IL FRONTE MARE DI RAPALLO VISTO DA UN "MARINAIO" - Parte Seconda -

LA SPIAGGIA DELLE SALINE

RAPALLO

Durante la Repubblica Marinara di Genova i marittimi potevano scegliere tra due tipi d’ingaggio: con diritto di mugugno o “senza mugugno: chi firmava il contratto “con mugugno”,  percepiva una paga inferiore, ma poteva lavorare mugugnando e brontolando.

 

La necessità “de mogognâ” dei marinai è un forte desiderio a non subire “chi gestisce il potere”; tanto da poter difendere i loro diritti, addirittura non rendendoli commerciabili. Questi “prestatori d’opera” hanno dato dignità al loro lavoro! Una forma embrionale di Democrazia. (Marcello Carpeneto)

Oggi il mugugno è un segno d’identità ligustica, riconosciuta per la sua gente chiusa e stondäia (brontolona), solo apparentemente restia all’accoglienza e al turismo.

Con questo spirito di libertà tutta ligure, mi accingo a “disegnare” due mugugni alla marinara … Chi mi conosce sa che non amo granché la politica, qualunque sia il suo colore, e c’è un motivo di fondo: il destino mi ha portato sempre in giro per il mondo ed ho finito per affezionarmi solo al MARE e alle sue molteplici attività!

Tuttavia, nel mio precedente articolo:

IL FRONTE MARE DI RAPALLO -  PARTE PRIMA

ho precisato:

“La creazione di una spiaggia pubblica a Rapallo, ritengo sia stata unottima idea dell’Amministrazione cittadina per i tanti positivi risvolti economici, turistici, ambientali che potranno fornire alla rinata perla del Tigullio

E qui ribadisco il concetto prendendo le distanze da chi ha voluto sui socials, come spesso succede in certi ambiti … “fotografare” l’articolo quale situazione favorevole ai loro interessi personali o politici. Non a caso ho scritto più volte che tra marinai e terrestri le comunicazioni sono rare, confuse e spesso avvengono su “convergenze parallele” come disse quel bravo politico tragicamente scomparso nel 1978!

PRIMO MUGUGNO

Fa parte del mio abito mentale e quindi comportamentale, cercare sempre di prefigurarmi le situazioni in divenire per evitare possibili errori, le cosiddette “facciate”...

Per quanto riguarda la novità dell’estate 2022 a Rapallo: la Spiaggia delle Saline, appunto, mi vien fatto di pensare che, essendo la stessa situata alle spalle del Complesso Portuale Rapallese che ha un potenziale di circa 900/1000 ormeggi fruibili, non possa fornire “accettabili” forme di balneazione agli utenti, riferendomi in particolare all’anno che verrà (?)… in cui ci sarà la ripartenza a pieno regime del Porto Carlo Riva.

L’elemento che occorreva prendere seriamente in considerazione, a suo tempo, è ancora il VENTO: LA BREZZA DI MARE, chiamata così perché soffia dal mare verso terra nelle ore diurne. Parliamo proprio di questo vento che ha reso celebri le nostre località costiere avendo la capacità di mitigare le alte temperature tipiche del periodo estivo.

Se non lo avete ancora fatto, provate ad immaginare questo vento marino, fresco e pulito che, dopo aver accarezzato l’area portuale, cambia abito, s’impregna di fumi e gas di scarico di numerosi motori di varia potenza facendosi vettore anche di altri “inquinamenti” già visti galleggiare su tutti gli arenili italiani, rilasciati da barche in movimento “da mane a sera”… che poi  saranno depositate nell’habitat che incontra sul suo cammino cioè:

Sulla Spiaggia delle Saline

Location che è destinata pertanto a diventare il ricettacolo di una variegata complessità di rumenta! Mi auguro di sbagliare ma credo che altri abbiano scelto un’area ben poco adatta ad una balneazione intesa nel senso tradizionale, cioè conforme ai bollini blu che Rapallo si è meritata nel tempo!

CONCLUSIONE

 

La logica marinara avrebbe indicato per la balneazione, la zona della passeggiata a mare - la più distante possibile dalla zona portuale - vale a dire lo spazio compreso tra il molo dei Primeri (Bruno De Lorenzi) ed il Castello cinquecentesco (vedi freccia blu foto sopra ), area che gode di un ampio spazio aperto verso il mare da cui soffia la brezza diurna, fresca e priva di ostacoli inquinanti.

Brezza di mare e brezza di terra, come si formano?

Le brezze sono uno degli elementi meteorologici più conosciuti dalla popolazione, anche se il loro processo di formazione è un po 'più complesso di quanto possa sembrare a prima vista. Qui te lo spieghiamo.

 

Schema di formazione delle brezze marine

Le brezze termiche sono venti locali che si originano per la differenza di temperatura tra la superficie marina o lacustre e quella terrestre. A causa di questi gradienti, si verificano movimenti verticali degli strati d'aria, che causano vuoti e squilibri di pressione.

Brezze marine

Senza dubbio le brezze marine sono le più conosciute dalla popolazione. Durante il giorno la superficie terrestre si riscalda più velocemente della superficie del mare, perché l'acqua ha una maggior inerzia termica e la sua temperatura sale e scende più lentamente. L'aria più calda situata sopra la costa diventa meno densa e sale.

È qui che entra in gioco l'aria più fredda sopra la superficie del mare, la cui pressione è più alta (è più pesante). Quest'aria tende ad occupare il vuoto lasciato dall'aria che si è sollevata sopra la costa, ed il risultato di questo processo è la formazione di un vento locale che soffia dal mare alla terra. In questo modo si origina durante il giorno la brezza marina.

La tarda primavera e l'inizio dell'estate sono i momenti in cui le brezze tendono a raggiungere la loro massima intensità, a causa della maggiore differenza di temperatura tra il mare ed il continente, una differenza a volte superiore ai 5ºC. In questo periodo la brezza può penetrare fino a 50 chilometri nell'entroterra. Se le condizioni in altezza e in superficie sono adatte, può aiutare nella generazione di rovesci o temporali.

D'altra parte, nella restante parte dell'anno le brezze tendono ad essere più deboli in quanto c'è un gradiente termico inferiore tra il mare e la terra. Inoltre nel resto dell'anno le brezze marine tendono a soffiare parallelamente alla costa a causa dell'effetto Coriolis. Non bisogna dimenticare poi che l'incidenza di questi venti locali è fortemente condizionata anche dall'orografia e dalla conformazione del litorale e dall'influenza del sistema di alta e bassa pressione.

Brezza di terra

La mattina e al tramonto c'è un periodo di calma in cui le temperature del mare e della terra sono praticamente uguali. Di notte il meccanismo si inverte. A causa della minor capacità termica della superficie terrestre, la temperatura scende rapidamente, cosa che non accade sulla superficie del mare a causa della sua maggior inerzia termica.

L'aria sopra il mare sarà quindi più calda e, di conseguenza, meno densa e si solleverà, il che può favorire la comparsa di nuvolosità se le condizioni lo consentono. Il vuoto che lascia viene riempito dall'aria proveniente dalla terraferma, più fredda e più pesante, provocando un vento locale che soffia dalla terra al mare, riscaldandosi durante la discesa. In generale è più debole della brezza marina.

 

SECONDO MUGUGNO

Confesso la mia difficoltà a comprendere la scelta del Molo De Lorenzi (ubicato nel centro della passeggiata a mare) che viene adibito al traffico dei battelli turistici, quando questo Terminal confina con una spiaggia destinata alla balneazione estiva.

Tutti sanno che negli ambiti portuali di tutto il mondo è vietata la balneazione. La presenza di battelli/traghetti in quella zona della passeggiata comporta, secondo il calendario degli imbarchi/sbarchi, una ventina di manovre d’ormeggio e disormeggio in un solo giorno!

Gli “incolpevoli” Traghetti sono imbarcazioni moderne e veloci che sono dotate di potenti motori dai quali non escono rose e fiori … ma fumi e gas e, già che ci siamo, aggiungerei anche il fango che sale in superficie ad ogni avviamento del motore, visti i bassi fondali che tormentano quella zona.

Perché allora permettere la coabitazione del traffico marittimo con un’attività destinata alla balneazione? Per non parlare delle eventuali e possibili avarie di questi mezzi le cui conseguenze non voglio neppure prendere in considerazione.

La cosa più strana che salta agli occhi è la presenza del lungo ed attrezzato Molo Langano (foto sopra) che sul lato mare è suolo privato e sull’altro é pubblico. A questo punto, la domanda più ovvia che sorge spontanea è la seguente:

Perché questo ampio molo non viene destinato all’imbarco/sbarco passeggeri considerando la non trascurabile differenza di pescaggio tra i due moli in questione?

 

CONCLUSIONE

Evidentemente nella nostra città hanno diritto di precedenza quei criteri legati “esclusivamente” alle esigenze logistiche del turismo, alla sua immagine e ad una sbrigativa “funzionalità” delle attività collegate che poco hanno a che fare col “buon senso marinaro”!

Il molo Bruno De Lorenzi, l’attuale Terminal Traghetti di Rapallo, avrebbe un senso come luogo di ristoro (Bar, Chalet, Fast-food) per i numerosi bagnanti accaldati e assetati … ma su questo terreno non oso avventurarmi!

FINE DEI MUGUGNI

Una interessante lettura per l’estate.

Langano: un molo storico, una nave rapallina da ricordare    di C.Gatti

https://www.marenostrumrapallo.it/langano/

L’articolo è stato pubblicato su Rapallo NotizieIL MARE - da qualche giorno in edicola.

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, giovedì 21 Luglio 2022


IL FRONTE MARE DI RAPALLO VISTO DA UN “MARINAIO” - PARTE PRIMA -

IL FRONTE MARE DI RAPALLO

VISTO DA UN “MARINAIO”

PARTE PRIMA

 

di Carlo GATTI

 

 

La gente della nostra costa sa da sempre che:

Il vento di traversia  è  il libeccio che soffia da sud-ovest (225°)

E che il vento dominante è lo scirocco che soffia da sud-est (135°)

Il libeccio proviene dal largo, dagli alti fondali e colpisce con violenza “atlantica” la costa ligure esposta a questo vento.

C’è un terzo fattore che influisce sulle nostre coste:

La corrente marina che moltiplica la sua velocità sotto l’effetto dello scirocco.

La corrente marina

Tutto ha inizio con la corrente del golfo (Gulf Stream) che nasce nel Golfo del Messico, affronta l’Oceano e, giunta a Gibilterra, un suo ramo entra nel Mediterraneo, compie una rotazione completa; ritorna quindi in Atlantico e con una lunga nuotata rientra nel golfo del Messico …

A noi interessa il ramo di questa corrente che dalle coste della Tunisia risale il Tirreno, accarezza il Golfo ligure, costeggia la Spagna e discende per rimettersi in circolo.

La corrente è costante nel suo eterno moto circolare, ha la velocità di 1 nodo lungo le coste del Nord Africa e nello Stretto di Sicilia, mentre sul resto del bacino ha valori inferiori.

Perché questa spiegazione?

