LA DEA ROMA - UNA STATUA FAMOSA SULLA NAVE PASSEGGERI ROMA

 

LA DEA ROMA

UNA STATUA FAMOSA SULLA NAVE PASSEGGERI

ROMA

Quando le navi viaggiavano anche sui mari della Storia ... 

 La nave Entrò in servizio il 21 settembre 1926. Nel corso della Seconda guerra mondiale la nave venne requisita dalla Regia Marina per essere trasformata in portaerei. Ribattezzata AQUILA,* non entrò mai in servizio e dopo la guerra venne smantellata nel 1952

 

LOCANDINE E CARTELLONISTICA PUBBLICITARIA

All’atto della sua fondazione, il 4 settembre 1881, la Navigazione Generale Italiana (NGI) era una tra le più importanti e blasonate Compagnie di Navigazione al mondo. Nacque con la denominazione:

 

“Navigazione Generale Italiana, Società Riunite Florio e Rubattino”

Come dice la sua stessa “ragione sociale”, fu il frutto della fusione tra due flotte importanti.

Di questi due grandi Imperi Navali ci siamo già occupati. Ne riporto i LINK:

  • La saga dei Florio

https://www.marenostrumrapallo.it/flo/

  Il genovese Raffaele Rubattino non fu solo un armatore illuminato

https://www.marenostrumrapallo.it/ruba/

 

Le navi più celebri della N.G.I furono le seguenti:

Manifesto pubblicitario commissionato dalla N.G.I. nell'estate

del 1926 per celebrare l'entrata in servizio della ROMA.

Con le turbine sotto pressione davanti a Genova.

 

La ROMA in navigazione alla fine degli anni '20.

 

La ROMA a fianco dell'AUGUSTUS e della DUILIO 

ormeggiati in porto a Genova.

 

Una bellissima immagine della ROMA ripresa in navigazione nel Mar Ligure

intorno ai primissimi anni'30.

In crociera nel Mediterraneo nell'estate del 1932.

 

Seguono alcune immagini della ROMA con la nuova ed elegante livrea bianca che fu adottata per renderla più adeguata alla nuova attività di "nave da crociera" per cui era impegnata per buona parte dell'anno. Da questa livrea nacque il mito della "Lido Fleet" italiana: così descritta dalla pubblicità:

l'amatissima flotta delle navi bianche ed immacolate con l'immancabile piscina a farla da padrona, circondata da un ampio "ponte lido" corredato di ogni piacevolezza.”

 

Ormeggiata alla Stazione Marittima di Napoli nel 1936, con la nuova livrea bianca adottata per l'attività crocieristica.

 

In porto a Boston durante una crociera in Labrador, Nuova Scozia e Quebec nell'estate del 1938.

 

 

Una immagine della ROMA con la livrea bianca da crociere ripreso in navigazione nell'estate del 1938.

Si nota, verso l'estremità di poppa, la piscina ed il Lido allestito ad uso della classe Turistica nel 1936.

 

Il 21 settembre 1926 la più grande e veloce nave di linea italiana fino allora costruita lasciava il capoluogo ligure per il suo viaggio inaugurale a New York nel tripudio generale.

 

Interni della ROMA

Cabina di 1a Classe

 

ROMA - Sullo sfondo la statua della Dea ROMA

Ecco il commento riportato dall'Associazione Culturale ITALIAN LINERS:

Una bella immagine d'insieme della Grand Hall Centrale, chiamata "Aula Magna". L'ambiente era molto solenne, forse troppo freddo e formale per una nave, dominato dalla statua della Dea Roma  e scandito dal ritmarsi dei cassettoni del soffitto in legno intagliato e dipinto. A rendere più luminoso e "leggero" il salone contribuivano i sottili pilastri in legno sbiancato e scolpito ad arte. Da notare le plafoniere poliedriche "stellate", tornate di moda in anni recenti come una grande ed esotica "novità". 

La Navigazione Generale Italiana celebrò l’evento con numerosi manifesti pubblicitari dedicate alla nave. La più bella e originale di tutte resta molto probabilmente quella realizzata dalla “Stamperia d’arte Richter” di Napoli, che sfoggia in copertina la testa della DEA ROMA in peltro e che era riservata ai passeggeri della classe di lusso. L’entrata in servizio della nuova ammiraglia, e lo era non solo della compagnia armatrice ma soprattutto della marina mercantile italiana, in un periodo di feroce competizione per dimensioni e prestazioni e di corsa sfrenata al lusso, venne accompagnata da una generosissima campagna pubblicitaria che celebrava in termini altisonanti quella che veniva chiamata “il Monumento del Mare”.

ALBUM FOTOGRAFICO DEL VARO DELLA T/N ROMA

L'attività dei Cantieri Navali Odero di Sestri Ponente-Genova si legò soprattutto a Compagnie come Navigazione Generale Italiana (N.G.I) con la costruzione di navi passeggeri, mentre quella dell'Ansaldo restò legata a commesse militari statali, tanto che nel 1871, proprio alla vigilia dell'estensione della rete ferroviaria, aveva cessato la produzione di locomotive per dedicarsi alle forniture militari. 

Alla fine del 1924, la Società Odero e C. di Genova che gestiva il Cantiere della Foce, fu incorporata dalla Società in Accomandita ODERO fu Alessandro e C. di Genova Sestri e, nel 1926, la nuova Società si trasformò nella Cantieri Navali Odero S.p.A con un capitale di 40 milioni di lire.  

Nel 1933, insieme alla maggior parte della cantieristica navale italiana, il suddetto cantiere entra a far parte nel nascente IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) che lo rilancerà, tanto che alla vigilia della Seconda guerra mondiale  arriverà a contare circa 36.000 dipendenti.

 

 

 

IL VITTORIANO - LA DEA ROMA

Il nome deriva da Vittorio Emanuele II, il primo re d'Italia. Alla sua morte, nel 1878, fu deciso di innalzare un monumento che celebrasse il Padre della Patria e con lui l'intera stagione risorgimentale. Il Vittoriano doveva essere uno spazio aperto ai cittadini. Il complesso monumentale venne inaugurato da Vittorio Emanuele III il 4 giugno 1911. Fu il momento culminante dell'Esposizione Internazionale che celebrava i cinquanta anni dell'Italia unita.

Nel complesso monumentale, sotto la statua della Dea Roma, è stata tumulata, il 4 novembre del 1921, la salma del Milite Ignoto in memoria dei tanti militari caduti in guerra e di cui non si conosce il nome o il luogo di sepoltura.

L'altare della Patria è solo una parte del complesso, nata da un'idea del 1906. Il concorso venne vinto dallo scultore bresciano Angelo Zanelli. L’edicola al centro dell’Altare della Patria con la statua della dea Roma e la Tomba del Milite Ignoto.

 

Il nome della città eterna che portava, e la “romanità” propugnata dal governo fascista erano ben rappresentate dal Salone Centrale della nave ROMA, un ambiente sontuoso che era dominato da una grande statua raffigurante la Dea Roma. opera di Angelo Zanelli ed esatta replica di quella dell’Altare della Patria.

