andrea Doria tentò inutilmente una manovra d'emergenza virando a sinistra e fu speronata nella fiancata di dritta.  La Stockholm penetrò ortogonalmente con la prua rinforzata nella fiancata dell'Andrea Doria, che nel frattempo continuava la sua corsa, all'altezza della plancia, sfondando tre ponti (per un'altezza di dodici metri) e uccidendo, schiacciandoli, i 46 passeggeri alloggiati nelle cabine interessate dall'urto.

La Stockholm, dal momento che non rischiava di perdere la galleggiabilità, rimase sul posto e si adoperò per soccorrere i naufraghi dell'Andrea Doria (che nel frattempo si stava sbandando lentamente sul lato di dritta e sarebbe affondata nell'arco delle successive 11 ore). Gli svedesi imbarcarono 327 passeggeri e 245 membri dell'equipaggio.

La maggior parte dei superstiti dell’A.D. furono trasbordati sul transatlantico francese ILE DE FRANCE, arrivato sul posto dopo aver ricevuto la chiamata di soccorso (S.O.S) della nave italiana.

 

Dopo la collisione

 Il transatlantico svedese fu quindi riparato a New York dalla Bethlehem Steel Company Shipbuilding Division, con un costo di un milione di dollari americani, e tre mesi dopo l'incidente riprese il servizio nella Swedish America Line fino al 1960, quando venne acquistato dal governo tedesco orientale. 

La VEB Deutsche Seerederei lo utilizzò fino al 1985 con base a Rostock.  Dal 1966 al 1985, nei mesi invernali, fu in servizio presso la Compagnia marittima scandinava Stena Line.

In seguito, nell'aprile 1985, l'unità fu venduta ad una società marittima panamense, la Neptunus Rex Enterprises, che la utilizzò fino alla fine dell'anno.

La nave fu quindi lasciata in disarmo a Southampton dal dicembre 1985 fino al 1989 con una parentesi in veste di nave caserma e ricovero per rifugiati politici a Oslo in Norvegia.

 

Apriamo ora una parentesi “GENOVESE” ...

UNO SCHERZO DEL DESTINO...

Ero in servizio quel giorno quando si presentò sull’imboccatura del porto di Genova una nave che aveva un nome strano: Völkerfreundschaft.  (Amicizia tra i popoli). Noi piloti anziani presenti in Torretta, ci guardammo negli occhi e il primo che inforcò i binocoli disse: "proprio a Genova doveva venire la STOCKHOLM, che brutto presagio".... e un collega napoletano tirò fuori un "cornetto rosso" e ci diede la benedizione!

Com’è noto la ANDREA DORIA  era stata costruita proprio a Genova.

GENOVA - 1992 - La STOCKHOLM  ormeggiò a Ponte Assereto dove venne ricostruita. 

Descrizione generale

  M/N  STOCKHOLM

Tipo

transatlantico

Armatore

 Swedish American Line (1948-1960)
Deutsche Seereederei (1960-1985)
Neptunus Rex Enterprises (1985-1989)

Proprietà

Swedish American Line (1948-1960)
Freier Deutscher Gewerkschaftsbund (1960-1974)
VEB Deutsche Seereederei (1974-1985)
Neptunus Rex Enterprises (1985-1989)

Registro navale

Lloyd's Register

Porto di registrazione

 Göteborg (1948-1960)
 Rostock (1960-1985)
 Panama (1985-1986)
 Port Vila (1986-1989)

Identificazione

· Indicativo di chiamata radio ITU

S

E

J

T

(Sierra-Echo-Juliet-Tango)

(come Stockholm)

· Numero di matricola (SE): 8926

Ordine

ottobre 1944

Costruttori

Götaverken

Cantiere

GöteborgSvezia

Varo

9 settembre 1946

Completamento

7 febbraio 1948

Entrata in servizio

21 febbraio 1948

Nomi successivi

Völkerfreundschaft(1960-1985)
Volker (1985-1986)
Fridtjof Nansen (1986-1993)

