NAVIGARE TRA I GHIACCI - TESTIMONIANZE DI VITA VISSUTA …

NAVIGARE TRA I GHIACCI

TESTIMONIANZE DI VITA VISSUTA …

 

Comandante S.L.C Mario Terenzio PALOMBO

Ho visto e letto con interesse il tuo inserimento "navigare tra i ghiacci". 
Mi è tornata in mente la mia esperienza effettuata, la prima con la Home Line e grado da Primo Uff.le nel lontano 1974, la seconda da comandante nel 1999. 

Ti allego la foto del Costa Allegra nel Magdalene Fjord. Nel 1974, a causa dei numerosi e piccoli iceberg (growlers) non si poteva entrare facilmente all'interno del Fiordo. Nell'estate del 1999, la Costa mi affidò il comando della Costa Allegra per verificare se le crociere della Norvegia, Svalbard e banchisa polare potevano essere fattibili con navi di un tonnellaggio superiore. 
Dopo una sosta negli scali di Longyrearbyen e Ny-Alesund la tappa successiva era a Magdalene Fjord. 
A Ny-Alesund avevamo imbarcato due guardie forestali nel caso si potessero sbarcare i passeggeri. 
Infatti, come vedi dalla foto che ti allego, rispetto al 1974, le cime dei monti non erano molto innevate, i growlers erano veramente pochi e si potevano evitare. Ero riuscito a navigare sino alla radice del fiordo, rimanere sulle macchine, sbarcare i passeggeri utilizzando una piattaforma galleggiante che avevamo costruito a bordo e sistemata a terra.  I passeggeri sbarcavano dal nostro Tender, facevano alcune foto, subito dopo rientravano a bordo, ben contenti di aver messo piede nel punto più alto della terra. Lat. 79° 34' N long. 10° 54' E. Le due guardie forestali osservavano la zona in caso della possibile vicinanza di orsi polari. La crociera fu un successo!

Comandante S.L.C. Ernani ANDREATTA

In riferimento all’impresa del Laura Bassi in Antartico, ho anch’io qualche ricordo dei ghiacci nei mari del Nord ma in “Artico"!

 

 

Rotte approssimative della GULF STREAM

 

Immagini satellitari del Golfo di Botnia

Libero dai ghiacci (sopra)- Quasi ricoperto (sotto)

 

 

 

Ho fatto parecchi viaggi in inverno al Comando della petroliera TEXACO OHIO nel Golfo di Botnia per andare a scaricare Low Sulphur  Fuel. Andavamo sino a LULEÅ nella parte NORD della Svezia e sono stati viaggi straordinariamente interessanti. Il mare del Golfo di Botnia anni fa almeno, in inverno era sempre molto ghiacciato perché non viene toccato dalla corrente (CALDA)  del Golfo (o GULSTREAM) che dopo aver attraversato l’Atlantico lambisce poi le coste della Norvegia e parte della Svezia, nonchè Danimarca e non fa ghiacciare il mare nonostante le basse temperature. Dopo le isole Åland cominciavamo a trovare il ghiaccio che diventava sempre più spesso. Ma avevamo un rompighiaccio che sempre a proravia della nostra nave frantumava la spessa coltre di ghiaccio e ci tracciava come una autostrada in modo che potessimo navigare sino a LULEÅ. A Luleå davamo solo un cavo a prora e uno a poppa senza nemmeno gli SPRING per tenere la nave in posizione all’ormeggio. Il ghiaccio, appena in posizione in banchina, ci attanagliava subito e nessuno poteva muoverci se non quando alla partenza, dopo avere scaricato il LOW SULPHUR FUEL, il rompighiaccio andando su e giù frantumava il ghiaccio che ci imprigionava sino poi a tracciare di nuovo la strada affinché potessimo seguirlo e uscire dal Golfo di Botnia. Il problema era quando qualche grosso peschereccio che si infilava nella nostra “AUTOSTRADA” tracciata dal rompighiaccio e dovevamo fare acrobazie per scartarlo e non affondarlo. A volte mi passavano di poppa a pochi centimetri, non metri …. Sia all’andata che al ritorno a seconda del galleggiamento la nostra carena aveva il colore “argento” perché durante la traversata di andata e ritorno da Lulea i pezzi di ghiaccio rotti picchiavano nella nostra carena e a seconda del galleggiamento la “lucidavano" nel vero senso della parola. Il freddo e il ghiaccio in coperta erano terribili e naturalmente il nostro prezioso carico di LOW SULPHUR FUEL andava sempre riscaldato attraverso le apposite serpentine di vapore che erano sul fondo delle cisterne. Non era una navigazione molto normale ma in mezzo ai ghiacci si ha l’impressione di navigare in un altro modo "quasi fatato" … e vi garantisco che era bellissimo!

Saluti a tutti Ernani Andreatta 

Comandante Carlo GATTI

Quando la "guardia"  in navigazione si faceva sulle alette...

In copertina: la “SATURNIA”  in tenuta polare durante una delle traversate dell’inverno Nord Atlantico - 1963

 

 

 

D.M. PINO SORIO

 

Aurora Boreale

Rian

 

 

 

 

The crew of U.S. Coast Guard Cutter Healy and the Geotraces science team have their portrait taken at the North Pole Sept. 7, 2015. Healy reached the pole on Sept. 5, becoming the first U.S. surface vessel to do so unaccompanied. Healy is underway in support of Geotraces, an international scientific endeavor to study the geochemistry of the world’s oceans. (U.S. Coast Guard photo by Petty Officer 2nd Class Cory J. Mendenhall)

 

 

 

 

 

 

 

 

 Australian I.B. AURORA AUSTRALIS

 

Towing trough the Cheasepeake Bay-Ice

 

 

 

 

 

Arthur-M-Anderson-rescue 2

 

 

Kaleen- MacAllister

 

 

USGC Icebreaker

 

 

 

Icebreakers meeting

 

 

Sisu

 

 

 

 

COME NASCE UN ROMPIGHIACCIO

Le foto sotto si riferiscono ai tre rimorchiatori rompighiaccio costruiti in Romania e dei quali il D.M. di Rapallo PINO SORIO ha seguito tutta la loro costruzione, dal taglio della prima lamiera alle prove nel Mar Nero - le prove di rottura dei ghiacci nel Mar Caspio - la loro consegna all’armatore russo.

 

Sopra e sotto - NEW AKER ICEBREAKER

 

 

 

H740-Mangystau

 

 

Rompighiaccio MANGYSTAU-2 - Prove antincendio nel Mar Nero

 

 

 

 

NAVIGARE TRA I GHIACCI - 1

https://www.marenostrumrapallo.it/ghiacci/

di Michele GAZZALE

 

NAVIGARE TRA I GHIACCI -2

https://www.marenostrumrapallo.it/ghiacci-2/

di Maurizio BRESCIA

 

 

NAVIGARE TRA I GHIACCI – 3

ROMPIGHIACCIO ATOMICO AL POLO NORD

https://www.marenostrumrapallo.it/ghiacci-3/

di Pino SORIO  (contiene il curriculum vitae dell'autore)

 

 

NAVIGARE TRA I GHIACCI - 4

STAZIONE PILOTI GÄVLE- BÖNAN - GOLFO DI BOTNIA

https://www.marenostrumrapallo.it/gaevle/

di Carlo GATTI

 

 

In crociera sulla nave rompighiaccio

https://www.nauticareport.it/dettnews/report/in_crociera_sulla_nave_rompighiaccio-6-8060/

 

 

ICEBERG - Un pericolo sotto controllo?

https://www.marenostrumrapallo.it/ice/

Per chi vuole saperne di più …. Riportiamo dal WEB:

LA BANCHISA

 

 

Immagine satellitare della Scandinavia in inverno. Visibili il golfo di Botnia e il Mar Bianco coperti dalla banchisa.

La banchisa, detta anche ghiaccio marino, banchiglia, è una massa di ghiaccio galleggiante, dallo spessore raramente superiore ai 3m, che si forma nelle regioni polari a causa delle basse temperature che provocano il congelamento delle acque marine superficiali.

La banchisa si forma quindi per il congelamento dell'acqua dell’oceano che, essendo salata, ghiaccia a circa -1.8 °C: il ghiaccio che ne scaturisce è comunque insapore, costituito da acqua non salata, in quanto durante il processo di congelamento i Sali minerali restano in soluzioni, lasciando che a congelare sia semplicemente l'acqua pura.

Le banchise più grandi si trovano nel Mar Glaciale Artico intorno all’Artide e nel Mar Glaciale Antartico attorno all’Antartide, dove sono permanenti, crescendo d’inverno e riducendosi d’estate. Nel Baltico, nella Baia di Hudson e in altre zone costiere dell’emisfero settentrionale, invece, la banchisa compare d’inverno e svanisce in primavera-estate.

Dalla banchisa non derivano gli iceberg: questi ultimi, infatti, hanno origine dalle piattaforme di ghiaccio galleggianti che, dalla costa, si protendono nel mare. Gli iceberg, alti anche molte decine di metri, derivano pertanto dalla neve compatta dei ghiacciai e quindi dall’acqua dolce continentale e non dal ghiaccio di origine marina della banchisa, alta per contro solo pochi metri.

A causa delle enormi quantità di acqua e della loro superficie, il comportamento delle due grandi banchise artica e antartica ha notevole importanza sulla circolazione termoalina e più in generale sui cambiamenti climatici, sia come indicatori di processo sia innescando processi di retroazioni.

Il ghiaccio a frittelle è la banchisa che è stata compressa dall'azione esercitata dalle onde su una sorta di nevischio dall'apparenza oleoso («frazil ice»), a sua volta generato a partire dai piccoli cristalli lenticolari. Le placche di questo giovane ghiaccio di un solo anno di vita raggiungono 1,5m-2m di spessore

Anche se essa si forma su qualunque mare in cui la temperatura scenda sotto i -1,8 °C, quando si parla di banchisa quasi sempre si fa riferimento alle due grandi banchise polari: quella situata nell’Artico e quella situata intorno all’Antartico.

  • La Banchisa Artica raggiunge a marzo i 15 milioni di km² mentre a settembre scende a 6,5 milioni di km². Da qualche anno perde un po’ della sua estensione ad ogni ciclo, fatto che viene attribuito al riscaldamento globale e che potrebbe portare nel tempo alla sua scomparsa nel periodo estivo.

  • La Banchisa Antartica si riduce fortemente nell’estate australe, riformandosi in inverno e raggiungendo una estensione pari a quella del continente antartico: in settembre raggiunge i 18,8 milioni di km² mentre in marzo scende a soli 2,6 milioni di km².

 

Tipi di banchisa

Ci sono due tipi di banchisa:

  • quella detta ghiaccio fisso (da non confondere con le piattaforme di ghiaccio galleggianti) ovvero la banchisa attaccata alla costa, agganciata ad essa oppure impigliata nei fondali bassi della piattaforma continentale. A differenza della banchisa alla deriva, essa non si muove sotto la spinta delle correnti marine e dei venti.

  • quella alla deriva, che galleggia liberamente e consiste di lastroni di ghiaccio che fluttuano sulla superficie dell’acqua in balia delle correnti marine e dei venti dando vita spesso a canali navigabili: quando è unita insieme a formare grandi masse viene chiamata pack. Essa può muoversi liberamente o venire bloccata dalla banchisa attaccata alla costa.

 

Formazione

Il motivo principale della formazione della banchisa è il congelamento della sua superficie, essendo le precipitazioni nevose molto scarse nelle regioni polari, permanentemente interessate dalle alte pressioni del vortice polare. L’acqua si congela in superficie e non sul fondo del mare, dove non raggiunge mai temperature sufficientemente basse, stante il suo elevato calore specifico e, di conseguenza, la sua scarsa propensione a variare la temperatura. Essa comincia a solidificare a -1,8 °C e non a 0 °C come avviene per l’acqua pura a causa della sua salinità che ne diminuisce il punto di fusione. Si formano dapprima piccoli cristalli lenticolari di acqua pura (il sale rimane in soluzione), i quali vanno via via unendosi, formando un aggregato di ghiaccio.

 

Navigazione

La banchisa ovviamente costituisce un ostacolo alla navigazione marittima, possibile solo nel caso di pack cioè banchisa spezzata attraverso i canali navigabili formatisi e con scafi sufficientemente robusti o attraverso le cosiddette navi rompighiaccio che a seconda della loro potenza propulsiva e opportuni scafi sono in grado di spezzare la banchisa fino a qualche metro di spessore. Non è infrequente che qualche nave in navigazione (es. navi di ricerca scientifica e a volte gli stessi rompighiaccio) nei mari polari rimanga intrappolata tra i ghiacci alla deriva o in formazione.

Fusione della banchisa

Inoltre il ghiaccio bianco della banchisa, sebbene sottile, è molto riflettente, contribuendo significativamente all’albedo del nostro pianeta, ossia alla quantità di radiazione solare che viene rispedita nello spazio per riflessione, rappresentando uno dei parametri climatici più importanti. Di conseguenza, la diminuzione stagionale o durante le fasi interglaciali dell’albedo ai poli, per effetto dello scioglimento della banchisa, comporta una minor riflessione dei raggi solari con effetto di feedback positivo e quindi un ulteriore riscaldamento. All'opposto durante la formazione invernale e le ere glaciali, all'aumento dei ghiacci corrisponde un aumento dell’albedo che aumenta la riflessione facendo diminuire la temperatura con effetto di feedback positivo e conseguente ulteriore aumento dei ghiacci.

