ROSTRO E CORVO ROMANO

DUE ARMI VINCENTI

 

 

IL ROSTRO. Consisteva in un poderoso sperone in bronzo collocato nel punto di congiunzione tra la parte finale prodiera della chiglia e la parte più bassa del dritto di prua (elemento strutturale di congiunzione che chiude lo scafo alle sue estremità, sia anteriore che posteriore. Il rostro veniva agganciato alla parte lignea dello scafo, mediante numerosi chiodi. Era composto da una struttura laminare che foderava, proteggendole, le parti lignee dello scafo sulle quali veniva agganciato, ma la sua parte più anteriore terminava con un possente fendente verticale (sperone), a volte rafforzato da ben tre fendenti laminari orizzontali (vedi nella foto sottostante il particolare del bellissimo rostro recuperato a settembre 2008 al largo di Messina).

 

 

 

IL ROSTRO DI ACQUALADRONI, DOTAZIONE MICIDIALE DELLE NAVI ROMANI

L’8 settembre del 2008 fu rinvenuto, giacente a bassissima profondità nelle acque di Acqualadroni, vicino Messina, un antico rostro bronzeo romano.

La scoperta del ROSTRO, di cui se ne intravedeva solo la parte superiore, fu del tutto eccezionale, sia per la rarità dei rostri ritrovati in situ (altri simili erano stati rinvenuti nelle acque delle Isole Egadi e in Israele), sia perché se esso conserva ancora integri frammenti della parte lignea.
Il rostro, inserito nella chiglia all’altezza dritto di prua ed assicurato mediante chiodi, era costituito da tre fendenti laminari orizzontali rinforzati da un possente fendente verticale. Con questo micidiale multiplo fendente, scagliato con forza sulle fiancate delle navi nemiche, la nave da guerra che ne era dotata determinava l’ingovernabilità e l’affondamento di quella nemica grazie alle falle che generava.

Il reperto, integro e di eccellente fattura, è decorato lateralmente sui due lati. Si distinguono alcuni particolari quali teste di aquile, criniere, creste e collari (caratteristiche decorative di tradizione ellenistica presenti fino alla fine del I sec. a.C.)

Dalle analisi effettuate sul rostro si è appurato che il manufatto risalirebbe al periodo compreso tra il 360 ed il 190 a.C.. Quanto all’evento in cui la nave sarebbe affondata, vi sono diverse ipotesi: si è pensato che il rostro potesse appartenere a una delle navi delle flotte della prima (264-241 a.C.) o della seconda (218-201 a.C.) guerra punica, o a una delle numerosissime battaglie intermedie, o alla battaglia del Nauloco (36 a.C.) combattuta tra Marco Vipsanio Agrippa (ammiraglio di Ottaviano) e Sesto Pompeo.

Il reperto si trova oggi al Museo regionale di Messina.

 

 

 

 

 

 

Dal sito: ARCHEOLOGIADELPASSATO 

Agosto 27, 2023

Levanzo (Tp). Nuovi ritrovamenti archeologici nei fondali, sito della Battaglia delle Egadi: recuperati altri due rostri in bronzo. Sono l’Egadi 26 e l’Egadi 27. E poi 15 elmi, 20 paragnatidi, una spada e, per la prima volta, 7 monete d’argento.

 

Egadi 27: è il 27° rostro in bronzo nei fondali di Levanzo (Tp) sito della battaglia delle Egadi del 241 a.C. (foto regione siciliana)

E sono 27! Parliamo dei rostri recuperati nei fondali di Levanzo (Trapani), sito della Battaglia delle Egadi. Sono passati quasi 20 anni, da quel lontano 2004, quando la “scoperta” del primo rostro delle Egadi nello studio di un dentista trapanese ad opera del nucleo tutela patrimonio culturale dei Carabinieri confermò al compianto Sebastiano Tusa che il luogo di rinvenimento, a poche miglia a Nord-Ovest del Capo Grosso di Levanzo, doveva essere proprio il teatro dello storico scontro navale delle Egadi tra la flotta cartaginese e quella romana che nel 241 a.C. segnò la fine alla prima guerra punica.