Certamente la ROMA era una nave imponente, la prima nave italiana a piazzarsi nella classifica dei grandi “Liners”: solo la Majestic, la Olympic, la Leviathan, l’Aquitania, la Berengaria e la Paris la superavano in dimensioni (ma fra queste navi solo la Paris fu  varata nel dopoguerra). Imponente ma “vecchia” del design, infatti la ROMA non si libererà dall’essere il prodotto di una progettazione già antiquata e questo si può dire anche relativamente alle sue macchine: quattro gruppi turbo-riduttori a singola demoltiplicazione, ognuno formato da due turbine Parsons, ad alta e bassa pressione.

Apparentemente in continuità con lo SHAPE della DUILIO, in realtà ne rappresenta un po' un ritorno al passato: si abbandona la poppa a incrociatore per quella più tradizionale a clipper, mentre le sovrastrutture ritornano basse, sicuramente meno  pronunciate rispetto a quelle adottate per la DUILIO; tuttavia la linea della ROMA appare comunque molto bella, gradevole all’occhio, slanciata ed elegante al pari di quella di uno yacht di lusso; così venne descritta dagli esperti dell'architettura navale dell'epoca!

Riprendiamo da alcuni manifesti pubblicitari:

“Gli allestimenti interni della nuova ammiraglia furono affidati allo Studio Ducrot (per gli ambienti e gli alloggi di Prima classe) in cui si snodavano una carrellata di stili che correvano dal Rinascimento al Neoclassico, traendo ispirazione dalle correnti decorative veneziane, napoletane, siciliane e piemontesi.

Unitamente allo Studio Ducrot collaborarono alle decorazioni degli interni diversi artisti: Galileo Chini, Giambattista Comencini, Corrado Padovani, Ernesto Basile, Leonardo Bistolfi, Adolfo De Carolis e Angelo Zanelli. Gli ambienti sociali di Prima classe erano organizzati su quattro ponti: “Sport Deck”, Boat Deck”, “Promenade Deck” e “A Deck”.

 

Sul “Sport Deck” si trovava, esteso per quasi un centinaio di metri, un vasto spazio adibito ai giochi di ponte: tennis, volano, tiro al piattello, gioco degli anelli e delle piastrelle, pedana per la boxe e la scherma, ect; a centro ponte era collocata la Palestra. Nell’estate del 1928 venne installata a poppa un’ampia piscina all’aperto (7,2 mt x 5 mt), circondata da un “colonnato” corinzio con ghirlande floreali in ferro battuto, lampioncini ed una fontana a bocca di leone: lo spazio attorno venne attrezzato con sdraio, ombrelloni e tavolini in legno di teak.

 

La Grand Hall centrale, detta “Aula Magna”, si ispirava all’architettura del primo Rinascimento veneziano: soffitto a cassettoni policromi arricchiti da bellissime plafoniere pensili “stellate”, una volta centrale a botte affrescate ed illuminata da dodici vetrate a lunetta, pareti con pilastri e pannelli floreali e corinzi in legno scolpiti e rivestimenti in damasco giallo oro, divani e poltrone in cuoio scuro e damasco cremisi (forse un po’ troppo austeri nella forma), un ampia profusione di tappeti persiani di seta, ed alla parete di prua, dentro una nicchia, una statua in avorio raffigurante la DEA ROMA.

Negli Anni ‘80 la statua della DEA ROMA fu ritrovata intatta in un magazzino portuale (Calata Gadda) del Porto di Genova, dopo cinquant’anni di oblio totale fu restaurata e riportata all’antico splendore dalla Stazione Marittima Porto di Genova con la collaborazione della Rochem Marine s.r.l. -  La statua di ROMA ETERNA, nata per essere esposta sulla nave Passeggeri ROMA nel 1926, oggi tutti possono ammirarla, sul lato sud della Stazione Marittima di Genova. L’Artista che la scolpì in marmo si chiamava Angelo Zanelli 1848-1942, (autore della statuaria dell’Altare della Patria a Roma).

 

Per un’opera salvata tante sono andate perdute… aveva ragione Indro Montanelli quando affermava: ”un popolo che ignora il proprio passato, non saprà mai nulla del proprio presente.”

UN PO’ DI STORIA

Dal sito ROMANO IMPERO: riprendiamo brevemente alcuni temi di Storia Patria ed altrettante significative immagini.

IL CULTO DELLA

DEA ROMA

Nella città di Roma, il più antico culto di Stato alla Dea Roma fu legato al culto di Venere nel Tempio adrianeo di Venere e Roma. Questo fu il più grande tempio della città, probabilmente dedicato alle feste Parilia, in seguito chiamate Romae in onore di Roma.

 

La Dea Roma, fin dal II sec. a.c., fu la divinità che personificava lo stato romano e fu posta proprio in Campidoglio, aveva la corona turrita sul bel capo e la palla in mano, che non è la terra perché a quel tempo la sua sfericità non era ignorata, però come simbolo della sapienza era la luna piena, pomo della sapienza, vedi le Esperidi, la palla di Venere ecc..

Le tradizioni la videro in vari modi. La più antica la individua nella prigioniera troiana che accompagnava Ulisse ed Enea quando approdarono insieme sulle rive del Tevere venendo dal paese dei Molossi, cioè dall'Illiria.

La leggenda narra che l'equipaggio di Ulisse, in cui si trovava Roma insieme alle altre prigioniere di guerra, fu travolto da una tempesta che lo scaraventò sulla coste del Lazio. Le schiave imprigionate, capeggiate da Roma, e stanche delle peregrinazioni, diedero fuoco alle navi.

Ne conseguì che i compagni di Ulisse si stabilirono sul colle Palatino, dove la città che fondarono prese il nome dell'eroina che aveva deciso le sorti di un popolo e dato origine ad una nuova civiltà.

 

ROMA FIGLIA DI TELEMACO

In un'altra leggenda fu figlia di Telemaco e della stessa maga Circe, quindi sorella del Re Latino e nipote di Ulisse.

 

LA DEA ROMA

Statua raffigurante la dea Roma, rappresentata nella fontana di

Piazza del Popolo a Roma

La scultura raffigurante la Dea Roma si trova al centro dell’Altare della Patria, una grande ara votiva dedicata alla nazione italiana progettata dall’architetto Giuseppe Sacconi e decorata dallo scultore bresciano Angelo Zanelli tra 1911 e il 1925.

All’interno di un’edicola con il fondo di mosaico dorato, la Dea si erge con il peplo romano e la pelle di capra, un elmo e una corona con teste di lupo, una lancia nella mano destra e la statuetta di una Vittoria alata nella sinistra. L’iconografia deriva dalle raffigurazioni di Atena, la dea greca della sapienza, Minerva nel mondo romano.

 

Statua raffigurante la DEA ROMA al

 VITTORIANO

 

Statua raffigurante la DEA ROMA alla

ARA PACIS

 

In fondo al Salone della Stazione Marittima di Genova è stata collocata la statua di “Roma Eterna” che fu scolpita da A. Zanelli (1848 – 1942) per essere posizionata nel salone di prima classe del transatlantico ROMA orgoglio della marineria italiana. La statua fu ritrovata da Francesco Scotto dopo 50 anni di abbandono e di oblio, restaurata e riportata all’ antico splendore dalla Stazione Marittima Porto di Genova con la collaborazione della Rochem Marine s.r.l. Per un’opera salvata tante sono andate perdute… aveva ragione Indro Montanelli quando affermava: ”un popolo che ignora il proprio passato, non saprà mai nulla del proprio presente.”