Una funzione importante delle banchise, assieme alle calotte polari, è quella di fungere da regolatori termici degli oceani e del clima terrestre sul medio e breve periodo in quanto l'eventuale fusione del ghiaccio assorbe una quantità di calore pari al cosiddetto calore latente di fusione e viceversa nella sua formazione, agendo dunque da feedback negativo.

Lo scioglimento dei ghiacci delle banchise polari, diversamente da quanto si crede, non porterebbe invece ad alcun aumento del livello dei mari e oceani, in quanto si tratta di ghiaccio galleggiante su una superficie liquida e che ha un maggior volume della rispettiva acqua liquida in esso contenuta, facendo innalzare il livello dell'acqua per spinta di galleggiamento,  mentre il suo eventuale scioglimento porterebbe invece ad una diminuzione del volume complessivo in assenza di tale spinta, come accade per un cubetto di ghiaccio in un bicchiere riempito con liquido. Diverso invece è il caso delle Calotte glaciali (Antartide e Groenlandia)) e dei ghiacciai che invece poggiano sulla crosta terrestre.

Pur tuttavia lo scioglimento o meno delle banchise polari rappresenta un fenomeno che può essere correlato con la temperatura globale di oceani e atmosfera sia nel breve periodo (stagionale) sia nel lungo periodo (trend climatico) rappresentando un indicatore di possibili eventi meteorologici e mutamenti climatici.

CATEGORIE DI ROMPIGHIACCIO

  1. e agg. inv. [sec. XIX; impt. di rompere ghiaccio]. Ciascuna delle unità speciali, dette anche navi rompighiaccio, destinate a operare aprendosi un varco fra i ghiacci. Le navi rompighiaccio sono state concepite allo scopo di favorire la navigazione nei mari glaciali, aprendo rotte lungo le coste settentrionali dall'Alaska all'Europa alla Siberia, e in quei mari (o quei laghi) che durante l'inverno gelano (per esempio il Baltico).

Tecnica: criteri costruttivi

Il primo rompighiaccio, l'Ermak, venne ideato dal russo S. O. Makarov nel 1898 secondo criteri costruttivi e operativi ancor oggi adottati: lo scafo presenta strutture particolarmente robuste lungo la linea di galleggiamento (per resistere alle spinte laterali di compressione dei ghiacci) e a prora, zona di impatto con i ghiacci; ha basso rapporto lunghezza-larghezza (fra 4 e 4,6 in media), il che dà alla nave forme tondeggianti, le più idonee per formare un canale fra i ghiacci; l'inclinazione della ruota di prora è studiata per la specifica funzione che svolge il rompighiaccio e ha, quindi, un piè di ruota molto robusto e a ripida inclinazione in modo da facilitare il disimpegno dai ghiacci. I moderni rompighiaccio sono attrezzati con casse di zavorra laterali le quali permettono alla nave, facendo circolare acqua da un lato all'altro, di oscillare e quindi di liberarsi dalla morsa dei ghiacci. I rompighiaccio debbono avere una notevole autonomia e un complesso di attrezzature e servizi di bordo idonei alle particolari condizioni di lavoro e di navigazione: in particolare sono dotati di apparati motore Diesel-elettrici, che hanno grande elasticità di funzionamento e bassi consumi; di un'alta coffa provvista di un duplicato degli strumenti di governo della nave e, sulle navi più grandi, di uno o più elicotteri; di lanciabombe o di cannoni per abbattere eventuali ostacoli rappresentati da ammassi di ghiaccio; di specializzati servizi di soccorso e pronta assistenza e di perfezionati apparati per la navigazione e il rilevamento dei ghiacci anche in condizioni di visibilità nulla. L'alta coffa e gli elicotteri sono essenziali sia per individuare ostacoli sia per indirizzare la nave lungo la rotta ottimale: i rompighiaccio, infatti, debbono aprirsi un varco il più rettilineo possibile ed entro il minore spessore di ghiaccio; le navi più piccole lavorano per urto, fendendo il ghiaccio con la prora a mo' di cuneo; quelle maggiori agiscono, se necessario, spaccando i lastroni col proprio peso, cioè sormontandoli di prora. Se il ghiaccio ha spessori superiori ai 2,5 m si deve operare con entrambi i metodi eseguendo una successione di manovre a “lisca di pesce”, se del caso indebolendo la massa con lancio di cariche esplosive. Essenziale, per il compito che devono svolgere i rompighiaccio, è un elevato rapporto tra la stazza e la potenza motrice: alla nave, infatti, è richiesta la possibilità di manovra in acque ristrette, un'elevata accelerazione per ottenere il massimo abbrivio in poco spazio, una potenza di trazione all'indietro pari a quella in avanti. Le prestazioni di un rompighiaccio hanno portato alla realizzazione di eliche appositamente studiate per le manovre di attacco ai ghiacci: esse hanno diametro moderato, con elevato rapporto del passo col diametro; sono di norma a tre pale ampie, corte e robuste, fatte in acciaio speciale a elevata resistenza; sono sempre del tipo a passo variabile. Le eliche sono sistemate in un'ampia luce diametrale rispetto alla carena per evitarne il bloccaggio a causa del ghiaccio; vengono poste di solito due a poppa e una a prora, oppure tre a poppa, con quella centrale di potenza doppia rispetto alle altre due; l'elica di prora offre il vantaggio di facilitare la rottura dei ghiacci per effetto della depressione causata sotto di essi in seguito al moto di aspirazione dell'acqua; di contro è più soggetta a danni proprio per la sua posizione in avanti.

Classificazione: categorie e prestazioni

I rompighiaccio sono distinti in tre categorie: per acque interne, per zone costiere e spessori di ghiaccio non superiori a 1,5 m, per mari glaciali e spessori di ghiaccio oltre i 2,5 m; i primi hanno stazza massima fino a 4000 t e potenze fino a 10.000 CV; i secondi stazza fino a 8000 t e potenze anche superiori ai 14.000 CV; i terzi hanno stazza superiore alle 10.000 t e potenze superiori ai 20.000 CV; viene anche impiegata la propulsione nucleare, sia con impianti turboelettrici (rompighiaccio della classe Lenin, stazza 16.000 t, potenza 56.000 CV), sia con impianti turboriduttori, come nei più recenti rompighiaccio delle classi Arktika e Sibir; questi ultimi hanno rispettivamente lunghezze di 152 e 165 m, larghezze di 23 e 28 m, immersione di 8 e 9,2 m; le stazze sono rispettivamente di 25.000 e 28.000 t mentre la potenza viene fornita da coppie di reattori nucleari con turboreattori ciascuno di 36.000 e 40.000 CV rispettivamente; questi rompighiaccio nucleari hanno un'autonomia operativa di oltre tre anni e capacità di aprire un canale largo 30-40 m nei ghiacci con spessore fino a 4 m, navigando alla velocità di 4-6 nodi. L'incremento del traffico lungo rotte commerciali in mari ghiacciati per parte dell'anno e lo sfruttamento di risorse minerarie, specialmente petrolio, nell'area del Mar Glaciale Artico, ha portato alla realizzazione di navi passeggeri e da carico (alla rinfusa e petroliere) abilitate alle funzioni di rompighiaccio; tali navi presentano prora e carena analoghe a quelle dei rompighiaccio, mentre il loro apparato motore, di norma costituito da turbine a gas, fornisce potenze doppie rispetto a navi di uguale stazza; esse operano la rottura del ghiaccio mediante il loro peso, cioè sormontandolo. Il primo traghetto entrato in servizio, il finlandese Finnjet, ha una stazza di 23.000 t e una potenza motrice di 75.000 CV, che gli consente di procedere in mare libero da ghiacci alla velocità di crociera di oltre 30 nodi e in mare ghiacciato con spessore fino a 1 m a oltre 6 nodi. Varie sono le navi cisterna oggi in servizio sulle rotte polari, alcune delle quali con stazza superiore alle 100.000 t: esse hanno apparati motori di oltre 200.000 CV e sono in grado di transitare quasi tutto l'anno tra i ghiacci, che frantumano grazie al loro rilevante peso. Oltre ad alcune navi portarinfuse, come l'Arctic canadese da 35.000 t di stazza e potenza installata di 105.000 CV, vi sono anche navi da guerra in grado di operare quali rompighiaccio, come gli incrociatori nucleari lanciamissili russi della classe Kiev.

I appartenenti alla classe Arktika (progetto 10520 secondo la classificazione russa) costituiscono la spina dorsale della flotta rompighiaccio russa. Si tratta delle più grandi unità del loro tipo esistenti oggi al mondo. Queste navi presentano alcune differenze tra loro, essendo state varate in un periodo di circa 30 anni. In generale, comunque, le unità più moderne sono più grandi e veloci, e richiedono un equipaggio meno numeroso.

I rompighiaccio classe Arktika hanno il doppio scafo. Lo scafo esterno ha uno spessore di 48 mm nelle parti in cui deve rompere il ghiaccio, ed uno spessore minimo sempre rispettato di 25 mm. Inoltre, tra lo scafo esterno e quello interno c’è una zavorra d’acqua, che può essere spostata per aiutare la nave durante le operazioni di rottura. Queste operazioni sono inoltre facilitate da un sofisticato sistema di aria compressa, in grado di liberare nove getti d’acqua a 24 m³/s sotto la superficie. Alcuni esemplari hanno inoltre sullo scafo un rivestimento polimerato per ridurre l’attrito. La grande potenza, nonché le dimensioni di queste unità, permettono loro di rompere il ghiaccio in maniera continuativa navigando sia in avanti, sia all’indietro. La potenza dell’impianto propulsivo è tale che i rompighiaccio della classe Arktika, durante la navigazione, utilizzano un solo reattore. L’altro è tenuto di riserva.

Tuttavia, la grande potenza dei reattori è anche un limite all’operatività di queste navi. Infatti, per mantenere i reattori alla giusta temperatura, sono costrette a navigare in acque fredde: per questa ragione, non possono superare i tropici per dirigersi nell’emisfero meridionale.

Alcune navi sono in grado di imbarcare uno o due elicotteri. Estremamente completo è l’apparato di comunicazione imbarcato, che consente la ricezione di email, e permette di comunicare con il mondo grazie al satellite. Inoltre, a bordo sono presenti anche telefono e fax.

Vi sono alcune unità di questa classe, poi, che sono particolarmente attrezzate per il turismo artico (in particolare le ultime). La dotazione “turistica” prevede piscina, sauna, cinema, palestra, infermeria e libreria. Inoltre, nel ristorante di bordo, c’è un bar ed attrezzature per concerti dal vivo. Infine, sullo Yamal c’è anche un campo da pallavolo.

Il servizio

Tutte le unità sono state costruite nei cantieri navali di San Pietroburgo. Ne sono state varate sei, di due versioni (progetto 10520 e progetto 10521). Tra le varie unità ci sono diverse differenze, visto il lungo arco di tempo (circa 30 anni) che ha separato il varo della prima e dell’ultima unità della classe. In generale, si può dire che le unità più moderne sono le più grandi e veloci, richiedono meno equipaggio e sono più attrezzate per il turismo artico.

Oggi, le due unità più vecchie non sono operative. Questo sia a causa di problemi legati all’età (hanno circa 30 anni), sia per problemi economici. Infatti, visto l’attuale volume di traffico nell’Artico, non è conveniente tenere operative ben sei navi di questo tipo. Di conseguenza, sono prevedibili tagli nell’organico e, vista l’età degli esemplari più anziani, è probabile che saranno questi i primi ad essere posti in disarmo.

L’ultimo esemplare entrato in servizio, il 50 Let Pobedy

  • NS Arktika: entrato in servizio nel 1975, è stata la prima nave di superficie al mondo a raggiungere il Polo Nord (17 agosto 1977). Attualmente non è operativo, ed è ormeggiato ad Atomflot per riparazioni. Tra le altre cose, i reattori nucleari e le turbine devono essere completamente revisionate perché non soddisfano gli standard di sicurezza stabiliti per i reattori nucleari più recenti dei rompighiaccio. I reattori della Arktika hanno oltre 150.000 ore di servizio, ed occorre valutare se vi sono margini per altre 25.000 o più ore.

  • NS Sibr: entrato in servizio nel 1977, attualmente è fermo ad Atomflot. Tuttavia, i motivi stavolta non sono tecnici, ma economici: se non ci sarà un significativo aumento del trasporto nell’Artico, sarà posto in disarmo.

  • NS Rossiya: entrato in servizio nel 1985, è stato il primo rompighiaccio atomico sovietico a portare a bordo cittadini non appartenenti a Paesi comunisti (40 tedeschi occidentali nel 1990). Revisionato nel 2004, è in grado di trasportare due elicotteri.

  • NS Sovetskiy Soyuz: entrato in servizio nel 1990, nel 1998 rimase intrappolato per tre giorni nei ghiacci. Prese parte alla spedizione del 2004 nel cuore dell’Artico per misurare gli effetti dei cambiamenti climatici. Un operatore turistico lo ha in listino per crociere al Polo Nord.

  • NS Yamal: entrato in servizio nel 1993, è molto usato per spedizioni turistiche e scientifiche. Ha 50 cabine per i passeggeri, ed imbarca un elicottero. L’equipaggio è di 150 uomini. È stata la dodicesima nave di superficie ad aver raggiunto il Polo Nord.

