A BORDO CON IL PILOTA…

di John GATTI

Capo Pilota del Porto di Genova

Nelle due foto sopra: Manovra di un grande portacontenitore al VTE

Ascoltando la gente parlare di eventi che avvengono in mare, anche se, in questo caso, proprio sotto le finestre delle case dei genovesi, mi rendo conto di quanto sia sconosciuta la professione del Pilota portuale.

La colpa è soprattutto nostra. E’ nostra perché viviamo in un “mondo” a parte, perché siamo “terrestri” pur restando marittimi, perché lavoriamo in equilibrio tra efficienza e sicurezza, ma anche tra coraggio e cautela, tra presenza di spirito ed emozioni forti, tra le parole “lo faccio, o non lo faccio?”, seguite da decisioni prese in un secondo. E’ nostra perché diamo per scontato che chi ci guarda dalla finestra capisce cosa c’è dietro al movimento di una nave all’interno di un porto.

Voglio usare l’ultima, in ordine cronologico, “avventura” piuttosto eclatante discussa sulle banchine del nostro porto e riportata su molti quotidiani, ma questa volta la voglio raccontare dal “Ponte di Comando”, usando un linguaggio pratico, diretto, marinaro.

Il telefono è squillato intorno alle 23,00, e una voce ferma e decisa mi ha avvisato che la nave Cosco Africa, lunga 349 metri e di 114.000 tonnellate di stazza lorda ormeggiata nel porto di Pra-Voltri, stava strappando i cavi che la tenevano ormeggiata in banchina a causa del forte vento di Tramontana. Dall’altra parte del telefono c’era Angelo Simi De Burgis, il collega in servizio nella zona di ponente. Quella telefonata ha fatto scattare delle procedure d’emergenza, procedure scritte sulla pelle di decine di migliaia di manovre, molte di routine ma tante altre estreme. Un minuto di telefonata mi ha permesso di capire la gravità della situazione, il grado di controllo e la preparazione alla gestione di un evento che avrebbe potuto avere conseguenze disastrose.

Il tempo trascorso in macchina per raggiungere la pilotina a Multedo, è servito a raccogliere tutte le informazioni possibili, ascoltando la sala Operativa dell’Autorità Marittima, la nostra Sede Operativa e quella dei rimorchiatori. L’ingranaggio, molto ben oliato, stava girando in modo perfetto. Nel frattempo Angelo era salito sulla nave e cercava di gestire la situazione: la nave aveva strappato tutti i cavi che la tenevano ormeggiata e, in quel momento, due ancore con due lunghezze di catena ciascuna e tre rimorchiatori a spingere agguantavano la Cosco Africa a circa 70 metri dalla Costa Concordia.

Nel frattempo gli ormeggiatori ci avvisavano che anche la nave MSC Vienna si stava allargando dalla banchina rischiando di strappare i cavi. Decido di imbarcare sulla MSC. Una volta raggiunto il Ponte di Comando dispongo per filare due lunghezze in acqua per essere pronti sulle ancore, faccio preparare i cavi per rinforzare gli ormeggi e mi metto in contatto con l’Autorità Marittima, la quale mi informa che hanno predisposto l’invio di altri due rimorchiatori, uno previsto arrivare in dieci minuti, il secondo in venticinque.

Effettivamente il rimorchiatore America arriva puntuale e, quando comincia a spingere, riusciamo a recuperare sul vento, riportando la nave all’ormeggio.

A questo punto Angelo, con cui ero sempre in contatto radio, mi chiede di raggiungerlo immediatamente perché la situazione stava diventando ingestibile. Il vento  superava tranquillamente i 50 nodi con  raffiche a 60.

Raggiungo il collega sulla Cosco Africa e mi trovo di fronte a una situazione veramente delicata: il Comandante, di nazionalità cinese, era molto provato dalla situazione e appariva decisamente agitato; la Costa Concordia si trovava ormai a meno di 50 metri e continuavamo a perdere acqua soccombendo, di fatto, alla forza del vento. Di poppa avevamo due rimorchiatori molto potenti che spingevano a tutta forza.