(vedi: Recuperato nel mare di Levanzo il dodicesimo rostro che conferma l’ubicazione della battaglia delle Egadi del 241 a.C. tra romani e cartaginesi, che pose fine alla prima guerra punica a favore dei romani | archeologiavocidalpassato).

 

 

Area della battaglia delle isole Egadi tra romani e cartaginesi nel 241 a.C.

 

 

 

L’archeologo Sebastiano Tusa, tragicamente scomparso in un incidente aereo nel marzo 2018

 

“I fondali delle Egadi”, dichiara l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato, “si confermano ancora una volta uno scrigno prezioso di informazioni per comprendere lo scontro navale tra romani e cartaginesi. La scoperta di Sebastiano Tusa continua ancora oggi a ricevere conferme sempre più importanti, avvalorando l’intuizione dell’archeologo prematuramente scomparso nel 2019 che aveva consentito l’individuazione del teatro della battaglia che sancì il dominio dei Romani sul Mediterraneo”.

 

 

 

Egadi 26: è il 26° rostro in bronzo nei fondali di Levanzo (Tp) sito della battaglia delle Egadi del 241 a.C. (foto regione siciliana)

 

La campagna di ricerche che si sta svolgendo in questi giorni – come comunica la soprintendenza del Mare – ha consentito il recupero di due rostri in bronzo denominati “Egadi 26” e “Egadi 27”. Sono stati individuati su un fondale di circa 80 metri e recuperati con l’ausilio della nave da ricerca “Hercules” della fondazione statunitense RPM Nautical Foundation che negli anni ha permesso, grazie alle sofisticate strumentazioni presenti a bordo, l’individuazione e il recupero di numerosi reperti riguardanti l’importante battaglia svoltasi il 10 marzo del 241 a.C.

In genere il ROSTRO era costituito da un unico pezzo fuso in bronzo inserito nel punto di congiunzione tra la parte finale prodiera della chiglia e la parte più bassa del dritto di prua, sopra il tagliamare.  La parte anteriore del rostro era costituita da un potente fendente verticale rafforzato da fendenti laminari orizzontali.

Con questo micidiale strumento le navi venivano lanciate alla maggiore velocità possibile contro le fiancate delle unità nemiche per creare delle falle allo scopo di provocare un rapido affondamento.

In tempi antichi le navi, tipicamente TRIREMI, avevano sulla prua una struttura rinforzata detta ROSTRO, col quale potevano sfondare la fiancata della nave nemica, e quindi (essendo sconosciuto l’uso dei compartimenti stagni) causarne l’affondamento.

IL CORVO ROMANO

 

 

I Romani (valorosi e abili soldati, ma meno che mediocri marinai di fronte ai Cartaginesi) decisero le sorti e la vittoria definitiva della loro Patria mediante l’abbordaggio; con questa tattica, trasformavano le piattaforme delle navi, saldamente unite mediante i CORVI in un ristretto e stabile campo di battaglia. In tal modo non era necessario manovrare in maniera accurata per scontrare la nave nemica nel bordo, ma era sufficiente riuscire ad affiancarla.

 

 

In primo piano a destra si vede il CORVO con il suo potente uncino di ferro che sta per essere abbattuto sulla nave nemica onde stabilire una testa di ponte su cui sbarcare i soldati romani.

Il CORVO era un’arma tattica militare romana utilizzata durante la Prima Guerra Punica. Era essenzialmente un ponte mobile con un’ala affilata che poteva essere abbassata sui ponti delle navi nemiche durante gli scontri navali. Questo permetteva ai soldati romani di abbordare le navi nemiche e combattere come se fossero sulla terraferma. Questa invenzione conferì un vantaggio significativo a Roma nelle battaglie navali.

 

 

 

In questa immagine si nota che nella battaglia in corso, il CORVO è stato appena abbattuto. A questo punto il combattimento tra le parti assume un carattere più terrestre che navale in cui i Romani sono storicamente più forti.

Le navi da guerra romane erano: la Bireme, la Triremi, la Quadriremi, la Quinquiremi, la Esareme, la Deceris, l’Actuaria, la Liburna, la Caudicaria.

 

Per fare un esempio: Si chiamava TRIREMI perchè disponeva di tre serie di rematori, dotata di un ROSTRO per speronare e di CORVI mobili per agganciare le unità avversarie.