  • NS 50 Let Pobedy: si tratta dell’ultima unità della classe costruita (Progetto 10521). La sua costruzione è iniziata nel 1989. Il nome iniziale era NS Ural, ma in seguito è stato rinominato NS 50 Let Pobedy (letteralmente: 50º Anniversario della Vittoria). L’intenzione era farlo entrare in servizio nel 1995, in occasione, appunto, del 50º anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale. Lo scafo è stato varato nel 1993, ma l’allestimento fu sospeso poco tempo dopo per motivi economici. La costruzione è ripresa nel 2003, e la nave è stata completata all’inizio del 2007. Le prove in mare si sono svolte dal primo febbraio nel Golfo di Finlandia. Il viaggio inaugurale, verso Murmansk, si è svolto nel mese di marzo. Durante il viaggio è emersa la grande manovrabilità della nave, nonché la sua alta velocità (21,4 nodi). La nave è arrivata l'11 aprile 2007. La nuova nave è molto diversa rispetto alle precedenti. Infatti, è stato aggiunto un modulo ambientale per il trattamento dei rifiuti che ha allungato lo scafo di 9 metri, aggiunti ai 159 che già c’erano: ora, è la più grande dei rompighiaccio classe Arktika, e quindi, la più grande del mondo. L’equipaggio è di soli 138 uomini, e può imbarcare due elicotteri Ka-32. Inoltre, è dotata di tutti i comfort per le crociere nell’Artico.

A cura di Carlo GATTI

Rapallo, 9 Marzo 2023


Aprile 1940 - CONTINUA L'INVASIONE DELLA NORVEGIA - PARTE SECONDA

APRILE 1940

CONTINUA L'INVASIONE DELLA NORVEGIA ...

PARTE SECONDA

Una nuova ondata d’invasione…. ma questa volta sono gli ALLEATI!

 

LA PRIMA BATTAGLIA DI NARVIK PER GLI INGLESI

10 APRILE 1940

 

 

La Prima Battaglia Navale di Narvik del 10 Aprile 1940

 

   9.4.40 - Dieci cacciatorpediniere tedeschi arrivarono per primi a Narvik. Il giorno successivo, il   10.4.40 - Giunsero cinque cacciatorpediniere inglesi ed ebbe inizio la Prima Battaglia di Narvik.                                                                                                           

P.g.c. War Museum-Narvik

 

Sbarcato il contingente per l’occupazione di Narvik, i dieci cacciatorpediniere germanici avrebbero dovuto rifornirsi di carburante e ripartire subito. Delle due cisterne inviate in anticipo sul posto, una aveva dovuto autoaffondarsi per non cadere in mani britanniche. L’altra era comunque insufficiente per adempiere quel compito.

Per questo o per altri motivi mai chiariti, i dieci caccia rimasero in zona. Come si vede dal disegno, cinque erano ormeggiati nella baia di Narvik (Z-17 D.V.Roeder/ Z-19 H.Kunne/ Z-18H Ludemann/ Z-21WHeidkamp/ Z-22 A.Schmitt), gli altri, come vedremo, si trovavano al riparo nei fiordi laterali. Il capitano di vascello B.A.W Warburton-Lee, comandante la 2° Destroyer Flottila con insegna sull’HMS Hardy, al mattino del 9.4.40 ricevette l’ordine dall’ammiraglio Forbes al comando dell’Home Fleet, di affondare e catturare le navi nemiche che si trovavano nell’Ofotenfjord. Ma fu soltanto verso mezzogiorno che informazioni più accurate dell’Ammiragliato pervennero a Forbes. Erano presenti almeno 6 caccia tedeschi e non uno soltanto come precedentemente asserito. La scelta se proseguire o abbandonare l’attacco fu lasciato al comandante Warburton-Lee che attinse nuovi aggiornamenti tattici dai piloti di Tranoy. Alle 18.00 comunicò: “Proseguo l’azione, attaccherò domani con l’alta marea”.

Alle 03 del mattino del 10, i caccia HMS Hunter, Havock, Hotspur e Hostile, guidati dall’Hardy entrarono nel canale lungo 51 miglia e largo 2 che dal Vestfjord conduce all’Ofotfjord. A causa della scarsa visibilità, la formazione non fu avvistata. L’Hotspur e lHostile rimasero in retroguardia secondo gli ordini, mentre gli altri tre diressero a tutta forza verso il porto di Narvik, giungendovi di sorpresa alle 04.30.

Alla banchina della Posta erano ormeggiati i caccia Z-21 W.Heidkamp e lo Z-22 A.Schmitt. Il primo fu colpito con un siluro dellHardy causando la morte del commodoro tedesco. Il secondo affondò a cannonate; i caccia inglesi coninuarono il tiro sulle navi da carico tedesche. Gli altri caccia germanici, superata la sorpresa iniziale, cominciarono a loro volta ad inquadrare gli inglesi ed a sparare contro l’Havock senza colpirlo. I cinque caccia inglesi si ritirarono per  compattarsi con gli altri due caccia e nuovamente  tornarono in cinque ad attaccare nuovamente le unità tedesche e l’Hotspur  fece altre due vittime. Seguì una seconda ritirata e poi un terzo attacco verso Narvik; ma questa volta doveva rivelarsi una sconfitta per le unità britanniche.

Diversi caccia tedeschi, che si erano ormeggiati nei fjordi laterali, raccolsero l’allarme dei loro compagni e alle 05.30 tre  “Zestroer(Z-12 G.Gieze/ Z-13 E.Koellner / Z-9 W.Zenker) iniziarono a muovere da Bjervik verso il nemico, dopo dieci minuti altri due uscirono da Ballangen (Z-2 G.Thiele/ Z-11 B.V.Arnim) e presero gli inglesi tra due fuochi. L’Hardy fu colpito in plancia dallo Z-2 e fu ucciso il comandante Warburton-Lee. Il caccia si arenò e poi affondò. Poco dopo l’Hunter fece la stessa fine, anche questo sotto i colpi dello Z-2.

Alle 06.30 terminò lo scontro si può dire in “parità” (2 a 2) per quanto riguarda i caccia, ma vi era da mettere in conto da una parte i sei piroscafi affondati dagli inglesi e dall’altra l’HMS Hotspur che uscì malconcio dallo scontro. C’è da aggiungere inoltre che quando i tre caccia inglesi stavano per uscire verso il mare aperto incontrarono la nave tedesca Rauenfels  ed il giorno dopo anche la Alster dirette al rifornimento del contingente di Narvik. La prima era carica di armi e munizioni, fu presa a cannonate e saltò in aria, la seconda era carica di automezzi e fu affondata. Le due perdite causarono  gravi conseguenze per la loro missione del Corpo di spedizione tedesco.

 

 

Il porto di Narvik dopo l’attacco di cinque cacciatorpediniere britannici del 10 aprile 1940, che affondarono due unità da guerra e quasi tutte le navi da carico tedesche che si trovavano all’ancora (vedi foto). Poi, tre giorni dopo, gli inglesi tornarono alla carica, e mandarono a picco il resto del naviglio germanico. Ma non sapranno sfruttare l’esito favorevole dell’operazione, e la riconquista di Narvik avverrà solo di lì a un mese e mezzo, grazie a un Corpo di 25.000 uomini, composto in prevalenza di Norvegesi, Polacchi e Francesi.                                

 (Foto di repertorio)

 

LA SECONDA BATTAGLIA DI NARVIK PER GLI INGLESI

 

 

La Seconda Battaglia Navale di Narvik del 13 Aprile 1940

 

Questo disegno schematico fotografato nel Museo della Guerra di Narvik, riproduce l’attacco UK condotto dalla nave da battaglia Warspite e da nove cacciatorpediniere. Gli inglesi arrivarono in forze e costrinsero i tedeschi ad una ritirata strategica sui monti circostanti dove subirono una controffensiva degli alleati.                                                                       P.g.c. War Museum-Narvik

 

Gli inglesi, temendo la presenza di un incrociatore pesante tedesco e sopratutto la presenza di U-Boote inviati a sostegno dei caccia intrappolati, organizzarono una seconda spedizione con il compito di spazzare via definitivamente i tedeschi da Narvik. Nella notte del 13, l’ammiraglio Whitworth trasbordò sulla corazzata Warspite che ebbe l’incarico di guidare l’attacco con l’appoggio di 9 caccia, tra cui 4 della classe Tribals. Il giorno dopo, con visibilità ridotta a causa di nevicate e piovaschi intermittenti, la squadra entrò nel Vestfjord a 10 nodi di velocità.

 

La nave da battaglia HMS Warspite in una foto di poco successiva ai fatti di Narvik

P.g.c. Foto Storia Militare

 

Formazione d’attacco: Hero, battistrada, con ai fianchi il Forester e l’Icarus (dotati di paramine); poi, su due file, Cossack, Kimberly, Foxhound (a sinistra) e Bedouin, Punjabi, Eskimo (a dritta); infine la corazzata Warspite, che alle 11.52, a 5 miglia da Baroy, che si trova sull’imboccatura del canale che immette nell’Ofotenfjord, catapultò il suo idro Swordfish con a bordo l’osservatore tenente di vascello C.Brown, oltre al pilota, il mitragliere ed un carico di 750 kg di bombe.

L’attacco.  La prima vittima dello scontro fu lo Z-13 (E.Koellner) che si era piazzato di guardia un paio di miglia a ponente del Ballangenfjord e fu avvistato dall’aereo, nonostante una cappa di nuvole. Erano le 12.30 quando i Tribals, sulla dritta, risposero al fuoco ed ai lanci del caccia tedesco che in breve tempo fu ridotto ad un rottame in fiamme. Lo stesso Warspite gli diede il colpo di grazia.

Lo Swordfish si era nel frattempo inoltrato sino a Bjervik, dove individuò l’U-64 (un battello oceanico del tipo “IX”). L’aereo s’abbassò a 100 metri e lanciò due bombe che causarono l’affondamento immediatao del sommergibile. I caccia tedeschi reagirono spingendosi incontro al nemico tentando una disperata difesa con i cannoni e con i siluri; due di questi mancarono per poco il Cossack ed il Warspite. Ben presto tuttavia esaurirono le munizioni e si videro costretti a cercare scampo nei fjordi laterali: lo Z-19 verso l’Herjangsfjord, ma fu inseguito ed affondato dall’Eskimo; Z-9 e Z-11 s’addentrarono nel Rombakfiord protetti dallo Z-18  che aveva ancora colpi disponibili. Questi ingaggiò il Punjabi e gli mise a bordo 6 granate causando 7 morti, molti feriti e danni così gravi da costringere l’unità britannica a rimanere ferma e senza difesa per circa un’ora. Anche il Cossack rischiò altrettanto, avendo ricevuto ben 12 colpi nell’arco di 10 minuti. Dopo questi risultati, lo Z-18 si ritirò nel Rombaksfjord.

 

Il caccia tedesco Erich Giese Z-12 in affondamento nell’Ofotfjord il 13.4.1940

 

Un altro caccia, Erich Giese Z-12, che aveva mollato gli ormeggi da Narvik per soccorrere i compagni, cadde invece sotto il fuoco concentrato dell’avversario, s’incendiò e cominciò ad andare alla deriva nell’Ofotenfjord e poi ad incagliarsi; un siluro lanciatogli contro sbagliò il bersaglio e rischiò di colpire il Cossack che si trovava a non troppa distanza.

La formazione inglese diresse ancora più in profondità in cerca di prede. In porto trovarono soltanto lo Z-17 (D.V.Roeder) deciso a difendersi strenuamente dall’attacco dei caccia Cossack, Foxhound, e Kimberly. A questo punto è interessante notare l’avventura del Cossack che fu il primo a subirne la dura reazione, costatagli 11 caduti, oltre una dozzina di feriti e danni così gravi da renderlo ingovernabile e farlo incagliare su un relitto sommerso. Il Kimberly tentò inutilmente di disincagliarlo mentre il caccia inglese era sotto il tiro delle mitragliatrici di terra. Provvide l’alta marea all’indomani, dopo che i siluri erano stati trasferiti sullo Zulu e le munizioni sul Beduin. Le maestranze norvegesi si adoperarono per rimetterlo in navigazione ed il caccia lasciò Narvik e ragiunse Portsmouth il 30 aprile, dopo una traversata difficile a causa di continue infiltrazioni d’acqua a prora. Tornò  in linea il 15 giugno successivo. Lo Z-17 saltò in aria sotto il tiro degli altri due caccia e del Warspite.

Erano trascorse circa tre ore da quando l’instancabile Swordfish era decollato dalla sua nave. Le sue continue picchiate a bassa quota tra le nuvole burrascose e i fumi degli incendi, rasentavano le pareti dei fiordi e mettevano a dura prova la resistenza dei tre uomini d’equipaggio: l’osservatore, tenente di vascello C.Brown, il pilota e il mitragliere. Ma questa ricerca affannosa portò a dei risultati che determinarono una rapida svolta della battaglia. L’aereo avvistò i caccia tedeschi che si erano rifugiati nel Rombaksfjord: Z-9, Z-11, Z-18 e lo Z-2 che aveva affondato l’Hardy e lHunter  tre giorni prima.