Per non finire contro la C.Concordia decidiamo di mettere la macchina avanti per cercare, in estrema necessità, di affiancare la nave alla diga nel modo meno traumatico possibile. L’abilità di tutti, la sincronizzazione perfetta delle forze e una buona dose di fortuna, hanno permesso di far rimontare la poppa al vento quel tanto che ci ha permesso, una volta raggiunti dal quarto rimorchiatore predisposto dall’Autorità Marittima, di usare con decisione la macchina indietro e di riportarci, metro dopo metro, vicini al posto d’ormeggio.

A questo punto abbiamo provato a riaffiancare la nave, ma raffiche di vento di incredibile violenza ci hanno portato più volte pericolosamente vicino alle gru, per poi riallargarci dalla banchina.

La situazione era sempre più critica: il vento sembrava aumentare di intensità, la nave si stava di nuovo allontanando dalla banchina, non avevamo più cavi a disposizione e gli avviamenti della macchina erano ormai agli sgoccioli.

Era arrivato il momento del “lo faccio, o non lo faccio?”.

Mettetevi nei nostri panni: il vento freddo di Tramontana rendeva difficile anche soltanto lo stare in piedi sull’aletta del Ponte di Comando, il rischio di finire sulla Concordia o sulla diga era diventato quasi una certezza, ma la nave ce l’avrebbe fatta a raggiungere la velocità necessaria per contrastare il vento e uscire dal porto, o avrebbe vinto lui.

Il secondo a disposizione era passato, i pochi avviamenti a disposizione avevano fatto da ago della bilancia.

“Rimorchiatori fermate la spinta!” – immediatamente la nave sente il vento e riprende ad allargarsi decisamente dalla banchina – “Comandante, avanti molto adagio!” – la macchina risponde decisa, ma gli interminabili minuti necessari a prendere velocità fanno scarrocciare il bestione di 350 metri in maniera impressionante – nel giro di una manciata di secondi passiamo dal Molto Adagio Avanti all’Avanti Tutta. Puntiamo la prua sul fanaletto rosso dell’imboccatura, ma la poppa continua a cadere. Gli ordini al timoniere vengono urlati, un po’ per superare il vento e un po’ per scuotere il Comandante seriamente preoccupato. La velocità aumenta e il controllo della nave migliora. Arriviamo ad affrontare il punto più stretto con una velocità di 14 nodi! Impressionante anche per noi.

Passiamo a una quindicina di metri dal cemento del fanaletto rosso, dove accostiamo con il timone tutto a “dritta” per mettere la prua al vento. In quel momento la poppa è a venti metri dalla diga.

Pochi minuti dopo siamo fuori. Diminuiamo la macchina, e con lei cala anche la tensione. Io e Angelo ci scambiamo lo stesso sguardo carico di soddisfatta energia che ha sottolineato numerosi momenti simili a questo.

Adesso devo chiudere con una riflessione che mi sembra oltremodo superflua, ma che comunque devo fare. Alla luce di quanto vi ho scritto, tenendo conto che in questo articolo non ho sottolineato abbastanza il ruolo avuto dall’Autorità Marittima e dagli altri servizi tecnico nautici perché  il punto di vista non lo permetteva, vi invito a pensare alla pericolosità di un controllo e di una gestione diversa da quella prevista e attuata oggigiorno.

Quando un tipo di lavoro prevede l’accadere di situazioni limite, non ci si può permettere il lusso di compromettere un equilibrio collaudato, proponendo gestioni private e concorrenza laddove la sicurezza umana, delle infrastrutture portuali e dell’ambiente, verrebbero inquinate da interessi economici.


Voltri Terminal Europa (VTE)

di Carlo Gatti

La MERIDIANA di Voltri

Voltri Terminal Europa PSA Voltri Pra (Voltri Terminal Europa S.p.A.) è il maggiore terminal contenitori del Porto di Genova e uno dei più efficienti del Mediterraneo, con una capacità attuale di 1,5 milioni di TEUs annui e con traffici che, ad oggi, si attestano oltre il milione di TEUs, che rappresentano il 50% del totale movimentato nell’intero Porto di Genova.

Inaugurato nel luglio 1992 con la partenza del primo traghetto della società Viamare e arricchitosi nell’ottobre 1993 con l’approdo della prima nave car carrier, l’attività del terminal contenitori, il core business del VTE, è stato inaugurato nel maggio 1994, cambiando in modo sostanziale e qualificando a livelli europei la capacità di servizio del Porto di Genova e di tutto il comparto dell’Alto Tirreno.

