8 maggio 1902

 8 maggio 1902

TRAGICA ERUZIONE  DEL VULCANO PELE’E

 Saint Pierre

 MARTINICA

 (Piccole Antille)

 L'isola di Martinica si trova nelle Piccole Antille. Più precisamente, fa parte delle Isole Sopravento Meridionali, è situata nel cuore dell'arcipelago caraibico. 

La Martinica è un'isola delle Antille Francesi, situata tra Dominica e Santa Lucia. È un dipartimento d'oltremare francese, caratterizzato da un clima tropicale, paesaggi vulcanici con spiagge sia nere che bianche, foreste lussureggianti e una ricca cultura creola che mescola influenze francesi e caraibiche. 

 

 

MARTINICA

L'eruzione del vulcano “Montagne Pelée” l'8 maggio 1902 distrusse in soli tre minuti la città di Saint-Pierre in Martinica, causando la morte di circa 30.000 persone. Una nuvola incandescente si abbatté sulla piccola città di St. Pierre, distante circa sei chilometri.

La nube ardente e un flusso piroclastico scesero rapidamente dal vulcano, investendo la città con temperature estreme e una pioggia di gas bollenti e cenere. La catastrofe causò la morte di quasi tutta la popolazione e distrusse le infrastrutture della città, che era la capitale economica e culturale dell'isola.

 

Il vulcano La Peleè e i marinai pozzallesi

Foto e testo del grande storico e saggista Antonio Monaco che è riuscito con questa immagine a “RAPPRESENTARE” la realtà di quell’evento straordinario:

- La presenza di Velieri alla fonda (tra cui molti di nazionalità italiana)

- Lo sfondo minaccioso del vulcano Pelèe che seminerà morte e distruzione

- St. Pierre che, inginocchiato a pregare, soccomberà totalmente in pochi minuti facendoci pensare ad una nave che improvvisamente affonda verso gli abissi copita da una forza soprannaturale invincibile che forse si chiama DESTINO.

Ringraziamo l’Autore per la foto complimentandoci anche per il prezioso articolo che segue e ci aiuta a capire e a divulgare (senza scopo di lucro, come da nostro Statuto) la dinamica di quell’immane disastro.

https://www.monaca.rg.it/2022/05/11/il-vulcano-la-pelee-e-i-marinai-pozzallesi/

Libri di Antonio Monaco

https://www.ancorastore.it/libri-autore/antonio-monaco.html

La montagna Pelée vista dal golfo di Turin – a Carbet nell’isola di Martinique. La foto dà l’idea della vicinanza del vulcano e del pendio lungo il quale si è materializzata la spaventosa eruzione.

 

Eventi principali dell'eruzione

 Una nuvola incandescente si abbatté sulla piccola città di St. Pierre, distante circa sei chilometri dal vulcano.

 Segnali premonitori: 

Nei giorni precedenti, il vulcano aveva mostrato segni di attività, tra cui fumo, un'incandescenza nel cratere e la caduta di cenere. Tuttavia, la maggior parte della popolazione continuava la vita normale, ignorando i pericoli imminenti.

Flusso piroclastico: 

Alle 8:02 dell'8 maggio 1902, un flusso piroclastico, un'onda di gas, cenere e rocce roventi, si propagò a una velocità incredibile dal vulcano, raggiungendo Saint-Pierre in pochi minuti.

Tempesta di fuoco: 

La temperatura raggiunse valori altissimi riducendo la città in cenere e fumo. L'onda di calore fu così intensa che bastava respirare per provocare danni gravissimi.

 Distruzione totale: 

In pochi istanti, la città fu completamente distrutta. Solo alcuni resti di edifici e la cella di un prigioniero, dove si trovava l'unico sopravvissuto, Louis-Auguste Sylbaris, rimasero in piedi.

Sopravvivenza miracolosa: 

Louis-Auguste Sylbaris sopravvisse perché la sua cella nel carcere offrì una protezione sufficiente dal calore e dai gas letali.

Evoluzione del vulcano

L'attività eruttiva non si fermò l'8 maggio e continuò fino al 1905, portando alla formazione di una "spina di lava" nel cratere. 

 

Eredità dell'eruzione

(in pillole)

 

Perdita di vite umane: 

Il disastro causò una perdita di vite umane stimata tra 29.000 e 30.000 persone, rendendola una delle eruzioni più letali della storia.

Rovine e memoriali: 

Oggi Saint-Pierre è un piccolo villaggio. Le rovine della città vecchia, la prigione e la chiesa sono visitabili, così come il Museo Vulcanologico che espone reperti dell'eruzione.

Studio vulcanologico: 

La catastrofe contribuì a sviluppare la vulcanologia come scienza, fornendo preziose lezioni sulla gestione del rischio vulcanico.

Cultura e storia: 

L'evento ha lasciato una profonda impronta nella cultura e nella storia della Martinica, con storie di coraggio, sofferenza e sopravvivenza che vengono ricordate ancora oggi.  

 

Martinica 1902

Quando il Comandante napoletano Marino Leboffe salvò la sua nave ascoltando il segreto linguaggio della natura.

 

di Carlo Gatti

 

Nel maggio del 1902, la città di Saint-Pierre, la piccola Parigi dei Caraibi, fu cancellata in un istante dall’eruzione del vulcano Pelée. Tra le venti navi ancorate in baia, solo una si salvò: l’"Orsolina”, brigantino napoletano comandato da Marino Leboffe. Una storia di intuito, coraggio e rispetto per la forza della natura.

Nella quieta baia di Saint-Pierre, il mare luccicava ignaro del dramma imminente. Era il mattino dell’8 maggio 1902, giorno dell’Ascensione, e il vulcano Pelée, a poche miglia dalla costa, borbottava cupo come un gigante che si desta.

Da giorni la montagna mostrava segni d’inquietudine: colonne di fumo, tremori della terra, un odore acre che sapeva di zolfo. Gli animali, più sensibili degli uomini, erano scesi dal monte in massa: serpenti, uccelli e altre creature cercavano rifugio verso la città, fuggendo i gas che bruciavano l’aria.

I locali conoscevano quel segnale — era l’avviso più chiaro del pericolo — ma le autorità, più attente ai traffici del porto e alle elezioni imminenti che ai sussurri della natura, tranquillizzarono tutti. Nessuna nave poteva lasciare la baia - così fu ordinato.

Tra i bastimenti ancorati c’era anche l’Orsolina, brigantino napoletano dei fratelli Pollio di Meta di Sorrento, comandato da Marino Leboffe, uomo di mare e di Vesuvio...

Osservando il Pelée, Leboffe sentì il pericolo con la certezza che solo i veri marinai possiedono. La cenere cadeva fitta sul ponte di coperta delle navi, gli scaricatori si fermavano di continuo, e il cielo sembrava un soffitto di ferro.

Sceso a terra, il Comandante cercò di convincere le Autorità a far evacuare la città e a concedergli il permesso di salpare, ma si sentì rispondere con la freddezza dei regolamenti: Non potete partire senza completare il carico. Se lo farete, vi arresteremo.

Leboffe, con la calma di chi ha già visto il fuoco del Vesuvio, rispose:

Voi domani sarete tutti morti! Io preferisco rischiare l’arresto che la cenere del vulcano. Salperò l’ancora e scapperò il più lontano possibile dall’inferno che tra poco si scatenerà!

E mantenne la parola. Imbarcò chi poté — pochi uomini e una sola passeggera — e ordinò di mollare gli ormeggi. I doganieri che erano saliti a bordo per impedirgli la partenza scesero in fretta, mentre il vento gonfiava le vele dell’Orsolina che, con metà carico lasciava Saint-Pierre al suo destino.

Ventiquattro ore dopo, la montagna esplose in un boato che cancellò la città e le sue ventimila anime. La nube ardente, calata in pochi secondi sul porto, carbonizzò ogni cosa: uomini, case, alberi e navi.

Delle imbarcazioni in rada non restò quasi nulla; sopravvissero solo pochissimi marinai.

L’Orsolina, grazie al coraggio e all’intuito del suo Comandante, era già lontana, salva nel mare aperto.

 

RELITTI DAVANTI A SAINT PIERRE

 

L'Unesco stima che nel mondo siano 

oltre tre milioni i relitti in fondo al mare

 

La piccola Martinica è presente in questa statistica specialmente quelli vicino a Saint-Pierre, dove l'eruzione del vulcano Monte Pelée nel 1902 ha causato l'affondamento di circa 15 navi.

Questi relitti, insieme ad altri aggiunti nel 1962, formano un cimitero sottomarino che è una meta popolare per le immersioni di SUB provenienti da tutto il mondo.

 

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LE ULTIME ORE DI SAINT PIERRE: storia, relitti  ed altro...

https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/relittiesegretiincercadimondisommersi2/ep-2-le-utlime-ore-di-saint-pierre_F311907301000204

 

Conclusione

C’è una lezione che il mare insegna e che la terra troppo spesso dimentica: non si può vivere sempre pensando al “tempo buono”.

A Martinica le autorità, come tanti uomini di terra, ignorarono i segnali più chiari — il fumo, gli animali in fuga, le voci dei marinai — e pagarono il prezzo della loro presunzione. Accade ancora oggi, quando si progettano dighe, porti e spiagge senza chiedere consiglio a chi il mare lo conosce davvero.

Il marinaio vero, prima di salpare, guarda il cielo e prepara la nave per il peggio; chi resta a terra invece immagina e spera sempre nel sole e nella eterna  bonaccia di vento e di mare.

C’è un vecchio proverbio che dice: “Il marinaio vero si vede nella tempesta.”  È così! La competenza non nasce dal titolo, ma dall’esperienza, dalla prudenza e dal rispetto per la forza del mare.

E allora, il mio pensiero va a tutte le Autorità dei Paesi di mare — a coloro che respirano l’aria salmastra e vestono alla marinara — ricordando loro che il mare non dà confidenza a nessuno.

Chi lo decanta come un poeta, ma non lo teme come  uomo, resta sempre un estraneo sulla sua riva.

Testo di Carlo Gatti per Mare Nostrum Rapallo – ottobre 2025

 

Per i lettori più curiosi ed esigenti .... riportiamo:

Paesi e Territori nelle Piccole Antille

Le Piccole Antille includono una serie di nazioni insulari e territori, ciascuno con il proprio governo, cultura e storia. Alcuni sono stati indipendenti, mentre altri sono legati ad amministrazioni europee o americane.

Paesi Indipendenti

  • Antigua e Barbuda - Nazione di due isole nota per le sue spiagge e la storia coloniale.

  • Barbados - Isola corallina con eredità britannica e un forte settore turistico.

  • Dominica - Isola coperta di foreste pluviali, nota come l'"Isola della Natura".

  • Grenada - L’"Isola delle Spezie", famosa per la noce moscata e le colline ondulate.

  • Santa Lucia - Isola vulcanica con radici culturali francesi e britanniche.

  • Trinidad e Tobago - Il paese insulare più meridionale con culture e industrie diverse.

Territori Non Sovrani

  • Aruba - Isola caraibica olandese nota per il clima secco e le spiagge bianche.

  • Anguilla - Territorio britannico con un’atmosfera rilassata e spiagge.

  • Bonaire - Isola olandese nota per la conservazione marina e il diving.

  • Curaçao - Isola olandese con architettura colorata e diversità culturale.

  • Guadalupa - Territorio francese con foreste pluviali, vulcani e spiagge.

  • Martinica - Isola caraibica francese nota per rum, cucina e sentieri.

  • Montserrat - Territorio britannico con un vulcano attivo e una popolazione ridotta.

  • Saba - Isola olandese nota per i sentieri escursionistici e le barriere coralline.

  • Saint Martin - Lato francese di un’isola condivisa con il Sint Maarten olandese.

  • Sint Eustatius - Isola olandese tranquilla con storia coloniale.

  • Sint Maarten - Territorio olandese che condivide un’isola con il Saint Martin francese.

  • Isole Vergini Spagnole - Parte di Porto Rico, note per spiagge tranquille e vita marina.

  • Nueva Esparta (Venezuela) - Stato venezuelano con spiagge e resort popolari.

  • Dipendenze Federali del Venezuela - Isole venezuelane sparse con piccoli insediamenti.

 

Geografia e Caratteristiche Naturali

Le isole delle Piccole Antille sono principalmente di origine vulcanica. Molte sono montuose, con vulcani attivi o dormienti, e coperte da foreste lussureggianti. La catena di isole gioca un ruolo chiave nella tettonica dei Caraibi e forma il confine orientale della placca caraibica. La regione è più attiva vulcanicamente rispetto alle Grandi Antille e subisce regolarmente uragani e tempeste tropicali.

Significato Culturale e Storico

Le Piccole Antille hanno una complessa storia coloniale che coinvolge Francia, Regno Unito, Paesi Bassi e Spagna. Di conseguenza, la regione presenta una miscela di lingue, religioni, sistemi legali e tradizioni culturali. Molte isole ospitano celebrazioni di Carnevale, e generi musicali come soca, calypso e zouk sono originari di qui.

La regione è anche sede di numerosi linguaggi creoli e di una fusione di eredità africana, europea e indigena. Nonostante siano composte da isole più piccole, le Piccole Antille giocano un ruolo significativo nell’identità caraibica e nella cooperazione regionale.

Importanza delle Piccole Antille

Le Piccole Antille comprendono molte delle destinazioni turistiche più rinomate dei Caraibi e supportano una forte governance regionale attraverso l’Organizzazione degli Stati dei Caraibi Orientali (OECS). Queste isole sono piccole per dimensioni, ma ricche di biodiversità, cultura e posizione strategica.

 

FINE

 

Carlo GATTI

 Rapallo, 31 ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Incrociatore Italiano Raimondo MONTECUCCOLI

INCROCIATORE ITALIANO

RAIMONDO MONTECUCCOLI 

 

L'incrociatore leggero italiano Raimondo Montecuccoli fu una delle navi sopravvissute alla Seconda guerra mondiale, anche se non l'unica unità ad avercela fatta. Dopo la guerra, fu trasformato in nave scuola per la Marina Militare e operò fino al suo disarmo nel 1964, dopodiché fu demolito nel 1972. 

 

CARATTERISTICHE DELL’UNITA’

 

CANTIERE: Ansaldo – Genova

Classe Incr. RAIMONDO MONTECUCCOLI

Gemello: Muzio ATTENDOLO

Impostazione: 1931
Varo: 1934
Completamento: 1935
Radiazione: 1964

Dislocamento:

Normale: 8.875 Tonn.
Pieno carico: 8.895 Tonn.

Dimensioni:

Lunghezza: 182,2 (f.t.) - 166,7 ( pp.) mt.
Larghezza: 16,6 mt.
Immersione: 6 mt.

Apparato motore: 6 caldaie - 3 turbine - 3 eliche
Potenza: 106.000 HP

Velocità: 37 nodi

Combustibile: 1.300 Tonn. di nafta

Autonomia: 4.122 miglia a 18 nodi

Protezione:

Orizzontale: 30 mm.
Verticale: 60 mm.
Artiglierie: 70 mm.
Torrione: 100 mm.

Il cannone da 152 mm conservato all'ingresso del parco Città della Domenica di Perugia

Armamento:

 8 pezzi da 152/53 mm.
6 pezzi da 100/47 mm
8 mitragliere da 37/54 mm.
8 mitragliere da 13,2 mm.
4 tubi lanciasiluri da 533 mm.
2 aeroplani

Equipaggio: 507

Incrociatore

 Raimondo Montecuccoli

L’Incrociatore Raimondo Montecuccoli fu varato nel Cantiere Ansaldo di Genova-Sestri il 2 agosto ’34 e il 30 giugno del '35 venne consegnato alla Regia Marina. Faceva parte con l’Eugenio di Savoia, il Duca D’Aosta e il Muzio Attendolo (nave gemella del Montecuccoli) della VII Divisione, inquadrata nella 2^ Squadra Navale (Ammiraglio di Divisione Salza).

Nel ’36 con lo scoppio della guerra civile spagnola, fu impiegato come scorta e per evacuazione di connazionali e profughi.

Il 27 agosto 1937 il Montecuccoli ricevette l’ordine di salpare per l’Estremo oriente per rafforzare la stazione navale italiana in Cina e proteggerla dagli attacchi Giapponesi.

Salpò da Napoli il 30 agosto al comando del Comandante di Vascello Da Zara e giunse a Shanghai il 15 settembre toccando Porto Said, Aden, Colombo e Singapore.

Dopo diverse missioni in Australia e Giappone, il Raimondo Montecuccoli ripartì il 29 agosto del '39 per l’Europa e giunse a Napoli il 7 dicembre.

 

Seconda guerra mondiale

IL MONTECUCCOLI  PARTECIPO’ ALLE BATTAGLIE:

Attacco a Corfù

Luglio 1940 - La Battaglia di Punta Stilo

Nel dicembre 1940, la 7ª Divisione di stanza a Bari Eugenio di Savoia, Duca D’Aosta, Montecuccoli e Attendolo insieme ad alcuni cacciatorpedinieri bombardarono postazioni greche sull'isola di Corfù.

17 dicembre 1941 - la Prima battaglia della Sirte la 2

*16 giugno 1942 - battaglia di Mezzo Giugno e quella  10-15 agosto 1942 - battaglia di Mezzo Agosto

*Il convoglio Harpoon-1942 subì pesanti perdite durante la battaglia di "Mezzo Giugno" (12-16 giugno) a causa di attacchi aerei, navali e sottomarini dell'Asse. Dei sei mercantili partiti da Gibilterra, solo due arrivarono a Malta. Le forze dell'Asse ottennero una vittoria significativa, con la marina italiana che ingaggiò uno scontro di superficie durissimo contro la scorta britannica.

 

L'incrociatore leggero italiano Raimondo Montecuccoli che spara durante la battaglia del convoglio Harpoon nel 1942. Durante lo scontro colpì 11 volte le navi da scorta britanniche, incluso il colpo più lungo effettuato da un incrociatore leggero nella Seconda Guerra Mondiale.

Questa è una trascrizione dello storico italiano Enrico Cernuschi (Amico di Mare Nostrum Rapallo) che include foto rarissime della battaglia, una battaglia molto importante perché tecnicamente è stata la più grande battaglia di superficie della campagna del Mediterraneo che non si è conclusa con una breve scaramuccia in parità (come quella di Calabria), 14 navi alleate hanno difeso il convoglio e sono state sconfitte da una forza italiana di 7 navi; nella forza italiana c'erano i due strani cacciatorpediniere classe Navigatori "modernizzati", che in realtà hanno perso velocità con la modernizzazione, solo 28 nodi, rendendoli una forza particolare per un attacco.

- dicembre 1942Operazione M.42 che andò poi    a   culminare nella:

-  Prima battaglia della Sirte

- Armistizio del settembre 1943 raggiunse Malta (Cobelligeranza) partecipò a diverse missioni di trasporto veloce ed al rimpatrio dei prigionieri.

- 1949 attività addestrativa come Nave Scuola per gli allievi dell'Accademia Navale di Livorno effettuando numerose crociere in tutto il mondo che lo resero famoso.

ARMISTIZIO

All’armistizio dell'8 settembre la nave si trovava a La Spezia,  da dove, insieme alle altre due unità che in quel momento costituivano la VII Divisione, l’Eugenio di Savoia e l’Attilio Regolo, alle corazzate Roma, Vittorio Veneto e Italia della IX  Divisione, i cacciatorpedinieri Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite della XII Squadriglia, i cacciatorpediniere Legionario, Oriani, Artigliere, e Grecale  della XIV Squadriglia ed una squadriglia di torpediniere  formata da Pegaso, Orsa, Orione, Ardimentoso, e Impetuoso,  salpò per congiungersi con il gruppo navale proveniente da Genova, formato dalle unità della VIII Divisione, costituita da Garibaldi, Duca degli Abruzzi, Duca D’Aosta e dalla torpediniera Libra per poi consegnarsi agli Alleati a Malta assieme alle altre unità navali italiane provenienti da Taranto.

Il gruppo, dopo essersi riunito con le unità provenienti da Genova, per ottenere una omogeneità nelle caratteristiche degli incrociatori, il Duca d'Aosta passò dalla VIII alla VII Divisione, sostituendo l’Attilio Regolo   che entrò a far parte della VIII Divisione.

Durante il trasferimento la Roma, nave ammiraglia dell’Ammiraglio affondò tragicamente nel pomeriggio del 9 settembre al largo dell’Asinara  centrata da una bomba Friz-X  sganciata da un Dornier 217  della tedesca Luffwaffe  partito dalla base di Istres vicino a Marsiglia.

Dall'inizio del conflitto all'armistizio, il Montecuccoli effettuò 32 missioni di guerra percorrendo 31.590 miglia.

Durante la cobelligeranza ed al termine del conflitto, partecipò a numerose missioni di trasporto veloce e di rimpatrio di prigionieri.

Il Montecuccoli fu uno dei quattro incrociatori lasciati alla Marina Italiana in seguito al Trattato di Pace post bellico.

 

Missioni post belliche:

- 1946 rimpatrio prigionieri italiani da Porto Said, Philippeville, Algeri ed Orano;

- Dal 1947 al 1949 Attività di squadra;

- Estate 1949 designata nave-scuola per gli allievi dell’Accademia navale, (campagne di istruzione estiva nel Mediterraneo)

- Estate 1951 campagna di istruzione estiva a Santa Cruz de Tenerife.