Intitolazione

Stoccolma, capitale della Svezia (1948-1960)
"Amicizia tra i popoli" in tedesco (1960-1985)
Fridtjof Nansen, esploratore norvegese (1985-1993)

Destino finale

ricostruita a Genova dal 1992

Caratteristiche generali

Stazza lorda

12 165,00 tsl

Lunghezza

160,08 m

Larghezza

21,04 m

Pescaggio

7,9 m

Propulsione

2 motori DieselGötaverken a otto cilindri con potenza unitaria di 12 000 CV
eliche

Velocità

17 nodi (31,48 km/h)

Passeggeri

395

 

Riprendiamo la STORIA

 

La Swedish American Line vendette la Stockholm alla VEB Deutsche Seereederei, società armatoriale della Germania dell’Est, nel 1960. Ribattezzata Volkerfreundschaft, fu trasformata in nave da crociera per i membri del Partito Comunista e dei sindacati.

La carriera durò fino al 1985, quando la nave fu ceduta alla Neptunus Rex Enterprises, una società registrata a Panama che la utilizzò come nave caserma a Oslo per i richiedenti asilo. Durante questo periodo la nave prese il nome dall’esploratore norvegese Fridtjof Nansen.

Il gruppo italiano Starlauro l'acquistò nel 1989 con l’intenzione di ricostruirla per un ulteriore utilizzo come nave da crociera Sorrento. La nave fu venduta alla Nina di Navigazione prima che venisse fatto qualsiasi lavoro, e presto fu trasferita in un cantiere navale genovese dove fu completamente "sventrata" e ricostruita come Italia Prima, una moderna nave da crociera in grado di trasportare 580 passeggeri.

Il successivo proprietario fu il gruppo Classic International Cruises, per il quale navigò come Athena.

Successivamente, la nave fu venduta alla portoghese Portuscale Cruises, che la ribattezzò Azores

Cruise & Maritime Voyages (CMV), con sede nel Regno Unito, la rinominò Astoria nel 2015. CMV è entrata in amministrazione nel 2020, portandola ad essere sequestrata dalla UK Maritime & Coastguard Agency.

Il miliardario della criptovaluta Brock Pierce ha acquisito l’Astoria a metà del 2021 con l’intenzione di utilizzarla come nave da crociera.

Secondo TradeWinds, Pierce avrebbe perso interesse per la nave dopo aver stabilito che il costo per rimetterla in servizio era economicamente irrealizzabile, data la sua età avanzata.

 

Cronologia nomi

  • 1948-1960: Stockholm

  • 1960-1985: Völkerfreundschaft

  • 1985-1986Volker

  • 1986-1993Fridtjof Nansen

  • 1993-1994Italia I

  • 1994-1998: Italia Prima

  • 1998-2002: Valtur Prima

  • 2002-2005Caribe

  • 2005-2013: Athena

  • 2013-2015: Azores

  • 2015-: Astoria (foto sotto)

 

 

Cronologia compagnie

  • 1948-1960: Swedish America Line

  • 1960-1985: VEB Deutsche Seereederei

  • 1985-1989: Neptunus Rex Enterprises

  • 1989-1994: Star Lauro

  • 1994-2002: Nina Cia. di Navigazione

  • 2002-2004Festival Crociere

  • 2004-2013: Nina SpA

  • 2013-2015: Portuscale Cruises

  • 2015-2020: Cruise & Maritime Voyages

Costruita con a prua rinforzata per il ghiaccio sul servizio di linea transatlantico tutto l’anno, la nave, col nome: Stockholm, salpò per il suo primo viaggio nel febbraio 1948, diventando la prima nave passeggeri del dopoguerra di nuova costruzione.

Piccola, rispetto ad altre navi passeggeri impegnate nel commercio transatlantico, la Stockholm avrebbe avuto ben poca notorietà se non fosse entrata in collisione con la nostra Ammiraglia della flotta italiana, lAndrea Doria (costruita nel 1953), in una notte nebbiosa al largo di New York nel luglio 1956. Nell’incidente morirono 51 passeggeri. 

 

Stockholm addio.