Soltanto sul versante tirrenico la forza della corrente marina si somma allo scirocco, entrambe provenienti da SUD-EST, la risultante è un “fiume” la cui velocità è proporzionale alla spinta del vento. Quando il fenomeno accade, gli elementi si esaltano, entrano in competizione tra loro e la gara diventa dura specialmente per chi ne viene “investito” ….!  

Entrando nello specifico: nel golfo ligure la corrente marina da scirocco, come abbiamo visto, ha una velocità costante di 0,5 nodi * in bonaccia di vento, ma la sua forza può raggiungere la velocità di 6/7 nodi ed oltre in presenza di burrasche forti da quel quadrante. Questo flusso d’acqua ha la caratteristica d’entrare con violenza dappertutto in ogni buco naturale o artificiale della costa investendo porti, porticcioli, golfi e insenature modificando i fondali e mettendo in difficoltà qualsiasi nave in navigazione o in manovra.

 * - In ambito nautico: Il nodo è l’unità di misura per la velocità equivalente ad un miglio nautico l'ora (1,852 km/h).

 

A causa dei preoccupanti cambiamenti climatici causati dal surriscaldamento della terra, occorre affrontare il “fenomeno naturale” con un cambio di mentalità predisponendosi a ragionare come sanno fare i “marinai da cattivo tempo”: immaginare il peggio cercando di valutare in anticipo le proporzioni che questi fenomeni potranno assumere in futuro. Questo atteggiamento mentale è l’unico che ci può portare verso scelte preventive di buon senso.

Prima di quel famigerato 29 ottobre 2018, Portofino, Santa Margherita e Rapallo erano le uniche località del Tigullio ritenute “fortunate” per la loro posizione ridossata dal “devastante” vento di Libeccio che veniva deviato dallo scudo naturale del Promontorio di Portofino. Ma del doman non c’è certezza recita il poeta. Ora più che mai!

A questo punto le domande che ognuno di noi si pone sono tante e tutte esigono risposte precise che la meteorologia, essendo la scienza più giovane del pianeta, non è ancora in grado di fornire, e non solo per mancanza di statistiche…

Potrà ripetersi ancora quell’allucinante congiuntura di fenomeni distruttivi che abbiamo conosciuto il 29 ottobre 2018?

 Questo pare essere il “punto focale” di tutte le domande! Ma sospendiamo per un attimo lo sviluppo del tema e, andando un po’ a ritroso nel tempo, ci sia concessa una Celia

Da questa particolare situazione di privilegio effettivo goduto per secoli dalla nostra gente, nacque la colorita nomea:

GOLFO DEI NESCI

che oggi il tempo ha decantato e quasi dimenticato… ma per qualche giovane curioso di oggi è bene aver pronta una spiegazione. L’ultima che ho trovato è questa: “deriva dal tentativo dei vecchi marinai (oggi solo di qualche turista) di andare a vela in un golfo dove non c'è mai vento: nescio in genovese ha un significato al limite tra matto e stupido, anche se letteralmente vuol dire:  che sa di poco - che è insipido!

.

Un’altra spiegazione, del tutto personale, è questa: “golfo dei nesci” - nacque, probabilmente, come presa per i fondelli verso chi non conosceva le vere tempeste da Libeccio che, al contrario, aveva forgiato veri marinai da tempo cattivo nelle località limitrofe.

Tuttavia, a giudicare dalla costruzione di certe strutture portuali costruite nel recente passato nelle località “ridossate”, il dubbio che siano state concepite da “marinai da tempo buono” è pertinente anche per il sottoscritto …

Ma c’è un altro fattore ancora più sorprendente che NON mi fa dubitare sul significato della parola NESCIO che ha marchiato il nostro golfo: chiunque può scoprire, facendo un brevissimo viaggio “vero o virtuale” su internet, che tutti i porti e porticcioli esistenti da Spezia a Genova ed oltre… hanno una diga che li ripara dallo SCIROCCO. Pochissimi altri, come Lavagna, non hanno avuto alternative nella scelta per ragioni orografiche. Pertanto si può dire che soltanto Rapallo detenga questo primato.

L’INSEGNAMENTO CHE LA LOCARNO CI HA LASCIATO IN EREDITA’

Le foto (sopra e sotto) mostrano a sinistra, il molo dei Primeri (oggi si chiama: Bruno De Lorenzi in onore all’eroe Rapallese della Seconda guerra mondiale). Quel pontile rappresenta, ancora oggi, il punto d’atterraggio della LOCARNO contro il quale “appoggiò” la murata sinistra, proprio sotto lo scalandrone della nave. Quel punto costituì il terminale della rotta “da scirocco” lungo la quale il piroscafo, ormai senza “governo”, scarrocciò verso il centro della passeggiata a mare.

(Nelle foto sopra e sotto si vede il molo dei Primeri (De Lorenzi)

In questa foto scattata da terra si evidenzia la vulnerabilità del Fronte a Mare di Rapallo aperto totalmente allo SCIROCCO

 Nell’immagine rubata al web si nota inoltre che l’entrata dello SCIROCCO nel golfo di Rapallo non incontra OSTACOLI nel suo breve viaggio verso la città: un vero cul de sac che oggi appare ancora più stretto nello spazio tra le dighe del porto Riva e del Porticciolo. La strettoia, per l’effetto VENTURI, contribuisce ad aumentare la forza del vento in entrata aumentandone sia l’ampiezza dell’onda che la corrente.

Come funziona l'effetto Venturi? Il grafico qui sotto riportato è più esplicativo di tante parole.

Così spiega la scienza:

Venturi è un sistema per velocizzare il flusso del fluido, costringendolo in un tubo a forma di cono. Nella restrizione il fluido deve aumentare la sua velocità riducendo la sua pressione e producendo un vuoto parziale.

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO DI CUI RAPALLO HA GIA’ CONOSCIUTO GLI EFFETTI DEVASTANTI IL 29 OTTOBRE 2018, CI OBBLIGA A FARE ALCUNE RIFLESSIONI SULLA DIFESA DEL NOSTRO TERRITORIO – FRONTE MARE

Ci serviamo di questa immagine (sotto) per inquadrare la direzione dello SCIROCCO proveniente da SE (135°) che corre parallelo alla costa della Riviera di Levante ed entra senza ostacoli investendo in pieno la passeggiata a mare.

Su questa foto ho immaginato la presenza di una diga “interrotta da ambo i lati” a difesa della passeggiata a mare e delle sue costruzioni storiche affollate di esercizi pubblici in larga parte dedite al turismo. La linea rossa è stata tracciata in modo approssimativo per esprimere il concetto e non per fornire dettagli tecnici che definiscano le sue caratteristiche: lunghezza e orientamento rispetto al vento dominante di SCIROCCO.

 

La Zona Lido (nella foto sopra)  é  attigua alla nuova spiaggia. 

 

LA NUOVA SPIAGGIA DELLE SALINE

sarà inaugurata il 16 luglio 2022

La creazione di una spiaggia (foto sopra), ritengo sia stata un’ottima idea dell’Amministrazione cittadina per i tanti positivi risvolti economici, turistici, ambientali che potranno fornire alla rinata “perla del Tigullio”

Ho qualche dubbio, tuttavia, sulla scelta della posizione della spiaggia delle Saline. Ma ne riparleremo nella prossima puntata.

 

Qui voglio aggiungere un altro elemento positivo di carattere sportivo a ricordo del glorioso passato di Rapallo: i giovani talenti delle discipline natatorie, velistiche e di canottaggio nascono in mare in tenera età e, solo successivamente, una volta superato il vaglio degli esperti, iniziano un percorso didattico in piscina o presso i Club velici e Canottieri.

Ben vengano quindi le spiagge che sicuramente riempiranno un gap nella popolazione locale che non ha avuto modo d’imparare a nuotare per almeno due generazioni, per i motivi che tutti conosciamo…!

 

Difendiamo allora questo patrimonio in costruzione con una DIGA che potrebbe valorizzare ampi e sicuri spazi al mare interno e cambiare il volto della Rapallo marinara.

 

A questo punto del “sogno” … il lettore si chiederà:

“Perché costruire una diga di sbarramento contro il vento di scirocco che non annovera gravissimi danni nella storia della nostra città?”

 La diga a protezione della città, aprirebbe nuove prospettive per la sicurezza:

In caso di tempeste, burrasche e mareggiate forti, concomitanti a piogge travolgenti, la diga consentirebbe ai nostri torrenti di defluire con più facilità verso il mare riducendo la possibilità di esondazioni, allagamenti e black-out agli impianti idrici che Rapallo ha ben conosciuto nella sua lunga storia.

 

 

Inoltre, una diga di quel tipo costituirebbe un’utilissima barriera per le migliaia di tonnellate di materiale ligneo proveniente dagli estuari dei fiumi e torrenti di mezza Italia che i venti sciroccali e la corrente depositano ogni anno sui nostri arenili. E piuttosto pensabile che la corrente - “nastro trasportatore di legname” - una volta incontrata la diga, andrebbe a scaricare il suo indesiderato contenuto verso il largo.

Potendo usufruire del ridosso della diga, si otterrebbe un “EFFETTO ATOLLO” al suo interno che potrebbe anticipare ed allungare la stagione estiva di qualche mese e permettere allenamenti sportivi e perché no, anche manifestazioni e spettacoli di carattere acquatico e nautico.

RIASSUMENDO

COME ABBIAMO APPENA VISTO, I VANTAGGI D’AVERE UNA DIGA SONO MOLTEPLICI

(il nemico lo si affronta prima che giunga davanti alle porte della città)

 

“L’invincibilità sta nella difesa” (SUN TZU)

 

UNA LETTURA UTILE

La costa italiana ha una lunghezza di circa 8.300 km. Più del 9% di costa è ormai artificiale, delimitata da opere radenti la riva (3,7%), porti (3%) e strutture parzialmente sovraimposte al litorale (2,4%).

L’ambiente costiero è un ecosistema dinamico in cui processi naturali e di origine antropica si sommano e interagiscono modificandone le caratteristiche geomorfologiche, fisiche e biologiche

La continua movimentazione dei sedimenti a opera del mare (correnti, maree, moto ondoso, tempeste) sottopone i territori costieri a continui cambiamenti, che si evidenziano con nuovi assestamenti della linea di riva e con superfici territoriali emerse e sommerse dal mare, riscontrabili anche nell’arco di una stagione.

CONCLUSIONE

I VIVI - I MORTI E I NAVIGANTI ...

La differenza di mentalità tra il “marinaio” e l’uomo di terra è sempre la stessa da migliaia di anni.

Chi deve affrontare gli oceani si organizza mentalmente su come programmare il viaggio sapendo di dover affrontare le tempeste. Sa di non poter trascurare i punti deboli della sua nave. C’è di mezzo la vita e quella dei suoi compagni di viaggio.

In terra si sente sempre avanzare una giustificazione e l’assenza di responsabilità individuali per ogni catastrofe:

-  Quel fiume non esondava da …

-  Questa siccità non accadeva dal …

-  Quel ponte ha resistito per secoli …

-  Onde così alte non si erano mai viste …

In terra tutti parlano di SICUREZZA, MA NESSUNO VUOLE PAGARLA!