Il Terminal, che nel triennio 2011 – 2013 ha movimentato più di tre milioni di TEU, ha registrato il proprio record storico nel 2012, anno in cui con 1.249.000 TEU movimentati contribuì consistentemente al raggiungimento dei 2.000.000 di TEU movimentati dal Porto di Genova.

Il terminal VTE è dotato di una banchina di 1430 m, su fondali di 15 m ed è servita da 8 gru post panamax (16 rows) e da 4 gru super post panamax (18 rows). Si estende attualmente su circa 110 ettari di piazzali ed è dotato del parco reefer più esteso del Nord Tirreno (più di 1.500 reefer plugs).

Inoltre, ulteriori  30 ettari sono dedicati al Distripark di Voltri, area di servizi, che fa capo a PSA – Prà Distipark Europa S.p.A. e che consta di una torre uffici e servizi da 7.200 mq e di magazzini per 20.000 mq. Questi ultimi hanno a disposizione un’ampia area per la sosta e le movimentazioni dei camion e dei contenitori e svolgono attività diretta a soddisfare la domanda di servizio legata al consolidamento di carichi eccezionali, container fuori sagoma (OOG), Break Bulk, perizie, ispezioni, verifiche, magazzinaggio e distribuzione delle merci.


BACINO PORTUALE DI VOLTRI

La vera Storia

di Renzo BAGNASCO

Scrivo queste righe perché ne sono stato testimone interessato.

E’ bene fare una premessa che, da sola, farà capire il perché del bacino a Voltri, realizzato in zona che parrebbe inidonea in quanto soggetta a ventolate terribili, che scendono incanalate lungo la stretta valle del Turchino. Il fatto che le navi per accostare debbano invece compiere evoluzioni a bassa velocità, ne avrebbero sconsigliato la sua collocazione, non compatibile con il governo di una imbarcazione in quei frangenti.

Per fortuna ci pensano i rimorchiatori, veri <Gatti> dei mari.

Ma a tutto questo ha fatto agio il fatto che per le opere marittime i costi, alla fine, sono i più difficili da verificare. Il grande porto  di Genova era terminato,  Multedo, per il quieto vivere, era meglio non toccarlo e quindi per foraggiare tutti gli addetti, partiti in testa, bisognava inventarsi un qualcosa: ecco allora il bacino di Voltri dal grande impatto popolare.

Il progetto iniziale, redatto da persone altamente qualificate oggi scomparse, prevedeva un’opera gigantesca dai costi mostruosi: cosa di meglio per chi doveva finanziarsi.

In Italia, all’epoca, le ditte che potevano eseguire lavori così importanti, erano forse due, tutte fortemente ammanigliate. Le stesse, grazie ai nostri solerti e “disinteressati” Ministri, hanno anche molto lavorato all’estero, spesso finanziate da noi, sotto forma di aiuti ai paesi in via di sviluppo, un po’ come gli aerei della Piaggio “regalati” a paesi africani. Al primo guasto, quelli  li abbandonavano e noi andavamo a recuperarli, imputando i costi al nostro Governo, sempre sotto la voce <aiuti al terzo mondo>.

Con queste premesse è facile capire perché si finanziò subito la diga foranea, l’opera più incontrollabile, e poi, a seguire, sarebbe avvenuto il tombamento per creare una piattaforma, appendice della terra ferma allargatasi in mare per divenire Terminal. Il progetto infatti prevedeva che il torrente Branega, il più importante del sito, fosse prolungato e canalizzato sotto al terrapieno sino a sbucare nel canale di calma a ridosso della diga e, da li, al mare. Occorreva anche individuare, raccogliere e canalizzare tutte le innumerevoli acque nere che scaricano da sempre in mare, trasportate dai vari rigagnoli, per convogliarle in un unico depuratore,  mentre i vari ruscelli e  rivoli che sfociavano in mare, bisognava intercettarli, canalizzarli e portarli anch’essi a scaricare di fronte alla diga. Solo dopo si sarebbe potuto interrare. A seguito di questi ostacoli irrisolti, questo canale, inizialmente non previsto, rimarrà definitivamente …..provvisorio

