LA STORIA DELLA NAVE DA CARICO VALFIORITA

LA STORIA DELLA NAVE DA CARICO

VALFIORITA

UNA VITA BREVE…

La Valfiorita Impostata nel 1939 nei cantieri Franco Tosi di Taranto in costruzione Varata il 5 luglio 1942
 e completata il 25 agosto 1942 dalle Industrie Navali Società Anonima.

CARATTERISTICHE:

Motonave da 6200 tsl - lunga 144,47 metri - larga 18,65 - velocità 14-15 nodi.

 

UN PO’ DI STORIA…

Il
 17 settembre 1942, la Valfiorita viene requisita dalla Regia Marina, per essere adibita al trasporto di rifornimenti per le truppe in Africa Settentrionale.
La nave viene armata con un cannone da 120/45 e tre mitragliere contraeree Oerlikon da 20 mm. Per ostacolare la localizzazione della Valfiorita da parte di unità nemiche, viene installato anche un impianto nebbiogeno a cloridrina.

Eravamo in piena guerra per cui l’approvvigionamento di materiali ed attrezzature non era cosa facile. I metalli erano strategici e le priorità verso gli armamenti bellici erano maggiori.

Il 20 settembre 1942 la nave inizia a Taranto il carico di rifornimenti destinati alle forze italo-tedesche a Bengasi, prendono parte al viaggio in AS anche un centinaio di militari del Reggimento Cavalleggeri di Lodi.

Vennero imbarcate in tutto 4171 tonnellate di carico, comprendente 77 veicoli e 206 motociclette italiane, 95 veicoli tedeschi (moto comprese), 16 cannoni e 14 autovetture.

Il 3 ottobre, con i suoi 97 uomini di equipaggio (48 civili, tra cui 3 operai della Franco Tosi di Legnano, azienda produttrice dei motori, e 49 militari della Regia Marina), imbarcò anche 110 militari italiani del Reggimento Cavalleggeri di Lodi e 100 militari tedeschi. Sulla nave erano presenti due comandanti, il capitano di lungo corso Giovanni Salata (comandante civile) ed il capitano di corvetta Giuseppe Folli, comandante militare.

 

LA PARTENZA

Antonio Pigafetta (classe Navigatori)

 

Camicia Nera

 

Saetta

 

Con la scorta dei cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Camicia Nera e Saetta, la VALFIORITA prende il largo alle 15.10, ma solo a mezzanotte che fu dato l’allarme aereo.

Poco dopo in cielo esplosero i bengala che illuminarono il convoglio italiano che era stato segnalato da un Supermarine Spitfire, (foto sopra) aereo da ricognizione a lunga autonomia, sulla base delle intercettazioni delle informazioni fornite da “ULTRA”.

 

 

 

L’attacco inglese era composto da quattro Vickers Wellington (foto sopra) del 69th Squadron della Royal Air Force, armati sia di bombe che di siluri.

Il Vickers Wellington era un bombardiere medio bimotore inglese, realizzato sul finire degli Anni trenta; largamente impiegato nel corso della Seconda guerra mondiale, fu costruito in oltre 11.000 esemplari, caratterizzato dall'inusuale struttura geodetica, sviluppata dal celebre ingegnere ed inventore britannico Barnes Wallis, che garantiva al velivolo un'eccezionale robustezza, già sperimentata con il precedente Vickers Wellesley. 

Caratterizzato dalla sigla interna Type 271, il velivolo fu inizialmente chiamato Crecy (dal luogo in cui si svolse una battaglia della guerra dei cent’anni. Il nome definitivo fu in onore del primo duca di Wellington che sconfisse Napoleone Bonaparte nella Battaglia di Waterlloo. 

Riporto la cronaca dell’attacco tratta da Ocean for Future

L’attacco fu fulmineo, e nonostante l’uso di un pallone frenato e di una fitta cortina fumogena, raggiunse il suo scopo. I bombardieri Wellingtonattaccarono a motore spento da 1370 metri di quota, ed una bomba da 1000 libbre cadde a meno di 140 metri a poppavia della Valfiorita. Uno degli aerosiluranti, volando a bassissima quota, sganciò il suo siluro da 640 metri. Il siluro colpì la Valfiorita nella stiva numero 5, a poppa, facendo levare una fiammata rossastra ed aprendo una grossa falla attraverso cui l’acqua allagò le stive 5 e 6. La reazione della contraerea riuscì a danneggiarlo e costringerlo in seguito ad un atterraggio d’emergenza a Luqa. Sulla Valfiorita si scatenò il panico. A seguito del siluramento anche l’apparato fumogeno della nave rimase danneggiato ed il cloro venne disperso su ponte ferendo molti marinai. Nonostante gli effetti provocati dalla falla, causassero un rapido allagamento, esteso anche alla galleria dell’asse dell’elica, la motonave Valfiorita, proseguì il suo moto raggiungendo il mattino del 4 ottobre Corfù. Al fine di effettuare le dovute riparazioni fu quindi fatta incagliare ad una ventina di metri dalla costa. Nel frattempo i militari del Reggimento Cavalleggeri di Lodi vennero sbarcati e si accamparono presso il vicino villaggio di Potamòs, dove la popolazione soffriva di una gravissima carenza di cibo. Furono i militari italiani a condividere le loro razioni per permettergli di sopravvivere.

Sbarcati uomini e mezzi, solamente il 25 novembre 1942, dopo avere effettuato alcuni lavori, viene messa in condizioni di riprendere il mare, e raggiunge Taranto per i lavori di riparazione.
Terminati i lavori in bacino, a fine giugno 1943 la Valfiorita, ultimò anche le prove in mare e tornò in servizio.

Il 27 giugno 1943 il Comandante civile della motonave, il Capitano di lungo corso Giovanni Salata, chiede l’invio del materiale che mancava, specie delle 55 bombole di anidride carbonica dell’impianto antincendio, che erano state sbarcate per essere ricaricate dopo il siluramento dell’ottobre 1942 e non erano più state restituite. Furono inviate dieci bombole, ma il 7 luglio 1943 il Tenente di Vascello Giuseppe Strafforello, nuovo Comandante militare della Valfiorita dovette lamentare allo Stato Maggiore che le dieci bombole mandate erano inadatte all’impianto della Valfiorita, e che, come già aveva comunicato il comandante Salata il 2 luglio 1943, non c’erano altri mezzi antincendio a bordo della nave.

Sempre in data 7 luglio 1943, la nave in tarda serata, parte da Taranto in direzione Messina, sprovvista di ogni mezzo per spegnere qualsiasi focolare d’incendio, carica di mezzi, tra cui camion Fiat 626, moto, autoblindo e altri veicoli. L’equipaggio civile era composto da 45 uomini, mentre quello militare era composto da italiani e tedeschi. Arrivata a Messina, intorno alle 20,50 dell’8 luglio 1943, lascia il porto messinese in direzione Palermo, alle 22,30 giunta nello specchio di mare tra Capo Rasocolmo e Mortelle, viene fatta oggetto di attacco nemico da parte del sommergibile della Royal Navy HMS Ultor (P53) (foto sotto) agli ordini del Lt. George Edward Hunt DSC, RN.

 

 

L’unità britannica lancia quattro siluri, due dei quali colpiscono mortalmente la motonave. Distrutto il carteggio di bordo, i due comandanti civile e militare, danno l’ordine di abbandono della nave.

 In soccorso dei naufraghi, oltre alla torpediniera di scortaArdimentoso, accorsero da Messina le regie corvette Camoscio e Gabbiano (della stessa classe).

Su 45 civili e 22 militari (18 italiani e 4 tedeschi) che componevano l’equipaggio della Valfiorita, 13 civili persero la vita (dodici – soprattutto del personale di macchina – risultarono dispersi ed il direttore di macchina Pegazzano morì in ospedale) e 11 militari (7 italiani e 4 tedeschi) rimasero feriti.

 

 Torpediniera di scorta ARDIMENTOSO in bacino di carenaggio a Genova

La classe Gabbiano (corvette) fu progettata e costruita durante la Seconda guerra mondiale dall’Italia Fascista per rimediare alla cronica deficienza, nella Regia Marina, di un'unità adatta ai compiti di scorta dei numerosi convogli verso la Libia. Dopo aver fatto fronte a questa necessità utilizzando le navi più disparate, dai cacciatorpediniere di squadra alle vecchie torpediniere della Prima guerra mondiale nel 1941 venne decisa la costruzione di sessanta unità delle corvette classe Gabbiano, adatte alla scorta dei convogli e alla caccia dei sommergibili nemici.

 L’8 luglio 1943 la Valfiorita fu colpita alla prua da un siluro lanciato dal sommergibile HMS Ultor della marina britannica nel tratto di mare tra Messina e Palermo, affondò rapidamente quando si staccò il troncone di prua. La Valfiorita, nonostante la tragicità dell’avvenimento e per le vittime che ha trascinate sul fondo, rimane per i posteri uno dei più affascinanti relitti storici che si trovano al largo delle coste italiane e di tutto il Mediterraneo.

Infatti, non solo conserva ancora intatto tutto il suo carico (motocicli, auto e camion degli anni Trenta-Quaranta), ma si trova adagiata sul fondale in perfetto assetto di navigazione. A causa della notevole profondità, delle reti sul relitto e della forte corrente le immersioni subacquee possono essere effettuate solo da sub molto esperti.

La nave in navigazione da Messina per Palermo venne attaccata e silurata dal sommergibile Britannico Ultor l’8 Luglio del 1943, affonda spezzandosi in due tronconi. Il relitto giace su un fondo che va da 60 a 70 metri, per tre quarti in perfetta linea di navigazione, mentre la prua è riversa su un lato, con la coperta rivolta a NW. Per visitarla tutta sono necessarie almeno tre immersioni aperte solo a subacquei tecnici date l’elevata profondità e la durata. E’ possibile penetrare all’interno delle stive dove si trovano Jeep, motociclette, autocarri e munizioni. La nave è abitata da grandi cernie (Epinephelus marginatus), dentici (Dentex dentex), pauri (Sparus pagrus) e occasionalmente da astici (Homarus gammarus).

 

CONTRIBUTI

http://www.ocean4future.org/savetheocean/archives/22198

Immergersi sulla Valfiorita

La Valfiorita è uno dei più affascinanti relitti storici al largo delle coste italiane e di tutto il Mediterraneo. L’immersione nel blu, adatta a subacquei esperti, è ricca di emozioni. Inizialmente si intravede il castello, situato verso poppa, a circa 45 metri di profondità, poi lentamente si intravedono i resti della importante struttura distribuiti tra i 60 e i 72 circa.

Tra di essi, un’esperta subacquea tecnica,  Isabelle Mainetti che ha raccontato in un suo articolo, corredato dalle foto di GianMichele Iaria la sua immersione sulla motonave Valfiorita. Non solo lamiere immerse nel buio e nel fango ma ricordi, forti emozioni che fanno rivivere quella terribile notte che abbiamo brevemente raccontato. Viene voglia di ritornarci … chissà.

 

 

Il troncone centrale-poppiero giace in assetto di navigazione, mentre quello prodiero giace piegato sul lato sinistro, entrambi ancora carichi di esplosivi, munizioni e vari mezzi, a circa 70 mt di profondità.

 

Scendendo nella stiva ormai a cielo aperto appare tra il fango una mitica Balilla. Di seguito numerosi automezzi ancora perfettamente stivati, uno a fianco dell’altro, come in un garage.

L’altro pezzo della motonave si trova più avanti, a prua, spezzato di netto a circa un quarto della lunghezza della nave, mollemente adagiato sul fianco sinistro. In questo troncone si ritrovano due stive ancora contenenti casse di proiettili e materiali militari.

foto di GianMichele Iaria

Risalendo le strutture contorte o collassate, la plancia, le torrette che ospitavano le armi ormai strappate dalle loro strutture ed affondate negli abissi.

 

Questo il racconto di chi ha avuto la fortuna di visitare questo relitto, che giace ad una profondità non accessibile a tutti i sub. Non avendo avuto questa fortuna mi soffermo sulle loro parole, di quei subacquei che hanno sfidato le profondità alla ricerca di qualcosa che va oltre il relitto.

 

Una parte del relitto della VALFIORITA

 

Carlo GATTI

Rapallo, 26 Ottobre 2022


ALCUNE STORIE DELL’EMIGRAZIONE ITALO-ARGENTINA

ALCUNE STORIE DELL’EMIGRAZIONE ITALO-ARGENTINA

 

ALBERTO BISAGNO

La nave panamense NORTH KING, la salvezza dell’angelo della morte, il criminale nazista Josef Mengele.

 

STORIA DELLA NORTH KING

Venne costruita nel 1903 come nave da carico dai cantieri Bremer Vulkan di Vegesack, Germania per conto della società di navigazione DDG Hansa di Brema e battezzata LIEBENFELS, 4,525 Tonnellate Stazza Lorda.

A seguito dello scoppio della prima guerra mondiale, il 1° Agosto 1914 trova rifugio a Charleston, S.C. – USA.

Il 2 Gennaio del 1917 con l’entrata in guerra degli Stati Uniti la nave viene autoaffondata dall’equipaggio. Il successivo 20 Marzo viene confiscata dalla Marina Militare Statunitense, riportata a galla e riparata.

Il 6 Aprile 1917 ribattezzata USS HOUSTON (AK-1) e usata come trasporto armato.

Il 23 Marzo 1922 viene ufficialmente smilitarizzata e posta in vendita.

Il 27 Settembre 1922 acquistata dalla Alaska-Portland Packers Association, Portland, Oregon, USA ( Frank M. Warren ) e ribattezzata NORTH KING.

Nel 1929 passa alla Pacific American Fisheries Inc. di Bellingham, USA. Nome invariato.

Nel 1940 passa al registro panamense senza cambio di nome sotto proprietà della Diana – Compania de Vapores S.A. – Panama.

Il 30 Dicembre 1941 viene noleggiata dallo War Shipping Administration e gestita durante la guerra dalla US Lines di New York.

Il 26 Febbraio 1946 viene restituita agli armatori che la pongono in vendita.

Nel 1947 fu acquistata dalla Sociedade de Navegacao Luso Panamense Lda – Lisbona e convertita in nave trasporto emigranti e carico generale. Nome invariato:

NORTH KING, bandiera panamense.

Successivamente impiegata in servizi trasporto emigranti da Genova e altri porti mediterranei verso l’Argentina. L’emigrazione argentina la dà in arrivo a Buenos Aires con partenza da Genova con a bordo emigranti Italiani, Tedeschi e dell’Europa dell'Est, con le seguenti date:

13 Maggio 1948 – 4 Ottobre 1948 – 12 Dicembre 1948 – 14 Febbraio 1949 – 16

Aprile 1949 – 22 Giugno 1949 e 26 Agosto 1949.

Fu proprio durante il viaggio da Genova in arrivo a Buenos Aires il 22 Giugno 1949 che si trovava a bordo il “medico” di Auschwitz, Josef Mengele con documenti falsi sotto il nome di Helmut Gregor.

Successivamente venne ancora impegnata su altre linee, probabilmente fece anche viaggi in Australia, fino al 1956 quando venne posta in disarmo e l’anno dopo venduta alla demolizione in Giappone, arrivando a Osaka per la demolizione il 1° Giugno 1957.

Con la disfatta della Germania nazista inizio da subito la caccia ai criminali di guerra, molti vennero catturati, processati a Norimberga, giustiziati o imprigionati. Molti di loro riuscirono invece, grazie a un’organizzazione chiamata ODESSA, a fuggire verso paesi sicuri in Sud America ove questa organizzazione aveva costituito moltissime attività commerciali ed industriali, soprattutto in Argentina ma anche in Cile, Brasile, Uruguay e Bolivia.

Tramite un’organizzazione parallela chiamata Rattenlinien, in italiano la via del topo, con la complicità della Croce Rossa di Ginevra che forniva loro falsi documenti e il Vaticano che forniva logistica e aiuti, erano nate due vie di fuga dei criminali e gerarchi nazisti: una dalla Germania verso la Spagna e poi l’imbarco verso il sud America e un'altra dalla Germania verso Roma e successivamente a Genova in attesa dei nuovi documenti e del visto per l’emigrazione in Sud America.

Molti arrivarono a Genova e con l’aiuto della Daie (Delegacion Argentina de Inmigracion en Europa) che aveva sede a Genova Albaro e godeva di uno status semi diplomatico, riuscirono a farla franca e trovare imbarco dal porto di Genova su navi dirette in Sud America.

Sicuramente i più importanti furono:

Joseph Mengele che partì da Genova verso l’Argentina a bordo del piroscafo NORTH KING il 16 Maggio 1949 sotto il falso nome di Helmut Gregor.

Adolf Eichmann che trovò imbarco sulla GIOVANNA C. in partenza da Genova per Buenos Aires il 17 giugno 1950 sotto il falso nome di Ricardo Clement.

Klaus Barbie che partì alla volta della Bolivia sul piroscafo argentino CORRIENTES il 22 Marzo 1951 sotto il falso nome di Klauss Altmann.

Ed ecco le navi che garantirono, inconsapevolmente, la libertà a questi criminali di guerra:

S/s NORTH KING 1903/4.608 Tsl

Costruita come nave da carico nel giugno 1903 da Bremer Vulkan – Vegesack con il nome di LIEBENFELS per la Hansa Line di Bremen.

1917 Requisita dagli Stati Uniti nel poto di Charleston, NC e ribattezzata USS HOUSTON

1922 Acquistata dalla Alaska Portland Packers Association di Portland, Oregon e ribattezzata NORTH KING

1929 Passa alla Pan American Fisheries Inc. – Billingham – USA. Nome invariato

1940 Passa alla Diana Compania de Vapores S.A. – Panama. Nome invariato

1947 Passa alla Sociedade de Navegacao Luso Panamense – Lisbona. Ricostruita in nave trasporto emigranti. Nome invariato.