 

* A proposito della portaerei AQUILA  (ex transatlantico ROMA)…..

 

Spesso si ricorre all’affermazione del Duce che sosteneva:

“L’Italia non ha bisogno di portaerei perchè l’Italia è già una portaerei nel Mediterraneo”.

Ormai è comprovato che mai fu detta tale espressione! Al contrario, furono certi alti vertici della Marina che sabotarono tutto ed in un interessantissimo libro – “La portaerei del Duce” di Daniele Lembo, della Ma.Ro editrice, Copiano di Pavia – si sostiene chiaramente che furono, appunto, proprio gli ammiragli della Regia Marina, con la loro specifica competenza, a dissuadere il Duce dall’impegnare i cantieri italiani nella costruzione di navi portaerei e non certo, quindi, Mussolini che, anzi, chiese sempre lumi, informazioni e pareri sulla possibilità che l’Italia fosse in grado e, per la guerra, urgente la costruzione di portaerei! Addirittura, Mussolini in un convegno di ammiragli, dichiarò apertamente: “Sono qui per imparare. Conto sulla vostra collaborazione allo scopo di rendere sempre più efficiente la nostra Marina»! Ebbene, in quella occasione, la quasi la totalità degli ammiragli presenti votarono contro la realizzazione di portaerei, perché ritenuto da loro non necessarie, né utili, insistendo affinché Mussolini si convincesse, definitivamente, che simili grandi navi non servissero, assolutamente, proprio a niente! Dopo, però, le perdite nel Mediterraneo, Mussolini respinse, finalmente, tutte le opinioni dei “grandi ammiragli” italiani, ed ordinò l’immediata costruzione di portaerei! Le due grandi navi passeggeri “Roma” ed Augustus furono così trasformate in portaerei, diventando, rispettivamente, “Aquila”“Sparviero” e, in particolare, la prima fu completata ed era tra le più belle del mondo, così non avvenne per la seconda, che finì affondata dai tedeschi all’imboccatura del porto di Genova. 

Bibliografia:

STORIA DEI TRASPORTI ITALIANI - TRASPORTI  MARITTIMI DI LINEA - Ogliari /Radogna - Volume terzo

I GIGANTI DI LINEA - Vincenzo Zaccagnini - Mursia

ENCYCLOPEDIA OF OCEAN LINERS 1860-1994 - William H. Miller jr

Carlo GATTI 

Rapallo, 27 Aprile 2022 

 


DUE VESPUCCI FAMOSI

- ARTE-MARE -

DUE VESPUCCI FAMOSI

PARTE PRIMA

Statua di Amerigo Vespucci – Uffizi - Firenze

AMERIGO VESPUCCI

Firenze 9 marzo 1454 – Siviglia 22 febbraio 1512

Un personaggio che fa ancora discutere …

Perché l’America si chiama così? Si dice che deve il suo nome ad Amerigo Vespucci... ma non la scoprì Colombo?

Risponde Alessandro Barbero – docente universitario di Storia Medievale

“…non voglio fare l'accademico pedante, ma debbo intervenire per amore di verità sulla risposta data dal collega Barbero al lettore che chiedeva perché l'America si chiama così ("Specchio" N. 230, 24.6.2000, pp. 45-46). In effetti, l'opinione secondo la quale: "Colombo rimase sempre convinto che le isole da lui scoperte fossero parte del continente asiatico ... non riuscì a persuadersi che quella [Venezuela] fosse davvero la terraferma d'un nuovo continente", è solo uno dei tanti gravi errori d'interpretazione della vicenda colombiana (che presenta molti più lati "oscuri", ancora oggi, di quanto non si pensi), ampiamente diffusi purtroppo anche presso gli "specialisti".

A prescindere dal fatto se Martin Waldseemüller - il geografo di Saint-Dié-des-Vosges che ai primi del '500 battezzò il Nuovo Mondo in onore del Vespucci - ritenesse sinceramente valida o no detta motivazione (sembrerebbe che fosse caduto in un involontario equivoco, dal momento che in una successiva carta del 1516 rinnegò la sua stessa proposta, eliminando ogni riferimento al nome America), e se parimenti di essa fossero in buona fede persuasi i successivi fautori di quella controversa denominazione (che ha sicuramente a che fare anche con contrapposizioni politico-religiose: i cattolici spagnoli ad esempio non la accettarono per qualche secolo, mentre la sua diffusione fu immediata nei paesi protestanti), è abbastanza facile dimostrare che siamo di fronte a una spiegazione errata, ancorchè "comoda", appunto perché dà una facile risposta a un quesito al quale non sarebbe altrimenti così agevole rispondere (le risparmio le mie personali congetture, una cui traccia si potrebbe trovare nel sito web segnalato in calce).

Cito allo scopo alcune affermazioni che la dicono lunga sulla questione, tratte da lettere di Pietro Martire d'Anghiera, un "amico personale dello scopritore", che al tempo viveva presso la corte dei re di Spagna, o meglio di Aragona e di Castiglia ("La scoperta del Nuovo Mondo negli scritti di P. M. D'A.", Nuova Raccolta Colombiana, Comitato Nazionale per le Celebrazioni del V Centenario della Scoperta dell'America, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Vol. VI, Libreria dello Stato, Roma, 1988, p. 6):

1 - lettera del novembre 1493 ad Ascanio Sforza: "Quel Colombo, scopritore di un NUOVO MONDO, nominato dai miei Re capo del mare Indiano" (loc. cit., p. 47);

2 - lettera del 20 ottobre 1494 a Giovanni Borromeo: "Di giorno in giorno, notizie sempre più straordinarie sono riportate dal NUOVO MONDO, grazie a quel ligure Colombo, nominato Ammiraglio dai miei Re per le sue imprese portate a buon fine" (loc. cit., p. 49).

3 - lettera scritta il 9 agosto del 1495 al Cardinale spagnolo Bernardino de Carvajal: "[Colombo] venne a sapere attraverso i suoi interpreti indigeni ... che in nessun luogo si interrompeva la terra: sa dunque per certo che si tratta di un continente" (loc. cit., p. 73).

Parole che non lasciano adito a dubbi. Come vede, si parla sin da subito di un NUOVO Mondo (novembre 1493; Colombo aveva fatto ritorno dal suo primo viaggio nel mese di marzo), e sin da subito fu altresì chiaro che questo Nuovo Mondo era un intero continente. È vero infatti che l'ultimo brano citato è del 1495, ma bisogna tenere conto del fatto che Colombo fece rientro a Cadice, al termine del suo secondo viaggio (iniziato nel settembre 1493), soltanto nel giugno del 1496!

Il continente asiatico, si potrebbe in effetti replicare, ma allora perchè chiamarlo "Nuovo Mondo"? E comunque, accettata pure questa ipotesi, risulterebbe di conseguenza alquanto improbabile che Colombo potesse escludere in modo assoluto che quella da lui toccata nel corso delle esplorazioni successive "fosse davvero la terraferma" di un tale, più "vecchio" che non "nuovo", continente.

