La scomparsa DI STEFANO "NITTI" RISSO

STEFANO RISSO "NITTI"

E' MANCATO!

Dicembre 2014 - L'ultima Conferenza di Nitti alla Lega Navale di Chiavari

Taranto 1934 - Sestri Levante 2014

 

INGEGNERE NAVALE E UOMO DI GRANDE CULTURA, ERA SICURAMENTE UN CHIAVARESE DOC

 

Da tempo era socio-conferenziere di MARE NOSTRUM RAPALLO

 

 

Dopo un male incurabile che ha avuto il  lungo decorso di un anno è mancato all'ospedale di  Sestri Levante l'Ing. Stefano Risso, per tutti "Nitti". E' mancato la  mattina del 28 Dicembre 2014,  di buonora alle 5,  quando nessuno se lo aspettava, anche se ormai le sue condizioni erano gravissime.

 

Era nato  a Taranto nel 1934,  per "ragioni belliche", diceva scherzosamente,  da Luigi Risso, Tenente di Vascello della Regia Marina, e Lina Canepa, Chiavaresi doc del rione Scogli.  Il padre Luigi era figlio di Stefano Risso detto "Pedrin Troppaciappi” per i suoi infiniti impegni che spesso non riusciva a portare a termine appunto per le sue troppe occupazioni. I Risso, erano  una delle tante famiglie che hanno fatto la storia degli Scogli, la vera storia, non quella dei "furesti",  per il loro lavoro nelle  costruzioni navali e non solo.   I Risso erano 7  tra fratelli e sorelle. I fratelli del “Troppaciappi”, cioè di suo Nonno, figura mitica del Rione Scogli, erano il  fratello  Luigi Risso detto “Scruscin”,  Bartolomeo detto “Caachin”,     Stefano (altro Stefano) detto “Mamun” deceduto a 25 Anni; e poi c'era  Ida, coniugata a Paggi Pietro, Angelo detto "Cialan" famoso Calafato e Maria coniugata Tommasino Vittorio detto Cicìa.  Ma tra le varie parentele c’erano anche  i Ruocco (ricordiamo Emilio deceduto nella tragedia della Regia Corazzata Roma il 9 Settembre 1943) così come  i Moladuri  e come detto anche i Paggi e i Tommasino, questi ultimi legatissimi al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari per via del Co-fondatore Franco detto "Mario".

 

"Nitti" parlando degli antenati diceva che il nome Stefano e Luigi era sempre presente e ricorrente in qualche ramo della famiglia portando a volte confusione nelle varie parentele. Diceva schezosamente che i suoi parenti nei nomi non avevano molta fantasia. Infatti notiamo anche che Stefano Risso "Troppaciappi" era padrino del fratello più piccolo anche lui di nome Stefano detto "Mamun" ! A parte poi che "Nitti" si chiamava Stefano e molti altri cugini portavano il nome di Luigi o Stefano ! Un vero ginepraio per chi non è di famiglia.

 

"Nitti" da bambino trascorre qualche anno a Taranto, dove appunto suo padre era destinato come ufficiale di Marina, poi Venezia, Pola e, allo scoppio della guerra, a Chiavari, presso la nonna Oliva Sarmoria, moglie appunto del "Troppaciappi".

 

Passano pochi mesi dallo scoppio della guerra il 10 Giugno del 1940 e Luigi Risso, suo padre, Comandante della Torpediniera Palestro, scompare in mare con la sua nave, silurata da un sommergibile nemico nel basso Adriatico del Settembre 1940. Medaglia d’Argento al Valor Militare,  a lui è intitolata Via Luigi Risso proprio nel suo rione, gli "Scogli".

 

Al Comandante  Luigi Risso,  Medaglia d’Argento al Valor Militare viene intitolato il "Concorso Narrativa 2008" col patrocinio dell'UNUCI  di Chiavari – Scuola Telecomunicazione FF.AA. –  del  Comune di Chiavari - Comitato d’Intesa Associazioni Combattentistiche – Comune di Lavagna – Comune di Sestri Levante.

 

Per la cronaca si classificherà al primo posto Ernani Andreatta con l'elaborato "Falciato da ordigno infame - e .... già era la pace" - Un storia terribile in memoria di Silvio Santini detto "Muneggia", perito in mare per un atto di solidarietà,  che è anche uno spaccato di come si viveva nel Rione Scogli prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale.

 

 

La tragedia di suo Padre influisce molto sulla vita di Nitti, soprannome datogli da uno degli attendenti del padre, in quanto gli sarà ostacolata,  sempre,  dalla mamma,  la sua ambizione di continuare in Marina le tradizioni di famiglia.

 

Orfano di padre, già appena maggiorenne, "Nitti" mostra subito il suo ingegno e capacità dando lezioni di matematica ai giovani laureandi di Ingegneria. I soldi erano pochissimi - diceva - dopo la guerra e mia madre faceva i salti mortali per mantenere me e mia sorella Luciana, ormai deceduta. Così anch'io mi arrangiavo con qualche ripetizione.  La pensione di mio Padre "morto per la Patria" diceva con rispetto e malinconia,  tardò molti anni e poi era una vera e propria ben "misera pensione".

 

Segue quindi la classica routine degli studi, fino alla laurea in ingegneria ottenuta con 110 e lode, e i primi impieghi in grandi società internazionali.

 

Col passaggio ad una terza società americana, a quei tempi ogni tipo di lavoro era a portata di mano, avviene il cambio di indirizzo professionale, da tecnico a commerciale.

 

Seguono le nozze con Andreina Varani, - ieri 27 Dicembre compivano 43 anni di matrimonio -  al quale era legatissimo e lo ha assistito in questo suo ultimo anno di vita con una straordinaria e commovente dedizione.

 

Nitti, in seguito, cambia ancora professione in un certo qual modo   e passa ad una quarta società - questa volta tutta italiana - col grado di direttore commerciale e un incarico tutto particolare, cioè la creazione dal nulla di reti commerciali in territori "vergini" .

 

La nuova società si interessa di progettazione e costruzioni di impianti di poliuretano o materiali similari.   Incarico un po' difficile, e molto complesso, ma molto attraente e di grande soddisfazione - "quando riusciva", diceva, "ma riusciva quasi sempre".

 

Continuano così le peregrinazioni per il mondo, cominciate già con la società americana, ma ora in modo più intenso, in Europa, Medio Oriente, Estremo Oriente tra cui Singapore di cui parlava spesso e gli ultimi tempi, Sud America.

 

Parlava molte lingue "Nitti" a parte l'Inglese, il Francese e lo Spagnolo, non disdegnava nemmeno il Tedesco e il Russo, che sapeva anche scrivere o il Croato che era un pò la sua passione.

 

Dopo 44 anni di lavoro, arriva la meritata pensione, ma gli impegni personali non diminuiscono, anzi. I famosi calendari di Nitti disegnati tutti a mano e a colori, per l'ultima società, sono dei capolavori di spaccati di storia di grandi avvenimenti interpretati a modo suo con una infinità di micro figure incredibili a realizzarsi tutte a mano libera,  come solo lui sapeva disegnare e spesso "inventare", ma il risvolto storico non mancava mai.

 

Una dote che stupiva tutti e che i tanti amici potevano ammirare senza mai poter capire come potesse realizzarli.

 

L'ultima sua opera, il calendario  del 2015 ha per tema la costruzione della Torre Eiffel a Parigi. Anche se ormai molto malato è riuscito a partarlo a termine nel novembre scorso con incredibili sforzi fisici e non solo.

 

E poi i  modelli di navi, perfette riproduzioni in scala di mitici bastimenti  come il Cutty Sark, la Victory ecc. Delle attrezzature di grandi velieri e vascelli, conosceva tutta la numenclatura a memoria e ne snocciolava i nomi come se li stesse leggendo in un manuale. Nessuno poteva competere con la sua memoria. Era una vera e propria enciclopedia vivente e con riluttanza accettò di comprarsi poi un computer dato che lui "internet" diceva scherzando, ce l'aveva in testa, ma non era una presunzione,  era praticamente la verità. E poi, le conferenze alla Lega Navale di Chiavari che erano attesissimi avvenimenti per gli appassionati di storia e non solo,  anche per la verve e la simpatia con la quale sapeva parlare di storia naturalmente navale o marinara. L'ultima conferenza che ha svolto è stato uno sforzo non da poco tenuta il 13 Dicembre ultimo scorso alla Lega Navale,  sul tema del confronto tra il rigalleggiamento delle navi tedesche autoaffondare a SCAPA FLOW e il rigalleggiamento della COSTA CONCORDIA all'isola del Giglio. Uno sforzo immane perchè il male lo stava ormai divorando, ma lui ha voluto ed è stato sempre lui, "Nitti" uno straordinario personaggio, irripetibile, per intelligenza e simpatia non comuni e soprattutto nell'arte figurativa,  che non ha riscontri. Non disdegnava conferenze anche in altre associazioni come a Novembre 2014 a Mare Nostrum Rapallo e così come dibattitti in Televisione a Entella TV in compagnia dell'amico Mino Orbolo per l'Associazione Culturale "O Castello" di Chiavari a volte   in duetto  con Ernani Andreatta.

 

Dal 2011 al 2013 è Presidente dell'Accademia dello Stoccafisso e del Baccalà "Rinaldo Zerega" fondata nel 1999.

 

E poi ancora i suoi  viaggi, finalmente per turismo! Con l'inseparabile Andreina,  ultimamente quasi sempre in Europa,  dove la Spagna e la Francia erano le sue mete preferite spesso per ragioni "gastronomiche"  dato che era anche un cultore del mangiar bene e bere ancora meglio,  con visite a Musei o Mostre Navali di tutte le nazionalità per vedere cosa facevano gli altri nel settore della storia navale, perchè il mare ce l'aveva sempre  dentro.

 

Il DNA del "Troppaciappi" o dei suoi molti parenti o di suo padre Luigi Risso era incancellabile.

 

Per molti anni fu appassionato di vela e con la sua barca andava per mare con perizia, dove effettuava piccole crociere sempre con l'inseparabile "Andreina". Poi alcuni anni fa la vendette dicendo che "non era più il caso".

 

Crediamo anche di fargli piacere a "Nitti"  di nominare il suo ultimo cane,  "la Sheila" una bestiola un pò ingombrante ma alla quale entrambi i coniugi erano molto affezionati  e che gli è mancata alcuni anni fa.

 

 

Ultimamente con il suo computer si era dedicato  alla catalogazione delle migliaia di fotografie fatte in giro per il mondo, che diceva lui "richiederebbero giornate di 48 ore invece delle normali di 24".

 

Nitti era un vero genio sia per  sua capacità di memoria di qualsiasi avvenimento storico, sia per l’arte della riproduzione figurativa con sua propria inventiva a corollario delle sue opere. I suoi disegni, i suoi quadri, sono straordinari,  suo anche il Presepe con personaggi degli Scogli in statue di legno del 2007 e poi ripristinato nel 2012 dagli "Amici del Mare e degli Scogli" nonostante alcuni "vandali" come li chiamava lui,  avessere buttato via e distrutto tre delle sue bellissime statue.

 

Lascia un vuoto incolmabile "Nitti", non solo alla sua amata “Andreina” o “Gigia” come la chiamava affettuosamente lui dove non faceva nulla senza la sua approvazione, senza il suo parere. La sua “Gigia, nell’ultimo anno di vita non lo ha lasciato un minuto, anche se lui, sempre imprevedibile se n’è andato alle 5 di mattina.

 

Molti amici si sono recati al suo capezzale specialemnte negli ultimi tempi. Marina, Bianca, Francesco, Aldo, Carmen,  Marisa e il sottoscritto. Ma da "Nitti" ci si andava volentieri perchè anche malato era sempre lui, "Nitti",  col suo sorriso buono e simpatico e lo sguardo negli occhi che tutti ricorderemo sempre.

 

Forse non voleva dare "fastidio" o troppo dolore alla sua "Gigia" perchè tra le altre cose era anche un gran signore ed un uomo molto educato.

 

Ma il vuoto di Amico, di grande Amico,  di uomo di grande cultura,  arte e intelligenza, sarà molto difficile da dimenticare.

 

Da notare che già a verso Marzo - Aprile scorsi certi ospedali gli avevano dato poche settimane di vita, ma lui ha resistito sino a ieri e qualcuno diceva che "Nitti" aveva 7 vite come i gatti. Poi purtoppo anche il suo robustissimo fisico ha ceduto.

 

E’ mancato alle 5 di Mattina appunto, quasi in punta di piedi per non disturbare,  all’ospedale di Sestri Levante,  dove era stato ricoverato dieci giorni prima  dopo infinite peripezie tra Genova,  i vari ospedali della Riviera e casa sua naturalmente.

 

Ora riposa nella camera mortuaria di Sestri Levante con il Rosario che sarà recitato  alle 18 e i funerali che si svolgeranno oggi  alle ore 15.00 del 29 Dicembre 2014 nella Chiesa di San Giovanni a Chiavari. Dopo l'omelia, riposerà per sempre,  nel Cimitero di Chiavari.

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

I QUATTRO che hanno organizzato il Presepe nel 2006

Il Presepe costruito da NITTI

Maggio 2007 - Dipinto Murale di NITTI

NITTI e la moglie ANDREINA

 

ERNANI ANDREATTA

 

 

Chiavari 28 Dicembre 2014

Webmaster Carlo GATTI


 

 

 

 


RITORNO A GANNA

RITORNO A GANNA

Panorama di Rapallo Anni ‘50

L’infanzia è un luogo o un tempo?

Questo si chiedeva Gianna quando pensava a quei giorni della sua vita così pieni e gratificanti da alimentare un rimpianto invincibile.

Il mare di una volta....

Tempo è l’infanzia a Rapallo. I giochi con gli amici, le battaglie, i rischi, gli scontri che avevano reso così vitali quegli anni.

Tempo perché il luogo non esiste più. Distrutto dall’avidità.

Rapallo, Torre Civica

Castello cinquecentesco, simbolo di Rapallo

La bella villa genovese gialla, rettangolare a due piani, ferma sul poggio dominante il golfo, la Torre civica e il Castello.

Parte del Golfo Tigullio visto dalla collina di S.Agostino

La collina di S.Agostino vista dal mare

La grande casa non c’è più.

Circondata dal giardino, il cortile, il berceau e giù l’orto e il frutteto.

E’ distrutta.

Anche il rustico per il contadino allora già disabitato.

E’ sparito.

Era rifugio per il gioco dei ragazzi nelle giornate piovose., Lì si sentivano tutti Tarzan, sospesi alla scala orizzontale procedevano, un braccio dopo l’altro, fingendo che sotto scorressero fiumi gialli, tane di coccodrilli e serpi.

E la grande falegua fornitrice di infiniti proiettili per le battaglie con le cannucce contro la banda di nemici che provenivano dal centro a profanare il loro territorio.

E’ stata tagliata.

La Cappella di S.Agostino

Tutto questo non esiste più, se non nel ricordo.

Anonimi condomini hanno occupato il frutteto e tutto il resto. Alti, sgraziati, addossati, quasi a coprirsi l’un l’altro per la vergogna, hanno fagocitato tutto. Il luogo non esiste più.

Gianna vorrebbe che la sua mente proiettasse i ricordi, le visioni vivide in fotografie, in qualche documento che restasse, dopo di lei a testimoniare quei giorni felici.

Pretese inutili, quei luoghi, quei giorni furono felici a lei, indifferenti agli altri.

Due femmine, quattro maschi tutti i giorni insieme a riempire le ore di giochi, di esperienze, di litigi, di rappacificazioni.

Accanto, al di là della stradina pedonale, l’orto di Cagaspago, dove la banda si concedeva il diritto di razzia dei frutti acerbi, delle primule e delle viole, che raccoglievano con attenzione in minuscoli e profumati mazzetti per depositarli con riguardo sulle tombe abbandonate del cimitero, al quale arrivavano per prati e muri scavalcati, trascurando la strada.

C’è un altro cimitero nei suoi ricordi. Un cimitero di fronte al lago con alle spalle i binari a scartamento ridotto per il trenino di Ganna.

Ricorda la bisnonna come un quadro di Monet, luminosa nel vestito lungo e chiaro di chiffon, l’ombrellino di seta e avorio aperto ad ombreggiare il viso rotondo, incorniciato di riccioli bianchi, ferma al cancello in attesa che lei bambina finisse di raccogliere, con grande stupore, dei fiori gialli e viola.

- Che fiori sono, nonna? –

- Viole del pensiero, nascono qui, vicino ai morti per farli ricordare.-

- Sì, mi ricorderò per sempre.-

E così è stato, pensa Gianna, sorridente.

Chissà perché certi particolari insignificanti si fissano nella memoria così vividi, colorati come se fossero appena successi.

Se Rapallo è il tempo, Ganna è il luogo.

Dopo l’infanzia c’era ritornata da giovane riluttante, solo per accompagnare la mamma che ci ritornava volentieri. La visita non l’aveva emozionata. In quel momento l’infanzia non era importante per lei. Perennemente innamorata odiava allontanarsi da Rapallo anche per una sola settimana e, durante i giorni della lontananza, il suo pensiero tornava ossessivo al suo ragazzo, senza vivere la realtà presente.

Da quando era diventata anziana era emersa la nostalgia dell’infanzia e il desiderio di rivederne i luoghi.

Per Rapallo sarebbe stato semplice se il luogo fosse sopravvissuto alla speculazione edilizia, perché Gianna viveva lì.

Per Ganna invece avrebbe avuto bisogno di un compagno più disponibile, ma Franco era riluttante a muoversi. Così Gianna aveva coltivato a lungo questo suo desiderio, senza mai realizzarlo. Ogni tanto lo rispolverava come un ricatto o una lusinga.

Sì, io ti accompagno a Lugano alla mostra dei coltelli, ma ci fermiamo per il week-end, così facciamo in tempo a passare da Ganna. Vorrei tanto rivederla.-

- Figurati, ma cosa c’è a Ganna da vedere! Andiamo a Lugano in giornata guardiamo la mostra e facciamo un giretto lì.-

- Non se ne parla, vacci da solo. A me non interessa la mostra, a me interessa Ganna. Come io vengo incontro a te, tu potresti venire incontro a me e saremmo contenti tutt’e due. –

- E’ che tu hai sempre dei desideri così stravaganti. Ganna, un paesino di campagna, sperduto. Mi toccherebbe fare un giro... No, no non me la sento.-

Così le occasioni sfumavano e il desiderio cresceva.

Finalmente arrivò la coincidenza giusta. Un cugino di Gianna doveva recarsi urgentemente a Lugano per un affare, ma aveva l’auto dal meccanico. Le  chiese in prestito la sua macchina. Gianna acconsentì chiedendo in cambio di poter andare anche lei.

Il cugino non fece storie e. al ritorno, percorsero la vecchia strada Ponte Tresa Ganna.

Già sul ponte di Tresa Gianna si rivide piccolina, con le tavolette di cioccolato goffamente nascoste sotto il cappotto e, pur senza averla in bocca gustò il sapore della cioccolata svizzera che da piccola la faceva impazzire.

Ecco il lago di Ghirla. lo rivide ghiacciato come nell’inverno del ’45, quando ci si andava a pattinare a turno, perché i pattini erano solo un paio. E la voce degli adulti: - Attente, non andate al centro. E’ sottile, potrebbe rompersi. -

Poi Ganna, un po’ diversa sulla provinciale. Manca l’edicola con i tre scalini, il macellaio, ma c’è l’ufficio nuovo della Posta.

Posteggiano, scendono e si affrettano nella stradine centrali. Sono asfaltate. Gianna ricordava i blocchi di porfido, le dalie al bordo degli orti, l’odore di stalla, proprio lì, nel centro del paese. Scende verso quella che era la stazione del trenino, non c’è più, lo sapeva, ma l’immagine globale è simile a quella del suo ricordo, tanto da farle trattenere il fiato. Il torrentello dove pescava gamberetti trasparenti gustosissimi. Sullo sfondo il campanile quadrato, dietro la Martica, davanti il monumento ai caduti.

Gli occhi si velano di commozione, la bocca sorride.

Si ricorda bambina con Lucia e Federico. Insieme giocano a saltare l’inferriata di ferro che circonda il monumento. Il primo salto va bene, ci prendono gusto. La seconda volta lei salta troppo basso, non supera bene la cancellata ed una lancia di ferro le taglia profondamente la coscia, in alto vicino alla natica. Risente il calore del sangue che esce abbondante sulla sua mano che cerca di chiudere la ferita, il suo pianto spaventato, la fatica di risalire fino a casa accompagnata dai due amici che la sorreggono, uno per lato.

Rivive lo spavento della mamma che deve gestire una ferita così importante, senza l’aiuto di un dottore.

La prima medicazione non regge. Qualcuno va a cercare il medico a Marchirolo Arriva, le sembra un orco. Parla a voce alta, decide di chiudere la ferita con i punti a graffetta, sottolinea il pericolo dell’infezione tetanica, ma anche il pericolo del siero antitetanico. Lascia ventiquattro ore di tempo alla mamma per decidere da sola sul da farsi.

La povera donna non sa cosa decidere. Di fronte alla casa colonica dove abitano Gianna , la mamma e la famiglia di Lucia e Federico, c’è una bella villa bianca. Villa Campiotti appartiene a una famiglia di Varese, benestante e numerosa. Sembra che qualche figlio studi da dottore. La mamma si fa coraggio e va a chiedere consiglio al giovane studente. Si decide di fare l’antitetanica. A questo punto gli urli di Gianna superano il muro del suono. Ha una irrecuperabile paura degli aghi e delle iniezioni.

Se pensa a quello che le è successo nella vita, sorride di quella bambina spaventata per così poco. Quante ne ha passate e superate negli anni! La paura però è rimasta: ogni visita, accertamento, intervento le procurano insostenibili ansie e malesseri.

- Signora, lei somatizza. – le dicono i medici.

Bella scoperta, almeno le insegnassero a sbloccare questo meccanismo malvagio.

Ora il monumento e la recinzione le sembrano meno maestosi e alti, ma l’emozione di ritrovarli è potente.

La badia di San Gemolo

Da lì in su è tutto come allora. La strada in salita con i blocchetti di porfido, la badia di San Gemolo bella e triste come si conviene ad un martire decapitato  Sulla destra il convento, le scuole delle suore, nel giardino ancora intatta la grotta di Lourdes con la Madonnina bianca e le mani giunte.

- Com’è kitsch! – esclama Gianna guardando la grotta in calce e cemento. – Da bambina mi affascinava,  sarei stata ore a guardarla..-. E’ felice di ritrovare tutto tale e quale.

Ecco alla fine della salita la casa colonica con il grande terrazzo in legno scuro, coperto dalla tettoia, dove venivano appese le pannocchie di granoturco raccolte nel campo  davanti a casa.

A questo punto Gianna lascia che l’emozione prenda il sopravvento e piange di gioia, di commozione, tutto il suo corpo vibra come fosse percorso da una scossa. Ricorda con gli occhi della memoria il giallo delle pannocchie, risente il cigolio dell’altalena anch’essa appesa alla trave del terrazzo. Quante ore trascorse su quell’altalena: da sola, in due, in tre. Federico seduto e lei in piedi sull’altalena a dare la spinta piegando ritmicamente le ginocchia. Ad ogni spinta avvicinava il bacino al viso di Federico, che sceglieva sempre quella posizione, in un inconsapevole gioco sensuale.

Davanti alla casa c’è ancora il sentiero, grigio di ghiaia, che porta alla sorgente di San Gemolo. Un posto che l’attirava per l’acqua e l’impauriva per la salma incartapecorita del Santo conservata nella cappelletta vicino alla sorgente.