1957 Demolita a Osaka, Giappone.

 

 

GIOVANNA C. 1919/8.151 Tsl

Costruita come nave da carico nel dicembre 1919 con il nome di EASTERN TRADER per il governo USA.

1922 Acquistata dalla Luckenbach Steam Shipping Company – San Francisco e ribattezzata HORACE LUCKENBACH

1947 Acquistata dalla ditta Giacomo Costa fu Andrea e ribattezzata GIOVANNA C. Convertita in nave trasporto emigranti verso il Sud America. E’ stata la prima nave passeggeri della flotta Costa.

1953 Venduta alla demolizione a La Spezia.

 

 

 

CORRIENTES 1942/12.053 Tsl

1942 (7/2) Varata con il nome di MORMACMAIL da Tacoma Shipbuilding Corporation per la Moore Mc.Cormack Lines – New York

1942 (Marzo) Completata da Williamette Iron & Steel Company – Portland, Oregon come porta aerei ausiliaria per la marina militare USA con il nome di TRACKER

1943 Trasferita alla Royal Navy con il nome di HMS TRACKER

1948 Acquistata dalla Rio de la Plata S.A. de Navegacion de Ultramar (Dodero) – Buenos Aires. Trasformata in nave trasporto emigranti (1.694 persone) e ribattezzata CORRIENTES

1955 Passa alla Flota Argentina de Navegacion de Ultramar (FANU) – Buenos Aires. Nome invariato.

1961 Passa alla Empresas Lineas Maritimas Argentinas S.A. (ELMA) – Buenos Aires. Nome invariato.

1964 Venduta alla demolizione a Anversa, Belgio.

 

 Carlo GATTI

La PAGINA NERA che riguarda la storia dell’emigrazione italiana in Argentina è propria quella descritta da Alberto Bisagno e, per chi non conoscesse Josef Rudolf Mengele, mi permetto di aggiungere una breve biografia di questo delinquente che fu aiutato da ENTI insopspettabili, come vedremo, ad emigrare in Argentina.

 

Josef Rudolf Mengele ad Auschwitz  nel 1944

 BIOGRAFIA BREVE (TRECCANI)- Josef. Medico e membro delle SS (Günzburg, Baviera, 1911 - San Paolo, Brasile, 1979); uno dei più efferati criminali nazisti. Dopo gli studi di medicina orientati sulla morfologia razziale, nel 1937 divenne assistente di O. Freiherr von Vershuer, specialista di eugenetica. Nel 1939 M. fu arruolato in un ispettorato sanitario delle Waffen-SS, poi destinato (1940-42) all'ufficio per la razza e gli insediamenti umani, quindi sul fronte orientale. Al rientro, impiegato a Berlino all'ufficio centrale per la razza e gli insediamenti umani e impegnato negli studi sulla biologia dei gemelli, M. entrò (1943) nel lager di Auschwitz-Birkenau per approfondire la sperimentazione su centinaia di migliaia di detenuti ebrei e zingari, considerati subumani, e in partic. sui gemelli (ca. tremila bambini e adolescenti torturati sino alla morte) e su persone affette da nanismo. Con l'avanzata dell'esercito sovietico, nel genn. 1945 M. si trasferì a Gross-Rosen (dove fece esperimenti sui prigionieri russi), poi a Mauthausen, quindi si aggregò a un ospedale da campo che si spostava verso occidente. Internato a Weiden in un campo americano, non fu trattenuto né arrestato, sfuggendo così al processo di Norimberga. Dopo aver assunto false identità, nel 1949 fu aiutato dalla famiglia a lasciare il paese, passando attraverso l'Italia: si imbarcò a Genova per Buenos Aires e nell'Argentina peronista si mise in contatto con i gruppi nazisti espatriati. Nel momento in cui si sentiva ormai sicuro riprendendo il suo vero nome, emersero le ricerche che ex internati di Auschwitz avevano intrapreso: nel 1959 la Germania spiccò un mandato di cattura contro di lui. Ottenne la cittadinanza in Paraguay e quando nel 1961 scoppiò il caso di K. A. Eichmann (v.), nascosto in Argentina, M. si spostò a San Paolo del Brasile, assumendo un'altra identità che lo celò sin dopo la sua morte (1979), scoperta nel 1985 dopo il test del DNA.

 

L'Argentina apre gli archivi sulla fuga dei nazisti

http://www.cnj.it/documentazione/odessa.htm

Gli argentini di origine italiana rappresentano il primo gruppo etnico del paese sudamericano con 20/25 milioni di persone. Più del 50% della popolazione argentina riconosce una qualche discendenza da italiani.

Dal 1870 al 1910 si è prodotta un'alluvione immigratoria, sono immigrati veneti, siciliani, pugliesi, alcuni si sistemavano a La Boca, dove, per poter adattarsi e comunicare con gli altri assorbivano la cultura genovese e imparavano la lingua del quartiere.

La Boca, rione genovese di Buenos Aires

https://www.italianiabuenosaires.com.ar/diario/la-boca-rione-genovese-di-buenos-aires/

 

ITALIA - ARGENTINA

STORIA DI UNA MASSICCIA EMIGRAZIONE, CON ALCUNE MACCHIE SCURE…

Tra il 1871 e il 1900 si recarono in Argentina più di 800 mila italiani: una media di quasi 9 mila persone l'anno nel primo decennio, 39 mila nel secondo e quasi 37 mila nel terzo. Tra il 1901 e il 1910 sbarcarono in Argentina oltre 734 mila italiani e quello fu il decennio con la più alta intensità migratoria.

 

Espatriati italiani (lavoratori e non) in Argentina. Anni 1871-2010

1871-1880

1881-1890

1891-1900

1901-1910

1911-1920

1921-1930

1931-1940

1941-1950

43.039

391.503

367.220

734.597

315.515

537.751

80.753

274.523

1951-1960

1961-1970

1971-1980

1981-1990

1991-2000

2001-2010

209.545

10.979

7.875

8.478

18.477

15.298

 

La "DODERO" 
la compagnia degli emigranti italiani

di Lorenzo Oliveri(da Il mare ed il suo entroterra, N.U. AICAM)

In occasione dei festeggiamenti per il 30° anniversario del Circolo Filatelico "Baia delle Favole" di Sestri Levante, L'A.I.C.A.M. ha presentato numerose collezioni di affrancature meccaniche sul tema "IL MARE E IL SUO ENTROTERRA". In tale circostanza è stato edito anche un NUMERO UNICO, con lo stesso titolo, che contiene molti articoli sul tema marinaresco. Fra questi citiamo un "pezzo" sulla POSTA CATAPULTATA, una carrellata sulle NAVI ITALIANE NEL MONDO, e l'articolo qui riprodotto sulla Compagnia Marittima Dodero. Prossimamente su questa rivista saranno riprodotti articoli sull'ANDREA DORIA e sulla ROSOLINO PILO, due navi dalla storia molto interessante e...intrigante.

Alla fine della seconda guerra mondiale fortissima era la richiesta di trasporto dei nostri emigranti verso il Sud America. Data la carenza di navi su quella linea, l’armatore argentino (di origine ligure) Alberto Dodero decise di acquistare alcuni piroscafi di costruzione bellica del tipo “Victory”, tra cui la Corrientes e la Salta. Completamente trasformate in navi passeggeri furono inviate a Genova rispettivamente nel gennaio e nell’aprile 1949, dando inizio alla linea per emigranti Mediterraneo-Brasile-Rio della Plata, acquisendo una fetta importante di questo ricco mercato. Le due navi impiegavano 14 giorni per il Brasile e 18 per il Rio della Plata.

 

 

Impronta della Flotta Transatlantica Argentina, Agenzia Generale per l’Italia della Flota Argentina De Navegacion Ultramar Compania Argentina De Navegacion Dodero.

 

LA MOTONAVE SALTA

La Salta venne trasformata in nave mista, essenzialmente con alloggi per emigranti, dal cantiere di Newport News in Virginia (USA), e formalmente trasferita sotto bandiera e registro argentino. Entrò in servizio sulla linea Buenos Aires-Genova nel 1951 pochi mesi dopo la Corrientes. Nel 1955 la Dodero chiuse le operazioni e la società operativa divenne la "FANU" ("Flota Argentina de Navegacion de Ultramar"). Tanto la Salta che la Corrientes (gemelle proprio in tutto !!!!) furono ritirate dal servizio a dicembre 1964 dopo seri problemi alle caldaie e furono messe in disarmo a Buenos Aires per essere poi demolite nel 1966.

 

 

 

Le targhette delle due impronte di questa pagina, impresse da macchina Postitalia fornita dall’italiana Audion alla Dodero Compania Argentina De Navegacion nel 1948, riportano il profilo delle due navi.

Due LINK interessanti di MARE NOSTRUM RAPALLO

 

  • ITALIANI ALLA FINE DEL MONDO - Una storia dimenticata

di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/ushuaia/

  • TEMPO DI GUERRA - AMARCORD…5 – Ho incontrato … Eichman

di Renzo BAGNASCO

https://www.marenostrumrapallo.it/amarcord-5/

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTÀ DI ECONOMIA

Corso di Laurea in Economia e Direzione delle Imprese

Tesi di Laurea

Aspetti socio-culturali dell’emigrazione italiana in Argentina: il caso di Santa Fe

https://www.fhuc.unl.edu.ar/portalgringo/crear/gringa/pdf/Tesi.pdf

 

 

Cercare informazioni sui parenti partiti dal porto di Genova

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Il Centro Internazionale di Studi sull’Emigrazione Italiana, di cui AdSP fa parte, dispone di diverse banche dati contenenti informazioni su milioni di migranti italiani.

Inserendo i dati della persona ricercata sul sito www.ciseionline.it potrai sapere la data, il luogo di partenza e di destinazione, e avere informazioni sugli spostamenti, sul viaggio per mare e sui familiari al seguito. Nei casi più fortunati anche leggere un breve racconto dell’esperienza migratoria.

Per ulteriori informazioni scrivere a segreteria@ciseionline.it

Rapallo, 24 Ottobre 2022


IL MISTERO SULLO SCAMBIO D’IDENTITA’ DI DUE SOTTOMARINI AFFONDATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

IL MISTERO SULLO SCAMBIO D’IDENTITA’ DI DUE SOTTOMARINI

AFFONDATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

 

La storia inizia quando il 18 aprile del 1943 il REGENT, un sommergibile inglese costruito nel 1930, affonda dopo aver urtato una mina di profondità al largo della costa pugliese. Tre anni prima, il 5 ottobre del 1940 lo stesso sommergibile a circa 10 miglia dal mare di Bari affondò la nave italiana Maria Grazia. Da quel 18 aprile del 1943 tutti hanno sempre creduto che il relitto, che giace nelle acque della Bat (E' una provincia italiana della Puglia settentrionale che conta 391.556 abitanti. Il capoluogo è congiunto fra le città di Barletta, Andria e Trani), meta anche di tanti subacquei sportivi, fosse proprio quello del sommergibile affondato nel 1943. Soprattutto dopo il 1999 quando alcuni sub scoprirono il relitto in fondo al mare: una notizia che destò molto clamore in Gran Bretagna tanto da diventare un vero e proprio sacrario militare in mare. Le famiglie dei militari britannici andavano ogni anno a pregare nel porto pugliese.

 

Il team di subacquei, dopo diverse immersioni sul sito e dopo numerose ricerche, ha accertato che quel relitto non è del sommergile inglese, ma di una Unità militare italiana.

I resti del sommergibile furono individuati nel 1999 a 37 metri di profondità, al largo di Barletta.

 

 

PROPONIAMO DUE TESTIMONIANZE VIDEO (Splendide immagini) DEI SUB E DI STUDIOSI CHE HANNO RISOLTO IL DILEMMA

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=8JV2FAfcNOE

https://www.youtube.com/watch?v=YwMn0MyOb2A

Nota: A volte viene usata la parola “sommergibile” altre volte “sottomarino”.

Rispetto al sottomarino, il sommergibile dispone di limitate capacità in immersione e non è in grado di operare per periodi prolungati al di sotto della superficie dell'acqua. Per molti aspetti si ritiene quindi che il sommergibile rappresenti il predecessore dei più moderni sottomarini.

Nel periodo fra le due guerre poche sono le innovazioni tecniche sostanziali apportate al sommergibile, ormai evoluto. Oltre all'irrobustimento dello scafo, reso idoneo a scendere sotto i cento metri, al miglioramento delle sistemazioni di salvataggio e dall'adozione di telecomandi oleodinamici.

Rilevante é lo studio di un'importante apparecchiatura che, utilizzata realmente solo a partire dalla metà della Seconda  G.M. rimarrà poi strumento fondamentale per il moderno sottomarino a propulsione convenzionale: lo "snorkel", un sistema che, fornendo una comunicazione con l'atmosfera al sommergibile immerso a quota periscopica, consente l'uso dei motori diesel (e, quindi, la ricarica delle batterie) ed il ricambio dell'aria nel battello senza necessità di risalire in superficie, conservando così in massima parte l'occultamento.

 

UN PO’ DI STORIAL’autore si è concesso la riduzione personale dell’ampia versione del Quadro Storico in cui operarono i nostri sottomarini nella Seconda guerra mondiale.

 

MINISTERO DELLA DIFESA

 

 

Lo "snorkel", un sistema che, fornendo una comunicazione con l'atmosfera al sommergibile immerso a quota periscopica, consente l'uso dei motori diesel (e, quindi, la ricarica delle batterie) ed il ricambio dell'aria nel battello senza necessità di risalire in superficie, conservando così in massima parte l'occultamento.

L'invenzione dello snorkel viene generalmente attribuita ai tedeschi, che per primi lo impiegarono in guerra, sul finire del 1943; i più informati ne fanno risalire l'origine agli olandesi, che lo istallarono sui loro battelli della classe "O" negli anni fra il '37 ed il '40.

 

 

In realtà, lo snorkel è un’invenzione italiana. Fu, infatti, il Maggiore del Genio Navale Pericle Ferretti (nella foto) a condurre i primi studi, intorno al 1920, presso l'Arsenale di Taranto. Egli stesso, poi, realizzò un prototipo che nel 1925 fu felicemente sperimentato sul Smg. "H3" (uno dei battelli acquistati in Canada durante la 1^ G.M.).

Sotto la spinta degli eventi politici mondiali, la produzione di Smg viene intensificata a tal punto che, nel 1940, la Marina italiana entra in guerra con 115 sommergibili: una delle maggiori flotte subacquee del mondo.

Le prestazioni dei sommergibili italiani vengono vieppiù migliorate. Aumenta l'autonomia, che nei battelli oceanici raggiunge le 20.000 miglia, così come l'armamento (fino a 14 tubi di lancio e 40 siluri). Il siluro si perfeziona e diventa più affidabile. La quota massima scende oltre i 130 metri. La velocità in superficie raggiunge i 20 nodi. Per il combattimento in superficie, al cannone si aggiungono mitragliere antiaeree.

Fino al 1942 il successo dell'offesa sottomarina è elevatissimo. I battelli italiani, che prima della costituzione della base a Bordeaux ("Betasom") dovevano forzare lo stretto di Gibilterra, vengono di norma impiegati isolatamente nell'Atlantico centrale e meridionale, dove il traffico è meno intenso e fortemente scortato. Ciò nonostante, i risultati non mancano: quasi 600 mila tonnellate di naviglio affondato con un "exchange rate" (ossia, il rapporto fra tonnellate di naviglio affondato e battelli perduti) praticamente uguale per entrambe le Marine.

Dopo il 1942, la crescente efficacia della lotta "antisom" sovverte le sorti della guerra subacquea. Sono soprattutto il radar e l'uso intensivo dell'aereo a contrastare il sommergibile, che risulta sempre più vulnerabile, specialmente in superficie. Si adottano, così, nuove misure, come la riduzione del volume delle sovrastrutture e la revisione dei criteri d'impiego e delle tattiche operative. Alcuni battelli oceanici vengono ritirati dalla linea ed adattati al trasporto. I tedeschi ricorrono allo snorkel ed approntano una sorta di intercettatore di onde radar.

Ormai, però, il sommergibile non riesce più ad ottenere i risultati di prima, mentre le perdite si fanno più ingenti, fino a superare il numero di navi affondate. Alla data dell'8 settembre 1943, la forza subacquea italiana, che nel corso del conflitto aveva acquisito fino a 184 battelli, è ridotta a 54 unità, delle quali soltanto 34 sono in grado di muovere; queste, in base alle clausole d'armistizio, passano ad operare con gli Alleati con funzioni prevalentemente addestrative e, alla fine della guerra, vengono demolite o consegnate ai vincitori in conto riparazioni di guerra.

 

 

Dati riepilogativi relativi ai sommergibili italiani nel corso della Seconda Guerra Mondiale

 

Missioni svolte

1750

Miglia compiute

2.500.000

Giorni in mare

24.000

Attacchi svolti

173

Siluri lanciati

427

Naviglio Mercantile affondato

132 (665.317 tons)

Naviglio Militare affondato

18 (28.950 tons)

 

 

Sommergibili italiani affondati

Mare Mediterraneo

Altri settori

88

40

 

Giovanni BAUSAN (ITA)

 

Sottomarino d’attacco costiero (di media crociera) della classe Pisani (dislocamento di 880 tonnellate in superficie e 1058 in immersione). Durante il suo brevissimo periodo di servizio attivo nella seconda guerra mondiale (poco più di un mese) svolse 3 missioni offensive/esplorative e 5 di trasferimento, percorrendo complessivamente 2593 miglia in superficie e 198 in immersione. Dal gennaio all’ottobre 1941 effettuò poi 90 uscite addestrative in Alto Adriatico per la Scuola Sommergibili di Pola.