 

UN PO’ DI STORIA

Nave da guerra romana

 

Come erano fatte le navi da guerra della flotta romana? Per rispondere a questa domanda bisogna in realtà tornare indietro e andare a vedere come erano costruite le navi greche che avevano dominato il mare fino ad allora ed erano cresciute in dimensioni e numero di rematori nell’epoca ellenistica.

Le antenate delle navi da guerra romane: le navi greche
Caratteristiche delle navi antiche
Forma elegante e allungata per fendere meglio l’acqua, con alta poppa e prua affusolata per l’alloggiamento del rostro. 

Doppio timone, costituito da due “remi” con pale di grandi dimensioni che venivano mossi dal timoniere per cambiare la direzione di navigazione; il timone unico in uso ancora oggi è un’invenzione medievale.

Vela quadra issata sull’albero maestro e sostenuta da sartie e stralli. Nelle navi di maggiori dimensioni poteva essere presente un secondo albero, verso prua, con una vela rettangolare più piccola.

ROSTRO (sperone), agganciato alla chiglia a prua e in metallo. Lo scopo principale di questo elemento era speronare le navi avversarie e spesso era modellato a forma di animali, come il cinghiale.

Castello di prua e/o di poppa, una sovrastruttura leggera posta al di sopra degli scalmi a prua e/o a poppa.

Tipi di navi da guerra greche

La prima antenata delle navi da guerra romane è la greca pentacontera (in uso fino al VI secolo a.C.). Si tratta di un’imbarcazione da 50 rematori (25 per lato) con forma tondeggiante e propulsione sia a remi che a vela, utilizzata come nave da guerra, ma spesso anche per il trasporto di merci.

Evoluzione della pentecontere (iniziata nel VI secolo a.C.) furono le biremi, ma soprattutto le triremi.

Le biremi erano navi utilizzate dall’età classica, con una doppia fila di rematori seduti sullo stesso ponte. La lunghezza variava dai 24-25 m del periodo più antico ai 20 m dei tempi più recenti, quando diventarono più snelle e più facilmente manovrabili.

Le triremi presentavano una terza fila di rematori sistemati in modo sfalsato e seduti nella parte superiore della nave in ponti laterali aggettanti. Potevano arrivare ai 35-40 m di lunghezza e furono utilizzata nelle battaglie navali di epoca classica ed ellenistica. In questa tipologia di nave antica il numero di individui presenti a bordo aumentava notevolmente: oltre ai rematori, più numerosi rispetto a quelli di una bireme, e all’equipaggio addetto al comando e alla navigazione, ospitava anche soldati e arcieri preparati al combattimento nel caso di abbordaggio.

Su questa antica nave da guerra era presente anche un “ponte”, una sorta di passerella centrale che univa le piattaforme a prua e a poppa al fine di permettere un agile movimento a bordo.

L’epoca ellenistica è il periodo dei “colossi del mare”, poiché le fonti ci tramandano della presenza di navi dalle quattro, alle sedici file di rematori. In generale le navi di questo periodo aumentarono in dimensioni, tonnellaggio e ospitarono un numero maggiore di rematori e membri dell’equipaggio. Il problema principale delle navi militari ellenistiche fu proprio la maggiore dimensione degli scafi, che resero le manovre in battaglia sempre più complesse. Non bisogna dimenticare che fino a questo periodo le battaglie navali si combattevano speronandosi a vicenda.

Le navi da guerra romane

Roma costruì la sua flotta in piena epoca ellenistica prendendo spunto dalle grandi flotta dell’epoca. Il primo nucleo della flotta era composto da: liburne (navi leggere con due ordini di rematori e un rematore per remo, adatte ai movimenti veloci), triremi, quadriremi e quinqueremi (navi pontate con trenta remi in linea per fiancata e cinque uomini su ciascun remo), che avevano il grande difetto di essere pesanti e complicate da manovrare. 

Nonostante ciò, la preferenza romana per imbarcazioni pesanti ha una spiegazione nel cambiamento di tecnica di combattimento: i romani, forti nel combattimento a terra, preferirono puntare sull’abbordaggio delle navi nemiche inventando una sorta di passerella, detta CORVUS, che permetteva di attaccarsi alle navi nemiche e farci salire i legionari.