Non c’è tempo per salire i sentieri della Martica per vedere se ci sono ancora i ciclamini così profumati. Sulla via del ritorno verso l’auto incontrano il cimitero. Gianna entra e, come guidata da un istinto, si dirige a destra. Una, due, tre, cinque tombe. Si ferma. E’ la tomba della sua bisnonna. La fotografia ancora nitida, il marmo in ordine. Nonna Carlotta, il pensiero è sempre più forte della realtà in lei. E Gianna la ricorda paziente sotto l’ombrellino a dirle delle viole del pensiero.

Ne cerca una in giro, la trova, anche loro sono rimaste. Ne raccoglie una con delicatezza e l’appoggia sulla tomba della nonna.

Il cerchio dei ricordi si chiude in questo gesto antico: come faceva a Rapallo, così a Ganna.


Ada BOTTINI


Rapallo, 30 Dicembre 2014




NAVI PASSEGGERI NEL TIGULLIO

 

NAVI PASSEGGERI NEL TIGULLIO

 

In questa immagine si nota una nave della P&O alla fonda nel Tigullio. Notare i simboli delle due eliche prodiere di manovra. La nave é ultra moderna. La sicurezza é assicurata.

Chi ebbe l’ardire di emettere l’ordinanza post-Giglio, forse ha cambiato idea. Nel frattempo, qualcuno del ramo deve avergli consigliato di farsi  una crociera nell’arcipelago di Stoccolma, dove le stesse navi da crociera che sostano a Venezia, sbucano improvvisamente dal nulla svettando tra le betulle degli isolotti e poi si “sfiorano in controcorsa” con altre navi di simili dimensioni. Ma, attenzione: gli svedesi non sono degli incoscienti e concedono il passaggio soltanto a quelle navi, anche superiori ai 250 metri di lunghezza, che hanno particolari ed eccezionali caratteristiche di manovra e di tecnologia.

 

Lo stesso spettacolo viene offerto in Norvegia dai grandi postali super tecnologici dell’Hurtigruten che collegano il sud della Norvegia fino ai confini della Russia sfidando scogliere e altri ostacoli naturali in climi difficili e spesso ostili.

 

 

 

In questa stupenda immagine della Royal Princess (P&O) dei primi anni ’70 davanti a Santa Margherita, notiamo innanzitutto la sua vicinanza all’imboccatura del porto. La nave era di tipo tradizionale e non aveva le eliche trasversali di manovra (a prora e a poppa). Noi riteniamo che soltanto per queste navi, superate ed obsolete, dovrebbe valere l’obbligo di ancorare oltre il limite previsto dalle ordinanze. Tuttavia, occorre anche sottolineare che, in cinquant’anni di attività crocieristica nel nostro golfo,  non si é registrato neppure un incidente.

Noi italiani, malati di burocrazia, ma soprattutto d’incompetenza marinara, pur avendo la fortuna di godere del clima più bello del mondo e di spazi ampi e luminosi, ci complichiamo la vita con divieti assurdi che impediscono alle navi ultramoderne di operare e portare quei benefici economici che sono stati, per lungo tempo e per lunga tradizione la nostra più importante risorsa.

Vi siete mai chiesti dove sono finiti i nostri grandi armatori del passato? Il discorso sarebbe troppo lungo, ma vi posso assicurare che le “vie del Mare” sono lastricate di Armamenti falliti per la mancanza di una programmazione del settore trasporti.  Le tanto auspicate “riforme” del sistema MARE-Italia non sono neppure in agenda del nostro Primo Ministro, mentre il resto d’Europa ha  sistemato d’autorità,  da almeno 30 anni, le persone giuste al posto giusto.

 

Ritornando al tema, vorrei porre la vostra attenzione su un particolare che forse vi é sfuggito. Nell’incontro tra esperti tenutosi nel municipio di Rapallo nei giorni scorsi per individuare il punto di fonda per le navi passeggeri, mancava la persona che più di ogni altro avrebbe potuto parlare di navi da crociera, di punti di fonda, di problemi attinenti lo sbarco/imbarco dei passeggeri e della GESTIONE MANAGERIALE DI UNA NAVE MODERNA. Soltanto un Comandante in carriera, o a riposo da poco tempo, conosce e può suggerire soluzioni attendibili con cognizione di causa. Quel Comandante-fantasma avrebbe potuto spiegare ai presenti come queste cose funzionano in Grecia, lunghe le coste Dalmate, in Turchia, ma anche in altre decine di rade del Mediterraneo. Nei porti Caraibici di Cozumel, St. Maarten, St. Lucia, Tortola, Martinica, Gaudaloupe, St. Thomas, Grenada, Barbados, Antigua, St. Kitts, Nevis, Haiti, Jamaica, Portorico, Isla Margherita ecc... esistono banchine (anche tipo finger) completamente sconosciute dai nostri responsabili ministeriali. Inoltre,  in alcune isole, dove le navi devono rimanere  all’ancora perchè le banchine sono occupate, il servizio viene effettuato  da speciali  lance locali, munite anche di bow thruster (elica di prora).  In altre, come Grand Cayman, dove per la configurazione della costa non è possibile costruire banchine, a terra dispongono di Tenders locali (da 250 persone), sufficienti per traghettare i passeggeri di 4 navi di grosso tonnellaggio alla fonda.

 

I problemi si risolvono accogliendo le soluzioni suggerite dai Comandanti-naviganti e non bloccando “burocraticamente” i flussi crocieristici soltanto perché un imbecille é finito sugli scogli ... nonostante altri Comandanti ne avessero sconsigliato il passaggio al comando. Le navi  portano lavoro e denaro ed é un crimine mandarle via!

 

 

In questa foto di 15 anni fa, notiamo che la nave da crociera del nuovo millennio Carnival Destiny aveva già TRE eliche di prora (i tre puntini neri sono visibili a destra dell’ancora). Con questa innovazione tecnologica i Comandanti sono in grado di operare in qualsiasi condizione meteo avendo la possibilità di far ruotare la nave su se stessa, evitando di compiere curve pericolose vicino alla costa o ad altre navi all’ancora. La stessa capacità evolutiva é applicata anche sulla poppa.

Concludiamo con un breve “cenno tecnico” destinato alle orecchie di  chi ha la volontà di capire e agire: le navi moderne si avvicinano a poche centinaia di metri dai porti che non hanno strutture per riceverli, come nel Tigullio, rimangono “ferme” usando le eliche trasversali, sbarcano i passeggeri sulle lance (che dovrebbero essere Tenders locali) li trasportano a terra e poi ritornano in rada. La stessa operazione (con o senza il pilota portuale) viene eseguita per reimbarcare i passeggeri e riportarli a bordo prima della partenza nave per un’altra destinazione. I burocrati di Stato non vogliono conoscere queste opzioni, perché le temono e le respingono essendo troppo rischiose per la loro “poltrona”. Ad ognuno il suo!

Ma é da “marinai da tempo buono” fissare dei limiti senza tener conto dei cambiamenti del tempo. Solo un Comandante può scegliere la soluzione più sicura per ogni condizione ambientale.

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 10 Ottobre 2014

 


RAPALLO: " MAMMA... LI TURCHI" !

Rapallo: " mamma...li turchi " !

Ogni volta che si arriva in fondo alla passeggiata di Rapallo si rivede con piacere il Castello sul mare, opera che l’architetto Antonio Carabo realizzò nel 1551 e oggi assurto a logo della città; al mattino è lui il primo a vedere sorgere il sole e, la sera, è sempre lui a crogiolarsi agli ultimi raggi, prima di dargli la buonanotte. E’ talmente compenetrato nella gente di Rapallo, i “rapallini”, che c’è un laboratorio di pasta fresca che produce i <rapallotti> sorta di ravioli a foggia di Castello

Un simile armonioso paesaggio ha fatto scrivere a Vittorio G. Rossi <I miei occhi hanno visto tante cose nel mondo; ma queste sono le immagini delle mie radici di uomo; saranno dentro di me fin che io ci sarò >.


Rapallo – Torre di Punta Pagana

Pochi però riescono ad intravedere l’altro castello, il suo dirimpettaio proprio a ponente dell’entrata del golfo, oggi diroccato e seminascosto dal boschetto di San Michele di Pagana; è tutto ciò che resta del secondo “stipite del portale” a suo tempo edificato a difesa di Rapallo. Due baluardi contro le galee, le galeotte e le fuste dei pirati tunisini e algerini e non solo che, a metà del secolo XVI, seminarono il terrore in Liguria e nel Tigullio in particolare. Qui, quelle incursioni, furono più sofferte che altrove perché la cittadina, fedele suddita della vicina Repubblica di Genova, da questa s’aspettava d’esser difesa.

Prima di edificarne due così vicini, lo stesso compito era affidato a fortificazioni assai lontane fra loro, una a Sestri Levante e, l’altra a Portofino; ma all’epoca della loro costruzione non era ancora scattata  l’emergenza pirati.

Le realizzarono in epoche nelle quali, a solcare i mari, v’erano solo le navi delle flotte ufficiali dei vari regni che, a causa della loro mole, l’evidente lentezza e la difficile manovrabilità, necessitavano di veri e propri porti attrezzati per potersi ridossare o sbarcare; i barbareschi invece, utilizzando scattanti vascelli veloci spiaggiabili, furono i primi ad attuare, in ogni anfratto abitato, veloci incursioni e subitanee ritirate.

Non a caso ancor oggi, nel dialetto genovese, evidente retaggio dell’epoca, per indicare chi, operando con frettolosa superficialità pur di trarne un qualche immediato vantaggio non dà peso ai maggiori danni che procura, lo si definisce un <töccâ e brùxa >, tocca e brucia, proprio com’erano soliti fare quei predoni del mare.

Oggi si tende a fare confusione fra Pirati e Corsari: in realtà sono ruoli ben precisi.

I pirati, masnadieri senza scrupoli, dal 1400 al 1700 e con alterne recrudescenze, fecero passare notti e giorni insicuri a tutti gli abitanti delle due Riviere così frequentemente che, soltanto quando il mare era in burrasca, si potevano permettere di dormire una notte tranquilla.

I corsari invece erano altra cosa; dettero in più occasioni fastidio alle grandi potenze navali dell’epoca, le quali però, per anni li sopportarono perché, molto spesso faceva comodo dare loro l’incarico di compiere azioni nefaste verso gli avversari, permettendo ai mandanti di raggiungere l’infame scopo senza doversi esporre direttamente.

 

 

 

Patente di Corsa di Corsa di Guglielmo 3° Re d’Inghilterra, Scozia, Francia e Irlanda, ed un corsaro del 1600.

 

In altri casi gli Ammiragliati concedevano addirittura “patenti da corsa” ( da cuicorsari’) per compiere scorribande mirate. Molte volte però i ruoli furono talmente confusi o volutamente deviati che alcuni corsari finirono per divenire rispettabili comandanti nelle varie marinerie delle Loro Maestà e, alcuni capitani di queste, si procurarono cospicue pensioni tramutandosi in ricchi corsari. In entrambi i casi si tratta sempre di eccezionali uomini di mare.

Va’ precisato che i così detti “turchi”, non erano quelli che noi oggi individuiamo come abitanti dell’Anatolia; in quei secoli, tutto l’esotico era definito “turco”, come avvenne per lo sconosciuto mais, che fu chiamato subito “grano turco”.

Algerini, Berberi, abitanti del Nord-Africa e ribaldi navigatori nostrani costituivano il nucleo dei pirati che imperversavano sulle nostre coste, mentre gli attuali Turchi erano, all’epoca, arrivati sino in Grecia; lì v'impiantarono le basi per le loro scorribande, effettuate prevalentemente “davanti a casa”, vale a dire nel meridione d’Italia, imperversando in quel tratto di mare che bagna le due sponde. Il Canale d’Otranto e l’Adriatico in generale, essendo passaggi obbligati per le ricche navi veneziane, erano le loro acque “di pesca” preferite, anche se nel 888 si spinsero fino ad Olbia, cercando di crearvi una base per poter poi attaccare Roma e, nel 934, si spinsero addirittura sino a Genova, che misero a ferro e fuoco, portandosi via ben mille donne più gli ori ed i preziosi saccheggiati nelle Chiese.

Le sempre più frequenti razzie nei luoghi sacri, contribuirono non poco a farli apparire sacrileghi più di quanto, quei predatori, in realtà non fossero; bisogna pensare che le chiese, all’epoca, godevano dell’immunità extraterritoriale, riconosciuta e rispettata da tutti gli Stati “civili” (e chi voleva inimicarsi il Papa?). Erano sempre stati i luoghi ideali dove, in emergenza, porre al sicuro le donne affidando loro la custodia dei preziosi di famiglia. Lì radunate, pregavano per sé e per i loro uomini che sulle spiagge, nelle piazzette e nei carruggi, cercavano di opporre resistenza alle razzie dei pirati, convinte le ingenue, che pure i corsari avrebbero rispettato l’inviolabile sacralità del luogo. Così, purtroppo, non fu.

 

Khair ed Din (c.1480-1546)

 

Senza voler tediare con l’elencazione di nomi d’insolita e non sempre certa grafia, specie nei casi dei più noti, ricorderemo il famoso Khair ed-Din, fratello di Horuk Barbarossa, che aveva base in Costantinopoli; in realtà, si trattava d'Ariadeno Barbarossa, prima corsaro e, poi, Ammiraglio di Solimano I, re Ottomano (inizi del XVI secolo) che fu pure alleato di Francesco I, re di Francia. Fra le tante nefandezze a lui imputabili, c’è il tentativo di rapire la bella Giulia Gonzaga, per farne un “presente” al Sultano; per fortuna lei si salvò, ancorché in camicia, fuggendo precipitosamente nottetempo. Di lui ci resta la descrizione lasciataci dall’abate/ammiraglio Alberto Guglielmotti, scrittore di marineria e compilatore dell’insuperato <Vocabolario marino e militare>, più di mille pagine dedicate ai termini e ai fatti marinareschi, là dove così lo tratteggia <Di pelame rossiccio, di barba folta, di mediocre statura, di forza erculea, era specialmente sgradevole per un labbro spenzolato all’ingiù, che lo faceva alquanto bleso nel favellare, e davagli l’aria di vero pirata. Superbo, vendicativo, spietato e traditore>

 

 

Dragut visto dall’artista  Enzo Marciante

 

Altro pirata da menzionare fu Torghud detto Dragut, il terrore delle Riviere che, spesso, è indicato sotto differenti nomi che mutano da luogo a luogo; la sua diabolica abilità e destrezza e la rapidità degli spostamenti, riuscì a creargli la leggenda dell’onnipresenza.

In fine meritano menzione Ulugh e Kiling Al o Kurtog Al: la grande spada.

Tutti costoro, per certo, erano prima grandi uomini di mare e, purtroppo, in egual misura, ribaldi dall’improntitudine senza pari e, in più con una gran capacità di tessere reti d’informatori a loro fedeli e sempre attendibili. Gli stessi Sovrani, che ufficialmente li ostacolavano, spesso si avvalsero, naturalmente sottobanco, delle loro capacità di saper valutare in base alle conoscenze. Altre volte li utilizzarono per verificare in anticipo, la possibilità di riuscire a portare a buon fine, certe loro mire espansionistiche; più spesso però, li usavano per infastidire o defraudare e indebolire i rivali e, senza doversi rivelare, fare sì che fossero le prede predestinate ad offrire il fianco, onde giustificare agli occhi del mondo, proditorie dichiarazioni di guerre.

Genova, purtroppo, li conobbe non appena i propri commerci suscitarono invidie e rancori fra i vari Re e Principi di mezza Europa, nonché fra i potentati arabi e del medio oriente; non è altrimenti spiegabile il perché questi corsari riuscissero, sia pure alla presenza di Stati fra loro rivali, ad imperversare, vessando tutti per ben tre secoli.

Per meglio capire il loro subdolo utilizzo, può valere quanto accadde nel 1560, ad Emanuele Filiberto, Duca di Savoia che, dopo aver recuperato nel ‘59 il proprio ducato, grazie al sostegno offertogli dalla Spagna contro la Francia, ne risanò le finanze ed, in fine, andò a riposarsi a Villefranche, nell’attuale Costa Azzurra. Non appena la cosa giunse all’informato orecchio del famoso Occhial, rinnegato calabrese che si spacciava per Algerino, con una squadra di galere e dopo aver saccheggiato Taggia e bruciato quel che rimaneva di Roquebrune del Signore di Monaco, già che era in zona e “per rientrare delle spese”, non perse le vecchie abitudini e si propose di assalire Villefranche.

Appena il Savoia fu informato di questo piano e, sapendo che Occhial con quest’ultima incursione avrebbe concluso il ciclo delle programmate empietà in zona, chiese immediato aiuto a Nizza. Prima però che dalla vicina Città arrivassero i richiesti e accordati, a parole, rinforzi, il corsaro attaccò Villefranche, segno evidente che anch’esso, perfettamente a conoscenza dei piani del Duca, poté contare sul fatto che nessuno avrebbe, di fatto, inviato gli aiuti richiesti, quantomeno sino a che lui non avesse portato a compimento il suo piano criminoso.

Da quell’attacco il solo Emanuele Filiberto si salvò grazie ad una non certo dignitosa, ma sicuramente provvidenziale, fuga a gambe levate; chi, nell’occasione, non fu ucciso fu fatto schiavo. Questa delle fughe per salvarsi pare sia un “debole” di famiglia, reiterato negli anni!

Per riscattare i suoi, il Savoia, dovette intaccare fortemente le esigue ed appena ricostituite finanze statali, sborsando ben dodicimila scudi, che, all’atto pratico, si rivelarono pure insufficienti. L’improntitudine del ribaldo fu tale che lo spinse addirittura a pretendere di voler baciare la mano, in segno di pacchiana deferenza, alla Duchessa Margherita, figlia di Francesco I, Re di Francia; facendo buon viso a cattiva sorte, fu accontentato visto che non c’era altra scelta. Corse però voce che lo sfrontato non seppe mai di aver baciato la mano ad una semplice fantesca, travestita per l’occasione: noblesse oblige!

Non solo i Monarchi sfruttarono, in determinati casi, i pirati per poter, restando nell’ombra, far con la forza risolvere ad altri i loro problemi economici, ma anche modesti popolani, n’ottimizzarono la presenza per rivitalizzare le loro eternamente vuote saccocce.

Non pochi abitanti delle Cinque terre si arruolarono al servizio di quei marrani che, operando nel Sud (Toscana e Lazio), trovavano poi riparo al Nord, negli anfratti delle Cinque terre per l’appunto.

Dopo aver partecipato per qualche tempo alle scorribande, i volontari tornavano in patria e, riassettata la casetta, pagati i pochi debiti, anche allora come oggi a chi non aveva soldi non era concesso credito e, offerto l'obolo purificatore alla Chiesa del borgo, ritornavano rispettabili contadini o pescatori ma, con davanti, un avvenire meno gramo. Il poter prendere contatto con i possibili “datori di lavoro” era facilitato dal fatto che in quelle insenature, non raggiungibili da strade percorribili, tagliate fuori dal resto del mondo e al cui isolamento va, oggi, il merito di avercele fatte arrivare intatte, trovavano sicuro riparo molti corsari; gli abitanti dei luoghi erano talmente poveri da non aver mai fatto gola ai predatori così che, questi ultimi, non risultavano neppure invisi, anzi. Infatti i pirati, durante quelle soste, rifornivano le loro poco capienti cambuse dando lavoro ai locali e, ben protetti, architettare nuove incursioni alle ricche navi che transitavano un poco più al largo dei siti nei quali si nascondevano.

E’ indubbio che in Liguria il 1500 va ricordato come il secolo del loro massimo strapotere; l’essere continuamente vessati, obbligò i paesi rivieraschi, da sempre in lite uno contro l’altro, a modificare, adattando alle nuove esigenze, oltre che la mentalità, persino le rispettive strutture urbane, se volevano proteggersi. Un esempio lo si può avere ancora oggi a Rapallo, osservando l’architettura che costeggia l’attuale bella passeggiata. Le vecchie case, all’epoca costruite al limitare della spiaggia, avevano i muri prospicienti il mare più spessi e robusti degli altri; furono aperte quelle minime indispensabili finestrelle realizzandole in alto, così da renderle meno raggiungibili e, essendo piccole, più facilmente ostruibili; solo ai piani superiori qualche utile balconcino per avvistare l’arrivo dei predatori. Questa catena di case vicine una all’altra, quasi mura di un fortilizio, erano interrotte solo per accedere al mare, da piccoli varchi da cui si dipartiva il “carruggio”, il vicolo ligure, facile da rendere inagibile scaraventandovi dalle finestre le masserizie domestiche, così da formare una barriera difficilmente scavalcabile.

Ciò nonostante tutto questo si rivelò, troppo spesso, inutile perché i predoni potevano, sempre più, contare su qualche delatore che, per un pò di danari, apriva loro dall’interno le porte della cittadina.


Stemma della Repubblica di Genova

Resisi conto dell’inutilità degli sforzi compiuti autonomamente, i capipopolo dei vari borghi sino allora fieri della loro indipendenza, dovettero chiedere protezione a Genova, accettandone le condizioni in cambio di costruzioni fortificate e relative guarnigioni armate. La Repubblica accettò ma impose che i forti che essa avrebbe costruito, fossero realizzati a spese dei richiedenti i quali, se lo volevano, potevano anche contare su di un corpo di guardia che, naturalmente, dovevano impegnarsi a pagare. Questa è anche la storia dell’Antico Castello di Rapallo e del suo dirimpettaio.

Risale a quell’epoca la creazione della catena di torri d’avvistamento distribuite lungo l’intera costa e, qua e là, realizzate pure lungo i primi tratti delle vallate che davano facile accesso all’entroterra, specie quelle che aprivano al Piemonte; un vero e proprio sistema di comunicazione visiva. Nonostante tutte queste precauzioni, purtroppo il sistema segnaletico si rivelò, in molte occasioni, inefficiente; il vero problema consisteva nel mancato controllo del mare, perché era proprio da là che bisognava assolutamente reprimere sul nascere le incursioni.

Tutte le marinerie ne lamentavano il disagio tanto che la Repubblica di Genova, a metà del 1400, noleggiò <per due mesi due navi a seimila lire > da tale Battista Aicardo, nome di battaglia <Scaranchio>, nativo dell’attuale Porto Maurizio, affinché con le sue trireme <operasse contro i mercanti > barbareschi.

Costui, estendendo arbitrariamente il mandato ricevuto e sentendosi protetto da tanta committenza, non esitò ad assalire, pro domo sua, anche legni non strettamente corsari; ne fecero le spese Pisa e Firenze che subito si lagnarono con Genova, richiedendo cospicui risarcimenti. La Repubblica, per tutta risposta, fece orecchio da mercante (e ti pareva!), forte del fatto che il mariuolo, pirata metropolitano ante litteram, effettivamente era un cittadino ligure ma non genovese e, quindi, non soggetto a rispettare ne le leggi vigenti a Genova ne gli accordi da essa sottoscritti con terzi.

Il “Nostro”, sempre più impunito, presumendo di aver sempre le spalle coperte, osò attaccare persino le navi del Re del Portogallo: apriti cielo. Scoppiò il finimondo e solo l’energico intervento del Papa, che Genova aveva sempre rispettato e la cui benevolenza le era indispensabile per essere, a sua volta, rispettata, riuscì a riappacificare gli animi.

Già allora, come ancor oggi capita quando l’Autorità rinuncia al suo ruolo, la pirateria invase quei “vuoti” e ben presto si propagò in tutto il Mediterraneo e sulla di lei scia impunita, altri si attrezzarono per solcare i mari con eguali intenti ribaldi.