A complicare le cose, c'è da aggiungere un'informazione assai poco nota, che dà spazio a nuove congetture sul quadro concettuale in cui le terre scoperte venivano collocate, almeno da parte di persone appartenenti a certi particolari "ambienti". L'esistenza di un "continente sconosciuto" dislocato di fronte alle coste occidentali europee ed africane era stata infatti prevista circa due secoli prima dal famoso Raimondo Lullo ("Quodlibeta", Questione 154, Tomo IV), un autore che Colombo conosceva bene:

"La principale causa del flusso e del riflusso del Mar Grande o del Mar d'Inghilterra è l'arco dell'acqua del mare che a ponente appoggia o confina in una terra opposta alle coste dell'Inghilterra, Francia, Spagna e di tutta la confinante Africa, nella quale gli occhi nostri vedono il flusso e riflusso delle acque perché l'arco che forma l'acqua come corpo sferico è naturale che abbia appoggi (confini) opposti su cui posare, poiché altrimenti non potrebbe sostenersi. Per conseguenza, così come in questa parte appoggia sul nostro continente, che vediamo e conosciamo, nella parte opposta di ponente appoggia sull'altro continente che non vediamo e non conosciamo fino ad oggi; però per mezzo della vera filosofia, che riconosce ed osserva mediante i sensi la sfericità dell'acqua ed il conseguente flusso e riflusso, il quale necessariamente esige due sponde opposte che contengano l'acqua tanto movimentata e siano i piedistalli del suo arco, si inferisce logicamente che nella parte occidentale esiste un continente nel quale l'acqua mossa va ad urtare così come rispettivamente urta nella nostra parte orientale".

Questa speculazione, che fu a lungo oggetto di meditazione, anche se "riservata", da parte di tutti gli "addetti ai lavori" (e certo non minore fonte di ispirazione per la stessa impresa di Colombo, il quale andava a cercare tutt'altro che una nuova rotta per la Cina, portandosi dietro specchietti e perline non certo per i civilissimi cinesi descritti nel "Milione" di Marco Polo!), mostra che gli autentici retroscena di una così importante vicenda, giustamente prescelta a segnare il confine tra Medioevo ed Età Moderna, sono completamente ignorati dalla superficiale "vulgata" corrente, e che invece di accontentarsi di sbrigative spiegazioni come quella precedentemente discussa, molto più bisognerebbe ancora riflettere ed approfondire...

 UN PO’ DI STORIA:

AMERICA, STORIA DI UNA PAROLA.

Come abbiamo appena letto, fu il cartografo tedesco Martin Walseemüller a battezzare (con qualche dubbio sollevato dal prof.Barbero) AMERICA  l’intero continente in onore di Amerigo Vespucci. In un volume del 1507, Cosmographiae introductio, che riportava in 12 fogli una mappa del mondo allora conosciuto (o immaginato), Waldseemüller scrisse “America” sulle terre che s’erano appena cominciate a scoprire. Merito del Vespucci era d’aver capito la “nuova geografia” novità alla quale aveva dato nome MONDUS NOVUS. Nel 1650 i coloni usavano America per indicare soltanto le colonie britanniche del Nord. E risale al 1781 l’uso d’indicare con America soltanto gli Stati Uniti.

Ma poiché America designava un continente, il termine Americani fu (anche) riferito ai suoi abitanti originari, quelli che Colombo aveva chiamato INDIANI. A metà del Settecento, Americani erano gli Indiani per il saggista inglese Joseph Addison, che chiamava invece “Inglesi trapiantati” i coloni. Ma già nel 1697 Cotton Mather, grande esponente  degli ambienti puritani della Nuova Inghilterra, si era servito della forma “americano” per indicare se stesso e i suoi concittadini.

La definizione “Stati Uniti d’America” appartiene infine a Tom Paine, uno dei padri dell’Indipendenza. “Siamo sovrani in quanto Stati – aveva scritto - il nostro grande titolo è di essere AMERICANI”.

Nel 1791 George Washington inserì l’abbreviazione U.S. E compare nel 1795 la sigla (odiata o amata che sia) ormai a tutti: U.S.A.

LA CARACCA DEL NAVIGATORE AMERIGO VESPUCCI

La caracca: Si tratta di un bastimento di alto bordo e di gran portata a quattro o cinque coperte, con due castelli uno a poppa e l'altro a prua, tre alberi, vele quadre,  gabbie, parrocchetti, la mezzana latina. La sua portata è di 2.000 tonnellate. Veniva usata da tutte le nazioni, ma particolarmente da Genovesi e Portoghesi, per il traffico e qualche volta anche in guerra.
Il castello, sia a prua che a poppa, è una sovrastruttura leggera, praticamente una piattaforma, circondata da una balaustra o da un grigliato per non pesare sulle estremità della nave.
Inizialmente era fornita di due soli alberi, quello di maestra e quello di mezzana. La spinta maggiore viene naturalmente dalla vela più grande, una sola vela quadra sull'albero di maestra.
Con il tempo le viene apportata una modifica e viene aggiunto un terzo albero. E' da tener presente che ogni albero ha una sola vela ed è quadra. Le manovre dipendono dalle due vele più piccole, quella dell'albero di mezzana e quella dell'albero di trinchetto.
Successivamente anche le vele vengono modificate. Viene aggiunto un pennone al bompresso sul quale viene issata una vela quadra e sopra la maestra viene innalzato un alberetto sul quale è infierita una vela di gabbia, sempre quadra.

I viaggi in America

(Riassunto breve da Wikipedia)

Primo viaggio (1497-1498)

Vespucci partecipò al viaggio di esplorazione con Juan de la Cosa.  Il probabile comandante di questa spedizione fu Juan Diaz de Solis. Probabilmente fu il re Ferdinando II d’Aragona a volere questa spedizione, per rendersi conto se la terraferma fosse realmente distante dall'isola di Hispaniola e avere così una visione più ampia e precisa delle nuove terre.

Secondo viaggio (1499-1500)

Vespucci partecipò a una spedizione guidata da Alonso de Ojeda. Nella spedizione vi era anche il cantabrico Juan de la Cosa, famoso pilota e cartografo. Dopo aver toccato terra in corrispondenza dell'odierna Guyana, i due si separarono. Amerigo continuò verso sud fino a toccare la foce del Rio delle Amazzoni, all'incirca a 6° S. Successivamente Vespucci proseguì verso sud fino al Cabo de São Roque, circa 30 km a nord dell'odierna città di Natal.  Quindi la spedizione rientrò verso nord riconoscendo l’isola di Trinidad e il fiume Orinoco prima di fare ritorno in Spagna. 

Terzo viaggio (1501-1502)

In questo periodo, Amerigo viaggiò al servizio del Portogallo.  Nel 1501 prese parte a una spedizione comandata da Goncalo Coelho.  Prima di giungere nelle Americhe, la spedizione si era fermata alcuni giorni nelle isole di Capo Verde ed aveva incrociato le navi di Pedro Alvares Cabral, esploratore portoghese di ritorno dal suo viaggio in India. A Capo Verde Vespucci conobbe l'ebreo Gaspar da Gama che gli descrisse i popoli, la fauna e la vegetazione dell’India. Comparando questo racconto con quello che poi osservò, giunse nel 1501 alla conclusione che le terre che stava visitando non potevano fare parte dell’Asia ma costituivano quello che lui definì il NUOVO MONDO. 