 

LA STORIA RACCONTA

L’Associazione culturale Mare Nostrum Rapallo nacque, nella sua veste attuale, nel 1987 (1° Mostra al Castello), ma solo nel 2011 si dotò di un proprio sito che in 11 anni ha raggiunto l’impressionante cifra di 200.000 visite circa. Da pochi mesi lo abbiamo aggiornato con una versione ultramoderna che ci ha subito ripagato con innumerevoli segnalazioni di followers internazionali alle Accademie culturali di S. Francisco, New York e Oxford dalle quali veniamo informati ogni giorno. I nostri “contenitori per argomenti”, contengono ben 800 ricerche, articoli e saggi che evidentemente sono molto apprezzati e ci rendono pertanto fieri del nostro lavoro. VISITATECI - siamo sicuri che scoprirete un TESORO cultural-marinaro che vorrete condividere con noi.

                                                                                            IL DIRETTIVO

 

Dal sito di Mare Nostrum Rapallo:

https://www.marenostrumrapallo.it

Riportiamo alcuni contributi per l’approfondimento degli argomenti trattati

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RAPALLO: L'AGONIA DELLA CARRETTA LOCARNO

https://www.marenostrumrapallo.it/lagonia-della-locarno/

di Emilio CARTA

 

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Pubblicazione di Emilio CARTA e Carlo GATTI

DVD di Ernani ANDREATTA

 

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A L’EA GENTE NAVEG …

https://www.marenostrumrapallo.it/navega/

di Carlo GATTI

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Genova, 19.2.1955UN INFERNALE CICLONE DA LIBECCIO DEVASTO’ IL PORTO DI GENOVA

https://www.marenostrumrapallo.it/ciclone/

di Carlo GATTI

 

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RAPALLO, QUANDO SI NUOTAVA NEL GOLFO DEI NESCI

 di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/quando-si-nuotava-nel-golfo/

 

 

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Lunedì 29 ottobre 2018

TEMPESTA SHOCK SUL MARE NOSTRUM – RAPALLO

di Carlo GATTI 

https://www.marenostrumrapallo.it/tsunami/

Rapallo, 4 Luglio 2022


NAVE GARIBALDI - 551 La prima unità navale Lanciamissili balistici

NAVE GARIBALDI

La prima unità navale lanciamissili balistici

551

SI VIS PACEM PARA BELLUM

Nave Giuseppe Garibaldi anno 1937

Il Giuseppe Garibaldi è stato un incrociatore della Regia Marina italiana e successivamente della Marina Militare. Dopo aver subito radicali lavori di trasformazione, divenne la prima unità navale missilistica italiana. Alla sua entrata in servizio il Garibaldi era classificato incrociatore leggero, in quanto secondo il Trattato navale di Londra del 1930, erano classificati tali gli incrociatori con cannoni da 6.1 pollici 155 mm o più piccoli, mentre quelli con cannoni fino a 8 pollici 203 mm erano definiti incrociatori pesanti.

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Caratteristiche :

La costruzione dell’unità avvenne nel Cantiere navale San Marco di Trieste ed ebbe iniziò il 28 dicembre 1933. La nave, varata il 22 aprile 1936, fu consegnata alla Regia Marina il 1º dicembre 1937. Madrina del varo la Signora Gina Federzoni, moglie del allora Presidente del Senato Luigi Federzoni. La bandiera di combattimento venne consegnata il 13 giugno 1938 dalla città di Palermo e dalla Federazione Nazionale Volontari Garibaldini, dopo che il 5 maggio la nave aveva preso parte nel golfo di Napoli alla parata navale in onore del Cancelliere tedesco Hitler in occasione della visita in Italia.

Il varo della nave

L’unità faceva parte della classe Duca degli Abruzzi, ultima evoluzione degli incrociatori leggeri del tipo Condottieri. Le navi di questa quinta e ultima classe presentavano un perfetto equilibrio fra protezione, velocità, tenuta di mare e armamento, grazie alla esperienza acquisita dalla realizzazione delle precedenti classi e i miglioramenti introdotti richiesero un aumento del dislocamento, che per queste unità superò le 9.000 tonnellate, con un incremento di dimensioni, che portarono la lunghezza dello scafo fuori tutto a 187 metri, risultando quindi tra le più lunghe unità della Regia Marina, precedute soltanto dalle Littorio, dai Trento e dal Bolzano. Particolare cura era stata posta nello studio della corazzatura. La protezione verticale era costituita da tre paratie, di cui la prima di 30 mm di acciaio al nichelcromo, la seconda di 100 mm di acciaio cementato che poggiava su un cuscino di legno con funzione ammortizzante ed una terza paratia di 12 mm con funzione di paraschegge. La protezione orizzontale era costituita da 40 mm per il ponte di batteria, mentre lo schema di protezione vede indicati anche 10-15 mm di acciaio del ponte di coperta 90 mm al basamento dei fumaioli; corazze curve dello spessore di 100 mm proteggevano i pozzi delle torri principali. La sovrastruttura presentava i due fumaioli ravvicinati e due catapulte, una per lato, che permettevano di imbarcare fino a quattro idrovolanti da ricognizione marittima IMAM Ro.43 biplani biposto a galleggiante centrale capaci di raggiungere circa i 300 km/h e con circa 1 000 km di autonomia, che avevano le ali ripiegabili all’indietro in modo da permetterne il ricovero sulle navi.

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Idrovolante da ricognizione marittima IMAM Ro.43 biplani biposto

L’aumento delle dimensioni e del dislocamento richiese un aumento della potenza dell’apparato motore che era a vapore con due turbine tipo Belluzzo/Parsons alimentate dal vapore di otto caldaie a tubi d’acqua del tipo Yarrow/Regia Marina, con due caldaie in più rispetto alle precedenti realizzazioni della Classe Condottieri. In queste caldaie, alimentate a nafta, l’acqua fluiva attraverso tubi riscaldati esternamente dai gas di combustione. Questa configurazione sfruttava il calore sprigionato dai bruciatori, quello delle pareti della caldaia e quello dei gas di scarico. Nel XX secolo questo tipo di caldaia diventò il modello standard per tutte le caldaie di grosse dimensioni, grazie anche all’impiego di acciai speciali in grado di sopportare temperature elevate e allo sviluppo di moderne tecniche di saldatura. L’apparato motore forniva una potenza massima di 100 000 CV e consentiva alla nave di raggiungere la velocità massima di 33-34 nodi. A tale proposito, il Garibaldi arrivò a 34.78 nodi ma soltanto a poco più di 8.600 t di dislocamento circa 500 in meno rispetto a quello standard e 2.500 rispetto al massimo consentito. Nello stesso anno del 1937 l’Abruzzi ottenne, una stazza più realistica di circa 10.300 t circa il 90% del massimo indicato di 11.550, 33.62 nodi a 104.000 hp. Le navi imbarcavano fino ad oltre 1.600 tonnellate di nafta, un’autonomia che ad una velocità media di 13 nodi era di 4.125 miglia, mentre alla velocità di 31 nodi era di 1.900 miglia. L’armamento principale era costituito da cannoni da 152/55 Ansaldo Mod. 1934 a culla singola e a caricamento semi-automatico installati in quattro torri, di cui una trinata ed una binata nella sovrastruttura di prua ed una torretta trinata ed una binata a poppavia del secondo fumaiolo, per un totale di dieci cannoni. L’armamento antiaereo principale era costituito da 8 cannoni da 100/47 mm OTO in quattro complessi scudati, utili anche in compiti antinave, ma che con l’aumento della velocità dei velivoli e con le nuove forme di attacco in picchiata si mostrarono insufficienti alla difesa aerea e rivelarono una certa utilità solo nel tiro di sbarramento, tanto che per ovviare a tali inconvenienti venne approntato il complesso singolo modello 90/50 mm A-1938 con affusto stabilizzato che trovò impiego sulle Duilio e sulle Littorio ma non sulle Cavour.

 

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L’armamento antiaereo secondario era costituito da 12 mitragliere Breda Mod. 31 da 13.2/76 mm che durante la guerra furono sostituite con altrettante mitragliere da 20/70 e 8 mitragliere pesanti Breda 37/54 mm montate in 4 impianti binati che si rivelarono particolarmente utili contro gli aerosiluranti e in generale contro i bersagli a bassa quota. L’armamento silurante

 era di 6 tubi lanciasiluri in due complessi tripli, che nel 1945 vennero rimossi e che trovavano posto in coperta circa a metà distanza fra i due fumaioli. Completavano l’armamento antisommergibile 2 lanciatori per bombe di profondità.

Caratteristiche generali

Dislocamento standard: 9050 t a pieno carico: 11117 t

Lunghezza fuori tutto: 187 m perpendicolari: 171,8 m

Larghezza 18,9 m perpendicolari: 171,8 m

Pescaggio 6,8 m

Equipaggio 640 (29 ufficiali e 611( tra sottufficiali e marinai)

Armamento

Artiglieria 10 cannoni Ansaldo da 152 mm

8 cannoni da 100/47 mm

8 cannoni Breda da 37/54 mm

12 mitragliatrici Breda mod.31 da 12.7 mm

Siluri  6 tubi lancia siluri da 533 mm

2 lanciabombe di profondità

Corrazzatura

 

Verticale 100 mm+30 mm – Orizzontale 40 mm – Artigliere  135 mm – Torrione 140 mm

Mezzi Aerei 4 Idrovolanti Inam Ro 43

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Attività bellica: La prima operazione bellica cui partecipò l’unità fu nell’aprile 1939 l’occupazione dell’Albania. Nell’occasione la Regia Marina schierò davanti alle coste albanesi una squadra navale al comando dell’ammiraglio Arturo Riccardi, composta, oltre che dal Garibaldi, dagli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Bande Nere, dalle due Cavour, dai quattro incrociatori pesanti Zara, 13 cacciatorpediniere, 14 torpediniere e varie motonavi su cui erano imbarcati in totale circa 11.300 uomini, 130 carri armati e materiali di vario genere. Nonostante l’imponente spiegamento di forze, l’azione delle navi italiane, nei confronti dei timidi tentativi di reazione da parte albanese, si limitò soltanto ad alcune salve sparate a Durazzo e a Santi Quaranta. Le forze italiane incontrarono scarsissima resistenza e in breve tempo tutto il territorio albanese fu sotto il controllo italiano, con re Zog costretto all’esilio. Il Garibaldi trovò poi ampio impiego durante la seconda guerra mondiale, inquadrato nella VIII Divisione incrociatori nell’ambito della I Squadra di base a Taranto.

