IL NAUFRAGIO DELLA FUSINA

50 ANNI DOPO

ALCUNI RICORDI PERSONALI…



Posizione del relitto della M/n FUSINA nelle acque a nord dell’isola di San Pietro, Sono passati 50 anni da quella sera del 16 gennaio 1970, era un venerdì in cui il Fusina, partito da Portovesme poche ore prima, affondò in meno di un’ora, forse a causa del mal tempo o per altre cause di cui parleremo. Una cosa é certa: il maestrale, il vento più sardo di tutti che nasce in Provenza e s’abbatte furioso sulle coste occidentali della Sardegna e per una settimana é in grado di sollevare onde alte anche sette o otto metri.


LA DINAMICA DELLA TRAGEDIA


La notte del 16 gennaio 1970, la nave Fusina, partita da Portovesme in serata con un carico di blenda destinato a Fusina (Porto Marghera, Venezia). C’era una discreta maestralata in corso, ma non fu solo quella la causa del naufragio, la FUSINA, come si può vedere dalla foto, era una nave solida e moderna. La causa del naufragio, come fu accertato in seguito, fu lo spostamento del carico, un carico molto pericoloso. La nave sbandò e si capovolse a nord dell’isola di San Pietro, con un bilancio drammatico. Dei 19 membri dell’equipaggio, la maggior parte di origine veneta, 18 persero la vita, compreso il minorenne Angelo Barbieri, il cui corpo non fu mai trovato. Ci fu un solo superstite, il cameriere di bordo Ugo Freguja, considerato un “miracolato” per il modo in cui riuscì a salvarsi.

M/n FUSINA


A sinistra il Comandante MARIO CATENA – A destra UGO FREGUJA

Stralcio alcune parti dell’articolo di Mauro CARTA

Il comandante Mario Catena, un veneziano di cinquantadue anni, fece di tutto per salvare le vite affidate alla sua responsabilità: lanciando due volte l’SOS (senza risultato, trovandosi all’epoca la nave in una zona ombra per i segnali radio), illuminando il cielo con tutti i razzi di segnalazione disponibili, cercando di mettere a mare le scialuppe di salvataggio, senza riuscirvi a causa del forte sbandamento, delle onde violentissime, del panico che si era scatenato a bordo. Nessuno, in quella notte di burrasca, raccolse la richiesta di soccorso. Alla fine, il comandante ordinò di lanciarsi fuori bordo, nell’acqua gelida, con i soli giubbetti di salvataggio.

Un solo uomo, dopo aver nuotato disperatamente per otto ore, riuscì a raggiungere miracolosamente la terra in un punto dove poteva allontanarsi dalle onde e dagli scogli. Era Ugo Freguja, il cameriere di ventotto anni, che alla fine sarà, su diciannove uomini che componevano l’equipaggio del Fusina, l’unico superstite. Dobbiamo proprio a lui la testimonianza di quelle ore paurose. Freguja si abbandonò al sonno una volta a terra, sfinito, si risvegliò soltanto la mattina dopo e, soccorso da un pescatore, comunicò finalmente al mondo la notizia del naufragio della sua nave.

Che cosa resta oggi del Fusina? Un relitto, adagiato sul fondo del mare, coricato sul lato di dritta, a novantotto metri di profondità, due miglia a nord di Cala Vinagra.

Negli anni 62-63 ho navigato sulla t/n FINA ITALIA da 3° e 2° uff.le di coperta. Era soprannominata “la freccia del Golfo persico”. Aveva una portata lorda di 31.500 tonn. ed una velocità superiore ai 18 nodi.

Dei miei 15 mesi d’imbarco, ben 6 li navigai con l’allora 1° Ufficiale Mario CATENA, lo sfortunato Comandante che perì 50 anni fa a bordo della FUSINA, come abbiamo raccontato con grande tristezza. Di lui mi é rimasto nel cuore un episodio che più di tanti discorsi di circostanza, rede l’idea del carattere “marinaro” della persona, ma soprattutto di quel senso “paternalistico” che a bordo delle navi mercantili é difficile esercitare perché tutto é improntato al grado e alla “antica” disciplina sintetizzata dal concetto “safety first”. Non vorrei essere frainteso: le navi funzionano molto meglio di qualsiasi altro ambiente lavorativo di terra proprio perché da millenni esiste un impianto disciplinare che conferisce ad ogni membro dell’equipaggio le responsabilità di cui risponde sempre n prima persona.