L’utilizzo di navi a più file di rematori finirà al tramontare dell’epoca ellenistica. Nel 31 a.C. durante la battaglia di Azio Ottaviano, futuro Augusto, schiererà navi più leggere e facilmente manovrabili (triremi, quadriremi e quinqueremi), mentre Marco Antonio utilizzerà i vecchi e pesanti “colossi del mare” che facevano parte della flotta egiziana.

Fonte: AMICI DELLA SCIENZA- Storia tra le pagine 

 

 

 

 

 

 

Il CORVO, come appare dalle immagini (sopra riportate), era un grosso pennone cilindrico montato sulla parte prodiera della nave. Da questo pennone, attraverso un sistema di cime, si poteva calare una passerella di legno solida e stabile dotata di ringhiere. Sulla estremità della passerella, un uncino di ferro ricurvo aveva il compito di precipitare al momento giusto sul piano della coperta e ancorarsi alla nave avversaria formando con essa uno scafo unico un po’ asimmetrico. Quando si voleva far entrare in azione il Corvo, bastava eseguire un rapido scatto attraverso le corde e la passerella cadeva violentemente sulla nave avversaria, che veniva letteralmente infilzata, trafitta e trattenuta.

In questo modo, i soldati di fanteria presenti sulla nave romana potevano utilizzare la passerella per abbordare la nave del nemico e trasformare il combattimento da marittimo a terrestre, dove i legionari eccellevano particolarmente.

Secondo lo storico greco Polibio, il corvo era costituito da: un palo cilindrico posto a prua della nave, avente una lunghezza di quattro orgyie * e un diametro di tre palmi. Qui veniva inchiodata una scala a tavole trasversali larga quattro piedi e lunga sei orgyie. La scala aveva ai lati un parapetto alto fino al ginocchio. Sulla punta era installato una sorta di pestello di ferro appuntito con un anello in cima, sicché l’insieme sembrava del tutto simile ai macchinari per la preparazione del pane. Una corda attaccata all’anello permetteva di sollevare il corvo che, se lasciato cadere, si piantava sul tavolato della nave avversaria rendendo impossibile la separazione delle navi.

 

*L’orgyia (in greco antico: ργυιά) era un‘unità di misura di lunghezza in uso nell’antica Grecia e nell’antico Egitto equivalente a circa 177,6 centimetri,

Nell’antica Roma un palmo era pari a 1 / 4 di piede, e quindi misurava 7,41 centimetri. 

Il Pes romano (piede) equivaleva a circa 30 cm ed è la base delle misure di lunghezza.

In altre parole il corvo era una passerella che fissata alla nave avversaria, permetteva a soldati abituati a combattere sulla terraferma di passare da una nave all’altra senza evoluzioni sulle funi e quindi di combattere come erano addestrati a fare. Se le navi restavano accostate ai fianchi l’abbordaggio era generale, se invece si attaccava la prua, il corvo permetteva l’attacco dei fanti su due file. I primi assaltatori riparavano loro stessi e i compagni tenendo gli scudi davanti a loro, quelli che seguivano, sempre con gli scudi, proteggevano i fianchi.

LA SVOLTA

LA BATTAGLIA DI MILAZZO 260 a.C.

La battaglia navale tra la flotta dei romani guidata da Gaio Duilio e le forze cartaginesi guidate Annibale Giscone, entrò nella storia soprattutto per l’utilizzo di un apparato di nuova concezione che abbiamo già descritto, il CORVO, che permise ai Romani di abbordare le navi avversarie e di capovolgere, come vedremo, una situazione storica a loro sfavorevole.

Milazzo è certamente uno dei massimi esempi dell’ingegno romano, sfoderato di fronte a grandi sfide di natura militare, ma soprattutto rappresenta la prima grande vittoria marittima romana contro i cartaginesi nell’ambito della prima guerra punica.

Messina rinunciò all’indipendenza chiedendo di essere protetta contro i nemici dalla superiore Forza Militare Romana. Ora Roma aveva il “diritto” di stare in Sicilia. Finalmente aveva il Iustum Bellum.

