“Personaggi di Rapallo”

Battista Bavestrello

IL CAMPANARO

20 Apr.2017-Sala Consiliare Comune-Rapallo: presentato il 57° Raduno dei Suonatori di Campane. Battista Bavestrello é il secondo da sinistra. Il sindaco in carica, Carlo Bagnasco é il secondo da destra.

COME SI COSTRUISCE UNA CAMPANA?

L’articolazione compiuta del suono delle campane è però tanto complessa quanto la realizzazione della campana stessa. Mediamente occorrono da trenta a novanta giorni per la fabbricazione della campana. Con una sagoma di legno e ferro e con una struttura di mattoni, si dà forma all'”anima”, che corrisponde all’interno della campana. Questa si copre con strati di argilla sui quali si applicano le iscrizioni e le figure in cera che formeranno la “falsa campana”. Con l’applicazione di un nuovo strato di argilla si ottiene il “mantello”. Mediante i carboni ardenti inseriti nell’anima si raggiunge l’essiccazione del mantello nel quale rimangono impresse al negativo le iscrizioni e i fregi (cera persa). A questo punto si solleva il mantello, si elimina la falsa campana e si ricolloca il mantello sull’anima. Il bronzo – ottenuto con il 78% di rame e il 22% di stagno – viene colato a circa 1150° in quello spazio. Si procede così alla ripulitura della campana così realizzata, prima di sottoporla alle verifiche della tonalità. Questo procedimento è affidato a sapienti artigiani depositari di antiche tecniche tramandate di padre in figlio. Le botteghe dei Marinelli ad Agnone (fin dall’anno mille), dei Clocchiatti a Campoformido, dei Picasso ad Avegno, dei Colbachini a Saccolongo e di altri artigiani veterani dell’arte campanaria, restituiscono vitalità ad una memoria pressochè dimenticata. Tradizione che non trova terreno fertile nelle nuove generazioni proiettate verso un futuro che non deve mai trascurare la tradizione.

IL SUONO DELLE CAMPANE

Testo DI F. DE GREGORI – Musica di M. LOCASCIULLI

………………………………………………………………………………….

Ho visto uomini discutere su chi doveva sparare per primo

Uomini tirare a sorte il nome dell’assassino

E ho visto uomini in fila indiana nella notte di Natale

Aspettavano fumando il suono delle campane

Il suono delle campane

Aspettavano sognando…

Gli uomini avvertono da sempre il fascino spettacolare sprigionato dalle campane, le cui onde sonore vibrano per le vie dei cieli e della terra da secoli e secoli. Dai rudimentali campanelli dei tempi antichi fino alle enormi fusioni usate come elemento celebrativo, quel suono ha assunto nel tempo un duplice ruolo: religioso e sociale. Lo stesso progresso sociale è scandito dall’evoluzione del loro suono. Nella liturgia cristiana, l’uso delle campane compare nel VI secolo, assumendo un ruolo centrale nelle funzioni e un’importanza architettonica e artistica nelle chiese, nei conventi e nei monasteri. Indicative sono le iscrizioni che appaiono incise nel bronzo delle campane: “Vox mea, vox vitae”, “Voco vos ad sacra, venite!” (La mia voce è voce di vita-Vi chiamo agli uffici sacri, venite!)

La campana è uno strumento tanto semplice quanto carico di suggestioni, i suoi rintocchi hanno ispirato grandi compositori con il fascino di quelle note sole e pure, ma la sua forma d’arte è stata capace di suscitare elevati sentimenti e grandi emozioni anche e soprattutto nella gente comune. Da questo mondo popolare provengono i nostri maestri campanari che eseguono concerti secondo i riti e la tradizione locale: ligure, bolognese, ambrosiano e veronese che sono le più radicate nel nostro Paese.

Era l’inverno del 1982 e buona parte degli italiani si riunivano davanti al televisore per seguire in diretta la trasmissione di successo “Portobello”, che era condotta da Enzo Tortora. I rapallesi, in particolare, erano in trepidante attesa della comparsa in scena di Battista Bavestrello, conosciuto in città col nomignolo di “Bacci” il campanaro, il talentuoso musicista autodidatta che era in grado di esibirsi in solitario, in un vero e proprio concerto di dodici campane.