- Estate 1952 campagna di istruzione estiva a Londra;
- Fino al giugno 1954 a La Spezia per riallestimento
- 1955 Copenaghen;- Dal 1° settembre 1956 al 1° marzo 1957

Olimpiadi di Melbourne - campagna di istruzione con circumnavigazione del globo;

- 1958 Montreal, Boston e Filadelfia;

- 1961 Helsinki;

- 1963 periplo del continente africano;

- 31 maggio 1964 a Taranto venne ammainata per l’ultima volta la bandiera e con il 1° giugno il Montecuccoli fu cancellato dal Quadro del Naviglio Militare dello Stato.

- 1972 Rimorchiato a La Spezia, passò alla demolizione.

 

Il giorno di Santa Barbara

Mentre si trovava a Napoli  il 4 dicembre 1942, , giorno di Santa Barbara, vi fu un bombardamento da parte dei B-24 americani  partiti dall’Egitto che arrivarono indisturbati sulla città in quanto scambiati per una formazione di Ju 52 tedeschi,  sganciando le loro bombe da oltre 6.000 metri  di altitudine, che colpirono il Montecuccoli, l'Eugenio di Savoia, che ebbe 17 morti e 46 feriti e danni alla parte posteriore dello scafo riparabili in 40 giorni ed il gemello Muzio Attendolo che, colpito al centro da una o due bombe venne danneggiato sotto la linea di galleggiamento inclinandosi per finire semiaffondato. Per il Muzio Attendolola stima delle operazioni di recupero e dei lavori di riparazione era da dieci mesi ad un anno, ma lo scafo venne recuperato e demolito al termine del conflitto.

Il Montecuccoli venne colpito da una bomba a centro nave proprio dentro un fumaiolo che venne disintegrato lasciando al suo posto un cratere, ma la protezione della corazzatura riuscì a salvare la nave che, oltre ad avere avuto 44 morti e 36 feriti, ebbe bisogno di ben sette mesi di lavori. Al termine dei lavori vennero installate quattro mitragliere 20/70 mm Oerlikon.

Quadro originariamente collocato nel quadrato ufficiali dell'incrociatore R. Montecuccoli e oggi esposto al museo navale di La Spezia.

Il motto della nave “Con risolutezza con rapidità" ("Festinando non procrastinando"), tratto dagli "Aforismi" dello stesso Montecuccoli si riferiva all'elevata velocità delle unità della classe Condottieri.

Il Montecuccoli possedeva anche il motto non ufficiale “Centum Oculi" (riportato su un quadro nel quadrato ufficiali e oggi conservato al museo navale di La Spezia), anch'esso attribuito al condottiero e che si riferiva le sue indubbie virtù di attenzione e di valutazione all'evolversi della situazione tattica.

Il Montecuccoli oltre al motto "possedeva anche il motto non ufficiale “Centum Oculi" riportato su un quadro nel quadrato ufficiali e oggi conservato al museo navale di La Spezia.

Durante la battaglia di Mezzo Giugno, nel corso dello scontro di Pantelleria (15 giugno 1942), lo scoppio di un colpo a bordo asportò la “O" della parola "oculi" senza causare altri danni: da allora, a ricordo della fortunata circostanza, il motto fu poi tramandato nella forma “Centum Øculi".

 

 Incrociatore "Raimondo Montecuccoli" classe Condottieri.

La Nave è entrata in servizio per la Regia Marina il 30 giugno 1935, dislocamento a pieno carico 8900 t. lunghezza 182,2 mt. larghezza 16,6 mt. velocità 37 nodi, equipaggio 580 uomini.

 Nel periodo post bellico ha operato come Nave Scuola per gli Allievi dell'Accademia Navale di Livorno fino al suo disarmo avvenuto nel 1964.

Il suo motto: Con risolutezza, con rapidità

 

- 1956 Olimpiadi di Melbourne -

La crociera aveva come destinazione finale Melbourne in Australia dove in autunno inoltrato si svolsero le XVI Olimpiadi, alle quali parteciparono atleti italiani; a bordo dell’unità, oltre all’equipaggio, i cadetti dell’Accademia Navale. In tale importantissimo evento mondiale, l’unità fu nave appoggio.

Le foto “comparse” si riferiscono in gran parte ai momenti ufficiali dove il comandante e l’equipaggio furono primi attori, furono i rappresentanti dell’Italia all’estero.

Giro del mondo dell’Incrociatore Raimondo Montecuccoli 1956-1957

 

LA CROCIERA PIU’ LUNGA.....

 

Il 1° settembre 1956 l'incrociatore Raimondo Montecuccoli stava per partire per la più lunga crociera del dopoguerra. 

Doveva spingersi fino all'Indonesia, all'Australia e la Nuova Zelanda per ritornare indietro attraverso gli stessi mari e gli stessi oceani. 

Ma le note vicende che determinarono la temporanea chiusura del canale di Suez bloccarono la via del ritorno, e il mattino del 13 novembre, l'incrociatore ricevette l'ordine di tornare in patria via Panama con conseguente "giro del mondo".

Fu una notizia tutt'altro che spiacevole per chi era a bordo: compiere un viaggio memorabile intorno al globo, percorrendo più di 34.000 miglia. 

La missione affidata agli uomini del Montecuccoli era determinante poiché dal comportamento di tutto l'equipaggio dipendeva il giudizio che paesi di tutto il mondo avrebbero dato al nostro Paese, a un decennio dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Il Montecuccoli riuscì a guadagnarsi grande stima e considerazione presso le varie autorità locali e profonda ammirazione da parte delle navi che l'affiancarono in manovre ed esercitazioni in mari fino ad allora sconosciuti alla nostra bandiera.

Ecco dunque che in occasione del 60ennale degli eventi descritti nel volume, si propone una riedizione di quanto già pubblicato dalla Marina nel 1957, arricchito da prologo, prefazione e postfazione che inquadrano il periplo del mondo al contesto sociale, economico, politico e culturale di quegli anni.

Il volume è dedicato a coloro che hanno vissuto quel tempo e quella navigazione, talvolta molto difficile, ma anche a quanti vorranno calarsi nella realtà dell'epoca.

È posto in vendita al prezzo unitario di € 18,00 (€ 12,00 prezzo ridotto per gli aventi diritto) più spese postali, facendone richiesta all’Ufficio Storico della Marina Militare, Via Taormina, 4 – 00135 ROMA e-mail: ufficiostorico.vendite@marina.difesa.it (modalità di dettaglio per l'acquisto

La nave una volta arrivata a Melbourne per la presenza alle Olimpiadi del 1956, sarebbe dovuta ritornare più o meno per la stessa rotta ma, a causa dei fatti successi in Egitto, (Nasser, presidente della Repubblica,

dopo aver espulso tutti gli stranieri e confiscato i loro beni, nazionalizza il Canale di Suez provocando l’intervento militare franco-inglese) con la conseguente chiusura del Canale, la rotta di ritorno fu riimpostata consentendo così all’unità di circumnavigare il globo.

Imbarcati, oltre all’equipaggio, i cadetti dell’Accademia della 2^ e 3^ classe un totale di 134 allievi di cui 22 di Marine straniere che seguivano gli studi a Livorno.
Furono visitati 34 porti (località) e percorse 33.170 miglia marine.

Le fotografie, qui pubblicate, sono “emerse” nella ricerca di altra documentazione, le stesse mi sono state donate negli anni ‘60 da un componente l’equipaggio dell’unità che ha avuto la fortuna di poter dire “io c’ero”.

Nell’elenco le varie tappe della nave, evidenziate meglio nel percorso sul planisfero; in rosso la rotta d’andata, in verde quella del ritorno.

LIVORNO-PORTO SAID-SUEZ-ADEN-KARACHI-BOMBAY – COLOMBO-SINGAPORE-DJAKARTA-PORT DARWIN-CAIRNS BRISBANE-SIDNEY-AUKLAND-WELLINGTON MELBOURNE-HOBART-ADELAIDE-MELBOURNE - SUVA-PAGO PAGO-PEARL HARBOR-SAN FRANCISO SAN DIEGO-MANZANILLO-ACAPULCO-SALINAS CRUZ LA LIBERTAD-PUNTARENAS-BALBOA CRISTOBAL CARTAGENA-LA GUAYRA-BRIGHTON-PORT OF SPAIN SAO VINCENTE DI CAPO VERDE-GIBILTERRA-LIVORNO

 

Il LINK CHE SEGUE RACCOGLIE MOLTISSIME FOTO DI QUELLA CROCIERA PER CASO....

https://www.marinai.it/comunica/corsi/corsi/monte.pdf

 

 Conclusione

Quando ero un giovane studente del Nautico di Camogli, spesso andavo a Spezia per rubare qualche scatto alle navi della nostra M.M. che si trovavano nell’Arsenale.

A missione compiuta, prima di prendere il treno per tornare a Rapallo, ricordo quella strada in leggera salita: Via Chiodo che porta alla stazione ferroviaria.

Era l’ultima sosta di quella giornata, la più attesa. Era l’ultimo rito che mi dava una gioia indescrivibile. Il libraio/tabacchino sulla destra mi aspettava quel giorno stabilito per consegnarmi le foto-cartolina in bianco e nero delle Unità della Marina che mancavano nella mia collezione.

Molte erano le navi perdute nella guerra, ma quelle che erano sopravvissute le amavo ancora di più per le storie e le “ciccatrici” che ancora raccontavano....

Gli Incrociatori della classe Montecuccoli sono stati apprezzati per la loro linea elegante, affusolata e per l'estetica, considerata tipicamente italiana e che conferiva loro un senso di bellezza e velocità. Le navi da guerra italiane, fin da allora, erano rinomate per il design e l'ingegneria. 

Estetica italiana: 

La progettazione italiana era spesso caratterizzata da linee pulite, eleganti e veloci, che rispecchiavano un'estetica che è stata poi associata anche ad altri incrociatori leggeri italiani dell'epoca.

Bellezza e velocità: 

La linea affusolata, le forme affilate e il design complessivo contribuivano a dare a queste navi un aspetto slanciato e veloce, che le rendeva visivamente attraenti e, come si diceva, potenti.

 Armamento e prestazioni: 

Oltre all'aspetto, le navi erano anche ben armate e progettate per operare in autonomia, tipiche di un incrociatore leggero. 

In sintesi, la classe Montecuccoli è un esempio emblematico della combinazione di bellezza estetica e prestazioni funzionali tipica dell'ingegneria navale italiana. 

 

Il FRIGNANO del Montecuccoli

https://www.ilfrignanodeimontecuccoli.it/incrociatore-raimondo-montecuccoli/

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 24 ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


FILIPPINE, GUERRE E RELITTI....

 

FILIPPINE, GUERRE E RELITTI....

Le Filippine

Un arcipelago di oltre 6.500 isole, hanno una storia di colonizzazione spagnola iniziata nel 1521 e finita nel 1898 (377 anni) quando la Spagna cedette l'arcipelago agli Stati Uniti dopo la Guerra ispano-americana che duròdda aprile ad agosto 1898 e si svolse principalmente nei Caraibi (Cuba, Porto Rico) e nel Pacifico (Filippine, Guam). Il conflitto segnò la fine dell'Impero spagnolo e l'ascesa degli Stati Uniti come potenza mondiale. 

L’influenza ed il controllo degli Stati Uniti durò fino al 4 luglio 1946 (48 anni) quando le Filippine ottennero la piena sovranità.

 Il territorio filippino è di origine vulcanica, ricco di rilievi montuosi e fiumi, che rendono il suolo fertile e ideale per l'agricoltura.

Il clima tropicale caldo-umido delle Filippine è caratterizzato da monsoni e tifoni, in particolare da giugno a novembre.

La flora e la fauna delle Filippine sono ricche e diversificate, con specie autoctone e protette, che includono mangrovie, orchidee, tartarughe marine e una varietà di mammiferi e uccelli.

L'economia filippina è in via di sviluppo, con un'alta percentuale di popolazione impegnata in agricoltura e un crescente settore turistico, nonostante molti filippini emigrino per migliori opportunità economiche.

Nell'arcipelago si parlano diverse lingue, tra cui il filippino (basato sul tagalog) e l'inglese, entrambe lingue ufficiali, e molte altre lingue regionali come il cebuano, l'ilocano, l'ilonggo e il bicolano, oltre a lingue indigene. 

 

 UN PO’ DI STORIA...

 Dopo Pearl Harbor (domenica 7 dicembre 1941) gli Stati Uniti dichiararono guerra al Giappone, entrando così nella Seconda Guerra Mondiale.

Gli Stati Uniti risposero con una serie di attacchi segnando l'inizio della controffensiva americana:

- Incursione aerea su Tokyo 18 aprile 1942

- Battaglia delle Midway 4 e 5 giugno 1942  

 

Campagna delle Filippine (1944-1945)

Fu il complesso delle operazioni militari svoltesi nell'omonimo arcipelago asiatico a partire dall'8 dicembre 1941 e che vide le locali forze statunitensi e filippine, guidate dal generale Douglas MacArthur combattere contro il corpo di spedizione dell’Impero giapponese, comandato dal generale Masaharu Honma.

Le Filippine, durante il 1940-1945, furono teatro di intense battaglie della Seconda Guerra Mondiale, culminate nella: 

Le battaglie includevano l'incursione di Pearl Harbor che segnò l'inizio dell'occupazione giapponese, battaglie terrestri come quelle di Bataan e Corregidor, e battaglie navali cruciali come la battaglia del Golfo di Leyte (1944).

 

 LA CAMPAGNA DELLE FILIPPINE

Primo round a favore dei Giapponesi

I generali Wainwright (a sinistra) e MacArthur

I giapponesi invadono vittoriosi

LE FILIPPINE

Era l’Aprile 1942

Isola di Corregidor, si trova sull’imboccatura di Manilla vicino a Bataan (vedi freccia nera)

A partire dall'8 dicembre 1941, il Giappone continuò la sua espansione nel Pacifico invadendo anche le Filippine che portò alla resa delle forze filippine e statunitensi. Il primo atto si completò nell'aprile 1942 dopo una dura resistenza e la resa finale di Bataan e Corregidor.

 Il generale Mac Arthur fuggì in Australia e promise ai filippini: RITORNEREMO!

Le Filippine rimasero occupate dai giapponesi fino a quando le forze alleate non iniziarono la campagna di riconquista nel 1944.

Quando il generale Mac Arthur tornò nelle Filippine due anni dopo aver lasciato il paese, disse la famosa frase:

“SONO RITORNATO”

("I have returned")

Con questa frase, pronunciata mentre si trovava nella baia di Leyte nel 1944, MacArthur si rivolse ai filippini per annunciare il suo ritorno e la liberazione del paese.

Le frecce BLU indicano le due più feroci battaglie dell’intera Campagna

 Pur disponendo di cospicue forze aeree e dell'appoggio di una squadra navale, dopo un'iniziale resistenza, le truppe filippino-statunitensi del generale MacArthur dovettero soccombere alla superiorità delle forze armate giapponesi impegnate nel loro piano globale di conquista dei possedimenti coloniali occidentali nel Sud-Est Asiatico.

Le forze alleate, dopo essersi ritirate dapprima nella penisola di Bataan e poi nell’isola di Corregidor nella baia di Manila, si arresero infine l'8 maggio 1942 dopo feroci combattimenti nelle giungle. Le Filippine caddero in mano giapponese rimanendovi per oltre due anni.

SECONDO ROUND

a favore degli USA

 Il ritorno degli americani...

La campagna delle Filippine

20 ottobre 1944

il 2 settembre 1945

 chiamata anche battaglia e liberazione delle Filippine

 

Un LST  statunitense durante le operaziomi di sbarco a Palawan; in primo piano, il relitto di un idrovolante Aichi E13A  giapponese.

 La battaglia

La campagna per la riconquista dell'arcipelago iniziò il 20 ottobre 1944 con lo sbarco delle forze americane a LEYTE, e proseguì con alterne vicende fino alla resa del Giappone il 2 settembre 1945.

 

Carta delle Filippine meridionali con indicate le direttrici delle operazioni statunitensi tra il febbraio e il maggio 1945

 PREMESSA

 Le Filippine rappresentavano per il Giappone l'ultimo scudo della rotta vitale che dall'Indonesia portava il tanto prezioso carburante in patria e nelle altre zone dell'Impero: se l'arcipelago filippino cadeva, i rifornimenti via mare sarebbero cessati e l'intera macchina da guerra nipponica si sarebbe fermata.

Perciò l'ammiraglio Toyoda concepì a partire dal giugno 1944 il piano per la difesa delle Filippine (Sho-go, ovvero Operazione della vittoria). La parte essenziale fu sostenuta dalla marina, che mise in campo praticamente tutte le unità che ancora possedeva.

 

 Incursioni preparatorie

Il 21 settembre nutriti gruppi di aerei statunitensi partirono dalle portaerei a 230 chilometri dall'arcipelago per fiaccare le difese giapponesi.

Al 23 settembre ben 405 velivoli nipponici erano stati distrutti o danneggiati sia al suolo sia in combattimento, mentre 103 navi di vario tonnellaggio furono affondate o gravemente danneggiate: tra gli attaccanti si ebbero solo 15 aerei abbattuti.

Circa un mese dopo, il 12 ottobre, fu riunita una task force per attaccare le installazioni e le forze giapponesi sull'isola di Formosa, che avrebbero potuto creare difficoltà all'invasione delle FILIPPINE. 

La grande battaglia condotta dai gruppi imbarcati durò fino al 15 ottobre, quando 500 aerei nipponici erano stati distrutti sulle piste e 40 navi da guerra della marina imperiale erano state affondate; inoltre si ebbero gravi perdite tra i piloti, quasi tutti all'inizio della loro carriera bellica.

Il generale MacArthur, come abbiamo già visto, aveva abbandonato le Filippine pronunciando la frase "ritornerò", che aveva ricordato con volantini durante l'occupazione giapponese; al momento dello sbarco, le sue prime parole pronunciate sulla spiaggia di Leyte furono "Sono ritornato".

Campagna delle Filippine (1944-1945)

Il generale Douglas MacArthur (al centro) sbarca a Palo il 20 ottobre 1944

 

 

QUESTA LUNGA PREMESSA STORICA CI CONSENTE ORA DI ENTRARE CON MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA NELL’ARGOMENTO DI QUESTA RICERCA

 

IL CIMITERO DI NAVI - BAIA DI CORON

LE ISOLE DEI RELITTI

Busuanga - Coron - Culion

 

CORON

ISOLA DI CORON

Tra il 9 e il 17 aprile le forze statunitensi liberarono le isole di Busuanga e CORON,  a nord di Palawan, eliminando un distaccamento giapponese qui insediato.

 

La baia di CORON nelle Filippine è una piccola insenatura nascosta nella giungla dove cercarono riparo molte navi giapponesi che non sfuggirono però alla caccia degli aerei Americani...

Qui ci fermeremo... per svolgere il nostro sguardo verso questo triste cimitero di navi (relitti) giapponesi dove la storia si è improvvisamente fermata per raccontarci quanto siano inutili le guerre, ma quanto siano necessarie quando è in gioco la propria libertà e sovranità.

 Oggi questo “cimitero” è meta di SUB di tutto il mondo. Grazie alle loro riprese e testimonianze fotografiche capiremo meglio la follia di una guerra sanguinosa combattuta tra 6.500 isole povere ma immensamente belle ed innocenti!

 Nel settembre 1944, la marina americana attaccò una flotta di navi da guerra giapponesi ancorata nella baia, affondando 24 navi.

Alcuni dei relitti sono ancora in buone condizioni e offrono la possibilità di esplorare le stive, il ponte e altri componenti delle navi.

Questi siti offrono un'immersione storica e un'opportunità di osservare l'abbondante vita marina che ha colonizzato i relitti

è famosa per i suoi numerosi relitti di navi da guerra giapponesi affondate durante la Seconda Guerra Mondiale, principalmente a causa di un attacco aereo della marina statunitense il 24 settembre 1944. Questi relitti, ormai trasformati in barriere coralline artificiali, attirano appassionati di immersioni e snorkeling, tra cui il Okikawa Maru (una petroliera), l'Akitsushima (una nave di appoggio per idrovolanti) e il Kyokuzan Maru (una nave cargo). 

 

Relitti principali e caratteristiche

Okikawa Maru: La petroliera più grande della flotta giapponese situata vicino all'isola di Busuanga.

Kyokuzan Maru: Una nave da rifornimento lunga 135 metri, considerata tra i migliori relitti, con una visibilità eccezionale.

Akitsushima: Una nave-appoggio per idrovolanti, situata vicino all'isola di Manglet.

Lusong Gunboat: Una cannoniera ideale per lo snorkeling e immersioni meno profonde (tra i 5 e i 15 metri), spesso abbinata a immersioni sul vicino giardino di coralli.

Nanshin Maru: Una piccola petroliera, conosciuta anche come "Black Island Wreck".

East Tangat: Un cacciatore di sottomarini e rimorchiatore giapponese. 

 

RELITTI SALVATORE DE GREGORIO

Filip­pine, 11 relitti in una sola volta

Pala­wan Pro­vince, la più estesa delle pro­vince filip­pine anche in ter­mini geo­gra­fici, è uno dei mag­giori arci­pe­la­ghi, lungo e stretto com­po­sto della lunga Pala­wan e da altre 1780 isole. Que­sta catena di isole si stende come una bar­riera a difesa del resto dell’arcipelago filip­pino di fonte alla peni­sola viet­na­mita nel mare delle Sulu.