Uno per tutti fu il “corso” Nando Anechino, specializzatosi nel depredare navi tunisine; in altre parole <andava a rubare ai ladri >. Un bel giorno il Bey di Tunisi si stufò e, per rappresaglia contro i danni infertigli dal corso, fece rapire alcuni abitanti di Bonifacio, città natale dell’Anechino, e pretese, per liberarli, gli fossero pagate forti somme per il riscatto.


Carlo V – Re di Spagna

 

Ammiraglio Andrea Doria

Da parte sua, Carlo V, Re di Spagna, amico personale del nostro Andrea Doria, lo incaricò di disinfestare i mari dai pirati; il Doria li combattè con tale abilità e fervore, che il suo nome, presso i barbareschi, era sinonimo di Capitano tremendo, mitico e irresistibile.

Tanto rigore per il buon nome di Genova? Certamente sì, ma non è da sottovalutare l’allettante incentivo che gli si offrì; tenersi tutto ciò che catturava. Lui, fatti rapidamente un po’ di conti, per…. obbedienza, accettò.

Il Doria, più filibustiere di loro, si arricchì a dismisura tanto che, si racconta, quando organizzò un pranzo per Carlo V, ospite sul suo galeone alla fonda davanti al suo Palazzo di Principe, dove oggi c’è la Stazione Marittima di Genova, a fine pasto fece scaraventare in mare, con la scusa di non perdere tempo a lavarlo e dimostrare così la sua potenza economica, tutto il servizio da tavola che pare fosse in oro; però il regale ospite non seppe mai che, preventivamente, tutt’attorno al vascello erano state tese reti, così da recuperare tutto ciò che, con non curanza plateale, era stato buttato a mare.

Una buona parte della sua ricchezza, derivante da quell’incarico è attribuibile al fatto che le navi corsare catturate erano sempre cariche di tesori, sovente appena sottratti ai legittimi proprietari, a volte pure spagnoli, sudditi del suo fraterno amico Carlo V. Ma questo il Doria non era tenuto, formalmente, a saperlo perché i patti erano chiari: poteva tenersi tutto il catturato ma se dall’assalto non fosse uscito bottino, i costi per effettuarlo sarebbero stati esclusivamente a suo carico. Pare che navi vuote non ne trovasse mai o, se doppiandole le riteneva tali, mai le attaccò per catturarle.

Nel caso in cui gli infedeli fossero stati più forti, il Barbarossa lo testimonia, il nostro si guardava bene dall’attaccarli anzi, se li teneva buoni con allettanti regalie, anch’esse, c’è da giurarci, frutto di razzie su navi di loro colleghi meno abili o, come diremmo oggi, privi di  “Santi in Paradiso”.

Strano condottiero questo Doria; ligure, era nato ad Oneglia a metà del 1400, rimase per anni al servizio del Re del Portogallo in veste d’Ammiraglio sino a quando, nel 1529, la Repubblica di Genova, padrona dell’intera Liguria, lo chiamò in Patria con l’arduo compito di mettere ordine in città. Era l’uomo giusto perché “furesto”, in quanto non nato in Genova città, ma comunque ligure e che, grazie all’aver vissuto all’estero, non era compromesso con le faide che dilaniavano la Repubblica e che lui era chiamato a sedare; lui accettò, ponendo alcune condizioni.

Volle essere nominato <Dittatore o Duce > e abitare al di fuori delle mura; conoscendo bene i suoi concittadini dediti a intrighi e  continue faide (la cosa non è cambiata di molto, ecco perché Genova fa fatica a decollare), si costruì un palazzo autosufficiente a Fassolo, appena fuori la porta a ponente della Città, quella di San Tomaso; oggi il suo Palazzo, il Doria Panfili, restaurato e reso efficiente dai suoi successori, è visitabile. Lo dotò di un porto, si circondò d'orti, frutteti e limoneti e si garantì l’acqua dolce, realizzando al Lagaccio, un’altura sopra il Palazzo, un laghetto, “lagaccio” per l’appunto, per contenervela.

 

 

...al centro si può notare lo stemma della famiglia

Doria. Palazzo del Principe, sulla facciata una lapide ricorda uno dei più celebri ospiti...

 

Invitava a Palazzo solo chi lui riteneva suo pari, vale a dire tutti i vari Monarchi europei, tranne che i genovesi e, ovviamente, i francesi per non dispiacere al suo amico Carlo V. Per rendere pubblico questo loro rapporto d’amicizia murò, per tutta la lunghezza della facciata del palazzo, un fascione marmoreo sul quale fece incidere, a caratteri cubitali, l’esaltazione di questa loro solidarietà che ancor oggi è leggibile. Visse sino a tarda età con la sua adorata moglie, Peretta Usodimare, ed un gatto, che volle immortalato vicino a lui, nel suo unico ritratto ufficiale giuntoci.

Ma torniamo ai pirati che, prima del suo intervento, si erano creati, sequestrando qui e rapendo là, un fiorente mercato, frutto dei riscatti che venivano loro pagati per liberare i rapiti. Questi ultimi, se non rapidamente affrancati, finivano offerti sul mercato degli schiavi nordafricano.

Nelle loro oculate razzie, rapivano di preferenza giovani, artigiani, benestanti e non esclusivamente, come a volte si crede, donne; la richiesta di riscatto avrebbe avuto più facile presa se la “merce” offerta era di maggior pregio ed il “vuoto” lasciato presso i loro padroni, difficilmente colmabile.

Gli episodi eroici da parte degli assaliti furono molti; la sera del 2 Luglio 1637, approfittando della stanchezza della gente di Ceriale, che aveva festeggiato la ricorrenza della <Visitazione della B.V.Maria>, trascorrendo la giornata fra processione, suoni e balli, otto galere <turche > sbucarono silenziosamente dal buio ormai avanzato e, giocando sull’incredula sorpresa e la rilassatezza di tutti, portarono via, oltre agli ori e alle suppellettili pregiate, anche 100, ma c’è chi ha scritto 350, cittadini. Fra loro il Capitano Tomasio con l’intera sua famiglia, il signor Lazzaro Testa e le due Carenzio, madre e figlia.

Il fidanzato di quest’ultima, figlio del signor Testa, fu ucciso sulla battigia mentre, folle di rabbia, tentava da solo di liberare i rapiti fra cui appunto la sua fidanzata: disperato gesto di un giovane generoso.

Ottant’anni prima, a Rapallo, all’alba del 4 Luglio del 1549 (in Luglio il nostro mare è abitualmente calmo), Dragut, forte di ventuno navi, decise un’irruzione; addormentatesi, dopo una notte insonne, le scolte disposte a guardia sui vari terrazzini delle case alte, da qui il nome di “terrazzani” con cui s'indicavano quegli incaricati, il pirata poté facilmente rapire oltre cento rapallini <fra i quali furono alcune vergini belle >. Le urla, il frastuono e le bestemmie degli infedeli risvegliarono anche Bartolomeo Maggiocco <grazioso giovane ventenne > che subito si precipitò dalla di lui fidanzata, Giulia Giudice, abitante dove adesso c’è la porta del Sale, una di quelle d’accesso alla città, e la trasse in salvo sulla collina, combattendo.

 

 

L’episodio, vista la conclusione felice, poteva essere ormai dimenticato se il pittore Primi, non ne avesse tratto un quadro, oggi nell’aula consigliare del Comune di Rapallo. Vi è raffigurato il giovine armato d’ascia mentre spacca la testa ad un assalitore, sorreggendo, con l’altro braccio, la fanciulla che, come ogni vergine che si rispetti, penzola ormai svenuta per il terrore, secondo i canoni della pittura romantica.

Come si può intuire, il mercato dei rapiti era fonte d’utili immediati per i pirati che trovavano, nelle nostre frastagliate coste inaccessibili da terra, ottimi ridossi; all’epoca la strada di cornice, che noi chiamiamo Aurelia, non era dove oggi la vediamo ma correva assai più in alto, arretrata e angusta e i pirati trovarono nelle inespugnabili caverne accessibili solo via mare, idonee prigioni per ammassarvi i prigionieri. Erano veri e propri <santuari > mutuando un termine nato con la guerra del Vietnam. Sistemati logisticamente come abbiamo detto, il loro non fu un mercato frettoloso, perché entro certi tempi, ci guadagnavano comunque, potendo contare sui rapiti per avere mano d’opera gratis e, dalle donne, non solo quella. Nell’ipotesi poi che nessuno si fosse fatto vivo per riscattarli, i prigionieri si potevano sempre rivendere come schiavi, l’abbiamo già visto, sui mercati del Nord- Africa.

Quelli che erano rapiti a Rapallo o a Prà, potevano essere esitati dopo qualche giorno a Sanremo e, quelli del posto, offerti a Nizza. Per i parenti di quei disgraziati era un continuo peregrinare per i vari borghi, sperando di poterli riscattare o, in mancanza di soldi, semplicemente rivedere o avere notizie di quelli che in quel momento non figuravano fra i presenti.

Per razionalizzare tutto questo e per aver maggior “peso contrattuale”, i vari Borghi si coordinarono dando il pietoso incarico alle Autorità locali, autorizzate a prelevare i fondi necessari dal montante messo loro a disposizioni da parenti o amici o dai signorotti presso i quali i rapiti prestavano servizio, sino ad arrivare, nei casi di personaggi utili alla comunità, ad attingere a speciali fondi comunali.

 

 

....nel cuore del centro abitato, denominato "dei Bianchi" per il colore delle cappe dei confratelli che, incappucciati e con in mano il flagello, vediamo effigiati nella lapide marmorea quattrocentesca murata all'esterno dell'edificio in vico della Rosa.

C’è da supporre che quest’ultima iniziativa non funzionasse a dovere (già da allora i Comuni non sempre erano efficienti) se è vero che fu necessario creare vere e proprie <Confraternite per il riscatto > a che, utilizzando anche fondi raccolti dalle varie Casacce ormai divenute importante realtà sul territorio, provvedessero a riscattarli.

La stessa Repubblica di Genova dovette istituzionalizzare quest'incombenza, istituendo il <Magistrato dei Riscatti > che non dovette, pure lui, brillare in efficienza se, come scrive il Calvini <L’attività di quest'istituzione….è quasi totalmente sconosciuta >; effettivamente racimolare soldi, per tentare il baratto, non era poi così facile in tempi in cui, troppo frequenti erano le incursioni barbaresche.

Poteva capitare che beni cointestati a più persone, rendessero difficile la loro sollecita monetizzazione, perché i soci, non sempre direttamente parenti del rapito, non volevano vendere o, come proponevano loro gli onnipresenti usurai facendo leva sull’urgenza, svendere; così sino a che la cosa non si definiva, lo sventurato, mal nutrito ed in catene, era esibito, di volta in volta sulle spiagge, attendendo che qualcuno, mentre il tempo scorreva, ne pagasse il riscatto liberatorio.

L’amore parentale non sembra essere sempre stato, neppure allora, la molla della solidarietà se è vero, com’è vero, che la comunità di Laigueglia, nel 1583, lamentava di aver riscattato quarant’anni prima alcuni suoi concittadini e di non aver ancora ricevuto il dovuto saldo, ammontante a 2000 scudi.

Per i non riscattati, l’essere venduti in Africa voleva dire abbandonare ogni speranza di poter tenere i contatti con chi avrebbe potuto, forse, pagare il richiesto; i disservizi oggi esistenti colà, ci possono dare un’idea di come potevano funzione le comunicazioni all’epoca.

Quest'andazzo, con i suoi alti e bassi, cessò soltanto alla fine del ‘700 anche se, ancora nel 1800, si ha testimonianza, sebbene eccezionale, d’un atto di pirateria per riscatto. Con certezza si sa che il primo atto di quest'attività fu l’attacco ad Otranto nel 1480, importante scalo commerciale in mano ai genovesi, sferrato per ordine del Sultano. Vi si consumò una strage così disumana che lo stesso Sultano ordinò che, Sadik Ahmed Pascià, responsabile della spedizione, fosse, a causa della ferocia e del sadismo profuso (premonizione dei nomi!), fosse impiccato in sua presenza utilizzando, allo scopo, una corda per arco; d’altro canto il suo servizio l’aveva reso, e, impiccandolo, si sarebbe risparmiato di riconoscergli il premio pattuito. Spesso fu l’orrido a decidere il pagamento dei riscatti giocando un ruolo importante nelle trattative fra i Capi responsabili; i barili d’orecchie o altre parti del corpo, mozzate ai prigionieri ed esibiti per forzare un pagamento, non si contano.

 

Ci assale un dubbio; quei reperti dei subalterni, recapitati ai rispettivi capi per indurli a muoversi a pietà non è che, una volta fattane la conta, il ricevente potesse avere una esatta percezione di quanti dei suoi aveva perduti e, conseguentemente, ne traesse le debite conclusioni, così da non ritentarci più o almeno attendere, prima di vendicarsi, di averli tutti rimpiazzati?

 

Con simili biglietti da visita è facile intuire l’alone di terrore    che circondasse i pirati. Basti pensare che quando le razzie delle galeotte erano ormai un lontano ricordo, era ancora talmente forte la psicosi che, una notte tre giovani di Pegli, oggi circoscrizione di Genova, sbarcarono da un leudo sulla vicina spiaggia di Voltri e, uno di loro, tale Rosso, per scherzo urlò <i Turchi, i Turchi > che <per fare ciò ha fatto mettere tutte le persone sottosopra > così come ha diligentemente verbalizzato il Capitano delle Guardie, certo Lazagna da Voltri.

 

 

 

Renzo BAGNASCO

 

 

Tratto dal libro: "LIGURIA, AMORE MIO"  di Renzo Bagnasco - Mursia Editore

 

 

 

Rapallo, 13 Agosto 2014

 

webmaster Carlo GATTI


LUCIO MASCARDI, un rapallino da ricordare

LUCIO MASCARDI

un rapallino da ricordare!

2002, Riccione - Campionati Italiani Masters  - Medaglie e record con gli intramontabili(da sinistra):  Lorenzo Marugo, Carlo Gatti, Cristina Grugni, Lucio Mascardi e Alba Caffarena.

 

Una quindicina d’anni fa o forse più, con l’intento di proporre al pubblico di “Mare Nostrum” una ricerca sugli emigranti rapallini nelle Americhe, mi accorsi quasi per caso d’aver avuto, per tanti anni, come compagno di squadra nella RAPALLO NUOTO - MASTER, un autentico personaggio: Lucio Mascardi, un signore d’altri tempi… con un passato “straordinario” che era noto soltanto ai suoi familiari. Lucio era geloso dei suoi ricordi personali e pur avendo una memoria di ferro - era stato  archivista del Comune di Rapallo - non amava rivivere certi episodi che avevano  segnato dolorosamente la sua vita. Per la verità, Lucio, anche quando raccontava le sue imprese a volte veramente drammatiche, riusciva ad insaporirle con aneddoti succosi e ricchi d’ilarità, perché il suo umorismo era tale che, in qualche modo, doveva prevalere persino sulla ferocia dei tedeschi, sul freddo delle steppe russe e sui mitragliamenti a raffica dei tovarish che sibilavano a pochi centimetri dalla sua moto da bersagliere motorizzato. Lucio se n’è andato dieci anni fa, all’età di 88 anni, in  modo avventuroso, così come aveva vissuto, scivolando su una pietra mentre cercava funghi sul monte Aiona con i suoi nipoti. Lucio aveva collaborato ad importanti testate come giornalista sportivo ed era soprattutto un autentico campione di nuoto. Il suo record sui 200 rana è tuttora imbattuto ed è visibile sul display del sito della Federazione Italiana Nuoto.

 

Lucio Mascardi, nacque nel 1916 a Rapallo. Quando era ancora in fasce, come si diceva un tempo, emigrò con la mamma Clorinda Sbarbaro ed il papà Antonio verso il Cile, dove il nonno Tommaso era emigrato a fine ‘800 ed era morto prematuramente nel 1907 sulle Ande, in treno, per malattia. Anche Gerolamo, fratello della mamma Clorinda era emigrato in Cile nei primi anni del ‘900 ed aveva iniziato la sua attività negli Almacien, diventandone  proprietario, in seguito fondò una prima fabbrica di tessuti e poi un’altra ancora più grande a Tomé. Gli Almacien erano i supermercati ante litteram: c’era di tutto e per tutti, ma erano tempi difficili e quando si trovavano decentrati per ragioni strategiche, non mancavano le rapine e gli assalti  tipo far-west. La vita di questi nostri emigranti era improntata al coraggio, all’iniziativa ed alla sfida dei mercati. Gli Sbarbaro, fedeli alle loro origini costiere, fondarono anche una fabbrica di prodotti ittici, la SIAP. Questa società ebbe due rapallesi come soci: Gasparini e Peruggi. Queste fabbriche, per le note vicende politiche, vennero in seguito nazionalizzate e tanti sacrifici svanirono improvvisamente nel nulla. L’impegno, il coraggio, l’operosità di molte generazioni di emigranti, che portarono tecnologia, progresso, lavoro e amore per il “nuovo mondo”, s’immolarono sull’altare delle nuove infauste ideologie.

 

Il destino di Lucio, tuttavia, era stato scritto per essere compiuto sull’altra sponda dell’oceano.

 

“Tomaso di Savoia” – Lloyd Sabaudo /1907-1928)


“Re Vittorio” – N.G.I.  (1907-1929)

 

Nel 1919, tre anni dopo l’arrivo della famigliola in Cile con il p.fo “Tomaso di Savoia”, il padre Antonio moriva e la madre Clorinda, decideva di rientrare in Italia con il piccolo Lucio di 4 anni, contro il parere del fratello e di tutti gli altri parenti; tre giorni di treno sulle Ande e poi il triste imbarco a Buenos Aires sul p.fo “Re Vittorio”.

 

A quel tempo Rapallo era certamente più bella di oggi, ma la vita in Riviera non era  così facile e le opportunità di lavoro erano molte scarse e quando Clorinda, ancora giovanissima, rimase completamente cieca, per lei e per il suo unico figlio, il sopravvivere diventò ancora più difficile. Nel frattempo, le nubi nere del regime facevano presagire tempi ancora più duri e, con l’avvicinarsi della Seconda guerra mondiale, a nulla valsero le rimostranze di Lucio che si opponeva all’arruolamento per non abbandonare la madre in quella penosa condizione. Lucio era diventato un atleta: buon nuotatore-pallanuotista in estate, ed ottimo calciatore d’inverno, aveva un fisico robusto e la Patria, minacciandolo di diserzione, lo inquadrò inderogabilmente nel Corpo dei Bersaglieri.

 

Le truppe italiane inviate sul Fronte orientale Russo tra il 1941 e il gennaio del 1943

 

La Campagna di Russia era l’occasione per pagare l’obbligo morale che Mussolini sentiva nei confronti di Hitler dai tempi della non belligeranza.

 

“Il Duce era sicuro circa il buon esito dell’impresa e confidava nella potenza tedesca e nella scarsa capacità di resistenza sovietica” - Sosteneva Lucio che amava spesso analizzare, da storico appassionato, le vicende della 2° Guerra mondiale -“Mussolini ignorò la pur minima valutazione logistica e ordinò in tempi ristrettissimi la formazione e l’invio al fronte del CSIR (Corpo di Spedizione Italiano Russia) di cui feci parte insieme a più di 60.000 soldati italiani già operativi nell’agosto del 1941 sotto il comando del generale G. Messe. Nel giugno del 1942 questo Corpo iniziale  venne rinforzato ed inglobato in un secondo corpo di Spedizione chiamato ARMIR Armata Italiana in Russia”.

 

Dopo circa un anno speso a difendere un fronte di 270 chilometri lungo il fiume Don, Lucio riuscì a rientrare fortunosamente in Italia per le note ragioni familiari.

 

Giunto a Rapallo – mi raccontò Lucio - Ero intenzionato a rimanervi per sempre. Ne avevo già viste fin troppe… In un primo tempo mi nascosi nei boschi, poi mi consigliarono di darmi ammalato e, grazie al Dott. Bruno, riuscii ad ottenere due settimane di cure mediche, ma poi fui preso dai carabinieri ed inviato con la forza, per la seconda volta, sul fronte russo.

 

 

La situazione, quando rientrai nei ranghi, era ancora abbastanza stabile, poi, tra il dicembre del 1942 e il gennaio del 1943 si scatenò la grande offensiva invernale dell’Armata rossa. Fummo investiti in pieno dall’urto degli attaccanti e, inferiori di uomini e di mezzi, fummo costretti alla ritirata e a marciare per centinaia di chilometri nelle terribili condizioni climatiche dell’inverno russo. Il numero delle vittime tra i nostri soldati italiani fu di 84.830 tra caduti e dispersi; se sono ancora qui a raccontare questi fatti è perché durante la famosa ritirata, io e pochi altri compagni riuscimmo a salvarci rifugiandoci ogni notte nelle Isbe, (erano le case di legno dei contadini russi) dove c’erano solo donne, che ci sfamavano e poi ci ripulivano anche dei pidocchi ed altri insetti che ci torturavano peggio dei P.P.Sh (Pepescia) e delle baionette dei loro mariti in guerra contro di noi”.

 

Isba russa degli anni ‘40

 

La lunga notte buia di Lucio si concluse con lo svanire degli ultimi bagliori di guerra e, grazie alla sua forte fibra cominciò a costruire il suo futuro. Un posto in Comune, un felicissimo matrimonio con Rina, la nascita di Antonella e poi i nipoti Francesco e Tommaso. Una vita che è proseguita serena e metodica dopo il pensionamento e che iniziava ogni mattina con la visita al cimitero alla mamma Clorinda e alla suocera…. che aveva coccolato e protetto fino alla soglia dei cent’anni. Il suo giro giornaliero proseguiva poi con l’ormeggio della bicicletta vicino alla porta principale della parrocchia, un salto al Bar Colombo per salutare gli amici Nebbia e Gallo, un po’ di spesa al mercato e poi il rientro a Costaguta, nel suo regno, nel suo bosco sopra villa Sbarbaro, dove si era rifugiato durante la guerra, dove cercava funghi, dove si “allenava” con il suo fidato rastrello ogni giorno e con qualsiasi tempo. In questo suo paradiso, ogni tanto radunava gli amici, stappava il suo vino migliore e gli trasmetteva, inconsapevolmente, l’amore  per le cose “semplici” come la modestia, il culto per la famiglia, per lo sport e per tutto ciò che emanava con naturalezza da ogni suo poro: l’onestà pratica nel quotidiano e quella intellettuale nei valori etici e morali. Lo spirito religioso era per lui talmente naturale e scontato da non sentirne mai la necessità di esibirlo o nasconderlo.

 

Lucio è stato un grande maestro di vita!

 

Carlo GATTI

Rapallo, 22 Aprile 2014

 

 


Relazione ATTIVITA' MARE NOSTRUM 2013

RELAZIONE

Attività Mare Nostrum 2013

L’anno 2013 è stato ricco di eventi ed avvenimenti che, grazie anche all’attività culturale e promozionale portata avanti dalla nostra associazione, hanno particolarmente arricchito l’offerta storico-documentale dedicata alle nostre radici marinare ed agli appassionati  cultori di storia locale.

 

In linea generale vanno ricordati per il loro valido supporto promozionale il nostro sito sul web, il periodico Il MARE, il MUSEO MARINARO Tommasino-Andreatta ospitato presso la Scuola TTLLC di Chiavari e l’Associazione il SESTANTE di cui il presidente Giancarlo Boaretto é nostro socio.

 

Ciò detto si evidenzia il corposo elenco degli eventi realizzati nell’anno 2013.

 

19 gennaio 2013 alle 16.30

 

L'Associazione "Caroggio Drito" ha organizzato l’incontro sull'affascinante tema:

 

"Dall'antica Pompei alla Santa Inquisizione in Sardegna e in Liguria tra riti magici e stregoneria". Il nostro socio Marinella Gagliardi  é intervenuta insieme a E.Carta. Ha presentato la giornalista Silvana Gamberi Gallo.