“Bacci” Bavestrello, al centro della foto, con Enzo Tortora durante la trasmissione televisiva Portobello

Maestro, ci parli un po’ di lei.

Sono nato a Rapallo nel 1933, ed ho iniziato a suonare le campane quando avevo poco più di venti anni. Ho fatto a lungo la “gavetta” allenandomi con le vecchie campane della Chiesa di Santa Maria del Campo, dove mio zio s’ingegnava a “suonare a cordette”, creando la giusta atmosfera di gioia e allegria durante le feste.

Quando è nata la sua attività di campanaro-concertista?

Dopo qualche anno, quelle quattro “stanche” campane furono sostituite con dodici nuove provenienti dalla ditta Picasso e, una volta appresa la tecnica del maneggio, imparai quanto di musica mi serviva per esibirmi in concerto ed anche per comporre motivi, attorno ai quali, ancora oggi, lavoro cercando per loro la forma migliore. La tecnica da me usata è quella a campane ferme: “carrilon” oppure “organo di campane a tastiera genovese”.

Prima d’ogni concerto mi alleno quattro ore il giorno per oltre un mese.


Fidenza 1988. Il campanaro rapallese “Bacci” Bavestrello, dedicò il concerto più importante della sua carriera a Papa Wojtyla.

In cinquanta anni di carriera, il mio repertorio musicale, costituito da motivi sacri e profani, è cresciuto notevolmente e lo eseguo a memoria senza spartiti. Di molti brani, come dicevo, sono anche l’autore.

Ho suonato parecchio in giro per l’Italia e amo ricordare non solo la mia partecipazione in TV nel 1982, che lei ha già menzionato e che mi ha dato una certa popolarità, ma soprattutto mi riempie tuttora d’orgoglio il ricordo di quando fui scelto, tra tanti bravi colleghi campanari, per eseguire un concerto durante la visita del Papa Karol Wojtyla a Fidenza nel 1988.

In seguito ho eseguito numerosi altri concerti in molte altre città: Chiavari, Rapallo, Genova, La Spezia, Monreale, Nicolosi, nella Repubblica di San Marino, Firenze, Milano, San Remo, Arenzano, Aosta, Rovigo, Trento, Bolzano, Ventimiglia, Reggio Emilia, Bellaria, Pioltello (MI), Vertemate con Minoprio (CO), Bovisio Masciago, Brianza, Mondovì (CN), Busca (CN) ecc.).  L’ultima esibizione l’ho tenuta recentemente al Conservatorio di Genova con altri cinque colleghi.

Nel 2004 ho recitato come attore, nei panni di un campanaro e in quella di un medico nel film “L’Apprendista”,  un cortometraggio scritto e diretto da Giacomo Gatti. 

Può descriverci la tecnica campanaria più diffusa in Liguria?

Tra le varie tecniche campanarie esistenti, una delle più antiche e diffuse in Liguria è senza dubbio quella cosiddetta ”a corde” ed è strutturata in questo modo: una catena (o corda in qualche caso) è fissata con un gancio ad una parete opposta alla campana da collegare; dalla parte opposta, tramite un altro gancio, avvicina il battaglio alla superficie interna della campana, alla metà circa di questa catena è fissata una corda che, sollecitata in senso verticale, avvicina il battaglio alla campana permettendo la percussione e quindi la produzione del suono. Secondo la maggiore o minore forza applicata, il suono sarà più o meno intenso, inoltre se il battaglio, dopo la percussione, tornerà nella posizione di partenza, la vibrazione della campana non cesserà; viceversa, se esso sarà mantenuto nella posizione di percussione, il suono sarà smorzato, ossia la vibrazione della campana si estinguerà molto presto. Grazie a questi accorgimenti, molto più difficili da applicare ad altre tecniche di percussione, il campanaro sarà quindi in grado di esprimere successioni e colori sonori differenti.

In questa istantanea di “Bacci” in concerto, si può notare l’insieme dei collegamenti che uniscono i battagli delle campane alla tastiera genovese.

Perchè lei ha adottato la tecnica a tastiera?

Mediante questa tecnica ho la possibilità di attivare un numero maggiore di note e di eseguire melodie d’ambito più esteso che non nella tecnica “tradizionale”, avendo davanti agli occhi le campane in successione e disposte chiaramente su un piano, anziché sparse nello spazio della cella campanaria. Con questa tecnica, è tuttavia più difficile eseguire accordi composti di più di due suoni o adottare accorgimenti come lo smorzato in velocità.