Attività bellica 1940.   Il 9 luglio 1940, al comando del capitano di vascello Stanislao Caraciotti, prese parte alla battaglia di Punta Stilo, nel corso della quale colpì con schegge della propria artiglieria, l’incrociatore HMS Neptune della Royal Navy, danneggiandone sia la catapulta che il ricognitore Swordfish imbarcato sull’unità britannica, quest’ultimo in modo irreparabile. Al comando della VIII Divisione Incrociatori c’era l’ammiraglio Antonio Legnani con insegna sul gemello Duca degli Abruzzi, mentre l’unità inglese faceva parte della classe Leander ed era inquadrata nella VII Divisione Incrociatori nell’ambito della Forza A comandata dall’ammiraglio di squadra John Towey. Alle 15:20 la VIII Divisione incrociatori leggeri aprì il fuoco contro il nemico dalla notevole distanza di 20.000 metri con le artiglierie da 152 mm, seguita alle 15:26 dalle navi della IV Divisione comandata dall’ammiraglio Marenco di Moriondo e formata dagli incrociatori Alberico da Barbiano e Alberto di Giussano. Alle 15:31 il contatto cessò per l’intervento delle navi da battaglia. Il Garibaldi tra il 29 agosto e il 5 settembre 1940 prese parte ad un’azione di contrasto all’Operazione inglese Hats, con gran parte delle unità della I Squadra insieme ad altre unità partite da Messina e da Brindisi. L’azione vedeva per la prima volta l’impiego delle due nuovissime navi da battaglia della classe Littorio, Vittorio Veneto e Littorio. La Squadra Navale italiana poteva contare nell’occasione 4 navi da battaglia, 10 incrociatori e 31 cacciatorpediniere, ma il nemico non venne rintracciato anche a causa di una violenta burrasca che costrinse al rientro le navi italiane non potendo i cacciatorpediniere reggere il mare. Il successivo 29 settembre il Garibaldi partecipò all’attacco al convoglio inglese MB 5 diretto a Malta. Le forze inglesi vennero attaccate dagli aerosiluranti italiani, ma anche questa volta l’attacco delle forze navali di superficie non si materializzò e gli inglesi portarono a termine la missione poiché le unità della Regia Marina non riuscirono a stabilire il contatto. Il Garibaldi era poi presente, ormeggiato nel Mar Piccolo, nella notte a Taranto dell’11-12 novembre 1940, dalla quale uscì indenne e nel corso della quale furono gravemente danneggiate le navi da battaglia Cavour, Duilio e Littorio. Nella stessa sera dell11 novembre, intorno alle 18, alcuni incrociatori e cacciatorpediniere inglesi si distaccarono dalla flotta principale che stava dirigendosi verso il golfo di Taranto per l’operazione Judgement e si diressero verso il Canale d’Otranto per intercettare il traffico verso l’Albania.

 

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Lo squadrone inglese era costituito dagli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Sydney con la scorta dei cacciatorpediniere della classe Tribal Nubian e Mohawk. Le navi britanniche, dopo aver attraversato il canale ed essere entrate in Adriatico, intercettarono un convoglio diretto a Valona, costituito dai piroscafi Antonio Locatelli, Premuda, Capo Vado e Catalani, scortati dalla vecchia torpediniera Fabrizi, al comando del tenente di vascello Giovanni Barbini, e dall’incrociatore ausiliario Ramb III al comando del capitano di fregata Francesco De Angelis. Gli inglesi dopo aver localizzato il convoglio italiano affondarono tutti i piroscafi nonostante l’eroica difesa offerta della torpediniera Fabrizi, gravemente danneggiata, mentre l’incrociatore RAMB III, dopo un iniziale scambio d’artiglieria, si dileguò lasciando i piroscafi alla loro sorte, riuscendo a rompere il contatto salvandosi nel porto di Brindisi. Nello scontro 36 marinai italiani persero la vita, e 42 vennero feriti. Il Tenente di Vascello Barbini, pur ferito riuscì a riportare nel porto la sua unità guadagnandosi per il suo eroismo la Medaglia doro al valor militare. I velivoli inviati dalla Regia Aeronautica non riuscirono a localizzare la flotta nemica ed i pochi CANT inviati in missione di ricognizione vennero falcidiati dalle forze nemiche. La Regia Marina inviò delle motosiluranti da Valona, gli incrociatori Attendolo ed Eugenio di Savoia della VII Divisione con i cacciatorpediniere della XV Squadriglia da Brindisi, e gli incrociatori Duca degli Abruzzi e Garibaldi con i cacciatorpediniere della VII e VIII Squadriglia da Taranto, ma le navi italiane non riuscirono a stabilire il contatto. Nella giornata del 12 novembre 140 marinai vennero salvati dalle torpediniere Curtatone e Solferino.

Attività bellica 1941.   Nel 1941, dopo il trasferimento nella base di Brindisi, avvenuto il 1º marzo, prese parte alla battaglia di Capo Matapan. nel corso della quale le forze italiane comandate dall’ammiraglio Angelo Iachino persero 3 incrociatori pesanti della classe Zara e 2 cacciatorpediniere della classe Poeti. Le unità andate perdute facevano parte della I Divisione Incrociatori comandata dall’ammiraglio Cattaneo e furono gli incrociatori Zara, Fiume e Pola e i cacciatorpediniere Alfieri e Carducci della IX Squadriglia, che ne costituivano la scorta. Il Garibaldi partecipò alla battaglia insieme al gemello Duca degli Abruzzi scortato da due cacciatorpediniere della classe Navigatori della XVI Squadriglia, il da Recco e il Pessagno. La partecipazione fu tuttavia solo nominale, poiché nelle prime fasi dell’operazione il Pessagno lamentò un’avaria ad una caldaia che ne limitava di molto la velocità. Questa avaria costrinse tutta lVIII Divisione Incrociatori ad allontanarsi dal teatro operativo facendo rotta di rientro. Il successivo 8 maggio partecipò ad un’azione di contrasto all’operazione inglese Tiger, con cui gli inglesi, con un convoglio diretto ad Alessandria d’Egitto da Gibilterra, si proponevano di rifornire di carri armati, aerei e carburante la loro armata del Nilo con base Alessandria d’Egitto. I britannici evitarono lo scontro navale con la flotta italiana che era uscita per intercettare il convoglio senza però riuscire a stabilire il contatto e riuscirono così a portare al termine con successo la missione di rifornimento alle proprie truppe in Egitto. Il successivo 28 luglio il Garibaldi sopravvisse ad un siluro lanciato dal sommergibile britannico Upholder dal quale venne colpito al largo delle coste siciliane nei pressi dell’isola di Marettimo. I siluri lanciati furono 2 ma il tempestivo avvistamento da parte di una vedetta dell’R.C.T. Bersagliere, che riuscì ad evitarli entrambi, consentì all’incrociatore italiano di evitarne almeno uno. I danni subiti non furono gravi venne colpito a proravia delle torri prodiere, nonostante le 700 tonnellate d’acqua imbarcate. Il Garibaldi riuscì a raggiungere Palermo ed essere poi trasferito a Napoli per le riparazioni che richiesero 4 mesi di lavoro ed il successivo 20 novembre si trovò a partecipare ad una missione di scorta.

 

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Da Napoli erano salpati, diretti a Bengasi, due convogli composti in totale da 5 piroscafi e una petroliera, con la scorta della III e VIII Divisione e 12 cacciatorpediniere, mentre altri 2 cacciatorpediniere e 2 torpediniere formavano la scorta diretta. Il 21 novembre un ricognitore inglese avvistata la formazione italiana andò a dirigere su di essa alcuni sommergibili ed il sommergibile Utmost colpì con un siluro il Trieste, che gravemente danneggiato riuscì a raggiungere il giorno dopo Messina così come anche il Duca degli Abruzzi che era stato silurato ed aveva subito danni non gravi da un attacco notturno aerosilurante inglese. Il convoglio viene fatto rientrare a Taranto. Successivamente il 1º dicembre il Garibaldi durante una missione di scorta a causa di una gravissima avaria alle macchine dovette essere trainato fino a Taranto, mentre la Forza K affondò la motonave Adriatico, la petroliera Mantovani e il cacciatorpediniere da Mosto che faceva parte della scorta.

Attività bellica 1942.   Nel 1942, dal 3 al 5 gennaio partecipò all’operazione M43 che aveva la finalità di far giungere contemporaneamente in Libia tre convogli, sotto la protezione diretta ed indiretta della maggior parte delle forze navali, in quella che fu l’ultima missione operativa del Giulio Cesare. Nel mese di marzo partecipò insieme all’Eugenio di Savoia all’Operazione V5 di protezione a convogli per Tripoli. Tra il 2 e il 3 maggio il trasferimento alla base di Messina, cui seguì il rientro alla base di Taranto, avvenuto tra il 27 e il 28 maggio a causa del bombardamento del porto di Messina e dalla base di Taranto mosse per prendere parte alla battaglia a metà giugno. Le unità della VIII Divisione Incrociatori, composta per l’occasione dal Garibaldi e dal Duca dAosta, nave insegna dell’Ammiraglio de Courten, erano partite da Taranto con la Iª Squadra comandata dall’Ammiraglio Angelo Iachino. A bordo del Garibaldi e della corazzata Littorio erano presenti gruppi di intercettazione delle comunicazioni avversarie ed a bordo dell’incrociatore pesante Gorizia era presente personale tedesco per mantenere i contatti radio con la Luftwaffe. A precedere la formazione italiana c’era il cacciatorpediniere Legionario, che era stato dotato di un radar Modello Fu.Mo 21/39 De.Te. di costruzione tedesca. Il successivo 2 agosto Il Garibaldi, con il Duca degli Abruzzi, il Duca dAosta ed i cacciatorpediniere Alpino, Bersagliere, Corazziere e Mitragliere venne dislocato a Navarino in Grecia per la protezione del traffico nel Mediterraneo Orientale da eventuali attacchi da parte di unità di superficie britanniche che potevano usufruire del porto di Haifa. Tra il 9 e l11 novembre il trasferimento prima alla base di Augusta e poi a Messina.

Attività bellica 1943.   Il 31 gennaio 1943 mentre si trovava a Messina la nave venne colpita da schegge di bomba che causarono delle vittime a bordo, e tra il 3 e il 5 maggio la nave venne trasferita a Genova. All’inizio di agosto, l’Ammiraglio Fioravanzo, che il precedente 14 marzo aveva assunto il comando della VIII Divisione navale, ebbe il compito di bombardare Palermo, da qualche giorno in mano alle truppe alleate. La missione iniziò la sera del 6 agosto 1943 quando l’Ammiraglio, con la divisione formata dal Garibaldi e dal Duca dAosta, lasciò Genova per La Maddalena. La sera del giorno successivo la Divisione lasciò La Maddalena con obiettivo le navi alleate alla fonda dinanzia Palermo. Il Garibaldi aveva però difficoltà con l’apparato motore per cui non poteva sviluppare più di 28 nodi di velocità ed inoltre nessuno dei due incrociatori aveva a disposizione il radar.