 

29 gennaio 2013 alle 16.00

L’Associazione A Compagna ha organizzato l’incontro a Palazzo Ducale sull’avvenimento:

 

"Nave Locarno, un naufragio in salotto con la benedizione della Madonna di Montallegro"

 

Sono intervenuti i soci Emilio Carta e Carlo Gatti con una grande cornice di pubblico.

 

2 febbraio 2013 alle 17.00

 

La Lega Navale Sezione di Chiavari ha organizzato la conferenza sul tema:

 

“Chiavari sul Mare - Così era e così Cambiò” - CAMBIAMENTI DEL LITORALE DI  CHIAVARI NEGLI  ULTIMI 300 ANNI. Relatore il socio Ernani Andreatta che ha proiettato il primo DVD di un’opera che ne comprende ben 6, a cura del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.

 

6 febbraio 2013

 

Mare Nostrum ha presenziato l’Expo SEATEC (AREA UNIMOT a SEATEC 2013) Rassegna Internazionale di tecnologie e subfornitura per la cantieristica navale e da diporto. A cura della Segreteria dell'ATENA di Spezia del cui fa parte il nostro socio di M.N. Marco Prandoni.

 

22 marzo 2013

 

Organizzato  dal Polo navale del DITEN dell'Università di Genova e da ATENA,  si é tenuto a Genova, nel Salone d'Onore di Villa Cambiaso, Via Montallegro 1 sul tema:

 

Organizzazione di un cantiere navale. Evoluzione e prossimi sviluppi. Dalle grandi ristrutturazioni impiantistiche alla diversificazione della produzione.

 

Ringraziamo il nostro socio Ing. Marco Prandoni (cuore pulsante della ATENA).

 

23 marzo 2013

 

Molti soci di Mare Nostrum si uniti agli amici del Sestante nella visita all’Accademia di Livorno, come sempre ben riuscita e ottimamente organizzata dallo staff del Sestante.

 

15 Maggio 2013

 

In concomitanza con l'inaugurazione dell'anno Accademico presso la  Scuola Telecomunicazioni FF AA di Chiavari, c’é stata  l'inaugurazione delle sale che hanno ampliato, in modo molto significativo, il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, Per l’occasione é stata aperta al pubblico la Sala Storica delle Telecomunicazioni.

 

 

19 maggio 2013

 

Abbiamo presenziato presso l’Arsenale di Spezia, alla conferenza sul tema:

 

"PROGETTI INNOVATIVI DI NAVI CON PROPULSIONE LNG".

 

Ottima l’organizzazione a cura del nostro socio Marco Prandoni (Segretario della ATENA – Sezione La Spezia)

 

4 giugno 2013

 

Si é tenuta presso il Circolo Ufficiali Marina Militare – La Spezia la conferenza sul tema: INNOVAZIONI TECNICHE SULLE FREGATE FREMM.

 

13-23 giugno 2013

 

L'Associazione Cardiologica PUNNY ODAGLIA – Presidente Cav. Elena Lavagno Canacari ha organizzato per l’Ambito Cultura una MOSTRA dal titolo:

 

ARCOBALENO DI ARTISTI- MOSTRA COLLETTIVA MULTIDISCIPLINARE DEGLI ARTISTI RAPALLESILa Mostra, patrocinata dal Comune, ha avuto luogo presso la VILLA QUEIROLO. Mare Nostrum é stata invitata per esporre i libri dei suoi esponenti-scrittori: Emilio Carta, Carlo Gatti, Marinella Santi Gagliardi.

 

16 giugno 2013

 

PALIO MARINARO DEL TIGULLIO 2013

 

All’evento ha partecipato come organizzatore il socio Ernani Andreatta con il suo Museo Marinaro nelle quattro prove pogrammate dal 16.6 al 21.7

 

20 luglio 2013

 

Molti soci di Mare Nostrum hanno partecipato alla gita all’Isola del Tino, splendidamente organizzata dalla Scuola di Telecomunicazioni FF.AA. di Chiavari.

 

 

Programmi estivi:

 

Mare Nostrum é stata ospite degli organizzatori dell'Expo ed ha curato alcuni eventi che sono stati promossi pubblicitariamente e in forma gratuita attraverso depliant e pubblicità varie con la programmazione di tutti gli eventi.

 

Mercoledì 31 luglio – 10 agosto

 

Per IL COMITATO DIRETTIVO - EXPO-RAPALLO E TIGULLIO, Mare Nostrum é andata in scena all'Oratorio dei Bianchi presente il sindaco Costa, altre personalità, molti "vecchi" rapallini, testimoni e tanti soci-sostenitori che ci hanno supportato nella rievocazione dell’evento LOCARNO. E’ stata molto gradita la presentazione della pubblicazione: "LOCARNO, naufragio in salotto - Rapallo 3 gennaio 1961" che porta i nomi degli autori Emilio Carta e Carlo Gatti ed é corredata dall’eccellente DVD il cui autore é il comandante Ernani Andreatta. Il nostro socio-grafico ed esperto d’arte Claudio Molfino ha curato la parte fotografica della Mostra.

 

Il naufragio della LOCARNO appartiene ormai alla storia della nostra città e tutti coloro che hanno pochi capelli oppure sono canuti, ieri hanno spostato indietro le lancette del tempo di 52 anni provando le stesse emozioni, lo stesso stupore di quando videro per la prima volta "violata ed aggredita" la LORO PASSEGGIATA.

 

 

Sabato 3 agosto

 

Il Comitato Direttivo EXPO, per il Laboratorio Culturale inserito fra gli eventi dell'Expo,  ha organizzato presso la sala convegni del Gran Caffè Rapallo sul lungomare di Rapallo, un evento speciale con la partecipazione del poeta dialettale rapallese Mauro Mancini: una vera e propria sperimentazione culturale e insieme poetica.

 

I giornalisti Silvana Gamberi Gallo ed Emilio Carta hanno letto i versi di alcuni fra i più significativi poeti universalmente conosciuti: da  Hemingway a Prévert, da Quasimodo a Lorca, da Ungaretti e Carducci a Hughes e Jimenez. Gli stessi versi, tradotti da M. Mancini,  sono stati riletti dallo stesso in lingua genovese creando sicuramente un notevole pathos fra il pubblico presente.

 

Sabato 3 agosto

 

Nella stessa Sala convegni, nel pomeriggio della stessa giornata, si é tenuta la cerimonia per la consegna di un RICONOSCIMENTO ad un importante socio di M.N. Con giudizio unanime del Comitato Direttivo dell'Expo-Rapallo e Tigullio e dell'associazione cardiologica “Il Cuore” presieduta da Mauro Barra  é stato assegnato al giornalista Emilio Carta: il Premio "Scrivo con il cuore", per l'intensa attività giornalistica a favore dell'Anffas Villa Gimelli di Rapallo quale Direttore responsabile del periodico "Penisola".  Un riconoscimento destinato annualmente agli operatori dell'informazione liguri particolarmente distintisi nel settore sociale.  La rivista, diffusa a livello nazionale, si appresta a raggiungere la soglia dei 15 anni di ininterrotta attività e si occupa dei problemi dell'handicap, del sociale e della civile convivenza e del rispetto del prossimo. "Penisola" è nata grazie alla ferrea volontà del Presidente dell'Anffas Villa Gimelli, Rosina Zandano, che del trimestrale è anche direttore editoriale. Con lei ed Emilio Carta, unitamente ad un gruppo di preziosi collaboratori, tra i quali ricordiamo il comandante Carlo Gatti, la rivista ha ormai assunto un ruolo guida nel difficile compito di divulgare problemi e diritti dei diversamente abili che altrimenti resterebbero nell'ombra.

 

Emilio Carta é stato presentato dal medico pediatra Giorgio Mainieri, localmente responsabile dell'Unicef.

 

Domenica 18 agosto


 

Andreatta Ernani, Boaretto Giancarlo, Catena Nunzio, Gatti Carlo e Prandoni Marco hanno portato alcune peculiarità culturali della nostra Associazione in quel covo di Armatori, Capitani e Marinai che é LERICI, città natale del celebre Comandante Francesco Tarabotto. A lui ed al REX sono stati dedicati tutti i nostri applauditi interventi. Ottima l’organizzazione del Presidente Cristina Anastasi che ci ha accolti con grande ospitalità.

 

Per maggior completezza dei dettagli vi rimandiamo al sito di Mare Nostrum dove é pubblicata la locandina-programma degli interventi avvenuti nella serata.

 

Sabato 9 novembre

 

Mare Nostrum ha debuttato con l'inaugurazione della 32a Mostra annuale 2013 presso l’antico Castello di Rapallo. Grande affluenza di pubblico in Comune per la presentazione della 13a Pubblicazione alla presenza del Sindaco e dei rappresentanti delle Associazioni partecipanti, stampa e TV. Si é parlato diffusamente degli argomenti trattati:

 

- Cantiere di Riva Trigoso, il suo fondatore Erasmo Piaggio, i VARI di navi mercantili, il tragico varo della Principessa Jolanda, la figura di Francesco Tappani, rievocata e riabilitata dopo le false "leggende metropolitane" che lo avvolsero dopo il varo.

 

- Molto apprezzate le foto e storie delle Navi Militari varate a Riva T. - curate da M.Brescia e F.Bucca.

 

- Un vero rapallino: l'artista Luciano Bottaro é stato raccontato da E.Carta che al termine ha fatto consegnare dal Sindaco una copia della Pubblicazione alla moglie ed alla figlia dell'artista.

 

- La conferenza stampa si é conclusa con una applauditissima proiezione di un DVD del comandante Ernani Andreatta dedicata al Cantiere Navale di Riva Trigoso, al Capo Cantiere Francesco Tappani ed alla sua successiva carriera di Podestà di Chiavari. Molto apprezzata la storia "tormentata" della Colonia Fara.

 

Mare Nostrum ha confermato la sua vocazione nel riscoprire quelle  pagine di storia rivierasca che sono poco note o addirittura sconosciute.

 

 

Domenica 10  novembre

 

- Il secondo evento di Mare Nostrum dedicato al disastro della Costa Concordia. In pratica, é andata in onda una improvvisata “Recita Teatrale” basata su una serie di documenti prodotti dal regista E. Andreatta". Un improvvisato processo al comandante F. Schettino senza esclusioni di colpi.

 

E.Carta, Moderatore; C.Gatti, Pubblico Ministero; E.Andreatta, Perito di superficie; C.Boaretto, Perito di fondo (fondale); R.Donati nel difficile ruolo di Avvocato (d'ufficio) di F.Schettino.

 

Il dibattito ha avuto uno svolgimento graditissimo al numeroso pubblico presente che, immedesimato nel ruolo d'interlocutore/giuria, ha partecipato appassionandosi alla discussione sui vari PUNTI cronologici del VIAGGIO SENZA RITORNO  della C.C. Gran parte del pubblico avrebbe voluto continuare a formulare domande ed avere risposte ben oltre i limiti di tempo stabiliti. Presenti all'evento numerosi Comandanti, appassionati di mare e i nostri soci che ci seguono e sostengono con grande amicizia e stima.

 

 

Sabato 16 novembre

 

L’evento é stato dedicato ad una “conversazione”  con lo storico di memorie dannunziane Prof. Gian Paolo Buzzi:

 

"Navigare necesse est: d'Annunzio e il mare". Ne é emersa la gigantesca figura di Gabriele d'Annunzio intriso di acqua di mare, potente nuotatore dell'Adriatico, velista, diportista, cavaliere, culturista, poeta, drammaturgo, pubblicista, linguista, storico, politico, ultimo esemplare della “belle Epoque”, traghettatore dell'Italia dall'800 al '900, EROE militare, assaltatore, aviatore, amatore, e decine e decine di altre definizioni e situazioni sono emerse in modo che definire "piacevole" sarebbe molto riduttivo. Il "nostro" prof. G.P. Buzzi, socio della FONDAZIONE IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI, ci ha accompagnato, con la sua profonda conoscenza del VATE, lungo un percorso di storia, infarcita di aneddoti e riferimenti letterari che ci hanno coinvolto grazie soprattutto alla sua capacità di espressione forbita ma mai ricercata, talvolta profonda ma sempre chiarissima, attraente e molto simpatica.

 

Questa atmosfera é durata da quando ci siamo incontrati alle 10.15 fino alle 15.00 quando ci siamo lasciati dopo il pranzo a base di ravioli di Portofino, trippa ecc.....!

 

GRAZIE Professore della sua indimenticabile "CONVERSAZIONE"!

 

 

Domenica 17 novembre

 

Giunti al giro di boa degli EVENTI di Mare Nostrum 2013, c’é stato l’"incontro" con Stefano Risso. L'ingegnere, che ruota a tutto campo intorno al mondo marinaro, ci ha imbarcato sul HMS VICTORY e, servendosi di un ottimo power point, ci ha offerto un interessante "visita guidata" sostituendosi al "quartermaster" della nave-Museo che l'aveva sopportato......con le sue insistenti domande per tre ore e mezzo a Porthmouth (parole sue!). Il racconto dell'imbarco é risultato piacevolissimo,  Nitti ha saputo alternare la descrizione rigorosa della struttura, degli armamenti e degli alloggi a curiosità inedite sul numeroso equipaggio del VICTORY inondando Mare Nostrum d'aneddoti storici talvolta anche macabri e sanguinari, ma veri e quindi graditi perché si era ancora lontani dal pasto...

 

Grazie Nitti e complimenti per la tua competenza enciclopedica e per l'humor britannico che ogni tanto vai a rispolverare sul posto....

 

Sabato 23 novembre

 

E’ stata la volta dei nostri soci: Giancarlo "Gianca" Boaretto - Presidente del SESTANTE, Giampiero "Pighin" Barbieri, Enzo "Enzino" Gaggero - past President. Il TRIO si é esibito nell'ordine citato dopo aver diviso e alleggerito  il CORPOSO materiale accumulato: slide, power point, filmati di grande interesse sia per la qualità sempre ottima, sia per l'interesse degli argomenti. Il 1° conferenziere della mattinata: G.Boaretto ci ha intrattenuto sulla storia antica e moderna dei Fari e Fanali e, tra il serio ed il faceto, ci ha fatto viaggiare “idealmente” nel Mediterraneo antico e moderno portandoci da un faro all'altro, a bordo prima  di una nave oneraria antica, poi su una nave da crociera moderna che costeggia. Il 2° conferenziere Ing.Pighin, astronomo dilettante dal linguaggio matematico, ma “comprensibile” ci ha fatto invece viaggiare su percorsi STELLARI, tra una galassia e l'altra parlandoci di buchi neri e rivelandoci i significati dei colori delle stelle attraverso proiezioni d'immagini affascinanti dell'universo, davvero contagiose...e accattivanti!

 

Il 3° conferenziere, Enzo Gaggero si é assunto con molta bravura, passione e precisione il compito di STORICO illustrandoci le navi della M.M. che hanno portato, e portano nella versione moderna, i nomi delle costellazioni. Navi, stelle e molti aneddoti sulle "stellette" militari, sull'eroe Millo, sulle parate militari del 1962. Un panorama storico davvero interessante nei contenuti e nella rappresentazione effettuata con materiale di proprietà del SESTANTE ma anche proveniente dai Musei della della M.M. quindi originale e di primissimo ordine. GRAZIE E COMPLIMENTI ai nostri amici e soci del SESTANTE!!!!!

 

Sabato 30 novembre

 

Il giornalista, scrittore e documentarista subacqueo trapanese Ninni Ravazza, uno dei più noti esperti internazionali di storia e cultura delle tonnare del Mediterraneo, ci ha intrattenuti con: “La millenaria pesca del tonno non è solo mattanza, ma storia, passione, cultura, amore e rispetto per il mare e per la natura”. A questo vanno aggiunti valori come la tradizione e l'economia.

 

Lo scrittore ha ripercorso inoltre due decenni di vita vissuti assieme ai tonnaroli di Bonagia e Favignana.

 

E’ stato inoltre proiettato il documentario “La tonnara nascosta”, filmato realizzato dallo stesso Ninni Ravazza vincitore del Premio internazionale “Un video per un museo” della HDS sezione del Mediterraneo.

 

Domenica 1 dicembre

 

Per l’ultimo degli eventi in programma, Mare Nostrum ha presentato Carolina Birindelli presidente dell'Associazione Amatori Palio del Tigullio ed il libro: “Il Palio Marinaro del Tigullio 1936/2013. La storia” - Curato dalla stessa Associazione. E’ stato inoltre proiettato lo specifico filmato (DVD autore Ernani Andreatta) dedicato appunto alla storia del Palio. Emilio Carta ha presentato  gli autori: Ernani Andreatta, Andrea Ferro ed Enrico Paini.

 

NUOVI SOCI

 

Diamo il benvenuto ai nuovi soci di Mare Nostrum:

 

Comandante Mario PALOMBO – Comandante Carlo ARNOLDI – Capitano di Macchina Luciano BRIGHENTI – Giornalista e scrittore Renzo BAGNASCO – Ing. Stefano “Nitti” RISSO –

 

RINGRAZIAMENTI:

 

Rivolgiamo un particolare ringraziamento al Comandante Mario Palombo che ci ha tenuto costantemente informati, con la sua specifica preparazione nel ramo navi-passeggeri, sulla tragica vicenda della Costa Concordia, non solo, ma la sua esperienza ci é stata di valida guida nell’intricata panoramica dei problemi “marinari” che caratterizzano la nostra epoca.

 

Un particolare ringraziamento a tutti i soci che pur non rivestendo incarichi nel Direttivo dell’Associazione ci forniscono articoli, fotografie, DVD e collaborazione sul piano culturale in molteplici campi.

 

Ringrazio il Direttivo al completo per il lavoro svolto e quasi sempre oscuro, per la corposa dedizione di tempo alla nostra Associazione, non li nomino perché in questa relazione annuale compaiono spesso con il loro operato sul campo. Concludo ringraziando i soci che pur avendo cariche di prestigio in altre Associazioni non mancano di offrire supporti qualificati rappresentando, oltretutto, Mare Nostrum oltre i confini della cultura storico-marinara della nostra regione.

 

AVVISO: Tutti coloro che desiderino visionare gli “Eventi” di Mare Nostrum 2013 nei dettagli, possono entrare nel sito seguendo il percorso e cliccando:

 

Mare Nostrum Rapallo, Home Page, La bella Rapallo, Ricerca Articoli, Rapallo Arte.

 

 

Il Presidente

 

Carlo GATTI

 

 

 

Rapallo, Mercoledì 8 Gennaio 2014

 


MARE NOSTRUM 2013


Città di Rapallo - Assessorati alla Cultura

Mare Nostrum” XXXII Edizione

Modellismo navale, Arte, Storia e Tradizioni marinare

ANTICO CASTELLO SUL MARE

9 novembre - 1 dicembre 2013

orario: Venerdì, Sabato e Domenica 15-18 - Sabato 9 novembre e Domenica 1 dicembre: 10-12 / 15-18

chiusura: lunedì, martedì, mercoledì, giovedì

IL PROGRAMMA

Sabato 9 novembre ore 10.30: Sala Consiliare

Conferenza stampa d’apertura della 32^ Mostra Mare Nostrum e presentazione della pubblicazione curata da Maurizio Brescia, Francesco Bucca Emilio Carta, Carlo Gatti alla presenza degli autori.

Domenica 10 novembre - ore 11: Centro Incontri del Gran Caffè Rapallo.Il giornalista E. Carta intervisterà i comandanti Ernani Andreatta e C. Gatti su: “Costa Concordia, il naufragio della marineria?” Proiezione di un DVD curato da E. Andreatta.

Sabato 16 novembre – ore 11 Centro Incontri del Gran Caffè Rapall. Conversazione con lo storico di memorie dannunziane Prof. Gian Paolo Buzzi che avrà per tema: “Navigare necesse est: d’Annunzio e il mare”. Proiezioni d’immagini d’epoca.

Domenica 17 novembre – ore 11 Centro Incontri del Caffé Rapallo. Conferenza “La vita e il cibo a bordo dei Vascelli” di Stefano Risso.

Sabato 23 novembre – ore 11 Centro Incontri del Gran Caffé Rapallo. Conferenza sui temi: “La tecnologia non può "rottamare" i fari e i fanali delle nostre coste” - “Che stelle quelle navi. Le navi con nomi di stelle e costellazioni” - a cura di T.V. Enzo Gaggero, il Prof. Giampiero Barbieri. Presenta Giancarlo Boaretto Pres. dell’Ass. Il Sestante. Proiezione di immagini di navi con i nomi di stelle e costellazioni e il mondo delle “stellette” sulle divise dei militari italiani.

Domenica 24 novembre - ore 11 Centro Incontri del Caffè Rapallo. Conferenza “Naufragio in salotto: la Locarno" di E. Carta e C. Gatti. Proiezione del DVD realizzato dal comandante E. Andreatta.

Sabato 30 novembre – ore 11 Centro Incontri del Gran Caffé Rapallo. Conferenza “La tonnara nascosta. Amore e morte fra le reti” La millenaria pesca del tonno non é solo “mattanza”, ma storia, passione, cultura, rispetto per la natura. Interverrà lo scrittore-sub dott. Ninni Ravazza - Proiezione de "La tonnara nascosta” vincitore del Premio Un Video per un Museo 2001 della HDS sezione Mediterraneo

Domenica 1 dicembre - ore 11 Presentazione del libro con DVD.

"Il Palio Marinaro del Tigullio. 1936 - 2013 - La Storia"

Introduce Emilio Carta - Voce narrante nel DVD. Presentano Carolina Birindelli, Presidente Associazione Amatori Palio del Tigullio e gli autori Ernani Andreatta - Andrea Ferro - Enrico Paini

Domenica 1 dicembre – ore 18 Chiusura e saluti agli espositori.

Sala Charlie – I Cantieri di Riva Trigoso

LE NAVI MILITARI VARATE NEL CANTIERE

DI RIVA TRIGOSO

Cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria

A cura di Maurizio Brescia in collaborazione con Francesco Bucca. Questa sezione della mostra "Mare Nostrum", grazie al consueto apporto di immagini d'epoca e attuali (fornite dai più importanti collezionisti e fotografi navali italiani), illustra le numerose unità militari costruite a Riva Trigoso a partire dal 1927 che ai giorni nostri - come nel caso della portaerei Cavour, dei caccia lanciamissili tipo "Doria" e delle fregate tipo "FREMM" di cui è tuttora in corso la costruzione - proiettano la Marina Militare verso i suoi impegni e le sue attività nel futuro.

IL DISASTROSO VARO DELLA

“PRINCIPESSA JOLANDA”

di Carlo Gatti

Per quasi tutto l’800, Riva Trigoso fu un modesto borgo di uomini di mare divisi tra coloro che imbarcavano per il lungo corso su velieri mercantili, quelli che sceglievano la pesca a corto e medio raggio, ed infine il terzo gruppo, dedito alla costruzione di leudi, rivani e gozzi. Chi ha un po’ di salmastro nelle vene, sa che un qualsiasi rivano ha dato molto all’Italia sul mare, e dinanzi al suo patrimonio genetico occorre riflettere e fare chapeau. Il Cantiere navale di Riva Trigoso, grazie alla sua perfetta location, assorbì sia le maestranze locali, sia quelle dei cantieri rivieraschi in via d’estinzione. Questo ‘passaggio di consegne’ garantì, in ogni caso, la sopravvivenza di quel patrimonio di dati tecnici maturato da molte generazioni di costruttori navali. Grazie a questo intelligente connubio, Riva Trigoso diventò in breve tempo uno dei più importanti Cantieri Navali italiani.