 

Round Finale

I caccia inglesi Eskimo, Forester, Hero, Ikarus e Bedouin furono incaricati di porre fine alla Seconda Battaglia di Narvik. Vicino all’imboccatura del fjordo si trovavano lo   Z-2  sottocosta, e lo Z-18 che si era messo di traverso per proteggere la ritirata dei compagni. L’audace manovra, stava per concludersi con una inevitabile collisione con entrambi i caccia inglesi, a causa anche della scarsa acqua di manovra. L’intrepido caccia tedesco Z-18 riuscì a lanciare tre siluri che l’Eskimo riuscì ad evitare  per la bravura del suo timoniere, ma con tanta fortuna del suo comandante.

 

 

Il cacciatorpediniere Eskimo F-75 senza prora dopo aver ricevuto un siluro lanciato dal Georg Thiele Z-2.

         Foto Storia Militare-Settembre 2004

L’affondo dei caccia inglesi continuò in direzione dello George Thiele Z-2 che centrato da numerosi colpi prese fuoco, ma fu lo Swordfish a dargli il colpo di grazia con l’ultima bomba rimastagli sotto la fusoliera. A questo punto successe qualcosa d’incredibile: per evitare l’affondamento, il caccia tedesco diresse, con la poca forza che gli restava, verso l’incaglio. In questa delicatissima fase riuscì a lanciare ancora quattro siluri, uno dei quali staccò di netto la prora dell’ex-fortunato Eskimo che subì ingenti perdite tra il suo equipaggio. Il caccia inglese riuscì a trascinarsi faticosamente verso l’imboccatura del fiordo, dove rimase a galla grazie all’azione del suo equipaggio che improvvisò un provvidenziale jettison di tutto quanto potesse allegerirlo per non affondare.

Anche per l’Eskimo vi fu il contributo della manodopera norvegese, che rese possibile il definitivo distacco della prora. Frattanto, erano iniziati pesanti bombardamenti della Luftwaffe su Narvik, dai quali il caccia uscì sforacchiato a più riprese da schegge. Messo finalmente in condizioni d’affrontare il mare, il caccia UK partì a rimorchio il 31 maggio presentando la poppa alle onde. Giunse in patria il 4 giugno e  rimase ai lavori quattro mesi, tornando in attività a fine settembre.

Tre erano ancora i caccia tedeschi superstiti che avevano trovato rifugio in una insenatura protetta in fondo al fiordo, dalla quale avrebbero potuto lanciare con profitto i loro siluri contro gli attaccanti rimanendo indenni. Dal Warspite partì un ordine perentorio ai caccia:

La minaccia dei siluri va accettata. Il nemico dev’essere distrutto senza indugio. Prendete ai vostri ordini Kimberly, Forester, Hero e Punjabi ed organizzate l’attacco mandando per primo il caccia in migliori condizioni. Se necessario, speronate ed abbordate”.

A porre rimedio alla determinazione inglese di finire il lavoro... ci pensarono gli stessi tedeschi abbandonando uno Z in autoaffondamento, un altro che stava affondando, mentre il terzo  relitto fu raggiunto da un siluro dell’Hero.

Lo Swordfish dopo un incredibile volo di quattro ore, fu ripreso dal Warspite e l’ammiraglio Withworth nella propria relazione scrisse: “Le indicazioni fornite dal velivolo del Warspite sugli spostamenti del nemico sono state preziose. Dubito che mai fino ad oggi un aereo imbarcato sia stato impiegato così proficuamente come in questa operazione”.

La nave ammiraglia inglese, temendo la presenza di U-Boote nei fiordi vicini, anzichè sbarcare i “Royal Marines” e i “Bluejackets a Narvik prese il largo scortato da sei dei nove caccia con cui era entrato. A Narvik rimasero l’Eskimo, il Cossack ed il Kimberly che lo assisteva. Nel Vestfjord, la formazione fu attaccata  dal U-48 che lanciò siluri da breve distanza contro il Warspite e due caccia. Tutto si concluse con un nulla di fatto, ma il bilancio finale avrebbe potuto cambiare i numeri in extremis.

 

 

A distanza di settant’anni da quei tragici avvenimenti, lo scafo rovesciato dello “George Thiele” Z-2 oggi ci appare così, aggrappato agli scogli del Rombaksfjord come un naufrago che non vuole morire sotto lo sguardo pietoso delle betulle che lo accarezzano. E’ singolare il desiderio di sopravvivenza che pervade questo indomito guerriero germanico che fu un vero incubo per le navi di sua Maestà, avendo affondato lHardy e l’Hunter  e messo  fuori combattimento l’Eskimo per lungo tempo.                                                                                                     (Foto dell’autore)

 

La formazione navale inglese composta di numerosi caccia e della corazzata Warspite, affondò in più riprese i dieci cacciatorpediniere che avevano sbarcato il contingente tedesco a Narvik. Gli inglesi persero due caccia e ne ebbero altri due gravemente danneggiati. Queste pesanti perdite navali non impedirono ai tedeschi di posizionarsi sulle teste di ponte conquistate e cominciare l’avanzata verso l’interno. Circa duemila marinai tedeschi di queste unità abbandonate, scapparono sui monti e si unirono alle truppe di Dietl.

 

 

 

Un particolare del relitto del caccia tedesco Bernd von Arnim Z-11 che si è autoaffondato.  Durante gli scontri del 10 e del 13 aprile l’unità non venne mai colpita.

 

Nella foto in alto, il George Thiele Z-2 incagliato all’imboccatura del Rombanks Fjord il 13 aprile 1940. Poco dopo il caccia fu fatto saltare e successivamente il relitto “scivolò” in acque profonde, ma poi riemerse il relitto come abbiamo già visto. 

- Nella foto centrale, il caccia Roeder Z-17 danneggiato dal tiro britannico il 10 aprile. Dalla foto si rileva che sono già iniziati i lavori di riparazione che però non potranno essere conclusi in quanto, tre giorni dopo, l’unità andrà perduta.

- Nella foto in basso, un cacciatorpediniere tedesco alla fonda davanti a Narvik. Dovrebbe trattarsi del Kunne Z-19 o, più probabilmente, dello stesso Z-17 della foto precedente.

I caccia tedeschi Zenker Z-9, von Armin Z-11 e Lundemann Z-18, autoaffondatisi in acque basse sul fondo del Rombaks Fjord il 13 aprile 1940

                                                                                                               P.g.c. Storia Militare

 

 

Narvik. Le navi affondate presso la banchina di Fagerne: HÅLEG, LIPPE, KELT.

 

Narvik. Navi semiaffondate presso il molo dei minerali. Da sinistra:

FRIELINGHAUS, PLANET, JAN WELLEM.

 

In questo plastico fotografato nel War Museum di Narvik, vengono riportate con dei modellini le posizioni delle navi affondate davanti al porto di Narvik. In alto a sinistra si nota il Molo di Minerali. In alto un po’ più a destra il Molo della Posta. I modellini pitturati di verde rappresentano le navi da guerra.

 

ELENCO DELLE NAVI AFFONDATE A NARVIK

 

Nr. Bandiera Nome Nave Tipo Armatore Compartim Stazza L. t. Anno

Costr.

1 Norvegia

D.S. Cate B

n.carico Th. Brovig Farsand 4.285 1920
2 -“-

D.S. Eldrid

-“- Eldrid Backe Trondheim 1.712 1915
3 -“-

D.S. Saphir

-“- Sk.Edv.Endresen Stavanger 4.306 1905
4 -“- D.S. Manlegg -“- A/Havilde Skien 1.758 1922
5 -“-

Norge

militare Marina Norvegia 1898
6 -“-

Eidsvold

-“- -“-          -“- 1898
7 -“- Michael Sars -“- -“-          -“- 1900
8 -“-

Kelt

-“- -“-          -“- 1925
9 -“-

Senia

-“- -“-          -“- 1937
10 Svezia

Boden

cargo Trafik AB Gräng.Oxelös. Stockholm 4.264 1914
11 -“-

Oxelae-

sund

-“- -“- -“- 5.613 1923
12 -“-

Strassa

-“- -“- -“- 5.602 1921
13 -“-

Torne

-“- -“- -“- 3.792 1913
14 -“-

Diana

-“- -“- -“- 213  Staz.N. 1922
15 -“-

Styr

bjørn

-“- -“- -“- 167  Staz.N. 1910
16 Olanda

Bernisse

-“- P.A von Es-co Rotterdam 951  Staz.N. 1915
17 U.K.

Blythmoor

-“- Moor Line Ltd. London 6.581 1922
18 -“- Mersingto Court -“- Court Line Ltd. London 5.141 1920
19 -“- North Cornwall -“- North Shipping Co. Ltd. Newcastle 4.304 1924
20 -“-

Riverton

-“- Carlton S/S co. Newcastle 5.378 1928
21 -“-

Romanby

-“- Ropner Sh.Co. Hartlepool 4.887 1927
22 Germania

Aachen

-“- Norddeutscher  Lloyd Bremen 6.388 1923
23 -“-

Altona

-“- Hamburg-Amerika-Packett A/G Hamburg 5.398 1921
24 -“-

Bockenheim

-“- Umterweiser Rederei A/B Bremen 4.902 1924
25 -“-

Heyn Hoyer

-“- Hanseatische R. Hamburg 5.836 1937
26 -“-

Marta H.Fisser

-“- Fisser & von Dornum Emden 4.879 1911
27 Germania

Neuenfels

Cargo Deutche D/S Grs. Hansa Bremen 8.096 1925
28 -“-

Jan Wellem

-“- Henkel & Co. Wesermllm. 1921
29 -“-

Lippe

-“- Norddeutcher Lloyd Bremen 7.849 1917
30 -“-

Frielinghaus

-“- Fried. Krupp Bremen 4.339 1922
31 -“-

Planet

-“- Lacisz Reder. Hamburg 5.881 1922
32 -“-

Wilhelm Heidkamp

C/Torp Deutsche Kriegsmarine 1936
33

 

34

-“-

 

-“-

Anton Schmitt

Diedter V.

Roeder

C/Torp

 

C/Torp

Deutsche Kriegsmarine

Deutesche

Kriegsmarine

1936

 

 

1936

 

 

NARVIK - 2 giugno 1940

 I BOMBARDIERI TEDESCHI DISTRUGGONO  IL CENTRO CITTA’

 

 

Il fuoco ha raggiunto l’angolo della piazza principale, il cui spazio vuoto gli impedisce di espandersi e proseguire.

 

                         

                    

Le vecchie case di legno prendono subito fuoco, e il vento spinge le fiamme da sud a nord attraversando la città. Sullo sfondo il Fagernesfjell.

 

                                 

Da queste due immagini si vedono gli effetti del bombardamento dell’aviazione tedesca. Tutto ciò che era di legno andò distrutto, delle costruzioni di cemento rimasero soltanto rovine. La lunga strada che dal centro città arriva sino al porto è la Kongensgate.

                                               

Nel 1940 la città di Narvik aveva appena 38 anni di età. La sua area urbana era molto sviluppata e la “downtown” era caratterizzata da moderni negozi e lunghe file di eleganti e uniformi abitazioni di legno. Ma, come mostra la foto, subito dopo i bombardamenti, quasi tutto fu ridotto in rovina. Questo scenario durò per altri cinque anni di occupazione, sotto la bandiera con la croce uncinata che sventola  al centro di questa significativa ripresa fotografica.                  

                                                                                                                   P.g.c War Museum –Narvik

 

LE BATTERIE COSTIERE INSTALLATE PER IL CONTROLLO DEL TRAFFICO NAVALE  NEL  VESTFJORD – OFOTENFJORD

 

 

Il quadro generale rappresenta la localizzazione delle Batterie Costiere nella parte interna del Vestfjord e nell’Ofotenfjord. Riportiamo la fedele traduzione del sottotitolo: “Ciò che i tedeschi pensavano che noi (norvegesi) avessimo, e ciò che essi stessi installarono”. 

                                                                             

Nel settore Ovest del quadro sono rappresentate le posizioni  delle batterie costiere tedesche composte in prevalenza di cannoni navali. Engeløy: 1 vecchio cannone di U-BOOTE – 2 nuovi cannoni navali tedeschi – 1 vecchio cannone navale norvegese- 1 cannone d’artiglieria.

 

Nel settore centrale del quadro, sono rappresentate: le posizioni di n. 4 batterie costiere francesi a sud, mentre quelle a nord del canale Ofoten sono composte da cannoni navali tedeschi.

 

Nel settore Est del quadro che comprende Narvik, sono rappresentate: le posizioni di  2 batterie tedesche, n. 4 francesi ed 1 vecchio cannone norvegese che apparteneva ad una batteria di frontiera.                                                                                        

                                                                                                                 P.g.c. War Museum – Narvik

CONTINUA ......

 

Rapallo, 18 novembre 2022


IL MISTERO SULLO SCAMBIO D’IDENTITA’ DI DUE SOTTOMARINI AFFONDATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

IL MISTERO SULLO SCAMBIO D’IDENTITA’ DI DUE SOTTOMARINI

AFFONDATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

 

La storia inizia quando il 18 aprile del 1943 il REGENT, un sommergibile inglese costruito nel 1930, affonda dopo aver urtato una mina di profondità al largo della costa pugliese. Tre anni prima, il 5 ottobre del 1940 lo stesso sommergibile a circa 10 miglia dal mare di Bari affondò la nave italiana Maria Grazia. Da quel 18 aprile del 1943 tutti hanno sempre creduto che il relitto, che giace nelle acque della Bat (E' una provincia italiana della Puglia settentrionale che conta 391.556 abitanti. Il capoluogo è congiunto fra le città di Barletta, Andria e Trani), meta anche di tanti subacquei sportivi, fosse proprio quello del sommergibile affondato nel 1943. Soprattutto dopo il 1999 quando alcuni sub scoprirono il relitto in fondo al mare: una notizia che destò molto clamore in Gran Bretagna tanto da diventare un vero e proprio sacrario militare in mare. Le famiglie dei militari britannici andavano ogni anno a pregare nel porto pugliese.