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Dopo l’avvistamento, da parte della ricognizione aerea, di navi sconosciute in rotta verso la divisione, Fioravanzo, ritenendo che avrebbe dovuto scontrarsi con una forza navale avversaria in condizioni di netta inferiorità per non correre il rischio di perdere i due incrociatori, ma soprattutto la vita dei 1.500 uomini degli equipaggi, senza poter arrecare danni significativi all’avversario, rinunciò al compimento della missione rientrando La Spezia alle 18.52 dell8 agosto. Alle 17.00 del 9 agosto i due incrociatori lasciarono La Spezia diretti a Genova, scortati dai cacciatorpediniere Mitragliere, Carabiniere e Gioberti, al cui comando era, alla sua prima uscita in mare in tempo di guerra, il Capitano di Fregata Carlo Zampari e che nel corso di quella navigazione sarebbe stato l’ultimo cacciatorpediniere della Regia Marina ad essere affondato nel conflitto. La formazione, mentre procedeva nella navigazione con il Mitragliere in testa, i due incrociatori in linea di fila e Carabiniere e Gioberti, rispettivamente, a sinistra e a dritta degli incrociatori, a sud di Punta Mesco, tra Monterosso e Levanto, subì un agguato dal sommergibile inglese Simoon che lanciò sei siluri contro le unità italiane, due dei quali colpirono a poppa il Gioberti che, spezzato in due, affondò in breve tempo. Il Carabiniere rispose lanciando bombe di profondità che danneggiarono i tubi di lancio poppieri del battello inglese, dopodiché la formazione proseguì verso Genova, dove giunse in serata. Molti dei naufraghi del Gioberti furono recuperati da una squadriglia di MAS e da altri mezzi di soccorso usciti da La Spezia appena ricevuta la notizia della perdita dell’unità.

Attività bellica Armistizio e cobelligeranza. - Alla proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre la nave si trovava a Genova, da dove partì insieme a Duca d’Aosta e Duca degli Abruzzi e alla torpediniera Libra per ricongiungersi al gruppo navale proveniente da La Spezia guidato dall’Ammiraglio Bergamini, per poi consegnarsi agli alleati a Malta assieme alle altre unità navali italiane provenienti da Taranto. Il gruppo, dopo essersi riunito con le unità provenienti da La Spezia, per ottenere una omogeneità nelle caratteristiche degli incrociatori, il Duca d’Aosta passò dalla VIII alla VII Divisione, formata da Attilio Regolo, Montecuccoli ed Eugenio di Savoia, nave insegna dell’ammiraglio Oliva, sostituendo l’Attilio Regolo che entrò a far parte della VIII Divisione. Durante il trasferimento, il Roma, nave ammiraglia dell’Ammiraglio Bergamini, affondò tragicamente nel pomeriggio del 9 settembre al largo dell’Asinara centrata da una bomba Fritz X sganciata da un Dornier Do 217 della tedesca Luftwaffe. A prendere il comando della flotta diretta a Malta, dopo l’affondamento del Roma, fu l’Ammiraglio Oliva, che adempì ad una delle clausole armistiziali, quello di innalzare il pennello nero del lutto sui pennoni ed i dischi neri disegnati sulle tolde, mentre l’ammiraglio Bergamini, che avvertito telefonicamente da De Courten dell’armistizio ormai imminente, e delle relative clausole che riguardavano la flotta, era andato su tutte le furie per poi formalmente accettare con riluttanza gli ordini, aveva lasciato gli ormeggi innalzando però il gran pavese e non adempiendo così a tale clausola. Il gruppo giunse a Malta l’11 Settembre ricongiungendosi alle unità provenienti da Taranto al comando dell’Ammiraglio Da Zara. Tra il 4 e il 5 ottobre il trasferimento a Taranto insieme a gran parte delle navi italiane che si erano consegnate agli alleati. Durante la cobelligeranza venne schierato nel Mediterraneo e in Atlantico centrale, dove prese parte, insieme al Duca degli Abruzzi e al Duca d’Aosta, ad azioni di pattugliamento contro le navi corsare tedesche ed al suo rientro, avvenuto nel 1944, venne utilizzato per trasportare truppe nazionali in Sardegna, ed Anglo-Americane in Egitto, Marocco e Malta. Tra il 7 e l’8 maggio 1944 il Garibaldi raggiunse Freetown da dove riparti il 23 marzo dell’anno successivo per fare rientro a Taranto il 3 aprile 1945 con una sosta a Gibilterra dove venne imbarcato un radar inglese da installare in arsenale.

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Durante il periodo della cobelligeranza la nave venne ritinteggiata secondo le norme in uso tra gli alleati con lo scafo grigio scuro le sovrastrutture grigio celestino. Dal giugno 1940 al settembre 1943 il Garibaldi prese parte a 51 missioni, per un totale di 24.047 miglia. Alla fine del conflitto le miglia percorse erano salite a quasi 50.000.

Dopoguerra.   Insieme al gemello Duca degli Abruzzi, al Cadorna e al Montecuccoli, costituì la dotazione degli incrociatori concessi alla Marina Militare Italiana dalle clausole del trattato di pace, con il Cadorna messo però quasi subito in disarmo e il Montecuccoli trasformato in nave scuola per gli allievi dell’Accademia Navale di Livorno. Nel 1946 vennero rimossi lanciasiluri e catapulte ed era presente un radiotelemetro di tipo inglese lNSA 1; tra il 1947 e il 1948 il Garibaldi venne sottoposto a dei lavori di ammodernamento nel corso dei quali vennero effettuate lievi modifiche alla sovrastruttura ed installato sull’albero di trinchetto il radar americano SO 8 e su quello di maestra un radar parabolico SK 42, adottato anche da San Marco, Duca degli Abruzzi e San Giorgio, per posizionare il quale venne anche abbassato l’albero. Vennero anche aggiunti, nel 1947, altri due cannoni da 100/47 mm al posto dei lanciasiluri, per il tiro illuminante; l’armamento secondario dopo i lavori venne così configurato: 10 cannoni da 100/47 mm 12 mitragliere da 37/54mm, 4 mitragliere da 20/70mm Oerlikon e 4 mitragliere da 20/65 mm che si rivelarono ottime armi, di facile uso e manutenzione, che disponevano di una notevole varietà di munizioni e che durante il conflitto erano state praticamente usate su quasi tutte le navi della Regia Marina. A bordo dell’unità venne anche eretta una piattaforma per elicotteri su cui un Bell 47 nell’estate del 1953 effettuò al largo di Gaeta una serie di prove di appontaggio e decollo. L’esito positivo delle prove indusse la Marina Militare a dotarsi di unità navali polivalenti equipaggiate di elicotteri antisommergibile e dotate delle relative attrezzature quali ponte di volo e hangar del tipo fisso o telescopico. La necessità di questo tipo di unità con elicotteri antisommergibile che consentivano di estenderne il raggio di azione, derivava anche dalla percezione della minaccia sempre più concreta rappresentata dalla flotta subacquea sovietica, i cui battelli avevano iniziato proprio in quegli anni a fare la loro comparsa nel Mediterraneo operando dalla base albanese di Valona. Venne così avviato lo sviluppo di una nuova categoria di unità navale, di cui l’Italia precorse i tempi. Da lì a poco infatti nacquero le fregate classe Bergamini, le prime unità portaelicotteri al mondo, e gli incrociatori classe Doria, le cui sistemazioni elicotteristiche divennero di fatto uno standard per tutte le costruzioni successive. In seguito vennero eseguiti ulteriori lavori al torrione ed all’apparecchiatura elettronica di coperta con l’adozione di un radar di navigazione di modello americano tipo S.O. 13 poi sostituito con un modello nazionale prodotto dalla S.M.A., e di un radar di ricerca aerea, pure americano, la cui grossa antenna parabolica venne montata sull’albero poppiero. Dopo un breve periodo di vita operativa, durante la quale ebbe modo di partecipare all’importante manovra interalleata GRAND SLAM, il Garibaldi venne posto in riserva nel 1953 e nel dicembre 1954 venne inviato nell’Arsenale di La Spezia per essere trasformato in incrociatore lanciamissili e fino al 1957 fu sottoposto a lavori di smantellamento tali da ridurre l’unità allo scafo nudo. I lavori di ricostruzione/trasformazione veri e propri iniziarono nel 1957 e in questo periodo, con il Cadorna già andato in disarmo e con il Montecuccoli che svolgeva attività prevalentemente addestrativa, il Duca degli Abruzzi rimase il solo incrociatore a svolgere attività di squadra, ricoprendo il ruolo di ammiraglia in seguito al disarmo, nel 1956, delle Duilio.

 

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Incrociatore lanciamissili.   L’origine dei lavori di trasformazione si deve al delinearsi nel corso degli anni cinquanta dell’importanza del missile, come strumento unico e necessario, per la difesa a lungo e medio raggio per affrontare la costante e seria minaccia aerea, rappresentata da velivoli di nuova generazione sempre più sofisticati, per i quali l’artiglieria di bordo non era più in grado di costituire un mezzo di contrasto efficace. La Marina Militare, seguendo l’esempio della U.S. Navy, che aveva modificato l’armamento di due incrociatori della classe Baltimore, che vennero denominati classe Boston e nel 1956 erano rientrati in servizio armati di due impianti per il lancio di missili" Terrier”, colse l’occasione dei lavori di ammodernamento dell’incrociatore Garibaldi, per la realizzazione e la sperimentazione della prima unità lanciamissili italiana.

l’incrociatore Garibaldi

Motto: Obbedisco

Caratteristiche generali

Dislocamento standard: 9195 t – a pieno carico 11.350 ton

Lunghezza fuori tutto 187 m. – perpendicolari 171,8 m.

Larghezza 18,9 m.

Pescaggio 6,7 m.

Propulsione 6 caldaie Yarrow – 2 Turboriduttori Parsons – 4 Turboalternatori Tosi-Brown Boveri –

                     2 diesel-alternatori FIAT-Brown Bover 85 000 shp (63 000 kW)

Velocità 30 nodi (55,56 km/h)

Autonomia 4 500 miglia a 18 nodi

Equipaggio 665 (47 ufficiali e 618 tra sottufficiali e marinai)

Equipaggiamento Sensori di radar : bordo 1 AN/SPS-6 (aeronavale) - 1 SET-6B (superficie) –

                              1 SMA CFL3-C25 (navigazione) - 5 direzioni del tiro 1 AN/SPS-39 - (sorveglianza

                              Aerea 3 D) - 1 Selenia Argos 5000 (scoperta aerea 2D) - 2 AN/SPG-55

                             (illuminazione e guida, asserviti al sistema RIM-2 Terrier)

Armamento

Artiglieria 4 cannoni OTO/Ansaldo da 135 mm – 8 cannoni Oto Melara da 76 mm –

Missili 4 lanciamissili UGM-27 Polaris – 1 lanciamissile binato RIM-2 Terrier

Corrazzatura verticale 100 mm - orizzontale 40 mm - artiglierie 135 mm - torrione 140 mm