Sala Charlie – Nuvole parlanti

Sala Delta – Astronomia

I FARI E LE STELLE, I VERI AMICI

DEI NAVIGANTI

a cura dell’Associazione Il Sestante

www.ac-ilsestante.it email: sestante_vg@libero.it

Sala Bravo - Documenti


A cura del presidente

Carlo GATTI






IL CANNONE DELLE GRAZIE

Seconda guerra mondiale

- I bombardamenti navali di Genova (cenni)

- Le difese costiere di Genova (cenni)

IL CANNONE BINATO DELLE GRAZIE (Chiavari)


Scorcio suggestivo di una batteria costiera che controlla ampi spazi della costa (Sp).

Genova viene attaccata dai francesi.

Il 10 giugno 1940 l'Italia dichiarò guerra a Francia e Gran Bretagna. Quattro giorni dopo, il 14 giugno 1940, una formazione navale francese, alla guida dell'ammiraglio Emile Andre Duplat,  attaccò Genova e Savona con improvvisi bombardamenti navali sulle città. In quella occasione, fu dimostrata  l’inefficienza della difesa costiera composta dalla:


Casamatta della Batteria Mameli

Batteria Mameli. Fu costruita dal Genio Militare nel 1935 sulle alture di Pegli a difesa del ponente della città di Genova. Ricostruita dalla Todt dopo l’8 settembre 1943. Materiale : cemento e acciaio. Armamento: 3 cannoni da 152/50. Occupanti: Wermacht.

Il pontone armato Faà di Bruno a Venezia durante l’installazione dei cannoni.

Pontoni armati semoventi: GM 194 (ex Faà di Bruno) armato con due pezzi da 381/40 in torre binata e sei pezzi antiaerei da 76/40,  due da 20/70 e due da 6,5 mm.  GM 216 armato con due pezzi da 190/45, due da 20/70 e due da 6,5 mm.

Treno Armato T.A.120/3/S ad Albisola

Treni armati che erano alle dipendenze dei locali comandi DICAT  e trainati da locomotive tipo 735FS o tipo 740 FS, in grado di trasportare il convoglio ad una velocità massima di 65 km/h.

Il primo gruppo di treni armati (T.A.) aveva base logistica a La Spezia e il comando operativo a Genova, a cui dipendevano i seguenti treni: T.A. 120/1/S a Vado Ligure, T.A. 120/2/S ad Albenga, T.A. 120/3/S ad Albisola, T.A. 120/4/S a Cogoleto, T.A. 152/5/S a Recco e T.A. 76/1/S (antiaereo) a Sampierdarena. Mentre il secondo gruppo fu destinato alle coste calabresi e siciliane.

Dopo la "Notte di Taranto" dell'11-12 novembre 1940, in cui la flotta italiana fu pesantemente danneggiata da un attacco di aerosiluranti britannici decollati dalla portaerei EAGLE, il resto della flotta italiana fu spostata a Napoli, che il successivo 8 gennaio venne a sua volta bombardata. La corazzata GIULIO CESARE, lievemente danneggiata, fu trasferita il giorno dopo a Genova per le necessarie riparazioni e, a fine di gennaio 1941, salpò per La Spezia.

Il trasferimento della flotta italiana nelle basi dell’Alto Tirreno non fu una felice idea, infatti, gli inglesi pianificarono di bombardare Genova proprio per dare un segnale alla Regia Marina che le navi italiane non sarebbero state al sicuro in alcun porto italiano. Genova fu scelta come obiettivo perché oltre Manica si riteneva che le tre navi da battaglia GIULIO CESARE, CAIO DUILIO e LITTORIO si trovassero ai lavori dentro le vasche dei bacini di carenaggio, o comunque in riparazione presso le officine OARN situate nella stesso ambito portuale. In realtà  era presente soltanto la CAIO DUILIO (danneggiata nella "Notte di Taranto"), ma gli inglesi, pur essendo stati informati di quell’unico obiettivo rimasto decisero, comunque, di procedere con l’Operazione Grog (Nome in codice).

Incrociatore da battaglia HMS RENOWN

Il 9 febbraio 1941, gli Inglesi attaccano Genova

Vista inoltre l’inconsistenza delle difese poste a difesa del capoluogo, il 9 febbraio 1941 gli inglesi fecero un affondo ancora più incisivo e potente dei francesi con l’invio della Forza H, che attaccò Genova mirando ai suoi impianti portuali, industriali e metallurgici.

La squadra navale inglese, comandata dall'ammiraglio James Somerville, era composta dall'incrociatore da battaglia RENOWN, dalla nave da battaglia MALAYA, dall'incrociatore leggero SHEFFIELD, da sette cacciatorpediniere e dalla portaerei ARK ROYAL.  Alle 8.14 la S.N.I aprì il fuoco da 19 km di distanza sulla città, sparando 273 colpi da 381 mm, 782 colpi da 152 mm oltre a numerosi altri di minor calibro. La RENOWN fu la prima ad aprire il fuoco cannoneggiando dapprima il Molo Principe Umberto, poi i cantieri Ansaldo spostando infine il tiro sulle rive del Polcevera, sparando in tutto 125 proiettili calibro 381, e 450 calibro 114. La MALAYA prese di mira i bacini di carenaggio e le navi nelle vicinanze sparando in tutto 148 colpi da 381 mm; lo SHEFFIELD sparò sulle installazioni industriali poste sulla riva sinistra del Polcevera in tutto 782 proiettili da 152 mm. Molti di questi di colpi centrarono l'abitato.

Da terra, risposero al fuoco senza alcun risultato di rilievo a causa della foschia. L'attacco terminò dopo appena mezz'ora, ma la risposta delle difese costiere fu inefficace soprattutto per la portata insufficiente dei loro cannoni rispetto alla superiore gittata di quelli britannici.

- La Batteria Mameli di Pegli sparò 14 colpi da 152/50

- Il Treno Armato T.A. 152/4/T di stanza a Voltri  con 23 colpi da 152/40.

- Il Pontone Armato GM-269 con 10 colpi da 190/39.

- Il GM-194, (batteria galleggiante) sparò solo 3 colpi da 381/40 x un'avaria all'impianto elettrico.

I DANNI:

-  Molti colpi raggiunsero la centrale elettrica e i bacini di carenaggio.

– Fu colpita la nave cisterna Sant'Andrea che stava entrando in porto.

- Furono colpiti moltissimi edifici civili e storici come la Cattedrale di S.Lorenzo, la Chiesa della Maddalena, l'Accademia Ligustica, l'Ospedale Duchessa di Galliera, dove trovarono la morte 17 ricoverate, alcuni palazzi all'inizio di via XX Settembre e l'Archivio di Stato. Una delle zone maggiormente colpite fu quella di piazza Colombo.

- Molti proiettili inglesi caddero in acqua (circa il 50%).

- Dei 55 piroscafi ormeggiati in porto, 29 furono danneggiati da schegge.

- Il piroscafo SALPI ricevette due colpi diretti (di cui uno da 381 mm).

- Il piroscafo GARIBALDI che si trovava in bacino di carenaggio, riportò tre squarci nella parte prodiera della carena per effetto di un colpo esploso all'interno del bacino.

- Il danno maggiore lo subì la Nave scuola GARAVENTA che affondò.

- Le due navi militari CAIO DUILIO e il ctp BERSAGLIERE, ai lavori, non furono colpite.

- Gli impianti industriali subirono danni non gravi. Mentre i fabbricati civili subirono danni maggiori. Alla fine dell'attacco si contarono 144 vittime civili, mentre i feriti furono 272.

- I danni materiali furono enormi. Il Comune dovette provvedere ad alloggiare circa 2.500 senzatetto presso alberghi e pensioni erogando vitto ed alloggio per 2.781.218 lire; aiuti in denaro per 955.289 lire; vestiti, scarpe, indumenti vari per 692.044 lire; articoli da cucina e masserizie per 315.374 lire; affitti per 77.765; mentre dalla "Cassetta del Podestà" vennero raccolte 1.472.649 lire a cui si aggiunse un milione di lire di contributo disposto dallo stesso Mussolini. Decine di abitazioni del centro storico furono vittima di crolli anche posteriori al bombardamento.

Nascono nuove difese costiere intorno a Genova

La severa punizione inflitta dagli inglesi ai genovesi, suggerì al Regio Esercito di correre ai ripari avviando la costruzione di tre nuove batterie costiere: la batteria di Monte Moro, la Batteria di Arenzano e la batteria di Punta Chiappa a Portofino, situate in posizioni elevate e in grado di coprire tutto lo specchio di mare antistante la città.


Batteria di Monte Moro-Genova con i serventi della Wehrmacht e della RSI

L’enorme Telemetro della Batteria Mameli – Genova

Tutte e tre furono munite con pezzi da 152/40, e le batterie di Monte Moro e di Arenzano, furono armate con i formidabili pezzi navali da 381 mm. su torre binata. Si trattava quindi di “casematte offensive” i cui locali erano chiusi da ogni parte eccetto quella posteriore che era semichiusa ed aveva il compito di scaricare i fumi e i gas dopo le bordate. Genova non fu mai più attaccata dal mare e non si ebbe  l'opportunità di vedere le potenti batterie in azione, mentre vi furono numerosi attacchi aerei che vennero fronteggiati dalle numerose batterie antiaeree posizionate tutto intorno al capoluogo.

Campagna d’Italia

L’occupazione tedesca – Nasce il Vallo ligure

Per “Campagna d'Italia” s’intendono le operazioni militari condotte dagli Alleati durante la Seconda guerra mondiale, dal giugno 1943 al maggio 1945, con lo scopo d’invadere il nostro Paese e costringere alla resa il Regno d'Italia, per rompere l’alleanza con il Terzo Reich.

IL 3 settembre 1943, tra gli Alleati e una rappresentanza del governo italiano fu firmato  L’Armistizio corto di Cassibile che fu ufficializzato  l'8 settembre. Immediatamente le truppe tedesche, coadiuvate dalla RSI, presero il controllo delle fortificazioni e delle batterie italiane, in molti casi sabotate dopo la resa.

Anche l'Italia, dopo quella tanto discussa data, dichiarò la propria cobelligeranza a fianco degli Alleati il cui obiettivo, dopo la liberazione della Sicilia, era la conquista dei territori dell'Italia centro-settentrionale occupati dalla Werhmacht  e successivamente passati, in parte, sotto l'amministrazione della RSI.

L'invasione della Sicilia (in codice operazione Husky) ebbe inizio il 9 luglio 1943 con la protezione degli aerei tattici di base in Tunisia. Questo fu il motivo che spinse il comando Alleato a preferire gli sbarchi in Sicilia piuttosto che in Sardegna. Le successive tappe dell’avanzamento Alleato sul nostro territorio della campagna dipendeva dagli Appennini, che avrebbero fortemente rallentato la mobilità delle forze meccanizzate favorendo per ovvii motivi i difensori.

Il comando supremo tedesco, a tale proposito, riteneva probabile uno sbarco Alleato nel golfo di Genova, più precisamente nella riviera di levante sulle spiagge di Chiavari, Lavagna e Cavi che avesse un duplice scopo: separare e isolare le forze dell’Asse nell’Italia centrale e bloccarne la ritirata a nord. Il problema da risolvere era quindi di rinforzare le insufficienti postazioni difensive esistenti.

Nelle settimane successive l'Armistizio (8 settembre 1943), giunsero in Liguria i reparti specializzati del genio: battaglioni divisionali del genio e dell' organizzazione Todt (OT) che si avvalse anche di molta manodopera civile italiana, regolarmente stipendiata, che fu incaricata di costruire le nuove opere difensive. L'OT disponeva sul territorio di due Oberbauleitungen (OBL),  (direzione superiore dei lavori) e, da queste, dipendevano i cantieri e le imprese di costruzione. I lavori di costruzione partirono immediatamente.

A Genova furono occupate tutte le postazioni costiere, molte delle quali furono modificate e munite di moderne artiglierie protette da bunker, tobruk a muraglioni antisbarco, ostacoli anticarro e cavalli di frisia posizionati lungo le spiagge e le alture.  Le foci dei corsi d'acqua, le spiagge, strade e ponti furono disseminati di migliaia di ordigni esplosivi. Al 31 ottobre 1943 le unità tedesche presenti in Liguria avevano ricevuto 148.000 mine anticarro ed antiuomo (38.000 alla 334a divisione; 40.000 alla 356a divisione e 70.000 alla 135ª brigata).

L’eventuale sbarco Alleato sulla costa ligure, nome di copertura: "Grete/Gustav" per Genova, e "Luise/Ludwig" per Livorno, fu motivo di preoccupazione per lo stato maggiore tedesco che temeva lo sfondamento delle difese tedesche nel settore appenninico, ultimo baluardo a difesa del Nord Italia. Pertanto, entrambi i settori furono oggetto di una scrupolosa pianificazione difensiva.

Il 10 settembre, il colonnello Nagel, comandante dell'87º corpo d'armata, ricevette da Erwin Rommel istruzioni per lo schieramento delle truppe a difesa della costa ligure. La 74a e la 94a Divisione di fanteria furono dislocate attorno a Genova e Savona, dove le gole collinari appenniniche, corrispondendo alle vie di comunicazione con l'interno, erano ritenute le più idonee tatticamente per uno sbarco Alleato e per la liberazione del nord Italia. A Savona, nei sedici chilometri di costa furono schierati due battaglioni. A Voltri, in sette chilometri di costa fu schierato un battaglione. A Genova, in venti chilometri di costa ben quattro battaglioni. Gli estremi orientali e occidentali della Liguria  erano ritenuti obiettivi di secondaria importanza da parte per gli Alleati.

Per fortuna Genova non fu mai più teatro d’incursioni navali; l'unico fatto d'armi significativo si verificò il 28 aprile 1945 quando la Divisione USA Buffalo proveniente dalla Garfagnana, liberò il caposaldo di Monte Moro che si ostinava a sparare nonostante la città fosse già stata liberata.

I tedeschi non trascurarono neppure l’ipotesi di uno sbarco Alleato sulle spiagge di Chiavari, Lavagna e Cavi di Lavagna, i cui alti fondali  ben si prestavano ad una rapida conquista della Via Aurelia e della Ferrovia che transitano, tuttora, a pochi metri dal bagnasciuga.

Le numerose “tracce” delle difese costiere in cemento armato lasciate dalla TODT nella Riviera di Levante per contrastare l’eventuale sbarco degli Alleati, sono visibili ancora oggi lungo tutto il litorale, come vedremo.


Interno di un “tobruk”


Le maestranze della Todt, in collaborazione con specialisti dell'Analdo, della Oto Melara e dell'Arsenale di La Spezia, allestirono nuove batterie costiere utilizzando l'abbondante numero di pezzi campali catturati al Regio Esercito dopo l'8 settembre 1943.

Lungo la Riviera orientale, la Wehrmacht fece costruire numerose tipologie di casematte. Le più note avevano forma cubica o circolare con una feritoia rivolta verso al mare da cui spuntava un cannone da 50 mm pronto a fermare gli Alleati sulle nostre spiagge. Molte altre casematte, che affiorano tuttora tra le sterpaglie lungo le spiagge, furono per lo più costruite con tre o quattro feritoie ed erano armate con nidi di mitragliatrici di vario calibro. Le casematte più comuni erano note con il nome di tobruk e s’ispiravano alle postazioni italiane installate durante la Campagna del Nordafrica. L'efficacia di queste piccole fortificazioni convinse i tedeschi ad adottarle anche per la difesa delle coste liguri costruendole in cemento armato e incassandole a terra con piccole “riservette” per le munizioni. Spesso i tobruk venivano costruiti anche per la difesa delle batterie di maggiori dimensioni, mentre altre particolari costruzioni in cemento armato, contenevano una camera di combattimento circolare, dov'erano presenti almeno quattro feritoie armate di mitragliatrici che sbarravano l'accesso alle principali vie di comunicazione litoranee e funzionavano da posti di blocco costieri.

IL CANNONE DELLE GRAZIE (Chiavari)


Un'idea della potenza di alcune "batterie tedesche"  ce la fornì il film I CANNONI DI NAVARONE” che fu girato nel 1961  in parte sull’isola del Tino (Spezia). La superba interpretazione di Gregory Peck, David Niven,  Antony Quinn, Irene Papas esaltò l’eroica “resistenza greca” mettendo soprattutto in evidenza la capacità organizzativa della Wehrmacht di trasformare il ventre di una collina in una  fortezza  inespugnabile, fornita di tutto ciò che serviva allo scopo: gallerie, depositi, cunicoli, ascensori, teleferiche, alloggi, stazioni radio, magazzini, abitazioni con relativa logistica, impianti telemetrici, idrofoni, stazioni d’avvistamento, ma dotandola soprattutto di potentissimi cannoni in grado di sbarrare il passaggio ad un'intera squadra navale.

Dubitiamo che esistano ancora i piani di costruzione della "Batteria delle Grazie", pertanto non sappiamo se lungo il pendio che scende dal Santuario sino al livello del mare ci sia una “collina spaccata” colma di verità nascoste, armi e depositi di munizioni, scheletri che gridano vendetta...!

Purtroppo, di questo sistema di fortificazioni costiere si sono perse molte notizie. Ciò che abbiamo raccolto su questo argomento si basa più che altro su scarne annotazioni  di qualche studioso locale e sui ricordi un po' sbiaditi di anziani in via d'estinzione.

Chi conosceva la verità é uscito di scena  con i suoi segreti. Chi é stato avvicinato  ha risposto con dinieghi, qualche ammiccamento e scarso interesse per l’argomento. Noi italiani siamo fatti così. Non amiamo la storia, neppure quella che ci tocca da vicino...

Alla fine di aprile 1944 furono dislocati a Chiavari un comando locale dell'Organizzazione Todt e quello della 1104a Sezione dell'artiglieria costiera dell'esercito tedesco (Heeres-Küsten-Artillerie-Abteilung 1104).

Il SIM dei partigiani diede notizia che nella Galleria delle Grazie (Salita delle Grazie di Chiavari) erano stanziati 5 cannoni, di cui si ignorava il calibro e la quantità di munizioni. Inoltre fu costruita una piazzola scoperta in calcestruzzo armato per un cannone con a fianco un osservatorio in cemento collocato sotto il Santuario di Nostra Signora delle Grazie.

Bunker - L'Organizzazione Todt realizzò tre casematte contenenti ciascuna un cannone, con annesso ricovero per 20 uomini.

Nidi di mitragliatrici - Furono allestiti i seguenti nidi di mitragliatrici:

1) - Due postazioni per mitragliatrici con annesso ricovero in calcestruzzo armato in grado di ospitare fino a 20 soldati.

2) - Due postazioni per mitragliatrice con ricovero in calcestruzzo armato per quattro uomini.

3) - Due postazioni per mitragliatrice con annesso ricovero per due uomini.

Nel mese di settembre furono sospesi i lavori in tutta la Riviera di Levante con l'eccezione di Portofino. I lavoratori furono obbligati a raggiungere il Veneto.

Alcuni interrogativi sull’agibilità e sul funzionamento dell’impianto rimangono quindi senza risposta:

- La postazione del “Cannone delle Grazie” era rifornita soltanto da terra (S.S. Aurelia), oppure  anche dal mare tramite sentieri più o meno nascosti come dimostrano le foto a seguire del tunnel e del montacarichi? (vedi anche la planimetria n.2)

- Quanto era vasta la superficie d'interesse militare?

La scelta dell’ubicazione del sito fu senza dubbio oculata, poiché la TODT tenne conto della vicinanza del Santuario che garantiva l’uso delle varie utenze: luce, gas, acqua e linee telefoniche, oltre alle ben note vie di fuga nelle varie direzioni. Riteniamo invece illusorio pensare che sia stato scelto quel sito per farsi scudo del Santuario da eventuali bombardamenti aereo-navali degli Alleati. Ciò che successe a Montecassino, al quartiere S.Lorenzo a Roma e in moltissime altre città vicine a noi, esclude qualsiasi forma di pietismo artistico/religioso.

Non sappiamo se questi appunti smuoveranno la curiosità di qualche “addetto ai lavori”, ma sappiamo con certezza che una gita al Santuario delle Grazie ed una scarpinata nelle fasce sottostanti, sarebbe motivo d’interesse storico-naturalistico per molte scolaresche e non solo. Per gli escursionisti c'é invece un comodo sentiero a tornanti che si snoda dalla postazione fino alla sottostante "spiaggia del sale".

Pini, ulivi, lecci e gabbiani, col sottofondo del mare che s’infrange sugli scogli, sono gli unici testimoni di un'evasione  dal caos cittadino.

IL SANTUARIO DI N.S. DELLE GRAZIE

Il Santuario delle Grazie (Chiavari) si trova sulla S.S.1-Via Aurelia  in un tratto in cui la costa scende ripida sul mare. La collina é ricoperta da fitta vegetazione. Il Santuario domina il mare ed è ben visibile ancora oggi dai naviganti come nel passato. L'odierna struttura fu costruita o ingrandita a cavallo tra il XIV e XV secolo e proprio a questo periodo è databile la prima citazione scritta del Santuario, un atto notarile del 1416. Ospita al suo interno il ciclo di affreschi di Teramo Piaggio e quello più importante di Luca Cambiaso . Quest'ultimo, collocato nella contro facciata, raffigura il Giudizio Universale, e risale al 1550.

31-05-1945 • Il Rettore Don Domenico Nicolini, chiede al Comitato di Liberazione Nazionale che il ferro e il legname, abbandonati nelle vicinanze dai tedeschi alla fine della guerra, siano assegnati al Santuario per la ricostruzione del piazzale e del portico gravemente danneggiati dal conflitto.

(Archivio del Santuario delle Grazie)

Riportiamo alcune interessanti testimonianze anonime:

La batteria delle Grazie venne approntata per essere distrutta ed abbandonata la mattina del 25 aprile. L'improvviso apparire delle avanguardie americane a Cavi indusse i tedeschi a rioccupare la posizione ed intervenire bombardando l'Aurelia. L'azione rallentò la progressione degli americani permettendo ad un grosso gruppo (la famosa "colonna Pasquali") di ritirarsi in direzione di Genova lasciando lo squadrone esplorante divisionale (della divisione Monterosa) a condurre un’azione ritardatrice sulla riva dell'Entella. Con l'approssimarsi del combattimento, la batteria non fu più in grado di supportare i bersaglieri battendo bersagli lungo la foce del fiume, cioè presentanti una notevole depressione. Nel pomeriggio i tedeschi abbandonarono definitivamente la posizione rimuovendo i congegni di sparo dei due pezzi sotto l'azione della controbatteria americana (598° FA Bn). I danni ancor oggi visibili sono stati causati dal tiro diretto degli Tank-Sherman e gli M-10 (Tank Destroyers)  che appoggiarono l'assalto del 2/473° lo stesso giorno”.

“.... durante il mio giretto esplorativo avevo avuto occasione di parlare con un residente. Mi aveva detto che l'ultimo (o gli ultimi) giorni di guerra i cannoni avevano sparato in mare per svuotare la santabarbara. Devo però precisare che il mio interlocutore, causa l’età anagrafica, non aveva vissuto personalmente l'esperienza. Potrebbe essere che l'evento si riferisca a guerra ormai finita”.

- ll Comandante della batteria delle Grazie, dopo la guerra, veniva a Chiavari a villeggiare, perché era una brava persona e, grazie alla mediazione di Don Edoardo Giorgi, alla fine dell'Aprile 1945, scaricò i cannoni in mare. Don Giorgi era segretario del Vescovo e nostro insegnante di religione e ci raccontò questo episodio.