 

Il team di subacquei, dopo diverse immersioni sul sito e dopo numerose ricerche, ha accertato che quel relitto non è del sommergile inglese, ma di una Unità militare italiana.

I resti del sommergibile furono individuati nel 1999 a 37 metri di profondità, al largo di Barletta.

 

 

PROPONIAMO DUE TESTIMONIANZE VIDEO (Splendide immagini) DEI SUB E DI STUDIOSI CHE HANNO RISOLTO IL DILEMMA

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=8JV2FAfcNOE

https://www.youtube.com/watch?v=YwMn0MyOb2A

Nota: A volte viene usata la parola “sommergibile” altre volte “sottomarino”.

Rispetto al sottomarino, il sommergibile dispone di limitate capacità in immersione e non è in grado di operare per periodi prolungati al di sotto della superficie dell'acqua. Per molti aspetti si ritiene quindi che il sommergibile rappresenti il predecessore dei più moderni sottomarini.

Nel periodo fra le due guerre poche sono le innovazioni tecniche sostanziali apportate al sommergibile, ormai evoluto. Oltre all'irrobustimento dello scafo, reso idoneo a scendere sotto i cento metri, al miglioramento delle sistemazioni di salvataggio e dall'adozione di telecomandi oleodinamici.

Rilevante é lo studio di un'importante apparecchiatura che, utilizzata realmente solo a partire dalla metà della Seconda  G.M. rimarrà poi strumento fondamentale per il moderno sottomarino a propulsione convenzionale: lo "snorkel", un sistema che, fornendo una comunicazione con l'atmosfera al sommergibile immerso a quota periscopica, consente l'uso dei motori diesel (e, quindi, la ricarica delle batterie) ed il ricambio dell'aria nel battello senza necessità di risalire in superficie, conservando così in massima parte l'occultamento.

 

UN PO’ DI STORIAL’autore si è concesso la riduzione personale dell’ampia versione del Quadro Storico in cui operarono i nostri sottomarini nella Seconda guerra mondiale.

 

MINISTERO DELLA DIFESA

 

 

Lo "snorkel", un sistema che, fornendo una comunicazione con l'atmosfera al sommergibile immerso a quota periscopica, consente l'uso dei motori diesel (e, quindi, la ricarica delle batterie) ed il ricambio dell'aria nel battello senza necessità di risalire in superficie, conservando così in massima parte l'occultamento.

L'invenzione dello snorkel viene generalmente attribuita ai tedeschi, che per primi lo impiegarono in guerra, sul finire del 1943; i più informati ne fanno risalire l'origine agli olandesi, che lo istallarono sui loro battelli della classe "O" negli anni fra il '37 ed il '40.

 

 

In realtà, lo snorkel è un’invenzione italiana. Fu, infatti, il Maggiore del Genio Navale Pericle Ferretti (nella foto) a condurre i primi studi, intorno al 1920, presso l'Arsenale di Taranto. Egli stesso, poi, realizzò un prototipo che nel 1925 fu felicemente sperimentato sul Smg. "H3" (uno dei battelli acquistati in Canada durante la 1^ G.M.).

Sotto la spinta degli eventi politici mondiali, la produzione di Smg viene intensificata a tal punto che, nel 1940, la Marina italiana entra in guerra con 115 sommergibili: una delle maggiori flotte subacquee del mondo.

Le prestazioni dei sommergibili italiani vengono vieppiù migliorate. Aumenta l'autonomia, che nei battelli oceanici raggiunge le 20.000 miglia, così come l'armamento (fino a 14 tubi di lancio e 40 siluri). Il siluro si perfeziona e diventa più affidabile. La quota massima scende oltre i 130 metri. La velocità in superficie raggiunge i 20 nodi. Per il combattimento in superficie, al cannone si aggiungono mitragliere antiaeree.

Fino al 1942 il successo dell'offesa sottomarina è elevatissimo. I battelli italiani, che prima della costituzione della base a Bordeaux ("Betasom") dovevano forzare lo stretto di Gibilterra, vengono di norma impiegati isolatamente nell'Atlantico centrale e meridionale, dove il traffico è meno intenso e fortemente scortato. Ciò nonostante, i risultati non mancano: quasi 600 mila tonnellate di naviglio affondato con un "exchange rate" (ossia, il rapporto fra tonnellate di naviglio affondato e battelli perduti) praticamente uguale per entrambe le Marine.

Dopo il 1942, la crescente efficacia della lotta "antisom" sovverte le sorti della guerra subacquea. Sono soprattutto il radar e l'uso intensivo dell'aereo a contrastare il sommergibile, che risulta sempre più vulnerabile, specialmente in superficie. Si adottano, così, nuove misure, come la riduzione del volume delle sovrastrutture e la revisione dei criteri d'impiego e delle tattiche operative. Alcuni battelli oceanici vengono ritirati dalla linea ed adattati al trasporto. I tedeschi ricorrono allo snorkel ed approntano una sorta di intercettatore di onde radar.

Ormai, però, il sommergibile non riesce più ad ottenere i risultati di prima, mentre le perdite si fanno più ingenti, fino a superare il numero di navi affondate. Alla data dell'8 settembre 1943, la forza subacquea italiana, che nel corso del conflitto aveva acquisito fino a 184 battelli, è ridotta a 54 unità, delle quali soltanto 34 sono in grado di muovere; queste, in base alle clausole d'armistizio, passano ad operare con gli Alleati con funzioni prevalentemente addestrative e, alla fine della guerra, vengono demolite o consegnate ai vincitori in conto riparazioni di guerra.

 

 

Dati riepilogativi relativi ai sommergibili italiani nel corso della Seconda Guerra Mondiale

 

Missioni svolte

1750

Miglia compiute

2.500.000

Giorni in mare

24.000

Attacchi svolti

173

Siluri lanciati

427

Naviglio Mercantile affondato

132 (665.317 tons)

Naviglio Militare affondato

18 (28.950 tons)

 

 

Sommergibili italiani affondati

Mare Mediterraneo

Altri settori

88

40

 

Giovanni BAUSAN (ITA)

 

Sottomarino d’attacco costiero (di media crociera) della classe Pisani (dislocamento di 880 tonnellate in superficie e 1058 in immersione). Durante il suo brevissimo periodo di servizio attivo nella seconda guerra mondiale (poco più di un mese) svolse 3 missioni offensive/esplorative e 5 di trasferimento, percorrendo complessivamente 2593 miglia in superficie e 198 in immersione. Dal gennaio all’ottobre 1941 effettuò poi 90 uscite addestrative in Alto Adriatico per la Scuola Sommergibili di Pola.

Dislocamento: 800 t in emersione – 1057 t in immersione

Lunghezza: 68,2,mt – Larghezza: 6,09 mt – Pescaggio: 4,93 mt 

Velocità in immersione: 8,2 nodi   Velocità in emersione: 15 nodi

Profondità op. 90 mt

Equipaggio: 48

LA CARRIERA DEL BAUSAN

 

Il sommergibile, intitolato a Giovanni Bausan, valoroso combattente della marineria napoletana nato a Gaeta il 14 aprile 1757, dopo l'entrata in servizio fu assegnato alla V Squadriglia Sommergibili di Media Crociera, con sede a Napoli, ricevendo a Gaeta la Bandiera di Combattimento, offerta dalla comunità locale, il 14 novembre 1929.

Tra i suoi primi comandanti vi fu il Capitano di Corvetta Giovanni Marabotto.

Nella notte tra il 2 ed il 3 maggio 1932, durante un viaggio addestrativo, il Bausan andò ad incagliarsi alle Isole Mormorato (vicino a Punta Falcone, nelle Bocche di Bonifacio. L'unità fu tuttavia in grado di disincagliarsi senza bisogno dell'assistenza di altre unità.

Dal 7 dicembre 1935, al comando del tenente di vascello Ferruccio Ferrini, fu assegnato alla II Squadriglia del VI Grupsom di Lero. 

Nel gennaio-febbraio 1937 svolse un'infruttuosa missione (non furono avvistate navi sospette) nel corso della Guerra di Spagna. Dal 10 al 13 giugno 1940 effettuò (agli ordini del capitano di corvetta Francesco Murzi) una prima missione di guerra al largo di Malta; il 13 giugno, in fase di rientro ad Augusta, fu avvistato al largo di Capo Santa Croce dal sommergibile britannico Grampus, che gli lanciò un siluro; il Bausan lo schivò con una manovra evasiva.

Dal 20 al 24 giugno svolse una seconda missione al largo di Capo Kio, ma dovette fare ritorno per via di un guasto ai timoni di profondità di prua. 

La terza missione – dal 14 al 21 luglio, tra Pantelleria e Capo Bon, dovette essere anch'essa interrotta per un guasto ai motori.

In tutto aveva compiuto, sino a quel momento, 3 missioni offensive e 5 di trasferimento, per un totale di 2791 miglia di navigazione (2593 in superficie e 198 in immersione); fu quindi assegnato alla Scuola Sommergibili di Pola. 

Svolse attività addestrativa dal 1º gennaio all'8 ottobre 1941 per un totale di 90 missioni, dopo di che, il 18 maggio 1942, fu messo in disarmo e convertito in bettolina carburanti con il contrassegno GR. 251.

RADIATO il 18 ottobre 1946 fu quindi avviato alla demolizione. 

HMS REGENT (UK)

 

 

Dislocamento: in emersione 1.475 t – in immersione 2,030 t

Lunghezza:….  87,5 mtLarghezza: 9,12 – Pescaggio: 4,9 – Profondità operativa: 95 mt

Propulsione: 2 motori diesel da 4.640 hp, due motori elettrici da 1670 shp

Velocità in immersione: 9 nodi Velocità in emersione: 17,5 nodi

Equipaggio: 53 uomini

Artiglieria: 1 cannone-102/40 mm–2 mitragliatrici-12,7 mm–8 tubi lanciasiluri da 533 mm

La classe di sottomarini della Royal Navy Britannica: Rainbow o classe R era composta da quattro unità entrate in servizio tra il 1930 e il 1932.

Battelli a lunga autonomia progettati per operare nei mari dell’Estremo Oriente, rappresentavano l'ultimo sviluppo del progetto iniziato con i classe Odin e proseguito con i classe Parthian. Negli anni della Seconda guerra mondiale i Rainbow operarono principalmente nel teatro del Mar Mediterraneo, dove tre di essi furono perduti per cause belliche; l'unico superstite della classe, attivo anche nel teatro bellico dell’Oceano Indiano. Durante la seconda parte del conflitto, fu radiato e avviato alla demolizione nel 1946.

HMS Regent

19 giugno 1929

Vickers-Barrows Armstrong in Furness 

11 giugno 1930

11 novembre 1930

perduto in mare in una data imprecisata compresa tra il 12 aprile e il 1º maggio 1943, probabilmente caduto vittima di una mina nell’Adriatico meridionale

 

LA CARRIERA DEL HMS REGENT

Era il 18 aprile del ’43, gli abitanti di Bisceglie (Barletta) sentono un enorme esplosione proveniente dal largo: con molta probabilità essa segnò la fine del sottomarino inglese REGENT entrato in collisione con una mina galleggiante ed affondato senza superstiti. Era partito il 12 aprile da Malta (La Valletta) per il canale di Otranto. La sua carriera era iniziata con un’impresa da film d’azione. Nei primi giorni di guerra era penetrato nel porto di Cattaro, attraccando senza problemi e sbarcando un ufficiale per chiedere la liberazione dell’ex Ambasciatore inglese a Belgrado. Costretto alla fuga, se n’era andato… portandosi via un militare italiano. Il 5 ottobre del ’40 c’è il primo affondamento, anche se la preda non è eclatante: un vascello a vela (probabilmente un peschereccio), il Maria Grazia di 188 tonn. Quattro giorni dopo danneggia il mercantile Antonietta Costa, il 15 gennaio ’41 affonda il Città di Messina (2472 tonn), il 21 febbraio danneggia il mercantile tedesco Menes 5600 tonn., il 1° agosto affonda il dragamine italiano Igea, il 1° dicembre danneggia un altro mercantile italiano: l’Enrico.

Quattro mesi dopo, la fine. Ora il suo scafo squarciato giace su un fondale sabbioso a – 28 mt. In https://uboat.net/allies/warships/3406.html così viene descritta la sua fine: HMS REGENT (Lt.Walter Neville Ronald Knox,DSC,RN) sailed from Malta on 12 April 1943 to patrol in the southern Adriatic. She was mined north of Barletta, Puglia, Italy on 18 April 1943. That evening a large explosion was heard in that area, wich is believed to have been HMS Regent striking a mine. HMS Regent was reported overdue at Beirut on 1st May 1943. The wreck of Regent has been found and lies in 28 meters of water”.