La nave da 16.144 tonnellate di stazza lorda – costruita nel 1948,  è stata venduta per essere demolita in una struttura approvata dall’Unione Europea per una somma non divulgata da The Roundtable, società con sede a Porto Rico.

 

ALBUM FOTOGRAFICO

La Völkerfreundschaft  (ex STOCKHOLM) ai lavori di conversione in nave da crociera a Genova, 1993 – Ponte Caracciolo.

 

La ex STOCKHOLM  riconvertita e ribattezzata Italia Prima a Genova nel 1994

 

Rinonimata Athena a Spalato il 22 ottobre 2011

 

Il 22 ottobre 2011 col suo penultimo nome  AZORES (foto sopra)

 

La vendita della nave, che qui si chiama Astoria (nella foto sopra), conclude una delle carriere più incredibili di qualsiasi nave, iniziata nei giorni bui della seconda guerra mondiale, quando (nel 1944) la Swedish American Line ordinò una nave passeggeri alla AB Gotaverken.

 

La Grand Dame of the Sea sfila davanti ai grattacieli di Manhattan

di Carlo GATTI

Rapallo, 9.2.2012

T/N “ANDREA DORIA”

LA BELLA E SFORTUNATA SIGNORA DEI MARI

https://www.marenostrumrapallo.it/andrea-doria/

 

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 9 settembre 2025

 

 

 

 

 


NOTE STONATE SULL’OCEANO - 1962 Il vero giustiziere della notte

NOTE STONATE SULL’OCEANO ...

1962

Il vero giustiziere della notte

 

LE GEMELLE "VULCANIA" E "SATURNIA" A GENOVA

 

La traversata oceanica Gibilterra-New York a bordo dell’iconica SATURNIA - Gemella della  VULCANIA inizia cullandosi nella bonaccia. La luna è una enorme lanterna magica che illumina la nostra rotta.

Il mio capoguardia Vittorio, passate le consegne agli Ufficiali della notte fonda (24h-04h), decide di fare un’ispezione sui ponti alti simulando il gesto di farci un whisky nel Bar di 1a classe.

Dentro di noi prevale il senso di gratitudine verso gli dei del mare per averci donato un placido notturno in cui ogni marinaio dimentica i colpi di mare ricevuti sul muso lungo quella rotta piuttosto infida, anche nei mesi considerati i migliori dalle statistiche.

 

Attratti dalle note dell’orchestra di bordo mentre abbassa la saracinesca sul sesto giorno di navigazione, entriamo facendoci largo tra le luci soffuse del fascinoso Salone delle Feste intriso di sapore orientale, un azzardo di paradiso tra i più celebrati nel mondo internazionale dei Liners.

 

Quel sano senso di orgoglio nazionale che ci prende ogni volta che varchiamo il supremo Santuario della bellezza, dura fino a quando veniamo rapiti, a causa delle le nostre divise, da un folto gruppo di turisti americani che sventolano le insegne del Nebraska.

Alcuni di loro gesticolano con vigore invitandoci a far parte del loro gruppo che ci sembra vistosamente avvinghiato alle membra di Bacco...

Il semplice popolo di vaccari che si para davanti ai nostri occhi ondeggia, sbanda, barcolla e si regge in piedi aggrappandosi l’un l’altro per non cadere e ferirsi su quei pregiati tappeti persiani sui quali ogni notte incombe una grigia nuvola di vetri frantumati: bicchieri da Museo colmi di Burbon e ghiaccio... destinati a ferire anche gli abissi dell’oceano.

Visto l’ambiente fortemente alterato, vorrei scappare..., ma l’esperto Vittorio sa come gestire certe situazioni sentendosi per altro sempre in servizio di guardia permanente!

 

Mi piego visibilmente contrariato sulla tastiera del pianoforte a coda (in alto nella foto sopra) assumendo l’atteggiamento di sfida all’OK-CORRAL che non passa inosservato agli stralunati americani che intendono qualcos’altro: forse sperano nel secondo tempo di un notturno musicale, un fuori programma da vivere alla grande.