Dislocamento: 800 t in emersione – 1057 t in immersione

Lunghezza: 68,2,mt – Larghezza: 6,09 mt – Pescaggio: 4,93 mt 

Velocità in immersione: 8,2 nodi   Velocità in emersione: 15 nodi

Profondità op. 90 mt

Equipaggio: 48

LA CARRIERA DEL BAUSAN

 

Il sommergibile, intitolato a Giovanni Bausan, valoroso combattente della marineria napoletana nato a Gaeta il 14 aprile 1757, dopo l'entrata in servizio fu assegnato alla V Squadriglia Sommergibili di Media Crociera, con sede a Napoli, ricevendo a Gaeta la Bandiera di Combattimento, offerta dalla comunità locale, il 14 novembre 1929.

Tra i suoi primi comandanti vi fu il Capitano di Corvetta Giovanni Marabotto.

Nella notte tra il 2 ed il 3 maggio 1932, durante un viaggio addestrativo, il Bausan andò ad incagliarsi alle Isole Mormorato (vicino a Punta Falcone, nelle Bocche di Bonifacio. L'unità fu tuttavia in grado di disincagliarsi senza bisogno dell'assistenza di altre unità.

Dal 7 dicembre 1935, al comando del tenente di vascello Ferruccio Ferrini, fu assegnato alla II Squadriglia del VI Grupsom di Lero. 

Nel gennaio-febbraio 1937 svolse un'infruttuosa missione (non furono avvistate navi sospette) nel corso della Guerra di Spagna. Dal 10 al 13 giugno 1940 effettuò (agli ordini del capitano di corvetta Francesco Murzi) una prima missione di guerra al largo di Malta; il 13 giugno, in fase di rientro ad Augusta, fu avvistato al largo di Capo Santa Croce dal sommergibile britannico Grampus, che gli lanciò un siluro; il Bausan lo schivò con una manovra evasiva.

Dal 20 al 24 giugno svolse una seconda missione al largo di Capo Kio, ma dovette fare ritorno per via di un guasto ai timoni di profondità di prua. 

La terza missione – dal 14 al 21 luglio, tra Pantelleria e Capo Bon, dovette essere anch'essa interrotta per un guasto ai motori.

In tutto aveva compiuto, sino a quel momento, 3 missioni offensive e 5 di trasferimento, per un totale di 2791 miglia di navigazione (2593 in superficie e 198 in immersione); fu quindi assegnato alla Scuola Sommergibili di Pola. 

Svolse attività addestrativa dal 1º gennaio all'8 ottobre 1941 per un totale di 90 missioni, dopo di che, il 18 maggio 1942, fu messo in disarmo e convertito in bettolina carburanti con il contrassegno GR. 251.

RADIATO il 18 ottobre 1946 fu quindi avviato alla demolizione. 

HMS REGENT (UK)

 

 

Dislocamento: in emersione 1.475 t – in immersione 2,030 t

Lunghezza:….  87,5 mtLarghezza: 9,12 – Pescaggio: 4,9 – Profondità operativa: 95 mt

Propulsione: 2 motori diesel da 4.640 hp, due motori elettrici da 1670 shp

Velocità in immersione: 9 nodi Velocità in emersione: 17,5 nodi

Equipaggio: 53 uomini

Artiglieria: 1 cannone-102/40 mm–2 mitragliatrici-12,7 mm–8 tubi lanciasiluri da 533 mm

La classe di sottomarini della Royal Navy Britannica: Rainbow o classe R era composta da quattro unità entrate in servizio tra il 1930 e il 1932.

Battelli a lunga autonomia progettati per operare nei mari dell’Estremo Oriente, rappresentavano l'ultimo sviluppo del progetto iniziato con i classe Odin e proseguito con i classe Parthian. Negli anni della Seconda guerra mondiale i Rainbow operarono principalmente nel teatro del Mar Mediterraneo, dove tre di essi furono perduti per cause belliche; l'unico superstite della classe, attivo anche nel teatro bellico dell’Oceano Indiano. Durante la seconda parte del conflitto, fu radiato e avviato alla demolizione nel 1946.

HMS Regent

19 giugno 1929

Vickers-Barrows Armstrong in Furness 

11 giugno 1930

11 novembre 1930

perduto in mare in una data imprecisata compresa tra il 12 aprile e il 1º maggio 1943, probabilmente caduto vittima di una mina nell’Adriatico meridionale

 

LA CARRIERA DEL HMS REGENT

Era il 18 aprile del ’43, gli abitanti di Bisceglie (Barletta) sentono un enorme esplosione proveniente dal largo: con molta probabilità essa segnò la fine del sottomarino inglese REGENT entrato in collisione con una mina galleggiante ed affondato senza superstiti. Era partito il 12 aprile da Malta (La Valletta) per il canale di Otranto. La sua carriera era iniziata con un’impresa da film d’azione. Nei primi giorni di guerra era penetrato nel porto di Cattaro, attraccando senza problemi e sbarcando un ufficiale per chiedere la liberazione dell’ex Ambasciatore inglese a Belgrado. Costretto alla fuga, se n’era andato… portandosi via un militare italiano. Il 5 ottobre del ’40 c’è il primo affondamento, anche se la preda non è eclatante: un vascello a vela (probabilmente un peschereccio), il Maria Grazia di 188 tonn. Quattro giorni dopo danneggia il mercantile Antonietta Costa, il 15 gennaio ’41 affonda il Città di Messina (2472 tonn), il 21 febbraio danneggia il mercantile tedesco Menes 5600 tonn., il 1° agosto affonda il dragamine italiano Igea, il 1° dicembre danneggia un altro mercantile italiano: l’Enrico.

Quattro mesi dopo, la fine. Ora il suo scafo squarciato giace su un fondale sabbioso a – 28 mt. In https://uboat.net/allies/warships/3406.html così viene descritta la sua fine: HMS REGENT (Lt.Walter Neville Ronald Knox,DSC,RN) sailed from Malta on 12 April 1943 to patrol in the southern Adriatic. She was mined north of Barletta, Puglia, Italy on 18 April 1943. That evening a large explosion was heard in that area, wich is believed to have been HMS Regent striking a mine. HMS Regent was reported overdue at Beirut on 1st May 1943. The wreck of Regent has been found and lies in 28 meters of water”.

Quanto è stato scritto sopra sono le versioni rilevate da fonti ufficiali che risalgono alla fine del conflitto. Oggi, a quanto sembra, il MARE STA RESTITUENDO ALCUNE VERITA’ CHE SONO SOTTO LA LENTE D’INGRANDIMENTO DEGLI STUDIOSI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE.

 

CORRIERE DELLA SERA – CORRIERE DEL MEZZOGIORNO –

Il 18 luglio 2022 Luca Pernice scrive:

Barletta, il relitto non è il sottomarino inglese Regent ma l’italiano Bausan: la scoperta di un team di Foggia

I resti del sommergibile furono individuati nel 1999 a 37 metri di profondità, al largo di Barletta. Le famiglie dei militari britannici andavano ogni anno a pregare nel porto pugliese.

 

 

 

Sin dal 1943 si è creduto che il relitto del sommergibile che giace a 37 metri di profondità nell’Adriatico, al largo di Barletta, fosse quello del Regent, affondato appunto nel 1943. Fino a quando un team foggiano, composto da sub e storici, ha scoperto che in realtà si tratta di un sommergibile italiano, il Giovanni Bausan.

 

Una storia iniziata nell’aprile 1943

La storia inizia quando il 18 aprile del 1943 il Regent, un sommergibile inglese costruito nel 1930 affonda dopo aver urtato una mina di profondità al largo della costa pugliese. Tre anni prima, il 5 ottobre del 1940 lo stesso sommergibile a circa 10 miglia dal mare di Bari affondò la nave italiana Maria Grazia. Da quel 18 aprile del 1943 tutti hanno sempre creduto che il relitto, che giace nelle acque della Bat, meta anche di tanti subacquei sportivi, fosse proprio quello del sommergibile affondato nel 1943. Soprattutto dopo il 1999 quando alcuni sub scoprirono il relitto in fondo al mare: una notizia che destò molto clamore in Gran Bretagna tanto da diventare un vero e proprio sacrario militare in mare. Il team di subacquei, dopo diverse immersioni sul sito e dopo numerose ricerche, ha accertato che quel relitto non è del sommergile inglese, ma di un mezzo italiano.

 

Il team e lo studio

Un team composto da tre sommozzatori – Michele Favaron, Stefania Bellesso e Fabio Giuseppe Bisciotti – da personale addetto all’assistenza di superficie – Alessandro Auliclino e Pietro Amoruso – da due piloti – Pasquale Bailon e Ruggero Nanula – e da Giuseppe Iacomino che ha curato l’assistenza storica del progetto.

«Dai dati in nostro possesso – spiega Fabio Giuseppe Bisciotti – sono subito emersi dubbi su quanto potesse essere veritiera la teoria del sommergibile inglese. Nelle foto esistenti del relitto si evince la assoluta incompatibilità di ciò che le foto mostrano con il design di un sommergibile britannico classe R quale il Regent. In particolare, oltre alle dimensioni totalmente differenti, vi è la presenza di una bombatura sul piano di calpestio del sommergibile del tutto assente in qualsiasi piano costruttivo e fotografia riguardanti il mezzo navale in questione. Dopo una lunga ricerca poi siamo giunti al ritrovamento del tassello più importante al riguardo». Bisciotti e il suo team, infatti, è in possesso di una documentazione che comproverebbe la presenza, nel porto di Barletta, di un sommergibile Italiano, classe Pisani, di nome “Giovanni Bausan”. Al momento della radiazione, fu ribattezzato GRS 251 ed usato come cisterna carburante sino all’arrivo degli alleati in Puglia. Dopo il 1943 il sommergibile venne usato come target notturno per gli aerei inglesi e americani per addestramento. Nel 1944, al termine del periodo di training, fu affondato. “Siamo certi – conclude Bisciotti - che il Bausan attualmente si trovi a circa 33 metri sul fondo del mare al largo di Barletta. E’ il relitto che per molti anni tutti hanno pensato, erroneamente, fosse quello del Regent”.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 10 ottobre 2022


CALATA SANITA', GENOVA RICORDI DELLA QUARANTENA

CALATA SANITA’ – GENOVA (1)

RICORDI DELLA QUARANTENA (2)

Panoramica del porto di Genova

Sullo sfondo la LANTERNA che si alza “superba” sulla nave portacontainer (scafo nero) ormeggiata a Calata Sanità.

 

Nave operativa sotto le gigantesche gru  di Calata Sanità

 

La nave sta ormeggiando a Calata Sanità

 

La nave sta ormeggiando a Calata Sanità

Nel porto di Genova c’è tuttora una banchina nel Porto Vecchio, che è destinata al traffico dei containers. Si chiama CALATA SANITA’ in ricordo della sua “vecchia” destinazione d’ormeggio delle navi che non avevano avuto LA LIBERA PRATICA (Inglese: Practique) dalle Autorità Sanitaria, in quanto provenienti da zone infestate da malattie esantematiche tipo colera, peste ecc….

 

CODICE INTERNAZIONALE DEI SEGNALI

Il codice internazionale nautico è un sistema di codifica che consente di rappresentare lettere singole dell'alfabeto, numeri o interi messaggi attraverso segnalazioni con bandiere, le quali vengono issate sulle navi verticalmente a gruppi di quattro e vengono lette dall'alto verso il basso. Il codice fa parte del Codice internazionale dei segnali (INTERCO)

 

Bandiera per la segnalazione di Covid 19 a bordo

 

In relazioni a recenti allarmismi riguardo la segnalazione sui media di bandiera gialla a bordo di un natante all’Argentario,  Artemare Club sente il dovere di ricordare che questa insegna issata su una nave o barca, nell'immaginario popolare significa qualcosa di negativo, di malattia contagiosa e invece è esattamente il contrario, il suo nome tecnico è Bandiera di libera pratica o lettera "Q" del codice internazionale dei segnali.

La bandiera gialla, chiamata anche erroneamente bandiera di quarantena va issata  quando richiesto alla crocetta principale di sinistra e significa che tutto l’equipaggio è in buone condizioni di salute, non ci sono epidemie a bordo e che si richiede la “libera pratica” per entrare in porto e sbarcare, si ripete corrisponde ad una dichiarazione fatta all’autorità marittima del porto di arrivo che l’equipaggio è in perfette condizioni di salute e che si richiede il permesso di ormeggiare e sbarcare.

Invece la bandiera quadra composta di quattro scacchi di colore giallo e nero, bandiera di segnalazione corrispondente alla lettera “L”, se fatta sventolare da sola significa “malattia contagiosa a bordo” e per il comandante della nave o barca che la espone  è un segno di riconoscimento e di responsabilità

L’uso delle bandiere è ritenuto un caposaldo nella tradizione marinaresca poiché da sempre l’unico mezzo sicuro per comunicare tra imbarcazioni e con terra, nel “Codice internazionale dei Segnali”  il contatto visivo di ogni singola bandiera acquisisce un significato proprio e codificato se issata singolarmente.

La LIBERA PRATICA altro non è che il permesso di entrare in porto per espletare le operazioni commerciali.

La Libera pratica sanitaria viene rilasciata dall'Unità territoriale dell’USMAF-SASN immediatamente via radio o con le altre forme di comunicazione rapida (Fax, Telegramma, Fonogramma, Telex, via informatica alla casella di posta elettronica del richiedente) utilizzate per la richiesta, oppure, in caso di navi provenienti da Paesi sottoposti ad ordinanza ministeriale per specifiche malattie, di segnalazione di malattia, di decesso o di evento di interesse sanitario a bordo, al termine dell'ispezione effettuata a bordo dal personale dell' Unità Territoriale  dell’ USMAF-SASN in entrambe i casi (rilascio senza o con accesso a bordo) viene fornita indicazione di data e ora di concessione.

 

Q Quebec - Significato: La mia nave è indenne e chiedo libera pratica

Trucco Mnemonico: Q, come ‘Question’, richiesta

La bandiera gialla, chiamata anche erroneamente bandiera di quarantena, va issata quando richiesto alla crocetta (dell’albero) principale di sinistra e significa che tutto l'equipaggio è in buone condizioni di salute, non ci sono epidemie a bordo e che si richiede la “libera pratica” per entrare in porto e sbarcare e operare…

 

 

Bandiera da issare per segnalare malattia contagiosa a bordo - Codice internazionale dei segnali marittimi lettera L

 

La bandiera a scacchi gialla e nera che assume significati diversi se issata in porto o durante la navigazione. Nel primo caso indica la presenza di un’epidemia a bordo e quindi che la nave è sottoposta a quarantena (infatti nei secoli scorsi veniva utilizzata per comunicare casi di peste e vaiolo); nel secondo caso invece corrisponde alla lettera L del Codice Internazionale dei Segnali Marittimi, ovvero la richiesta di fermare immediatamente la propria nave.

  • La parola “pratiqua” sia di origine ispanica

  • La “practique House” era la struttura che ospitava i malati sospetti…

  • MAGISTRATO DEI CONSERVATORI DI SANITA’ era la massima Autorità genovese in materia di salute pubblica.

  • Magistrato dei conservatori del mare - Questa magistratura aveva la piena e massima autorità in materia marittima. Giudice supremo in ogni causa penale e civile riguardante la marina, regolava anche la costruzione navale, la tenuta dei libri di bordo, il reclutamento di equipaggi; concedeva il permesso di partenza dal porto di Genova, riscuotendo la tassa per le navi di portata superiore alle cento salme.

 

BANDIERE DI BORDO, UNA QUESTIONE DI STILE

TUTTOBARCHE

The international YACHTING MEDIA

https://www.tuttobarche.it/magazine/bandiere-di-bordo-una-questione-di-stile.html

 

 

PER CHI AMA LA STORIA …

 

QUARANTENA: In origine, segregazione di quaranta giorni prescritta per malati affetti da malattie contagiose; in seguito, isolamento, segregazione di persone o animali per motivi sanitari, indipendentemente dal numero dei giorni.

 

A differenza della quarantena, l’isolamento separa solo gli individui riconosciuti come malati dalla popolazione sana. Lo scopo però è lo stesso: IMPEDIRE i contatti umani per evitare la diffusione del contagio.

Per secoli le epidemie di peste hanno seminato distruzione in tutto il mondo. Quando la Morte nera colpì l'Europa verso la fine degli anni 40 del quattordicesimo secolo, uccise quasi un terzo della popolazione.

 

Le epidemie hanno avuto un ruolo rilevante nella storia dell’umanità sul piano sanitario, demografico, sociale ed economico.

Nel V secolo a.C. Ippocrate di Kos, il padre della Medicina scrisse:

Chi non conosce il proprio passato rimane un bambino”.

Un bambino non ha memoria del passato…! A noi di una certa età non rimane che una riflessione: guai a disperdere il patrimonio di conoscenze acquisito nei secoli di lotta alle grandi epidemie.

 “Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento”: le parole tratte dal LEVITICO, precisamente, del Vecchio Testamento, descrivono misure di isolamento per persone affette da peste o lebbra.

La lebbra, conosciuta fin dai tempi Biblici, come abbiamo appena visto, si manifestò nell’alto Medioevo con focolai a carattere epidemico. La malattia continuò a manifestarsi nei secoli successivi e fu sempre ritenuta una conseguenza dell’indigenza e delle precarie condizioni igienico-sanitarie delle popolazioni del tempo.