La foto della cisterna MIRAFLORES, gemella della FINA ITALIA, mostra la passerella che viene usata dall’equipaggio per collegare in sicurezza il centro nave e la poppa.

Eravamo in Atlantico, nel mezzo di una vasta depressione da cui non si poteva scappare. La nave era bassa perché carica alla marca. La coperta era battuta da onde gigantesche. Le petroliere di quel tempo avevano il Ponte di comando sopra il cassero a centro nave dove alloggiavano tutti gli ufficiali di bordo. A poppa c’era la Sala Macchine, la cucina, gli alloggi dei Sottufficiali e della Bassa forza. Quando il mare era in tempesta il cassero centrale poteva rimanere isolato, per quanto ci fosse una passerella sopraelevata che permetteva il trasferimento del personale da una parte all’altra, per il trasporto non solo del personale ma anche delle vivande nelle ore di pranzo e di cena.

Fu proprio in quella difficile circostanza, con rollate di circa 20° che il 1° Ufficiale Mario CATENA si offrì (d’autorità) per andare a poppa a ritirare il cibo per tutti gli ufficiali.

“E’ inutile rischiare tutti. Vado solo io! Mi legate la vita con una cima lunga e siate pronti a virarla qualora mi vedeste decollare…”

Appena il Primo giunse al centro della passerella fu investito da un’onda alta almeno 10 metri, sparì totalmente nella schiuma e nel panico totale non ci rimase che tirare con forza la cima legata al suo corpo e sentimmo, grazie a Dio, che era ancora attaccato anche se la caduta gli aveva procurato molte ferite. L’uomo era forte e coraggioso, pertanto riuscì ad agguantare i candelieri e con la forza della disperazione, come lui stesso ci raccontò, si era salvato dal decollo…

Lo raggiungemmo per riportarlo a centro nave, ma lui insistette di voler andare a poppa… Era dolorante e claudicante ma non desistette dal compiere la missione per la quale si era offerto per tutti noi. Completammo insieme il tragitto e poi raggiungemmo finalmente la riposteria a centro nave.

Ecco chi era il Comandante Mario Catena: un padre che sentiva un grande senso di protezione verso il suo equipaggio che a bordo rappresentava la sua stessa famiglia, un uomo di mare che non temeva nulla, neppure le situazioni più difficili che in mare non mancano mai.

Nella mia carriera ho avuto modo di rivivere scene di quel tipo, anche peggiori, ed ogni volta ho pensato al coraggio di quel 1° Ufficiale il quale, con un gesto d’altruismo per lui del tutto “normale”, modificò il mio concetto d’umanità che ancora oggi, a distanza di quasi 60 anni, ricordo con grande emozione.


Ugo FREGUJA, L’unico superstite del naufragio

 

M/n ANNA MARTINI

LA TRAGICA SORTE TOCCATA ALLA FUSINA MI RIPORTA ALLA MENTE ALCUNI ALTRI RICORDI PERSONALI CHE MI SPINGONO AD APRIRE UNA BREVE PARENTESI …

Nel 1967, tre anni prima del naufragio della FUSINA, chi scrive era imbarcato sulla M/n ANNA MARTINI come 1° Ufficiale di coperta.

Il mio Comandante era un “viareggino” vicino alla pensione. Il tipo aveva un caratteraccio che si attenuava solo dopo irruenti esplosioni di bestemmie irripetibili … Lui e questa “carretta” letteralmente tirata su dal fondo nel primo dopoguerra, furono la migliore palestra professionale per la mia successiva carriera. Quel Comandante si era forgiato e temprato sui bovi e le paregge del suo paese, navigava a vista e vedeva i pericoli con largo anticipo, i suoi calcoli astronomici non erano precisamente i frutti raccolti all’Istituto Nautico, ma erano sempre originati da osservazioni acute del colore del mare e delle nuvole, dal volo dei gabbiani, dall’umore del vento che lui percepiva sul nasone avvinazzato, una specie di sensore a parabola che non lo tradiva mai, così diceva lui…, ma io penso tuttora che la sua vera capacità di navigare fosse il risultato di una grande esperienza maturata nella lotta contro i colpi di mare … e quindi dalle paure sofferte nell’arco della sua vita di uomo di mare.