Mezzi Aerei 1 elicottero Bell 47

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Incrociatore lanciamissili la ricostruzione.  I lavori di ricostruzione vennero effettuati presso l’Arsenale di La Spezia e completati nel 1961 ed al termine dei lavori l’unità raggiunse un dislocamento standard di 9.802 tonnellate e di 11.350 a pieno carico, con una immersione media di 6.7 metri. La ricostruzione riguardò parzialmente lo scafo che conservò le dimensioni originarie e totalmente la sovrastruttura con la radicale trasformazione della struttura della plancia e del complesso plancia/torrione e l’eliminazione di uno dei due fumaioli. Le modifiche allo scafo riguardarono la ricostruzione della poppa che divenne del tipo a specchio leggermente inclinata e la chiusura delle aperture a murata per consentire l’installazione di un impianto di ventilazione/condizionamento e di un sistema di difesa NBC; venne lasciata solamente la fila di oblò superiore del castello di prora. La trasformazione comportò la costruzione di un castello lungo circa 90 metri raccordato verso poppa con un’ampia tuga. Le modifiche alla struttura dello scafo resero possibile un aumento del volume e il miglioramento dell’assetto idrodinamico della nave. All’estremità della zona poppiera venne ricavata una piccola piattaforma di appontaggio per un elicottero AB 47G, già testata prima del disarmo e dei successivi lavori di ricostruzione. L’apparato propulsivo vide l’abolizione delle due caldaie della zona poppiera lasciando inalterata la disposizione degli altri locali macchine, mentre essendo stato abolito uno dei due fumaioli fu necessario modificare sia il percorso delle condotte di scarico delle sei caldaie rimaste, sia altre sistemazioni ausiliarie e fu necessario allargare la base dell’unico fumaiolo rimasto. In conseguenza della diminuzione del numero delle caldaie la Potenza scese a 85.000 CV e la velocità massima a 30 nodi. Con la rimozione di due caldaie e la conseguente diminuzione della potenza si è avuta anche una riduzione del consumo di combustibile, portando l’autonomia della nave a 4500 miglia ad una velocità di 18 nodi, mentre in conseguenza delle modifiche allo scafo e alle diverse sistemazioni di bordo la dotazione massima di combustibile scese leggermente a 1.700 tonnellate di nafta. Per far fronte alle maggiori esigenze di energia derivate dall’adozione dei nuovi impianti meccanici ed elettronici, fu necessario installare ex novo quattro turboalternatori Tosi-Brown Boveri e due diesel-alternatori Fiat-Brown Boveri che generavano corrente alternata a 440 V per una potenza complessiva superiore a 4.000 Kw sufficienti ad illuminare una città di 200.000 abitanti. Le elettroniche principali trovarono posto principalmente in due grandi tralicci quadripodi. Sul primo dei due tralicci, posto alla sommità del complesso plancia-torrione, ispirato a quello degli incrociatori tipo Boston, trovavano posto il radar di sorveglianza aerea tridimensionale a scansione di frequenza FRESCAN AN/SPS-39, adottato su tutte le prime unità lanciamissili della NATO, il radar bidimensionale di sorveglianza aeronavale Westinghouse AN/SPS-6, il radar di sorveglianza di superficie SET-6B e il radar di navigazione SMA CFL3-C25, mentre sul secondo traliccio, posto a poppavia del fumaiolo, trovava posto il radar di scoperta aerea Selenia Argos 5000 di fabbricazione nazionale che in condizioni favorevoli consentiva di individuare bersagli fino ad una distanza di 500 miglia. Il radar AN/SPS-39 FRESCAN all’epoca era l’unica apparecchiatura navale a tre dimensioni, escludendo l’inglese Type 984, peraltro molto più pesante, imbarcato sulle portaerei Victorius ed Hermes, ad adoperare una sola antenna per ottenere i dati relativi a quota, distanza e rilevamento dei velivoli e per comandare la piattaforma dell’antenna radar il FRESCAN disponeva di leggeri stabilizzatori elettronici che garantivano un funzionamento continuo ed accurato indipendentemente dal rollio e dal beccheggio della nave.

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Il radar Westinghouse AN/SPS-6, realizzato in varie versioni per la scoperta aeronavale con portata di 250 Km, versioni contraddistinte da una lettera minuscola posta dopo il numero 6, è stato il sistema che ha determinato una svolta decisiva verso una standardizzazione e modernizzazione della componente radar delle unità negli anni cinquanta, e a partire dal 1954 venne imbarcato da tutte le unità di squadra in servizio ad eccezione del Garibaldi, su cui venne imbarcato solo al termine dei lavori di trasformazione e venne anche imbarcato su alcune corvette della classe Gabbiano, di quelle destinate prevalentemente alla difesa antiaerea. La sommità della tuga ospitava i radar di illuminazione e guida Sperry-RCA AN/SPG-55 asserviti alla rampa di lancio binata Mk 9 Mod.1 del sistema Terrier. Completavano la dotazione elettronica dell’unità cinque direzioni di tiro stabilizzate, di produzione nazionale, cui erano asservite tutte le artiglierie, con i rispettivi radar, di cui quello cui erano asserviti i cannoni da 135 mm posto sul cielo della plancia, e quelli cui erano asserviti i cannoni da 76/62 in due coppie poste sul torrione ai lati della stessa plancia e ai lati del fumaiolo. In particolare le direzioni di tiro situate sul torrione, lateralmente al traliccio, si differenziavano dalle restanti tre per avere due antenne paraboliche anziché una, in quanto sfruttavano l’effetto Doppler. Le torri singole da 76/62 erano raggruppate in unità di fuoco costituite ognuna da una S.D.T. e da due cannoni. Ogni "unità di fuoco" aveva un suo settore di sorveglianza e di azione e poteva intervenire anche senza ordini dalla centrale operativa qualora il proprio radar avesse avvertito per primo la presenza del nemico. Le torri binate da 135/45 mm e relativa S.D.T. se non impegnate per il tiro antiaereo a media distanza, venivano utilizzate per incrementare il fuoco nel settore più pericoloso. La Centrale Operativa di Combattimento, cuore del sistema di difesa e attacco dell’unità, elaborava inviati i segnali ricevuti dai radar, determinando il moto dei bersagli. la nave disponeva di un sistema automatico di tracciamento e di rappresentazione della situazione aerea generale, di un locale per le contromisure elettroniche con Centrale Antidisturbo Radio e una Centrale Assegnazione Designazione Tiro C.A.D.T. che elaborava automaticamente i dati forniti dagli apparati di scoperta distribuendo ed assegnando le armi nel modo migliore, assicurando un corretto impegno dei bersagli. Per la difesa dalle mine a bordo vi era un impianto di smagnetizzazione. La parte più consistente di lavori allo scafo riguardò l’estremità della tuga, dove erano stati allestiti i pozzi di lancio per quattro missili balistici statunitensi Polaris dotati di testata nucleare, che avevano lo scopo di fornire alla Marina Militare Italiana una capacità di deterrenza strategica tramite il successivo programma di realizzazione interamente nazionale del missile balistico Alfa, molto simile al missile americano Polaris. La presenza dei pozzi per il lancio di missili tipo" Polaris” a bordo del nuovo Garibaldi aveva una grande valenza tecnica. La fase di sperimentazione dei missili negli anni cinquanta, come proseguimento dello sviluppo di quelli realizzati in Germania verso la fine del secondo conflitto mondiale, aveva avuto termine alla fine dello stesso decennio, facendo profilare la possibilità di utilizzare missili balistici imbarcati su unità di superficie per contrapporre una valida minaccia contro obiettivi nemici a grande distanza e in tale contesto vennero sviluppati i missili" Polaris” dei quali si prevedeva e si studiava la possibilità dell’imbarco su navi mercantili. Gli Stati Uniti all’uopo avevano progettato la NATO MLF multy lateral force, una forza navale costituita da 25 mercantili da 18.000 tonnellate con una velocità di 20 e più nodi e un’autonomia di oltre 100 giorni modificati per trasportare 200 missili Polaris. La soluzione si mostrò troppo ostica tecnicamente per essere adottata, per cui con l’avvento della propulsione nucleare a bordo di sottomarini si scelse questo mezzo come vettore, meno intercettabile ma economicamente molto più oneroso. Gli SSBN, i sottomarini balistici nucleari, stavano entrando in servizio proprio in quegli anni, e il primo lancio in immersione di un Polaris venne effettuato dal sottomarino USS George Washington il 20 luglio 1960. La Marina Militare, nonostante tutto, era fermamente convinta che il lancio di missili "Polaris" potesse essere effettuato anche da navi di superficie, con soluzioni molto più convenienti sotto il profilo dei costi di realizzazione e si colse l’occasione dei lavori di trasformazione del Garibaldi per rendere esecutivo questo progetto che fu realizzato con un costo equivalente alle spese da sostenere per l’acquisto di uno dei nuovi cannoni da 76/62 mm antiaerei.

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 All’epoca sull’uso dei sottomarini per il lancio di tali missili si addensavano molti dubbi, mentre il Garibaldi con le sue strutture rappresentava la soluzione tecnica del problema le inedite soluzioni adottate per i pozzi di lancio dei missili Polaris, molto più convenienti sotto il profilo dei costi di realizzazione, suscitarono molta curiosità da parte della US Navy, interessata a riprendere l’idea. Tuttavia la sola nave americana in cui venne prevista la presenza di missili balistici fu l’incrociatore USS Long Beach in cui erano previsti quattro tubi di lancio per i POLARIS, che avrebbero dovuto occupare lo spazio a centronave, a poppa via del torrione, dove successivamente venne installato il lanciatore ASROC e, lateralmente, un poco spostati, due pezzi singoli da 127/38 risalenti alla seconda guerra mondiale. Le strutture necessitarono dei dovuti adeguamenti per resistere sia allo shock meccanico che a quello termico. Infatti, mentre per i Polaris installati nei sottomarini il lancio avveniva "a freddo" cioè espellendo il missile dal silo mediante un getto di aria compressa prima dell’accensione del motore del primo stadio, sul Garibaldi i missili avrebbero dovuto essere lanciati "a caldo", utilizzando cioè una carica esplosiva, per cui occorreva uno spazio in cui fare sfogare gli effetti dell’esplosione. I pozzi di lancio lunghi circa 8 metri, avevano un diametro di 2 metri ed i portelloni che si aprivano ruotando verso lasse di simmetria della nave. Il progetto delle sistemazioni dei quattro pozzi di lancio dei Polaris in una zona precedentemente occupata da depositi e cale di varia destinazione venne curato dall’allora capitano di vascello Glicerio Azzoni e riguardava sia le sistemazioni strutturali per il lancio, sia la collocazione di tutti gli impianti e delle apparecchiature necessarie all’utilizzazione dei missili, quali le strumentazioni per la navigazione e il complesso delle unità di calcolo. Tali sistemazioni trovarono posto in locali adiacenti a quelli dei pozzi, che avevano un’altezza di circa 8 metri e per buona parte erano compresi sotto la linea di galleggiamento, in una zona delimitata da paratie stagne, lunga complessivamente circa 14 metri e dotata di un certo grado di protezione laterale. La realizzazione di tali sistemazioni richiese circa 6 mesi. I lavori di allestimento dei tubi di lancio dei missili Polaris vennero effettuati a partire dall’inizio del 1960. Dopo le prove di collaudo dei pozzi seguirono i lanci di simulacri inerti e lanci di collaudo di simulacri autopropulsi, sia a nave ferma che in navigazione. Il primo lancio di un simulacro di missile balistico è avvenuto il 31 agosto 1963 nel golfo di La Spezia, Sebbene le prove avessero dato tutte esito positivo, i missili non vennero però mai forniti dagli Stati Uniti, poiché motivazioni di natura politica proliferazione nucleare eccessiva anche tra gli alleati della NATO ne impedirono la prevista acquisizione, ed i pozzi alla fine vennero utilizzati diversamente. Successe infatti che in seguito alla crisi di Cuba dell’ottobre 1962 il Presidente degli Stati Uniti Kennedy concesse al Premier sovietico Krusciov il ritiro dei missili Polaris e Jupiter dall’Italia e dalla Turchia in cambio del ritiro dei missili sovietici da Cuba. L’Italia decise, allora, in alternativa di sviluppare un suo programma nucleare e il progetto di missile balistico italiano denominato Alfa venne sviluppato dalla Marina Militare a partire dal 1971 con alcuni lanci effettuati con successo nella prima metà degli anni settanta tra il 1975 e il 1976 dal poligono di Salto di Quirra. Il programma ebbe termine il 2 maggio 1975 quando su pressione degli Stati Uniti l’Italia aderì al Trattato di non proliferazione nucleare.