 

Può descriverci l’impianto?

Al sistema meccanico a “corde” appena descritto, è applicata una tastiera solitamente in ferro ed è fissata al pavimento. Essa presenta un numero variabile di tasti corrispondenti al numero delle campane; soltanto quando queste raggiungono il numero di dodici,  si può parlare di “concerto di campane”. Per allenarmi (senza campane), uso la stessa tastiera, ma ad ogni tasto è applicato un tubo verticale di lunghezza variabile, il quale può essere costruito in legno (xilofono) oppure in metallo (vibrafono).

 

Cosa si prova a suonare in solitudine nella cella campanaria di una chiesa?

Il campanile è il luogo dove l’arte prende forma grazie alle melodie e di conseguenza all’arte del campanaro. Salire verso l’alto è già poesia. Le porte, le rampe di scale, l’orologio, le corde campanarie, sono l’introduzione al concerto e ultima fonte d’ispirazione. Quest’ambiente riveste quindi particolare importanza nell’elaborazione musicale. Appena chiudo la porta d’accesso al campanile,  entro – per così dire – in un altro mondo, fatto oltre che di materia, anche d’odori e di colori unici. Ogni modifica di quest’ambiente da parte dell’uomo porta, a volte, ad una conseguente alterazione dell’aspetto musicale. Il richiamo dell’Angelus al calare del sole, per esempio, subisce con l’automazione le variazioni d’orario del tramonto.

Altri esempi di tali modifiche sono davanti agli occhi e nelle orecchie di tutti: si va dai campanili “virtuali”, in cui le campane registrate altrove sono diffuse con altoparlanti, alle campane automatizzate il cui sistema a telebattente, percuote la campana dall’esterno anziché con il battaglio dall’interno ed è unito, spesso, al sistema motorizzato delle ruote per il suono a distesa, per finire con la soppressione delle rampe d’accesso alla cella.

Siamo giunti al termine di quest’interessante conversazione e mi viene spontanea una domanda: è in pericolo l’antica tradizione campanaria?

Tutto ciò che ha un sapore antico, a mio avviso, è in pericolo. I giovani sono attratti dal moderno e quindi guardano nella direzione opposta alla nostra. Io credo che la nostra tradizione esisterà finché ci saranno buoni parroci che sapranno attrarre bravi giovani con la voglia di sacrificarsi per imparare, dai noi anziani, un’arte che purtroppo è faticosa, povera e in via d’estinzione. Tuttavia, devo dire che il problema mi trova più amareggiato che pessimista, infatti, noi campanari ci sentiamo un po’ abbandonati a noi stessi. Personalmente finché ho potuto ho suonato le campane con tanta fede e passione rimettendoci, il più delle volte, tempo e denaro. Oggi, da pensionato sono costretto a coltivare il mio orto per sopravvivere e, purtroppo, di sera sono stanco e non posso dedicare che pochissimo tempo al mio vibrafono (d’allenamento) che tengo in cantina.

So che il Comune di Rapallo le ha concesso un locale presso l’ex convento delle Clarisse, proprio per tramandare l’insegnamento della musica sul vibrafono ai giovani allievi, affinché l’arte campanaria non si perda. Ma se ho ben capito, lei sta dicendo che intende lasciare la sua attività?

Si! Purtroppo è così! “Picchiare” con i pestelli sulla tastiera delle campane è un esercizio ginnico duro, per il quale occorre molto allenamento da intervallare a molto riposo. Purtroppo la mia modesta economia non mi concede tempo né per l’allenamento né per il riposo. Mi creda, non spetta a me soltanto pensare a come mantenere in vita la tradizione dell’arte campanaria, tuttavia, spero che questo “messaggio” arrivi alle sensibili orecchie di chi ama veramente le nostre tradizioni. Mi creda!  Fin da ragazzo mi porto addosso le nostre tradizioni come una seconda pelle, e qualora fossi un po’ aiutato, potrei ancora lottare per tenerle in vita, almeno fino a quando potrò passare il testimone a qualche giovane di talento e di buona volontà.

GATTI CARLO

Rapallo 25 Settembre 2017