Urlano come i coyote delle vaste pianure del Nebraska battendo ritmicamente le mani per invitarmi a suonare al pianoforte una qualsiasi canzone che possa allungare il sogno e la magia di quella notte.

Incrocio lo sguardo di Vittorio, lo vedo teso e rifletto: “in questo strano frangente, il più alto in grado è lui, quindi rappresenta il padrone di casa: la Compagnia di Navigazione.

La decisione di sgomberare il Salone delle Feste col supporto forzuto dei pompieri e dei marò-capi stiva, potrebbe avere una coda di cattiva propaganda in quel mondo di fantasia.

Vittorio ha molta esperienza e presto trova una soluzione che mi convince:

“La compagnia del Nebraska si comporta in modo più pazzerello che pericoloso. Sono pur sempre clienti di 1° classe, diamogli un’altra chance!”

Il mio superiore s’avvicina al pianoforte, mi mette una mano sulla spalla e sbotta in un laconico:

                      “E mo’ sono c... tuoi”

Per farmi coraggio respiro profondamente e scarico sui tasti dell’incredulo pianoforte le dieci dita a ritmo infernale con la sfacciataggine di un ventenne che ha deciso d’inviare un clamoroso VAFFA al Nebraska e a tutto il mondo insensibile all’arte e alle cose belle di cui noi siamo ambasciatori, e in quel momento anche protettori.

 

A questo punto il lettore si farà un po' di domande! Prendo ancora un po’ di fiato e procedo umilmente verso una doverosa confessione:

- suono discretamente l’armonica a bocca, ma solo a orecchio.

- non so leggere uno spartito musicale

- sono privo delle più elementari nozioni del pentagramma

 

Provo quindi un senso di vergogna! Ma ormai sono in ballo e ....

Tuttavia l’effetto scenico che segue è straordinario: gli americani, inzuppati totalmente di Burbon, da vicino profumano anche di stalle del Nebraska, un effluvio che mi è rimasto a lungo nel naso.

Brutalmente i cowboys s’ammucchiano come giocatori di football americano intorno al pianoforte per toccarmi e applaudirmi. Alcuni di loro, convinti d’aver scoperto un pianista Jazz dallo stile innovativo e affascinante, mi invitano ad esibirmi a casa loro negli USA.

 

In quella imbarazzante situazione in cui mi vengo a trovare, mi soccorre il ricordo del mitico Adriano Celentano quando si scatenava con movenze da contorsionista in un celebre film "Yuppi Do" in cui recita il ruolo di pianista eccentrico e sperimentale  con sequenze oniriche e surreali, una pellicola unica nel suo genere, spesso definita folle e geniale allo stesso tempo.

Provo ad imitarlo agitandomi abbondantemente e raggiungo subito l’apice del gradimento.

Alcuni di loro, i meno impegnati in quell’assurdo baccanale, durante una fase di apnea, mi chiedono, taccuino alla mano, i nomi dei brani da me suonati non sapendo che questo è il mio campo preferito...!

Faccio uno sforzo di fantasia e sciorino un’improbabile lista di brani legata al mio territorio:

L’elenco di puttanate è lungo, ma vi concedo soltanto l’inizio...

- CONSCENTI LA NUIT...

- A SUMMER AT MOCONESI...

- WALKING IN THE "NESCI" GULF

- DANCING A NIGHT AT PENTEMA

- LA MONA (anzichè ) RAMONA

 

Con gli occhi sgranati dalla curiosità, mi giro a dritta e a babordo per godermi quell’incredibile presa per il culo... che va in onda con estrema naturalezza, complici l’estasiate “damine del Nebraska” che si trovano immerse in quell’indimenticabile concerto sull’oceano cullando il sogno della vita da deporre nello scrigno segreto di famiglia: un diario destinato ai posteri nel regno delle vacche del Nebraska.

Nel frattempo l’esibizione prosegue con lo sfinimento progressivo degli ospiti che si trasformano in vacui fantasmi che si agitano sempre meno, senza fare rumore.

Il livello di Burbon nelle loro cisterne ha raggiunto il massimo livello concesso dal loro rispettivo piano di costruzione...