Incrociatore lanciamissili Armamento dopo i lavori di trasformazione.   Radicalmente cambiato l’armamento, che con l’installazione, nella tuga, del sistema missilistico Terrier fece del Garibaldi il primo incrociatore lanciamissili ad essere entrato in servizio in una marina europea. Venne sbarcato tutto l’armamento precedente, sostituito con armamento di diverso calibro. Le origini dei lavori di trasformazione erano state la necessità di affidare la difesa della nave, contro l’aggressione aerea a media e lunga distanza, ad un sistema missilistico in grado di lanciare una coppia di missili a doppio stadio, che potevano essere simultaneamente guidati verso due distinti bersagli, e i missili Terrier erano all’epoca quanto di meglio esistesse nella categoria dei missili antiaerei per piattaforme navali.

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Concepito come missile da difesa aerea di navi di medio-grande dislocamento, il Terrier derivava dal missile superficie-aria Talos, ma ebbe poi un’evoluzione autonoma. Il Terrier aveva una struttura aerodinamica ideale per un missile relativamente piccolo ed aveva alette di apertura ridotta per massimizzare la gittata e la velocità, riducendo la resistenza. La rampa utilizzata per il lancio in genere era una del tipo Mk 10, stabilizzata contro i movimenti del mare, ma anche tipi diversi come la rampa Mk 20 Aster adottata sul Vittorio Veneto e sui Belknap americani. L’Italia fu l’unica nazione verso la quale questi missili vennero esportati. Per la propulsione avevano un booster di accelerazione, quattro grandi alette stabilizzatrici e un razzo, anch’esso a propellente solido, nella parte posteriore del missile. La testata, dal peso di circa 100 kg, era a frammentazione e sistemata più o meno a metà del missile. Le prime prove di lancio dei missili " Terrier” avvennero nel corso della prima crociera post-ricostruzione della nave svolta negli Stati Uniti e il lancio di un "Terrier" da parte del Garibaldi avvenuto l11 novembre 1962 a San Juan di Porto Rico fu il primo lancio di un missile da parte di un’unità italiana. Il sistema di lancio era supportato da un complesso di apparecchiature elettroniche all’epoca moderne: il radar " Argos” 5000 aveva il compito di agganciare il bersaglio a lunga distanza per poi passarlo al radar tridimensionale AN/SPS-39, che aveva il compito di stabilire direzione, distanza e quota con maggiore precisione; i due sistemi guida missili avevano il compito di guidare, lungo il raggio di emissione elettromagnetico, i missili per colpire il bersaglio. Il sistema era gestito dalla Centrale Operativa di Combattimento, mediante un processo di acquisizione e coordinamento dei dati. L’armamento artiglieria nella nuova configurazione era costituito da quattro cannoni da 135/45 mm in due torrette binate e 8 cannoni OTO Melara da 76/62 mm tipo MMI, in impianti singoli. I calibri principali erano gli stessi che nel corso della parte finale del secondo conflitto mondiale avevano trovato posto sulle unità della classe Capitani Romani e sui Duilio ricostruiti, mentre il cannone da 76/62 di nuova progettazione, largamente testato sulla Nave Esperienze Carabiniere, avrebbe trovato posto nel corso degli anni sessanta sulle principali unità della squadra, come le fregate classe Bergamini e classe Alpino, i Doria e il Vittorio Veneto e sarebbe stato rimpiazzato il decennio successivo dal 76/62 Compatto con l’entrata in servizio dei Audace. Le torrette dei calibri principali trovarono posto nella zona di prora, in configurazione superfiring, andando a sostituire le due torrette da 152/55 precedenti, mentre i cannoni da 76/62 trovarono posto, quattro per ogni lato, ai due lati del complesso torrione-fumaiolo. I cannoni da 135/45 mm, che nel Garibaldi vennero installati in torrette completamente automatizzate possono essere considerati i migliori cannoni navali italiani nella seconda guerra mondiale, con una gittata di 19.6 km e una cadenza di fuoco di 6 tiri al minuto, ed erano capaci di eseguire tiri assai precisi, ma, con un’elevazione di 45° erano tuttavia privi di una soddisfacente capacità antiaerea, se non di sbarramento. Nel 1968 le canne vennero allungate e i cannoni da 135/53 dovevano essere installati sugli Audace, allora in progettazione. Il cannone da 76/62 tipo MMI "Allargato", era un’arma duale, con la canna raffreddata ad acqua e manovra elettrica e idraulica con sistema di emergenza manuale. La gittata, che con proiettili HE dal peso di 6.296 kg raggiungeva 18.4 km ad un’elevazione di 45°, all’elevazione massima di 85° scendeva a 4 km, mentre la velocità di brandeggio era di 70°/s e quella di elevazione di 40°/s e la torretta accoglieva un membro dell’equipaggio. Il cannone era l’evoluzione del modello SMP 3 che era stato imbarcato sulle corvette Alcione. Una versione binata del modello SMP 3 con canne sovrapposte, era stata imbarcata negli anni cinquanta sulle fregate della classe Centauro, ma tale versione non avendo dato i risultati sperati non è stata imbarcata su nessun altra unità della Marina Militare.

 

Il Garibaldi all'arrivo a Taranto dopo la ricostruzione

 

Incrociatore lanciamissili Rientro in servizio Al termine dei lavori di trasformazione il Garibaldi venne riconsegnato alla Marina Militare il 3 novembre 1961 raggiungendo la sua base operativa di Taranto il 5 febbraio 1962. Ai primi di settembre del 1962, dopo una prima serie di collaudi e prove eseguite in Italia, il "Garibaldi" venne inviato negli Stati Uniti per una crociera di rappresentanza e per la messa a punto definitiva delle sistemazioni missilistiche ed il completamento della fase addestrativa. Nei primi giorni di novembre la nave si trasferì a San Juan di Portorico per eseguire lanci effettivi di armi avvenuti nelle acque del Mar dei Caraibi e dove l11 Novembre 1962 vennero effettuate le prove di lancio, al largo di San Juan di Portorico, dei primi missili Terrier. Dal suo ritorno in Italia, avvenuto il 23 dicembre 1962, l’unità, finalmente operativa, entrava a far parte integrante della Squadra Navale. Subito dopo il rientro in servizio, nel 1963 fu necessario sottoporre la nave a nuovi lavori per allungare l’unico fumaiolo rimasto, per evitare che i gas di scarico interferissero con le nuove apparecchiature elettroniche di cui venne dotata l’unità, con la sommità del fumaiolo che oltre che allungata venne anche inclinata con l’adozione di una cappa per convogliare gli scarichi verso poppa. La bandiera di combattimento venne consegnata a Napoli il 10 giugno 1964, donata dal gruppo ANMI di Roma, che, con un’autocolonna di quasi mille aderenti, si recò nella città partenopea per consegnare il vessillo al comandante della nave, il Capitano di Vascello Aldo Baldini; alla cerimonia erano presenti il Comandante in Capo della Squadra Navale Ammiraglio Alessandro Michelagnoli e il Sottosegretario alla Difesa, onorevole Natale Santero. Il Garibaldi prestò servizio per dieci anni nella sua nuova configurazione, come unità sede comando della Squadra Navale, partecipando ad attività addestrative di vario tipo e di rappresentanza in Mediterraneo e oltreoceano.

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Il Garibaldi, cui venne assegnata la matricola 551, andò a ricoprire il ruolo di nave ammiraglia della Marina Militare rilevando in tale ruolo il gemello Duca degli Abruzzi. Il ruolo di portabandiera della flotta sarebbe stato ricoperto, ventiquattro anni dopo, con lo stesso nome e la stessa matricola, dalla portaerei leggera/incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi. Il Garibaldi venne assegnato al 2º Gruppo navale d’altura della IIª Divisione Navale dislocato alla base di Taranto. Tra la fine del 1964 e il 1965 la nave venne sottoposta a lavori di manutenzione nel corso dei quali venne sostituita l’antenna del radar Argos 5000 con una nuova di disegno diverso e più leggera, allo scopo di diminuire la resistenza al vento tipica di antenne di dimensioni così grandi e venne realizzata una tughetta direttamente alla base della torre di comando. Nel corso di un altro ciclo di lavori di manutenzione, svolto tra il 25 agosto 1966 e il 20 aprile 1967 presso l’Arsenale di La Spezia, venne sostituito il radar Microlambda SET-6B con il radar di navigazione e scoperta di superficie MM/SPQ-2 con portata di 50 Km di produzione nazionale, venne modificato l’albero di trinchetto, costituito da un quadripode, rendendolo più compatto nella struttura superiore e l’alberetto di sostegno dei miragli per l’allineamento dei radar guida missili per i Terrier spostato dall’estrema poppa dell’unità sulla zona terminale della tuga contenente i pozzi per i Polaris. Il 4 giugno 1968 l’unità prese parte alla parata navale svolta nel golfo di Napoli nel quadro delle celebrazioni del 50º anniversario della vittoria nella I guerra mondiale, in quella che è stata la più grande parata navale dopo la seconda guerra mondiale L’unità nell’occasione ha ospitato a bordo il Presidente della Repubblica Saragat che, giunto a Napoli accompagnato dal Ministro della Difesa Tremelloni, dal Consigliere diplomatico della Presidenza della Repubblica Francesco Malfatti e il consigliere militare ammiraglio di squadra Virgilio Spigai è stato ricevuto dal comandante in capo del Dipartimento marittimo "Basso Tirreno" di Napoli ammiraglio di squadra Raffaele Barbera. Salito a bordo il Presidente della Repubblica è rimasto in plancia per tutto il tempo della parata, mentre il comandante dellunità, Capitano di Vascello Antonio Scialdone e il Comandante in capo della squadra navale ammiraglio Roselli Lorenzini gli illustravano le varie fasi delle manovre. A bordo dell’unità oltre al Presidente della Repubblica erano ospiti il Presidente del Consiglio Aldo Moro, il Capo di stato maggiore della Difesa Generale Vedovato, il capo di stato maggiore della Marina ammiraglio Michelagnoli, l’Ammiraglio Angelo Iachino, gli ex capi di stato maggiore della Marina ammiragli Ferreri e Giurati il comandante delle Forze Alleate del Sud Europa ammiraglio Horacio Rivero, il comandante delle Forze Navali Alleate del Sud Europa ammiraglio Luciano Sotgiu, il comandante della Sesta Flotta della US Navy, viceammiraglio William Martin, il comandante della Squadra navale del Mediterraneo della Marina francese Viceammiraglio di squadra Jean Philippon presente in quanto in precedenza aveva preso parte ad una esercitazione nelle acque del golfo di Salerno. Il Garibaldi, innalzato sul pennone di maestra lo stendardo presidenziale, mollati gli ormeggi, è uscito dal porto seguito dal San Giorgio su cui avevano preso imbarco alte Autorità civili e militari e tutti gli Addetti Navali e Militari esteri accreditati presso il Governo italiano.