Nella parte set­ten­trio­nale delle Pala­wan, le Cala­mi­nes con le quat­tro isole mag­giori di Busuanga, Culio, Coron, San­gat. 

Nel tratto di mare tra Coron e San­gat nel set­tem­bre del ’45 i giap­po­nesi ricol­lo­ca­rono parte della loro flotta dopo che una parte di que­sta era stata deca­pi­tata nell’attacco ame­ri­cano a Manila Bay.La mat­tina del 24 alle cin­que e trenta 96 Hel­cat ame­ri­cani attac­ca­rono le navi giap­po­nesi che non si atten­de­vano di certo essere col­pite in quel modo così rapido. Tre ore più tardi 11 grandi navi da tra­sporto armate erano finite sul fondo della baia. Solo una petro­liera sfuggì riu­scendo a ripa­rare a Honk Kong.

Quelle 11 grandi navi sono diven­tate un’attra­zione sot­to­ma­rina, un con­cen­trato di relitti non sem­pre dispo­ni­bili in un numero così ele­vato e vicini tra loro. E rac­con­tano un par­ti­co­lare di quella guerra nel Paci­fico com­bat­tuta senza esclu­sione di colpi.

I relitti sono dispo­sti attorno e in pros­si­mità di San­gat, isola pic­co­lis­sima e ver­dis­sima. Che rag­giunge i 445 metri di altezza, con coste a dirupo sul mare e densa giun­gla. Tutto il mare attorno all’isola è Marine Park pro­tetto e con­trol­lato e si afferma che oltre il 75% dell’ambiente som­merso sia per­fet­ta­mente inte­gro ad ecce­zione di quella parte deva­stata dai recenti tifoni o dall’assalto delle grandi stelle marine divo­ra­trici di coralli.

Il primo dei relitti è adatto per un prima immer­sione o per chi ini­zia con que­sto tipo di immer­sioni. I resti lun­ghi 35 metri giac­ciono tra tre e 18 metri di pro­fon­dità, dieci minuti di navi­ga­zione da terra, e si tratta di un mezzo anti som­mer­gi­bile fino a poco tempo fa con­si­de­rato un sem­plice sup­port vessel.

Olym­pia Maru - 160 metri di lun­ghezza, tra i – 18 ed i – 30, è una pro­fu­sione di colori e di incro­sta­zioni marine abi­tate da innu­me­re­voli pic­cole spe­cie. Si tratta del relitto di una nave da carico iden­ti­fi­cata solo di recente. Immer­sione ideale per i fotografi.

L’Okikawa Maru - È spesso chiamato per errore Tae o Taiei maru. È una petroliera di 160 m che giace a 26 m. Facile, si può attraversarla da una parte all’ altra, ammirare le sue scuole di pesci pipistrello, la sua tartaruga e passare delle ore sul ponte (15 m) alla ricerca di una miriade di nudibranchi. Si pos­sono visi­tare anche gli interni del relitto gra­zie alle note­voli aper­ture esi­stenti. Mas­sima pro­fon­dità 26 metri.

Mora­zan - 120 metri di lun­ghezza ad una pro­fon­dità com­presa tra i 14 e 26 metri. Abi­tato da nume­rose spe­cie marine tra cui anche grossi pesci. Per le par­ti­co­lari con­di­zioni di que­sto relitto è pos­si­bile entrare nei vari com­par­ti­menti e sala macchine.

Kogyo Maru - Con i suoi 160 metri di lun­ghezza, giace a d una pro­fon­dità leg­ger­mente supe­riore – tra 24 e 35 metri – e que­sto per­mette di essere abi­tato a pesce stan­ziale di buona taglia oltre ad una fitta colo­nia di madre­pore. In coperta ancora mitra­glie anti­ae­ree e nei vani sot­to­stanti ancora pre­senza di mate­riale utile per costru­zione come un antico bulldozer.

Lusong Gun­boat - Non ancora iden­ti­fi­cato, prende il nome dal luogo dove si trova, per l’appunto l’isoletta di Luson. Mas­sima pro­fon­dità 12 metri, lun­ghezza 30 metri.

Irako Maru - Il più interessante, a 200 metri di lun­ghezza, con una pro­fon­dità mas­sima di 40 metri abi­tato da cer­nie, coda gialla, pesci scor­pione e visi­tata anche da bran­chi di tonni di pas­sag­gio.
All’interno i com­par­ti­menti hanno ancora molte parti integre.

Aki­tsu­shima - E' una nave da guerra affon­data nei pressi dell’isola di Man­glet. Abi­ta­zione di grandi pesci tra cui bar­ra­cuda, cer­nie. Vi sono i resti di can­noni anti­ae­reo, la strut­tura di un gigan­te­sco aereo e con­te­ni­tori di muni­zioni. 180 metri di lun­ghezza. 38 metri la pro­fon­dità massima.

Ske­le­ton Gun­boat - Acces­si­bile dalla spiag­gia in pros­si­mità di Corn Island. Ottimo per alle­narsi alla visita dei relitti più sostan­ziosi. Mas­sima pro­fon­dità 25 metri.

Il Kyokuzan Maru - Questo relitto di piu di 150 m non si trova nella baia di Coron, ma nel nord di Busuanga . In ottimo stato a 40 m di profondità in un’ acqua chiara e senza troppo particelle. È il relitto per i fotografi! Nei suoi interni ci sono una macchina, un camion e diversi materiali di costruzione. Nella cucina si trovano ancora i piatti. Sul ponte superiore si trova anche un camino abitato da pesci pipistrello che giocano a nascondino tra le strutture del relitto!

Nan­shim Maru - E' un relitto non appar­te­nete alla Seconda Guerra Mon­diale, affon­dato suc­ces­si­va­mente. 45 metri di lun­ghezza, 32 metri mas­sima pro­fon­dità, appog­giato sul fon­dale. Un’ottimo ini­zio per chi vuole dedi­carsi alla sco­perta ed allo stu­dio dei relitti. 

Mappa appros­si­ma­tiva dei relitti nella Baia di Coron. la pic­cola isola in colore rosa è Sagat e fa parte delle Cala­mi­nes, area estrema delle Palawan.

 

Informazioni pratiche per i subacquei

Visibilità: La migliore visibilità (15-20 metri) si ha da gennaio a maggio.

Temperatura dell'acqua: La temperatura dell'acqua è piacevole tutto l'anno (circa 29°C).

Adatto a tutti i livelli: Ci sono relitti adatti a tutti i livelli, dai principianti che possono fare snorkeling sulla Lusong Gunboat ai subacquei più esperti che possono esplorare i relitti più grandi.

Escursioni: Molti tour operano da Coron, offrendo combinazioni di immersioni sui relitti e visita ad altre isole. 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

 

 SOTTOMARINO AMERICANO

USS HARDER

 

RELITTO SOTTOMARINO

USS HARDER

 LUZON - FILIPPINE

 

USS Harder (SS-257) 

 

Il "relitto smg HARDER" si riferisce al relitto del sottomarino americano ritrovato dopo circa 80 anni nel Mar Cinese Meridionale, al largo delle Filippine, a circa 914 metri di profondità. L'USS Harder, un sottomarino della classe Gato, è stato una nave di grande successo durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Storia: 

L'USS Harder è famoso per i suoi successi in combattimento durante la Seconda Guerra Mondiale, sotto il comando di Samuel D.Dealev. 

Rinvenimento: 

Il suo relitto è stato localizzato di recente, dopo oltre 80 anni dal suo ultimo servizio, nel Mar Cinese Meridionale. 

Posizione: 

Il sottomarino si trova a circa 914 metri di profondità, al largo dell'isola di Luzon, nelle Filippine. 

Attività in combattimento: 

Il sottomarino affondò 16 navi nemiche per un totale di oltre 54.000 tonnellate. 

Onori: 

Il suo equipaggio ricevette la Presidential Unit Citation per i successi ottenuti, e il comandante Dealey fu insignito postumo della medaglia d'onore e di quattro croci della marina. 

L'USS Harder, storia di un sommergibile di successo

20 lug 2024 — Il relitto di un sommergibile della marina statunitense, l'USS Harder, è stato ritrovato a circa 1.000 metri di profond...

 

BBC NEWS

“Colpiscili più forte” - Sottomarino USS più duro trovato intatto dopo 80 anni sotto il mare.

USS Harder, il famoso sottomarino "Hit 'Em Harder" della Seconda Guerra Mondiale, è stato scoperto mentre giaceva verticale e quasi completamente intatto a più di 3.000 piedi di profondità da Luzon.

Trovato dal Lost 52 Project e confermato dalla U.S. Navy nel 2024, il relitto mostra un grande buco di esplosione proprio dietro la torre di comando, il punto in cui le cariche di profondità giapponesi hanno colpito durante la sua battaglia finale nel 1944. Riposa tranquillamente sulla chiglia, circondata da corallo e vita d'altura, il suo scafo d'acciaio ancora chiaramente modellato dopo otto decenni al buio.

Commissionato nel 1942, la USS Harder divenne uno dei sottomarini classe Gato di maggior successo nel Pacifico, affondando cinque cacciatorpediniere giapponesi in cinque pattuglie al comando del comandante Samuel D. Dealey, che ha ottenuto la Medaglia d'Onore per le sue audaci missioni.

Il 24 agosto 1944 fu persa con tutti i 79 uomini a bordo dopo un feroce contrattacco al largo di Luzon. Ora riposando nel silenzio degli abissi, Harder rimane sia una potente reliquia della guerra navale che un memoriale duraturo per l'intrepido equipaggio che visse e morì per il suo grido di battaglia:

"Colpisci 'Em più forte”

 

 

RINGRAZIAMENTI

- TRIPADVISOR – Fotografie  

- Salvatore DE GREGORIO (sito)

- Get Your Guide (sito)

- Coron: La segreta ma piccola armata giapponese

- Mete subacque (sito)

- PDI – (sito)

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, martedì 21 Ottobre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LA MAGIA DEL TINO - SPEZIA

LA MAGIA DEL TINO 

SPEZIA

 

Il TINO fa da sfondo alla Fregata antisom Luigi RIZZO F 596

Il golfo della Spezia è noto anche come il

GOLFO DEI POETI

A definirlo così, il 30 agosto del 1910, fu il commediografo Sem Benelli  che in una villa sul mare di San Terenzo  lavorava alla sua Cena delle Beffe   e che, in occasione dell'orazione funebre per lo scienziato e scrittore Paolo si espresse con queste parole: "Beato te, o Poeta della scienza, che riposi in pace nel Golfo dei Poeti. Beati voi, abitatori di questo Golfo, che avete trovato un uomo che accoglierà degnamente le ombre dei grandi visitatori."

 

 

Un po’ di storia ...

Scavi eseguiti nel 2021 hanno individuato reperti di un edificio di epoca romana e risalenti al primo insediamento nell’isola.

San Venerio, nato nell’isola della Palmaria e patrono  del Golfo della Spezia, si ritira in eremitaggio sull’isola sino alla sua morte, avvenuta nel 630.  Narra la leggenda che accendesse dei fuochi per indicare la rotta ai naviganti. Per questo motivo è patrono dei fanalisti e il suo esempio continua ancora oggi, come testimonia il faro che si erge sulla sommità della scogliera. In sua memoria sulla sua tomba viene costruito dapprima un piccolo santuario nel VII  da Lucio, vescovo di Luni. 

Più tardi, nell’XI secolo, presso l’antico romitorio edificato dove era stato ritrovato il corpo del santo, dai monaci benedettini viene fondato il monastero di San Venerio e Santa Maria del Tino, destinato a godere di ampia fama e ricevere frequenti donazioni dai nobili dei paesi circostanti. 

Nell’estate del 1242, davanti all’isola del Tino, Genova  si prende la rivincita della battaglia del Giglio sconfiggendo la flotta Pisana  alleata dell’imperatore FedericoII. 

Nel 1435,  pontifice Eugenio IV, ai monaci Benedettini succedono gli Olivetani  che vi rimangono fino al 1466,  quando devono abbandonare il luogo, troppo esposto alle incursioni turche.  I ruderi del monastero sono tuttora visibili sulla costa settentrionale dell’isola.

Probabilmente nei primi anni del XVII secolo la Repubblica di Genova  vi erige una torre-fortezza di avvistamento.

Dalla seconda metà del XIX secolo l’isola è interessata dalle ingenti opere di del Golfo della Spezia  ancora oggi di proprietà militare.

Importanti lavori di restauro dell’antica abbazia sono stati eseguiti intorno alla metà del XX secolo. 

 Archeologia subacquea

Ricerche subacquee condotte nel 2012 e 2014 a 17 miglia a sud dell'isola del Tino hanno scoperto due relitti romani. Le navi naufragate trasportavano carichi di anfore vinarie di tipo greco-italico e costituiscono la testimonianza delle rotte di traffico marittimo tra Roma, la Gallia e la Spagna.

Un primo relitto, denominato Daedalus 12, è a una profondità di circa 400 m ed è gravemente danneggiato dai solchi delle reti a strascico che hanno ridotto le anfore ad un ammasso caotico di frammenti, sparsi su un’area molto vasta.

Un secondo relitto, più profondo a 500 m, denominato Daedalus 21, si è conservato sostanzialmente intatto, con il suo carico di oltre duemila anfore vinarie Dressel 1 (di cui 878 visibili in superficie) e vasi, databili intorno al II sec. a.C. Il relitto è lungo circa 25 metri e reca ancora quattro ceppi d’ancora che hanno permesso di definire la posizione della prua.

Il relitto del cpt VINCENZO GIOBERTI, affondato il 9 agosto 1943, è stato localizzato a 600 m di profondità a ponente dell'isola del Tino.

 

Ambiente

Flora

Mirto

La flora prevalente nell’isola è costituita dalla macchia mediterranea e del bosco di leccio. Altre importanti formazioni vegetali sono la macchia ad euforbia e, sulle scogliere più vicine al mare, quelle caratterizzate dal finocchio di mare. Inoltre molto presenti sono anche: la cineraria marittima, il papavero cornuto, la ginestra, il fico degli ottentotti, la centaurea veneris, la valeriana rossa. (Sono presenti anche alcune piante aromatiche come il timo il mirto il rosmarino e l’ampelodesma mauritanica.

Fauna

Gabbiano Reale l'uccello più diffuso nell'isola del Tino

La fauna del Tino è molto simile a quella della Palmaria, a motivo della vicinanza tra le due isole. Sull'isola si trovano alcune delle maggiori emergenze faunistiche rettili, quali il tarantolino, il più piccolo dei gechi europei, facilmente riconoscibile per l'assenza di tubercoli sul lato dorsale. Oltre che sulle isole del Tino e del Tinetto questo geconide è presente in pochissimi altri siti liguri. 

Tra gli uccelli ricordiamo il gheppio, il falco pellegrino, lo sparviero, la pernice, i gabbiani il corvo imperiale, il passero solitario, il cormorano o marangone dal ciuffo. Nell'isola l'elevata presenza di uccelli è dovuta alla quasi totale assenza dell'uomo. Questo ha fatto sì che gli uccelli (in particolare i gabbiani) nidificassero indisturbati anche nei posti più impensabili dell'isola.

Edifici nell'isola

L'isola non è mai stata veramente abitata e le strutture presenti sono quindi poche e quasi tutte a carattere militare. Tra quelle che si sono conservate fino a noi sono: i ruderi del monastero di San Venerio, la batteria G. Ronca, il faro, la vecchia casamatta trasformata in piccolo museo.

 Strutture militari

A causa forse del suo isolamento nell'isola del Tino prima del 1920 non erano presenti installazioni difensive (né durante il dominio genovese né durante quello napoleonico venne presa in considerazione questa possibilità anche se Napoleone Bonaparte lo ritenesse utile). 

La prima struttura difensiva ad essere costruita risale a dopo gli anni '20 ad opera della Regia Marina a nord-ovest dell'isola ed è stata la Batteria G.Ronca, a cui in seguito ci sono aggiunti altri edifici secondari per il funzionamento della batteria cioè: la Casamatta, la Casermetta, i convertitori, i proiettori di tiro e di scoperta, il deposito benzina.

Tutto questo complesso per garantire maggiore sicurezza in caso di possibile attacco via mare (all'epoca dell'edificazione non erano ancora impiegati gli aerei per i bombardamenti) era dislocato in tutta l'isola per garantire maggiore sicurezza ai singoli settori. Inoltre la dislocazione delle quattro torrette di tiro in alture in diverse posizioni garantiva una copertura di tiro molto elevata (la zona interna del porto era coperta solo dal "pezzo" n.4 perché comunque c'era già un numero sufficiente di batterie in tutto il golfo a garantire un'efficiente copertura di tiro.

Strutture religiose

Scavi condotti nel 1962 dalla Soprintendenza ai monumenti della Liguria hanno rivelato gli avanzi delle fondamenta e dell'abside un'antichissima ecclesia databile tra il V  e il VI secolo  e quindi contemporanea agli oratori del vicino Tinetto. 

Presso questi rilevamenti più antichi, ma distinta da essi, è l'antica Abbazia di San Venerio.

In origine in questo luogo era solo una cappella edificata già nel VII secolo sul luogo di sepoltura di San Venerio, santo eremita nativo della Palmaria, isola maggiore dell'arcipelago spezzino.
Per l'insicurezza provocata dalle continue devastazioni dei Saraceni sulle coste liguri, il venerato corpo del santo nell’860 fu traslato in un luogo più sicuro, presso il nascente borgo di Spezia  e i monaci abbandonarono il luogo.

 La vita religiosa poté riprendere quando la potenza di Genova e di Pisa, ai primi dell’XI secolo, sconfitti i saraceni riportò una relativa sicurezza sul Tirreno: i Signori di Vezzano, che della marca Obertenga erano i valvassori sul borgo di Portovenere, fecero rifiorire le istituzioni monastiche con donazioni di terre ai Benedettini. 

Un'abbazia venne edificata dai monaci come trasformazione architettonica della prima cappella.

Il complesso venne poi abbandonato dai successivi monaci Olivetani nel XV secolo, quando questi dovettero trasferirsi in un più sicuro insediamento monastico nella zona del Varignano e quindi andò incontro ad un lento decadimento strutturale. 

Dell'antico edificio medievale rimangono oggi visibili la facciata della chiesa, i suoi muri perimetrali e quelli del chiostro, in stile romanico. 

Nel convento degli Olivetani ha sede il museo archeologico dell'isola del Tino che conserva anfore e monete romane e manufatti dei monaci come boccali in graffita policroma e un catino in maiolica. 

Un altro importante edificio è il Cenotafio di San Venerio.

Strutture civili

 

Il faro dell'isola

Altre strutture sono il porticciolo ed il faro, entrambi direttamente controllati e gestiti dal Comando Militare. 

L'edificio del faro è stato costruito nel 1840 sulla piazza d'armi della seicentesca fortezza di avvistamento genovese  per decisione di re Carlo Alberto.  Il primo combustibile utilizzato per il funzionamento del faro era l’olio vegetale, successivamente sostituito dal carbone. 

Nel 1884 venne costruita una seconda torre, più alta della prima torre, alla cui sommità vennero poste delle lenti ottiche ad incandescenza, alimentate elettricamente da due macchine a vapore. Poiché questo sistema forniva eccessiva potenza al fascio di luce prodotto, nel 1912 l'impianto venne sostituito con uno a vapori di petrolio. Grazie all'arrivo dell’energia elettrica il faro venne elettrificato, mentre la completa automazione avvenne nel 1985. 

Il faro è controllato e gestito dal Comando di Zona Fari della Marina Militare che ha sede alla Spezia  e che soprintende tutti i fari dell'Alto Tirreno.

Di notte da Lerici (che si trova dal lato opposto del golfo della Spezia) o dalle Cinque è possibile vederne i lampi nell'oscurità del mare.

 La ricorrenza di San Venerio

Ogni anno, il 13 settembre, all'isola del Tino si celebra festa di San Venerio.  In questa ricorrenza si svolge una processione in mare che trasporta la statua del santo dalla Spezia all'isola del Tino e viene impartita la benedizione sai fedeli e alle imbarcazioni. 
Poiché il territorio dell'isola è di norma inaccessibile in quanto zona militare, questa giornata e la domenica successiva sono le uniche occasioni per poterlo visitare.

Inoltre viene esposto il reliquiario di San Venerio che ne contiene il teschio (infatti il Santo è sepolto a Reggio Emilia, ma questa parte del suo corpo nel 1959 venne restituita alla Diocesi della Spezia  per disposizione di papa Giuovanni XXIII). 

 

I fari Italiani, gestiti dalla Marina Militare dal 1911, sono sempre stati al passo con ogni innovazione tecnologica sia nel campo della luce, sia nella ricerca e nell’utilizzo di fonti di energia sempre più sicure e performanti, sia, negli ultimi tempi, con l’impiego dell’informatica per garantire sempre un servizio di pubblica utilità, rivolto alla sicurezza della navigazione e strutturato e idoneo al variare delle esigenze e delle tecnologie disponibili.

Il faro del Tino ne è un esempio “lampante” in quanto in esso sono state testate nel tempo moltissime innovazioni tecnologiche. Fu il primo faro, nel 1840, ad essere alimentato da due generatori a corrente alternata a magneti permanenti azionati da due macchine a vapore, ma è stato anche il primo a testare, nel 2016, i nuovi led a lunga portata di ultimissima generazione.