Quanto è stato scritto sopra sono le versioni rilevate da fonti ufficiali che risalgono alla fine del conflitto. Oggi, a quanto sembra, il MARE STA RESTITUENDO ALCUNE VERITA’ CHE SONO SOTTO LA LENTE D’INGRANDIMENTO DEGLI STUDIOSI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE.

 

CORRIERE DELLA SERA – CORRIERE DEL MEZZOGIORNO –

Il 18 luglio 2022 Luca Pernice scrive:

Barletta, il relitto non è il sottomarino inglese Regent ma l’italiano Bausan: la scoperta di un team di Foggia

I resti del sommergibile furono individuati nel 1999 a 37 metri di profondità, al largo di Barletta. Le famiglie dei militari britannici andavano ogni anno a pregare nel porto pugliese.

 

 

 

Sin dal 1943 si è creduto che il relitto del sommergibile che giace a 37 metri di profondità nell’Adriatico, al largo di Barletta, fosse quello del Regent, affondato appunto nel 1943. Fino a quando un team foggiano, composto da sub e storici, ha scoperto che in realtà si tratta di un sommergibile italiano, il Giovanni Bausan.

 

Una storia iniziata nell’aprile 1943

La storia inizia quando il 18 aprile del 1943 il Regent, un sommergibile inglese costruito nel 1930 affonda dopo aver urtato una mina di profondità al largo della costa pugliese. Tre anni prima, il 5 ottobre del 1940 lo stesso sommergibile a circa 10 miglia dal mare di Bari affondò la nave italiana Maria Grazia. Da quel 18 aprile del 1943 tutti hanno sempre creduto che il relitto, che giace nelle acque della Bat, meta anche di tanti subacquei sportivi, fosse proprio quello del sommergibile affondato nel 1943. Soprattutto dopo il 1999 quando alcuni sub scoprirono il relitto in fondo al mare: una notizia che destò molto clamore in Gran Bretagna tanto da diventare un vero e proprio sacrario militare in mare. Il team di subacquei, dopo diverse immersioni sul sito e dopo numerose ricerche, ha accertato che quel relitto non è del sommergile inglese, ma di un mezzo italiano.

 

Il team e lo studio

Un team composto da tre sommozzatori – Michele Favaron, Stefania Bellesso e Fabio Giuseppe Bisciotti – da personale addetto all’assistenza di superficie – Alessandro Auliclino e Pietro Amoruso – da due piloti – Pasquale Bailon e Ruggero Nanula – e da Giuseppe Iacomino che ha curato l’assistenza storica del progetto.

«Dai dati in nostro possesso – spiega Fabio Giuseppe Bisciotti – sono subito emersi dubbi su quanto potesse essere veritiera la teoria del sommergibile inglese. Nelle foto esistenti del relitto si evince la assoluta incompatibilità di ciò che le foto mostrano con il design di un sommergibile britannico classe R quale il Regent. In particolare, oltre alle dimensioni totalmente differenti, vi è la presenza di una bombatura sul piano di calpestio del sommergibile del tutto assente in qualsiasi piano costruttivo e fotografia riguardanti il mezzo navale in questione. Dopo una lunga ricerca poi siamo giunti al ritrovamento del tassello più importante al riguardo». Bisciotti e il suo team, infatti, è in possesso di una documentazione che comproverebbe la presenza, nel porto di Barletta, di un sommergibile Italiano, classe Pisani, di nome “Giovanni Bausan”. Al momento della radiazione, fu ribattezzato GRS 251 ed usato come cisterna carburante sino all’arrivo degli alleati in Puglia. Dopo il 1943 il sommergibile venne usato come target notturno per gli aerei inglesi e americani per addestramento. Nel 1944, al termine del periodo di training, fu affondato. “Siamo certi – conclude Bisciotti - che il Bausan attualmente si trovi a circa 33 metri sul fondo del mare al largo di Barletta. E’ il relitto che per molti anni tutti hanno pensato, erroneamente, fosse quello del Regent”.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 10 ottobre 2022


NAVE AMERIGO VESPUCCI NEL TIGULLIO

NAVE AMERIGO VESPUCCI NEL TIGULLIO

Varata il 22 febbraio 1931, ha sulle spalle quasi un secolo di storia, ogni giorno incanta grandi e piccini

Dal 1978 il motto della nave è

“Non chi comincia ma quel che persevera”

Questa frase celebre di Leonardo è il motto che spinge i giovani cadetti a credere in sè stessi, avere tenacia e costanza nell’andar per mare e nella vita quotidiana. I cadetti, appena concluso il primo anno, intraprendono uno stage da giugno a settembre, circumnavigando il globo.

La polena raffigura il condottiero Amerigo Vespucci che ha dato nome al continente Americano   ed è realizzata in bronzo dorato. L’uso di porre a prua una polena affonda le sue radici nell’antichità, quando la navigazione era esercitata per necessità e queste figure a volte misteriose o terrificanti, all’origine servivano per spaventare i nemici o per essere protetti dalle divinità.

24 ore

NEL TIGULLIO

Cronistoria in immagini

Inchino davanti al faro di Portofino

Passo di danza per fermare l’abbrivo

 

Omaggio al Monastero della Cervara

 

Il Comandante Massimiliano Siragusa ha mantenuto la promessa alla sua città natale

“Non ho vissuto qui tutti gli anni che avrei voluto. Non penso di meritare tutto questo, ma se lo ritenete voi lo accetto molto volentieri”.

 

Cerimonia con scambio di CREST e Attestati nella Sala Consiliare del Comune di Rapallo

LA VESPUCCI IN NOTTURNA

La bella di notte … avvolta nelle luci del TRICOLORE

 

La nave VESPUCCI salpa dal Tigullio

 

VESPUCCI Avanti Tutta per Livorno

Saluto ai futuri Ufficiali della M.M.

 

 

ORA VI MOSTRIAMO CIO’ CHE I RAPALLINI NON HANNO POTUTO VEDERE DELLA

NAVE PIU’ BELLA DEL MONDO

A CAUSA DELLA NORMATIVA ANTI-COVID

 

GLI INTERNI DELLA VESPUCCI

Si sale a bordo…

LA TUGA DEL MOTTO

 

LA TIMONERIA

IL CUORE DELLA NAVE

Sulla nave VESPUCCI vi sono sei manovre per il sistema di governo: tre elettriche (due con comando idraulico, di cui una d'emergenza e due normali) e tre a mano (una normale nel casotto della timoneria e due d'emergenza nel locale agghiaccio). In caso di avaria del sistema di governo idraulico e quindi per il passaggio dal timone elettrico a quello manuale, non sono necessarie manovre particolari, bastano pochi secondi di tempo, in qualsiasi posizione si trovi la barra del timone; mentre, invece, per il passaggio dal timone a mano a quello elettrico è sufficiente mettere la barra al centro.

Linea d'asse - elica. La linea d'asse è composta di un albero capace di trasmettere 2000 cv con 150 giri al minuto. L'albero porta elica è di acciaio ed è predisposto per ricevere ad un'estremità l'elica e all'altra, verso prora, un accoppiatoio per il collegamento al motore di propulsione. L'elica è unica a quattro pale smontabili con generatrice retta. E' di bronzo al manganese con diametro di 3.400 mm e passo medio di 2,700 m. 

 

 

A POPPAVIA con i cavi d’ormeggio

La Cala Nostromo della nave Vespucci

 

Foto del Passaggio Comandante della nave Vespucci

 

Queste “isole" che raccolgono ordinatamente le cime di ogni albero hanno un nome curioso:

PAZIENZA

A bordo ci sono 30 km di cime

 

LA RASTRELLIERA

 

L’ALBERATURA DELLA VESPUCCI

E’ armata a nave con tre alberi in acciaio: l’albero di trinchetto a prua, quello di maestra al centro e quello di mezzana.

L’albero di maestra, realizzato in due tronconi, è alto 54,50 metri dal piano di coperta.

Gli alberi di trinchetto e di maestra portano, ciascuno, cinque vele quadre.

L’albero di mezzana porta quattro vele quadre e una vela aurica sostenuta da due aste, il boma e il picco.

A prora, murati al bompresso, ci sono quattro fiocchi. Due vele di straglio si trovano fra l’albero di trinchetto e quello di maestra e altre due fra questo e l’albero di mezzana.

L’attrezzatura velica è completata da due scopamare. La superficie velica, che complessivamente è di 2.800 mq, consente alla nave di raggiungere la velocità di 12 nodi. Le manovre per il governo delle vele sono costituite da 30 chilometri di cavi di vari diametri.

 

Gli alberi, precedentemente descritti, sono mantenuti in posizione grazie a cavi di acciaio (manovre fisse o dormienti) che li sostengono verso prora (stralli) verso i lati (sartie) e verso poppa (paterazzi). Sugli stralli sono inferiti inoltre i fiocchi e le vele di strallo. L'altezza degli alberi sul livello del mare è di 50 metri per il trinchetto, 54 metri per la maestra e 43 metri per la mezzana; il bompresso sporge per 18 metri.

Apertura delle vele

NOCCHIERI ED ALLIEVI A RIVA

“Il posto di manovra generale alla vela” costituisce un valido ed importantissimo momento addestrativo per gli allievi dell’Accademia Navale, (…) non solo per i futuri ufficiali, ma per tutto l’equipaggio di bordo che costantemente è chiamato ad assolvere compiti e mansioni di abilità marinaresca.

 

APPARATO MOTORE DELLA VESPUCCI

La propulsione è di tipo diesel-elettrico: la nave è dotata di due motori diesel collegati a due dinamo generatrici di corrente elettrica che alimentano il motore elettrico di propulsione. I due motori diesel sono FIAT a 8 cilindri in linea, a iniezione diretta, sovralimentati con turbosoffiante, che sviluppano una potenza massima totale di 3000 cavalli. Il motore elettrico di propulsione (MEP) è un Marelli a corrente continua, a doppio indotto, in grado di sviluppare un regime rotatorio massimo di 150 giri/min., che corrisponde ad una velocità di circa 12 nodi. L'elica è unica ed ha quattro pale.
 

L'energia elettrica per il funzionamento degli apparati di bordo è fornita da 4 diesel alternatori a 8 cilindri Isotta Fraschini/Ansaldo da 500 KVA ciascuno. L'unità è dotata di due argani a prora per la manovra delle catene delle ancore, di cui uno dotato di campana sul castello, utilizzabile quindi anche per la manovra di cavi. A centro nave esiste inoltre un albero di carico azionato da due verricelli elettrici, utilizzato per la messa a mare ed il recupero delle imbarcazioni maggiori. A poppa, per la manovra dei cavi e per la messa a mare e il recupero dei palischermi, vi sono due argani manovrati a mano a mezzo di apposite aste in legno dette "aspe". 

 

Foto della Sala Consiglio della nave Vespucci

Molte parti della bellissima nave scuola italiana sono in legno: teak per il ponte di coperta, la battagliola e la timoneria, moganoteak e legno santo per le attrezzature marinaresche (pazienze, caviglie e bozzelli), frassino per i carabottini, rovere per gli arredi del Quadrato Ufficiali e per gli alloggi Ufficiali, mogano e noce per la Sala Consiglio.

 

L’EQUIPAGGIO DELLA VESPUCCI

Vero "motore" dell'Amerigo Vespucci è il suo equipaggio, composto da 278 membri, di cui 16 Ufficiali, 72 Sottufficiali e 190 Sottocapi e Comuni, suddiviso nei Servizi Operazioni, Marinaresco, Dettaglio, Armi, Genio Navale/Elettrico, Amministrativo/Logistico e Sanitario. Durante la Campagna di Istruzione l'equipaggio viene a tutti gli effetti integrato dagli Allievi e dal personale di supporto dell'Accademia Navale, raggiungendo quindi circa 480 unità..

Ogni Servizio ha il suo compito peculiare a bordo: il Servizio Operazioni si occupa della navigazione, utilizzando la strumentazione di cui la nave è fornita (radar, ecoscandaglio, GPS), della meteorologia e delle telecomunicazioni; il Servizio Marinaresco è preposto all'impiego delle vele, alla gestione delle imbarcazioni e all'esecuzione delle manovre di ormeggio e disormeggio; il Servizio Dettaglio comprende il personale che gestisce le mense di bordo; il Servizio Armi ha in consegna le armi portatili e provvede all'addestramento dell'equipaggio al loro impiego; il Servizio Genio Navale/Elettrico assicura la conduzione dell'apparato motore e degli apparati ausiliari, la produzione di energia elettrica ed il mantenimento dell'integrità dello scafo; il Servizio Amministrativo/Logistico si occupa della acquisizione, contabilizzazione e distribuzione dei materiali, della stesura degli atti amministrativi e della gestione delle cucine; il Servizio Sanitario, infine, si occupa delle attività di prevenzione e cura del personale.

Vale la pena sottolineare che la messa in vela completa dell'unità, agendo contemporaneamente sui tre alberi ("posto di manovra generale alla vela"), è possibile solo con gli Allievi imbarcati, che tradizionalmente vengono destinati sulla maestra e sulla mezzana, mentre il personale del Servizio Marinaresco, i nocchieri, si occupa del trinchetto oltre che del coordinamento e controllo delle attività sugli altri due alberi.