Dal libro “Cosa importa se si muore” di Mario Bertelloni e Federico Canale (Res Editrice, Milano, 1992):

Mercoledì 25 aprile [1945]. (,,,) La signora Westermann, titolare dell'albergo in via Romana, dove tra l'altro i tedeschi sono di casa, si fa portavoce di una mediazione con il comandante della batteria. Questi, un austriaco, si impegna a non sparare purché non attaccato dai Gap o dai partigiani. Tutto sembra procedere nel migliore dei modi quando, verso le ore 15, il comandante della batteria del Curlo, tale capitano Campanini, ordina di aprire il fuoco contro le truppe alleate dislocate sul lungomare di Cavi. (...).

Il capitano austriaco, mantenendo fede alla parola, non ha dato alcun ordine. I suoi non ci hanno pensato su: è passato per le armi da un tribunale volante delle SS.

Gli alleati centrano un bunker sotto il santuario delle Grazie ma è come aver pescato un jolly perché non riescono a comprendere da dove arrivino le cannonate.

Giovedì 26 aprile. (...) Prima della ritirata, pionieri tedeschi minano le postazioni delle Grazie; sotto il Santuario c'è un'autentica santabarbara. Jan Zacher e Jan Wegner, [polacchi] dell'artiglieria germanica, evitano la distruzione della chiesetta; Wegner taglia con un colpo d'ascia il filo della carica prima che salti tutto in aria e con il commilitone corre a nascondersi. (...) I due soldati e un loro ufficiale si sono sempre comportati bene con la popolazione di Rovereto fino al punto di aver pagato i danni per un cane lupo ucciso per sbaglio. Nove anni più tardi (...) quell'ufficiale tornerà a Chiavari per ringraziare del trattamento riservatogli al momento della cattura (...)

Ringrazio il T.V. Enzo Gaggero per quest'ultima testimonianza.

Ciò che é ancora visibile e parzialmente visitabile.

Tra le opere militari costruite sotto il Santuario della Madonna delle Grazie, sono visibili parti di una batteria molto ben occultata e strategica, sia per la posizione collinare con ampia visibilità semicircolare, sia per la potenza dei suoi cannoni. Per quel che si può vedere dai reperti rimasti in zona, la batteria poteva essere rifornita via terra, ma anche via mare per mezzo di un elevatore ubicato presso una galleria a livello del mare. Sono inoltre visibili altri bunker per nidi di mitragliatrici e supporti per apparati di telecomunicazioni - Osservatorio munito di telemetro per il calcolo della distanza degli obiettivi. La zona é oggi ricoperta, quasi interamente, da detriti franati negli ultimi 70 anni a causa  delle piogge invernali e, naturalmente, per l’incuria dei proprietari del terreno. Non esistono segnalazioni che ricordino il "passato militare" di questa zona.


Vista satellitare sul ponente chiavarese. Il Santuario delle Grazie (cerchio giallo n.4) é sfiorato dalla SS.Aurelia  e segna l’inizio del pendio che scende sul mare nascondendo i resti della struttura militare germanica.

ALBUM FOTOGRAFICO DELLE OPERE INSTALLATE DALLA TODT SOTTO IL SANTUARIO DELLE GRAZIE A CHIAVARI.

Le foto, scattate dal portico del Santuario delle Grazie (Chiavari), mostrano l'ampia prospettiva che si apre tra Portofino e le spiagge di Chiavari, Lavagna, Cavi di Lavagna e Sestri Levante. Su questo litorale, la Wehrmacht ipotizzava lo sbarco in massa degli Alleati. Da questa posizione dominante, il cannone binato delle Grazie, con una gittata di 20 Km, era in grado di ostacolare questa operazione.

Nel 1944, su questa massiccia piattaforma poligonale alloggiava un potente cannone navale binato. Al centro di questo basamento si nota un’ampia apertura circolare, ormai ricoperta di terra e detriti, che conteneva sia l’ancoraggio che la struttura del brandeggio delle armi. Sono passati 70 anni e il rigoglioso pino marittimo che sale in piena salute dalla base dell’impianto, ci ricorda le parole di quella canzone: “Mettete dei fiori nei vostri cannoni....”

La piazzola si erge su una serie di camminamenti sotterranei e locali destinati ad ospitare depositi di munizioni e armamenti. L'intero impianto era in collegamento con la galleria stradale che era a sua volta parzialmente utilizzata come caserma e deposito.


II possente basamento visto dal lato mare. Intorno al manufatto s'intravedono a tratti, sebbene  ricoperti da folti arbusti e spinosi cespugli di more, gli accessi ai depositi munizioni (murati e interrati) ubicati dietro il cannone, proprio sotto l'abitazione del curato. A levante dell’impianto sono ancora visibili gli effetti delle cannonate degli Sherman del 760° Tank Bn (Buffalo) che investirono la posizione il pomeriggio del 25 aprile 1945.

IL CANNONE NAVALE BINATO INSTALLATO DALLA WEHRMACHT SULLA COLLINA DELLE GRAZIE – CHIAVARI

In alto: Vista laterale dell’arma con le sue misure geometriche.

O.T.O 135/45 mm - 1937

In basso: Torretta del cannone navale vista dall’alto.


La Classe “Capitani Romani” disponeva di quattro cannoni binati O.T.O. 135/45 mm 1937. “Scipione Africano” é il modello raffigurato in questa ricostruzione.


Artiglierie dell’incrociatore italiano Scipione Africano

Una fonte attendibile sostiene che il cannone binato delle Grazie era lo stesso che fu installato sugli incrociatori della “Classe Capitani Romani” (2 x 135/45 mm) Mod.OTO-1937 visibili nella foto sopra. Quest’arma era considerata la migliore che sia stata costruita nella Seconda guerra mondiale. Avevano una gittata di 20.000 mt. ed era in grado di “battere” il golfo Tigullio, da Portofino a Sestri Levante.


Nel sentiero sottostante il basamento dei cannoni, ci s’imbatte in questo piccolo tunnel con curva a gomito a sinistra, che porta verso l'osservatorio scavato nella roccia.


Pochi metri più avanti, questa postazione delimita  il  sentiero verso ponente. Sullo sfondo della prima foto s’intravede il Santuario. Questa batteria prese parte ad azioni di fuoco per contrastare l'avanzata americana lungo la costa.

Il sentiero termina qui. Questi due basamenti (supporti) si trovano sotto il bunker con l’ampia feritoia ed appartennero ad un sistema più ampio di trasmissioni operative.

Chiavari 1937 – Rione Scogli  -

 

2010 – olio su tavola – 70x50  dell’artista chiavarese

Amedeo Devoto

 

La didascalia riporta il seguente fatto storico:

"La casa dove sono nato e dove ho passato i primi dieci anni della mia infanzia. Posta a ponente dell’attuale Colonia Piaggio venne demolita durante l’occupazione tedesca verso la fine del 1943 per edificarvi un bunker. Sulla destra si nota la galleria della vecchia ferrovia deviata più a monte nel 1908 e il pontone di “Penco” che costruisce la prima diga."

La casa natia di Amedeo Devoto fu demolita dai tedeschi per installare un Tobruk con deposito-armi. I resti di quello scempio sono visibili in questa foto.

Alcune interessanti planimetrie del 1944

(Per g.c. del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari)


La Planimetria n.1 di Amedeo Devoto riporta (in alto) la GALLERIA DELLE GRAZIE (S.S.Aurelia), (al centro) il Santuario N.S. DELLE GRAZIE e (sotto) il tratteggio della batteria con la scritta: “BUNKER CON CANNONE DELLA MARINA BINATO”.


La Planimetria n.2 di Amedeo Devoto mostra le opere difensive antisbarco. A sinistra sono leggibili le scritte: Galleria Vecchia – Deposito munizioni e cannone. Al centro: Muro antisbarco. A destra: Figo – Uliveto – Rudere – Bunker – Arenile.


La planimetria n.3 di Amedeo Devoto mostra le seguenti strutture costruite dalla Todt: a sinistra, il massiccio “muro antisbarco” quasi toccato dal “RELITTO DI UNA NAVE TEDESCA” arenata sulla spiaggia. Il muraglione antisbarco prosegue verso il centro del disegno mostrando un bunker e più sotto (nel punto più vicino alla spiaggia) una postazione per mitragliatrice. A destra, a protezione della costruzione n.3 é disegnato un tobruk per contraerea.

Dal libro  "I GATTI ROSSI" di Edoardo Torre - Una storia vera sullo sfondo del Tigullio - Edizioni INTERNOS.

Riportiamo: .... Ma, nelle notti di luna piena, le cose andavano diversamente. Allora, Edo e Gio, prendevano posto, comodamente seduti, fronte mare per godersi lo spettacolo. "Chissà se passeranno le bettoline" commentavano i due attenti al più piccolo suono. Le bettoline, così impropriamente dette, erano piccole imbarcazioni di circa una ventina di metri che trasportavano materiali e munizioni per il fronte. Quella notte il mare era una tavola, sembrava di cristallo ed il raggio della luna specchiato nell'acqua, si muoveva ed ondulava lentamente. Ad un tratto si udì distintamente provenire dal mare il ronzio cupo di motori. Un ton ton cadenzato, ovattato, ma inconfondibile. "Sono loro, stanno arrivando" dissero i due. Le bettoline solitamente navigavano lente, sotto costa, a poca distanza dal litorale, per tentare di eludere gli aerei che davano loro la caccia continuamente. Edo e Gio si fecero attentissimi; il cielo era stranamente silenzioso. Il raggio della luna inondò il tratto di mare davanti a loro mentre una piccola imbarcazione scura stava attraversando fiduciosa quella sciabolata di luce. Quand'ecco, con fragore violentissimo, come un turbine impetuoso sorto dal nulla, un caccia sorvolò le loro teste avventandosi sulla piccola navetta e inondandola di proiettili fiammeggianti sputati dalle sue ali. Edo e Gio fecero un salto sulle loro sedie e, sbalorditi, si  chiesero: "Ma da dove é uscito quello?". La piccola imbarcazione annaspò, cercò di difendersi sparando all'impazzata verso l'alto in tutte le direzioni. Mille fuochi traccianti squarciarono la notte. Il caccia fece un largo giro, poi si scagliò nuovamente sulla preda oramai in fiamme. Edo e Gio videro chiaramente i poveri marinai gettarsi in acqua per guadagnare la riva, mentre sulla loro nave parte delle munizioni stavano esplodendo. La bettolina si arenò sulla spiaggia vicino alla grande colonia: per tutta la notte si udirono i botti. Il suo relitto, irriconoscibile ed arruginito, per parecchio tempo sulla riva come testimonianza di una terribile notte di luna piena.

La planimetria n.4 di Amedeo Devoto mostra il “cuore marinaro” di Chiavari: Il Rione Scogli, con Piazza Gagliardo, ex Ciassa di Barchi, sede e scalo del Cantiere navale Gotuzzo che costruì 125 velieri a cavallo del ‘900. L'antica casa Gotuzzo (n.27) fu costruita nel 1652 e tuttora appartiene alla famiglia Andreatta-Gotuzzo. L’antica costruzione è intessuta della storia del cantiere che il proprietario, comandante Ernani Andreatta, coltiva con attaccamento e competenza. Il Museo Marinaro Tommasino Andreatta  era situato nella stessa casa padronale, ma da qualche anno, avendo acquisito un notevolissimo numero di reperti, si é trasferito nella Caserma delle Telecomunicazioni di Caperana-Chiavari.

- Un tobruk con postazione per mitragliatrice é riportata sul lato mare.

Nella parte occidentale di Chiavari sono tuttora visibili numerose tracce del sistema difensivo costiero realizzato dai Tedeschi dopo l'8 settembre. Alcuni tratti dell'esteso muro antisbarco che proteggeva la spiaggia, sono ancora presenti a levante, sia presso la foce del fiume Entella, sia in prossimità della ex Colonia marina Fara a ponente, come le foto che seguono ci indicano nitidamente.

ALBUM FOTOGRAFICO: Postazioni lato mare

"Dido" Caffarena, in questo pregiatissimo dipinto, ci riporta all'epoca dell'iniziale demolizione del MURO ANTISBARCO costruito dalla TODT dietro la spiaggia chiamata GHIAIA (geea) a Santa Margherita Ligure. Questo spazio "liberato", in estate é occupato dagli stabilimenti balneari. Sul lato di levante del muro c'era un TOBRUK semi interrato. Un altro bunker si trovava in porto, in fondo di via Favale, dove oggi si trova una stazione di benzina che forse in profondità usufruisce dell'antica struttura militare.

In questa foto del primo dopoguerra si notano le tracce di tobruk e muraglioni antisbarco sul lungomare di Chiavari (Arch.Andreatta)


1944 – 2014.  Sono passati 70 anni ...

Non tutti i bagnanti sono consapevoli che il sinuoso e affascinante litorale chiavarese, sul finire della guerra avrebbe potuto trasformarsi in un infernale TEATRO di guerra: il D-Day nostrano. Per fortuna quelle pagine di storia non furono mai scritte e le nostre spiagge continuarono a conservare i loro nomignoli originali fino ai nostri giorni, al contrario di quelli convenzionali usati dagli Alleati per esempio in Normandia: Omaha, Juno, Utah, Gold, Sword.... che ci ricordano chilometri di spiagge tinte del sangue di 10.000 anglo-americani caduti nelle prime 24 ore dello 'sbarco famoso' che liberò l'Europa dal giogo nazista.

Tracce di muraglione antisbarco

Le due foto che seguono mostrano il tipico nido di mitragliatrice antisbarco denominato Tobruk.

COLONIA FARA


La colonia Fara, intitolata alla memoria del generale Gustavo Fara é sita in via Preli a Chiavari e nacque come colonia estiva. La struttura fu commissionata dal Partito Nazionale Fascista nel 1935 come luogo e soggiorno di villeggiatura marinaro per bambini, da utilizzarsi prevalentemente nel periodo estivo. L'edificio è un esempio del Razionalismo Italiano. Una curiosità: l’impianto architettonico rappresenta un aereo con il muso verso il basso e la coda verso il cielo.

In questa foto si vede più nitidamente il profilo delle ali d’aereo

 


Estate 2013. La foto denuncia il degrado in cui versa la Colonia Fara. Resti del muraglione antisbarco sono tuttora visibili dove termina il bagnasciuga.


Il centro abitato di Chiavari termina qui. Sullo sfondo s’intravede la scogliera di Zoagli. Nella parte alta della foto svetta il Santuario della Madonna delle Grazie, sotto il quale era ben occultato il potente cannone binato antisbarco, la cui gittata (20 Km), dominava la prospettiva panoramica Portofino-Sestri Levante. L’arma era difficilmente identificabile, immersa com’era in quella collina fittamente ricoperta di macchia mediterranea che degrada dolcemente sulle spiagge sottostanti.

Si mormora che la “Batteria delle Grazie” sia poco estesa esternamente, ma molto articolata all’interno delle sue viscere. Questo inquietante aspetto é visibile ancora oggi a livello del mare, dove é visibile l’imbocco di una galleria che penetra nella collina, ma non é chiaro fin dove arrivi.

Prima dell’imbocco dell’accennato tunnel s’incontra questo tobruk che riporta la sua data di costruzione: 25.2.44

 


Rappresentazione di un tobruk armato del periodo bellico.

L’ingresso del tobruk é rimasto aperto

Proseguendo lungo il sentiero, si arriva ad una galleria forse abbandonata già nell'anteguerra in seguito a un crollo, ed in seguito utilizzata come ricovero per armi o deposito-munizioni. Sugli scogli prospicienti la galleria, sono visibili altri due tobruk, uno delle quali si é staccato ed é piombato in mare.

L'interno della ex galleria del treno con il “paraschegge”. La ferrovia fu deviata più a monte nel 1908. (Archivio Andreatta)


La parte superiore del tobruk caduto in mare si trova davanti all’entrata della galleria.

 

Ci troviamo in piazza Gagliardo, vulgo Piazzetta dei Pescatori. Nel 1944 i tedeschi erano fortemente intenzionati a demolire questa storica casa per sostituirla con un Bunker Antisbarco. La famiglia Gotuzzo si oppose con tutte le forze alla realizzazione di questo insensato progetto e, per fortuna, alla fine riuscì ad evitare il disastro. Il bunker, contenente un nido di mitragliatrici pesanti, fu costruito nella posizione da cui fu scattata la foto.

 

Il casato, oggi elegante abitazione della famiglia Ernani Andreatta, fu Sede e Sala a Tracciare del Cantiere Navale Gotuzzo.

La foto si riferisce alla bella meridiana sovrastata dallo stemma della famiglia Gotuzzo, opera di M. Vaccarezza (2001) in base ai calcoli del prof. R. Morchio (1994).

 

Declinante a ponente, è completa di lemniscata e delle iperboli che indicano la posizione del sole nei diversi mesi dell'anno, unite ai corrispondenti segni zodiacali. In basso, l'immagine della goletta FIDENTE (1922), "l'ultimo dei grandi velieri varati nel Rione Scogli dai Cantieri Gotuzzo ". Sotto, un nastro con il motto: "Chi g'à da fâ cammin o deve ammiâ ö tempo e ö bastimentö" (Chi ha da fare del cammino, deve guardare il tempo e il bastimento).

 

 

FRAMMENTI DI STORIA:

SBARCHI ANGLO AMERICANI  AVVENUTI IN ITALIA E IN PROVENZA

Il 9 luglio 1943 gli Alleati sbarcarono in Sicilia (Op. Husky). Le forze militari presenti nell’isola durante i 38 giorni di battaglia, raggiunsero la cifra di 320.000 uomini. Di questi, quasi 192.000 erano italiani e 65.500 tedeschi. Gli addetti ai servizi erano 60.000 italiani e 5.000 tedeschi. Il numero degli italiani uccisi fu di 4.678, mentre nelle file tedesche i morti furono 4.325. I prigionieri italiani furono 116.681, mentre quelli tedeschi 5.523. Alla fine della campagna di Sicilia, si registrarono tra le truppe italiane 36.072 dispersi, mentre tra quelle tedesche 4.583. Gli Alleati lasciarono sui campi di battaglia 2.237 soldati americani e 2.062 britannici. I feriti americani furono 5.946 mentre quelli britannici 7.137. I prigionieri statunitensi furono 598, quelli inglesi 2.644 (tra cui molti dispersi). I soldati che in Sicilia si ammalarono di malaria furono 9.892 americani e 11.590 britannici.

SICILIA 1943 di Ezio Costanzo. Ediz. Le Nove Muse Editrice. Quarta edizione - 2007.

Il 9 settembre 1943 gli Alleati sbarcarono nel golfo di Salerno. Al termine della Campagna militare Avalanche, le perdite furono ingenti: gli Alleati persero 2.009, i dispersi 3.501, i feriti 7.050. Le vittime per l’Asse ammontarono a 3.500.

Il 22 dicembre 1944 gli Alleati sbarcarono ad Anzio e Nettuno. Nella Campagna militare Shingle di Anzio gli americani della 5ª armata persero circa 30.000 uomini tra morti feriti e dispersi, 12.000 le perdite inglesi (i reparti dell'8ª armata) contro le 25.000 perdite tedesche. Il risultato ci fu: Roma venne conquistata, ma con un ritardo inspiegabile, ci vollero oltre 4 mesi per compiere i 50 km che separano Anzio dalla capitale, al costo di ingenti perdite probabilmente evitabili.

Il 15 agosto 1944 gli Alleati sbarcarono in Provenza. Campagna militare Dragoon. Tra le ore 2 e le 4, paracadutisti e truppe aviotrasportate britanniche ed americane scendevano nella valle dell'Argens, alle spalle di Cannes e di Tolone, tra Le Muy, Brignoles e Draguignan. Alle ore 7 circa 1.300 apparecchi anglo-americani bombardavano violentemente le difese costiere tra Cannes e Tolone e dopo un'ora di martellamento le prime truppe americane prendevano terra tra St. Tropez e St. Raphael; circa 12 miglia a sud ovest di Cannes, incontrando scarsa resistenza. Il massiccio spiegamento di forze Alleate fece ripiegare le forze dell’Asse in più direzioni. Questo fu il motivo che tenne molto basso il numero delle vittime.  Più ad occidente, presso Hyères (due miglia ad est di Tolone) sbarcavano reparti di  commando americani e francesi.

Uno dei vantaggi dell'operazione fu la presa e l'utilizzo del porto di Marsiglia. La rapida avanzata alleata dopo le Operazioni Cobra e Dragoon rallentò fino ad arrestarsi nel settembre 1944 a causa di una carenza critica di rifornimenti. Migliaia di tonnellate di materiali vennero deviati a nord-ovest per compensare l'inadeguatezza delle strutture portuali e dei trasporti terrestri nell'Europa Settentrionale. Le linee ferroviarie della Francia meridionale vennero ripristinate, nonostante i gravi danni, verso il porto di Marsiglia e diventarono un'importante linea di rifornimento per le truppe Alleate in avanzamento in Germania, fornendo circa un terzo di tutto il fabbisogno dell'esercito.

Da queste brevi note s’intuisce che un eventuale sbarco degli Alleati sulle nostre spiagge della Riviera di levante avrebbe accelerato la conquista del porto di Genova ed impedito la ritirata dell’Asse verso nord, accorciando di conseguenza il conflitto di molti mesi.

Quanto ci sarebbe costata questa operazione in termini di vittime umane,  distruzioni di opere pubbliche, di abitazioni civili, paesaggio ecc...?

E’ meglio soprassedere! Ma ognuno, leggendo le brevi note sugli sbarchi Alleati in Italia e in Provenza, a noi vicina, può farsene un’idea dal numero delle vittime,  e non potrà che ringraziare la Madonna delle Grazie ed anche quella di Montallegro...

Ringraziamenti :

Ringrazio l’anonimo autore degli “scatti” effettuati alle opere militari sull’impervia scogliera del ponente chiavarese e per averli postati sul web come contributo alla divulgazione della nostra storia locale.

Ringrazio i giornalisti-scrittori Mario Bertelloni e Federico Canale per averci concesso le preziose testimnianze contenute nel libro: "Cosa importa se si muore" (Res Editrice, Milano, 1992)

Ringrazio il Comandante Ernani Andreatta, il pittore Amedeo Devoto, mancato di recente, e le loro famiglie per averci concesso immagini e ricordi famigliari. Agli amici degli SCOGLI, Mare Nostrum Rapallo ha dedicato cinque saggi che sono stati inseriti in questo sito:

https://www.marenostrumrapallo.it/

Sezione:    Navi e Marinai

Categoria: Saggistica Navale

 

Carlo Gatti

Rapallo, 22 febbraio 2014

 


RELAZIONE Attività Mare Nostrum 2011

ATTIVITA’  MARE NOSTRUM 2011

RELAZIONE DEL PRESIDENTE

Cari associati,

L’anno 2011 è stato ricco di eventi ed avvenimenti che, grazie anche all’attività culturale e promozionale portata avanti dalla nostra associazione, hanno particolarmente arricchito l’offerta storico-documentale dedicata alle nostri radici marinare ed agli appassionati  cultori di storia locale.

In linea generale vanno ricordati per il loro valido supporto promozionale il nostro sito sul web, il periodico Il Mare e il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta ospitato presso la Scuola Tlc di Chiavari.

Ciò detto si evidenzia il corposo elenco degli eventi realizzati nell’anno 2011.

In data 28.12.2010 é stata accreditata la cifra stabilita dal Comune per Mare Nostrum.

- dal 15 al 22 gennaio 2011 Emilio Carta é andato in trasferta (vacanza di lavoro) in terra siciliana. Il 19 ed il 20 gennaio é stato ospite della Regione Sicilia, assessorato ai Beni Culturali e Soprintendenza al Mare e dell’Istituto Tecnico di Palermo per due conferenze su "L'U-Boot 455 l'ultimo mistero del Mediterraneo". In entrambe le occasioni ha presentato il volume "U-Boot 455, il sottomarino della leggenda: 30 immersioni nelle acque della provincia di Genova" scritto assieme al sub Lorenzo Del Veneziano.