I fari ad ottica fissa, ossia con luce intermittente, e quelli ad ottica rotante, dove la luce è sempre accesa, con la caratteristica data dalla rotazione delle lenti di Fresnell, sono stati alimentati, a partire dal 1800 con vapori di petrolio, con l’acetilene, per poi essere elettrificati o dotati di fonti di energia alternative nel dopoguerra.

Sono stati istallati bruciatori di vario genere a seconda del gas combustibile utilizzato, scambiatori acetilene/elettrici e scambiatori di lampade di vario tipo.

Anche le lampade hanno avuto un’evoluzione nel tempo diventando sempre più piccole ed affidabili.

Le strutture architettoniche dei fari si sono adeguate alle esigenze dei tempi diventando sempre più alte ed articolate, permettendo la vita in pianta stabile dei faristi e delle loro famiglie.

Solo le lenti di Fresnell sono rimaste immutate nel tempo, dall’Ottocento a oggi mantenendo al faro un tocco di antica signorilità e romanticismo.

Nel percorso didattico museale del Tino vedrete questa evoluzione e questa metamorfosi di luci e di tecnologia sia della componente tecnica che infrastrutturale.

Nelle varie sale del bastione Napoleonico potrete ammirare pezzi concessi dal Museo Tecnico Navale di La Spezia, dall’Ufficio Tecnico dei Fari, dal Comando Zona Fari di Spezia e da privati. Pezzi storici, componenti di un lontano e recente passato, che potevano funzionare (“DEVE FUNZIONARE” è il motto dei faristi) solo grazie alla preparazione del personale Farista (personale civile della Difesa), ma anche grazie all’abnegazione e allo spirito di sacrificio di una categoria di persone veramente eccezionali… le loro famiglie.

 

ALBUM FOTOGRAFICO DEL FARO

 

 

Stella Maris (Stella del mare) è un titolo, fra i più antichi, per la Vergine Maria,  madre di Gesù. Il titolo è utilizzato per enfatizzare il ruolo di Maria come segno di speranza e come stella polare per i cristiani; con questo titolo, la Vergine Maria è invocata come guida e protettrice di chi viaggia o cerca il proprio sostentamento sul mare, titolo simile a quello di Odigitria

STELLA MARIS

https://discoverportovenere.com/it/isola-del-tino-san-venerio/

Se prendete il traghetto per la Palmaria da Spezia, mentre state per raggiungere l’isola, potrete anche accorgervi della presenza di una terza “isola”.... forse uno grande scoglio “isolato”, degno quindi d’avere un nome: IL TINETTO emerso in tempi lontani dagli abissi del mare, come nelle favole...

Il Tinetto è ben famoso ai naviganti cosí come agli appassionati di Nautica locale, infatti è presente intorno ad esso una secca capace di provocare danni anche a piccoli natanti.

In tutte le calate dei porti del mondo circolano sempre sia le favole che gli aneddoti a volte anche mescolati con la Fede, come questo che noi abbiamo ascoltato dal vivo:

quello di un piccolo motoscafo esibizionista che, a tutta velocitá e inconsapevole del pericolo, è passato sopra la secca perdendo per completo i due motori. Per questo “gli anziani” del posto hanno rinominato questi scogli sommersi come lo “scoggio do Diao”. Tradotto: lo scoglio del Diavolo.

A protezione dello scoglio e dei turisti della domenica, i nostri avi posizionarono in quella zona una suggestiva Madonnina che si erge sulle acque del mare dedicata a Maria, la “Stella Maris” dei marinai.

Un perimetro di circa due chilometri racchiude i 127.000 mq dell'isola del Tino, lussureggiante per il bosco misto di pini e lecci che nei secoli ha soppiantato le precedenti colture a olivo e vite, risalenti all'epoca degli insediamenti dei monaci benedettini. Un'impervia ed elevata falesia cinge l'isola da occidente rendendola inaccessibile e, al tempo stesso, strategica. Punta estrema della Liguria di levante, faro naturale proteso verso il Mediterraneo, dirimpettaio di Capraia, Gorgona e Corsica.

Dal 1997 l'isola del Tino, insieme alle altre isole Palmaria e Tinetto,  Portovenere e le Cinque Terre  è stata inserita tra i Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO. 

Descrizione

L'isola del Tino (Tyrus mayor nei testi medievali, nome probabilmente di origine fenicia).  La superficie dell'isola, che si erge fino a 117 metri s.l.m., è di 0,13 Km2 e il suo perimetro di quasi 2 km.

 

LA STORIA DI SAN VENERIO 

Scavi eseguiti nel 2021 hanno individuato reperti di un edificio di epoca romana e risalenti al primo insediamento nell'isola.

San Venerio, nato nell'isola della Palmaria e patrono  del Golfo della Spezia, si ritira in eremitaggio sull'isola sino alla sua morte, avvenuta nel 630.  Narra la leggenda che accendesse dei fuochi per indicare la rotta ai naviganti. Per questo motivo è patrono dei fanalisti e il suo esempio continua ancora oggi, come testimonia il faro che si erge sulla sommità della scogliera. In sua memoria sulla sua tomba viene costruito dapprima un piccolo santuario nel VII  da Lucio, vescovo di Luni. 

Più tardi, nell’XI secolo, presso l'antico romitorio edificato dove era stato ritrovato il corpo del santo, dai monaci benedettini viene fondato il monastero di San Venerio e Santa Maria del Tino, destinato a godere di ampia fama e ricevere frequenti donazioni dai nobili dei paesi circostanti. 

Nell’estate del 1242, davanti all’isola del Tino, Genova  si prende la rivincita della battaglia del Giglio sconfiggendo la flotta Pisana  alleata dell'imperatore FedericoII. 

Nel 1435,  pontifice Eugenio IV, ai monaci Benedettini succedono gli Olivetani  che vi rimangono fino al 1466,  quando devono abbandonare il luogo, troppo esposto alle incursioni turche.  I ruderi del monastero sono tuttora visibili sulla costa settentrionale dell'isola.

Probabilmente nei primi anni del XVII secolo la Repubblica di Genova  vi erige una torre-fortezza di avvistamento.

Dalla seconda metà del XIX secolo l'isola è interessata dalle ingenti opere di del Golfo della Spezia  ancora oggi di proprietà militare.

Importanti lavori di restauro dell'antica abbazia sono stati eseguiti intorno alla metà del XX secolo. 

 Chi era San Venerio, patrono del Golfo dei Poeti e dei guardiani dei fari?

 

Il monaco San Venerio nacque sull’isola della Palmaria nel 560 circa e visse in eremitaggio sull’Isola del Tino, dove morì nel 630. 

Nelle notti più buie era solito accendere un falò per aiutare le navi ad orientarsi nel Golfo dei Poeti. 

Oggi è il patrono del Golfo della Spezia e dei guardiani dei fari.

Venerio entra nel Monastero benedettino di Palmaria e diventa monaco. Poi, però, si trasferisce a Tino, un altro isolotto vicino, perché vuole vivere da solo. Egli fugge da un ambiente dove non si rispetta abbastanza la Regola benedettina, basata solo sulla preghiera e sul lavoro. Così, pensando che «è meglio stare da soli che male accompagnati», va a fare l’eremita. In questo isolotto Venerio prega e si rende utile a tutti, soprattutto ai poveri. Per gli umili pescatori, con i suoi consigli da esperto marinaio, l’eremita trova ingegnose soluzioni come quando costruisce una vela per migliorare la navigazione. Quando si fa sera, Venerio raccoglie rami e arbusti e accende un grande falò nel suo isolotto per illuminare la notte e rendere più sicura la rotta dei pescherecci.

[testo di Mariella Lentini su santiebeati.it]

Ogni anno, il 13 settembre, all'isola del Tino si celebra festa di San Venerio.  In questa ricorrenza si svolge una processione in mare che trasporta la statua del santo dalla Spezia all'isola del Tino e viene impartita la benedizione sai fedeli e alle imbarcazioni. 
Poiché il territorio dell'isola è di norma inaccessibile in quanto zona militare, questa giornata e la domenica successiva sono le uniche occasioni per poterlo visitare.

Inoltre viene esposto il reliquiario di San Venerio che ne contiene il teschio (infatti il Santo è sepolto a Reggio Emilia, ma questa parte del suo corpo nel 1959 venne restituita alla Diocesi della Spezia  per disposizione di papa Giovanni XXIII). 

 

Su questo scoglio sarebbe vissuto tra VI e VII secolo San Venerio, eremita e poi riferimento dei marinai, dato che era solito accendere fuochi per segnalare il pericolo notturno dell’isola ai naviganti. Fu lui, secondo la leggenda, ad aver introdotto a La Spezia la pratica dell’armo latino, la vela triangolare con l’antenna, ideale per risalire il vento assai più degli armi precedenti. Santo conteso, controverso, multiplo nelle sue valenze, che scelse il Tino per la sua bellezza naturale, per il romitaggio che garantiva, e su cui, nel tempo, venne eretto il faro attivo tutt’oggi, a centocinquant’anni dall’invenzione di Fresnel, quella che con lenti diagonali alternate consente a una piccola lampadina alogena di essere visibile fino a ventotto miglia. 

Ieri abbiamo assistito da lassù, dalla torre oltre 110 metri sul livello del mare, a un tramonto mozzafiato e all’accensione del faro. Affascinante. Guardare la Corsica, Capraia, Gorgona, le Cinque Terre, il Golfo, Montemarcello, la Versilia in quel tripudio di colori credo sarà indimenticabile.

 

I fari Italiani, gestiti dalla Marina Militare dal 1911, sono sempre stati al passo con ogni innovazione tecnologica sia nel campo della luce, sia nella ricerca e nell’utilizzo di fonti di energia sempre più sicure e performanti, sia, negli ultimi tempi, con l’impiego dell’informatica per garantire sempre un servizio di pubblica utilità, rivolto alla sicurezza della navigazione e strutturato e idoneo al variare delle esigenze e delle tecnologie disponibili.

Il faro del Tino ne è un esempio “lampante” in quanto in esso sono state testate nel tempo moltissime innovazioni tecnologiche. Fu il primo faro, nel 1840, ad essere alimentato da due generatori a corrente alternata a magneti permanenti azionati da due macchine a vapore, ma è stato anche il primo a testare, nel 2016, i nuovi led a lunga portata di ultimissima generazione.

I fari ad ottica fissa, ossia con luce intermittente, e quelli ad ottica rotante, dove la luce è sempre accesa, con la caratteristica data dalla rotazione delle lenti di Fresnell, sono stati alimentati, a partire dal 1800 con vapori di petrolio, con l’acetilene, per poi essere elettrificati o dotati di fonti di energia alternative nel dopoguerra.

Sono stati istallati bruciatori di vario genere a seconda del gas combustibile utilizzato, scambiatori acetilene/elettrici e scambiatori di lampade di vario tipo.

Anche le lampade hanno avuto un’evoluzione nel tempo diventando sempre più piccole ed affidabili.

Le strutture architettoniche dei fari si sono adeguate alle esigenze dei tempi diventando sempre più alte ed articolate, permettendo la vita in pianta stabile dei faristi e delle loro famiglie.

Solo le lenti di Fresnell sono rimaste immutate nel tempo, dall’Ottocento a oggi mantenendo al faro un tocco di antica signorilità e romanticismo.

Nel percorso didattico museale del Tino vedrete questa evoluzione e questa metamorfosi di luci e di tecnologia sia della componente tecnica che infrastrutturale.

Nelle varie sale del bastione Napoleonico potrete ammirare pezzi concessi dal Museo Tecnico Navale di La Spezia, dall’Ufficio Tecnico dei Fari, dal Comando Zona Fari di Spezia e da privati. Pezzi storici, componenti di un lontano e recente passato, che potevano funzionare (“DEVE FUNZIONARE” è il motto dei faristi) solo grazie alla preparazione del personale Farista (personale civile della Difesa), ma anche grazie all’abnegazione e allo spirito di sacrificio di una categoria di persone veramente eccezionali… le loro famiglie.

 

Il pittoresco Faro dell’Isola del Tino [foto di Elisabetta Cesari

 

ASSOCIAZIONE AMICI DEL TINO 

Riportiamo:

Il Tino, piccola isola dell'arcipelago di Portovenere nel golfo della Spezia, è un triangolo roccioso che raggiunge i 97 metri s.l.m. Isola di natura pressoché incontaminata, di storia e leggende, sito archeologico e zona sacra, perla di luce, con il suo faro, luogo di sperimentazione tecnica, il Tino è isola della Marina Militare e, dal 1997, Patrimonio dell'Umanità. Far conoscere e creare reti di cultura attorno a questo immenso patrimonio è l'obiettivo dell'Associazione Amici dell’isola del Tino odv. Tutti possono entrare a far parte di questa storia millenaria e contribuire a scriverne una nuova pagina.

Attracco di Fenici e Greci, l’isola del Tino fu abitata dai Romani, come testimoniano i ritrovamenti di cisterne, monete e navi onerarie al largo delle sue coste. 

Il Tino entra nel mito sul finire del VI secolo d.C., divenendo l'isola del Santo marinaio Venerio, che qui visse da eremita accendendo fuochi notturni per guidare i naviganti. 

In seguito, per quasi un millennio, fu abitata e coltivata dai monaci, divenendo meta di pellegrinaggi europei e preda di pirati ed eserciti. Infine, divenne bastione di difesa, cava di marmo Portoro e luogo militarizzato.

Da ben prima del 1839 risplende la luce del faro di San Venerio. Costruito dalla Regia Marina,  oggi gestito dal Comando MARIFARI La Spezia. 
Gli antichi fuochi notturni del Santo marinaio trovano così un'ideale continuazione per la cura della gente di mare, grazie ai tre lampi e all'eclissi, che il faro, generosa sentinella, ogni notte fa brillare nell'Alto Tirreno, portando la luce fino a 25 miglia marine. Presidiata da guardiani, palestra addestrativa del Comando Subacquei e Incursori Teseo Tesei, il Tino è l'isola più segreta della Liguria che  ora apre i suoi tesori al mondo.

IL FUTURO

Un ambiente naturale e antropico unico, sopra e sotto il mare, sentieri e terrazzamenti, fondali straordinari, fossili, rarità botaniche e faunistiche, archeologia e spiritualità, reperti risalenti dal II sec a. C., caverne, gallerie e installazioni militari, il faro e le sue sale storiche: il Tino è l'isola dei tesori da condividere, salvaguardare e custodire. 

 

l Tino è un’isola ricca di storia e di vegetazione. Arrivando dal mare la si nota per il verde della macchia mediterranea che la ricopre e per la sua forma singolare. I bagliori di luce che emana dopo il tramonto sono un altro suo tratto inconfondibile. 

Al Tino visse a lungo il monaco Venerio, originario della Palmaria, che qui si ritirò in eremitaggio fino alla morte. Primo farista della storia, a sua volta patrono dei faristi, è protettore di tutto il golfo dal 1960. La sua memoria è palpabile sull’isola come in tutta la zona. Esponente del monachesimo insulare fu legato ai monaci di San Colombano che in suo onore edificarono una cappella nei pressi del luogo della sua sepoltura. 

Sono numerosi i resti  archeologici presenti sull’isola e per questa ragione da pochi giorni la Sovrintendenza ha ricominciato a scavare per fare chiarezza sulla sua  storia più antica.

 

Cessate le incursioni saracene, sotto il controllo delle potenze di Genova e Pisa, la ritrovata pace nel golfo riportò i Benedettini prima e gli Olivetani poi a prendersi cura del Tino.

Più recentemente la vocazione militare ha prevalso su quella religiosa. Il faro fu edificato per volere di Re Carlo Alberto nel 1840. Le strutture militari vennero invece costruite a partire dai primi del ‘900.

Visitare l’isola del Tino con l’Associazione “Amici dell’Isola del Tino”

Le persone hanno chiesto anche: Come posso visitare l'isola del Tino?

AI Overview

L'Isola del Tino si può visitare solo due volte l'anno in occasione della Festa di San Venerio, il 13 settembre e la domenica successiva, data in cui l'isola viene aperta al pubblico per una speciale celebrazione legata al santo patrono del golfo. L'accesso è interdetto in altre occasioni perché l'isola è una zona militare di proprietà della Marina Militare.

Da qualche tempo però visitare l’isola del Tino con più frequenza  è diventata la missione di un’Associazione che si occupa di valorizzare, proteggere e tutelare al massimo questo angolo di paradiso ligure.

Si chiama “Amici dell’Isola del Tino”

l’organizzazione di volontariato che dall’autunno 2020 si occupa di promuovere, tutelare e preservare l’insieme dei valori storici, culturali ed ambientali che caratterizzano questo lembo di terra che emerge dai flutti.

 

Per questa sua attuale natura l’isola del Tino è di esclusivo  appannaggio della Marina Militare che presenzia il faro e tutto il suo perimetro ogni giorno dell’anno. L’accesso a cittadini e turisti è consentito solo il 13 settembre quando si celebra San Venerio.

Il faro del Tino

13 settembre 2019

L'Isola del Tino è un sito assegnato alla Marina Militare, proclamato patrimonio dell'UNESCO con la convenzione WHC97/CONF.208/17 in data 27.02.1998 e che fa parte del Parco Naturale Marino di Portovenere. Sull'isola si può visitare l'edificio del faro, con la sua lanterna, esempio di costruzione fortificata neoclassica su basamento medioevale, successivamente ampliato in epoca napoleonica. La struttura del faro, è oggi l’edificio principale dell'isola, risalente al periodo delle Repubbliche Marinare, ospita, oltre al segnalamento marittimo, una Sala Storica del Servizio Fari (che illustra l'evoluzione e una Sala Archeologica tecnologica dei fari) contenete i reperti degli scavi effettuati negli anni 50 e 80. Entrambe le sale sono state aperte di recente. Il faro posto su una torre cilindrica bianca su torrione è ad ottica rotante ed ha le seguenti caratteristiche:

Numero nell'Elenco Fari: 1708

Portata nominale: 25 Mn;

Altezza della torre: 24 m;

Altezza luce sul livello medio del mare: 117 m;

Caratteristica: 3 lampi -periodo 15 sec;

Colore della luce: bianco;

Anno di costruzione: 1840.

Dalle sue finestre poste ai piani intermedi si gode di una vista meravigliosa su l’isola della Palmaria, Punta Mesco, e il golfo di La Spezia, mentre salendo ancora per la scala a chiocciola in marmo si arriva alla stanza cilindrica dell’ottica rotante dove una vista a 360 gradi tra cielo e mare toglie il fiato. Il mare liscio e verde come le prime foglie dei fichi, aprie le porte dell’immaginazione. Da questo punto d’osservazione e facile fantasticare, velieri fantasma, vascelli pirata, mostri marini e magari all’orizzonte scorgere la nave di Papà Lucerna e chiedersi se veramente l’origine di quest’isola e la sua figlia sono da attribuire alla sua abilità e non del succedersi di eventi geologici.

 

UNO STUPENDO YouTube

Per vedere il filmato apri il seguente LINK  

https://discoverportovenere.com/it/isola-del-tino-san-venerio/

 fai scorre la pagina del sito: “Video Visita Isola Del Tino” verso l’alto fino ad incontrare l’immagine sotto, cliccala su “riproduci” in basso a sinistra

 

 

Chiudiamo con l’informazione più importante

L'Isola del Tino può essere visitata solo in due occasioni all'anno, in concomitanza con la Festa di San Venerio, il 13 settembre e la domenica successiva. L'isola è una zona militare e l'accesso è interdetto al pubblico, quindi è fondamentale verificare le date precise di apertura e organizzare la visita con largo anticipo, prenotando i posti disponibili sui traghetti speciali.

TINO - SAN VENERIO

 L’accesso all’Isola del Tino sarà possibile esclusivamente attraverso un servizio di battelli con partenza dalla Spezia e da Porto Venere alle 9 e imbarco dal Tino alle 13.30 e con partenza dalla Spezia e Porto Venere alle  13 e imbarco al ritorno alle 17.30. Le prenotazioni sono effettuabili solo ed esclusivamente dal portale messo a disposizione dal Cai della Spezia. I visitatori saranno accolti dal personale della Marina Militare, dai volontari del Club Alpino Italiano e dall’Associazione Amici dell’isola del Tino Odv che forniranno il necessario coordinamento per agevolarne la permanenza sull’isola. Di conseguenza non saranno consentiti approdi e accessi a imbarcazioni private e visitatori occasionali.

 L’Isola del Tino è di proprietà della Marina Militare ed è solitamente chiusa al pubblico. Ma ogni anno, in occasione della Festa di San Venerio del 13 settembre, è possibile visitare quest’isola che è patrimonio UNESCO insieme a Portovenere, le Cinque Terre e le isole Palmaria e Tinetto.

Festa di San Venerio 2025: come e quando visitare l’isola del Tino

Il 13, 14 e 15 settembre 2025 sarà possibile visitare l’Isola del Tino partendo da Portovenere e da La Spezia. Questo evento offre un’opportunità rara di esplorare questo angolo di natura incontaminata, scoprire i suoi panorami mozzafiato e godersi la bellezza del luogo!

Sono state organizzate corse giornaliere con prenotazione obbligatoria e per un numero limitato di partecipanti. 

Corse speciali per il Tino dalla Spezia

Orari – venerdì 12 settembre
1° turno, sabato mattina: partenze ore 09:00 con rientro obbligatorio alle ore 13:30 dall’Isola del Tino.

2° turno, sabato pomeriggio: partenza ore 13:00 con rientro obbligatorio alle ore 17:30 dall’Isola del Tino.