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Nel corso della sfilata il Garibaldi ha navigato al largo del golfo in vista di Procida, di Ischia e di Capo Miseno, defilando, lungo la rotta d’uscita a breve distanza dall’incrociatore Vittorio Veneto in avanzato stato di allestimento e destinato a rilevarne il ruolo di nave ammiraglia. Alla parata hanno assistito le più alte autorità civili e militari, tra i quali il Presidente del Senato Zelioli-Lanzini il Presidente della Corte Costituzionale Sandulli, i Sottosegretari di Stato alla Difesa Guadalupi, Santero e Cossiga, l’onorevole Paolo Barbi in rappresentanza del Presidente della Camera, i capi di stato maggiore delI’Esercito Generale di corpo d’armata Marchesi e dell’Aeronautica Generale di Squadra Aerea Fanali. Il Garibaldi venne messo in disarmo il 20 febbraio 1971, ma non fu l’età a decretare la sua dismissione, ma motivi di ordine economico che all’inizio degli anni sessanta si evidenziarono in maniera preoccupante per il futuro della Marina Militare Italiana. Nel febbraio 1970, in una conferenza stampa proprio a bordo del Garibaldi, l’allora Comandante in Capo della Squadra Navale, ammiraglio Gino Birindelli denunciò la crisi in cui versava la Marina Militare e lo stato di profondo malessere morale e materiale in cui si trovava il personale che vi operava. Le dichiarazioni di Birindelli scatenarono reazioni e prese di posizione a tutti i livelli e portarono la classe politica a risolvere in maniera salomonica il problema dei salari, mantenendolo nei limiti del bilancio ordinario annuale; per effetto di queste restrizioni il nuovo Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio Virgilio Spigai fu costretto, persistendo la carenza finanziaria, a ritirare dal servizio il naviglio più anziano e più oneroso da mantenere, tra cui l’incrociatore Garibaldi, ad appena dieci anni dal suo rientro in servizio dopo la conversione in unità lanciamissili. Una ripercussione negativa si ebbe anche nel programma delle nuove costruzioni, finché con la situazione politico-militare che si presentava in quel periodo nell’area mediterranea, in seguito alla guerra del Kippur e con la presenza sovietica sempre più massiccia nell’area, nel novembre 1973 il nuovo Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Gino De Giorgi, pubblicò un documento noto come "Libro Bianco della Marina" in cui venivano analizzati gli impegni che la flotta militare italiana era chiamata a svolgere nei nuovi scenari che si prospettavano e l’impossibilità da parte della Marina Militare a poter proseguire nella strada del rinnovamento della propria flotta, a causa della carenza dei bilanci ordinari. Tale documento avrebbe portato di lì a qualche anno alla Legge Navale del 1975 che sarebbe stato il presupposto di un sostanziale ammodernamento della flotta della Marina Militare. La sua ricostruzione, considerando che dopo gli ammodernamenti rimase in servizio solo per un decennio e alla luce del mancato utilizzo dei Polaris, si rivelò secondo molti critici inutile e costosa. Proprio per il suo breve servizio seguito alla ricostruzione, l’unità era nelle condizioni adatte alla sua utilizzazione come nave museo, vista anche la sua grande storia; oltre ad aver partecipato alla seconda guerra mondiale era stato il primo incrociatore lanciamissili europeo, la prima unità di superficie al mondo ad essere predisposta per il lancio di missili balistici e la prima grande unità italiana del dopoguerra, rappresentando, a tutti gli effetti, il primo decisivo passo della Marina Militare Italiana verso un lento ma costante processo di modernizzazione delle sue unità e delle sue strutture operative e logistiche. Analogo discorso riguardo alla musealizzazione potrebbe essere fatto anche per il quasi gemello Montecuccoli che nel dopoguerra fu la prima unità navale italiana ad effettuare il periplo del globo. L’esperienza dell’equipaggio del Garibaldi, ben addestrato, è stata tuttavia preziosa per il nuovo incrociatore lanciamissili portaelicotteri Vittorio Veneto a cui il Garibaldi ha ceduto il ruolo di ammiraglia della flotta.

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Il Garibaldi venne ufficialmente radiato il 16 novembre 1976 e il 3 novembre 1978 alle ore 0:15, con l’apertura del Ponte Girevole ha attraversato a rimorchio per l’ultima volta il canale navigabile di Taranto per raggiungere La Spezia dove sarebbero avvenuti i lavori di demolizioni a cura dei Cantieri del Tirreno di Genova, dopo essere stato parzialmente smantellato dopo la sua messa in disarmo a partire dal 1972. Le due bandiere di combattimento che l’unità ha ricevuto sono conservate in due cofanetti al Sacrario delle Bandiere del Vittoriano. Il motto "OBBEDISCO" è invece alla base della Maddalena.

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NAVI GEMELLE AL GARIBALDI

DUCA DELI ABRUZZI

 

 

NAVE LUIGI CADORNA

 

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NAVE MONTECUCCOLI

 

 

PIERGIORGIO RICOTTI

Rapallo, 2 luglio 2022


HOMERIC - Storia di una nave

HOMERIC

Storia di una Nave

Comandante S.L.c Mario Terenzio PALOMBO

Recentemente, mi sono un po’ amareggiato per la notizia che la nave da crociera MARELLA DREAM (conosciuta in passato come HOMERIC Westerdam - Costa Europa - Thomson Dream ed infine con il nome MARELLA DREAM  è stata venduta per essere demolita in Turchia, dopo essere stata alla fonda per più di un anno e mezzo nella baia di Eleusi (10 miglia a Nord Ovest di Atene).

La nave sta compiendo il suo ultimo viaggio, a rimorchio, diretta ad ALIAGA (Turchia), dove sarà spiaggiata e smantellata.

Fu costruita nel 1986 presso i celebri Cantieri Navali: Meyer Werft di Papenburg (Germania) e consegnata alla Compagnia Home Lines con il nome:

 

HOMERIC

Aveva le seguenti caratteristiche:

Stazza L. = 54.763 tonnellate

Lunghezza (dopo l'allungamento)= 243,2 metri

Larghezza = 32 metri

Passeggeri =1773

Velocità max =23 nodi - Velocità di crociera = 20 nodi

Potenza motore = 23.800 KW  (32.359 Hp) - Dotata di eliche a passo variabile.

Il motivo per cui mi ero così affezionato a questa nave è perché mi aveva dato grandi soddisfazioni nel poter esprimere, durante
la costruzione, le mie idee in materia di innovazioni.

Il 20 dicembre 1985 partii per Papenburg. Venni assegnato, con mio grande piacere, all'allestimento della M/n HOMERIC.

Come prima nave da crociera costruita dal MEYER WERFT, L'HOMERIC segnò il grande arrivo nel mondo delle costruzioni navali
all'avanguardia.

La nave fu costruita all'aperto, i bacini coperti di Papenburg furono costruiti solo più tardi. L'HOMERIC fu anche la prima e ultima nave delle sue dimensioni ad essere varata lateralmente. Ricordo che c'era un'atmosfera allegra intorno al cantiere quando lo scafo della nave scivolò nell'acqua del fiume EMS, scatenando un’onda gigantesca. Fu impressionante vederla sbandare e poi scivolare in acqua davanti a migliaia di spettatori.

I Tedeschi, essendo la loro prima costruzione di nave passeggeri, volevano che L'HOMERIC fosse una nave perfetta. Ingegneri e Tecnici del cantiere, spesso si rivolgevano a me per alcuni dettagli. Ne approfittai per far dotare la nave di un binario che potesse scorrere da prora a poppa lungo il punto più alto delle sovrastrutture, in modo da potere raggiungere, con il carrello, tutti i punti per la pitturazione da prora a poppa, compreso frontale di prora.

Mi concessero anche un impianto Splinker lungo le passeggiate esterne in modo da poter raffreddare le lamiere dei saloni, in caso di incendio, e rendere i punti di riunione e di imbarco passeggeri, in caso di emergenza, più raggiungibili.

Inoltre feci dotare i Tenders per il servizio sbarco/imbarco passeggeri in rada, di doppio gancio, per poterli virare a bordo anche in caso di risacca. Si doveva dotare anche il paranco di un gancio con un penzolo lungo almeno due metri per poter effettuare l'aggancio in sicurezza. Una volta che i Tenders venivano sospesi dall'acqua con un secondo penzolo fissato alla Gru, si faceva la manovra di cambio gancio.

Il tutto fu approvato dal registro di classificazione ABS. Anche le piattaforme per l'attracco dei Tenders, le avevo fatte costruire con parabordi longitudinali in modo che i Tenders, in caso di risacca, potessero rimanere ormeggiati senza danni.

Altro impianto "spettacolare" era un sistema di lavavetri con gli ugelli da prora a poppa e frontale di prora. Fu una nave, che quando iniziammo le crociere nei Caraibi, veniva osservata con ammirazione dalle altre navi della concorrenza.

WESTERDAM

Purtroppo, dopo soli due anni di servizio, con la Home Lines, la nave fu venduta alla Holland A.L. e ribattezzata con il nome di WESTERDAM. A novembre del 1988, con mio grande dispiacere, ricevetti l'ordine di dirigermi presso il cantiere di Newport News (Norfolk.VA.) dove consegnai la nave al Comandante e Armatori Tedeschi.

In quanto a me, avevo, in precedenza, accettato l'offerta della COSTA CROCIERE.  Il 25 novembre 1988 partivo da Genova, per il Sud America, imbarcando sull'EUGENIO COSTA

In seguito, tra l'ottobre 1989 e il marzo 1990, la WESTERDAM ritornò presso il cantiere di Papenburg dove venne sottoposta a lavori di allungamento che videro l'aggiunta di un troncone di circa 40 metri, passando da una lunghezza di 204 metri a 243,2 metri e la capacità passeggeri a 1.773.

Nel 2002 subì un totale rinnovamento e venne ceduta a Costa Crociere e ribattezzata

COSTA EUROPA.

 

THOMPSON DREAM

Il 29 Giugno 2009, COSTA EUROPA è stata rivenduta e nell'aprile del 2010 passò alla Grand Cruise Investments che la noleggerà poi alla Thomson Holidays per 10 anni cambiando il nome in THOMPSON DREAM. Durante la pandemia di Covid-19, per i cui effetti il settore crocieristico ne ha duramente risentito, nel 2017 la nave divenne MARELLA DREAM.

Dopo una lunga sosta nel di Porto Nuovo (Gazenica) di Zara, dove era ormeggiata dall'11 luglio, Marella Cruises ne decise il ritiro con un comunicato del 1° Ottobre 2020, salpando il 19 ottobre per ancorarsi nella rada della Baia degli Eleusi, circa a 10 miglia a NW di Atene. Il 27 dello stesso mese decisero di demolirla ad ALIAGA, in Turchia, assieme a Marella Celebration e ad altre navi, destinate alla stessa fine.

 

Rapallo, 1 Luglio 2022