Subito alcuni speculatori comprarono dai contadini le colline dietro Palmaro, perché era previsto di ricavarne i terreni da poi portare direttamente nel riempimento, utilizzando teleferiche che sorpassassero l’Aurelia e la ferrovia così da non  intralciare, ingorgandola, la vita del ponente cittadino. Si sarebbe evitato il disastro che poi invece ci fu, dovuto al continuo transitare di centinaia di camion al giorno provenienti dalle cave, snaturando Voltri e tutta il ponente della Città. Subito si capì che questi approvvigionamenti tradizionali sarebbero stati costosi e insufficienti: si decise anche di abbandonare l’idea di ribaltare in mare le colline retrostanti e, con una ordinanza, si impose a tutti di scaricare inerti di qualunque naturale comunque ricavati, unicamente a Voltri: da Nervi alla Val Bisagno, dal Polcevera alla Vesima, fu un via vai di automezzi e questo per anni.  Immaginarsi il caos, la polvere e i disagi nella zona di arrivo, anche ai fini della sicurezza stradale. Oggi c’è il sospetto che nel caos generale, qualcuno vi scaricò pure rifiuti proibiti.   All’inizio si era pensato di colmare, utilizzando solo il materiale “pulito” di risulta dalla contemporanea costruzione della famosa bretella autostradale, il cui progetto purtroppo è tutt’ora in itinere. Campa cavallo: il coordinamento non è fra i pregi di queste Amministrazioni di sinistra, sensibilissime ad evitare che i propri elettori, perché esasperati, chiedano spiegazioni.

Che abbiano le manine un po’ sporche ???? Si vive da elezione ad elezione, senza programmare alcunché.

Intanto i lavori della diga procedevano speditamente (per quelli naturalmente i finanziamenti furono trovati) mentre per il riempimento si dovette attendere anni per racimolare tutto quel materiale. Morale: i cassoni di  contenimento furono posati senza lasciare i fori per lo sbocco al mare dei rivi; fra l’altro nessuno li progettò e la sponda a mare fu realizzata senza i “buchi”. Ben presto si formò l’attuale bacino di acqua putrida e stagnante, in attesa di completare il tombamento di quel tratto, che non potrà mai avvenire perche devono risolvere l’impossibile problema dello scarico libero dei torrentelli, il ricambio delle acque ed eliminando anche gli  scarichi non intercettati ma che ancor oggi vi si riversano tanto che la zona non è balneabile. Penso a Stoccolma dove gli appassionati possono pescare i salmoni in pieno centro della città.

Alle obiezioni d’aver creato una cloaca si rispose: <la lasciamo aperta a levante, nell’attesa di colmarla (impossibile come abbiamo visto ) così che scarichi verso Pegli davanti a quel litorale. Al ricambio penserà il vento che soffia da Voltri >. Peccato che la tramontana pulisca solo la superficie ma non crei, così sotto costa, corrente; anzi “scopando” terra, vi trasporta pure ogni sorta di “rumenta” cittadina, stradale e ferroviaria. In compenso i rivi non tracimano perché vi si riversano liberi e incontrollati.

Ci si  dimenticò però che le correnti sotto costa viaggiano da Livorno verso l’Esterel. Ne sono testimonianza i cadaveri che, caduti in mare da noi, li ritrovano poi sulla Costa Azzurra. Nel sito, quelle più a terra e meno forti,  sospingono le acque da Pegli verso il “cul de sac” creato a Palmaro, esattamente l’opposto di quanto raccontato nelle Assemblee, senza creare ricambio, anzi. La corrente che loro vantavano è quella di ritorno che, partendo dall’Esterl, corre dritta e al largo, raggiungendo Livorno. Quando il popolino se ne accorse, non poté tanto urlare perche la zona, da sempre controllata dalla  “sinistra”, era e doveva essere in piena armonia con il Comune e la Regione. Pegli fu sacrificata perché non “rossa”. Per calmare le ‘acque del dissenso’ promisero una fascia costiera dedicata allo sport e nel canale, nel frattempo formatosi fra il riempimento del Terminal e la costa, sarebbe dovuto sorgere un bacino per il canottaggio olimpico, installazione di cui Genova è da sempre priva. Poi qualcuno fece presente che il sito è spaventosamente ventoso, le acque dichiarate non balneabili sono sporche e rischiose per chi vi si bagnasse. Oltretutto le sponde del canale non erano regolamentari: non realizzate inclinate e sassose così da smorzare le ondine provocate dai canoisti: non sarebbero garantite pari acque in tutte le corsie dello specchio d’acqua. Allora, arrampicandosi sugli specchi, lo dedicarono al vecchio e desueto ( non olimpico)canottaggio a sedile fisso, cioè dei gozzi un po’ più snelli, cosa congeniale ai pescatori della zona.