- Il 28 gennaio 2011 è stato stipulato il contratto per l’attivazione del sito di Mare Nostrum. Mentre a febbraio abbiamo studiato il sistema, a marzo abbiamo provveduto all’inserimento dei primi articoli. Alla fine dell’anno abbiamo raggiunto 2.000 visite di lettori.

- Il 9 febbraio 2011 sul sito di Mare Nostrum é stato inserito per la prima volta il mensile IL MARE. L’editore è Massimo Busco (nostro socio) mentre il direttore responsabile della testata è Emilio Carta.

- Il 18 marzo a Genova al Galata Museo del Mare, Emilio Carta assieme al sub Lorenzo Del Veneziano ha  presentato ha presentato il volume "U-Boot 455, il sottomarino della leggenda: 30 immersioni nelle acque della provincia di Genova".

- Il 24 marzo la signora Milena Palazzo, moglie del nostro socio Flavio Vota ha presentato un bellissimo libro di poesie presso la Sala Conferenze di Villa Queirolo.

- Il 16 Aprile all’Abbazia di S.Fruttuoso si è tenuta l’inaugurazione della mostra Storie di Navi e Relitti del Promontorio di Portofino, Patrocinata dal FAI - Echi di Liguria e Città di Camogli. Vi ha partecipato  Mare Nostrum con il socio Claudio Molfino, organizzatore e allestitore in collaborazione col grafico Sandro Bonati, Nanni Andreatta con la concessione di reperti museali e vari testi illustrativi scritti di Emilio Carta e Carlo Gatti

- Nel Marzo 2011 – Emilio Carta e Carlo Gatti hanno tenuto  una conferenza presso l’Associazione la “Corallina” di Santa Margherita sulle navi da carico USA i LIBERTY davanti ad un numeroso pubblico.

- il 4 giugno i soci Carta e Gatti sono stati invitati ad un ulteriore incontro sullo stesso argomento, “I LIBERTY” da un’altra Associazione “SPAZIO APERTO”,  di Santa Margherita Ligure.

- Venerdì 10 giugno, alle 18.00 presso la nostra sede "Gran Caffé Rapallo" si è tenuta una conferenza sulla Mostra FAI cui hanno partecipato i soci Molfino e Cartainsieme a Capretti, il Manager dell’Abbazia)di San Fruttuoso. In tale occasione è stato presentato il nuovo sponsor MEDIOLANUM .

- Ai primi di giugno é stata presentata la prima Bozza-Programma per la Mostra Mare Nostrum 2011 con le ricorrenze del 30° anno di vita di Mare Nostrum, del 10° anno consecutivo della pubblicazione di Mare Nostrum e del 150° dell’Unità Nazionale. Nonostante le obiettive difficoltà finanziarie, (tra cui il patto di stabilità)  il  Comune ha assicurato il proprio intervento assieme alla Banca Carige

- 5 Luglio – E’ stato presentato il filmato di Nanni Andreatta sul varo del LEUDO. Ne é seguito il regalo per l'Estate 2011 che Mare Nostrum ha donato in omaggio alla Tradizione Marinara Ligure che oggi, più che mai, é viva grazie a personaggi come il nostro "NANNI" che la incarna con la sua storia familiare, personale e che ci coinvolge a tutto campo con l'entusiasmo e l'orgoglio di farci sentire "attori e spettatori" di una lunga epopea che riemerge dal passato.

- 7 luglio - Più volte in estate abbiamo avuto il piacere di “osservare” il cielo insieme agli amici astrofili di Enzo Gaggero (nostro socio e presidente dell’Associazione IL SESTANTE) con Marcello Cecchi.

- In estate é stato promosso presso l’Oratorio dei Neri a Rapallo, come avviene da molti anni, l’evento MARE FORZA SETTE, animato da tanti personaggi di Mare Nostrum. Ecco il programma completo.

Mare Nostrum Rapallo -  Confraternita dei Neri - Caroggio Drito

Museo Marinaro Tommasino-Andreatta -  Il  Sestante  - Expo Tigullio

presentano

Mare Forza Sette

Al Giardino pensile dell’Oratorio dei Neri

via Magenta, Rapallo

Sabato 16 luglio ore 21.15

Presentazione del libro "Le barcacce nel cuore" di Carlo Gatti e Silvano Masini Interventi dell’autore  e di Emilio Carta

L’incontro sarà preceduto dal filmato inedito di Nanni Andreatta “Genova com’era”.

Sabato 23 luglio ore 21.15 - Enzo Gaggero e il suo Team presentano    “L’impresa di Premuda”

“…il 10 giugno 1918, Luigi Rizzo affondò la corazzata austriaca Santo Stefano con il Mas 15 e Giuseppe Aonzo colpì la corazzata Tegetthoff con il suo Mas 21”.   L’incontro sarà preceduto da un interessante filmato d’epoca.

Sabato 30 luglio ore 21.15 Ernani Andreatta, Emilio Carta e Carlo Gatti presentano il libro  “Tutto il Mare in uno Zaino” di Lola Taddei, moglie del nipote (omonimo) del comandante incagliatosi con il suo brigantino a Tristan da Cunha. L’isola vulcanica diventò  celebre sia per il naufragio del brigantino ITALIA al comando del chiavarese  Rolando Perasso, sia per la scelta che due marinai camoglini fecero di rimanere per sempre su quello scoglio sperduto nell’Oceano cedendo all’amore di due  isolane che gli diedero in seguito molti figli. Saranno presenti Lola Taddei, vedova di Rolando Perasso nipote omonimo del Comandante naufragato e la figlia Serenella Perasso che farà un excursus anche su altri libri scritti su Tristan da Cunha.

Domenica 7 agosto ore 21.15 Incontro con  l’artista  Enzo Marciante autore del libro “Storia di Genova” a fumetti. La storia della Superba, e dei suoi principali protagonisti, attraverso i secoli. Una rivisitazione scanzonata ma strettamente storica della Repubblica Marinara. Presenta Emilio Carta

- Lunedì 3 e (presso i cannoni davanti al Castello di Rapallo) e Martedì 4 ottobre presso la sede dell' Associazione Sestante di Casarza Ligure, i nostri soci astrofili  capitanati da Enzo Gaggero ci danno appuntamento alle 21 per osservare con il  telescopio la Luna al 1° Quarto e Giove.

Siamo giunti così a MARE NOSTRUM 2011

con le note ricorrenze:

a) – 150° dell’UNITA’ d’ITALIA

b) -    30° di Mare Nostrum

c) -   10° della Pubblicazione di Mare Nostrum

Il 2011 è stato - ed è ancora mentre scriviamo queste note - l'anno in cui si è celebrato il 150° anniversario dell'unità nazionale: un anno denso di avvenimenti, rievocazioni, mostre, dibattiti e ricco di importanti momenti che hanno visto coinvolte tutte le più significative componenti della nostra Nazione, tanto a livello centrale quanto periferico.

Un anno, quindi, di celebrazioni unitarie e di volontà - da parte di tutti - di ribadire i concetti che stanno non soltanto alla base della nostra storia ma che costituiscono, di per sé stessi, le basilari fondamenta del nostro vivere civile, delle nostre tradizioni e della nostra essenza culturale.

Per una fortunata coincidenza, in questo 2011 così improntato al ricordo (e al tempo stesso rivolto al nostro futuro), anche la Mostra "Mare Nostrum" fa registrare il raggiungimento di considerevoli traguardi: non certo commisurabili al tondo "150°" dell'unità d'Italia, ma di sicura valenza epocale e culturale - soprattutto se rapportati alla nostra realtà locale e confrontati con l'effimera durata di altre analoghe manifestazioni, organizzate un po' ovunque in Italia e all'estero.

Difatti, con l'edizione 2011 la Mostra "Mare Nostrum" celebra il suo anniversario trentennale, e non possiamo non tornare con la memoria alle prime, pionieristiche edizioni della manifestazione, successivamente "consolidata" nei locali dell'Auditorium delle Clarisse e - da ormai molti anni - definitivamente trasferitasi nella prestigiosa e centralissima sede del nostro "Castello a mare".

In ultimo, quella che i lettori stanno per sfogliare è la decima edizione di una pubblicazione che, ormai tradizionalmente, affianca e accompagna la Mostra nella sua sede espositiva: un percorso iniziato nel 2002 con "Il Tigullio un Golfo di Eroi" e proseguito, sino ad oggi, con una serie di fascicoli - ora rivolti alle tradizioni marinare di Rapallo, ora dedicati ad aspetti di grande respiro della storia navale nazionale - che, nel tempo, non soltanto hanno seguito un filo conduttore comune ma che costituiscono un "oggetto da collezione" ricercato da appassionati e studiosi del settore storico-navale più largamente inteso. Da questo indubbio successo pubblicistico non è disgiunta la recente costituzione, nel 2008, dell' "Associazione Culturale Mare Nostrum" (in cui gli autori sono coinvolti in prima persona), che -  a sua volta - è andata ad occupare una fondamentale posizione per il collegamento e la collaborazione tra i suoi Soci, il Comune di Rapallo, le Istituzioni locali e tutte le realtà che ruotano attorno alle iniziative tese ad approfondire la realtà marittima, navale e storica della nostra Città.

In conclusione di questo anno, così importante e simbolico per l'unità nazionale, anche la Mostra "Mare Nostrum" e l'omonima Associazione Culturale hanno pertanto deciso di dare il proprio contributo con la realizzazione di questo fascicolo il cui titolo - "Garibaldi un uomo di mare" - non può non partire dal nome di colui che - più di ogni altro - rappresenta a tutt'oggi lo spirito risorgimentale dell'Italia unitaria.

Emilio Carta affronta e approfondisce una tematica sino ad oggi mai presa in considerazione, ossia la partecipazione di rapallesi e abitanti del Tigullio alla "Spedizione dei Mille" e alle immediatamente successive fasi del consolidamento dell'unità nazionale. L'argomento è di sicuro interesse, e consente di far luce su aspetti sino ad oggi mai sviluppati, sia pure solo collateralmente a ad analoghi studi, e tantomeno approfonditi con un lavoro organico "sul campo", sulla base di documenti archivistici, raccolte di cimeli e revisione critica delle fonti storiche primarie e bibliografiche. Uno studio, quindi, che riteniamo possa "fare scuola", andando a rappresentare un "valore aggiunto" per la storia di Rapallo e del suo circondario e rappresentando un collegamento tra passato e presente soprattutto ad uso delle generazioni più recenti e dei giovani i cui corsi di studio - forse - non sono oggi così attentamente rivolti alla storia viva che si nasconde ovunque in Italia, e quindi anche nella nostra Città.

Con l'esperienza derivante da lunghi anni trascorsi in mare, al comando di rimorchiatori portuali e d'altura e nel Corpo dei Piloti del Porto di Genova, il com.te Carlo Gatti fa rivivere uno dei momenti più noti - ma sicuramente meno approfonditi dal punto di vista tecnico-marinaresco - della "Spedizione dei Mille". La partenza da Genova dei famosi piroscafi garibaldini Piemonte e Lombardo avvenne, difatti, in presenza di notevoli difficoltà nautiche, rendendo necessaria una complessa operazione di rimorchio e costituendo - probabilmente - uno dei più concitati momenti della navigazione delle due unità verso il Regno delle Due Sicilie. Anche in questo caso, l'intendimento dell'autore è stato il desiderio di divulgare fatti poco noti ma importanti, assai spesso messi in ombra da momenti maggiormente éclatanti e quasi mai portati a conoscenza del pubblico degli appassionati alle vicende storico-navali del nostro paese.

Infine, Maurizio Brescia (in collaborazione con Francesco Bucca, anch'esso socio dell' "Associazione Culturale Mare Nostrum") presenta un altro tema sicuramente legato alle vicende garibaldine ed alle figure più rappresentative del Risorgimento: le navi militari italiane che - in centocinquant'anni di storia - hanno portato i nomi di Garibaldi e Cavour. Nel tempo, la Regia Marina e la Marina Militare hanno inteso onorare l' "Eroe dei Due Mondi" e lo statista piemontese (che fu - tra l'altro - anche il primo Ministro della Marina del neocostituito Regno d'Italia) assegnandone i nomi a importanti navi che - in molti casi - hanno a loro volta scritto fondamentale pagine della nostra storia navale. Sarà così questa l'occasione per ricordare, e far rivivere con foto attuali e d'antan, le prime navi a propulsione mista che portarono i nomi di Garibaldi e Cavour e, tra le successive unità, l'incrociatore corazzato Garibaldi e la nave da battaglia Cavour, sino alle due moderne e avveniristiche portaeromobili attualmente in servizio con la Marina Militare.

La realizzazione di un programma espositivo e pubblicistico di questa portata non avrebbe potuto avvenire senza la fattiva collaborazione del Comune di Rapallo e - nella fattispecie - senza l'entusiasmo e il fondamentale apporto del Sindaco - dott. Mentore Campodonico - il quale non soltanto ha sempre "creduto" nella fondamentale valenza culturale della Mostra "Mare Nostrum" (e di questa pubblicazione) per la nostra Città, ma ha saputo far sì che l'Amministrazione Comunale ci consentisse di portare a compimento il nostro progetto con un fattivo, concreto e fondamentale appoggio.

E proprio da questa volontà, e dal sostegno che il Comune di Rapallo ci ha sempre accordato, è scaturita la collaborazione con la Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, un Istituto bancario sempre attento e sensibile al supporto delle realtà culturali liguri che - pur nella difficile congiuntura economica che tutti stiamo vivendo - in occasione dell'organizzazione della Mostra "Mare Nostrum" 2011 ha dimostrato, una volta di più, di sapersi far partecipe del nostro progetto con interesse e attenzione, nella certezza che la cultura è "pagante" e che i fondi ad essa destinati costituiscono non già una perdita, ma un investimento.

Desideriamo quindi ringraziare tutti coloro che ci hanno fattivamente sostenuto e appoggiato come - d'altra parte - i visitatori che si recheranno al "Castello a Mare" nei locali della Mostra, confidando che possa rappresentare un interessante momento di "immersione" nella cultura e nella nostra storia.

E a tutti i lettori di "Garibaldi un uomo di mare" va, come è ormai decennale consuetudine, l'augurio di Buona lettura e di Buona Navigazione!

Rapallo, novembre 2011

M. Brescia - E. Carta - C. Gatti

Sabato 5 novembre ore 10.30: Sala consiliare

Conferenza stampa per l’Apertura della 30a Edizione della Mostra di Mare Nostrum e presentazione della Pubblicazione di carattere storico curata da Maurizio Brescia, Emilio Carta, Carlo Gatti, Umberto Ricci alla presenza degli stessi autori.

Domenica 6 novembre - ore 11,00:

Conferenza presso il Centro Incontri del Gran Caffè Rapallo (sede sociale dell’Ass. Mare Nostrum) tenuta dal  Cap. Umberto Ricci sul tema

“I GARIBALDINI DI RAPALLO”

Domenica 13 novembre – ore 11:

La prevista conferenza del com.te Erminio Bagnasco sul tema “ I 150 ANNI DELLA MARINA MILITARE”  per un problema familiare del noto  storico è stata sostituita da analogo intervento del socio Maurizio Brescia che ha presentato e commentato un “affresco” storico della nostra Marina Militare arricchito dalla proiezione di un centinaio di foto navali molte delle quali inedite. Hanno partecipato alla conferenza “testimonial” e importanti personaggi della marina. 

Sabato 19 novembre – ore 11.00

Conferenza presso il Centro Incontri del Gran Caffé Rapallo del com.te Enzo Gaggero sul tema  “ ORA FERROVIARIA NELL’UNITA’ D’ITALIA”

Con il regio decreto del 10 agosto 1893 Il Re adotta il “Fuso Orario” di riferimento che passa per Termoli – Etna.

Domenica 20 novembre – ore 11.00

Presentazione presso il Centro Incontri del Gran Caffè Rapallo della pubblicazione “All’inferno e ritorno: la storia del marò Mario Ammi” curata da Emilio Carta e relativa a un naufragio avvenuto in Grecia durante l’ultima guerra mondiale.

Presente il superstite Maio  Ammi ha fatto gli onori di casa il Com.te Carlo Gatti.

Domenica 20 novembre - ore 18: chiusura Mostra e saluto ai partecipanti

Orario apertura al pubblico:

Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì ....... giorni di   chiusura

Venerdì ............................. 15-18

Sabato......  10-12 -      15-18

Domenica.. 10-12 -      15-18

Le sale espositive

Antico Castello – sala al primo piano

Ha ospitati lo stand del locale gruppo della Marina Militare e la grande mostra espositiva sulla storia del mare e della navigazione attraverso il modellismo navale curata dall’Associazione modellisti “Nonno Franco” di Rapallo.

Antico Castello - sala al piano superiore

Vi erano  esposti materiale storico iconografico afferenti il 150° Annversario dell’Unità d’Italia utilizzando le collezioni private del com.te Carlo Gatti, del curatore del Museo delle Telecomunicazioni com.te Ernani Andreatta, di Emilio Carta, dello studioso Maurizio Brescia e, come annunciato, del com.te Enzo Gaggero con una Mostra su “Ora Ferroviaria nell’Unità d’Italia”.

Antico Castello - due salette al piano superiore

Erano aperte al pubblico con le seguenti esposizioni:

- Una Mostra con la riproduzione di materiale storico navale sui relitti ritrovati davanti a San Fruttuoso a cura di Claudio Molfino.

- il materiale espositivo-didattico-museale messo a disposizione dal Curatore del Museo navale Tommasino-Andreatta, comandante Ernani Andreatta;

- Le immagini relative al fascicolo didattico illustrativo “Garibaldi un uomo di mare

Gestione della fase promozionale e operativa dell’evento

La mostra è stata arricchita e promossa grazie a conferenze stampa, articoli giornalistici sui principali quotidiani e periodici liguri, realizzazione di un prezioso fascicolo illustrativo, con la stampa di manifesti, locandine    depliants a quattro colori , uno stendardo promozionale e di un pannello mobile espositivo, stampa di 100 copie del quadro illustrativo della mostra su Garibaldi realizzato dal pittore Amedeo Devoto

- Il 9 dicembre Emilio Carta e Carlo Gatti hanno presentato i loro ultimi libri sull’emittente televisiva locale STV:

- il 10 dicembre il Sindaco e il presidente di Mare Nostrum all’Oratorio dei Neri hanno presentato in anteprima nazionale il romanzo “Il Collezionista d’Armi” scritto da Emilio Carta.

-Tra i soci-collaboratori che inviano “regolarmente” materiale fotografico per l’Associazione devo citare soprattutto due persone: Pino Sorio e Scipione D’Este, due appassionati viaggiatori e visitatori di Musei Navali. Un particolare ringraziamento é dovuto all’artista pittore Amedeo Devoto che anche quest’anno ha voluto donare a Mare Nostrum due pregiatissime “opere garibaldine” che hanno onorato l’argomento principale della nostra Mostra annuale.

- In concomitanza alla nostra Mostra all’antico Castello di Rapallo, è stata inaugurata la mostra : DA CAVOUR ALLA CAVOUR – presentata  a La Spezia-Arsenale. Ideatore, realizzatore, allestitore il nostro socio Marco Prandoni. Autori di una grafica eccellente i nostri soci Claudio Molfino e Alessandro Bonati.

Ringrazio i soci e collaboratori interni ed esterni di Mare Nostrum che hanno dato la loro collaborazione con grande entusiasmo in tutte le occasioni che si sono presentate. Un ringraziamento “particolare” lo dedico a Bruno Malatesta, vice presidente della Società Capitani e Macchinisti di Camogli per l’assistenza all’attività del nostro sito.

Il Presidente

Carlo Gatti


BIAGIO ASSERETO, L'Ammiraglio che catturò due Re

Biagio ASSERETO

L’AMMIRAGLIO CHE CATTURO’ DUE RE

NATIVO DI RECCO, SUO NONNO VENIVA DA RAPALLO

Statua di Biagio Assereto

Veduta di Genova verso la metà del 1400. Xilografia tratta dalle “Cronache di Norimberga”

Il grande poeta Francesco Petrarca così descriveva Genova nel lontano 1358:

“Arrivando a Genova vedrai una città imperiosa, coronata da aspre montagne, superba negli uomini e per mura, signora del mare”.

Sintesi mirabile delle caratteristiche principali della città ligure, del suo glorioso passato, delle sue forti tradizioni. L’orgoglio di Genova si ritrova ovunque, nella ricchezza dei monumenti e dei musei, nello splendore dei palazzi maestosi e dei parchi, nel carattere e nella lingua dei genovesi, nei “caruggi” del suo centro storico, nel grande e variopinto porto, ove regna il movimento de traffici.

Un’iscrizione in latino, posta sul pilastro meridionale di Porta Soprana, recita:

“In nome dell’Onnipotente Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, Amen. Sono munita di uomini, circondata da mura mirabili, col mio valore tengo lontane le ostili armi. Se porti pace ti é lecito toccare queste porte, se chiederai guerra triste e vinto ti ritirerai. A mezzogiorno e a occidente, a settentrione e a oriente é noto quanti moti di guerre ho superato, io, Genova!”.

In questo superbo contesto nasce e si muove Biagio Assereto

“Biagio Assereto, generale delle galee della Serenissima Repubblica di Genova, fece prigionieri due re, in Infante, trecento cavalieri. Morì l’anno 1456”.

Questa iscrizione si trova su un busto marmoreo nella Chiesa arcipresbiteriale di Serravalle Scrivia. S'ignora la data della sua nascita, ma da un documento del 1408, si ritiene che egli sia nato non dopo il 1383. Si conosce invece il luogo di nascita, Recco. Di suo padre si sa che non era un marinaio, ma un rispettato artigiano. Sua madre era una Ghisolfi, una donna appartenente a una potente famiglia di mercanti genovesi. Il nonno veniva da Rapallo, la sua famiglia era di tendenza politica filo-milanese. Aveva svolto i primi studi presso i religiosi e avrebbe dovuto essere orafo. Era di bell'aspetto, aitante nel fisico ed allo stesso tempo intellettuale, ma amava soprattutto il mare. Per queste doti entrò nelle simpatie di Francesco Spinola, allora padrone di Recco, che lo fece diplomare notaio. Iniziò, quindi, la carriera da scrivano a Porto Maurizio nel 1408 per conto del locale podestà. Un posto ottenuto dalla Repubblica di Genova. Un impiegato quindi, non un navigatore.

GALEA SOTTILE: Il nome "galera", diffusosi solo nel XII secolo, deriva dal greco γαλέoς (galeos), cioé "squalo", perché la forma assunta in quest'epoca dalla principale esponente di questo tipo di navi, la galea sottile, richiamava tale pesce: essa infatti era lunga e sottile, con un rostro fissato a prua che serviva a speronare ed agganciare le navi avversarie per l'arrembaggio. La propulsione a remi la rendeva veloce e manovrabile in ogni condizione; le vele quadre o latine permettevano di sfruttare il vento.

La forma lunga e stretta delle galee, ideale soprattutto in battaglia, la rendeva però poco stabile, e le tempeste e il mare grosso la potevano facilmente affondare: perciò il loro utilizzo era limitato alla stagione estiva, al massimo autunnale. Era obbligata a seguire una navigazione di cabotaggio, ossia vicino alle coste , in quanto la sua stiva poco capiente imponeva diverse tappe per il rifornimento soprattutto di acqua; i rematori, per il continuo sforzo fisico, ne consumavano molta. Per queste ragioni la galea era inadatta alla navigazione oceanica.

Le più famose battaglie combattute da queste navi furono quella di Salamina , nel 480 a.c. , e quella di Lepanto, nel 1571 . A entrambe queste battaglie presero parte diverse centinaia di galee.