Quarto viaggio (1503-1504)

Nel suo quarto viaggio, sempre comandato dai portoghesi, Vespucci individuò un'isola situata nel bel mezzo dell'oceano che fu successivamente battezzata Fernando de Noronha, in onore di uno dei componenti dell'equipaggio. Quindi la spedizione continuò verso le coste dell'attuale Brasile, ma non ci furono importanti scoperte.

da Wikipedia:

Amerigo Vespucci osservava attentamente il cielo, e la notte del 23 agosto del 1499, durante il suo secondo viaggio scrisse: 

«In quanto alla longitudine dico che per conoscerla incontrai moltissima difficoltà che ebbi grandissimo studio in incontrare con sicurezza il cammino che intraprendemmo. Tanto vi studiai che alla fine non incontrai miglior cosa che vedere e osservare di notte la opposizione  di un pianeta con un altro, e il movimento della luna con gli altri pianeti, perché la Luna è il più rapido tra i pianeti come anche fu comprovato dall'almanacco di Giovanni da Monteregio, che fu composto secondo il meridiano della città di Ferrara concordandolo con i calcoli del Re Alfonso: e dopo molte notti passate ad osservare, una notte tra le altre, quella del 23 agosto 1499, nella quale vi fu una congiunzione  tra la Luna e Marte, la quale congiunzione secondo l'almanacco doveva prodursi a mezzanotte o mezz'ora prima, trovai che all'uscire la Luna dal nostro orizzonte, che fu un'ora e mezza dopo il tramonto del Sole, il pianeta era passato per la parte di oriente, dico, ovvero che la luna si trovava più a oriente di Marte, circa un grado e qualche minuto, e alla mezzanotte si trovava più all'oriente quindici gradi e mezzo, dimodoché fatta la proporzione, se le ventiquattrore mi valgono 360 gradi, che mi valgono 5 ore e mezza? Trovai che mi valevano 82 gradi e mezzo, e tanto distante mi trovavo dal meridiano della cidade de Cadice, dimodoché assignando cada grado 16 e 2/3 leghe, mi trovavo 1374 leghe e 2/3 più ad occidente della cidade de Cadice.»

 

«La ragione per la quale assegno ad ogni grado 16 leghe e 2/3 è perché secondo Tolomeo e Alfagrano, la Terra ha una circonferenza di 6.000 leghe, che ripetendosi in 360 gradi, corrisponde ad ogni grado a 16 leghe e 2/3 e questa proporzione la provai varie volte con il Punto Nave di altri piloti cosicché la incontrai vera e buona.»

In seguito a questi ragionamenti vari astronomi e cosmografi dell'epoca e delle epoche successive riconobbero che Vespucci aveva inventato come verificare una longitudine con il metodo della distanza lunare.  Ad esempio nel 1950, l'astronomo del Vaticano, il professor Stein, disse: «Mi meraviglia che fino ad oggi nessuno abbia verificato le osservazioni fatte da Vespucci nella notte del 23 agosto 1499, dove calcolava la posizione relativa di Marte e della Luna in quell'epoca». Da tutto ciò si evince che Vespucci sapeva benissimo dove si trovasse, ed era in grado più di ogni altro di fare il punto nave con precisione.

 

FONTI DELL’AUTORE:

IL TRATTATO DI TORDESILLAS di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=397;tordesillas&catid=36;storia&Itemid=163

STRETTO DI MAGELLANO di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=403;mag&catid=36;storia&Itemid=163

COCCA, CARAVELLA E CARACCA di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=669;crisco&catid=36;storia&Itemid=163

Tutto inLa risposta a ciò che cerchi.

Wikipedia – Amerigo Vespucci

Treccani – Vespucci Amerigo

Tuscanypeople-Amerigo Vespucci, il grande controverso Navigatore Fiorentino

I Percorsi della Storia-Atlante - I Percorsi della Storia-Manuale (2 volumi)

Istituto Geografico De Agostini – Corriere della Sera

 

 

PARTE SECONDA

SIMONETTA VESPUCCI 

della dinastia Cattaneo – Genova, fu una gentildonna tra le più note del Rinascimento

Genova 28.1.1453 - Piombino 26 aprile 14756

Fu la modella di Botticelli per la Nascita di Venere

 

Nascita di Venere di Botticelli, Galleria degli Uffizi (1482–1485 ca.).

 

Primavera di Botticelli, Galleria degli Uffizi, (1482 ca.).

 

Flora, l'allegoria della primavera stessa. Essa, vestita di fiori e cinta con girlande fiorite, annuncia l'arrivo della nuova stagione. Qualcuno ha supposto, senza base documentaria, che possa essere il volto di Simonetta

 

UN PO’ DI STORIA:

Della bella Simonetta Vespucci s’innamorò perdutamente Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico. Ricordiamo, per la cronaca che Giuliano fu pugnalato a morte nella famosa Congiura dei Pazzi, il 26 aprile 1478 alle 13.30, nella chiesa di Santa Maria del Fiore – Firenze.

La bella Simonetta convolò a nozze nell’aprile del 1469, appena sedicenne, con il giovane sposo Marco VESPUCCI, cugino del famoso navigatore Amerigo Vespucci, nella chiesa gentilizia genovese di San Torpete (foto sopra), alla presenza del Doge di Genova e di tutta l’aristocrazia cittadina.

“Il giovane sposo era da poco stato inviato dal padre Piero a Genova per studiare i sapienti ordinamenti del Banco di San Giorgio, con cui aveva stretti rapporti lo stesso Jacopo III e di cui era procuratore appunto Gaspare Cattaneo, che nel 1464 era stato testimonio della dedizione di Genova a Francesco Sforza, duca di Milano. Marco Vespucci, accolto dai Cattaneo, si era innamorato perdutamente della bella Simonetta e il matrimonio era stato una logica conseguenza, visto l'interesse dei Cattaneo a legarsi con una potente famiglia di banchieri fiorentini, intimi dei Medici. La recente caduta di Costantinopoli e la perdita delle colonie orientali aveva infatti particolarmente colpito economicamente e moralmente la famiglia Cattaneo”.

L’arrivo della coppia a FIRENZE (città di VESPUCCI), coincise con la nomina di Lorenzo il Magnifico a capo della Repubblica. Gli sposi furono accolti nel Palazzo Medici di via Larga e seguirono festeggiamenti sontuosi nella Villa di Careggi.

“L'apice si raggiunse con il "Torneo di Giuliano", un torneo cavalleresco svoltosi in Piazza Santa Croce nel 1475. Qui Giuliano de' Medici, secondo quanto immortalato dal poemetto Stanze per la giostra di Giuliano de’ Medici di Angelo Poliziano, promise e dedicò la vittoria a Simonetta, presente tra il pubblico. Portò uno stendardo, che si ipotizza dipinto dal Botticelli e che raffigurava Simonetta nei panni allegorici di Venere-Minerva con ai piedi Cupido incatenato ed il motto “La sans” par scelto personalmente da Lorenzo. Simonetta fu la trionfatrice e venne proclamata "regina del torneo", offrendo personalmente a Giuliano il premio della giostra, un elmo di squisita fattura realizzato nella bottega del Verrocchio. La sua grazia aveva ormai conquistato tutti a Firenze, in primis Giuliano diventato suo amante. Dopo la morte di Simonetta, Giuliano ebbe una sola relazione con una dama fiorentina: Fioretta Gorini della famiglia dei Pazzi, che gli darà anche un figlio, Giulio il futuro pontefice Clemente VII.  Il Pulci  le dedicò alcuni sonetti e anche il Magnifico la celebrò nelle sue “SELVE D’AMORE”. 