 

STATO MAGGIORE E CADETTI PER LE FOTO DI RITO

 

 

LA BELLA NAVE con il suo seguito internazionale …

 

Dettagli e misure del Vespucci

La lunghezza del Vespucci al galleggiamento è di 82 metri, ma tra la poppa estrema e l’estremità del bompresso si raggiungono i 101 metri. La larghezza massima dello scafo è di 15,5 metri, che arrivano a 21 metri considerando l’ingombro delle imbarcazioni, che sporgono dalla murata, e a 28 metri considerando le estremità del pennone più lungo, il trevo di maestra. L’immersione massima è pari a 7,3 metri.

Descrizione

È un veliero che mantiene vive le vecchie tradizioni. Le 26 vele sono ancora in Tela Olona, le cime sono tutte ancora di materiale vegetale, e tutte le manovre vengono rigorosamente eseguite a mano; ogni ordine a bordo viene impartito dal comandante, tramite il nostromo,  con il fischietto; l'imbarco e lo sbarco di un ufficiale avviene con gli onori al barcarizzo (l'apertura del parapetto di una nave, attraverso la quale si accede al ponte dall'esterno, mediante una scala o una passerella) a seconda del grado dell'ospite.

Altri dati tecnici

  • Stazza netta: 1.202,57 GT (tsl)

  • Scafo: in acciaio (lamiere chiodate) a tre ponti definiti di coperta, batteria e corridoio con castello e cassero rispettivamente a prua e poppa.

  • Imbarcazioni di supporto: n. 11 per l'addestramento e per i servizi portuali.

  • Superficie velica: 2.635  su 24 vele quadre e di straglio in tela olona (fibra naturale)

  • Alberatura: su 3 alberi e bompresso, albero di maestra (54 metri), trinchetto (50 metri) e mezzana (43 metri) - parte inferiore degli alberi pennoni bassi in acciaio

  • Manovre fisse e correnti in fibra naturale per circa 36 km di lunghezza

  • Copertura del ponte, castello, cassero e rifiniture in legno teak.

  • Apparato motore: 2 motori Dieselgeneratori MTU, con potenza di 1 320 kW ciascuno e 2 motori Diesel generatori MTU da 760 kW ciascuno, accoppiati da due motori elettrici di propulsione NIDEC ASI  di 750 KW ciascuno disposti in serie, 1 elica a 4 pale fisse, quattro alternatori Diesel per l'energia elettrica.

  • In sala macchine sono installati anche quattro generatori di corrente e un impianto per il condizionamento dell’aria.

Equipaggio

L'equipaggio è composto da 14 ufficiali, 72 sottufficiali e 190 sottocapi e comuni. Nei mesi estivi imbarca anche gli allievi del primo anno di corso dell’ Accademia navale di Livorno, circa 140, per un totale di circa 470 persone.

L'equipaggio ha compiti diversi ed è suddiviso in servizio operazioni (addetto a tutte le operazioni riguardanti la navigazione), servizio marinaresco (addetto alle operazioni varie alle imbarcazioni e di ormeggio e disormeggio), servizio dettaglio (gestisce le mense di bordo), servizio armi (custodisce le armi e si occupa dell'addestramento all'uso), servizio genio navale/elettrico (si occupa dell'apparato motore, dell'energia elettrica), servizio amministrativo/logistico (predispone gli atti amministrativi e gestisce le cucine) e servizio sanitario (cura tutto il personale).

 

CONOSCIAMO IL COMANDANTE

MASSIMILIANO SIRAGUSA

“Il vero motore dell’Amerigo Vespucci è l’equipaggio – ha detto il Comandante Massimiliano Siragusa – Sono donne e uomini innamorati del mare e appassionati del loro lavoro, sempre pronti ad aiutarsi e a supportarsi: non si deve dimenticare che qualsiasi nave è come una piccola città ma con spazi molto più compressi.

La condivisione è inevitabile e, perché tutto funzioni, è necessario che ogni marinaio svolga con attenzione e in modo efficiente il compito che gli è stato assegnato. Dal 1978, il nostro motto è:

“Non chi comincia ma quel persevera”

dare inizio a un percorso, a un’esperienza, è fondamentale, ma è essenziale perseverare con costanza e tenacia perché solo in questo modo si possono raggiungere gli obiettivi prefissati. La Marina Militare offre tantissime possibilità – ha concluso il Comandante – A bordo di una nave servono medici, ingegneri, amministrativi, meccanici, elettricisti, motoristi, nocchieri, segretari, infermieri, cuochi e molte altre figure specializzate. Si possono trovare grandi soddisfazioni arruolandosi, prova lo sono i sorrisi che vedo dipingersi sul volto dei miei marinai e che porterò con me al termine della mia esperienza di Comandante di questa Nave assolutamente unica”

 

 “Profuma di mare e racconta storie di avventure di altri tempi, eppure è estremamente attuale. È elegante nelle forme e affasciante in ogni singolo dettaglio, orgoglio ed emblema nazionale, il Vespucci oggi è rappresentato da un eccezionale RAPALLESE, il Capitano di Vascello Massimiliano Siragusa.

Sicuramente l’Amerigo Vespucci ha ancora tanta storia da scrivere e tanto mare da solcare, sarà ancora per molto tempo ambasciatore d’Italia e orgoglio del nostro Paese. Saprà ancora entusiasmare ed emozionare generazioni di marinai, coscienti che a fare la differenza sono sempre e solo donne e uomini valorosi, coraggiosi e determinati.

Conosciamo il Comandante Massimiliano SIRAGUSA:

I am experienced Senior Officer with more thanks 30 years of active duty, of which 20 spent on board Navy Ships, including three Commanding Officer assignments and a significant Staff experience, often in an international environment.
I dedicated 5 years to the advanced training of future Italian Navy leaders & managers, working at the Naval Staff College, starting as Communication and Soft Skills lecturer and tutor, becoming dean and finally Director of the Study & Research Centre. As experiential trainer for soft skills, I also collaborated with the Centre for Higher Defence Studies, located in Rome, and with the Centre of Excellence for Stability Police Units, located in Vicenza.
I developed strong communication and management skills and I am accustomed to leading a team by training, motivating and persuading.

 

Esperienza

 

  • Commanding Officer - Italian Navy Ship Amerigo Vespucci (Tall Ship)

set 2021 - Presente10 mesi

La Spezia - Underway

  • Italian Navy Staff College – Director of the Study & Research Centre

ott 2020 - ago 202111 mesi

Venezia, Veneto, Italia

In charge of planning and conducting research for the Italian Navy in several areas including geopolitics, maritime subjects, advanced training and soft skills; dedicated as well to run public affairs and organize seminars for the Naval Staff College (leading a team of 5 employees, including 3 civilians)

 

Chief of Staff Force HQs Eunavfor Atalanta 

European Union Naval Force Somalia Operation ATALANTA

feb 2020 - mag 20204 mesi

On board Spanish Frigate ESPS Numancia - Indian Ocean & Gulf of Aden

Responsible to support the Force Commander, leading a multinational Staff of 25 military.
Acting as Force Commander from 17th March to 3rd May

 

  • Italian Navy Staff College – Courses Department Head

lug 2019 - dic 20196 mesi

Venezia, Veneto, Italia

In charge of planning and delivery all Staff College Courses – responsible for a team of 25 including 8 civilians

  • Italian Navy Staff College – Communication Tutor & Instructor

lug 2016 - giu 20193 anni

Venezia, Veneto, Italia

Provided Education to Junior/Senior Navy Officers appointed for Command/Staff posts; Qualified as experiential learning trainer to support Senior Officers education at Italian Defence Joint Staff College in Rome and at the Centre of Excellence for Stability Police Units in Vicenza

 

 Assistant Chief of Staff for Future Operations – ACOS CJ35

EU NAVFOR MED Sophia

ott 2015 - giu 2016 9 mesi

Roma, Lazio, Italia

Responsible for planning and coordinating assigned Aircrafts and Naval Units activities - in charge of a multinational team composed by 10 people

 

  • Comando Forze d'Altura e Italian Maritime Forces Command – Operations Division Chief (ACOS N3)

set 2014 - set 20151 anno 1 mese

Taranto, Puglia, Italia

Assistant Chief of Staff for coordination and conduct of national and multinational Operations, Navy and Joint. Responsible for a team of 20 people

  • Italian Navy Frigate ALISEO (F 574) - Commanding Officer

lug 2013 - ago 20141 anno 2 mesi

Homeported in Taranto - Patrolling Mediterranean Sea

Responsible for a Crew of 200 people; performing several NATO and National Operations, including 5 participations to MARE NOSTRUM Operation against human smuggling, saving more than 4500 lives and capturing 31 criminals related to immigrants trade

  • Italian Navy Frigate ALISEO (F 574) - Executive Officer

set 2011 - giu 20131 anno 10 mesi

Homeported in Taranto - Patrolling Mediterranean Sea

Manager of overall Ship activities, with the exception of the Command Group related ones. Responsible for 90% of crew personnel, about 180 people.

  • Comando Forze d'Altura e Italian Maritime Forces Command – Plans Division Deputy Chief (DACOS N5)

nov 2007 - ago 20113 anni 10 mesi

Taranto, Puglia, Italia

Division Officer responsible for overall Command Planning activities: national, NATO, EU, Single Service and Joint

 

 

Staff Officer – C4I and Transformation Department

Stato Maggiore della Difesa - Forze Armate

ott 2005 - ott 20072 anni 1 mese

Roma, Lazio, Italia

Project Officer for several national and international programmes under development referring to Communications, Command and Control Systems

 

 

Italian Navy Mine Hunter TERMOLI (M 5555) - Commanding Officer

Marina Militare

set 2004 - set 2005 1 anno 1 mese

Homeported in La Spezia - Operating in Mediterranean Sea

Involved in national and multinational Fleet Combat enhancement training; performed live operations deactivating submerged mines and bombs. Responsible for a Crew of 55 people

 

Formazione

NATO SPCoE & SFACoE

SeminarInstitutional Advisors on Security Force Assistance and Stability Policing 

2022 - 2022

The seminar allows personnel tasked as Institutional Advisors to develop the capability to advise counterparts in a local security force Institution within building partners capacity activities

 

 

Università Ca' Foscari Venezia

Master di 2° livello in Studi Strategici e Sicurezza Internazionale

Ditta Galgano

Advanced teaching and Public Speaking Course 

2019 - 2019

Ditta Ambrosetti

Conflicts Management and Negotiation Course 

2017 – 2017

 

Università Ca' Foscari Venezia

Public Speaking Course

2017 - 2017

Italian Air Force Logistic Site, La Spezia

Experiential Learning tutor Joint Military Course

2016 - 2016

Escuela Superior de las Fuerzas Armadas - Spanish Defense Joint Staff College

Senior Staff OfficerCurso de Estado Mayor de las Fuerzas Armadas

2010 - 2011

Graduated first among 31 foreign students proceeding from 25 different countries

Istituto di Studi Militari Marittimi - Italian Navy Staff College

Junior Staff Officer - postgraduate degreeCorso Normale di Stato Maggiore

2004 - 2004

Accademia Navale -Italian Naval Academy

Laurea magistrale Scienze Marittime e Navali

1991 – 1995

 

Lingue

  • Inglese

Conoscenza professionale 

  • Spagnolo

Conoscenza professionale 

  • Italiano

Conoscenza madrelingua o bilingue

 

 

Termino questa carrellata d’immagini con DUE miei scritti di cui vi propongo i LINK tratti dal sito di MARE NOSTRUM RAPALLO

https://www.marenostrumrapallo.it

 

LA NAVE SCUOLA

AMERIGO VESPUCCI

ha compiuto 80 anni ed é ancora la nave più bella del mondo

https://www.marenostrumrapallo.it/amerigo-vespucci/

 

IL VELIERO CRISTOFORO COLOMBO 

era il gemello dell’AMERIGO VESPUCCI

Per non dimenticare…

https://www.marenostrumrapallo.it/il-veliero-cristoforo-colombo/

 

Correva l’anno 1962, e da pochissimo tempo era entrata in servizio la Portaerei Statunitense USS Indipendence, una nave della Classe Forrestal che, insieme a 3 sue “sorelle”, rivoluzionò completamente il mondo delle portaerei mondiali, definendo un nuovo orizzonte per l’utilizzo di questo tipo di navi. L’Amerigo Vespucci, veliero scuola della Marina Militare Italiana, fu varata molti anni prima della USS Indipendence, nel 1931, e da allora costituisce motivo di orgoglio per tutta la Marina Militare Italiana, e per tantissimi italiani.

Nel 1962 queste due navi si incontrarono nel Mar Mediterraneo, e la portaerei statunitense lampeggiò con il segnale luminoso, chiedendo:

Chi siete?