 Nel 541 d.C. fu attuata una forma di quarantena durante la cosiddetta:

peste di Giustiniano perché iniziò durante il regno di questo imperatore bizantino che si ammalò ma sopravvisse. L’epidemia si protrasse a ondate fino all’ottavo secolo, colpendo il Medioriente, il Mediterraneo e l’Europa e causando centinaia di migliaia di morti.

Nel 640 d.C., nel pieno dell’ottava ondata, il vescovo Gallo II di Clermont-Francia, scrisse ad un suo collega: “la peste è sbarcata a Marsiglia e viaggia verso l’entroterra bisogna impedire che raggiunga i loro vescovadi”.

Era un invito a disporre guardie armate al confine con la Provenza, allo scopo di impedire ogni forma di commercio.

 

LE REPUBBLICHE MARINARE CONTRO LA PESTE NERA 

 

La guerra batteriologica dei Tatari contro i Genovesi.

L'epidemia si diffonde dal 1346, a partire da una colonia genovese del Mar Nero,  Caffa. Fattore scatenante fu il primo caso di guerra batteriologica della storia di cui ci siamo già occupati. I Tatari, impegnati in un lungo assedio della località della Crimea, mettono in atto un'idea tanto geniale quanto criminale: martoriati dalla peste, decidono (letteralmente) di catapultare le loro vittime al di là delle fortificazioni genovesi scatenando la peste, la morte. Fuggiti via mare, i coloni liguri intraprendono una tragica odissea. Giungono a Messina, la città dello Stretto li lascia sbarcare, ma ben presto il morbo comincia a fare vittime anche lì. Inevitabilmente, i coloni genovesi vengono cacciati dalla Sicilia e fanno rotta verso Genova, ma la loro stessa città li respinge.

Marsiglia, invece, concede loro ospitalità e di lì ha inizio il peggio (peste deriva non a caso dal superlativo latino peius). Da quel momento (fine 1347 - inizio 1348) e per almeno tre secoli, si apre un ciclo quasi continuo tra pandemie, epidemie e focolai locali: per convenzione, si parla di tre grandi ondate - 1348, 1576 e 1630 - ma si può dire che la malattia non abbia mai lasciato l'Eurasia sino alla scoperta degli antibiotici.

 

LINK:

1346 - LA PESTE A BORDO CON I GENOVESI IN VIAGGIO DA CAFFA (CRIMEA) ALL’ITALIA    di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/caffa/

E’ risaputo che già nell’alto Medioevo (476-1000 d.C.) si cercava di combattere la peste imponendo restrizioni agli spostamenti delle persone. Tuttavia, il termine “quarantena” fu inventato più tardi, quando questa misura fu usata per contenere la Peste nera, nel XIV secolo.

Immagine iconografica della peste del 1300

 

Che la peste venisse principalmente diffusa dai mercanti era ormai noto da secoli. Nel 1374 la Repubblica di Venezia cominciò per questo motivo a controllare, come misura preventiva, le navi commerciali provenienti da porti a rischio infezioni e a controllare, financo a respingere quelle giudicate non sicure dagli ufficiali-sanitari della città lagunare.

 

 

UNA DATA STORICA

Il 27 luglio 1377

LA PRIMA QUARANTENA della storia

(in realtà della durata di 37 giorni)

 

 

RAGUSA  (oggi Dubrovnik)

Divenne legge a RAGUSA* (Città Stato della Croazia-l’attuale Dubrovnik), che in seguito ispirò la SERENISSIMA per la costruzione del lazzaretto "ospedale per contagiati".

Si trattò di una legge innovativa, sicuramente rivoluzionaria:

Tutti i viaggiatori in arrivo da regioni in cui era diffusa la peste dovevano rimanere in isolamento per un periodo di 30 giorni prima di entrare in città, con gravi pene per chi avesse trasgredito.

 

*La Repubblica di Ragusa (nota anche come repubblica ragusea o, dal nome del suo santo protettore, repubblica di San Biagio) è stata una Repubblica Marinara dell'Adriatico, esistita dal X secolo al 1808.

 

IL LAZZARETTO VECCHIO DI VENEZIA

Il primo nella storia

 

Il Lazzaretto Vecchio è un'isola della Laguna Veneta, situata molto vicino alla costa occidentale del Lido di Venezia. Ospitò un ospedale, che curava gli appestati durante le epidemie.

Venezia in breve seguì la stessa procedura, ma il periodo fu esteso a 40 giorni, (periodo che coniò il nome: quarantena! perché secondo la medicina del tempo, le malattie di questo tipo facevano il loro corso entro questo intervallo di tempo. 

Per la peste bubbonica: dall’infezione alla morte passavano in media 37 giorni, quindi la durata originaria della quarantena era relazionata alla durata di questa malattia.

Non è un caso che le città-portuali di due potenti Repubbliche Marinare siano state le prime a rendere obbligatoria la quarantena. Le rotte da loro battute presentavano rischi oggettivi di contagio e, un’epidemia incontrollata avrebbe distrutto la loro economia in forte espansione.

Sulla scia di Venezia e Ragusa, molte altre città cominciarono a sperimentare la quarantena, assieme ad altre forme di controllo del contagio a essa collegate.

Nel 1467 - Genova seguì l'esempio di Venezia. Nello stesso anno il vecchio ospedale (lebrosario) di Marsiglia fu convertito in ospedale per gli appestati: il grande lazzaretto di questa città, forse il più completo nel suo genere, è stato edificato nel 1526 sull'isola di Pomgue. Le pratiche in tutti i lazzaretti del Mediterraneo non erano differenti dalle procedure inglesi nei commerci con il sudovest asiatico e con il Nord Africa.

Nel 1831 - Con l'approssimarsi del colera, furono costruiti nuovi lazzaretti nei porti occidentali che in seguito vennero utilizzati per altri scopi.

Solo nel XIX secolo si è cominciato a discutere di un quadro di riferimento internazionale con le International Sanitary Conferences, (14 in tutto, la prima svoltasi nel 1851, l’ultima nel 1938) il cui lavoro confluì nell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nata dopo la Seconda guerra mondiale.

 

IL LAZZARETTO DI GENOVA

ALLA FOCE

 

UN PO’ DI STORIA  GENOVESE….

 Nel XV secolo, nella piana sulla sponda sinistra del Bisagno, fu edificato un lazzaretto per l’isolamento e il ricovero dei malati contagiosi e dei passeggeri delle navi giunti in porto e soggetti a quarantena, soprattutto in occasione di epidemie di peste.

Ne parla Agostino Giustiniani, negli Annali della Repubblica di Genova (1537). 

L’imponente edificio fu ampliato all'inizio del XVI secolo per iniziativa di Ettore Vernazza notaio e filantropo. Nel 1576 l’edificio fu ingrandito su disegni di Girolamo Ponsello.

 

 

L’edificio serviva per l’isolamento e il ricovero dei malati contagiosi, provenienti soprattutto dalle navi, ma qui furono ricoverati anche i malati dell’epidemia di peste del 1600, di quella manzoniana del 1630 e delle successive ondate del 1656-1657, le quali determinarono la morte di ben 92.000 persone.

 

Jean-Jacques Rousseau

 

Nel Settecento, per la precisione dal 12 al 25 luglio del 1743, fu ospitato nel lazzaretto genovese anche il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau che preferì trascorrere lì la quarantena in totale solitudine, piuttosto che nella promiscuità di Calata Sanità. Lo scrittore accennò a quest’ esperienza in un brano delle Confessioni (l. VII).

Lo scrittore francese si era imbarcato a Tolone, ma la feluca su cui viaggiava era stata fermata da unità inglesi, provenienti da Messina, dove infuriava la peste, per cui, all’arrivo a Genova dovette sottostare alla quarantena che, come abbiamo appena letto, preferì trascorrere al lazzaretto, anche se era stato avvertito che non vi era alcun mobile. Infatti non vi trovò né un letto, né una sedia e neppure uno sgabello o un fascio di paglia per sdraiarsi.

Scrisse infatti: «Dapprima mi divertii a cacciare le pulci che avevo preso sulla feluca, e quando infine, a furia di cambiar vestito e biancheria, riuscii a liberarmene, procedetti all'arredamento della camera che m’ero scelta. Con gli abiti e le camice preparai un ottimo materasso; con varie salviette cucite insieme mi feci le lenzuola; con la vestaglia, una coperta; un cuscino, col mantello arrotolato; ricavai il sedile da una valigia distesa, e una tavola con l’altra posata sul fianco». I pasti gli venivano serviti in gran pompa, con la scorta di due granatieri, e poi poteva dilettarsi a leggere i libri che aveva con sé, ma anche a passeggiare nel cimitero, oppure salendo fino in cima all'edificio, dove da un lucernario che dava sul porto poteva osservare l’entrata e l’uscita delle navi.

 

Domenico Del Pino, Veduta del Lazzaretto Vecchio, della Foce,
del Bisagno con la collina d'Albaro dalle mura delle Cappuccine
(Stampa colorata a mano, prima metà del XIX secolo, Genova,
Gabinetto Disegni e Stampe,

L’edificio fu più volte modificato. Nel 1810 l’ampliamento fu sostenuto dal Comune e da donazioni di privati. Il lazzaretto svolse la sua attività fin verso la metà dell’Ottocento, quando, con gli sviluppi della medicina, le sue funzioni furono trasferite al nuovo ospedale di Pammatone. 

L’edificio fu demolito, consentendo l’ampliamento del CANTIERE NAVALE già da tempo esistente sulla spiaggia della Foce.

 

A ridosso del Molo Nuovo le navi in "quarantena"

 

Particolare di acquaforte colorata ad acquarello di G.Piaggio e di Del Pino - 1818 ca - Collezione Topografica del Comune di Genova.

Notiamo la Lanterna ed il Convento di San Benigno.  Una draga è al lavoro nel centro della rada. 

 

IL MOLO NUOVO CON LE NAVI IN QUARANTENA


Incisione di Nicholas M.J.Chapuy e Isidore L.Deroy - ca 1850 - Civica Raccolta Bertarelli Milano - La Lanterna con la Porta della Lanterna.  Sulla destra si nota appena la cupola per le funzioni religiose presso l'ufficio di Sanità-Quarantena.

 

NEL NUOVO SECOLO SI GIRA PAGINA

Nel 1900 fervono grandi lavori in città, ed anche nel Porto.
La città si industrializza, si espande, e così il porto deve trovare una nuova dimensione e cerca spazio a Ponente.

Nel 1905 il Re "posa" la prima pietra del nuovo bacino portuale della Lanterna dando così il via alla prima espansione portuale verso ponente.

Cartolina ed. Gianbruni - NPG - non circolata

Messa la "prima pietra" i lavori languono per mancanza di fondi, con un grande fiorire di progetti, ma nessuna realizzazione.

Si arriva alla fine della Prima grande guerra con un nulla di fatto e si decide finalmente di iniziare i lavori nel 1920. 

  Si comincia con il prolungamento a Ponente della diga foranea il Molo Duca di Galliera.
Quindi si esegue il taglio di una sezione obliqua della diga per permettere il transito delle navi dall'avamporto al nuovo specchio creatosi davanti alla Lanterna.

Il tutto è ben illustrato dalle piantine che seguono in ordine cronologico.

 

La Freccia Blu indica Calata Sanità nel tempo...

1922

 

 

1927

 

ANNI '30-'40

 

ANNI '50 

 

Inizio Nuovo Millennio

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 26 settembre 2022

 


R.M.S. QUEEN HELIZABETH 2

R.M.S. QUEEN HELIZABETH 2

Durante la sua visita nel nostro capoluogo il 16 ottobre 1980, la Regina Elisabetta disse:

“GENOVA E’ LA CITTA’ PIU’ BRITISH D’ITALIA”

IL SECOLO XIX ha scritto:

OGGI , 8 SETTEMBRE 2022

LA CITTA’ E’ IN LUTTO PER LA REGINA ELIZABETH II

Mare Nostrum Rapallo  ha voluto dedicare questo “semplice omaggio marinaro” alla Regina d'Inghilterra per ricordare Lei e  le navi che hanno portato il Suo NOME ILLUSTRE per i SEVEN SEAS.

 

Il RMS Queen Elizabeth 2, RMS: Royal Steamer, anche  soltanto QE2, era l'ammiraglia di Linea Cunard. Il Queen Elizabeth 2 ha fatto il suo viaggio inaugurale nel 1969 ed è stata una delle ultime grandi navi passeggeri transatlantiche. Con una lunghezza di 293,5 metri e una velocità massima di 32,5 nodi è stata anche una delle navi passeggeri più grandi e veloci in circolazione. Il 30 dicembre 1964 fu firmato il contratto con il costruttore navale John Brown Shipyard Clydebank in Scozia.

La costruzione iniziò lì il 5 luglio 1965.

Dopo il varo il 20 settembre 1967, la nave fu battezzata dalla Regina Elisabetta 2 - Il 19 novembre 1968, il Queen Elizabeth 2 fece le prove in mare guidate dal Capitano "Bill" Warwick.

Dal 26 novembre 1968 si sono svolte le prove  nel mare irlandese.

Il 22 aprile 1969 fu fatto un piccolo viaggio inaugurale  in direzione di Las Palmas de Gran Canaria. 

Il 2 maggio 1969, il viaggio inaugurale ufficiale verso New York.

Nel 1975 viene effettuata la prima crociera intorno al mondo.

Nel maggio 1982, il Queen Elizabeth 2 requisita per il trasporto di truppe per il Guerra delle Falkland. Il 12 maggio 1982 fece rotta per la Georgia del Sud con 3.000 uomini a bordo.

L'11 giugno 1982  il transatlantico è tornato sano in salvo  a Southampton.

Nell'ottobre 1986, la sostituzione delle turbine a vapore  a propulsione diesel-elettrica.

Il 7 agosto 1992, il Queen Elizabeth 2 finì sulle rocce a Vineyard Sound, queste rocce non erano segnate sulla carta nautica.

Una vasta ristrutturazione ha avuto luogo nel dicembre 1994.

 

 

Nel 1995 ancora una volta il Queen Elizabeth si ritrovò vittima di un incidente, in quanto fu colpito da un’onda anomala di circa 30 metri di altezza, ma fortunatamente senza riportare danni rilevanti o vittime...

L'11 settembre 1995, il Queen Elizabeth 2 prese in pieno l’uragano Luis mentre era in rotta per gli Stati Uniti e scarrocciò su un basso fondale.

Il 2 gennaio 1996, il Queen Elizabeth 2 registrò il traguardo dei 4 milioni di miglia nautiche navigate sul Libro di bordo.

Nel 1996, dopo la vendita di Trafalgar House a Kvaerner, la proprietà di Cunard Line è passata  a questa azienda norvegese.

Nel maggio 1998 Kvaerner ha venduto la Cunard Line negli Stati Uniti alla Carnival Corporation.

Il 29 agosto 2002, il Queen Elizabeth 2 registrò il traguardo dei 5 milioni di miglia nautiche navigate.

Il 18 giugno 2007 è stato annunciato che il Queen Elizabeth 2  è stato venduto per quasi $ 100 milioni al Dubai World, una delle isole create artificialmente al largo della costa di Dubai.

Il 7 gennaio 2008 ha iniziato il suo ultimo tour mondiale. L'intenzione era che il QE II fungesse da hotel di lusso da quelle parti. La nave ha salpato l'ultima volta dal suo porto di origine:  Southampton l'11 novembre 2008.

 

Queen Elizabeth 2 a Rotterdam

 

La QE-2 nel bacino di carenaggio  del suo  Home Port 

SOUTHAMPTON

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

 

INTERNI DEL TRANSATLANTICO QUEEN ELIZABETH II

Di seguito alcune immagini degli interni, che con innumerevoli restyling sono cambiati nel corso degli anni... Dalla netta distinzione in classi fino alla trasformazione in nave da crociera, si è passati dal classico al moderno, passando per l'Art Decò e il contemporaneo... Insomma un infinità colori, ambienti, arredi, sempre più belli e sempre più nuovi che ancora oggi lasciano ai passeggeri l'opportunità d’immaginare il fascino di quell'epoca in cui viaggiare sull'oceano era un vero sogno.

 

 Nave da crociera       Cruise ship 

QUEEN ELIZABETH 2

Classificazione

Classification

L.R. n. - + 100 A1 LR Survey Type: Continuous Survey Date: 2006-12 LR Machinery Class: + LMC 

Bandiera

Flag

Regno Unito - United Kingdom 

Armatore

Owner

CUNARD LINE - LONDON - U.K.

Operatore

Manager

Cunard Line Ltd. -Southampton - United Kingdom

Impostazione chiglia

Keel laid

05.07.1965

Varo

Launched

20.09.1967

Consegna

Delivered

02.05.1969

Cantiere navale 

Shipyard

John Brown and Co. - Clydebank - SCOTLAND - U.K

Costruzione n. 

Yard number

736

Tipo di scafo 

Hull type

scafo singolo - single hull

Materiale dello scafo

Hull material

acciaio - steel

Nominativo Internazionale 

Call Sign

G B T T -    

I.M.O.   International Maritime Organization 

6725418

M.M.S.I.   Maritime Mobile Service Identify

576059000

Compartimento marittimo 

Port of Registry

Southampton

Numero di Registro

Official Number

Posizione attuale

Actual position

CLICCA QUI / CLICK HERE

Stazza Lorda 

Gross Tonnage

70.327 Tons 

Stazza Netta 

Net Tonnage

32.182 Tons 

Portata ( estiva )

DWT (summer) 

15.521 Tonn

Lunghezza max 

L.o.a.