LA MORTE colse Simonetta Vespucci il 26 aprile 1476, a l’età di soli ventitré anni, a causa di tisi o polmonite. Indagini successive conclusero   che Simonetta fosse in realtà affetta da adenoma ipofisario con secrezione di prolattina ed ormone della crescita, era sicuramente sterile e che l'aumento di volume del tumore la condusse alla morte.

Nella letteratura

Simonetta fu ricordata e celebrata da Giosuè Carducci nella prefazione: Stanze per la giostra del Poliziano.

Anche Gabriele D’Annunzio l’ha immortalata nel suo Alcyone.

«O Toscana, o Toscana,
dolce sei tu ne' tuoi orti
che lo spino ti chiude
e il cipresso ti guarda,
dolce sei nelle tue colline
che il ruscello riga
e l'ulivo t'inghirlanda...
O Fiorenza, o Fiorenza,
giglio di potenza
virgulto primaverile;
e certo non è grazia alcuna
che vinca tua grazia d'aprile
quando la tua valle è una cuna
di fiori di segni di pace
ove Simonetta si giace.»

Aprile infatti è il mese in cui Simonetta morì.

FONTI:

Il Primo Quattrocento n.5 - Il Rinascimento n.6 - Enciclopedia dell’Arte Universale-36 Volumi-Corriere della Sera

Conoscere i Grandi Musei-Ist.Geografico De Agostini-Novara/Uffizi-Firenze - 6 Volumi

Carlo GATTI

Rapallo, 13 Aprile 2022

 


RAPALLO NELLA STORIA NAVALE

RAPALLO NELLA STORIA NAVALE

 

Fonte: Il Mare

Rapallo - Sullo sfondo la nave ORONTES che il 22 maggio 1933 diede fondo l’ancora nel nostro golfo. La nave ospitava 400 passeggeri inglesi che alle ore 8 sbarcarono a Rapallo, ripartendo lo stesso giorno alle ore 16. Molti di questi facoltosi passeggeri fecero visita e giocarono al campo Golf di Rapallo.

La ORONTES nel Tigullio

Le foto della ORONTES ancorata nel golfo di Rapallo appartengono alla collezione Sergio Schiaffino che ringrazio

 

STORIA DI UNA NAVE

“ORONTES”

Questa nave fu l’ultima di una serie di cinque navi da 20.000 tonnellate che furono costruite negli Anni ’20 per la celebre Compagnia Marittima inglese ORIENT LINE in servizio sulla linea dell’Australia. Le altre erano: ORAMA (1924), ORONSAY e OTRANTO (1925), la ORFORD (1928).

La Peninsular and Oriental Steam Navigation Company , meglio conosciuta con le lettere P&O, fu  fondata a Londrannel 1837  da due uomini d'affari e politici britannici Brodie McGhie Willcox e Arthur Anderson  e dal capitano Richard Bourne. Era la più antica società di crociere  e le principali compagnie di navigazione sin dalla sua fondazione nel xix ° secolo, che opera in particolare nel Mediterraneo,  sulla rotta per l’India, l’Estremo Oriente e l’Australia.  A dominare la spedizione sulla strada est, ha giocato un ruolo importante nella emigrazione europea in Australia nel xix ° secolo e xx ° secolo. È stata anche pioniera nel mercato crocieristico in cui ha continuato ad operare sin dal suo assorbimento nel GRUPPO CARNIVAL, leader mondiale nel settore.

La ORONTES fu costruita Barrow nel Cantiere Vickers-Armostrong. Fu varata il 26 febbraio 1929 e fu completata a luglio. Partì da Londra per il suo viaggio inaugurale diretta a Brisbane il 26 ottobre di quell’anno.

Barrow-in-Furness o, più semplicemente Barrow (ca. 60 000 ab.) è un borgo nella contea inglese della Cumbria, sulla penisola di Furness, della quale è il centro abitato più popoloso. Affacciata sul Mar d’Irlanda, è situata circa 50 km   a nord di Blackpool.  La città appartenne, fino al 1974, alla contea storica del Lancashire. 

La ORONTES era un’elegante e molto attraente nave passeggeri come le sue gemelle (near-sisters). Lo scafo aveva la poppa ad “incrociatore” e la prua elegante e affilata per la sua epoca al contrario delle altre sue gemelle che avevano una prua più verticale. Ben disegnate e proporzionate erano le sovrastrutture con due ciminiere molto slanciate. Indovinate per capacità di trasporto delle sei stive destinate su distanze notevoli.

La ORONTES realizzò con successo le prove per il rodaggio di tutti i suoi macchinari, dopo il suo arrivo a Southampton partì per un particolare charter. Insieme alla Orford diventarono ufficialmente le due navi OSPITI del Trofeo Schneider “air race” tenutosi a Calshot nel 1929 dove le fu concesso un eccellente punto di osservazione.

Trascorse un periodo crocieristico di rodaggio “Shakedown”, nel 1934 venne in Mediterraneo con un nutrito programma di visite promozionali per il turismo inglese e fu in questa occasione che visitò il GOLFO TIGULLIO del quale sono rimaste alcune fotografie che pubblichiamo a breve. Possiamo anche aggiungere che sul finire della crociera la nave incaglio, senza gravi danni a Gallipoli.

Nei primi mesi della guerra continuò i viaggi per l’Australia sfruttando la sua buona capacità di trasporto passeggeri, ma soprattutto di carico nelle sue stive per cui divenne molto popolare e richiesta da quelle parti.

Nell’aprile del 1940 fu requisita dalla U.K. per il “trasporto Truppe”. Il suo primo viaggio in questo suo nuovo ruolo bellico, strano a dirsi, fu il trasporto truppe dall’Australia a Singapore.

Quando la nave ritornò in U.K. ebbe una frenetica attività di “trasporto militari” verso il Medio Oriente, spesso accoppiata con altre navi passeggeri.

Verso la fine del 1942 la ORONTES fu fortemente impegnata nella Campagna del Nord Africa nello sbarco a Orano delle truppe alleate.

In qualche occasione trasportò anche mezzi da sbarco anfibi per cui gli sbarchi dei militari venivano effettuati con molta rapidità.

Nel luglio del 1943 la nave ebbe una parte molto attiva nello sbarco degli Alleati in Sicilia, presso la spiaggia di Avola. Durante queste operazioni militari si trovò spesso sotto attacco di aerei nemici. Ma riuscì sempre a cavarsela.

Si distinse anche negli sbarchi degli Alleati a Salerno.

Più tardi fu impiegata nuovamente per il trasporto truppe su lunghe distanze: Bombay in particolare.

Nel 1945 ritornò in Estremo Oriente, sia in Australia sia per trasporto truppe francesi a Saigon.