Tutto dall’epoca è rimasto così indefinito. La verifica dei lavori non fu mai fatta perché a quelle Ditte tutti facevano riferimento e, d’altronde, chi si sarebbe immerso per verificare se il piede della diga era realmente di 15 o 30 metri: chi poteva controllare se le mareggiate, susseguitesi negli anni, avessero realmente distrutto, sparpagliandolo sul fondo del mare, il materiale utilizzato per quelle subacquee in itinere, obbligando ogni volta a doverle rifare?

Per fare queste opere si sono sacrificate le ultime belle spiagge di Genova, dopo aver tombato quelle di Cornigliano con l’Italsider: in quel sito di Prà, vi erano storici  palazzi di famiglie nobili genovesi che vi trascorrevano le estati.

Per parte sua l’Anas ha fatto il resto, collegandosi con ripidi tornanti, al nuovo porto. In mezzo a tutto lo smog, prodotto dai camion obbligati a innestare la “primina” per superare quei dislivelli, si coltiva il “famoso” basilico di Prà: e poi parlano di habitat vocato !!!. Un tempo la coltivazione partiva da Coronta e finiva a Pegli, perché quella era la zona dal clima idoneo: Prà era troppo fredda e ventosa. Oggi, in serra, lo si può coltivare anche sul Kilimangiaro. Basta saperla raccontare, ma non prendeteci in giro !!

Di tutte quelle imbarcazioni da diporto che si vedono dall’Aurelia ormeggiate nel canale, più della metà sono attraccate in zona abusiva e provvisoria, oltretutto irraggiungibili da grossi mezzi di soccorso, non essendovi strade di accesso. Le più a levante sono addirittura non praticabili neppure dai pedoni, in spregio all’accesso pubblico doveroso per legge, perché chiuse da cancelli non governati; da sempre corre voce che il promotore fosse amico del Governatore Burlando.

Pare che la Capitaneria non cerchi grane: per lei non sono autorizzati e quindi ……. Inesistenti.

In Italia in troppi tengono famiglia !!

(ANSA) – GENOVA, 5 MAR – La capitaneria interviene con una nota contro la possibile concorrenza tra privati e lo fa prendendo spunto dagli interventi compiuti la scorsa notte nel porto di Prà-Voltri dove tutte le componenti portuali sono dovute intervenire per mettere in sicurezza tre navi porta container minacciate da raffiche di vento fino a 125 km orari (una ha rotto gli ormeggi). “Alla vigilia dello sciopero il dispositivo di sicurezza che ha operato in queste condizioni estreme ha dato un’ulteriore dimostrazione non solo dell’alta professionalità di tutti gli operatori dei servizi tecnico-nautici – spiega la Capitaneria – ma anche di quanto il servizio pubblico da essi reso sia importante per la sicurezza, anche ambientale e l’operatività di un porto e di quanto sia indispensabile la loro valenza di servizio pubblico essenziale”.

E aggiunge: “Nessun soggetto privato in posizione di concorrenza potrebbe garantire quelle prestazioni che solo la natura pubblica dei servizi tecnico-nautici, sotto il coordinamento, la regolazione e la posizione di garanzia assunta dall’Autorità marittima, possono assicurare in situazioni ordinarie e in condizioni estreme, garantendo una presenza qualificata 24 ore su 24, altissima professionalita, sicurezza, e efficienza organizzativa”. (ANSA).