293,53 m

Lunghezza tra le Pp

L. between Pp

270,40 m

Larghezza max 

Breadth max

32,01 m

Altezza di costruzione

Depth

18,86 m 

Pescaggio max 

Draught max

9,945 m 

Bordo libero

Freeboard

Motore principale 

Main engine

9 - MAN B&W 9L58/64 - 450 rpm

Potenza motore 

Engine power

9 x 10,625 kW (tot 95.625 Kw )

Velocità max 

Max speed

28,50 kn 

Eliche di propulsione

Propellers

2 - cinque pale/ five blades

Passeggeri max 

Passengers max 

1.791 

Equipaggio 

Crew

921

Ponti 

Decks

12 - passeggeri / passengers 10

Bunker 

Bunker

Inserita

Posted

07.09.2008

Aggiornata al

Last updated

10.11.2013

STORIA DI UNA NAVE

QUEEN HELIZABETH 2 a Southampton

Scheda Tecnica

Costruttore: John Brown&Company, Clydebank

Armatore: Cunard Line - Istithmar

Varo: 20 settembre 1967

Entrata in servizio: 2 maggio 1969

Lunghezza: 293 metri

Larghezza: 32 metri

Velocità: 28 - 34 nodi

Capacità: 1777 passeggeri, 1040 equipaggio

Da prestigioso transatlantico a nave quarantena: la triste parabola della Queen Elizabeth 2

Da prestigioso transatlantico a nave quarantena, questa è la triste parabola della Queen Elizabeth 2: infatti nei giorni scorsi sono apparsi sul web diversi articoli che raccontano di alcuni giovani italiani che sono stati trasferiti sulla vecchia ammiraglia Cunard dopo essere stati trovati positivi a bordo di MSC Virtuosa a Dubai. E’ qui che si trova ormai dal 2008 in uno stato di conservazione certamente non ottimale dopo che faraonici progetti per una sua seconda nuova vita emiratina non si sono mai concretizzati. Ora la nave viene classificata come ristorante ed hotel galleggiante e in questa veste che è stata scelta da MSC Crociere come appoggio per i suoi passeggeri che vengono trovati positivi a bordo di “Virtuosa”, Infatti oggi le compagnie crocieristiche sono tenute a disporre dei covid-hotel per sbarcare gli ospiti e i membri dell’equipaggio infettati senza sintomi o con sintomi lievi che necessitano di un luogo dove trascorrere la quarantena.

Per come è strutturata però la QE2 non è una nave ideale per svolgere questo compito, infatti all’epoca della sua costruzione le cabine con balcone erano una rarità. Così gli ospiti in quarantena vengono alloggiati in cabine con piccoli oblò mentre viene concessa mezz’ora d’aria giornaliera (15 minuti al mattino e 15 al pomeriggio) su un ponte all’aperto poppiero (una delle celebri terrazze vista mare dell’ex “Cunarder”). In ogni caso solo una parte della nave viene dedicata a questa funzione, quindi il resto della parte hotel resta aperto e perciò a Capodanno a bordo si è svolto anche un tradizionale veglione.

Questi sfortunati connazionali però probabilmente ignorano di trovarsi, loro malgrado, su una delle navi passeggeri più famose della storia, vediamo di ricordare la sua epica vita operativa. Il 20 settembre 1967 veniva varata sulle rive del fiume Clyde niente meno che dalla regina Elisabetta II. Da allora il mondo dello shipping è completamente cambiato, il cantiere John Brown dove è stata costruita non esiste più, Cunard Line ora fa parte dell’americana Carnival Corporation, le crociere di massa hanno avuto il sopravvento, soltanto l’inossidabile sovrana d’Inghilterra è ancora al suo posto.
Per i profani forse l’acronimo QE2 vuol dire ben poco, ma si tratta di un autentico mito della marineria britannica. Una carriera iniziata balbettando con la consegna appena nel maggio del 1969 a causa di problemi tecnici che ne rallentarono il completamento. Negli anni Settanta con la scomparsa graduale di tutti i grandi transatlantici a causa dall’avvento dell’aereo (come i nostri Michelangelo e Raffaello), rimase l’unica unità inossidabile sulla linea Southampton-New York, alternata sempre più a crociere. A tutt’oggi è la nave di linea ad aver operato più a lungo nella storia della navigazione: ha trasportato 2,5 milioni di passeggeri per oltre 5,6 milioni di miglia.

Dopo questi eventi la sua carriera fu ancora lunga con diversi refit (la sua stazza lorda passò nel tempo da 65.863 t. a 70.327 t.) passando anche per una costosa rimotorizzazione (1986-87) dove il suo apparato propulsivo a turbina fu sostituito da un moderno sistema diesel-elettrico.
Con l’acquisizione di CUNARD da parte di CARNIVAL (1998) iniziò il suo lento declino culminato con l’entrata in servizio della nuova ammiraglia QUEEN MARY 2 (2004).

Dedicata ormai solo alle crociere, una volta venduta ad un fondo d’investimento degli Emirati ha effettuato il suo ultimo viaggio con destinazione Dubai nel novembre 2008.
 

 

CUNARD: le tre Regine della flotta insieme in navigazione verso Southampton per il decimo anniversario di Queen Mary 2

ECCELLENZE REGALI

Queen Mary 2, il grandioso transatlantico della flotta Cunard, e le due navi gemelle Queen Elizabeth e Queen Victoria sono salpate insieme da Lisbona, in Portogallo, dirette a Southamtpon, nel Regno Unito, dove arriveranno venerdì 9 maggio per celebrare in grande stile il decimo anniversario di Queen Mary 2.

Per la prima volta in assoluto le tre Regine Cunard sono state fotografate side-by-side in mare aperto con un’inedita prospettiva “a germoglio” che ha richiesto mesi di pianificazione meticolosa e che è stata immortalata grazie a un elicottero dedicato.

Queen Mary 2 (foto sopra) ha fatto scalo a Lisbona – l’ultimo dell’itinerario – nell’ambito della sua World Cruise ed è stata poi raggiunta dalle altre due navi che avranno il compito di accompagnarla fino a casa, in Inghilterra, in grande stile.

Protagonista indiscusso della navigazione, Queen Mary 2 è ancora oggi il transatlantico in servizio più veloce, grande, lungo e largo esistente al mondo, battezzato da Sua Maestà la Regina nel 2004. Da allora, la nave ha navigato per oltre 1,5 milioni di miglia nautiche su oltre 400 diverse rotte, raggiungendo 182 porti in 60 Paesi e trasportando oltre 1,3 milioni di persone.

QUEEN ELIZABETH

 

Queen Elizabeth, (foto sopra) l’ammiraglia della flotta Cunard Line, è stata realizzata nel 2010 nello stabilimento Fincantieri di Monfalcone

90.900 tonnellate di stazza lorda – è l’ultimo membro della famiglia Cunard ed è entrata in servizio, dopo il battesimo tenuto da Sua Maestà la Regina, nel 2010.

 

CLASSE QUEEN ELIZABETH

PORTAEREI

HMS QUEEN ELIZABETH – HMS PRINCE OF WALES

 

La classe Queen Elizabeth (in precedenza CV Future o CVF project), è una serie di due navi portaerei sviluppate per la Royal Navy.

 

Il  HMS QUEEN ELIZABETH (R08) è entrato in servizio nel 2017, con due anni di ritardo rispetto alla previsione originaria. Il gemello HMS PRINCE OF WALES (R09), dopo aver rischiato di non essere mai realizzato è infine entrato in servizio nel 2019. 

I vascelli hanno un dislocamento di circa 65.000 tonnellate a pieno carico, sono lunghi 280 metri, larghi 70, alti 39 e in grado di trasportare 40 aerei. La necessità di sostituire la vecchia classe INVINCIBLE, era già stata confermata dal Ministero della Difesa britannico nel 1998. 

 

Quella volta che vennero a Genova la Regina Elisabetta e il Principe Filippo!

Era il 16 ottobre del 1980. Giornata piovosa...

Quell’anno la Regina Elisabetta stabilì un “tour” ufficiale in Italia ed il 16 Ottobre, sull’agenda c’era scritto GENOVA.

 

Per le strade della SUPERBA c’erano migliaia di persone. La gente guardava dalle finestre che si affacciavano sulle strade percorse dal corteo.

L'itinerario comprendeva Tursi, palazzo Gio. Agostino Balbi e la Prefettura, con l’allora sindaco Cerofolini e il principe Filippo d’Edimburgo.

Chi si ricorda di quella giornata, sicuramente non potrà non raccontare dell’incontro con la marchesa Cattaneo Adorno nella sua dimora di via Balbi, palazzo Durazzo Pallavicini. «Non so perché la regina scelse di venire da me. Credo che le avessero parlato del mio palazzo», raccontò proprio la padrona di casa.

La visita era stata fissata per il tè (che domande?). Però, dopo aver ammirato la collezione affissa alle pareti, Elizabeth scelse un caffè. «All’italiana. Senza latte», ricordava la marchesa.

 

GENOVA, 20 ottobre 1995 - Manovra di attracco a Ponte Andrea Doria (Genova) del

"QUEEN LIZABETH II"

della CUNARD Line

L'ultimo dei transatlantici ancora in servizio sulla Linea Nord Europa/New York. Partita il 15 ottobre da Southampton per una crociera nel Mediterraneo, la nave ha scalato Genova come unico porto italiano. Varata nel 1967, la nave è stata completamente ristrutturata nel 1994.

 

Filmato dell'arrivo del transatlantico QUEEN HELIZABETH II  A GENOVA

https://www.youtube.com/watch?v=PmGWajg6ILw

Carlo GATTI

Rapallo, giovedì 15 Settembre

Note:

Ho sempre scritto IL QUEEN HELIZABETH II riferendomi al TRANSATLANTICO, pur sapendo che solo le navi da guerra vanno riportate al maschile.

H.M.S - (abbreviazione per Her/His Majesty's Ship, ovvero Nave di Sua Maestà) è il prefisso navale utilizzato per le navi  della Royal Navy, la marina da guerra britannica. È seguito dal nome proprio della nave, come ad esempio per la HMS Victory

R.M.S - Royal Mail Ship - significa che la nave svolgeva anche il servizio postale

FONTI:

Scritti e Archivio fotografico dell’Autore

IL PORTO visto dai fotografi – Genova 1969-1995 Silvana Editore

CUNARD – Glory days – David L. Williams

PICTURE HISTORY OF THE CUNARD LINE – 1840-1990;(Author) Frank O.Braynard – William H. Miller Jr

OCEAN LINERS – Philip J. Fricker


S/S CARPATHIA UNA NAVE CON DUE DESTINI,,,

S/S CARPATHIA

UNA NAVE CON DUE DESTINI …

CUNARD LINE - UK -

PRIMA PARTE

La CARPATHIA si coprì di gloria nel salvataggio di ben 705 naufraghi del S/S TITANIC.

 

Della TRAGEDIA DEL TITANIC ci siamo già occupati in passato, ma per coloro che volessero “rivisitarne” la storia, propongo il nostro LINK:

TITANIC - UNA STORIA BREVE ...  di Carlo GATTI  -  Salvataggi e Disastri

https://www.marenostrumrapallo.it/tita/ 

IL TITANIC VA INCONTRO AL SUO DESTINO

 

Due immagini del Comandante ROSTRON del CARPATHIA

Il transatlantico CARPATHIA arrivò sul punto del naufragio alle 04 del 15 aprile 1912 zigzagando in un pericoloso percorso tra larghi strati di ghiacci , quando il TITANIC era già affondato da circa 90 minuti. Nelle ore successive l'equipaggio recuperò e fece salire a bordo i 705 naufraghi. Terminata con successo la fase della messa in sicurezza dei superstiti, il Comandante Rostron comunicò alle altre navi in zona d’aver concluso le operazioni di salvataggio e, dopo un rapido confronto con l'amministratore Joseph Bruce Ismay della rivale White Star Line (Compagnia Armatrice del TITANIC), sopravvissuto al naufragio, invertì la rotta e ritornò a New York, dove giunse il 18 aprile.

Per l'aiuto prestato al Titanic, l'equipaggio del Carpathia venne premiato con medaglie dai superstiti: i membri dell'equipaggio vennero premiati con medaglie di bronzo, gli ufficiali con medaglie d'argento; il Comandante Rostron ricevette la medaglia d'oro e una coppa d'argento, che gli vennero consegnate da Margaret “Molly” Browm, una delle più celebri e facoltose superstiti del Titanic.

Rostron fu successivamente ospite del Presidente americano William Taft alla Casa Bianca e ricevette la Medaglia d’oro del Congresso, il più alto riconoscimento civile conferito dal Congresso degli Stati Uniti d’America. 

 

ISTITUTO D'ISTRUZIONE SUPERIORE "MARCONI"

 

Quando Marconi salvò 700 passeggeri del Titanic

La notte del 14 aprile del 1912, 109 anni fa, il transatlantico britannico Titanic colpisce un iceberg e rapidamente affonda: muoiono subito circa 1500 dei 2224 passeggeri. Quattro giorni dopo il naufragio un altro transatlantico, il Carpathia, arriva nel porto di New York con oltre 700 sopravvissuti. Qualcuno dirà che che si erano salvati “solo grazie al genio di un uomo”: Guglielmo Marconi. Non era a bordo del Titanic, ma c’era una sua invenzione: il telegrafo senza fili. Qualche anno prima infatti Marconi aveva fondato a Londra una società per mettere sul mercato un’applicazione della sua intuizione, l’utilizzo delle onde radio per trasmettere messaggi. La “Wireless Telegraph and Signal Company” era stata costituita il 20 luglio 1897, dopo che l’ufficio brevetti inglese aveva riconosciuto l’invenzione della trasmissione senza fili. Fu un successo.

Nel 1912 la maggior parte delle navi passeggeri avevano l’apparecchiatura venduta dalla società di Marconi e gli operatori iniziarono a chiamarsi “marconisti”. Marconi aveva anche stabilito un messaggio breve che nel linguaggio del codice Morse, sarebbe dovuto servire per dare l’allarme in caso di pericolo: il CQD. Ma all’epoca mandare messaggi era una pratica ancora non regolamentata: non c’era un canale dedicato e nemmeno un turno di orario continuo. Inoltre era offerto come servizio ai passeggeri di prima classe per comunicare con la terraferma.

Il giorno prima del naufragio un guasto momentaneo aveva messo fuori uso l’apparecchiatura, si erano accumulati molti messaggi dei passeggeri e per questa ragione diverse segnalazioni di ghiaccio sulla rotta del Titanic non furono ricevute. Alle 23 e 40 l’impatto con l’iceberg. La fortuna nella tragedia fu che il marconista del Carpathia, che era a 60 miglia dal punto del naufragio, era ancora sveglio e ricevette la richiesta di soccorso. Era un messaggio con il codice stabilito da Marconi, il CQD, anche se da quattro anni il mondo aveva scelto un nuovo sistema di allarme universale, l’SOS. L’ultimo messaggio dal Titanic fu però un SOS …—…


Il
Carpathia arrivò che era quasi l’alba. A New York il direttore generale delle Poste accolse i sopravvissuti dicendo loro di ringraziare solo un uomo e la sua meravigliosa invenzione: Guglielmo Marconi.

(Riccardo Luna)

 

Una scialuppa di salvataggio del Titanic

 

Nel corso delle ore successive l'equipaggio fece salire a bordo i 705 superstiti e le lance di salvataggio del transatlantico della White Star Line e partì per New York, dove giunse il 18 aprile.

Rostron fu successivamente ospite del Presidente degli Stati Uniti William Howard Taft alla Casa Bianca, e ricevette la Medaglia d'oro del Congresso, il più alto riconoscimento civile conferito dal Congresso degli Stati Uniti d'America.

Guardando la foto del transatlantico CARPATHIA salta agli occhi una curiosa particolarità marinaresca:

Pur essendo una nave a vapore collaudata ormai da un centinaio di anni d’esperienza di meccanica navale: caldaie, elettrogeni, dinamo, motori ed eliche che poteva sviluppare 15 nodi di velocità, sulla sua “coperta” giganteggiavano ben quattro alberi, come avevano in dotazione i velieri del secolo precedente.

Come spiegano gli storici di quell’epoca, esisteva ancora agli inizi del ‘900 una nutrito numero di passeggeri che dubitavano della SUPREMAZIA del motore e si sentivano più rassicurati se la nave su cui erano imbarcati aveva la possibilità di issare le vele in caso di avaria al motore.

Il 5 maggio 1903 - Il Carpathia effettuò il suo primo viaggio da Liverpool a Boston, e presto prese servizio tra New York, Trieste, Fiume e altri porti del mar Mediterraneo. Fu utilizzata come nave per il trasporto delle truppe della Canadian Expeditionary Force, durante la prima guerra mondiale.

Nella notte di domenica 14 aprile 1912, il Carpathia navigava da New York a Fiume. Tra i suoi passeggeri erano presenti i pittori americani Colin Campbell Cooper jr e sua moglie Emma, il giornalista Lewis Skidmore, il fotografo Francis Blackmarr, e Charles Marshall, i cui tre nipoti stavano viaggiando a bordo del Titanic.

Alle 23,40 il Titanic ebbe una collisione con un iceberg, nell'Atlantico settentrionale. Il telegrafista del Carpathia Harold Cottam ricevette un messaggio da Cape Race (Terranova), in cui si affermava che la stazione aveva traffico privato per il Titanic.