Infine fu impiegata per il rimpatrio dei prigionieri di guerra in U.K.

Nell’aprile del 1947 la ORONTES concluse il suo periodo come “nave militarizzata”. Durante i suoi sette anni sotto il controllo governativo, ha percorso 370.000 miglia e trasportato circa 125.000 soldati.

Nel periodo 1947-48 la nave fu sottoposta ad importanti lavori di “reconditioning” e ammodernamento degli interni presso il Cantiere Thornycroft di Southampton.

Nel giugno 1948 riprese stabilmente i suoi viaggi per l’Australia e nel 1953 fu convertita esclusivamente in nave passeggeri – classe unica – destinata al trasporto  di allevatori per l’Australia e Nuova Zelanda.

La ORONTES partì per il suo ultimo viaggio da Tillbury per l’Australia il 25 novembre 1961 ed al ritorno fu tolta dal servizio.

Fu infine venduta ad una ditta spagnola di demolizione. Il 5 marzo 1962 arrivo a Valencia e lì terminò la sua FORTUNATA vita di mare.

Tre delle quattro navi gemelle: ORAMA, ORONSAY e ORFORD furono dichiarate:

 “perdite di guerra”.

Fonte:

BEKEN OF COWES (fotograph) – OCEAN LINERS -  By Philip J. Fricker

Libera traduzione di Carlo Gatti

Rapallo, 6 Aprile 2022


LA TRAGEDIA DEL "MONTELLO" DISSOLTO IN UNA PALLA DI FUOCO

LA TRAGEDIA DEL "MONTELLO" DISSOLTO IN UNA PALLA DI FUOCO

Introduzione di Carlo GATTI

Ogni tanto mi capita di ritagliare articoli di Storia marinara che conservo in un cassetto per poi approfondire, arricchire, ricostruire e pubblicarne la rivisitazione  sul nostro sito. Della tragedia del MONTELLO presi coscienza ai tempi del Nautico di Camogli quando me ne parlò un mio compagno di scuola che in quella tragedia perse un parente a lui molto caro.

Di quel tragico capitolo di storia nostrana: nave costruita a Riva Trigoso, Armatore Genovese, Equipaggio rivierasco, non ne sentii più parlare per molti decenni. A risvegliare in me quel ricordo fu una pagina ormai ingiallita del Secolo XIX, che in data 3 giugno 2011, in occasione del 70° anno della tragedia del MONTELLO, pubblicò con la firma del giornalista Roberto Pettinaroli e che conservai come una reliquia nell’attesa di recuperare i nomi dello sfortunato equipaggio.

Purtroppo, quasi subito, mi resi conto che esistevano solo notizie frammentarie sul tragico evento bellico nel quale fu  colpita la nave genovese.   L'articolo di Pettinaroli  è quindi l'unica fonte a me nota, ed  oggi ve la propongo in versione integrale perchè merita di essere letta e meditata non solo per la precisa e puntuale narrazione storica, ma anche e soprattutto per il linguaggio “marinaro” usato che solo un rivierasco di razza può permettersi. Aggiungo infine che l’atmosfera, purtroppo tragica che lo impregna, è figlia del coinvolgimento emotivo e nostalgico dell’autore di cui soltanto sul finire del racconto si può oggettivamente comprenderne tutte le motivazioni che vi lascio intuire.

Confido  nei nostri Amici “conservatori” dei Musei Marinari della Riviera  che forse potranno recuperare i nomi e cognomi dello SFORTUNATO EQUIPAGGIO del MONTELLO affinché possa rimanere viva  la memoria dei loro nomi e cognomi non solo presso i loro discendenti, ma anche nelle pagine della storia locale della nostra Riviera. 

7 dicembre 1926 - VARO DEL PIROSCAFO MONTELLO al Cantiere navale di Riva Trigoso

di Alberto PETTINAROLI

E’ UNA MATTINA già calda davanti alle coste dell’Africa settentrionale. Il sole è quasi all’orizzonte e l’aria è tiepida, come dev’essere all’inizio di giugno. Il convoglio AQUITANIA, con il suo incedere lento e sicuro, è arrivato quasi a destinazione e procede compatto, in parallelo rispetto al litorale tunisino.

   E’ partito nel pomeriggio di due giorni fa da Napoli e oggi – 3 giugno – sta solcando, via canale di Sicilia, le acque del Mediterraneo meridionale, diretto a Tripoli. Come sempre in queste missioni, la formazione è stata a lungo studiata dallo stato maggiore della Marina. Il convoglio è composto dai piroscafi Aquitania, Caffaro, Nirvo, Beatrice Costa, Montello e dalla cisterna Poza Rica. A scortarli, quattro cacciatorpediniere (Aviere, Camicia Nera, Geniere, Dardo) e la torpediniera Missori. La protezione a distanza è fornita dalla VIII Divisione Navale, rappresentata dagli incrociatori ABRUZZI E GARIBALDI. Un apparato di sicurezza imponente, con un compito preciso: scortare la spedizione e tenere alla larga possibili pericoli. Il carico più vulnerabile e prezioso procede in mezzo: tra questi c’è il “MONTELLO”, stipato all’inverosimile, nelle sue stive, di benzina, munizioni ed esplosivi. Carburante e proiettili ed esplosivi. Carburante e proiettili – in tutto, 4.500 tonnellate – sono destinati alle nostre truppe impegnate nel teatro d’operazioni libico. E’ la primavera del 1941 e l’Italia intera è mobilitata nel tentativo di assecondare le ambizioni imperialiste del suo duce. In questo periodo, le sempre più pressanti richieste di rifornimento di combustibili e munizioni per il fronte libico si intensificano, se possibile, ancor più. E a giugno il valore dei materiali trasportati raggiunge una delle cifre più alte di tutta la guerra, 100 mila tonnellate, con perdite nell’ordine del 6 per cento dei quantitativi partiti.

   Accade, così, che non solo i soldati abili e arruolati, ma anche i civili in grado di servire alla bisogna vengano militarizzati e spediti a far la loro parte per assicurare alla patria un posto al sole e – soprattutto – un invito al banchetto dei grandi d’Europa che si preparano a spartirsi il mondo. Anche le navi, come gli uomini, subiscono la stessa sorte. E’ un regio decreto del 13 luglio 1939 a permetterlo e in base a questa legge cambia lo status giuridico delle unità navali, che da navigli mercantili si trasformano in unità belliche. Il “Montello” non costituisce un’eccezione. Viene requisito dal ministero della Marina e militarizzato con tutto il suo equipaggio. Il piroscafo è stato costruito a Riva Trigoso e varato il 17 dicembre 1926 su ordine della compagnia di navigazione “Alta Italia” di Genova (poi diventerà Nai) la società armatrice. Il Montello non è una nave attrezzata per operazioni belliche: è solo un mercantile. Lungo 116 metri, largo 16,6 nel punto massimo, alto al ponte di coperta 8,26, ha una stazza di 6.117. Prima dell’entrata in guerra dell’Italia è sempre stato utilizzato per movimentare merci da e per il porto di Genova, sulle rotte del Mediterraneo.