Orari – sabato 13 settembre
Turno unico, sabato pomeriggio: partenza ore 13:00 con rientro obbligatorio alle ore 17:30 dall’Isola del Tino.

Orari – domenica 14 settembre
1° turno, domenica mattina: partenza ore 09:00 con rientro obbligatorio alle ore 13:30 dall’Isola del Tino.

2° turno, domenica pomeriggio: partenza ore 13:00 con rientro obbligatorio alle ore 17:30 dall’Isola del Tino.

Corse speciali per il Tino da Portovenere

Orari – sabato 13 settembre
Turno unico, sabato pomeriggio: partenza ore 13:30 con rientro obbligatorio alle ore 17:45 dall’Isola del Tino.

Orari – domenica 14 settembre
1° turno, domenica mattina: partenza ore 09:30 con rientro obbligatorio alle ore 13:45 dall’Isola del Tino.

2° turno, domenica pomeriggio: partenza ore 13:30 con rientro obbligatorio alle ore 17:45 dall’Isola del Tino.

Per più informazioni e per acquistare i biglietti, visita www.navigazionegolfodeipoeti.it.

 

Ringraziamenti:

- Andrea Bonati  storico

- Mariella Lentini scrittrice

- Elisabetta Cesari fotografa

- Serena Borghesi giornalista

- ASSOCIAZIONE AMICI DEL TINO

Bibliografia

 

  • Ossian De Negri,Storia di Genova, Firenze, Giunti Martello, 1986

  • Braudel,Mediterraneo. Lo spazio e la storia, gli uomini e la tradizione, Milano, Bompiani, 1986.

  • Caselli,La Spezia e il suo Golfo – Notizie storiche e scientifiche, ristampa anastatica, La Spezia, Luna Editore, 1998

  • Faggioni,Fortificazioni in provincia della Spezia – 2000 anni di architettura militare, Milano, Ritter Ed., 2008

 

 

 Carlo GATTI

Rapallo, martedì 21 ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LA TERRIFICANTE COLLISIONE: EMPRESS OF IRELAND - STORSTAD

LA TERRIFICANTE COLLISIONE TRA LA NAVE PASSEGGERI EMPRESS OF IRELAND E LA NAVE CARBONIERA NORVEGESE STORSTAD

Avvenne il 29 maggio 1914 nelle prime ore del mattino, in un fitto banco di nebbia. La prua della Storstad colpì il fianco destro della Empress, causando il suo rapido affondamento nel fiume San Lorenzo in Quebec-Canada. La collisione provocò 1.012 vittime, su 1.477 persone a bordo, rendendolo uno dei peggiori disastri marittimi in tempo di pace del XX secolo. Resti umani si possono ancora trovare a bordo tutt'oggi.

Relitto della RMS Empress of Ireland, fiume San Lorenzo, Canada

Ecco come si presentava la prora della STORSTAD dopo la collisione

Il Comandante G.H. Kendall, il discusso Capitano che si salvò e fu preso a bordo dalla nave che lo aveva colpito.

Descrizione generale

Tipo

piroscafo

Proprietà

Canadian Pacific Steamship Company

Costruttori

Fairfield Shipbuilding and Engineering Company

Cantiere

GlasgowRegno Unito

Varo

27 gennaio 1906

Entrata in servizio

29 giugno 1906

Destino finale

Affondata il 29 maggio 1914 dopo collisione con la Storstad

Caratteristiche generali

Stazza lorda

14,191 Gross Register Tons (GRT) tsl

Lunghezza

174,1 m

Larghezza

20 m

Velocità

18 nodi (33,34 km/h)

Passeggeri

1.580

 

La RMS EMPRESS OF IRELAND 

Nave passeggeri inglese, affondò il 29 maggio 1914 alle 01.20 di notte nel golfo   del fiume San Lorenzo dopo la collisione con la nave da carico norvegese SS/STORSTAD. Nell'incidente morirono 1.012 persone, fra cui numerosi italiani.

Commissionata dalla CPL (Canadian Pacific Line) per la rotta transatlantica tra Québec (Canada) e Regno Unito fu varata il 26 gennaio 1906.

La nave era lunga 174 m, larga 20,1 m, con una Stazza Lorda di 14.191 tonnellate, essa poteva ospitare 1.580 tra passeggeri e personale di bordo.

Insieme alla sistership Empress of Britain era una nave passeggeri tra le più grandi e veloci sulla rotta settentrionale.

 

 L'affondamento

 L'RMS Empress of Ireland partiva dal porto di Québec City alle 16.30 (ora locale) del 28 maggio 1914 con 1.477 persone a bordo con destinazione Liverpool Inghilterra.

Intorno alle 01.00 del mattino il marinaio di vedetta segnalava la presenza di un'altra nave che procedeva (controbordo) in senso contrario sulla medesima rotta, era la nave da carico norvegese SS Storstad

Il comandante Henry Kendall dell'Empress of Ireland inviava segnali con la sirena alla Storstad per avvertire quest'ultima della propria presenza.

La SS Empress of Ireland affondò solo un paio d’anni dopo il TITANIC, In 14 minuti è passata da nave passeggeri di lusso a relitto.

 

 UN PRECEDENTE

 Dopo la tragica collisione del TITANIC in cui si evidenziarono parecchie carenze in fatto di sicurezza,

Sulla EMPRESS c’erano abbastanza scialuppe di salvataggio per far sopravvivere tutti, purtroppo l’equipaggio non ebbe abbastanza tempo per usarle perché la nave in pochi minuti imbarcò grandi quantitativi di acqua e sbandò sul fianco di dritta.

 

LA DINAMICA DELL’INCIDENTE NON  PUO’ CHE ESSERE QUESTA

 

La STORSTAD colpì e penetrò con la prua rinforzata nello scafo della EMPRESS OF IRELAND (le due navi procedevano con abbrivo sostenuto) squarciando e aprendo nello scivolamento i ponti inferiori, che hanno iniziato a riempirsi d'acqua a vagonate - oltre un quarto di milione di litri di acqua di mare al secondo è stato stimato.

La maggior parte dei passeggeri dormiva al momento della collisione e ha avuto poco tempo per reagire.

Meno di 10 minuti dopo, l'Empress of Ireland si è sbandata violentemente sul lato di dritta - il lato su cui è stata colpita - per un minuto o due, dando il tempo a circa 700 passeggeri di uscire attraverso i ponti e i boccaporti sul lato di sinistra. I passeggeri nelle parti inferiori del lato di dritta sono rimasti per lo più intrappolati.

Pochi minuti dopo la collisione, la Empress già paurosamente inclinata sulla dritta, rese le scialuppe di dritta inutilizzabili. Sono state calate in totale 7 scialuppe - 2 delle quali si sono capovolte.

C'erano anche delle porte progettate per chiudersi e rendere stagni i compartimenti della nave, ma di nuovo, non c'è stato abbastanza tempo per chiuderle. Ogni apertura della nave iniziò a imbarcare acqua, la falla enorme sul lato di dritta, i boccaporti, tutto!

Circa 5 minuti dopo l’impatto, le luci si spensero e l'Empress  s’inabissò nel buio.

I passeggeri del ponte superiore hanno avuto la “fortuna” di trovarsi più vicini alle scialuppe di salvataggio, e molti sono sopravvissuti.

I passeggeri dei ponti inferiori sono annegati quasi subito, ammesso che siano sopravvissuti al catastrofico impatto.

La tragedia marittima in cifre

- partenza: porto di Québec City: 28 maggio 1914;

- numero dei passeggeri del transatlantico: 1.477 persone

- collisione: dopo 9 ore e 42 minuti, alle 01:20 del 29 maggio 1914;

- inabissamento: avvenuto in appena 14 minuti;

- vittime: 1.012 persone muoiono subito annegate, fra cui 134 bambini;

- superstiti: sono 465 i sopravvissuti al naufragio, di cui soltanto 4 bambini su 138;

- tempo d'esposizione alle gelide acque fluviali: tra le 24 e le 48 ore prima di essere ripescati e tratti a riva.

Dei circa 20 naufraghi di nazionalità italiana, 19 erano umbro-marchigiani: 11 vittime di Sassoferrato (An) e 5 di Costacciaro  (Pg):

Sassoferrato: Luciano Bellucci (33); Sante Bellucci; Nazzareno Biondi (24); Francesco Dellamorte (34); Luigi Minardi (20); Lorenzo Piermattei, (19); Adele Vagni (10); Ameriga Vagni; Amerigo Vagni; Angelo Vagni (44); Luigi Vagni.

Costacciaro: Giovanni Bucciarelli (52); Davide Fabbri; Giuseppe Marini (33); Cesare Pompei (28); Aurelio Sagrafena (30).

Sopravvissuti tra Marche ed Umbria (due di Costacciaro, uno di Sassoferrato e due della provincia di Milano): Nazzareno Lupini, Paolo Morelli e Domenico Pierpaoli, nonché Egildo e Carolina Braga.

Solo 465 persone sono sopravvissute, mentre le altre sono annegate o sono morte di ipotermia durante i soccorsi:

Il 97% dei bambini a bordo è morto

L'86% delle donne a bordo è morto

Il 71% degli uomini a bordo è morto

Il 40% dell'equipaggio è morto

 

Nel corso di numerose ricerche mi sono imbattuto in un articolo ricco d’immagini, locandine e disegni. Non perdetevelo!

https://powerandmotoryacht.com/blogs/the-tragic-story-of-the-empress-of-ireland/

Consiglio di vedere anche:

Il canale YouTube Italia-1 ha pubblicato un documentario intitolato "Empress of Ireland: il naufragio dimenticato", che racconta la collisione tra l'RMS Empress of Ireland e il mercantile norvegese Storstad il 29 maggio 1914. 

https://www.youtube.com/watch?v=AlX2-JARmIM

Contenuto del video: Il documentario esplora le cause dell'incidente, mostra immagini subacquee dei relitti e ne ricostruisce la storia, mettendo in evidenza la tragica dimenticanza che segnò questo disastro marittimo.

Collegamento a YouTube: Per guardare il video, è possibile cercarlo direttamente su YouTube, o tramite il link fornito YouTube

Empress of Ireland: il naufragio dimenticato - YouTube

12 lug 2024 — Il tempo ha fatto riemergere il ricordo di quel tragico affondamento tra le correnti e le maree del fiume San Lorenzo.

La tragedia della Empress è stata nuovamente riportata all'attenzione pubblica grazie al lavoro dello storico canadese William D. Kennedy e del suo libro del 1970, "The «Empress of Ireland": A History of the Ship, her Passengers, and her «Destiny».

GRAZIE a questo libro, la riscoperta del naufragio della EMPRESS è avvenuta 56 anni dopo  contribuendo a riportare alla luce il terribile episodio.

 

 

CONCLUSIONE

 La causa di questo insensato ritardo nel riaprire le indagini, viene attribuito allo scoppio della Prima Guerra Mondiale che avvenne soltanto due mesi dopo la collisione e che avrebbe quindi oscurato gli esiti giudiziari del NAUFRAGIO.

Probabilmente la lunga attesa è dovuta anche alla profondità in cui si trova il relitto, il quale è raggiungibile soltanto con gli strumenti tecnologici fruibili nella nostra epoca e che sono in grado di superare le difficoltà dovute al notevole fondale, ma anche  gli  ostacoli che presenta il fiume S.Lorenzo: banchi di nebbia, maree, correnti e basse temperature dell’acqua.

Qualche volta invece, come nel caso della collisione tra ADREA DORIA e STOCKHOLM, le Assicurazioni delle due navi raggiunsero un accordo nel dividersi le responsabilità dell’accaduto decidendo per:

                                               THE SHOW MUST GO ON !

Data del naufragio della Empress of Ireland:

29 maggio 1914

Data dello scoppio della Prima Guerra mondiale:

28 luglio 1914

42 anni dopo, nel 1956, un’altra nave nordica, la STOCKHOLM colpì a morte la nostra Ammiraglia ANDREA DORIA.

Lo sconcerto da brividi che ci assale ....consiste nel constatare la somiglianza dinamica delle "accostate" effettuate dai rispettivi Comandi di bordo nelle due collisioni causate, a nostro modesto parere, dagli stessi “errori di manovra”.

 

 

Carlo GATTI

Venerdì 17 Ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


TURCHIA - IL BOSFORO TRA GEOGRAFIA E STORIA - LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI

 TURCHIA

IL BOSFORO TRA GEOGRAFIA E STORIA

LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI

 

Istanbul è una città europea o asiatica?

In Turchia si trova l'estremità più occidentale del continente asiatico. Ankara è la capitale della Turchia. Istanbul è la città più grande della Turchia e seconda d'Europa.

Il Bosforo (in turco Boğaziçi, İstanbul Boğazı o Boğaz; in greco Βόσπορος, Bósporos) è lo stretto che unisce il Mar Nero al Mare di Marmara e segna, assieme allo stretto dei Dardanelli, il confine meridionale tra il continente europeo e il continente asiatico.

Perché Istambul è divisa in due?

Istanbul è divisa in due dal Bosforo, lo stretto di 30 km che separa l'Europa dall'Asia e che collega il Mar Nero e il Mar di Marmara. Nella parte sud dello stretto, sulla sponda europea, si trova il Corno d'Oro, un braccio di mare lungo circa 7 km, che – dalla parte europea – divide ulteriormente in due la città.

 

LO STRETTO DEL BOSFORO

Lo Stretto del Bosforo, noto anche come stretto di Istanbul, è una meraviglia naturale che collega il Mar Nero con il Mar di Marmara.

Questo stretto non solo divide fisicamente le parti europea e asiatica della Turchia, ma unisce anche culture e tradizioni, estendendosi per circa 30 chilometri di lunghezza, con una larghezza che varia tra 700 metri e 3,5 chilometri. Il Bosforo è un testimone silenzioso ma potente della storia dell’umanità.

Importanza strategica

Lo Stretto del Bosforo è una delle rotte marittime più trafficate del mondo, un punto cruciale per il commercio internazionale e il traffico locale, collegando l’Europa e l’Asia e fungendo da ponte verso i mercati globali. 

Un protagonista della storia

Nei secoli, il Bosforo ha avuto un ruolo centrale nella storia geopolitica, specialmente per i maestosi imperi Bizantino e Ottomano. Sulle sue rive sorge Istanbul, l’antica Costantinopoli, una città che continua a essere il crocevia tra passato e futuro.

Unione tra due mondi

Oggi il Bosforo unisce le persone attraverso i suoi iconici ponti, come il Ponte del Bosforo, e le sue moderne gallerie sotterranee, come il tunnel Marmaray, che collega le parti europea e asiatica della città.

 Un tesoro culturale e turistico

Oltre alla sua importanza economica e strategica, il Bosforo è anche un luogo di straordinaria bellezza naturale e culturale. Le sue rive ospitano monumenti storici spettacolari, come palazzi, fortezze e moschee, ognuno con storie affascinanti da raccontare.

È incredibile pensare che un luogo così ricco di storia e significato continui a essere un ponte tra mondi diversi, unendo passato, presente e futuro.

 

ISTAMBUL

Istanbul, situata in Turchia, è una delle città più importanti del mondo per la sua storia, cultura e posizione geografica. È l'unica città che abbraccia due continenti, Europa e Asia, divisi dallo stretto del Bosforo. Fondata come Bisanzio, poi conosciuta come Costantinopoli, è stata la capitale di tre grandi imperi: romano, bizantino e ottomano.

Istanbul è famosa per la sua imponente architettura, tra cui la Basilica di Santa Sofia, la Moschea Blu e il Palazzo Topkapi, ex residenze dei sultani ottomani. La città è anche nota per la sua vibrante cultura e diversità, che si riflette nella sua cucina, nei bazar e nei monumenti storici.

Oggi Istanbul è il centro economico e culturale della Turchia e unisce l'antico al moderno. Le sue strade sono piene di mercati vivaci come il Grand Bazaar, ma anche di quartieri cosmopoliti e grattacieli moderni. È una destinazione turistica popolare per la sua miscela unica di culture, storia e modernità.

Il centro storico di Istanbul riflette le influenze culturali dei vari imperi che hanno governato la regione.

 

Istanbul è una città affascinante, sospesa tra due mondi. La sua unicità risiede nello stretto del Bosforo, un confine naturale che non solo divide la metropoli in due, ma segna anche la separazione tra Europa e Asia. Istanbul così, vanta una posizione geografica straordinaria: una città a cavallo di due continenti.

Le due aree della città sono collegate da tre ponti sul Bosforo, il passaggio naturale che collega il Mar di Marmara al Mar Nero.

Nella foto, ripresa dalla Stazione Spaziale Internazionale durante un sorvolo sul Mar Nero, sono visibili sul lato europeo le cave di marmo bianco (in alto a sinistra) utilizzato nella costruzione di molti edifici storici in tutta la città. L'area metropolitana è la regione grigia che si estende nella parte inferiore della foto.

Le tonalità rosa chiaro che si vedono nella parte centrale della foto sono dovute ai tetti di molti dei suoi edifici.

L'area urbana contrasta con le tonalità verde scuro delle colline boscose a nord.

 

IL CORNO D’ORO

 

 

Giovanni Andrea Vavassore circa 1535, particolare della mappa di Bisanzio/Costantinopoli.Galea turca e il Serraglio dove habita el Gran Turcho che al tempo era Solimano il Magnifico.

 

POSIZIONE E PROTEZIONE DEL CORNO D’ORO

 Il Corno d'Oro ha impersonato un ruolo essenziale nell'evoluzione di Istanbul come porto naturale e notevolmente sorvegliato, e spesso ha dovuto affrontare attacchi poiché non aveva maree. Quindi, l'Impero Bizantino stabilì il suo quartier generale nella sua lunga insenatura.

Per proteggere la città da letali attacchi navali, un paio di misure di sicurezza messe in atto per prima cosa sono la costruzione del muro lungo la costa. Mettere un'enorme catena di ferro da Costantinopoli al ponte di Galata è stata la seconda misura di sicurezza.

Finora, la catena è stata spezzata o disturbata solo in tre occasioni. La prima volta nel X secolo, la seconda nel 10 e la terza nel 1204.

Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, fu assistito a un massiccio movimento di ebrei, greci, armeni, mercanti italiani e altri non musulmani. Di conseguenza, il Corno d'Oro ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della città.

Durante il commercio, le navi scaricavano le merci al Corno d'Oro per secoli. Poi progressivamente le fabbriche e il settore industriale si risvegliano e purtroppo anche quella produzione industriale ha avuto un ruolo nell'inquinare l'acqua del Corno d'Oro. Oggi il problema dell'inquinamento è stato affrontato con lo sbarco delle navi nel Mar di Marmara.

IL CORNO D’ORO

Le antiche immagini pittoriche che seguono rappresentano il CORNO D’ORO è da sempre il porto principale e naturale della città di Istanbul, un estuario che ha fornito un riparo sicuro e strategico per le navi fin dai tempi dell'antica Bisanzio e fino agli imperi Bizantino e Ottomano. Ancora oggi, il Corno d'Oro è un'insenatura vitale che divide la parte europea di Istanbul e ospita attività portuali, tra cui traghetti e altre imbarcazioni.

 

 Il Ponte di Galata

Sullo sfondo emerge la Torre di Galata

Detta anche Torre dei Genovesi

Santa Sofia è visibile da ogni angolazione nelle foto sotto

 

 

Le Mura di Costantinopoli prima e dopo il 1453

LA TURCHIA OGGI – 85,33 milioni di abitanti

ISTAMBUL:

Il paese ha una estensione di 783.562 km², divisi tra Europa e Asia dallo Stretto del Bosforo, dal Mar di Marmara e dallo Stretto dei Dardanelli. Il territorio della Turchia è quindi vasto oltre due volte e mezza quello dell'Italia.

Nella città, che ospita il 18,34% della popolazione turca, vivono 7,80 milioni di uomini e 7,84 milioni di donne. La metropoli Istanbul, ha lasciato indietro 131 paesi, con la sua popolazione che tocca a 15 milioni 655mila 924 persone nel 2023.

Le città più grandi d'Europala classifica delle più popolose

Istanbul con 15.655.924 abitanti.

Mosca con 13.149.803 abitanti.

Londra con 8.866.180 abitanti.

San Pietroburgo con il 5.597.763 abitanti.

Berlino con 3.755.251 abitanti.

Madrid con 3.332.035 abitanti.

KIEV – 2.952.301 abitanti

Roma con 2.754.719 abitanti.

Baku – Azerbaigian con 2.3336.600 abitanti

Parigi con 2.087.577 abitanti

Per cosa è importante la Turchia?

La Turchia è anche un importante corridoio per gli approvvigionamenti energetici ed è collocata vicino a oltre il 70% delle riserve energetiche primarie del mondo, mentre il principale consumatore di energia, l'Europa, si trova a ovest della Turchia, il che rende il Paese un cardine nel transito energetico.

Perché la posizione di Istanbul è così importante?

 Questa posizione è così importante perché tutti i prodotti che vanno dall'Asia e dal Medio Oriente verso l'Europa devono passare attraverso la città di Istanbul, per non parlare del fatto che si trova sulla famosa via della seta mondiale che parte dalla Cina e finisce in Europa.

InfoMercatiEsteri

Perchè TURCHIA (Punti di forza)

Economia in crescita

La Turchia è la 17° economia al mondo con un PIL che nel 2023 ha superato i 1.000 miliardi di USD. La crescita economica recente mostra una tendenza positiva, con un'espansione del 4.5% del PIL nel 2023. (Fonte: Banca Mondiale)

Popolazione giovane e istruita

Il paese conta su una popolazione di 85 milioni di abitanti con un'età media di circa 33 anni. Secondo i dati pubblicati da ISPAT, circa 900.000 studenti provenienti da più di 200 università turche si laureano ogni anno.