Su quella carretta piena di buchi tamponati col cemento, il nostro solito viaggio era la traversata Genova-Cagliari con 90 auto FIAT caricate anche sulla “normale” …. ed il ritorno con 2.500 tonnellate di sale (dello Stato e dei Conti Vecchi) per calata Bengasi a Genova.

Quando in banchina non c’erano le FIAT… (a causa degli scioperi di quel periodo…), si navigava alla busca anche fuori dagli Stretti, come pirati a caccia di “noli”, senza radar, girobussola e con un radiogoniometro finto… Scalammo Siviglia per carbone, Safì (Marocco atlantico) per fosfati, Casablanca (merce varia), e ancora La Nouvelle (Golfo del Leone) per grano, a Porto Empedocle per salgemma (sale di miniera) e poi Marsiglia per caolino e molti altri scali minori con attrezzature prinordiali.

Nel nostro vagabondare per il Mare Nostrum praticando il contrabbando per rimpinguare il magro salario del Navalpiccolo, non mancarono i viaggi per caricare minerale proprio a Portovesme (Sardegna), carico destinato all’industria della nostra penisola.

Quando giunse l’ordine di fare rotta per quel primo viaggio di blenda, il Comandante mi guardò fisso negli occhi e mi disse: “Lei ha fatto esperienze su petroliere e navi passeggeri, ma sa cos’é la BLENDA?”

Con un certo imbarazzo confessai la mia totale ignoranza. Ed il Comandante viareggino rinverdì le sue “memorie” con un certo abbrivo che tornava a galla come fosse successo il giorno prima….

Allora le racconto brevemente del mio incontro/scontro a Portovesme con questo minerale bastardo. Ovviamente fui informato che il minerale andava caricato entro certi limiti di umidità, ma nessuno mi spiegò mai il motivo. Dovetti impararlo a mie spese…

A caricazione terminata con la supervisione di tecnici e periti chimici, mollai gli ormeggi e quando fummo sull’imboccatura eravamo già sbandati 10° a dritta. Mi resi subito conto del problema ma pensai ad una falla sul lato dritto di una stiva. Accostai immediatamente a sinistra e rientrai in porto a tutta forza. Ormeggiammo col lato più alto, il sinistro, ed i cavi in tensione ci salvarono dal rovesciamento. Lo sbandamento aveva superato i 30°. Le Autorità, il caricatore e tutti gli addetti ai lavori erano ancora in banchina… Tutti sapevano cos’era successo eccetto il sottoscritto col quale tutti però si complimentarono per la riuscita manovra che evitò il naufragio nel salotto di casa…. Nessuno ebbe il coraggio di salire a bordo”.

“Comandante, metta la nave in sicurezza, la leghi con tutti cavi di bordo in banchina e poi venga nel mio ufficio insieme al Perito chimico e al caricatore”. – Mi urlò il Capitano del porto –

Giunto nella “camera caritatis” dell’Autorità Marittima, notai che ce l’avevano tutti con il Perito chimico perché non avrebbe controllato correttamente l’umidità della blenda… e che avrebbe dovuto sospendere la caricazione ecc… ecc…”

“Qual è il punto? Cosa succede quando il carico é bagnato? – Chiesi quasi infastidito –

“Succede che appena si mette in moto, dal motore si sprigionano vibrazioni in ogni angolo della nave che ovviamente si propagano nelle stive che, in brevissimo tempo, si trasformano in giganteschi frullatori. A questo punto l’umidità diventa acqua, monta sulla superficie del carico e appena la nave accosta, per esempio a dritta, l’acqua scorre verso la paratia di dritta facendola sbandare… per farla affondare senza pietà… e giù bestemmie…!

Io ho avuto la fortuna di poter rientrare in porto prima che potesse accadere l’irreparabile!