Al che dall’Amerigo Vespucci risposero:

Nave scuola Amerigo Vespucci, Marina Militare Italiana

E la risposta degli statunitensi rimase scritta negli annali:

Siete la nave più bella del Mondo

Il cordiale omaggio degli statunitensi alla nostra nave è solo uno dei tanti che il mondo del mare tributa all’Amerigo Vespucci, che venne ritenuta, sin dal momento del suo varo, un esempio dell’eccellenza artigianale e ingegneristica italiana. Ad esempio, le regole di navigazione prevedono che i transatlantici abbiano sempre la precedenza rispetto alle altre imbarcazioni. Ma quando i giganti del mare incontrano la Amerigo Vespucci nei mari di tutto il mondo, questa legge non vale più, e i giganti spengono i motori, rinunciano alla precedenza e suonando tre colpi di sirena in segno di saluto.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 6 Giugno 2022

 

 


QUANDO LA MARINA MILITARE EBBE IL SUO PITTORE DI CORTE

 

QUANDO LA MARINA MILITARE ITALIANA EBBE IL SUO PITTORE DI CORTE    

RUDOLF CLAUDUS

Il sito di Mare Nostrum Rapallo, come sapete, ha dedicato molti articoli ai più famosi Pittori di Marina e, verso di loro, in oltre 30 anni di attività, abbiamo riscontrato una progressiva crescita d’interesse da parte dei nostri followers a giudicare dalle loro “visite” e dai molti lusinghieri commenti per le nostre modestissime ricerche. Tuttavia ci corre l’obbligo, ancora una volta, di precisare che non siamo né critici d’Arte né tantomeno guide artistiche, ma semplici divulgatori che lasciano ad ognuno la libertà d’interpretare le opere presentate. Per noi vale soltanto un semplice principio:

IL MARE ED IL MONDO CHE LO ANIMA FIN DALL’ANTICHITA’ PIU’ REMOTA, SONO FONTE D’ISPIRAZIONE PER QUEGLI ARTISTI CHE NASCONO CON IL MARE DENTRO. UN MONDO FANTASTICO DI CUI DESIDERIAMO ARDENTEMENTE FARNE PARTE CON TUTTI I NOSTRI LIMITI DI CONOSCENZA E SENSIBILITA’ ARTISTICA.

A breve creeremo una speciale sezione che chiameremo ARTE-MARE, nella quale sarà più facile “navigare” alla ricerca di quei PITTORI MARINISTI che hanno lasciato il “segno” durante la loro avventura terrena.

RUDOLF CLAUDUS

Così lo ha descritto con grande efficacia Francesco Salvatore Cagnazzo:

Onde, colori, navi e intense sfumature di malinconia: il tratto, l’intensità, il freddo calore del mare delle opere di Rudolf Claudus si riconoscerebbero tra centinaia di artisti. E’ sempre lui il protagonista, tra onde ed imbarcazioni, nuvole e guerre. Un mare che abbraccia tutto, che protegge e che osserva, rapito e a volte divertito, le vicende dell’uomo.

Il compianto amico pittore di marina Marco LOCCI dinanzi ad una esposizione di quadri dell’artista in un salone della M.M. di Spezia mi fece notare che:

“… Claudus è stato un pittore unico, originale e geniale che ha saputo celebrare l’eroismo italiano della guerra sui mari nella sua atmosfera “verista” fatta di luci bianche, lampi di speranza, e ombre scure minacciose di morte… La sua vocazione fu da sempre la pittura, Claudus lavorò infatti prevalentemente su incarichi ufficiali, dipingendo opere celebrative e riproducendo battaglie storiche
o navi da guerra a lui contemporanee”.

Dipinse per il palazzo della Marina di Roma, per l’Accademia navale di Livorno, per il circolo dell’Ammiragliato di Venezia e di Napoli. Richieste di opere, oltre trenta, gli pervennero dal presidente degli Stati Uniti Roosevelt e dalla regina Elena.

 

Rudolf Claudus - Nave Amerigo Vespucci

 

Riportiamo la biografia dell’artista che, tra le tante prodotte, ci è parsa la più idonea al nostro scopo:

RUDOLF CLAUDUS, 1893-1964 – Il suo vero cognome è Rudolf von Klaudus.

Il 23 aprile 1893, Odenburg ora Sopron vicino Vienna, diede i natali a Rudolf Claudus. Non sono molte le notizie sulla sua infanzia: il padre era un ufficiale dell'esercito; importante per la sua vita fu la figura dello zio, l'ammiraglio Sternek della marina imperiale austro-ungarica.

Da ragazzo era evidente in lui l’attitudine al disegno che lo portò a frequentare gli studi di alcuni pittori dai quali apprese i rudimenti del mestiere. La sua vocazione era l’arte marinista che corrispondeva al suo amore per il mare. Alla fine della prima guerra mondiale fu a Pola – Istria ed entrò in amicizia con gli ufficiali della Marina italiana: iniziò così un lungo periodo di collaborazione con la Marina italiana di cui divenne in pratica il pittore ufficiale. In circa mezzo secolo di sodalizio ha realizzato centinaia di opere destinate ad ornare le sale di navi e Circoli, stanze di rappresentanza dei palazzi della Marina e per essere donate alle Autorità in occasioni di manifestazioni ufficiali.

Rudolf Claudus - Il Regio esploratore Venezia

 

ALLA CORTE DEL PRESIDENTE ROOSEVELT

 

Nel 1935 il presidente Roosevelt lo chiamò negli USA riconoscendo il suo talento. Di questo periodo sono i dipinti sugli aspetti navali della guerra d'indipendenza americana per la Galleria Elisabettiana di Washington e gli splendidi acquarelli per l'Accademia Navale di Annapolis

Dal 1936 al 1940 Claudus fu a Spezia e ospite presso il Circolo di Marina dove si dedicò a decorarne le sale; ugualmente adornò gli interni delle più importanti navi della squadra. La Regina Elena sul finire del 1941 gli commissionò sessanta dipinti per la raccolta dei Savoia che riprendevano episodi di storia navale della Real Casa.

Per la seconda volta visse un conflitto mondiale. Lavorò anche a Taranto e per la Marina studiò la mimetizzazione della livrea delle navi. Al riguardo Claudus suggerì una serie di schemi "alterativi" complessi e di sicuro interesse per le mimetiche navali italiane ad una commissione organizzata dalla Regia Marina nell'ambito della Direzione delle Costruzioni Navali e Meccaniche (MARICOST). Mimetiche navali che vennero applicate su diverse unità navali, le navi da battaglia Cesare e Doria, gli incrociatori Attendolo, Trento e Garibaldi e i cacciatorpediniere Ascari e Zeno.

Rudolf Claudus – La Regia nave da battaglia DUILIO in navigazione

 

DALLA PRIGIONE ALLA ROYAL NAVY

 

Dopo l’8 settembre 1943 finisce in prigione a Genova, per non aver aderito all'Anschluss. Liberato nel dopoguerra è ospite della Royal Navy e subito ricomincia a lavorare, alcuni suoi quadri sono oggi in Inghilterra. 

Dal 1947 al 1953 Claudus venne ospitato dall'Accademia Navale a Livorno e la sua attività riprese frenetica. Molte delle sue opere furono oggetto di dono a personalità come re Faruk, il presidente del Venezuela, il presidente Kennedy, il re di Danimarca, lo Scià di Persia e molti altri. Nel 1956 si trasferisce a Gallese in provincia di Viterbo e precisamente nella proprietà di S. Famiano invitato dal colonnello dei Carabinieri Giuseppe Calzavara, ufficiale del Comando Supremo di allora. Frequentando il mulino della famiglia Severini, completò la sua produzione con opere di soggetto diverso, scene di trebbiatura, pranzi in campagna, nature morte, fiori di campo o quadri ispirati agli scorci di Roma.

Vive così il grande maestro marinista fino alla sua morte avvenuta a Roma, l'11 aprile del 1964. Ha lasciato opere che nel tempo hanno acquistato sempre più apprezzamento e valore. Di recente nel comune di Gallese gli è stata intestata una strada.

Entriamo brevemente e in punta di piedi nel suo spirito artistico citando alcuni passaggi rubati qua e là…:

“Può sembrare che nei quadri di Claudus appaia talvolta qualche eccesso di retorica. Si intuisce l’intento celebrativo. È vero e ciò fa parte del momento storico e della necessità di soddisfare l’esigenza del committente, ma nonostante questo, e potrebbe sembrare un paradosso, Claudus riesce a essere semplicemente verista. Come diceva Giovanni Fattori: “Quando all’arte si leva il verismo, che resta?” Ma quello che soprattutto si percepisce nei dipinti di Claudus è l’aria di mare, l’aria di bordo, la sensazione olfattiva che si prova nelle basi quando le navi possono raccogliere una messe di odori caratteristici e compositi, indescrivibili a chi non abbia vissuto, anche per poco, in quell’ambiente. I soggetti navali e umani dell’artista hanno un’ambientazione naturalistica tutt’altro che secondaria. 

 L’ammiraglio americano Robert Carney, dopo avere ricevuto un suo quadro, scrive al pittore: “Nessuno potrebbe dipingere il mare come Voi, senza un’appassionata conoscenza di ciò che esso significa e ciò che rappresenta per gli uomini che vi hanno vissuto…”. Un amico di Claudus, invece, ci riferisce due frasi del pittore emblematiche del suo modo di intendere la pittura: “Il mare è buono e bello, ma non perdona, neppure sulla tela!” e, ancora, “Vedi, se uno è aviatore devo disegnarlo uccello, se è sommozzatore, pesce, se navigante, lupo, se operaio d’officina, Vulcano… l’importante è che siano belli, belli e nello stesso tempo spaventosi”. E così li ha fatti, sino all’ultimo giorno, quando la morte lo coglie ancora all’opera, con vari dipinti simultaneamente in lavorazione, l’11 aprile del 1964”.

Rudolf CLaudusAlto mare

 

Rudolf Claudus - Il Mare di Nervi

 

Rudolf Claudus - Il Regio incrociatore Giuseppe Garibaldi nei primi anni di servizio

 

Rudolf Claudus - La Regia corazzata Giulio Cesare a Punta Stilo

 

Rudolf Claudus - La Regia corazzata Giulio Cesare a Punta Stilo

 

Rudolf Claudus - “Marina con nave da guerra” – 1943

 

Rudolf Claudus - L'azione della torpediniera LUPO in Egeo contro 2 incrociatori e 4 caccia britannici il 21 maggio 1941

 

I quadri di Rudolf von CLAUDUS sotto riportati si riferiscono all’Impresa di Alessandria (18 – 19 dicembre 1941)

GLI EROI DI ALESSANDRIA

di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/alessandria/

1942: lo SCIRE con i contenitori per tre mezzi d'assalto SLC (siluri a lenta corsa) sul ponte di coperta

 

Le immagini dei dipinti che seguono sono, a mio modestissimo parere, di una bellezza infinita. Chiedo scusa per volermi “sfacciatamente” addentrare in ambiti altrui… ma l’atmosfera intensa che CLAUDUS riesce a creare nelle azioni belliche più ardite, hanno uno stile indescrivibile che definirei cinematografico. Le figure umane senza volto si confondono con le loro “armi” mimetiche e si esaltano negli sbalzi di luce anche sott’acqua dove l’azione distruttiva prende vigore ed emana una straordinaria freddezza, precisione e coraggio.

 

 Rudolf Claudus - Operatori di SLC mentre estraggono i mezzi dai contenitori sul sommergibile SCIRE’

 

Rudolf Claudus - Saliti a cavalcioni dei siluri a lenta corsa, gli operatori, salutati dal sommergibile, iniziano la navigazione verso gli obiettivi.

 

Rudolf Claudus - Operatori di SLC nell'intento di tagliare una rete di ostruzione

 

Rudolf Claudus - Operatori di SLC nel momento di fissaggio dei "sergenti" alle alette antirollio

 

Rudolf Claudus - Operatori di SLC si apprestano a sospendere la carica esplosiva sotto la chiglia dell'obiettivo

 

Rudolf Claudus - Porto di Alessandria d'Egitto: l'esplosione dei SLC sotto la HMS Queen Elizabeth e la HMS Valiant osservata da un assaltatore.

 

Rudolf Claudus - Porto di Alessandria d'Egitto: i marinai inglesi abbandonano la HMS Queen Elizabeth e HMS Valiant in affondamento dopo essere state attaccate dagli operatori della Xa MAS.

 

 

LUIGI FAGGIONI, UN EROE CHIAVARESE A SUDA (GRECIA)

di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/un-eroe-chiavarese-a-suda-grecia/

 

Rudolf Claudus - Attacco alla baia di Suda: gli operatori degli MTM stanno superando l'ultima ostruzione retale.

 

Rudolf Claudus - Attacco alla baia di Suda: l'operatore del MTM ha lanciato verso l'incrociatore HMS York il proprio battello e lo abbandona.

 

Rudolf Claudus - Attacco alla baia di Suda: esplosione di un barchino conto la HMS York osservato da un operatore sul battello di salvataggio.

 

26 Luglio 1941 – Attacco alla fortezza di  Malta

MARINA MILITARE

https://www.marina.difesa.it/media-cultura/Notiziario-online/Pagine/20210726_26_luglio_1941_Attacco_alla_fortezza_di_Malta.aspx

nel dipinto di Rudolf CLAUDUS

 

Rudolf Claudus - Attacco a Malta: crollo della campata del ponte di Sant'Elmo

OLTERRA-UN CAMOGLINO NELLA TANA DEL LUPO

di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/de-negri/

Operatori della Xa MAS fuoriescono dal piroscafo Olterra ad Algeciras per attaccare navi nella rada di Gibilterra

Nel dipinto di Rudolf CLAUDUS

 

Rudolf Claudus - Torpediniera Lince in navigazione

 

Rudolf Claudus - Corazzata Giulio Cesare a Punta Stilo

http://www.regiamarina.net/detail_text_with_list.asp?nid=35&lid=2

REGIA MARINA ITALIANA - di Cristiano D’Adamo

 

Carlo GATTI

Rapallo, 11.5.2021