Posizione strategica

Ponte naturale tra Europa ed Asia, il Paese dispone di sbocchi efficienti verso i mercati più importanti di queste aeree, con un accesso agevolato a circa 1,6 miliardi di clienti in Europa, Eurasia, Medio Oriente e Nord Africa. La Turchia è anche un importante corridoio per gli approvvigionamenti energetici ed è collocata vicino a oltre il 70% delle riserve energetiche primarie del mondo, mentre il principale consumatore di energia, l'Europa, si trova a ovest della Turchia, il che rende il Paese un cardine nel transito energetico e un terminale energetico nella regione.

Clima favorevole per gli investimenti

Numerosi benefici fiscali nelle Zone per lo Sviluppo Tecnologico, Zone Industriali e Zone Franche quali riduzioni sull'imposta societaria e sui contributi previdenziali e assegnazione di terreni. Numerosi incentivi per gli investimenti e possibilità di avvalersi dell'arbitrato internazionale per la risoluzione delle controversie.

Unione Doganale con l'Unione Europea dal 1996

Tra Turchia e Unione Europea è in vigore dal 1996 un'Unione Doganale che ha molto contribuito a rendere l'UE il primo partner commerciale del paese. Sono inoltre in vigore accordi di libero scambio (FTA) con 27 Paesi (Ministero dell'economia). Fonte ISPAT

Ultimo aggiornamento: 06/08/2024

L'esercito turco è molto forte e costituisce il secondo contingente NATO per numero di effettivi, dopo quello degli Stati Uniti. Le sue forze armate sono considerate tra le più addestrate e possiedono una forza complessiva di circa un milione di uomini, di cui oltre 500.000 effettivi attivi e centinaia di migliaia di riservisti.

 

Mustafa Kemal Atatürk

L'uomo della svolta

È l’eroe nazionale turco e il padre della Turchia moderna.

Salonicco, 19 maggio 1881 - Istambul, 10 novembre 1938

E’ stato un generale e politico turco, fondatore e primo presidente della Repubblica Turca (1923-1938). Dal 1916 fu chiamato Mustafa Kemal “Pasa”, dal 1934 Kemal "Atatürk".

 Mustafa Kemal Atatürk è considerato l'innovatore della Turchia in quanto fondatore della Repubblica Turca e artefice della sua modernizzazione radicale, che trasformò l'Impero Ottomano in uno stato laico, indipendente e moderno attraverso riforme politiche, sociali, culturali ed economiche. Tra le sue innovazioni più significative vi furono l'introduzione dell'alfabeto latino, la concessione dei diritti civili alle donne, l'adozione del calendario gregoriano e un forte impulso all'industrializzazione per svincolare il paese dalle potenze straniere. 

POLITICA E RELIGIONE

Il carattere secolare dello Stato è forse la caratteristica più conosciuta della Turchia repubblicana fondata da Kemal Atatürk. 

La laicità turca, elemento considerato come marcatamente “occidentale” del paese, viene quasi sempre lodata e difesa, in gran parte a ragione, rispetto alle visioni religiose della società e della politica. Questo non deve però farci dimenticare ciò che invece la differenzia, e talvolta la contrappone, rispetto alle nostre concezioni del rapporto tra Stato e religioni. La laicità è un’idea che giunse in Turchia dall’Europa occidentale nel corso del XIX secolo, tuttavia, una volta importata in una diversa realtà, essa subì un’evoluzione decisamente originale.

Il principio liberale della separazione tra politica e religione così come sviluppatosi in Europa occidentale e nell’America del nord a partire dalla Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688, si configura come l’esistenza di due sfere del tutto autonome di cui bisogna, per quanto possibile, impedire la reciproca interferenza.

L’approccio kemalista è totalmente diverso. Con l’abolizione del Califfato anche la principale autorità normativa in ambito religioso, lo Şeyh-ül İslam, cessò di esistere e venne sostituita da un ufficio statale, il Diyanet İşleri Başkanlığı (letteramente Presidenza degli affari religiosi, nel linguaggio comune viene spesso chiamato semplicemente Diyanet). Non si tratta qui di separare la sfera politica da quella religiosa, ma di porre la seconda sotto il controllo della prima, con il paradosso di un’autorità laica che controlla e regola quanto concerne la fede religiosa. La concezione liberale della laicità è quindi ribaltata.

 

UN PO’ DI STORIA.....

I PALEOLOGI

Il Palazzo Topkapı non era l’abitazione di Costantino XI; questo serraglio fu costruito dopo la caduta dell'Impero Bizantino e la morte di Costantino XI nel 1451, quando l'Impero Ottomano conquistò Costantinopoli nel 1453.

L'imperatore bizantino risiedeva nel Palazzo Imperiale Bizantino, che si trovava vicino all'Ippodromo (immagine sopra a sinistra in alto) e fu distrutto durante la conquista ottomana.

La famiglia dei Paleologi o Paleologhi fu l'ultima dinastia a governare l’Impero Romano d’Oriente.

Fondata dal generale Niceforo Paleologo nell’XI secolo, la famiglia raggiunse i più alti circoli aristocratici attraverso i rapporti matrimoniali con le dinastie dei Dukas, dei Comneni e degli Angeli.

Dopo la Quarta Crociata, i membri della famiglia fuggirono nel vicino Impero di Nicea, dove Michele VIII Paleologo  divenne co-imperatore nel 1259, riconquistò Costantinopoli  e fu incoronato unico Imperatore dell’Impero Romano d’Oriente nel 1261.  

I suoi discendenti governarono l'Impero fino alla Caduta di Costantinopoli per mano dei Turchi Ottomani il 29 maggio 1453 diventando la dinastia regnante più longeva nella storia bizantina. 

Sotto i Paleologi, mentre l'Impero s'avviava verso la rovina, l’arte romana orientale attraversò un periodo di rinnovamento, acquistando nuovo splendore prima d'estinguersi.

Grazie al matrimonio tra l'imperatore Andronico II Paleologo e Violante degli Aleramici, un loro figlio, Teodoro I, ereditò i diritti e i titoli feudali del Marchesato  in Italia. 

Questo ramo dei Paleologi regnò nel Monferrato dal 1305 al 1566, più a lungo di quanto il ramo imperiale regnò a Costantinopoli.

Dopo di loro, la successione e il governo nel Monferrato passò ai Gonzaga,  famiglia con la quale i Paleologi si erano imparentati tramite il matrimonio di Margherita Paleologa,  ultima marchesa della dinastia, con Federico II Gonzaga, già sovrano di Mantova.  

Paleologi non imperiali

Paleologi che furono imperatori di Costantinopoli

 

MAOMETTO II

MEHMET II

Quando morì improvvisamente il 3 maggio del 1481, a 51 anni d’età, era in viaggio per l’Asia, ma nemmeno i suoi visir sapevano esattamente quale fosse la sua meta.

Quel che aveva in mente di fare, lo teneva per sé e agli altri non restava che adeguarsi, senza aprire bocca.

Il sultano Maometto II, detto “il Conquistatore”, nel maggio del 1453 era riuscito nell’impresa di espugnare Costantinopoli, così cambiando la storia del mondo.

Nato ad Edirne, antica capitale ottomana, fin da ragazzo aveva sognato di realizzare l’impresa in cui suo padre Murad aveva fallito.

Per la Casa di Osman, Costantinopoli costituiva da sempre oggetto di desiderio.

Costruita sulla punta di una penisola triangolare, la città era delimitata a nord da un grande porto naturale detto “il Corno d’Oro”, a oriente dal Bosforo e a sud dal Mar di Marmara.

Costituiva di per sé una fortezza naturale unica al mondo, crocevia obbligato delle principali rotte terrestri e marittime fra l’Europa e l’Asia, il Danubio e l’Eufrate.

Inoltre, era circondata da una tripla cinta muraria lunga 7 chilometri eretta nel V secolo, protetta da fossati e intervallata da 192 torrioni, ritenuta inespugnabile.

La popolazione, che nel momento di massimo splendore superava il mezzo milione di persone, si era ridotta di dieci volte, ma per storia, monumenti e posizione geografica Costantinopoli agli Ottomani faceva ancora gola come capitale ideale di quel grande impero che si sentivano predestinati a fondare.

Appena diventato sultano, la prima preoccupazione di Maometto II fu proprio quella di concentrare subito tutte le sue energie sulla preparazione dell’assedio che nel maggio del 1453 l’avrebbe fatta capitolare Costantinopoli.

Il massacro che seguì, vide le strade trasformarsi in torrenti di sangue e la cattedrale di Santa Sofia riempirsi di cadaveri sopra i quali, secondo la leggenda, il Conquistatore sarebbe salito a cavallo per stampare in rosso su una colonna l’impronta della mano.

Da quel giorno tuttavia Maometto II si mise all’opera per ricostruire la “sua” capitale, anzitutto pensando a ripopolarla non solo col trasferimento forzoso di migliaia di turchi musulmani dalle sconfinate lande anatoliche, ma anche liberando migliaia di prigionieri cristiani a condizione che accettassero di risiedere in città, con promessa di libertà di culto e restituzione dei beni.

Il sultano era infatti spietato, se si trattava di affermare la sua sovranità assoluta, ma animato da vivo interesse per tutto ciò che rappresentasse cultura, arte, innovazione e diversità.

Oltre a favorire l’insediamento nei suoi domini di artigiani e commercianti provenienti da tutto il mondo, mostrò curiosità per la religione cristiana, al punto di partecipare di persona a funzioni religiose sia nella cattedrale ortodossa

che in una delle numerose chiese latine rimaste aperte in città, con l’unico divieto di suonare le campane.

Forse soltanto la morte improvvisa, quando già la sua flotta nel 1480 s’era assicurata una testa di ponte nella nostra Penisola espugnando Otranto, gli impedì di realizzare il sogno di conquistare, dopo Costantinopoli, anche Roma, la “Mela Rossa” che secondo la leggenda il Profeta in persona in sogno gli aveva promesso.

 

LA CONCRETIZZAZIONE DELLA MINACCIA OTTOMANA

Nonostante il trattato di pace fosse ancora in vigore, Maometto II fece erigere una nuova fortezza a pochi chilometri da Costantinopoli, collegandola a quella già costruita dal sultano Bayazet I. Attraverso queste fortezze, gli ottomani controllavano completamente il Bosforo, facilitando enormemente l'attacco a Costantinopoli.

Dopo la costruzione della fortezza, gli ottomani iniziarono il saccheggio sistematico delle zone limitrofe, culminato nel massacro del villaggio di Epibation. Costantino reagì ordinando l'arresto di tutti i turchi residenti in città, la chiusura delle porte di Costantinopoli e l'invio di due ambascerie per indurre il sultano a rispettare il trattato.

La risposta di Maometto II fu brutale: rifiuto secco, uccisione degli ambasciatori e duri attacchi alle città bizantine sul Mar Nero per isolare il Peloponneso affidato ai fratelli dell'Imperatore.

(Testo di Anselmo Pagani)

 

LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI

 

 

La freccia rossa (in alto a sinistra) indica il fiume Lycus e la direzione da cui partirono gli attacchi via terra dei turchi contro le mura colorate di verde. La distanza dalle Mura più esterne al Great Palace era di circa 4.500 metri.

 

Eroi Genovesi alla Caduta di Costantinopoli

 

Giovanni Giustiniani Longo

in una scena tratta dalla serie TV Netflix OTTOMAN.

L'8 giugno 1363, l’Imperatore bizantino Giovanni V Paleologo conferì i titoli di Re, Despota e Principe di Chio, ai seguenti nobili patrizi genovesi: Nicolò de Caneto de Lavagna, Giovanni Campi, Francesco Arangio, Nicolò di San Teodoro, Gabriele Adorno (doge di Genova 1363 al 1370. Paolo Banca, Tommaso Longo, Andriolo Campi, Raffaello de Forneto, Luchino Negro, Pietro Oliverio e Francesco Garibaldi e Pietro di San Teodoro. Con il conferimento di questi titoli, questi maonesi, avevano il dominio su: Chio, Samo, Enussa, Santa Panagia e Focea.

 

Il genovese

GIOVANNI GIUSTINIANI LONGO

fu a capo della difesa di  Costantinopoli  

Giovanni Giustiniani Longo è stato un genovese illustre. Corsaro, ammiraglio, indomito guerriero. Ha legato il suo nome all’eroica e purtroppo infausta difesa di Costantinopoli, assediata dal poderoso esercito ottomano guidato dal sultano Mehemet II. Gennaio 1453.

Appresa la notizia, Giustiniani Longo salpa alla volta di Costantinopoli alla testa di settecento fedelissimi soldati. L’imperatore Costantino XI Paleologo gli affida la difesa della città. Il 5 aprile Mehemet II manda un ultimatum a Costantino: se si arrenderà avrà salva la vita, con gli abitanti di Costantinopoli.

Costantino rifiuta.

Mehemet II ordina di concentrare i bombardamenti dei suoi poderosi cannoni nel punto più debole delle mura, presidiato dalle truppe di Giustiniani Longo. La battaglia infuria per settimane. Alla fine di maggio, gli attacchi dei turchi hanno ragione della disperata resistenza degli uomini del genovese.

Ferito il 29 aprile, il Generalissimo viene tratto in salvo dai suoi uomini e trasferito sull’isola di Chio (possedimento della famiglia Giustiniani) e lì spira il 1° giugno.

 Ammirato dal suo coraggio il sultano ordina che gli vengano riservate solenni onoranze funebri. “Giustiniani da solo valeva tutti i difensori di Costantinopoli”, furono le parole di Mehemet II.

 

 

I genovesi e la loro colonia di Chio inviarono materiale bellico e una schiera di guerrieri d'élite, guidati da Giovanni Giustiniani Longo appartenente a una delle più potenti famiglie di Genova. Ma la disparità di forze era spaventosa:

5.000 bizantini e poco più di 2.000 latini avrebbero dovuto difendere 22 chilometri di mura da un esercito di 100.000 turchi in grado di sfondare persino le MURA con un cannone potententissimo quanto sconosciuto all’epoca.

Quando venne a sapere dell'esistenza di quel Comandante genovese così coraggioso, provò a corromperlo, ma diede come risposta un no secco” adducendo come motivo che lui non era uomo da rimangiarsi la parola e aveva giurato fedeltà a Costantino XI.

E quando Mehmet II seppe della sua morte, lo stesso volle che i funerali fossero celebrati a Costantinopoli, dove il genovese fu ricordato dal sultano come un uomo speciale dalle molte qualità. Arrivò ad affermare che lui da solo valeva più di tutta la marina bizantina messa insieme.

 

LA PRESA DI COSTANTINOPOLI

 Con i suoi iconici personaggi

Due dettagliate carte del Bosforo che meritano di essere ingrandite

 

I Turchi partirono dalla rada di Gallipoli (Dardanelli) per conquistare Constantinopoli

Nel marzo 1453, a Gallipoli si radunò un'enorme flotta turca di circa 250 imbarcazioni che si attestò davanti alle mura marittime di Costantinopoli insieme a un'armata terrestre di 100.000 uomini, di cui 60.000 bashi-bazuk irregolari.

 

GALLIPOLI (turco Gelibolu) Cittadina della Turchia europea (20.266 ab. nel 2007), nella prov. di Çanakkale, sopra la costa meridionale della penisola omonima, in posizione strategica.

 

PIANI DI GUERRA 

TURCHI E BIZANTINI

 Si evidenziano tratteggiate le Mura di Costantinopoli

I Turchi attaccheranno le mura di terra più vulnerabili  (sulla sinistra della carta)

 

 

 

Sotto: Mappa di Costantinopoli con la disposizione delle forze bizantine di difesa (rosso) e le forze assedianti ottomane (verde)

 

 

IL POTENTISSIMO CANNONE “URBAN”

In questa famosa stampa francese la freccia rossa indica il grande cannone puntato contro le mura della fortezza triangolare di  Costantino XI

 

Il gigantesco cannone URBAN la cui devastante potenza non era ancora nota ai bizantini.

 

Maometto II aveva anche un'arma segreta: "La Bombarda", un cannone gigantesco che sparava proiettili di granito di 600 chili a una distanza di un chilometro e mezzo ogni 90 minuti.

Era stato costruito da Urbano di Transilvania, ex alleato di Costantino passato agli ottomani, che però morì nei primi giorni d'assedio per l'esplosione della sua stessa creazione.

Il 5 aprile 1453, Maometto II intimò a Costantino XI di arrendersi tramite un messaggero. Se lo avesse fatto, avrebbe avuto salva la vita e sarebbe diventato governatore di Costantinopoli, risparmiando anche la popolazione dal saccheggio.

La risposta di Costantino XI fu ferma:

«Darti la città non è volontà mia né di alcuno dei suoi abitanti; abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere e non risparmieremo la vita.»

I cannoni di minor calibro avevano il compito di correggere il tiro di “URBAN”.

 

L’AMMIRAGLIO GENOVESE

Giovanni GIUSTINIANI LONGO

Genova 1418- Chio 1453

Raffigurazione immaginaria

Stemma Giustiniani

Giovanni Giustiniani Longo, Podestà di Caffa, è stato un corsaro, ammiraglio e generale italiano della Repubblica di Genova che operò nel Levante.

 

DA GENOVA A COSTANTINOPOLI

Quando G. Giustiniani Longo, nella sua Genova, seppe dell'arruolamento di soldati pronti a combattere per difendere Costantinopoli, posta sotto la minaccia dell'esercito ottomano, decise di imbarcarsi alla volta dell'antica Bisanzio con un reparto "personale" di settecento soldati.

Non c’erano le radio a quei tempi e, visto il ritardo accumulato, nessuno ormai credeva che i soccorsi invocati e sperati potessero arrivare in tempo.

Il destino volle che a fine gennaio del 1453, le due navi “latine”, battenti bandiera genovese, comparissero all’orizzonte: era Giovanni Giustiniani con 700 armati, di cui 500 erano i temutissimi balestrieri genovesi.

Ad accoglierlo – però - si presentarono numerose imbarcazioni turche che aprirono il fuoco provocando incendi e danni a bordo dei genovesi.

Ma il Giustiniani fece subito capire il suo valore con una mossa tanto ardita quanto marinarescamente perfetta.

Il comandante genovese diede l’ordine di affiancare le due galee facendone un corpo unico con due murate anziché quattro da difendere.

I turchi caddero nel tranello!

Ai primi turchi che raggiungevano il capo di banda  della nave, venivano mozzate le mani e i loro corpi nella caduta trascinavano in mare gli altri assalitori.

 

LA TORRE DI GALATA

TORRE DEI GENOVESI

Quartiere genovese di PERA

(Al centro della carta sotto)

il suo nome originario era TORRE DI CRISTO. Venne costruita dai genovesi nel 1348 come parte delle fortificazioni del quartiere di Galata, tanto da essere anche chiamata informalmente "Torre dei Genovesi" per via dei suoi costruttori e della colonia genovese a cui apparteneva. 

 

La torre di Galata è una torre in pietra di epoca medievale  fu costruita dai genovesi  e situata nel distretto di Galata a Istambul. 

Descrizione

Misura 66,9 metri in altezza (62,59 escludendo l'ornamento in cima al tetto conico), con un diametro interno di 8,95 metri e mura spesse 3,75 metri. Si trova a circa 140 metri sopra il livello del mare. Quando venne edificata era l'edificio più alto della città.

Nel 2020, la torre è stata ristrutturata e riaperta come museo e punto panoramico.

Storia

Foto della Torre di Galata scattata da J. Pascal Sébah tra il 1875 e il 1895. 

 

La torre venne costruita nel 1348 da Rosso Doria, primo governatore genovese di Galata, che la battezzó Christea Turris (Torre di Cristo). In origine la torre faceva parte delle fortificazioni che circondavano la cittadella di Galata, colonia di Genova sul Bosforo. Durante l’Impero Ottomano la parte superiore della torre e il suo tetto conico vennero modificati in seguito a numerose ristrutturazioni.

A partire dal 1717 gli Ottomani iniziarono a utilizzare la torre come punto di osservazione per individuare gli incendi in città. Nel 1794, durante il regno del sultano Selim III,  il tetto di piombo e legno subì seri danni a causa di un incendio. Le fiamme colpirono di nuovo la torre nel 1794 e nel 1875 una violenta tempesta spazzò via il tetto, che fu ristrutturato solo tra il 1965 e il 1967 utilizzando pietra al posto del legno.

Blocco del Porto bizantino

La freccia BLU indica la posizione della Catena che impediva l’accesso in porto alle navi nemiche

 

Sorpresi dalla reazione dei genovesi, i turchi fermarono l’assalto per trovare un altro modo per fermarli. Ne approfittò il “Genovese” che, con una ardita manovra, riuscì a raggiungere la famosa catena del Corno d’Oro che era stata tempestivamente abbassata per favorire l’entrata in sicurezza delle due galee salvando gli equipaggio, il prezioso carico di armigeri, le munizioni e i viveri.

Lo sbarco a Costantinopoli avvenne tra l’entusiasmo della popolazione.

Vista la sua esperienza in assedi, il Giustiniani fu nominato protostator, ossia:

Comandante delle difese dall’Imperatore

e messo a guardia e a protezione delle mura della città.

 Costantino XI fece molto affidamento sul Comandante genovese, determinato a combattere per difendere la cristianità.