 

L’astuto Sommo Sacerdote che ha celebrato lo spettacolo non è ovviamente Nettuno, neppure Eolo, il folletto di quella scoppiettante offesa alla musica si chiama Zagallo, l’unico barman che non soffre il sonno, una specie di gnomo incosciente e bastardello che vive ormai nella ricchezza...avendo capito che il mondo del mare e quello di terra convivono nell’eterna collisione esistenziale:

“Vivere per lavorare O lavorare per vivere”

Ripete spesso:

Chi ti manda a navigare è l’unico soggetto che passa sempre all’incasso...!”  E spiega: “Allora quando navigo mi rifaccio... Attuo la mia vendetta vendendo acqua ghiacciata con poche gocce di Burbon fino alla resa dello sfidante che perde sempre per KO tecnico”.

E conclude il suo vanto: “Non importa chi sia il cliente, ma so che mi ama perché ritorna sempre da chi lo tiene in piedi e qualche volta lo porta sulle spalle in cuccetta.

 

Il mondo è dei furbi... gli altri brucano come umili capre erranti sugli altipiani del monte Fasce alle spalle della Superba”!

Gli accompagnatori del gruppo, ossia i capi-allevatori del Nebraska, non sono appassionati di Jazz e per tempo hanno infilato l’alveo della propria stalla pensando da sbronzi nell’unico modo che conoscono:

Negli ampi spazi di mare intorno alla nave, ci sono sempre mandrie da pascolare all’alba”!

Ne godono le “Damine del Nebraska” che si sentono finalmente incustodite... e si lasciano andare a movenze lente e aritmiche facendo saltellare le “antiche grazie” su un davanzale sgargiante color arcobaleno, ma ormai in disarmo inoltrato.

 

             Sullo sfondo le "carrette dimenticate"

A pensarci bene sono tutte al guinzaglio da almeno 20/30 anni e mi ricordano le “carrette dimenticate” che, ormeggiate di punta sulla diga Duca di Galliera del porto di Genova, si stirano avanti e indietro nella risacca forzata dalle navi in entrata e in uscita, per farsi meglio notare da possibili acquirenti.

 

In effetti, la somiglianza tra i due contesti esiste:

- le ballerine del Nebraska e le navi in disarmo sprigionano la stessa triste speranza di risorgere vergini all’improvviso da una magica conchiglia di mare come la Venere del Botticelli.

 

 

A tal proposito e senza cattiveria ci soccorre un detto genovese:

LA BELLA DI TORRIGLIA – Tutti la vogliono e nessuno la piglia!

 

Il baccano che esce sordo e fastidioso dal Salone di 1° classe  fa eco ai sbuffanti stantuffi della Sala Macchina che salgono potenti dalla vicina ciminiera del transatlantico: un muggito vaccino che ricorda le vaste pianure del Nebraska inebriate di creature a quattro zampe lente e pesanti, odori forti di fieno e  stallatico!

 

Giunti ormai alle ore piccole della notte fonda, quel poco di cervello che si è salvato dal Burbon   annacquato sapientemente da Zagallo, il barman del “mare a fuera”, dà alle “damine del Nebraska” la speranza d’irretire qualche giovane “besugo” che si è perso come loro nel buio di una notte ruffiana tra le romantiche cineserie e arazzi preziosi di una nave precipitata nel ruolo di grande puttana.

 

Nel mondo femminile di quel gruppo ormai disinibito e pronto a tutto, si scorgono lunghe e ampie gonne issate a riva con rara destrezza che invitano a prendere il largo. Ricordano le vele a pallone che guarda caso portano GENOA come nome.

 

Soltanto chi sogna vede possibili amanti nella notte in cerca d’amore!

E’ tardi, le damine indugiano ancora per poco sugli ultimi impavidi saltelli prima di cadere in una arrendevole e sconcia ammucchiata tra le braccia di Morfeo:

“Il vero giustiziere della notte”

 

Buona notte a tutti !

Fine

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, lunedì 21 luglio 2025