E anche in seguito, dopo la sua militarizzazione, ha fatto la spola tra le sponde del grande mare per trasferire derrate alimentari e apparecchiature a chi combatteva sul “bel suol” africano. Ma questa volta è diverso. Stavolta non si tratta di un viaggio come gli altri: la plancia della nave è satura di liquido altamente infiammabile ed esplosivi e tutti e 33 gli uomini che il piroscafo ha imbarcato per questa missione sono perfettamente consapevoli che la spedizione è ad altissimo rischio. Per questo il piroscafo ha una scorta così robusta, anche se le misure di sicurezza rischiano di attirare il nemico. Non si è faticato, comunque, a mettere insieme l’equipaggio da imbarcare: c’è la guerra e ci sono madri, mogli e figli, a casa, che aspettano lo stipendio per tirare avanti. Quando si ha chiara la percezione del pericolo che si corre, ogni minuto “pesa” come un’ora e ogni ora come un giorno. Ma adesso, a bordo, la tensione inizia a stemperarsi. La costa tunisina è in vista già da tempo e il secondo di coperta ha appena dato l’ordine all’equipaggio di sfilare i giubbotti di salvataggio.

“Nostromo, dove ci troviamo esattamente?”. “Secche di Kerkennah”. Tripoli, il porto, la salvezza ormai sono lì, a portata di mano. Un gabbiano in volo radente va a posarsi sul castello di prua. Un marinaio lo osserva e scruta l’orizzonte. Sta pensando a casa. Grazie Signore, forse è davvero finita, forse l’abbiamo fatta. Intanto il suo sguardo abbraccia Kerkennah (Cercara, in italiano), un gruppo di isole pianeggianti – l’altitudine massima è 12 metri – fra le Pelagie e la costa orientale tunisina, davanti a Sfax, abitate in origine da popolazioni libico-berbere. Proprio un bel posto per vivere. Quel marinaio non sa, non può sapere che un ricognitore inglese ha avvistato il convoglio nelle ore antimeridiane a sud di Pantelleria e ha allertato una squadriglia di cinque bombardieri che, nel frattempo, si è già alzata in volo da Malta. La squadriglia avvista il convoglio intorno alle 14 grazie anche alla bassa velocità (8 nodi) dei piroscafi. In un primo momento gli aerei alleati si tengono a distanza, perché sopra il convoglio incrociano due Cr-42. Alle 14.30 gli apparecchi da caccia si allontanano lasciando nel cielo solo un Cant Z501 che segue a prora le navi in ricognizione antisommergibile. Alle 14.54 gli aerei inglesi entrano in azione. Vengono avvistati a una distanza di circa 4 mila metri, a dritta, poco lontani dalla direzione del sole. Sono cinque, in formazione a triangolo e volano bassissimi, a una quota di circa 50 metri sul mare. Il comandante della flottiglia di scorta al convoglio - che si trova in latitudine 35° 25’ 30” Nord, longitudine 11° 57’ 30” Est – dà l’allarme e chiede l’intervento degli aerei da caccia, mentre tutte le unità e i piroscafi aprono il fuoco con le mitragliere. Ma il loro tiro è difficoltoso perché gli apparecchi arrivano controsole e volando a una quota così bassa, sono seminascosti dagli scafi delle unità navali. Un rombo di motori e gli aerei piombano sulla verticale dei piroscafi. Sganciano il loro carico di morte e un attimo si scatena l’inferno. Il “MONTELLO” è centrato in pieno da una bomba. Terrificante la testimonianza di un guardiamarina imbarcato sulla Missori, una delle cinque torpediniere di scorta:

Uno scoppio terribile, un’enorme fiammata e il “MONTELLO” è scomparso in una palla di fuoco. Una visione che rivedremo poi nel fungo dell’atomica a Hiroshima e Nagasaki. L’esplosione improvvisa delle munizioni di cui era carica la nave è stata così violenta da causare la caduta di uno degli aerei inglesi, risucchiato dal vortice di calore, e di una miriade di schegge di ogni forma e dimensione che hanno seppellite – colpendole – le navi del convoglio. Tutti siamo rimasti attoniti e sconvolti: la nave è sparita in meno di dieci secondi, letteralmente dissolta in aria. E con la nave tutto il povero equipaggio”.  

Storditi da quanto è appena avvenuto, i marinai della torpediniera trovano comunque il modo di ripescare e portare in salvo i due aviatori inglesi dell’apparecchio abbattuto.

Per i 33 marinai del “MONTELLO” (marittimi e militari addetti alla mitragliera) non c’è scampo. Alcuni abitano nel Tigullio. Uno di loro si è trasferito qualche anno prima con la moglie e i tre figli a Lavagna da Marciana Marina (Isola d’Elba) per essere più vicina a Genova e agli imbarchi. Al lavoro, al pane. Si chiama Guido Casabruna, ha 37 anni, è fuochista addetto alla caldaia a carbone del “Montello”.

Guido Casabruna era mio nonno: il nonno che non ho mai conosciuto, il nonno che si è dissolto in una palla di fuoco, il nonno che si è fatto sole sopra le secche di Kerkennah. Oggi, settant’anni dopo quel giorno, il fiore che idealmente le famiglie dei 33 uomini del “Montello” affideranno al mare, perché le onde lo cullino dolcemente fino a Kerkennah, è il fiore del ricordo, che è più forte del tempo e dello spazio. Della guerra, della morte. Il ricordo è il messaggio in bottiglia destinato ai 33 uomini del “Montello”, mandati a morire in acque lontane per un assurdo sogno di conquista. Dice semplicemente no, nessuno di voi è stato dimenticato.

pettinaroli@il secoloXIX.it

IL SECOLO XIX

Venerdì 3 giugno 2011

Roberto Pettinaroli è nato a Lavagna (Genova) il 16 luglio 1962. Sposato, una figlia, è giornalista professionista dal 1988. A 16 anni ha iniziato a collaborare con il quotidiano genovese “Il Lavoro”. Nel 1982 è passato al “Secolo XIX” di Genova, della cui redazione di Chiavari è stato per 13 anni (dal 1992 al 2005) vice responsabile. Attualmente lavora nella redazione genovese come caposervizio dello staff di Cronaca.

ALBUM FOTOGRAFICO 

A cura di Carlo Gatti

 

IL “MONTELLO” sullo scalo del cantiere di Riva Trigoso.

                                                                                                       (Archivio Carlo Gatti)

 

La cartina mostra una rotta tipica dei convogli italiani destinati in Tunisia. In essa viene mostrata la posizione di KERKENNAH

Incrociatore RN GARIBALDI

FIAT C.R.42 Falco

CANT Z 501

Cacciatorpediniere AVIERECAMICIA NERA – GENIERE

Classe Soldati 1° serie

 

Cacciatorpediniere DARDO

 

ROBERTO PETTINAROLI è nato a Lavagna (Genova) il 16 luglio 1962. Sposato, una figlia, è giornalista professionista dal 1988. A 16 anni ha iniziato a collaborare con il quotidiano genovese “Il Lavoro”. Nel 1982 è passato al “Secolo XIX” di Genova, della cui redazione di Chiavari è stato per 13 anni (dal 1992 al 2005) vice responsabile. Attualmente lavora nella redazione genovese come caposervizio dello staff di Cronaca.

 

A cura di Carlo GATTI

Rapallo, martedì 5 Aprile 2022