 

Il telegrafista del Carpathia Harold Cottam (nella foto sopra)

Pensò che sarebbe stato utile e inviò un messaggio al Titanic affermando che Cape Race aveva traffico per loro. In risposta ricevette un segnale di soccorso. L’RT Cottam svegliò il Capitano Arthur Rostron, che subito tracciò una rotta da percorrere a velocità massima (17 nodi, corrispondenti a 31 km/h) per l'ultima posizione nota del Titanic, a circa 58 miglia (93 km) di distanza.

NON ERA IL MOMENTO!

Lo scienziato italiano Guglielmo MARCONI, forse non tutti lo sanno, doveva imbarcare come INVITATO SPECIALE sul TITANIC nel suo viaggio inaugurale. All’ultimo momento cambiò idea e preferì partire sul LUSITANIA.

Il Nobel bolognese – come ricorda Giuliano Nanni in un dossier curato dalla Fondazione Marconi per il centenario del Titanic – alla fine preferì il Lusitania, che partiva qualche giorno prima, "perché quando andava in America – spiega l’appassionato filatelico – ne approfittava per lavorare. Temeva che sul Titanic il viaggio inaugurale e la notorietà lo avrebbero distratto".

La circostanza viene accennata dallo stesso Marconi in una lettera alla moglie Beatrice da New York il 16 aprile 1912:

"Questo spaventoso disastro del Titanic (sul quale come sai stavo per imbarcarmi) mi costringerà a rimanere qui due o tre giorni in più. Ho assistito a scene strazianti di persone disperate venute qui e negli uffici della Compagnia a implorarci di scoprire se vi fosse qualche speranza per i loro parenti (...). Sebbene soltanto in pochi si siano salvati, tutti sembrano molto grati al wireless. Non riesco ad andare in giro per New York senza essere assalito e acclamato. Peggio che in Italia...".

 

Guglielmo Marconi è considerato il padre della radio non solo per gli apparecchi e gli strumenti inventati, o per essere stato il primo a depositarne il brevetto, ma anche e soprattutto per averne avuto l’idea, diventata un sogno, la cui realizzazione lo impegnò nel corso di tutta la sua esistenza, fin dai primi esperimenti a Villa Griffone nel 1895.

Marconi ha sempre avuto piena coscienza delle potenzialità della comunicazione senza fili, anche quando nessuno confidava in lui e nelle sue intuizioni, e il suo essere lungimirante è sempre stato accompagnato dalla riflessione critica su quanto già fatto.

In senso ampio, l’invenzione della radio ha risvolti e evoluzioni ancora oggi: la tecnologia inventata dal genio bolognese, infatti, è fondamentale per il funzionamento del telefono cellulare, ma anche per le imprese spaziali su Marte o Saturno.

I sistemi di radiocomunicazione hanno infatti permesso di realizzare le imprese astronautiche mentre i satelliti, a loro volta, stanno portando un notevole contributo all’ulteriore sviluppo delle telecomunicazioni mondiali. 

Analogamente, internet e il telefono cellulare, la cui comparsa ci ha resi quasi increduli, sono diventati parte della normalità quotidiana e non è sempre scontato recepirli come sintesi finale di una serie di passaggi tecnologici che hanno nella radio l’elemento vitale e fondante. La componentistica elettronica inizialmente sviluppata per l’industria della radio ha reso possibile il decollo dei calcolatori elettronici e, a distanza di anni, l’informatica è diventata un elemento portante delle radiocomunicazioni. 

Se oggi possediamo i cellulari, i tablet e il wi-fi, se possiamo utilizzare le immagini satellitari e ipotizzare viaggi su Marte, lo dobbiamo anche e soprattutto a Marconi, il signore del wireless, un italiano che alla fine dell’Ottocento ha inventato il terzo millennio, grazie a quel formidabile crescendo di scoperte scientifiche e successi imprenditoriali che ne fanno un precursore dell’era digitale, quasi uno Steve Jobs ante litteram.

Lo scienziato italiano Guglielmo MARCONI, forse non tutti lo sanno, doveva imbarcare come invitato SPECIALE sul TITANIC nel suo viaggio inaugurale. All’ultimo momento cambiò idea e preferì partire sul LUSITANIA.

Il Nobel bolognese – come ricorda Giuliano Nanni in un dossier curato dalla Fondazione Marconi per il centenario del Titanic – alla fine preferì il Lusitania, che partiva qualche giorno prima, "perché quando andava in America – spiega l’appassionato filatelico al telefono – ne approfittava per lavorare. Temeva che sul Titanic il viaggio inaugurale e la notorietà lo avrebbero distratto".

La circostanza viene accennata dallo stesso Marconi in una lettera alla moglie Beatrice da New York il 16 aprile 1912:

"Questo spaventoso disastro del Titanic (sul quale come sai stavo per imbarcarmi) mi costringerà a rimanere qui due o tre giorni in più. Ho assistito a scene strazianti di persone disperate venute qui e negli uffici della Compagnia a implorarci di scoprire se vi fosse qualche speranza per i loro parenti (...). Sebbene soltanto in pochi si siano salvati, tutti sembrano molto grati al wireless. Non riesco ad andare in giro per New York senza essere assalito e acclamato. Peggio che in Italia...".

 

PARTICULARS DEL TRANSATLANTICO CARPATHIA

Armamento: Cunard Line

Bandiera: UKPorto di registrazione: LiverpoolCostruttore: C.S. & Hunter, Newcastle sul Tyne

Data d’impostazione: 10.9.1901 – Varo: 6.8.1902 – Fine allestimento: febbraio 1903

Viaggio inaugurale: 5.5.1903Durata servizio: 1903-1918 – Il transatlantico fu silurato ed affondato il 17 luglio 1918 dal sottomarino tedesco U-55 al largo della costa meridionale irlandese, a Ovest delle Isole Scilly.

Itinerario Transatlantico: Liverpool-Queenstown-Boston

Itinerario Invernale: Trieste–Fiume-New York

Itinerario:

Transatlantica: Liverpool – Queenstown – Boston

·                  Trasferito alle estati di Liverpool – Queenstown – New York

·                  Inverni Trieste – Fiume – New York

 

Caratteristiche della nave

Stazza lorda: 13.555 tsLunghezza: 170 mt. – Larghezza: 19,66 mt. – Ponti: 7

Propulsione: 2 Eliche - 2 motori a vapore quadrupla espansione - Wallensend Slipway Co.

Velocità max: 15.5 nodiVelocità di esercizio: 14 nodi

Capacità Passeggeri: 1.704 - dopo il 1905: 2.5501° cl. 1000 – 2° cl. 200 – 3° Cl. 2.250

EQUIPAGGIO: 300 circa

 

I ponti inferiori del CARPATHIA erano ben areati mediante “maniche a vento” in coperta che erano integrati da ventilatori elettrici. I sistemi di ventilazione erano progettati per forzare aria fresca su serbatoi termici a spirale, che potevano essere alimentati con acqua fresca durante l'estate o vapore durante l'inverno, riscaldando e raffreddando così la nave a seconda delle condizioni. Sebbene la nave fosse completamente elettrificata con oltre 2.000 lampade aveva, inoltre, lampade a olio di riserva nelle cabine quando entrò in servizio, nel caso si verificasse un'interruzione elettrica.

Il CARPATHIA era un design modificato rispetto alle sisters ships classe IVERNIA: (Ivernia-Saxonia-Carpathia) che erano 12 mt. (12 m) più corte. Il Carpathia aveva in dotazione quattro alberi dotati di gru che avevano una notevole capacità di movimentare carico rispetto a quanto era possibile su un transatlantico dell’epoca. Il Carpathia aveva un'unica ciminiera molta alta progettata con lo scopo di allontanare la fuliggine ed il fumo ben lontano dalle aree passeggeri.

Le tre nuove navi non erano particolarmente veloci, poiché erano state progettate per il trasporto degli emigranti europei verso gli USA, quindi erano in grado di risparmiare sui costi di carburante. Le tre navi divennero sia strumenti che modelli attraverso i quali la CUNARD Line fu in grado di competere con successo con i suoi maggiori rivali, in particolare la compagnia leader degli inglesi White Star Line, le linee tedesche Norddeutscher Lloyd (Lloyd della Germania settentrionale) e Hamburg America Line (HAPAG).

La concorrenza tra le più grandi Compagnie Passeggeri di Navigazione del mondo di allora fu scandita per molti decenni dalla Competizione per la conquista del NASTRO AZZURRO di cui proponiamo il LINK di un nostro scritto che ebbe molto successo:

 

 IL REX CONQUISTA IL NASTRO AZZURRO di Carlo GATTI – Storia Navale

https://www.marenostrumrapallo.it/rex-2/

 

SECONDA PARTE

CARPATHIA

STESSA NAVE - UN’ALTRA TRISTE STORIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

 

Negli anni successivi al tragico evento del TITANIC, il CARPATHIA continuò a navigare tra mediterraneo e atlantico fino allo scoppio della prima guerra mondiale quando fu requisito dalla marina inglese per essere adibito al trasporto di truppe canadesi in Europa.

I porti di partenza: New York – Halifax - I porti d’arrivo: Liverpool – Glasgow e viceversa

Partecipò a numerose spedizioni, facendo parte di grandi convogli trasportando scorte, armi e soldati per anni fino al 1918.

 

Il 15 luglio 1918, la nave fu silurata e affondata da un sottomarino tedesco mentre navigava west-bound con a bordo 57 passeggeri e 166 membri d’equipaggio. Era diretta negli USA per imbarcare militari americani e canadesi che sarebbero stati impiegati nei vari scenari della guerra in Europa.

Il CARPATHIA partì all’alba da Liverpool (UK) diretto a Boston (USA), faceva parte di un convoglio formato da altre 6 navi. Alle 09.15 fu avvistato un siluro provenire dal lato sinistro. Tutte vane risultarono le manovre per evitarlo. La nave fu colpita all’altezza della stiva n.3 dal sottomarino tedesco U-55. Subito dopo un secondo siluro penetrò nella Sala Macchine uccidendo all’istante 5 membri dell’equipaggio e mettendo fuori uso i motori, vari apparati elettrici, la Stazione Radio e due scialuppe di salvataggio. Il comandante del CARPATHIA William Prothero, a bordo da due anni, trasmise alle altre navi del convoglio, con le bandiere del  CODICE INTERNAZIONALE DEI SEGNALI, la richieste di emettere via radio messaggi di soccorso, usò anche razzi luminosi per attirare l’attenzione delle motovedette di scorta. Le altre navi del convoglio partirono a tutta velocità per sfuggire al sottomarino.

Il Comandante William Prothero

Captain Prothero: Cunard archive D42/PR2/1/103/3

 

Il Comandate ebbe la freddezza, il tempismo e le capacità marinaresche d’evacuare la nave impartendo l’ordine: “ABBANDONO NAVE” e i passeggeri con l’equipaggio, sopravvissuti al siluramento, fecero in tempo ad imbarcare sulle scialuppe di salvataggio. Il Comandante si assicurò che i “LIBRI DI BORDO” non cadessero nelle mani del nemico, infine ordinò alla scialuppa più vicina di avvicinarsi per imbarcare e salvarsi insieme ai suoi ufficiali. Il CARPATHIA affondò subito dopo.

(vedi foto sotto)

 

Il Carpathia affondò dopo essere stato colpito da tre siluri sparati da U-55 a ovest di Land's End.

 Il sottomarino tedesco U-55 emerse completamente dalla superficie del mare e sparò un terzo siluro che colpì la nave vicino agli alloggi dei cannonieri provocando una massiccia esplosione che condannò definitivamente il CARPAZIA.

Il sottomarino tedesco U-55 emerse completamente dalla superficie del mare e sparò un terzo siluro che colpì la nave vicino agli alloggi dei cannonieri provocando una massiccia esplosione che condannò definitivamente il CARPAZIA.

Questo fu il “profilo” che il sottomarino tedesco U-55 cercò d’inquadrare nel periscopio di bordo per farla inabissare con tre siluri.

 

Operazione di salvataggio dei naufraghi

Cacciamine sloop SNOWDROP Classe HMS AZALEA (nella foto)

Il Carpathia cominciò ad imbarcare acqua e ad affondare di prua. A parte i cinque membri dell'equipaggio morti in sala macchine, tutte le altre 218 persone a bordo furono tratte in salvo il giorno seguente dalla nave Snowdrop. L'ultimo avvistamento della nave fu alle 02:45, mentre la sezione di poppa spariva sott'acqua.

Appena il sottomarino U-55 iniziò ad avvicinarsi alle scialuppe per catturare i naufraghi, il cacciamine di scorta HMS SNOWDROP (classe Azalea) si avvicinò al sottomarino, aprì il fuoco e riuscì a scacciare l’U-Boote. Verso le 13.00, recuperati i sopravvissuti, fece rotta per Liverpool dove arrivò la sera del 18 luglio.

HMS SNOWDROP registrò l’ora e la posizione dell’affondamento del CARPATHIA.

Affondamento: …  Ore 11.00 era il 17.7.1918

Posizione: ………..  Latitudine:  49° 25′ Nord  - Longitudine: 10° 25’  Ovest

                                 A circa 120 miglia (190 km) a ovest del famoso faro di Fastnet (foto sotto)

 

Lo scoglio di FASTNET LIGHT HOUSE

 

Ecco dove si trova FASTNET ROCK dal quale prende il nome la regata

 

 

La Fastnet race è una gara fra imbarcazioni d'altura che si disputa al largo delle coste della Gran Bretagna.  È considerata una delle classiche offshore. Viene disputata ogni due anni ed è lunga 608 miglia nautiche. 

Al momento del suo affondamento, il Carpazia era il quinto piroscafo della Cunard Line affondato in altrettante settimane, gli altri erano il Ascania, il Ausonia, il Dwinsk e il Valentia, lasciando a galla solo cinque Cunarder dalla grande flotta prebellica. Al momento del suo affondamento, il Carpazia era il quinto piroscafo Cunard affondato in altrettante settimane, gli altri erano il Ascania, il Ausonia, il Dwinsk e il Valentia, lasciando a galla solo cinque Cunarder dalla grande flotta prebellica.

Il 9 settembre 1999, le agenzie di stampa Reuters e AP riportarono che nella settimana precedente l'associazione Argosy International Ltd guidata da Graham Jessop (figlio dell'esploratore sottomarino di fama internazionale Keith Jessop), aveva trovato il relitto del Carpathia sul fondo dell'Oceano Atlantico, circa 185 miglia (298 km) a ovest di Lands End (Cornovaglia), il punto più occidentale dell'Inghilterra.

"È in condizioni discrete per un relitto di quell'età", disse Jessop. "È tutta d'un pezzo, ed è in piedi".

L'anno successivo lo scrittore e subacqueo americano Clive Cussler annunciò che la sua organizzazione, NUMA, aveva trovato il relitto nella primavera del 2000, a una profondità di 150 metri.

Concludiamo la nostra ricerca con la storia del KILLER del transatlantico inglese CARPATHIA

La foto mostra U-52 della Classe U-51

L'U-55 fu un sottomarino tedesco della Prima guerra mondiale.

È noto per aver silurato e affondato il transatlantico britannico RMS CARPATHIA.  Il battello era comandato dal capitano di vascello Wilhelm Werner, e l'affondamento del Carpathia avvenne ad ovest dell’Irlanda il 17 luglio 1918.

Un altro sottomarino tedesco portò questa sigla, varato nel 1938 ed affondato il 30 gennaio 1940 al comando del tenente di vascello Werner Heidel presso le Isole Scilly; aveva al suo attivo 6 navi affondate per un totale di 15.853 Grt  (Gross Rate Tonne).

DESCRIZIONE GENERALE

UC 55

Tipo: U.Boot – Classe: Tipo U-51 – Proprietà: Kaiserliche Marine – Ordine: 23 agosto 1914 – Cantiere: Germaniawerft Kiel

Varo: 28 dicembre 1916 – Completamento: 18 marzo 1916 – Destino Finale: Arreso al Giappone il 26 novembre 1918

Ha servito con il nome O3 tra il 1920 e il 1921

CARATTERISTICHE GENERALI

Dislocamento in immersione: 902 t. – Dislocamento in emersione: 715 t. – Lunghezza: 65,2 mt. – Larghezza: 6,44 mt

Altezza: 7,82 mt. - Pescaggio: 3,64 mt. – Velocità in immersione: 9,1 nodi – Velocità in emersione 17,1 – Autonomia: 9400

ARMAMENTO

4 siluri – 7 torpedo – 2 x 8,8 cm cannoni

 

“Una nave in porto è sicura, ma non è per questo che sono state costruite le navi.”

                                                                                         Grace Murray Hopper

Carlo GATTI

Rapallo, martedi 13 settembre 2022

 


ROMA - LA FONTANA DELLA BARCACCIA

ROMA

„Sì, posso dire che solamente a Roma ho sentito che cosa voglia dire essere un uomo. Non sono mai più ritornato a uno stato d'animo così elevato, né a una tale felicità di sentire. Confrontando il mio stato d'animo di quando ero a Roma, non sono stato, da allora, mai più felice.“

Johann.Wolfgang.von.Goethe

FONTANA DELLA BARCACCIA

 

Immersa nella fontana omonima, il nome barcaccia è già di per sé un programma … poiché non era proprio una bella imbarcazione, anzi era piuttosto tozza e possente proprio come una barca da lavoro che era per certi versi simile ad un rimorchiatore laborioso ed instancabile del secolo scorso.

 

Un breve inciso:

 

Quando fui assunto dalla Società Rimorchiatori Riuniti di Genova, la prima cosa che imparai salendo a bordo del M/r BRASILE fu davvero sorprendente: non si chiamava “rimorchiatore” ma BARCACCIA per i furesti, BARCASSA per i genovesi: un nome particolare che avevo ignorato fino a quel momento. Mi suonava “strano” soprattutto perché il BRASILE era stato varato da pochi anni ed aveva una linea molto elegante che le conferiva il primato di “primadonna” tra una sessantina di “mastini” molti dei quali meritavano il nome di “gloriosa barcaccia”.