Con questo presupposto di FEDE, ma anche forte di un legame di amicizia con l'Imperatore bizantino, Giustiniani decise di porsi alla difesa della città, sebbene ormai conoscesse quanto disastrosa fosse la situazione: il rapporto tra bizantini e ottomani era di uno a undici.

Ma c’era un’altra incognita da risolvere: Costantinopoli aveva la cerchia di mura più sicura e impenetrabile d'Europa.

L’Avvincente storia di Giovanni Giustiniani Longo, uomo d’arme e di mare che, nonostante la giovane età, riuscì fino all’ultimo a tenere testa alle truppe del sultano, infondendo coraggio e speranza alle truppe greche grazie al suo forte carisma; solo una tragica eventualità, voluta dal destino, infranse i suoi piani.

Giovanni Giustiniani Longo fu sicuramente uno tra i più importanti personaggi apparsi come testimone sulle scene degli ultimi giorni dell’impero bizantino ed esponente di una delle più nobili famiglie della città (la famiglia Giustiniani infatti aveva possedimenti e traffici commerciali nel levante e in particolare nel mar Egeo), e svolgeva a tutti gli effetti il mestiere di corsaro “ante litteram”, cioè era comandante di una nave pirata, autorizzato dal proprio governo di attaccare navi nemiche.

In quegli anni, i turchi ottomani, forti degli ultimi successi contro le potenze balcaniche, avevano circondato la città di Costantinopoli, la capitale dell’impero bizantino: infatti la città, posta sul Bosforo tra Asia e Europa, da sempre considerata la “seconda Roma”, era ormai una città in decadenza, e il giovane sultano ottomano, Maometto II, la bramava più di qualsiasi altra cosa.

L’ultimo imperatore bizantino, Costantino XI, cosciente della drammaticità della situazione in cui versava la città, mandò richieste d’aiuto alle potenze europee; purtroppo, nessun aiuto giunse da Occidente, anche le “promesse” Galee del Papa non furono mai avvistate davanti al Corno d’Oro, soltanto Genova rispose all’appello disperato dell’ultimo Paleologo, l’ultimo difensore rimasto della Cristianità.

 

L’ULTIMA PROPOSTA DI RESA

 

Giovedì 5 aprile 1453 Maometto II inviò un ultimatum all'imperatore Costantino XI promettendo di salvare la vita a lui e ai suoi cittadini se si fosse arreso; promise anche che non vi sarebbero stati saccheggi.

 

L’inevitabile  battaglia di Costantinopoli

Costantinopoli e  le sue MURA

(tratteggiate nella carta sotto)

Questa preziosa cartina  spiega più di tante parole la posizione e l’estensione delle Mura costruite intorno al Palazzo imperiale (a destra in basso) e che risultano raddoppiate sul lato sinistro da dove partì l’assedio dei turchi.

Santa Sofia era molto vicina al PALAZZO DEL THEMA,(TOPKAPI) ultima residenza imperiale di Costantino XI vicino al centro della città, mentre l’imperatore si trovava a difendere le mura teodosiane all’esterno di questo quartiere.

 

Sotto - Rappresentazione del piano d’attacco di Memet II nel colore verde. La difesa di Costantino XI nel colore rosso.

 

Ma Costantino rifiutò e Maometto II, vedendo che non arrivava risposta, il giorno successivo iniziò il bombardamento contro le difese prospicienti il fiume LYCINO a NORD OVEST delle Mura reputato il punto più debole delle mura di Costantinopoli.

Costantino XI presidiava di persona quella zona insieme alle sue guardie imperiali e designò Giovanni Giustiniani Longo al ruolo di suo aiutante, affidandogli il punto più critico delle mura, dove il comandante genovese e i suoi settecento soldati combatterono con estremo coraggio.

 

L'ultima Messa

L’Ammirazione del Sultano

 Quando Maometto II venne a sapere dell'esistenza di quel generale genovese così coraggioso, provò a corromperlo, ma G. Giustiniani diede come risposta un no secco adducendo come motivo che lui non era uomo da rimangiarsi la parola e aveva giurato fedeltà a Costantino XI Paleologo.

L'assedio durò  un mese e mezzo. Sabato 26 maggio 1453, il sultano ordinò la sospensione dell'attacco per tre giorni al fine di preparare l'assalto finale. 
I bizantini, saputa la notizia, furono presi dalla disperazione e la sera del lunedì 28 maggio fecero celebrare dal cardinale Isidoro l'ultima messa a Santa Sofia. Alla celebrazione partecipò tutta la cittadinanza di Costantinopoli.

Giovanni - ricordano i suoi biografi - sedeva vicino a Costantino. Quando Isidoro finì il suo sermone, Costantino si alzò in piedi e si diresse lentamente verso l'altare per tenere un breve discorso.

Cercando di rincuorare il suo popolo, disse: "con l'aiuto di Dio e della Santa Vergine, Costantinopoli avrebbe potuto salvarsi dall'attacco ottomano"; proseguì ringraziando tutta la popolazione, il clero e infine i Latini che erano venuti ad aiutare Costantinopoli. Un particolare ringraziamento lo rivolse a Giovanni Longo Giustiniani, dicendo che non avrebbe mai pensato che un genovese si sarebbe battuto con tanto coraggio e lealtà verso Costantinopoli.

Costantino riuscì per un giorno a riunire le due chiese, cattolica e ortodossa, raccolte nella stessa chiesa e con la stessa disposizione d'animo.

 

L’EPILOGO

Dopo la messa, Giovanni Giustiniani Longo si diresse verso la porta di San Romano, quella che il giorno dopo avrebbe dovuto difendere, e siccome la porta stessa e le sue vicine mura erano piene di brecce, ordinò ai suoi uomini di ripararle.

Le mura furono riparate e rinforzate in breve tempo con l'ausilio di legna, cocci di mattoni, arbusti paglia e ogni cosa che potesse risultare utile alla bisogna. Fece anche costruire un fossato che corresse dietro le mura in modo tale da potersi trincerare insieme ai suoi uomini.

Il sultano, scoraggiato, sospese temporaneamente l'assedio in attesa di rinforzi. Arrivarono 60.000 uomini che si aggiunsero alle forze già schierate. Il bombardamento riprese e durò ininterrottamente per 48 giorni, provocando crolli continui in due punti diversi presso il fiume Lycino.

Il colpo di grazia arrivò quando i bizantini videro le navi ottomane nel Corno d'Oro: il sultano era riuscito a trasportare via terra decine di imbarcazioni, aggirando la catena che sbarrava l'ingresso del porto. Ora anche le mura marittime erano sotto attacco.

 

L'ULTIMA SPERANZA

Costantino capì che la fine era vicina. I viveri scarseggiavano e l'unica speranza erano le navi promesse da Venezia che ancora non erano giunte. Dal porto di Costantinopoli fu inviato un brigantino battente bandiera turca con un equipaggio di 12 volontari travestiti da ottomani per sollecitare i veneziani.

Il 23 maggio 1453, dopo 20 giorni, il brigantino fece ritorno. Il capitano chiese di parlare urgentemente con Costantino XI: aveva setacciato per tre settimane il mar Egeo senza trovare traccia della spedizione promessa dai veneziani.

Costantino, consapevole del triste destino che incombeva sul suo popolo, ringraziò i marinai uno a uno, con la voce soffocata dalle lacrime che contagiarono tutti i presenti in uno straziante pianto collettivo.

Tuttavia l'imperatore poteva ancora salvarsi. Moltissime corti europee lo avrebbero accolto con tutti gli onori. Ma Costantino aveva già deciso:

 «Il mio popolo ha scelto di non abbandonare la città e di difenderla fino alla morte, ed io, come rappresentante supremo della Seconda Roma, non posso esimermi dal fare altrettanto.»

 

L'ULTIMA NOTTE

Sabato 26 maggio, Maometto II riunì il consiglio di guerra e annunciò che il 28 maggio ci sarebbe stato un giorno di riposo e preghiera, e la mattina del 29 maggio tutto l'esercito ottomano avrebbe iniziato l'attacco finale.

Quando giunse il giorno di pausa, tutto tacque. Gli ottomani pregavano e riposavano mentre il sultano faceva un lungo giro di ispezione. La sera del 28 maggio, Costantino XI e Giustiniani Longo si misero a presidio della porta di San Romano.

In quell'ultimo lunedì della Costantinopoli romana, Costantino chiese ai suoi cittadini di dimenticare tutte le liti e i contrasti tra ortodossi e latini. Si svolse una lunghissima processione spontanea che attraversò ogni angolo della città, con i fedeli che si ricongiungevano tutti insieme, per l'ultima volta, a Santa Sofia.

Lì li attendeva il loro imperatore che pronunciò le sue ultime parole pubbliche:

«So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo. Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra. Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia e il Basileus. Ora, per vostra stessa scelta, voi dovete essere pronti a sacrificare la vostra vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrificio della mia stessa vita.»

 Costantino abbracciò tutti i presenti, continuando: «Vi chiedo scusa per ogni eventuale sgarbo che io ho compiuto verso di voi senza volerlo.»

Poi si inginocchiò, chiese perdono per i propri peccati e ricevette l'eucaristia.

Quella fu l'ultima liturgia cristiana nella Cattedrale di Santa Sofia, e probabilmente la più commovente di tutta la storia.

Alle prime ore di martedì 29 maggio 1453 ci fu l'ultimo attacco ottomano: la battaglia durò circa sei ore; Giovanni e suoi pochi soldati superstiti erano alla difesa della porta di San Romano; i soldati ottomani non riuscivano a penetrare, continuamente respinti. Giovanni e i suoi uomini difesero Costantinopoli con ferocia e coraggio.

La battaglia intanto proseguiva, con la strenua difesa dei soldati di Giustiniani Longo, ai quali si erano aggiunti tutti i latini ormai fedeli a lui. Ma quando i giannizzeri - reparto d'élite degli ottomani - arrivarono, Giovanni fu colpito almeno 2 volte e infine gravemente (ferito mortalmente al petto, morì dopo soli 3 giorni).

Secondo i resoconti, i suoi uomini superstiti abbandonarono le posizioni caricando il ferito su una barella per trasportarlo al luogo in cui erano attraccate le navi. La popolazione e gli altri soldati, vedendo passare quella sorta di corteo, che portava via l'ultimo baluardo e l'eroe della battaglia, si addolorarono rassegnandosi alla sconfitta.

 

Costantino, vedendo che ormai non vi era più nulla da fare, si tolse le insegne imperiali e con le sue poche guardie sopravvissute secondo una leggenda si buttò nella mischia scomparendo per sempre: nessuno di quegli uomini avrebbe avuta salva la vita.

Giovanni e suoi uomini riuscirono a imbarcarsi sulla loro nave genovese e si diressero verso Chio; la nave arrivò a destinazione nei primi giorni di giugno, ma il condottiero genovese morì appena giunto per le ferite riportate nella difesa di Costantinopoli.

Il suo funerale si svolse a Costantinopoli a opera del condottiero turco vittorioso, Maometto II che, venuto a sapere della sua morte, organizzò un rito a suo nome e apostrofò con parole di stima il suo avversario: disse che quell'uomo da solo valeva più di tutti i difensori di Costantinopoli messi assieme, celebrandolo con una messa cristiana.

L'ammiraglio genovese 

Giovanni Giustiniani Longo è considerato un eroe della difesa di Costantinopoli nel 1453, dove divenne una figura chiave nell'organizzazione della resistenza contro l'assalto ottomano di Maometto II.

Nonostante l'esito della battaglia con la caduta della città, Giustiniani guidò le difese in modo valoroso, pianificando la riparazione delle mura e respingendo le gallerie scavate dai Turchi. Morì per le ferite riportate durante l'assedio

 E quando seppe della sua morte, lo stesso Maometto II volle che i funerali fossero celebrati a Costantinopoli, dove il genovese fu ricordato dal sultano come un uomo speciale dalle molte qualità. Arrivò ad affermare che lui da solo valeva più di tutta la marina bizantina messa insieme.

Il contingente genovese riuscì a contenere gli attacchi nemici; lo stesso Giovanni combatté valorosamente ispirando coraggio sia nei greci che nei latini, incutendo allo stesso tempo timore e rispetto nei suoi nemici, al punto tale che il sultano rimase abbagliato dalla sua forza e dal suo coraggio.

Così una nenia popolare greca ricorda la data fatidica in cui, dopo circa cinquanta giorni d'assedio, il sultano Mehmet II decise di sferrare l'attacco finale che avrebbe determinato la vittoria e la conseguente conquista della “seconda Roma” oppure la ritirata definitiva degli assedianti.

"Piangete, Cristiani, e lacrimate su questa grande distruzione. Martedì ventinovesimo giorno del mese di maggio dell'anno 1453 il figlio di Agar si impadronì della città di Costantinopoli".

 

L'Eredità Immortale

 La "Seconda Roma" però non morì davvero quel giorno.

I costantinopolitani che migrarono in Occidente diedero un contributo fondamentale al Rinascimento con la riscoperta dei grandi studi classici.

Inoltre, la nipote dell'ultimo imperatore romano, Sofia Paleologa, sposò Ivan III di Russia.

Grazie a questo matrimonio e ai già solidi legami iniziati con l'imperatore Basilio II e Vladimir I di Kiev, Mosca poté assurgere al rango di "Terza Roma" e la religione cristiana continuò a vivere non da naufraga, ma come conquistatrice di nuove rotte di terra e di mare.

Costantino XI Paleologo era riuscito nell'impresa più difficile: morire da Imperatore romano, lasciando un esempio immortale di coraggio e dedizione che avrebbe attraversato i secoli, dimostrando che a volte la sconfitta può essere più gloriosa della vittoria stessa.

Il successore Ivan IV si proclamò "Zar", ovvero "Cesare", rivendicando con orgoglio il sangue romano che scorreva nelle sue vene.

Da quel momento molti sovrani si proclamarono successori dei Cesari, compreso lo stesso sultano dell'Impero Ottomano.

L'ultimo imperatore di Bisanzio era morto, ma l'idea di Roma, con il suo mito e la sua grandezza, continuava a vivere e a ispirare i popoli d'Europa e d'Oriente.

 

 

FINE

 

 

Riferimenti:

 - Wikipedia

- ALDO CAZZULLO: Una giornata particolare - Costantinopoli: la caduta dell'Impero - 27/11/2024

https://www.youtube.com/watch?v=7oUOtfE2vqo

- GIOVANNI GIUSTINIANI LONGO

http://www.giustiniani.info/giovannigiustiniani.html

- MURA DI TEODOSIO A. COSTANTINOPOLI

 https://www.danielemancini-archeologia.it/le-mura-di-teodosio-a-costantinopoli-in-3d/

 

 Carlo GATTI

Rapallo, 16 Ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


"PIPPO" PARTIVA DALLA USS CORSICA

“PIPPO” PARTIVA DALLA USS CORSICA

Era il famoso bombardiere medio americano

North American B-25 Mitchell

Ne furono costruiti 10.596 esemplari in 31 versioni

 

La storia del B-25 Mitchell ha inizio nel marzo 1939, quando l’US Army Air Corps emise specifiche per un bombardiere medio capace di trasportare un carico di 1.100 kg per 1.900 km alla velocità di 480 km/h.

A U.S. Army Air Force North American B-25C Mitchell bomber (s/n 41-12823) in volo vicino  Inglewood, California (USA)

 

Il bombardiere medio B-25 Mitchell è un bimotore monoplano ad ala media, carrello retrattile di tipo triciclo anteriore, propulso da due motori raffreddati ad aria.

 Alle 7,48 del mattino di domenica 7 dicembre 1941, due ondate da 358 aerei nipponici decollati da sei portaerei, si riversano sulla baia di Pearl Harbor, obiettivo la Flotta navale degli Stati Uniti. Il tutto avviene a tradimento, senza dichiarazione di guerra giapponese, il ché provoca sgomento e accuse d’infamia e segnerà l’ingresso nella Seconda guerra mondiale degli Stati Uniti. 

 Ammiraglio Giapponese Isoroku Yamamato con riferimento all’attacco di Pearl Harbour disse:

 "Temo che tutto ciò che abbiamo fatto sia stato svegliare un gigante addormentato e riempirlo di una terribile determinazione"!

La Storia ci racconta che ...

 Il 18 aprile 1942 sedici bombardieri B-25 Mitchell furono protagonisti di un’impresa storica/eroica: decollati dalla portaerei americana HORNET  riuscirono a bombardare Tokyo per poi atterrare in territorio cinese.

Ne riparleremo a breve...

Il North American B-25 Mitchell rappresenta uno dei bombardieri medi più significativi della Seconda guerra mondiale; un aereo che grazie alla sua versatilità e robustezza riuscì a operare efficacemente in ogni teatro del conflitto.

Introdotto nel 1941 e battezzato in onore del generale di brigata William “Billy” Mitchell, pioniere dell’aviazione militare statunitense, il B-25 fu uno dei velivoli alleati più longevi, rimanendo in servizio anche dopo la fine della guerra, per un totale di quattro decenni di impiego operativo.

La produzione di questo aereo fu impressionante: circa 10.000 esemplari costruiti in numerose varianti, che ne fecero il bombardiere medio americano più prodotto e il terzo bombardiere americano in assoluto per numero di esemplari.

La United States Air Force (abbreviazioni comunemente utilizzate: U.S. Air ForceUS Air ForceAir ForceUSAF) è l’Aeronautica Militare degli Stati Uniti d’America, parte integrante delle Forze Armate USA. Rappresenta la branca dell'amministrazione militare statunitense.

L'USAF è uno degli otto "servizi in uniforme" ed è nata come Foza Armata Separata e Indipendente dall’Esercito il 18 settembre 1947. Attualmente rappresenta la più grande forza aerea del mondo con oltre 9.000 velivoli  in servizio, basi sparse su tutto il globo e circa 329.100 uomini e donne in servizio attivo.

 

USS CORSICA AIRFIELD COMPLEX

Un capitolo di storia poco conosciuto!

 YouTube (in italiano)

https://www.youtube.com/watch?v=NwPSWTyN0kQ

 

USS (United States Ship), sono le iniziali che precedono i nomi di tutte le navi da guerra della marina americana.

Non c’è mai stata una nave della marina statunitense  con il nome Corsica. Quindi, da dove viene il nome USS Corsica?

Come gran parte dell’Europa e tutta la Francia, la Corsica fu occupata durante la Seconda guerra mondiale, ma il 16 settembre 1943 divenne la prima parte della Francia metropolitana a essere liberata. Circa 12.000 partigiani locali, conosciuti come Maquis, scacciarono le forze tedesche e italiane d’occupazione.

Dopo la liberazione, l’isola divenne una base fondamentale per le operazioni dell’aeronautica statunitense. Furono rapidamente costruiti quindici campi d’aviazione, trasformando la Corsica in una sorta di “portaerei terrestre”: da qui, USS CORSICA.

Le piste furono costruite e rese operative in brevissimo tempo da brigate di ingegneria specializzate, create appositamente per questo compito. Molte di queste unità, composte da circa 800 uomini ciascuna, erano formate esclusivamente da afroamericani — a testimonianza della segregazione allora vigente negli Stati Uniti.

La 812ª brigata “nera” arrivò in Corsica dall’Africa alla fine del 1943 e si mise subito al lavoro per costruire gli aeroporti, destinati principalmente ai bombardieri B25 e B26. Tra coloro che prestarono servizio nel 340° gruppo bombardieri vi era un certo Joseph Heller, che sarebbe poi diventato l’autore del romanzo Comma 22 (Catch-22), scritto negli anni ’50 e ispirato proprio alla sua esperienza in Corsica.

 

B-25J sulla Base aerea di SOLENZARA nel 1944

Qualche anno fa, il Tour de France attraversò varie di queste storiche basi aeree — Figari, Bastia, Ajaccio e Calvi — oggi tutti aeroporti civili, senza dimenticare Solenzara, sulla costa orientale, che rimane un aeroporto militare attivo.

“Oggi restano poche tracce del ruolo svolto dalla Corsica durante la Seconda guerra mondiale; tuttavia, se volete visitare un reperto unico di quell’epoca, perché non fare un’immersione nei pressi di Calvi per vedere il relitto di un bombardiere B17 Flying Fortress, adagiato sul fondo del mare dal 1944?”

 

LE BASI AMERICANE IN CORSICA

https://www.corse-images-sous-marines.com/copie-de-les-dossiers-les-epaves-sous-marines-corses

In questa cartina sono riportati 10 aeroporti soltanto nella parte orientale dell’Isola da cui partivano i B-25 Mitchell per bombardare ponti, ferrovie e strutture militari italiane in mano ai tedeschi.

Nel golfo del Tigullio, un aereo della USS CORSICA, era conosciuto e temuto col nomignolo: PIPPO (Pippetto), il quale aveva la missione di affondare le motozattere tedesche (ex italiane), che ogni sera partivano dal porto LANGANO di RAPALLO caricate alla marca di armi e viveri destinati al fronte della Garfagnana dove i tedeschi avevano il compito di fermare l’avanzata verso Nord degli Americani sbarcati in Sicilia e ad Anzio.