Sior, ora lei é informato. Lei é il responsabile del carico, ma io le sarò sempre vicino, notte e giorno e le mostrerò come va trattata certa gente… e se poi ci sarà da “menare” entrerà lei in gioco con la sua esuberante giovinezza…”

Questo racconto, basato sui miei ricordi personali di oltre 50 anni fa, vuol solo dimostrare quanto siano insidiosi i pericoli che l’uomo di mare incontra non solo nel mare in tempesta, ma anche sulla terraferma dove gli interessi comuni degli addetti ai lavori convergono sulla necessità che la nave parta al più presto senza perdite di tempo! – “TIME IS MONEY” – Questa é la regola in ogni porto del mondo grande o piccolo che sia.

Ho ancora un brevissimo ricordo da raccontare, proprio sul Comandante Mario Catena della FUSINA. Era il 1964

MA COSA E’ IN REALTA’ QUESTA BLENDA? A COSA SERVE?

Ci siamo informati!

LA BLENDA

La sfalerite o blenda è il minerale dal quale si estrae industrialmente lo zinco, come sottoprodotto anche cadmio (Il cadmio è un metallo bianco-argenteo, abbastanza tenero; il cadmio metallico è impiegato nellindustria per la produzione di acciaio e plastiche. I composti sono usati nella produzione di batterie, di componenti elettronici e di reattori nucleari), gallio (Il gallio è usato per tenere insieme alcuni nuclei di bombe nucleari. Tuttavia, quando i nuclei sono tagliati e si forma polvere di ossido di plutonio, il gallio rimane nel plutonio. Il plutonio diventa quindi inutilizzabile come combustibile perché il gallio è corrosivo per parecchi altri elementi, indio (L’indio è usato principalmente per la fabbricazione di leghe bassofondenti, di cuscinetti e altre parti in movimento nellindustria automobilistica; alcuni suoi composti (arseniuro, antimoniuro e fosfuro) hanno assunto una certa importanza come semiconduttori).

I giacimenti italiani più significativi del minerale BLENDA sono quelli della Sardegna, in particolare Montevecchio nel Medio Camidano, Monteponi nell’Inglesiente e “Sos Enattos” di Lula (Nuoro). Vi sono altri giacimenti nel Nord Italia.

Il nome deriva dal greco σφαλερός (sfalerós, ingannatore) poiché anticamente il minerale era ritenuto ingannevole per i minatori. L’elevato peso specifico ed il fatto di trovare questo minerale associato con altri minerali metalliferi, tra cui la galena, faceva ritenere il minerale utile per estrarre metalli utili ma nessuno riusciva poi ad ottenerli. Tuttavia lo zinco venne ottenuto dai cinesi e, con la mediazione degli arabi, il metodo di estrazione dello zinco arrivò in Europa solamente nel medievo.

SFALEROS – Ingannatore…

M/n FUSINA – DATI NAVE

Nome

:

FUSINA

Anno di costruzione

:

1957

Cantiere

:

Cantiere Navale Pellegrino – Napoli (Italia)

Armatore

:

Società Armatrice S.A.N.A. – Trieste (Italia)

Nazionalità

:

Italiana

Stazza lorda

:

2.706 tonnellate

Stazza netta

:

1.474 tonnellate

Portata lorda

:

4.275 tonnellate

Lunghezza

:

95,60 metri

Larghezza

:

13,45 metri

Altezza

:

7,06 metri

Immersione

:

6,68 metri

Apparato motore

:

1 motore Fiat diesel ( 2 tempi – 7 cilindri)

Cavalli asse

:

1.750

Eliche

:

1

Velocità massima

:

14,20 nodi

Stive

:

3 x 4.517 metricubi

Data affondamento

:

Venerdì 16 gennaio 1970

Causa affondamento

:

Spostamento del carico

Rotta

:

Da Porto Vesme a Venezia

Equipaggio

:

19

Morti

:

18

Mare

:

Mediterraneo

Stato

:

Italia

Regione

:

Sardegna

Località

:

Isola di San Pietro

Ubicazione

:

39° 12’ 12” N – 8° 14’ E

Profondità

:

– 98 metri

CARLO GATTI

Rapallo, 4 Agosto 2020