Non era un termine dispregiativo, ma piuttosto la reminiscenza storica di un  “barcacciante”, (uomo di rimorchiatore, esperto nelle manovre navali portuali, che sa come aiutare una nave in difficoltà), che era stato a Roma per turismo e dopo aver visto LA FONTANA DELLA BARCACCIA, ritornò a Genova per diffondere un nuovo termine marinaro che testimoniasse la gloriosa discendenza del “gruppo RR genovese” dai navigatori portuali tiberini i quali, come i loro antichi predecessori romani, trasportavano le merci dal porto “marittimo” di Traiano a quello fluviale di Ripetta nel centro di Roma.

Si parla della FONTANA DELLA BARCACCIA come di uno dei luoghi più fotografati di Roma, sarà per la presenza di Piazza di Spagna che si trova ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, sarà per il rituale di bere un sorso d’acqua, ma forse perché la Barcaccia è uno dei piccoli grandi capolavori di Roma.

L'opera fu costruita al livello del suolo per compensare la poca pressione dell'acquedotto dell'Acqua Vergine che in quel punto era molto bassa. Sulla parte esterna della prua e della poppa sono due grandi stemmi di Urbano VIII con tre api, simbolo della famiglia Barberini; ai lati degli stemmi l’acqua esce da finte bocche di cannone. Nella parte interna vi sono invece due soli con volto umano, altro emblema dei Barberini, dalle cui bocche esce l’acqua, raccolta da volute che la incanalano verso l’esterno. Al centro, da una vasca, esce un altro grosso zampillo d’acqua.

FONTE: Anna Maria Cerioni

 

 

 

L’insolita vasca a forma di barca riceve l’acqua versata da un catino centrale allungato e da due grandi soli, posti internamente a prua e poppa dello scafo. Dai lati, realizzati in modo da dare la percezione che la barca stia affondando, l’acqua trabocca nell’ampio bacino sottostante, in cui, delle bocchette di finte cannoniere, sui lati esterni a prua e poppa, versano zampilli d’acqua, incorniciando gli stemmi papali con le tre api, simbolo della famiglia Barberini.

 

Tra le diverse interpretazioni che riguardano la fontana della BARCACCIA di piazza di Spagna, ne segnaliamo due che hanno antiche tradizioni popolari. La prima ci racconta come la particolare forma della “fontana della Barcaccia” deriverebbe dalla presenza nella piazza di una barca in secca giunta lì a causa della piena del Tevere del 1598.

L’altra ipotesi parte ancora da più lontano e riporta che sul posto vi si svolgesse una naumachia che nell’Antica Roma era uno spettacolo direi “teatrale” che rappresentava una storica battaglia navale del passato.

 

 

 

Per l’inaugurazione del tempio di Marte Ultore (Marte Vendicatore), Augusto diede una naumachia che riproduceva fedelmente quella di Cesare. Come ricorda egli stesso nelle Res gestae, fece scavare sulla riva destra del Tevere, nel luogo denominato “bosco dei cesari” (nemus Caesarum), un bacino dove s’affrontarono 3.000 uomini, senza contare i rematori, su 30 vascelli con rostri e molte unità più piccole.

Riferimento: due LINK di Carlo GATTI

LE NAUMACHIE PIU’ FAMOSE DELLA STORIA 

https://www.marenostrumrapallo.it/nau/

STORIA DELLA NAUMACHIA 

https://www.marenostrumrapallo.it/machi-2/

Infine, in base allo shape stesso della “Barcaccia”, con le sue murate basse e larghe, non è da escludere la teoria che, nel mondo romano, la barcaccia fosse semplicemente un’imbarcazione, che risaliva il Tevere fino al vicino porto di Ripetta, ed era adibita al trasporto fluviale dei barili di vino provenienti dalle province romane del Mare Nostrum.

 

 

La fontana della Barcaccia, collocata al centro di piazza di Spagna fu commissionata da Papa Urbano VIII Barberini (1623-1644) il quale mise in atto un progetto del 1570, relativo alla costruzione di fontane pubbliche nelle piazze principali di Roma attraversate dall’antico Acquedotto Vergine ristrutturato.

Fonte: Romano Impero: La fontana fu commissionata a Pietro Bernini architetto dell’Acqua Vergine dal 1623 e padre del più celebre Gian Lorenzo (1598-1680) con il quale non è da escludere vi sia stata una collaborazione.

Autore: Pietro Bernini - (1562-1629)
Datazione: 1626-1629
Materiali: travertino
Alimentazione originaria: Acquedotto Vergine

Le fontane di Roma dimostrano come i romani abbiano sempre avuto una gran passione per le acque pubbliche, dagli acquedotti alle terme e come, dopo i secoli della decadenza, tale passione si sia affermata nella costruzione delle numerose fontane (oltre 2.000) che ancora oggi ornano vie e piazze romane.

 

 

Scalinata di Trinità dei Monti 

https://sovraintendenzaroma.it 

 

La Scalinata di Trinità dei Monti, realizzata tra il 1723 e il 1726 su progetto dell’architetto romano Francesco De Sanctis (1693-1740), costituisce il raccordo scenografico tra le pendici del Pincio dominate dalla chiesa della SS. Trinità e la sottostante piazza di Spagna.

L’idea di superare il forte dislivello con una scalea è documentata già nel 1559. Venti anni dopo la Camera Apostolica acquistò il terreno ai piedi della chiesa per realizzare la scalinata che negli intenti di papa Gregorio XIII (1572-1585) doveva essere “simile a quella dell’Aracœli”. Solo nel 1660, grazie al lascito del francese Stefano Gueffier, furono redatti i primi progetti da parte di numerosi architetti: è di questo periodo quello attribuito alla bottega di Gian Lorenzo Bernini, fondamentale per la successiva progettazione in quanto propose l’andamento concavo e convesso delle pareti e le rampe a tenaglia. Sorse allora l’annosa controversia tra lo Stato della Chiesa e la corona di Francia sul possesso dell’area interessata, che costituì una delle cause del mancato avvio dei lavori.

Nel 1717, infine, Clemente XI bandì un concorso per il progetto a cui parteciparono i maggiori architetti del tempo. I lavori, sempre a causa della citata controversia, iniziarono solo sotto Innocenzo XIII (le aquile araldiche della sua casata - Conti - compaiono, insieme ai gigli di Francia, sui cippi alla base del monumento), e furono ultimati da Benedetto XIII nel 1726.

La lunga scalinata, che sembra adagiarsi sul colle articolandosi in un continuo alternarsi di sporgenze e rientranze, è espressione di una monumentalità tipica del settecento romano che la accomuna alle altre importanti realizzazione urbane del secolo costituite dal porto di Ripetta (demolito alla fine del XIX secolo) e da fontana di Trevi.

Sottoposta nel tempo a numerosi interventi di manutenzione, la scalinata è stata oggetto di un importante restauro completo nel 1995.

Dall'ottobre 2015 la scalinata è stata sottoposta nuovamente a restauro; l’inaugurazione dopo i lavori si è svolta giovedì 22 settembre 2016 (maggiori informazioni sul restauro)

Dal 23 settembre 2016 la scalinata ridiviene normalmente percorribile.

 

IN ETA' IMPERIALE

Augusto e in particolare Tiberio, si impegnarono per pulire gli argini dai detriti e impedire che si costruisse sulle rive del Tevere per evitare danni quando il fiume si innalzava; in pratica venne istituito un piano regolatore che impediva ai privati di costruire vicino agli argini e tutte le case costruite abusivamente venivano distrutte.

Possiamo solo constatare che l’abusivismo edilizio è una malattia endemica della nostra etnia latina che viene da lontano…

L’ANTICO PORTO DI RIPETTA

 

Il porto di Ripetta, così detto per distinguerlo da quello di Ripa Grande dopo l'Isola Tiberina, non esiste più: con i lavori di costruzione dei muraglioni è stato sepolto sotto il Lungotevere in Augusta che costeggia l'Ara Pacis, il mausoleo di Augusto imperatore, e le due chiese attigue: San Rocco, dedicata agli osti che qui ricevevano i rifornimenti di vino, e San Girolamo degli Schiavoni. Proprio davanti a quest'ultima si trovava l'approdo, che ebbe una sistemazione architettonica solo nel Settecento, quando si poterono utilizzare le lastre di travertino del Colosseo cadute a causa di un crollo. L'opera, voluta da Clemente XI, fu affidata ad Alessandro Specchi nel 1705, che realizzò una raffinata scalinata digradante verso il fiume. Il porto era decorato con una fontana che serviva anche da faro, sormontata da una lanterna a forma di stella, simbolo araldico della famiglia di papa Clemente, gli Albani. La fontana era circondata da una balaustra e le due colonne, erette alle estremità, fungevano da 'idròmetri' e vi si segnava il livello del Tevere quando straripava. La fontana, unico elemento del porto rimasto, si trova oggi poco lontano, in un giardinetto presso ponte Cavour sulla sinistra del fiume, in vista di Palazzo Borghese. Tra le memorie del porto di Ripetta, toccante è quella di San Camillo: giovane scapestrato, lavorava come inserviente nel vicino ospedale di San Giacomo al Corso, per ripagare le cure che gli avevano guarito una piaga alla gamba. In quel periodo, andava spesso a giocare a carte con i "barcaroli" di porto Ripetta. Anni dopo si convertì e divenne il "padre dei poveri", fondatore dell'ordine dei Camilliani, dediti ad alleviare fame e miseria. Come ogni grande città, Roma richiamava folle di mendicanti e diseredati. All'epoca di Camillo il numero degli 'straccioni' si era fatto incalcolabile e capitava periodicamente che un bando ne decretasse l'espulsione. Così Camillo s'imbatté un giorno in una carovana di miserabili diretta al porto di Ripetta per l'imbarco. Camillo tentò di tutto per fermare la triste partenza, ma gli sbirri erano irremovibili. S'inginocchiò e scongiurò di dargli almeno i due più malmessi. L'accorata petizione toccò il comandante delle guardie che, commosso, acconsentì. Il santo scelse i due più vicini alla morte e li portò sulla riva del fiume, dove a lungo e ad alta voce li consolò e pregò che potessero concludere i loro giorni in grazia di Dio.

 

Dove siamo?

Come potete vedere dalla mappa, non ci siamo allontanati granché dalla BARCACCIA.

In questo modo potrete scoprire anche il Porto di Ripetta all’epoca del Bernini.

 

 

Da GUIDE DI ROMA:

 Quando, nei primissimi anni del Settecento, si pose mano alla realizzazione dell’approdo monumentalesi trovarono sotto le melme della riva le tracce degli antichi attracchi: la Roma Antica, in epoca imperiale, utilizzava infatti talmente tanto intensamente il fiume Tevere che quasi tutte le rive dello stesso erano affiancate da banchine adatte all’approdo dei natanti (che alcuni studiosi sostengono si svolgessero ininterrottamente dal Campo Marzio fino al Testaccio).

Fu la costruzione delle mura difensive di Aureliano alla fine del III secolo d.C. che, anticipando in qualche modo l’effetto moderno dei muraglioni, distaccò gran parte della città dal fiumeun lungo muro intervallato da piccole torri si distese infatti a quel punto dall’altezza della Porta Flaminia (la nostra porta del Popolo) fino al Ponte di Aureliano (più o meno all’altezza di Ponte Sisto).

Queste mura sul fiume furono tuttavia rese permeabili ad un certo traffico mediante l’apertura di alcune posterule: una di queste venne a trovarsi all’altezza dell’attuale Chiesa di San Rocco. Da lì, attraverso i giardini del Mausoleo di Augusto, si raggiungevano le zone edificate del Campo Marzio fin sotto le pendici, estese dal colle Quirinale al Pincio e lussureggianti di fastose dimore gentilizie.

 

Abbiamo scelto alcuni dipinti d’epoca che rappresentano momenti di vita fluviale quotidiana:

 

 

Battelli a vapore con ruota a pale sul TEVERE

Una visione comune in tutto l'ottocento e primi del novecento, i piroscafi erano un modo efficiente ed elegante per il trasporto di merci e di persone.

 

Il porto, prima dei Ponti

Lo scalo di Ripetta, con un movimento minore rispetto a quello di Ripa Grande, accoglieva il traffico fluviale proveniente da monte e serviva allo smercio dei carichi diretti al centro di Roma. Vi ancoravano, partiti da Orte e da Terni, i barconi carichi di legna, carbonella e grano, portando quei vini leggeri e comuni che il Belli e con lui i Romani chiamavano “l’acquaticci de Ripetta”.

 

 

Incisione di Giovanni Battista Piranesi (ca.1750) 

 

Il porto Clementino, detto comunemente “di Ripetta” per distinguerlo da quello maggiore di Ripa Grande, fu sistemato da papa Clemente XI, donde il nome. In effetti, in una delle numerose posterule delle “Mura Aureliane” (che allora correvano ancora dall’antico “ponte Aureliano” fino all’altezza di “porta Flaminia”) si era venuto a formare, già dal XIV secolo, un piccolo, rudimentale porticciolo “abusivo”, pressappoco all’altezza della chiesa di S.Rocco,  per lo scarico di legname, carbone e vino. Nel 1704 papa Albani, Clemente XI, approvò la proposta del suo presidente delle strade per la creazione di un sistema di banchine, scalinate e piazzale superiore, un progetto, cioè, che prevedeva la sicurezza e la facilità di approdo di un porto unito alla bellezza ed alla gradevolezza di un monumento.

L’arrivo del sale a Roma in un dipinto di Gaspar Van Wittel

 

Il porto di Ripetta in un’incisione di Ettore Roesler Franz   del 1880. Si intravede appena, sulla destra, seminascosto dalla scalinata, lo zampillo della fontana.

 

Piazza del Porto di Ripetta. La fontana del porto e la sua lanterna, fondamentale per l'approdo notturno (foto Marco Gradozzi).

 

 

Piazza del Porto di Ripetta. Una delle due colonne su cui furono incisi i livelli raggiunti dal fiume durante le inondazioni più celebri (foto Marco Gradozzi).

 

 Abbiamo dato un breve sguardo panoramico sul movimento portuale di RIPETTA che ci ha permesso di intravedere sulle sponde del fiume dettagli architettonici interessanti, ma anche le linee delle imbarcazioni tipiche della Roma del ‘600, quelle che percorrevano il Tevere con le derrate alimentari ed avevano i bordi molto bassi per facilitare il ruzzolare delle cisterne e le botti del vino. 

Concludiamo con l’immagine del Ponte Rotto, icona della esondazione del Tevere nel 1598 che non fu mai più ricostruito. La BARCACCIA che ispirò il Bernini… sarebbe stata trascinata da quella devastante piena del Tevere fino ai piedi di Trinità de’ Monti dove si sarebbe incagliata.

Il PONTE ROTTO

(detto anche Ponte maledetto)

 

La metà del ponte rimasta in piedi, ancorata alla riva destra, fu trasformata in giardino pensile, una sorta di balcone fiorito sul fiume che restò tale fino alla fine del Settecento, quando la precaria stabilità del ponte lo rese del tutto inagibile.

Nel 1853, le nuove tecnologie industriali, con un progetto dell'ing. Pietro Lanciani, restituirono vita al ponte con una passerella metallica, che venne costruita per colmare la parte mancante del rudere. Dopo oltre 300 anni il ponte riprese a collegare le due rive opposte e poté essere nuovamente attraversato. Tale soluzione durò fino al 1887, quando fu decretato l'abbattimento della passerella e la creazione del nuovo e adiacente Ponte Palatino.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 4 settembre 2022


AFFONDAMENTO V.L.O.C STELLAR BANNER

AFFONDAMENTO

STELLAR BANNER

 

Era una Very Large Ore Carrier da 300.000 DWT

Per VERY LARGE ORE CARRIER, s’intende quel tipo di Classificazione di navi portarinfuse

con capacità di trasportare fino a 400.000 tonnellate di carico.

I FATTI

 

lL 24 febbraio 2020 - la Stellar Banner subì rilevanti danni alla prua durante la fase di partenza dal terminal Ponta da Madeira di Vale a Maranhão.  Secondo l’Autorità Marittima locale, il Comandante decise di portare la nave al largo, a circa 50 miglia a Nord della costa di São Luís come misura precauzionale per evitare il blocco del transito navale della zona portuale. Appena fu possibile, i 20 membri dell’equipaggio furono evacuati e messi in salvo.

Nel tentativo di salvarla e ripararla, il Comandante ne provocò volontariamente l’incaglio   su un fondale da lui ritenuto idoneo. Dopo un’agonia durata quattro mesi, l’Armatore optò per lo scuttling

IL 12 giugno 2020 -  La Stellar Banner fu affondata nel punto indicato dalla freccia nella foto sotto.

Posizione approssimata dell’affondamento della STELLAR BANNER

 

CARATTERISTICHE DELLA NAVE

 

STELLA BANNER: al momento dell’affondamento aveva soltanto quattro anni vita

Anno di costruzione:……. 2016   -

Tipo d’imbarcazione…….  Bulk Carrier

Stazza Lorda: ……………..  400.000 tons (carico max)

Lunghezza f.t……………….  340 mt

Larghezza……………………   55 mt

Equipaggio………………….   20 persone

PROPRIETA’

 La STELLA BANNER apparteneva alla Compagnia Marittima POLARIS battente bandiera delle Isole Marshall, ma era di proprietà e gestione di una Compagnia Marittima Sud Coreana. Il noleggiatore per il trasporto del minerale di ferro per i viaggi BRASILE-CINA era il ben noto colosso minerario brasiliano VALE.