 

 ALTO - Aeroporto

https://www.forgottenairfields.com/airfield-alto-1279.html

 

Monuments and Memorials 

489 th squadrone Bombardieri Corsica

https://alcpress.org/kaiser/489thbs/memorials/index.html

 

 Dalla Corsica a Framura e a Punta Bianca. Il viaggio senza ritorno di quindici giovani

https://www.cittadellaspezia.com/2022/04/03/dalla-corsica-a-framura-e-a-punta-bianca-il-viaggio-senza-ritorno-di-quindici-giovani-438161/

 

 

Les aérodromes de l'USS Corsica Parmi les 17 aérodromes établis, certains étaient préexistants, tandis que d'autres ont été construits par les Américains :

Aérodromes préexistants :

o Ajaccio Campo dell'Oro
o Borgo (Bastia)
o Corte
o Casabianda
o Calvi
o Ghisonaccia-Gare

Aérodromes construits par les Américains :

o Bevinco
o Poretta (Bastia)
o Serragia
o Alto
o Alesani
o Aghione
o Solenzara
o Calvi Sainte Catherine
o Calenzana
o Fiume Secco

Ces aérodromes ont servi de bases pour des missions de bombardement, de reconnaissance et de soutien aux opérations alliées, notamment le débarquement de Provence en août 1944

Unités aériennes et opérations

Plusieurs unités aériennes alliées ont opéré depuis la Corse, dont le 57th Fighter Group de l'US Army Air Forces, composé des escadrons :
• 64th Fighter Squadron "Black Scorpions"
• 65th Fighter Squadron "Fighting Cocks"
• 66th Fighter Squadron "Exterminators"

 

Korsika Bomber Group

https://www.dansetzer.us/planes_index.htm

 

North American B-25 Mitchell

 

Un B-25 Mitchell con insegne USAAF durante una esibizione aerea.

Due B-25 Mitchell ancora in condizione di volo in un recente airshow.

 

L’incursione Doolittle su Tokyo

 Pista cortissima... Decollo al limite!

Un B-25 decolla dal Ponte di Volo della portaerei USS HORNET  per attaccare Tokio nel raid organizzato da Jmmy Doolittle 

 

Il B-25 acquisì fama come bombardiere utilizzato nella celebre incursione Doolittle” del 18 aprile 1942, quando 15 B-25B guidati dal tenente colonnello Jimmy Doolittle attaccarono il Giappone continentale, quattro mesi dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor (un sedicesimo aereo che partecipò fu costretto ad abortire, atterrando in Russia, dove fu inizialmente internato insieme al suo equipaggio).

La missione diede un necessario ristoro al morale degli americani e allarmò i giapponesi, che avevano creduto che le loro isole fossero inviolabili dalle forze nemiche. Sebbene i danni effettivi fossero relativamente lievi, costrinse i giapponesi a dirottare truppe per la difesa interna per il resto della guerra.

IL DECOLLO AL LIMITE....

 “Mentre la Hornet virò preparandosi a lanciare i bombardieri che erano stati preparati per il decollo il giorno precedente un vento di più di 40 nodi agitava il mare sollevando onde alte 10 metri, che facevano inclinare la nave e superavano la prua bagnando il ponte di volo e infradiciando le squadre di volo.

 L'aereo leader, comandato dal tenente colonnello Doolittle aveva disponibili per il decollo solo 142 metri di ponte di volo, con l'ultimo dei B-25 che sporgeva di coda fuori dal ponte.

 Il primo dei bombardieri sincronizzandosi con l'alzarsi e l'abbassarsi della prua si lanciò pesantemente lungo il ponte di volo, fece un giro intorno alla Hornet dopo il decollo e quindi fece rotta per il Giappone. Entro le 09:20 tutti e 16 i bombardieri erano in volo per la prima incursione aerea contro il cuore del Giappone.”

I raiders decollarono dalla portaerei USS HORNET (CV-8) e bombardarono Tokyo e altre quattro città giapponesi.

Quindici dei bombardieri successivamente si schiantarono durante il volo verso i campi di recupero nella Cina orientale.

Le perdite furono dovute all’avvistamento della task force da parte di una nave giapponese, che costrinse i bombardieri a decollare con 270 km di anticipo, all’esaurimento del carburante, alle condizioni di tempesta notturna con visibilità zero e al mancato azionamento degli ausili elettronici di guida alle basi di recupero.

Come detto solo un bombardiere B-25 atterrò intatto, a Vladivostok, dove il suo equipaggio di cinque uomini fu internato e l’aereo confiscato. Degli 80 membri dell’equipaggio, 69 sopravvissero alla loro storica missione e alla fine riuscirono a tornare alle linee americane.

 

LA GUERRA E' FINITA: dalla Pista al Museo

B-25J fotografato in un museo dell’Oregon

 

North American B-25 Mitchell

In cifre ...

In onore del generale Billy Mitchell pioniere e forte sostenitore del concetto di difesa aerea nel 1920 e su suggerimento di Lee Atwood, l'USAAC assegnò ufficialmente al velivolo il nome "Mitchell". 

DESCRIZIONE

Tipo

Bombardiere medio

Equipaggio

6

Costruttore

 North American

Data primo volo

gennaio 1939

Utilizzatore principale

 USAAF

Esemplari

10.596 in 31 versioni

Sviluppato dal

North American XB-21

Altre varianti

North American XB-28 Dragon

Dimensioni e pesi

Lunghezza

16,13 m (52 ft 11 in)

Apertura alare

20,60 m (67 ft 7 in)

Altezza

4,98 m (16 ft 4 in)

Superficie alare

56,67  (610 ft²)

Peso a vuoto

8 855 kg (19 480 lb)

Peso max al decollo

15 876 kg (35 000 lb)

Propulsione

Motore

Wright R-2600-92 Twin Cyclone
radiali 14 cilindridoppia stella raffreddati ad aria

Potenza

1 700 hp (1 267 kW) ciascuno

Prestazioni

Velocità max

438 km/h (272 mph, 237 kt) a 3 960 m (13 000 ft)

Velocità di crociera

370 km/h (230 mph, 200 kt)

Autonomia

2 173 km (1 350 mi, 1 174 nmi)

Tangenza

7 378 m (24 200 ft)

Armamento

Mitragliatrici

2-3 Browning M2calibro .50 in (12,7 mm)

Cannoni

un T13E1 calibro 75 mm (2.95 in)

Bombe

fino a 1 360 kg (3 000 lb)

Razzi

rastrelliere per 8 HVAR da 127 mm (5 in)

i dati sono estratti da United States Military Aircraft

Progettato per essere un aereo da attacco al suolo ma rivalutato come bombardiere medio, il B-25 fu famoso per il Doolittle Raid sul Giappone e per la sua versatilità, dimostrata anche in Missioni Antinave e pattugliamento. 

 

Sviluppo e Caratteristiche

 Versatilità 

Inizialmente pensato per l'esportazione, il suo impiego si estese a diverse funzioni, tra cui pattugliamento costiero antinave e missioni di bombardamento.

Ruolo nella guerra 

Fu impiegato su tutti i fronti, dimostrando notevole affidabilità e divenendo uno dei migliori bombardieri medi della Seconda Guerra Mondiale. 

L'avvio alla produzione

La produzione del B-25 iniziò nel 1939. La base per la prima versione del B-25 era un modello migliorato del NA-62. A causa del grandissimo bisogno di bombardieri medi, non furono costruite versioni sperimentali e tutte le modifiche che si rendevano necessarie venivano fatte direttamente in fase di produzione o, per i modelli già esistenti, in appositi centri. 

Il primo gruppo operativo a bordo del B-25 fu il 17th Bomb Group che lo ricevette nella versione A nel 1941. 

Fu da questo reparto che vennero scelti i 16 aerei che portarono a termine l’incursione aerea su Tokyo il 18 aprile 1942.

Impiego operativo

 Dopo un certo numero di modifiche, tra cui motori migliori, migliore visibilità per il navigatore, maggior armamento nel muso ed equipaggiamenti antighiaccio, il B-25C fu consegnato all'esercito: fu la prima produzione di massa per questo velivolo. Furono inoltre introdotte anche le torrette servocomandate dorsali e ventrali per migliorare la difesa dei settori più vulnerabili, l'autopilota e rastrelliere subalari: era anche possibile trasportare un siluro. 

Il Mitchell era un aereo sicuro e facile da pilotare: con un motore fuori uso, era possibile virare di 60º in quella direzione ed era facile mantenere il controllo sotto i 230 km/h.

Inoltre il carrello d’atterraggio triciclo permetteva un'eccellente visibilità durante la fase di rullaggio. Era un aereo incredibilmente robusto:

un B-25C del 321st Bomb Group fu soprannominato "Patches" perché l'equipaggio aveva dipinto tutti i buchi provocati dalla contraerea con zinco cromato; alla fine della guerra l'aereo aveva completato 300 missioni, era atterrato senza carrello sei volte ed ebbe circa 400 fori nella fusoliera.

Il più grande difetto del B-25 era l'elevata rumorosità, tanto che parecchi dei piloti con molte ore di volo subirono danni all'apparato uditivo.

Il Mitchell operò su tutti i fronti del conflitto: da quello del Pacifico, in cui si rivelò un'arma fondamentale, a quello Europeo, dove, a partire dallo sbarco anglo-americano in Algeria, Marocco, CORSICA sganciò complessivamente circa 84.980 tonnellate di bombe e abbatté 193 aerei nemici, compiendo circa 63.177 missioni.

 

Servizio e Azioni Notevoli

 Doolittle Raid: Fu una delle sue azioni più celebri. il primo attacco americano sul Giappone, che vide l'impiego di B-25.

Impiego Alleato

Oltre all'USAAF, il B-25 fu utilizzato da diverse forze aeree alleate, tra cui la Royal Air Force (RAF), l'Unione Sovietica e l'Australia.

Esempi di impiego operativo

La sua versatilità è testimoniata dal suo impiego in Europa, nel Pacifico e in altre aree operative, come l'Australia e la Cina. 

 Dopo la Guerra

Lunga carriera: 

Molti B-25 rimasero in servizio per decenni dopo la fine della guerra, dimostrando la loro longevità.

Reparti che impiegarono il B-25

  • 310th Bomb Group (Mediterraneo)

  • 321st Bomb Group (Mediterraneo)

  • 340th Bomb Group (Mediterraneo)

Medio Oriente e Italia

I primi B-25 arrivarono in Egitto e stavano conducendo operazioni indipendenti entro ottobre 1942. Le operazioni contro gli aeroporti dell’Asse e le colonne di veicoli motorizzati supportarono le azioni di terra della Seconda Battaglia di El Alamein. Successivamente, l’aereo partecipò al resto della campagna in Nord Africa, all’invasione della Sicilia e all’avanzata su per l’Italia.

Nello Stretto di Messina fino al Mar Egeo, il B-25 condusse pattugliamenti marittimi come parte delle forze aeree costiere. In Italia, il B-25 fu utilizzato nel ruolo di attacco al suolo, concentrandosi su attacchi contro collegamenti stradali e ferroviari in Italia, Austria e nei Balcani.

Il B-25 aveva un raggio d’azione più lungo rispetto ai bombardieri: Douglas/A-20-Havoc e Douglad/A-26 Invader   permettendogli di raggiungere più in profondità l’Europa occupata. I cinque gruppi di bombardamento – 20 squadroni – della Nona e Dodicesima Forza Aerea che utilizzarono il B-25 nel Teatro di Operazioni del Mediterraneo furono le uniche unità statunitensi ad impiegare il B-25 in Europa.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 14 Ottobre 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


PORTI, GRANDI NAVI E SICUREZZA: LA SFIDA DELLA PPU

PORTI, GRANDI NAVI E SICUREZZA: LA SFIDA DELLA PPU

(Portable Pilot Unit)

È ormai riconosciuto che uno dei problemi principali della portualità italiana riguarda il gigantismo navale: l’aumento costante delle dimensioni delle navi, a fronte di spazi portuali rimasti pressoché invariati, riduce i margini di manovra e la sicurezza delle operazioni.

Un esempio:

IL PORTO DI GENOVA

L’area più moderna del Porto di Genova, ancora oggi chiamata Porto Nuovo, è formata dai moli “a pettine” che si vedono sotto la Lanterna.

Porto Nuovo in costruzione - Anni '20-'30

 

Porto Nuovo tuttora operativo

Quel complesso di banchine fu costruito negli anni ‘20-’30 del ‘900 per ospitare navi commerciali lunghe al massimo 130 mt. La diga, le banchine e gli spazi di manovra erano quindi progettati per quelle dimensioni.

Un secolo dopo, le navi da carico hanno superato i 400 metri di lunghezza. Da qui è nata l’esigenza di costruire porti più idonei alle nuove richieste del mercato navale.

Il gigantismo navale si è imposto così rapidamente che i porti storici, spesso sorti a ridosso delle città medievali, sono stati esclusi dal circuito dei containers.

Genova, per restare tra i principali scali del Mediterraneo, ha dovuto adattarsi: allungare banchine, eliminare impianti obsoleti, colmare spazi tra i moli per creare piazzali destinati a gru gigantesche e a migliaia di container. Queste trasformazioni, però, hanno comportato un effetto collaterale: più cemento e piazzali significano meno specchio acqueo disponibile per le manovre

Rubare spazio al mare aperto

La crescente pressione del traffico marittimo ha reso indispensabile progettare una nuova diga foranea del porto di Genova, spostata circa 400 metri al largo rispetto a quella costruita negli anni ’20.
Lo spazio così guadagnato equivale alla lunghezza di una moderna portacontainer.

Genova – e con essa l’Italia intera – non può permettersi di restare fuori dal circuito degli approdi delle grandi navi, pena gravi ripercussioni sull’economia nazionale.

In questa lunga fase di transizione, i Servizi Portuali (Piloti, Rimorchiatori, Ormeggiatori) sono chiamati a uno sforzo eccezionale, affrontando ogni giorno rischi crescenti, soprattutto nelle giornate di vento forte, frequenti sul nostro mare.

Il supporto tecnologico: la PPU

l compito più delicato spetta ai Piloti portuali, responsabili di dirigere e portare in banchina navi dalle dimensioni imponenti. Da alcuni anni, però, la tecnologia è divenuta un alleato prezioso grazie alla PPU (Portable Pilot Unit).

Si tratta di una valigetta magnetizzata, dotata di antenne, che il Pilota colloca sulla plancia poco prima della manovra. La PPU fornisce in tempo reale dati dettagliati su posizione, velocità, rotta e rilevamenti, aumentando la sicurezza delle operazioni in porto, soprattutto in caso di scarsa visibilità o in passaggi complessi come canali stretti e banchine congestionate.

L’unità è indipendente dagli strumenti della nave: questo aspetto è fondamentale, perché il Pilota dispone così di un sistema personale, accurato e affidabile, che integra le sue competenze locali e riduce lo stress delle manovre.

La PPU non sostituisce l’esperienza e l’intuito del Pilota, ma li potenzia con la precisione della tecnologia satellitare, offrendo anche la previsione immediata della manovra. È lo strumento che unisce tradizione marittima e innovazione, a garanzia della sicurezza del porto e del mare.

Un’ulteriore funzione di grande utilità è la possibilità di integrare nella PPU, in caso di nebbia, il sistema AIS (Automatic Identification System). In questo modo il Pilota visualizza sullo stesso schermo la presenza di altre navi in canale, con i relativi dati nautici (posizione, rotta, velocità), affiancando così le informazioni del radar di bordo ma con un supporto diretto e immediato nelle proprie mani. Una combinazione che aumenta notevolmente il livello di sicurezza della navigazione portuale.

La tecnologia come la PPU è un alleato prezioso, ma la manovra resta sempre un atto profondamente umano. È il cuore del Pilota che guida la nave fino all’ormeggio, ed è in quel momento, quando il Comandante sussurra un semplice “Good job, Pilot”, che tutta la tensione si scioglie e il mare restituisce al Pilota la sua più grande ricompensa: la consapevolezza di aver fatto, ancora una volta, bene il proprio dovere

 

ENTRIAMO NEL MERITO DELLO STRUMENTO

PPU (Portable Pilot Unit) è lo strumento che fornisce al pilota portuale una visualizzazione dettagliata e precisa dei dati di navigazione, come posizione, velocità, rotta e rilevamenti, aumentando la sicurezza delle manovre portuali, specialmente in condizioni di scarsa visibilità o per operazioni complesse come ormeggi e passaggi in canali stretti dove sono presenti anche altre navi in manovra. Il PPU può essere utilizzato in modo indipendente dalla nave per operazioni di manovra fine, migliorando le informazioni già disponibili e consentendo operazioni più sicure.

L’abilità nella manovra e le L’unità portatile di ausilio al Pilota, conosciuta come PPU (Portable Pilot Unit), nasce dall’esigenza di aumentare la sicurezza della manovra in tutte le situazioni di scarsa visibilità che possono crearsi per motivi climatici, come nel caso di foschia, nebbia o piovaschi intensi o anche per motivi dimensionali, come nel caso di grandi navi che operano in spazi ristretti o in bassi fondali.

Le conoscenze generali e locali di un Pilota vengono così affiancate dalla più moderna tecnologia satellitare, non solo per la localizzazione precisa e istantanea della nave, ma, soprattutto, per la sua previsione di manovra, che avviene in tempo reale.

Il Pilota può quindi avvalersi oggi di un sistema grafico portatile, personale, indipendente dalle strumentazioni della nave sulla quale sta operando e di cui conosce il reale grado di accuratezza.

Questo non è un aspetto di poco conto per comprendere quanto questo strumento possa diventare utile e affidabile in mano a un professionista con la giusta competenza che, garantendone un uso consapevole, contribuisce ad abbattere lo stress della manovra.

 Come funziona e a cosa serve

 Visualizzazione dati:

Mostra i dati di navigazione della nave in tempo reale, inclusi GPS, AIS e sensori di profondità.

Sicurezza delle manovre:

Migliora la sicurezza delle manovre in ingresso e in uscita dal porto, nonché delle manovre di ormeggio, fornendo informazioni precise al pilota.

Indipendenza:

È particolarmente utile quando il pilota necessita di un posizionamento indipendente e informazioni di precisione per manovre più complesse, come in prossimità di chiuse o in spazi ristretti.

Miglioramento delle informazioni:

Aumenta le informazioni già provenienti dal pilot house, offrendo una prospettiva più completa e dettagliata.

Casi d'uso specifici:

Operazioni portuali: Utile per l'accesso ai porti e per il processo di ormeggio, rendendo le manovre più sicure.

Operazioni notturne:

Consente di scalare porti anche durante le ore notturne, grazie all'aumento della precisione dei dati di navigazione.

Gestione di spazi ristretti:

Ideale per passaggi in spazi ristretti come le chiuse, dove la precisione della posizione è fondamentale.

 

 

PORTO DI GENOVA

EVERGREEN INAUGURA LA LINEA DELLE 22000 TEUs

10 Luglio 2024

L’arrivo della nave Everglory  al terminal PSA segna un ulteriore successo nelle operazioni portuali. La gigantesca imbarcazione della compagnia Evergreen, lunga 400 metri e larga 59, con una capacità di oltre 22.000 TEU, ha scalato il porto di Genova-Prà.

La manovra, ancora in fase sperimentale, si è svolta come da pianificazione, con l’ausilio di tre potenti rimorchiatori che hanno assicurato condizioni di sicurezza ottimali e l’uso del PPU (Portable Pilot Unit) ormai da tempo  in uso ai piloti genovesi ed impiegato per le manovre che richiedono impegno e margini di sicurezza maggiori.

L’operazione rappresenta un ulteriore passo avanti per il porto di Genova che, confermandosi capace di accogliere navi di tali dimensioni, ha aperto nuove prospettive per il commercio e la logistica nella regione, rendendosi competitivo e richiesto dalle maggiori compagnie di shipping mondiali.

Questo successo sottolinea l’importanza della collaborazione tra tecnologia e competenza umana, con l’obiettivo di rendere le operazioni portuali sempre più efficienti e sicure.

 

 

CONCLUSIONE

l gigantismo navale ha trasformato profondamente la vita dei porti e delle città di mare, imponendo nuove soluzioni infrastrutturali e operative. In questo scenario la tecnologia ha saputo offrire strumenti impensabili fino a pochi anni fa: la PPU, con le sue funzioni di precisione satellitare e l’integrazione con sistemi come l’AIS, rappresenta un alleato prezioso per il Pilota.

Eppure, nessun dispositivo elettronico potrà mai sostituire l’esperienza, la sensibilità e il coraggio dell’uomo di mare. La manovra di una grande nave in porto non è mai soltanto un calcolo di dati: è un equilibrio delicato tra tecnica e intuizione, tra decisione rapida e pazienza attenta, tra prudenza e responsabilità.

Ogni Pilota sa che dietro lo schermo della PPU c’è sempre il battito del proprio cuore, la concentrazione assoluta, la fiducia in sé stesso e nei compagni di lavoro. Oggi la tecnologia riduce i rischi e restituisce possibilità impensabili fino a pochi decenni fa, ma resta sempre l’uomo a trasformare i numeri in sicurezza e a condurre, con fermezza e umiltà, i giganti del mare al sicuro ormeggio.

 

IL GIGANTISMO NAVALE

https://www.marenostrumrapallo.it/giga/

 Carlo Gatti

Venerdì 13 Febbraio 2015 

 

QUANDO A GENOVA SI FACEVANO LE GRANDI OPERE PORTUALI

https://www.marenostrumrapallo.it/diga/

30 novembre 2015

MANOVRA IMPORTANTE NEL PORTO DI GENOVA

YM Wondrous

CALATA SANITA’ – SECH 

https://www.marenostrumrapallo.it/sek/

 

 

 

Carlo GATTI 

Rapallo, venerdì 3 ottobre 2025