Gaio Duilio si recò personalmente al comando della flotta, settore più debole, lasciando ai tribuni la gestione delle truppe e delle operazioni a terra, settore bellico a cui le legioni erano già addestrate e da secoli vittoriose.

Le truppe cartaginesi stavano saccheggiando la zona attorno a Milazzo; Gaio Duilio diresse la flotta romana verso la città e Annibale Giscone, informato di questo spostamento del teatro delle operazioni, salpò da Palermo al comando di una flotta di 130 navi e, convinto dal risultato della battaglia di Lipari, della sua superiore capacità operativa, incrociò la flotta nemica nel golfo di Milazzo. 

I Cartaginesi, sbalorditi furono in parte massacrati e in parte si arresero. 30 navi, le prime che erano entrate in battaglia furono catturate e con queste anche la nave di Annibale che però riuscì a sfuggire alla cattura su una scialuppa.

Il resto della flotta punica cercò di manovrare per evitare l’aggancio dei corvi, tentando di trarre vantaggio dalla migliore qualità delle navi ed esperienza degli equipaggi. 

«Confidando nella loro velocità speravano di portare gli assalti a colpo sicuro, gli uni dai fianchi, gli altri da poppa.»

I corvi però, essendo imperniati verticalmente, potevano essere diretti quasi in ogni direzione e le navi cartaginesi finivano regolarmente immobilizzate, assaltate e catturate. Alla fine cinquanta navi puniche restarono nelle mani dei Romani e le altre, virarono di bordo e fuggirono. La battaglia di Milazzo aveva segnato l’ingresso di Roma nel Mediterraneo.

 

I Cartaginesi, vedendo i corvi sulle tolde delle navi nemiche,

«…restarono incerti, stupiti dal modo in cui gli attrezzi erano congegnati; tuttavia, avendo una pessima opinione dei nemici, quelli che navigavano davanti a tutti si gettarono audacemente all’attacco.»

(Polibio, Storie, I, 23, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)

 

La flotta romana, lasciata la Sicilia, aveva battuto i Cartaginesi a Capo Ermeo, catturando ben 144 delle 200 navi puniche e le aveva integrate nella sua flotta che quindi era arrivata a quasi 500 navi.

 

Per chi desiderasse approfondire l’argomento segnalo il seguente LINK:

 

La flotta da guerra romana e le navi di supporto

 

https://www.capitolivm.it/societa-romana/la-flotta-da-guerra-e-navi-di-supporto/

 

Le guerre puniche prenderanno da questo momento una rotta completamente differente: di lì a poco, nella battaglia di Capo Ecnomo, la più grande battaglia navale del mondo antico, i romani ottennero un’altra straordinaria vittoria, utilizzando nuovamente il corvo.

IL TRAMONTO DEL CORVO ROMANO

Nonostante il grande servizio reso a Roma, il corvo venne abbandonato dopo alcuni anni. Gli storici antichi spiegano la breve esistenza del CORVO ROMANO ch fu penalizzata dalla la sua stessa ingombrante struttura.

Osserviamo inoltre che:

  1. Per bilanciare il suo peso a prora era necessario zavorrare la nave a poppa

  2. Ma in questo modo la nave aumentava di peso perdendo velocità e manovrabilità essendo la forza applicata sui remi rimasta invariata.

  3. Anche il fattore SORPRESA era ovviamente venuto meno dopo le prime vittorie …

Infine, secondo le cronache del tempo, si verificarono almeno tre tempeste durante le quali le navi romane affondarono rapidamente, senza riuscire a salvarsi, proprio per il peso del CORVO.

Per questo motivo, sembra che già nella battaglia delle Isole Egadi del 241 a.C, (lo scontro decisivo della prima guerra punica), questo strumento non fosse più in dotazione alla flotta romana.

CONCLUSIONE

Anche se non esiste una connessione diretta tra il CORVO romano e i mezzi da sbarco utilizzati durante lo Sbarco in Normandia (Operazione Overlord) durante la Seconda Guerra Mondiale, entrambi i concetti condividono l’obiettivo di facilitare lo sbarco di truppe e armi ostili sul territorio nemico, anche se le tecnologie e le tattiche erano ovviamente diverse.

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo 22 Settembre 2022