I combattimenti tra galee si risolvevano di solito in abbordaggi, nei quali gli equipaggi si affrontavano corpo a corpo e, a partire dal XVI secolo, a colpi di archibugio; in genere si univano alla lotta anche i rematori.

Nel XV secolo le galee cominciarono ad imbarcare a bordo dei cannoni : generalmente un cannone di corsia centrale più alcuni pezzi di calibro inferiore sulla rembada. La potenza di questi cannoni, specie di quelli laterali, era però limitata perché le sollecitazioni derivanti dallo sparo scuotevano e danneggiavano la nave. Inoltre verso la fine del Medioevo si inventò il sistema di remo a scaloccio, in cui 4-5 rematori facevano forza sul medesimo remo. I rematori potevano essere uomini liberi stipendiati o (in caso di guerra) reclutati per sorteggio, schiavi e prigionieri condannati per un certo numero di anni al remo; dal termine galea deriva infatti il termine italiano galera.

Nella battaglia di Lepanto i veneziani sperimentarono con ottimi risultati le galeazze, galee molto più grandi e stabili che potevano imbarcare batterie di cannoni di grosso calibro e sparare in tutte le direzioni; tali navi, tuttavia, erano impossibili da manovrare a remi, tanto che dovettero essere trainate da due galee ciascuna.

Galea Bastarda: Galea dalle forme poppiere più piene rispetto alla galea sottile e murate più alte, era utilizzata con funzioni di nave capitana o patrona, cioè ammiraglia. Il nome derivava dal fatto che tale tipo di nave risultava essere un incrocio tra la galea sottile e la galea grossa. Ne esisteva anche una versione ridotta nota come bastardella, di dimensioni intermedie tra la galea sottile e la galea bastarda

Galeazza

Bastimento a vela e a remi, che prese forme definitive nella seconda metà del Cinquecento. Era d'alto bordo, con casseretto e castello, attrezzato con tre alberi a vele latine e il bompresso . Aveva il ponte di coperta e il suo palamento consisteva in 32 banchi sottostanti a quel ponte, con remi a scaloccio. Pertanto il ponte di coperta era libero per la manovra delle vele e poteva portare una batteria di grossi cannoni (circa 36) e altri minori installati sui fianchi. La galeazza, imitazione della galea da traffico con la sua attrezzatura e l'alto bordo, fu il coronamento degli sforzi per mettere le galee in grado di meglio opporsi al crescente predominio della nave a vela.

Dal 1423 Biagio Assereto diventa armatore e noleggiatore di galee al servizio della Repubblica e nel 1425 lo si ritrova in città, capo dei cancellieri. Uno strano cancelliere. Proprio nel 1425, eccolo capitano di una nave della Serenissima contro il ribelle Antonio Fregoso; poi comandante d’una galea nel 1427, nella flotta di Antonio Doria che restituì il reame di Napoli a Giovanna II.

Renato d’Angiò, re di Napoli, stette in carica dal 1435 al 1442

Suo predecessore fu Giovanna II, suo successore Alfonso I

Infine, sempre nel 1427, viene inviato nella zona delle Cinque Terre al comando di una galea che costringe alla resa Ferruccio Verro e lo porta prigioniero a Genova. Il fiorentino era partito da Pisa a sostegno di Tommaso di Campofregoso, che in quella regione si era fatto capo del malcontento genovese contro il duca di Milano.

Biagio Assereto

Improvvisamente, codici, rogiti e pandette vengono accantonati e nasce un nuovo ammiraglio, un vero uomo di mare: Biagio Assereto che sarà presto inserito nell’albo d’oro d’una città come Genova, già così ricca di capitani e di navigatori famosi.

Contemporaneamente l'Ammiraglio, non pago delle forti somme di danaro ricevute per le sue prestazioni in qualità di “patrono di navi”, mirava ad ottenere altri incarichi, ancora più redditizi, nell'amministrazione della Repubblica. Nel 1428 fu nominato podestà di Recco, nel 1429 commissario nel territorio di Portofino e sempre nel 1429 rappresentò Genova nel trattato di alleanza con Lucca, la quale aveva abbattuta da poco la tirannide di Paolo Guinigi, contro i Fiorentini.

La sua fama varca tutti i confini di allora quando nelll’agosto 1435 gli viene affidata una flotta ridotta di appena 12 Galee, con la quale giunse a Gaeta in soccorso di Francesco Spinola assediato da Alfonso d'Aragona. La battaglia decisiva avvenne a largo di Ponza il 5 agosto e Biagio Assereto riportò la vittoria.

Quello che segue é certamente il racconto più importante della sua più significativa impresa da AMMIRAGLIO.

Antica Stampa del porto di Gaeta

L'assedio di Gaeta e la conseguente battaglia di Ponza sono due eventi storici accaduti nel 1435. In quell'anno Alfonso il Magnanimo (Alfonso d'Aragona), nella lotta per impossessarsi del trono napoletano di Renato d'Angiò, si rivolgeva contro la roccaforte di Gaeta che ancora gli resisteva. Nel corso degli eventi veniva sconfitto e catturato dal genovese Biagio Assereto, e poi liberato dal Duca di Milano Filippo Maria Visconti.

Sotto: Il re spagnolo sconfitto

Alfonso d’Aragona

L’antefatto é il seguente: morta la regina Giovanna, il re spagnolo Alfonso d’Aragona mise in atto una strategia per riprendersi il reame di Napoli. La tattica militare scelta era la seguente: stringere d’assedio Gaeta con una armata navale per sbarcarvi le truppe, e di là muovere verso la capitale campana. Ma Gaeta fece in tempo a chiedere aiuto a Genova, che mandò un contingente, al comando di Francesco Spinola, per costruire opere di difesa.

Genova non intendeva mettersi contro potentissima Spagna, ma il presidio di Spinola finì invece a sua volta assediato, e la Repubblica di Genova dovette decidersi, o rinunciare alla propria dignità di Stato, o intervenire in soccorso delle sue truppe di Gaeta. Fu scelta una via di mezzo: armare una flotta e  inviarla in appoggio degli assediati, ma solo allo scopo di liberarli, senza arrivare a scontrarsi con gli spagnoli. La mini-Armata genovese era composta di 12 galee soltanto, e 2400 armati al comando di Biagio Assereto che era il principale sostenitore dei “falchi” genovesi. Appena giunse in vista Gaeta, seppe che Spinola, il nobile di cui era stato paggio, era ferito e che gli spagnoli stavano per occupare la città. Era il 3 agosto 1435. Proprio in quel giorno, l’ammiraglio genovese si vide venire incontro l’imponente flotta spagnola comandata da re Alfonso d’Aragona: 31 navi da guerra su cui erano imbarcati oltre 6.000 uomini. Nonostante la disparità di forze, B. Assereto accettò lo scontro, dopo aver inviato la dichiarazione scritta al sovrano spagnolo che egli intendeva soltanto soccorrere i suoi compatrioti genovesi  e riportarli in patria.

La superiorità militare aragonese era fin troppo evidente, l’arroganza del re spagnolo fece il resto, ma l’esito dello scontro fu per loro una tremenda umiliazione.

La battaglia avvenne al largo di Ponza e fu una dimostrazione d’arte militare e navale da parte di Assereto. Alla sera, gli spagnoli erano sconfitti, il bottino enorme: undici navi nemiche vennero catturate, due sole fuggirono, tutte le altre furono bruciate o affondate. Assereto prese prigionieri il re Alfonso d’Aragona, il re di Navarra, l’Infante di Aragona, il Gran Maestro di Alcantara, il vice re di Siviglia, il principe di Taranto e una lunga schiera di baroni e di gentiluomini. Assereto diede notizia della vittoria a Genova e a Filippo Maria Visconti con una relazione caratterizzata da moderazione e modestia. A Genova fu festa grossa per tre giorni. Il bottino era di dimensioni mai viste, e venne, come promesso, distribuito ai membri dell’equipaggio.

Dal  poema celebrativo delle gesta di Biagio Assereto (ammiraglio della flotta genovese)

O Ponza, tu sempre sarai ricordata per questa crudele tenzon sanguinosa, avrai rinomanza d’eterna durata, fra l’isole tutte sarai tu famosa. Fu in te che gridaro con voce paurosa entrambi gli stuoli “Battaglia, battaglia!” La vista che senza l’orror che attanaglia poter contemplarla fu maschia e animosa.

Antonio Astesano (poeta di Corte) 1436

Ma come si svolse la battaglia? Quale fu la strategia messa in atto da Biagio Assereto per potersi imporre su un avversario così potente e per l’occasione così superiore in numero di navi e di uomini armati?

Per rispondere a questa domanda ci siamo affidati ad alcune pagine del libro

“La Battaglia navale di Ponza del 1435. Alfonso il Magnanimo (1416-1458)”

di Alan Ryder(Traduzione di Silverio Lamonica)

Sul tardi Alfonso decise di assaltare Gaeta, piuttosto che rischiare di subire la rottura del suo blocco. Quindici barche con scale d’assalto appese agli alberi, si unirono alla flotta di galee che attaccava le difese marittime; a terra puntò le sue speranze su una grande torre d’assedio in legno che doveva aprire la strada a tre colonne assaltatrici comandate da lui stesso, da Enrico e da Giovanni. Pedro, a capo delle forze navali, manovrava sotto un assiduo fuoco di frecce e palle di cannone, nel tentativo di portare la nave a riva, solo per scoprire, con rammarico, che le scale d’assalto non riuscivano a raggiungere le mura che si affacciavano sul mare. Il paranco in tensione che li sosteneva cedette, gettando a mare i soldati posizionati sulle scale a pioli; tutti annegarono, tranne due che riuscirono a liberarsi dell’armatura e a nuoto raggiunsero la salvezza. Non essendo riuscita la medesima manovra ad una seconda barca, le altre si tenevano alla larga dalla linea di fuoco. A terra né uomini, né macchine da guerra potevano tener testa ad una difesa tanto determinata, quanto abile. Riconoscendo che l’attacco era fallito, Alfonso richiamò i suoi.

Ora tutto dipendeva dalla flotta genovese, le cui galee perlustravano il tratto di mare  trenta miglia al largo di Terracina, se ciò poteva essere deprecabile, Gaeta ridusse i rifornimenti di due settimane, assolutamente necessari ad evitare la capitolazione. Invece di lasciare l’iniziativa al nemico, come aveva fatto a Bonifacio, Alfonso decise di tenere i genovesi ben lontani da Gaeta, dando battaglia in mare aperto. Aveva fiducia nei suoi vascelli catalani e siciliani i quali, numericamente in vantaggio, avrebbero messo alla prova i genovesi in più di uno scontro. Così a riprova della sua notevole mancanza di fiducia, prese personalmente il comando della flotta ed invitò ad accompagnarlo una moltitudine di nobili, amministratori, e perfino spettatori, come pure una coppia di ambasciatori di Barcellona. Si dice che soltanto la nave del re, un enorme vascello comandato da Jofre Mayans, avesse preso a bordo oltre ottocento di questi passeggeri superflui (Nota 53). Anni dopo si sostenne che lui prese il comando per mettere fine ad una lite tra Giovanni ed Enrico che si contendevano quel ruolo e che tutti gli altri avrebbero seguito il re che si era messo a rischio (Nota 54). Comunque appare evidente che acquisì un certo gusto per le operazioni navali e potrebbe aver confidato nella speranza di una vittoria spettacolare, la quale avrebbe consolidato la sua reputazione di condottiero reale di operazioni anfibie. La moltitudine festante si imbarcò il 3 agosto 1435. I fratelli reali presero ciascuno il comando dei maestosi vascelli che in tutto erano nove.

Nota 53 - Si imbarcarono più di 800 persone della casa e della corte reale, come se andassero a festeggiare una vittoria certa (Zurita, Annales, VI 93).

Corona d'Aragona (o Impero aragonese) fu il nome dato all'insieme dei regni e territori soggetti alla giurisdizione dei Re d'Aragona dal 1134 al 1714. Nata dall'unione dinastica tra il Regno d'Aragona e la Contea di Barcellona, la Corona d'Aragona venne accresciuta nei secoli di altri territori: i regni di Maiorca, Valencia, Napoli, Sicilia, Sardegna, Contea di Provenza, nonché i ducati di Atene e di Neopatria.

Cinque altre navi ed 11 galee completarono la flotta che il mattino successivo presero il largo alla ricerca dei genovesi. Li avvistarono mentre si avvicinavano provenienti dalla parte di Terracina, li inseguirono verso l’isola di Ponza e si sarebbero impegnati senza ulteriori difficoltà, poiché il Comandante genovese, Biagio Assereto inviò un araldo con una bandiera bianca per chiedere di non ostacolare il passaggio, in modo che potessero consegnare le provviste destinate a Gaeta. Gli scambi di notizie conseguenti si protrassero per tante ore diurne che la battaglia dovette essere rinviata al mattino successivo (55).

L’alba li sorprese a circa quattro miglia da Ponza, un’isoletta distante trentacinque miglia dalla terraferma. Il re provò una fiducia superba, specie quando vide tre navi genovesi fuggire verso il mare aperto. Col vento che gonfiava le vele, diresse lo squadrone principale direttamente sull’ammiraglia di Assereto; in una situazione simile qualsiasi altro comandante avrebbe preferito pregare. Ma quando le navi stavano per collidere, con una bordata improvvisa Assereto fece ruotare la sua nave, urtando violentemente la poppa del vascello reale, liberandola della zavorra e facendola sbandare paurosamente. (Alfonso) non gioì a lungo dell’altezza (della sua nave) appena i due vascelli si uncinarono, né il suo equipaggio avrebbe potuto manovrare le armi con un certo effetto su un ponte inclinato. Altrove la battaglia infuriava perfino con maggior fortuna. Alcune navi genovesi si trovarono abbordate da entrambi i lati a causa del maggior numero di navi aragonesi, mentre le galee della retroguardia si lanciavano in avanti, favorite dal mare calmo e centrando il bersaglio con colpi d’arma da fuoco e con frecce. Da parte loro i genovesi fecero ampio uso di frecce infuocate, olio bollente e calce viva che la brezza soffiava sui loro avversari con un effetto devastante. Ma fu nell’abilità del combattimento che i genovesi godettero di un vantaggio schiacciante: tutti i loro uomini erano temprati dai combattimenti navali, mentre i marinai aragonesi erano fatalmente impediti da una frotta di marinai d’acqua dolce, metà dei quali in preda al mal di mare e per nulla capaci di combattere con efficacia sui ponti delle navi in preda al rollio.

Quel che decise la battaglia fu la ricomparsa, nel pomeriggio, di quei tre velieri genovesi che ebbero l’ordine di allontanarsi quando cominciò l’attacco. Ora piombavano nel mezzo del combattimento su un nemico sfibrato. Anche sulle navi ammiraglie i genovesi avevano la meglio. Cinque loro velieri circondarono la nave ammiraglia, spingendosi in avanti da prua, da babordo e da tribordo, presero il castello di prua, irruppero attraverso una barricata a mezza nave e spinsero indietro il re ed il suo seguito verso il castello di poppa, dove Alfonso trovò rifugio dalla grandine di frecce, concentrate ora sull’ultimo fortino.

Nota 55 - Rispondendo ad Assereto, Alfonso chiese di conoscere in base a quale diritto Genova aveva la presunzione di interferire nel suo regno, in soccorso dei suoi nemici. Inoltre chiese la resa della flotta genovese.

pag.  204 - Per porre fine alla loro resistenza, Assereto fece tagliare il sartiame provocando la caduta dei pennoni che fu tanto rovinosa e violenta che si aprirono i fianchi della nave. Appena l’acqua cominciò a penetrare all’interno, una freccia infuocata, scoccata da una balestra, piombò sul ponte ai piedi di Alfonso; attorno a lui i nobili caddero in ginocchio scongiurandolo di salvare la vita. Ma a chi avrebbe dovuto arrendersi? Il suo principale avversario, Assereto, di mestiere notaio, non aveva le qualità per prendere prigioniero un re. Invece egli scelse tra i capitani genovesi un certo Iacopo Giustiniano, la cui famiglia resse la Signoria di Chio e a lui consegnò la spada, dichiarando di considerarsi prigioniero del Duca di Milano, Signore di Genova. Un piccolo frammento di onore fu salvato dal naufragio della sua fortuna.

Vedendo catturato il loro re, gli equipaggi delle altre navi, già col morale a terra, si scoraggiarono del tutto. Molti si arresero senza un ulteriore combattimento. Solo Pedro, con due navi prese a rimorchio dalle galee, riuscì a fuggire nella notte. Furono catturate dodici navi, una galea bruciata ed un’altra affondata. Alfonso, Giovanni, Enrico, il Principe di Taranto, il Duca di Sessa, il Conte di Campobasso, Lope Ximenez de Urrea, il governatore di Aragona, Ramon Boyl, Guglielmo Ramon de Monteada, il Signore di Alcantara, Diego Gomez di Sandoval, con oltre cento altri nobili di alto rango di Aragona, Castiglia, Valencia, Catalogna, Sardegna, Sicilia e Napoli furono presi prigionieri. Esclamò un cronista napoletano: “Mai rete gettata in mare per una volta, non foro presi tanti pisci” ( Faraglia, Diurnali, 94).

*** A completare il disastro, i soldati della guarnigione di Gaeta, il giorno dopo, avendo saputo del trionfo dei loro compatrioti, uscirono improvvisamente dalla città, schiacciando i loro assedianti demoralizzati, portarono come trofeo le prede,  rivaleggiando con quelle catturate in mare. Assereto, arrivando poco dopo a consegnare il tanto atteso soccorso, in compagnia dei suoi prigionieri, trovò lo stato di assedio in frantumi e l’esercito reale sparso al vento. Immediatamente scaricò le merci, rilasciò migliaia di prigionieri di poco valore ai fini del riscatto e bruciò alcune navi catturate. Si dice che due giorni dopo, temendo che Spinola, nella sua qualità di ammiraglio genovese potesse sostituirlo nel comando, fece di nuovo vela alla volta di Ischia, con l’intento apparente di espellere gli Aragonesi dalle loro ultime roccaforti napoletane. Zurita (Anales VI, 98) riferisce un episodio: quando Assereto invitò Alfonso a liberare Ischia, ricevette la seguente risposta: “Neanche se pensassi di essere gettato in mare, cederei una sola pietra dei miei domini”.

pag. 205 - Comunque sia, prima che potessero raggiungere Ischia, si scatenò una tempesta che disperse le navi di Assereto. Dopo un’altra breve visita a Gaeta, abbandonò l’idea di ulteriori azioni e si diresse invece verso il porto della sua nazione. Appena fece sosta con l’Aragonese a Portovenere, vennero ordini direttamente dal Duca di Milano di non portare Alfonso a Genova, ma a Savona con Enrico e pochi nobili sbarcati il 28 agosto. Gli altri prigionieri furono sbarcati a Genova dove Giovanni, assieme a Ruiz Diaz de Mendoza, Menicuccio dell’Aquila e i figli del Conte di Castro, trovarono alloggio nel castello, i meno fortunati furono rinchiusi in una comune prigione insalubre, la Malapaga (58).

Per Alfonso era già iniziata una metamorfosi sorprendente: da prigioniero di guerra a principe trionfatore. Perfino nei giorni immediatamente successivi alla sua sconfitta, i genovesi, i quali mai potevano immaginare che un prigioniero tanto illustre potesse finire nelle loro mani, “lo trattarono con gran rispetto e deferenza, nemmeno fosse stato il Duca di Milano in persona” (59). Dato il carattere atomizzato della classe politica genovese, non c’è da sorprendersi che alcuni avessero già cominciato a considerare il vantaggio personale che avrebbero potuto ricavare da uno straordinario cambiamento degli eventi. Alcuni anni dopo, uno dei comandanti, Giovanni de Fredericis, ancora raccoglieva ricompense per essersi offerto a prendere Alfonso a bordo della sua nave  e metterlo in libertà, non ci sarebbe stato alcun attentato nel portarlo a Genova. Assereto che doveva incontrarsi con Filippo Maria, appariva ugualmente desideroso di  rispettare il desiderio del suo prigioniero reale, tanto da mettersi nelle mani del duca anziché della repubblica. L’atteggiamento del Duca di Milano fu adombrato dal suo governatore di Savona che ricevette il re con una tale deferenza da sembrare che fosse venuto non come prigioniero, ma per prendere possesso della città (60).

Alfonso trascorse dieci giorni nel castello di Savona, aspettando la prossima mossa del Duca e rifornendo il suo guardaroba, essendo arrivato coi soli indumenti che indossava. L’8 settembre, in compagnia di Enrico, il principe di Taranto, il Duca di Sessa. Inigo Davalos ed Inigo di Guevara, partì per Milano. Viaggiando con calma e percorrendo tre leghe al giorno, la compagnia attraversò Pavia per raggiungere la capitale di Filippo Maria, il 15 settembre.

Note:
58) I prigionieri che capitarono peggio furono Franci de Bellvis e Gutierre de Nava; i  loro saccheggi ai danni della flotta, infuriarono i genovesi a tal punto che furono gettati nella prigione comune e furono gli ultimi a riacquistare la libertà.

59) Zurita (Anales VI 98)

60) “il quali ricevette il Re con tanta venerazione che parea che fosse venuto non prigione, ma pigliare possessione di quella città” ( Costanzo, Historia – III 31)

Medaglia di Filippo Maria Visconti

- Terminiamo la rievocazione storica di quell’avvenimento bellico con una sintesi storica un po’ amara per l’ammiraglio Biagio Assereto. Gli avvenimenti, purtroppo, presero un’altra piega come ci racconta lo storico Giovanni Balbi:

“I prigionieri non furono condotti a Genova, che non ebbe così il suo atteso trionfo. Li volle dirottati a Milano Filippo Maria Visconti, a cui allora la Repubblica era soggetta. Alfonso d’Aragona e i suoi, una volta a Milano, furono subito rimessi in libertà e il re spagnolo sottoscrisse con il Visconti un accordo in base al quale quest’ultimo lo avrebbe addirittura aiutato nella conquista del reame di Napoli. I genovesi si ribellarono a questo voltafaccia dei milanesi e ne fecero colpa ad Assereto, accusandolo di tradimento e vietandogli il ritorno in patria: e forse un po’ di responsabilità l’ammiraglio doveva avercela, se lo ritroviamo remuneratissimo governatore di Milano al servizio di Filippo Maria Visconti e conte di Serravalle Scrivia. Infine, nel 1437, eccolo anche commissario ducale di Parma e comandante dell’armata milanese nella guerra contro Venezia. Riuscì a mostrare ancora di che tempra egli fosse. Passato al servizio di Francesco Sforza sconfisse infatti prima a Chiusa d’Adda e poi a Casalmaggiore l’ammiraglio veneziano Querini e lo costrinse a ripiegare sulle lagune. Ma si sentiva stanco di gloria e di battaglie: e così si ritirò nel suo castello di Serravalle Scrivia, ospitando amici, cacciando, dilettandosi di studi letterari, intrattenendo corrispondenza con artisti e pittori. Era amico anche di Enea Silvio Piccolomini, divenuto Pio II dal 1458. Di lui, anagraficamente, l’unica data certa é quella della sua morte: a Serravalle Scrivia, il 25 aprile 1456”.

Rapallo, 26 gennaio 2013
Carlo GATTI

Bibliografia:

- Storia di Genova – Federico Donaver

- Navi e Marinai – Compagnia Generale Editoriale

- La Battaglia navale di Ponza del 1435. Alfonso il Magnanimo (1416-1458)”

di Alan Ryder – (Traduzione di Silverio Lamonica)

- La Mia Gente – IL SECOLO XIX