Il Capo Pilota John Gatti a bordo della MSC BETTINA durante l’ormeggio nello scalo di Voltri-VTE

(ANSA) – GENOVA, 20 FEB – Prima assoluta per il porto di Genova per una super porta-container da 14.000 teus. Ha attraccato oggi al Terminal Vte di Prà Voltri Msc Bettina, 366 metri di lunghezza, 51 metri di larghezza, record per il porto di Genova insieme al suo carico di 14.000 container da 20 piedi. Per il suo accosto la nave ha fatto una manovra di una tale complessità che la Capitaneria di porto di Genova l’ha definita “da letteratura marinaresca”. “L’ingresso in porto di un tale gigante dei mari – ha spiegato l’ammiraglio Vincenzo Melone, comandante della Capitaneria di porto di Genova – è certo frutto delle capacità imprenditoriali di chi gestisce quel terminal, ma si avvale delle quotidiane sinergie istituzionali esistenti tra Autorità portuale, Autorità marittima e abilità dei servizi tecnico-nautici”. “Non sempre – ha aggiunto Melone – competitività è sinonimo di privatizzazione, anzi, nel caso dell’ormeggio di mega-portacontainer nei porti come Genova – le cui infrastrutture necessitano di adeguamento alle nuove esigenze dello shipping mondiale – solo la presenza dello Stato, delle sue potestà di regolazione, programmazione, pianificazione, può garantire quell’efficienza, efficacia e sicurezza dei servizi che sono il vero ‘sale’ della competitività di un porto”. (ANSA).

RIPRODUZIONE

Uno scorcio del VTE

Vento a 125km/h e superlavoro questa notte per l’autorità marittima e i servizi tecnico nautici nel porto di Genova-Pra’. Le raffiche, giunte fino a 125 km orari con una media sempre superiore ai 70 km/h a partire dalle 23, hanno comportato un super lavoro per l’autorità marittima e i servizi tecnico-nautici di pilotaggio, rimorchio e ormeggio. Gli effetti più critici si sono avvertiti nel bacino portuale di Pra’–Voltri, dove, oltre alla completa sospensione di tutte le operazioni e alla chiusura del terminal, delle tre navi portacontainer presenti, una, la Cosco Africa, è stata addirittura costretta a lasciare il posto d’ormeggio per essere portata fuori dal porto, alla fonda in posizione di sicurezza. Poco dopo mezzanotte, con la nave – di 349 metri e 114.000 tonnellate di stazza lorda – che stava iniziando a scostarsi di molti metri dalla banchina, sotto l’effetto del vento costantemente superiore agli 80km/h, nonostante le ancore in mare e la contro-spinta esercitata da quattro rimorchiatori appoggiati sul lato mare dell’unità, la Capitaneria di Porto insieme ai Piloti e agli stessi Rimorchiatori, ha deciso di portare la nave fuori dal porto, per posizionarla alla fonda in una zona più ridossata della rada di Voltri. Le altre due navi, la Msc Vienna (260 metri di lunghezza e 41.000 t.s.l.) e la Maersk Tukang (322 metri di lunghezza e 91.000 t.s.l.), ormeggiate sul lato di Ponente della banchina del terminal VTE, pur risentendo in misura minore degli effetti del forte vento – per la loro minor stazza e per il posto d’ormeggio meno esposto alla direzione del vento di ieri sera – hanno comunque avuto necessità non solo di rinforzare i cavi d’ormeggio ma anche della contro-spinta di un rimorchiatore ciascuna. Criticità rilevanti, seppur non della stessa intensità, si sono registrate anche nei bacini di Multedo e Sampierdarena, ove c’è stato bisogno solo di squadre supplementari di ormeggiatori per rinforzare gli ormeggi di alcune unità.

UN ALTRO COMMENTO

Per dare un’idea della vicinanza delle gru-Paceco alla nave ormeggiata nel porto di Voltri-VTE e quindi dell’impossibilità di mettere bitte alte ed idonee, o altri sistemi che possano tenere legata la nave alla banchina, allego queste foto che meglio di tante parole spiegano la situazione.

Pista dell’Aeroporto

Porto di Voltri. Sullo sfondo l’Aeroporto.

Perché hanno costruito un porto così? Ecco la spiegazione: causa la presenza dell’aeroporto, la cui pista é perfettamente allineata con la banchina del VTE, le gru non possono raggiungere una certa altezza per ragioni di sicurezza. Quindi le gru/Paceco installate al VTE sono del tipo più basso, con meno sbraccio, la distanza gru-nave é minima per una necessità operativa, quella di poter lavorare sui container più distanti (lato sinistro della nave, vedi foto), quindi i cavi d’ormeggio guardano tutti in verticale e le bitte sono quelle tradizionali. Quando c’è il vento famoso dal Turchino, la nave si allarga, i cavi si spezzano e succedono i guai di due giorni fa…

Carlo GATTI


Rapallo, 8 Aprile 2015