 

LE FASI DEL DISASTRO

1a Fase -  L’urto della nave contro “qualcosa di non definito” si verificò mentre era ancora in navigazione “di manovra” (in posizione non meglio precisata). Il Coordinatore per le emergenze ecologiche dell'Istituto brasiliano dell'ambiente e delle risorse naturali rinnovabili (Ibama), Marcelo Amorim provvide a circondare la nave con una particolare BARRIERA (nota con il nome di PANNE) per prevenire e circoscrivere un disastro ambientale in caso di fuoriuscita di petrolio o altri liquidi inquinanti.

Tuttavia, nonostante l’allarme diffuso da aeromobili di servizio, risultò che i serbatoi della nave erano intatti, la sala macchine della nave era asciutta e i generatori elettrici erano in funzione.

2a Fase – Il Comandante prese la decisione di proseguire la navigazione per portare ad incagliare la sua nave al largo, con il duplice scopo di evitare l’affondamento in acque portuali e tentarne possibilmente l’eventuale recupero del carico e della nave stessa.

 

 

3a Fase - Dopo aver effettuato un parziale allibo di parte del carico, e dopo aver ottenuto un nuovo rassicurante assetto della nave, sembrava vi fossero le condizioni ideali per un lieto fine dell’avventura.

Successivamente, da perizie effettuate sull’intero scafo dagli operatori della celebre ditta olandese SMIT SALVAGE, gli stress registrati risultarono molto peggiorati.

Il minerale rimasto a bordo, 125.000 tons, secondo le Autorità brasiliane, non rappresentava una minaccia per l’ambiente marino di quella zona.

4° Fase - Maturò così la decisione di rimorchiarla al largo in acque più profonde (vedi foto sotto) con lo scopo di affondarla, tramite l’impiego di cariche di dinamite, non essendoci più garanzie di riportare l’unità ad un normale galleggiamento.

 

 

 

5° Fase - M/V Stellar Banner fu fatta affondare Venerdì 12 Giugno 2020 a circa 70 mg. al largo della costa di Maranhão (Brasile).

LINK VIDEO AFFONDAMENTO STELLAR BANNER   

Video davvero impressionante. Due anni per costruirla, due minuti per farla sparire…! 

https://www.youtube.com/watch?v=1nmTYAShqiY

 (Io lo vedo con Google Crome)

 

 ALCUNI COMMENTI

Entriamo ora in qualche dettaglio tecnico con la speranza di capire ciò che non è stato raccontato...

Su questo ennesimo naufragio sono stati pubblicati soltanto rapporti monchi, dichiarazioni semi ufficiali degli operatori di terra, nessuna testimonianza del Comandante e dell’equipaggio della nave o dagli addetti ai lavori che non sono pochi. L’unico Report che abbiamo trovato sul web è estremamente vago e conciso; lo riportiamo integralmente:

On 26 October 2021, the Maritime Administrator Marshall Islands published the Casualty Investigation Report.  The report concluded that the most significant cause of the accident was a deviation from the planned route when transiting the Baìa de São Marcos, and pointed also to deficiencies in on-board management and in the information available on nautical charts. 

 

 

Carta geografica della regione Nord del Brasile che fu teatro dell’incidente

  

A seguire pubblichiamo

LA MAPPA DELLA BAIA DI SãO MARCOS

L’indicatore rosso (ovale), mostra la Baia de São Marcos nella quale si verificò l’improvviso cambio di rotta della nave STELLAR BANNER

 

 

IPOTESI (del tutto personale) SULLA CAUSA DEL DISASTRO

 

La STELLAR BANNER, durante la manovra di uscita dal terminal marittimo Ponta da Madeira di Vale di São Luís, dove aveva caricato 270.000 tons di minerale urtò, probabilmente, contro il fondale o presumibilmente contro la sponda del canale producendosi una falla di ben 25 metri sul mascone di dritta della prora (nell’opera viva dello scafo) da cui entrò la via d’acqua che provocò il suo vistoso sbandamento su quel lato.

Marinaresco fu il comportamento del Comandante che per evitare l’affondamento della nave in canale decise, rischiando la vita, di portarla ad incagliare su un basso fondale a circa 50 miglia nautiche dal porto di partenza.

La mappa della zona sopra riportata, ci ricorda la geomorfologia di certi fiordi della Norvegia con le sue bellezze “insidiose” per la navigazione, la quale viene sempre e comunque intrapresa con la presenza obbligatoria del Pilota (P.mare o P.canale o P.portuale a bordo).

Ci viene quindi spontaneo immaginare che a bordo della STELLAR BANNER, accanto al Comandante fosse presente anche il “Practico” locale con il suo ricchissimo bagaglio di conoscenze dell’intera zona.

Il che fa supporre che la nave sia andata fuori rotta per motivi NON dipendenti da chi aveva il Comando della nave in quel momento, ma forse, per l’eccessivo pescaggio della nave su un fondale meno profondo del previsto, circostanza che avrebbe potuto determinare la perdita del controllo dell’unità stessa. Ripeto, qui si sta ragionando di navi gigantesche che normalmente rasentano i fondali e le sponde di canali artificiali di enormi altezze.

Come abbiamo accennato nelle varie fasi di questa incredibile storia, nella posizione d’incaglio “provocata e provvisoria”, la SMIT SALVAGE, intervenne con la massima urgenza creando le condizioni per alleggerire la nave: fece scaricare dalle stive ben 145.000 tons. ed oltre 3.900 metri di cubi di olio combustibile. Fu proprio’ alla fine di questa operazione di ALLIBO che i Tecnici sperarono in un recupero totale della S. BANNER.

SPERANZA che fu poi delusa a causa delle falle subite e verificate ulteriormente dai Subacquei, topografi ed altri esperti del settore marittimo che, dopo aver accuratamente ispezionato le  principali strutture della nave, consigliarono di AFFONDARLA.

Sicuramente a malincuore, la società armatrice sudcoreana Polaris Shipping ne prese atto e diede il proprio consenso a quell’inevitabile sentenza.

Secondo le Autorità brasiliane, la restante quantità di merci a bordo non costituiva una minaccia per l’ambiente.

Scuttling*: (dall’inglese “to scuttle” che vuol dire proprio affondare), una tecnica molto in voga durante la Seconda guerra mondiale. Vi si ricorreva per ostacolare il nemico, per evitare di consegnargli risorse o segreti militari e strategici, o più semplicemente per questioni di “onore”, per la serie: meglio affondare che arrendersi.

Oggi tutto ciò lascia trasparire una certa controversa interpretazione su varie tematiche relative all’ambiente. Ciononostante in alcuni casi quella dello scuttling è considerata una pratica “virtuosa” e proprio a basso impatto ambientale. In America si contano circa 700 scafi affondati per la realizzazione di barriere artificiali per proteggere ed incentivare il ripopolamento ittico o il turismo subacqueo di determinati siti.

 

Interessante è il punto di vista della POLIASS INSURANCE BROKERS:

Certamente il caso della Stellar Banner non rientra tra queste operazioni virtuose, perciò abbiamo cercato una spiegazione per capire meglio le scelte di questa operazione eutanasica coinvolgendo la stessa Poliass:

Analizzando gli ipotetici risvolti assicurativi inseriti nel contesto specifico, l’affondamento volontario è una tipologia di PERDITA TOTALEche rientra in una casistica piuttosto ristretta. L’approvazione di questa procedura richiede valutazioni molto attente da parte di tutti gli stakeholders coinvolti: tecnici, periti, broker e assicuratori. Per effettuare lo scuttling* ciascuna delle parti chiamate in causa dovrà, infatti, considerare questa pratica, come la decisione più sicura ed economicamente più vantaggiosa.

Una volta presa la decisione, la prima azione da fare riguarda la riduzione al minimo dell’impatto ambientale (e le responsabilità ad esso conseguenti), e ottenere il consenso delle autorità marittime (e non solo) di riferimento, senza il quale, nessun affondamento volontario può essere effettuato. 

Nel caso di specie, la marina brasiliana ha dichiarato che quanto non è stato possibile recuperare dalla V.L.O.C. non costituisce minaccia per l’ambiente, così l’enorme Stellar Banner è stata affondata. Ci auguriamo di poterla rincontrare in tutta la sua maestosità, protagonista di uno dei romanzi d’avventure marine sullo stile di Clive Cussler.”

 

Voltiamo pagina e dedichiamo la nostra attenzione ad un punto che noi riteniamo, (magari a torto), essere la chiave di lettura della tragica avventura della STELLAR BANNER.

Tutto è possibile! Ma ci sentiamo di escludere che la nave sia andata fuori-canale per un errore di comunicazione tra Stato Maggiore e timoniere (fatto grave che può accadere), ma è molto raro che quattro o cinque persone di guardia - in manovra sul Ponte di Comando, NON s’accorgano di un ordine sbagliato o MALE eseguito da un membro dell’equipaggio.

Mi soffermerei piuttosto su un’altra possibile causa dell’incidente trattandosi di una tra le più grandi unità al mondo, il cui problema principale non è la navigazione in altomare, ma quella costiera e di “approaching” ai porti e ai canali naturali, ma soprattutto  artificiali i cui fondali, se non sono tenuti costantemente sotto controllo, variano continuamente a causa delle condi-meteo, ma anche per le correnti fluviali molto forti da quelle parti che smuovono enormi quantità di detriti che vanno a riempire i “canali subacquei” dove transitano le navi.

A questo punto CREDO CHE LA PAROLA UNDER KEEL CLEARANCE possa essere la chiave di lettura della disastrosa partenza della STELLAR BANNER.

 

Quei tre vocaboli, insieme, UKC indicano lo spazio libero al di sotto della chiglia della nave

Per esperienza personale, posso affermare che queste “giant ships” (navi giganti) se hanno “poca acqua sotto lo scafo”, ossia poco fondale a disposizione, sono soggette ad una precaria manovrabilità che viene disturbata da formazioni di correnti e controcorrenti anche laterali persino difficili da spiegare… essendo forze, ripetiamo, che si formano nel letto di canali artificiali scavati appositamente per permettere il passaggio di queste navi.

Oltre al pescaggio già enorme di queste navi, occorre tenere conto di altri fattori:

  • sbandamenti della nave nelle accostate.

  • cambiamenti di assetto legato ai consumi di bordo: acqua, carburante ed eventuali tramacchi (trasbordi) di quantità di carico ecc…

  • l’effetto squat (un termine la cui spiegazione meriterebbe un capitolo a parte)

  • gli effetti “suction” e “cushion”, dovuti alle differenze di pressione che si creano tra le sponde e lo scafo della nave.

  • la densità dell’acqua che varia, le presumibili altezze del moto ondoso che si vanno ad incontrare…

Quando uno soltanto di questi elementi entra in azione, produce un’istantanea variazione del pescaggio e dell’assetto della nave ed infine sulla manovrabilità della nave..

Se avete afferrato il concetto di UKC vi sarà ancora più facile immaginarlo dopo averlo proiettato sulla STELLAR BANNER, che aveva un pescaggio probabilmente superiore ai 20 metri (un palazzo di 7 piani).

 

CONCLUSIONE

Conosciamo ormai per esperienza i tempi ed i modi di come vengono chiusi certi brutti capitoli di marineria e ritengo superfluo ritornarci sopra; il nostro sito ce ne racconta in abbondanza.

Abbiamo letto che la nave aveva caricato nelle stive 270.000 tons di minerale delle 400.000 che poteva trasportare. Probabilmente, se ne avesse caricato di meno, avrebbe avuto un UNDER KEEL CLEARANCE maggiore, cioè molta più acqua sotto la chiglia, che le avrebbe consentito una maggiore MANOVRABILITA’ E SICUREZZA in navigazione permettendole di tenersi in mezzo al canale di uscita, seppure in acque già di per sé molto insidiose.

Se questa fosse la vera causa della “scomparsa” della STELLAR BANNER, l’intera tematica ricondurrebbe ad un’unica spiegazione:

Il desiderio “generale” d’incrementare i PROFITTI a scapito della sicurezza!

 

LINK SUL TEMA: di Carlo GATTI

Il primo è magnifico!

SUPER PETROLIERA "SALEM"- UNA FRODE COLOSSALE

https://www.marenostrumrapallo.it/salem/

 

SYRAKOSIA - Gigantismo Navale nell’antichità

https://www.marenostrumrapallo.it/sracusana/

 

“GIGANTISMO NAVALE” - Un sogno che viene da lontano JAHRE VIKING

https://www.marenostrumrapallo.it/giga-2/

 IL GIGANTISMO NAVALE PETROLIFERO

https://www.marenostrumrapallo.it/giga/

Carlo GATTI

Rapallo, 29 Agosto 2022

 


GUERRA E PACE ... AD ALLEGREZZE

 GUERRA E PACE…. AD ALLEGREZZE

Fu un Agosto di sangue quello del 1944 in Val d’Aveto (GE). Siamo nelle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale e i nazisti sono in ritirata dietro la linea Gotica dopo un anno dalla caduta del fascismo, con la collaborazione di delatori in camicia nera al servizio di Mussolini e della Repubblica Sociale di Salò.

 

 

Di giorno il marittimo ligure è occupato a tener d’occhio il mare, la nave ed il carico, ma quando riposa sogna i verdi campi, le vallate e spesso addirittura le montagne. Chi ha navigato lo sa, e quando ritorna a casa porta la famiglia a villeggiare in Trentino oppure in Val D’Aosta. Il perché di questa “transumanza” non la conosco, ma forse si tratta del desiderio di uno “stacco” geo-climatico che, tuttavia, dopo una settimana trascorsa tra le mucche scompare per fare posto nuovamente ai sogni di mare.

Fu così che dopo aver scoperto il Trentino e la Val d’Aosta c’innamorammo perdutamente della nostra più vicina Val D’Aveto, dei loro valligiani, delle loro storie e delle tante gite che dal Passo del Tomarlo si potevano fare nei dintorni: Bobbio, il Penice, Grazzano Visconti, Compiano, Bardi alla scoperta d’incantevoli borghi medievali e persino quelli “antico-romani” a Velleia.

Il destino volle che nel 1978 “gettassimo l’ancora” a 920 metri d’altezza, qualche chilometro prima di Santo Stefano D’Aveto, precisamente ad Allegrezze, un borgo di poche case che tuttavia aveva una scuola elementare, un piccolo Ufficio Postale, un negozietto di generi alimentari, un tabacchino ed una vista mozzafiato che va dal Monte Penna all’Antola da cui scendono ripoidi  versanti verso il Tigullio ed il golfo Paradiso.

Nella casa attigua alla nostra abitavano i fratelli e le sorelle di ALBINO BADINELLI. Persone umili, sempre disponibili, religiosissimi con i quali ci siamo ben presto sentiti come un’unica famiglia.

Fu così che piano piano venimmo a conoscenza di ciò che accadde a quella sfortunata famiglia e all’intera comunità che si trovò, durante la Seconda guerra mondiale, in un autentico ciclone che ora cercherò di raccontare.

 

 ALBINO BADINELLI  

1920 - 1944

UN EROE IN ODORE DI SANTITA’

Il carabiniere che si costituì ai nazifascisti per salvare 20 ostaggi e l'intero paese dalla rappresaglia

Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta

La chiesa di Santa Maria Assunta sorge in località Allegrezze di Santo Stefano D'Aveto, isolata, con orientamento Est-Ovest, preceduta da un ampio sagrato, lastricato in pietra, chiuso sul lato destro da un basso muretto, in pietra. La facciata a salienti, in pietra a vista è rinserrata agli angoli da cantonali in conci di pietra posti a risega. Al centro si apre il portale, rettangolare, con stipiti e architrave, modanati, in arenaria. Il portale è coronato da una cornice, in aggetto, su mensole a voluta, in pietra. Al di sopra del portale si apre una piccola nicchia a tutto sesto che accoglie la statua, in pietra, della Madonna Assunta. In alto, centrale, si apre il rosone circolare. I fronti laterali, nella parte alta sono forati da quattro monofore a tutto sesto, per lato. La parte bassa del fronte sinistro, corrispondente alla parete della navata minore, presenta una monofora a tutto sesto. Al fronte destro si addossa la Canonica. Al fronte sinistro, sul retro si addossa un edificio parrocchiale. Sul retro l'abside semicircolare è forato ai lati da due larghe monofore a tutto sesto. All'abside si addossa, sul retro, un volume, in leggero aggetto, con fronte a capanna, con rosone che si apre al centro del timpano. Il campanile sorge isolato a sinistra della chiesa. In pietra a vista, a pianta quadrata, su due ordini, separati da una leggera cornice marcapiano, con fronti decorati a specchi rettangolari, strombati, ad angoli smussati, termina con una cella con lesene d'angolo doriche che reggono una trabeazione curvilinea in aggetto. La cella è forata sui quattro lati da alte monofore a tuto sesto e sormontata da un tamburo ottagonale, forato su quattro lati da monofore a tutto sesto e coperto da tetto a guglia piramidale, con manto in lamiera.

L’esterno e l’interno della chiesa di Allegrezze

Eretta parrocchia nel X secolo, i primi documenti sulla locale chiesa di Allegrezze risalgono al 1287 quando un cartario del monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia accertò la presenza di una cappella dedicata alla Vergine Maria.

Dipendente fino alla metà del XVI secolo dal monastero pavese fu in seguito aggregata alla pieve di Ottone in val Trebbia, in occasione della visita pastorale di monsignor Maffeo Gambara vescovo della diocesi di Tortona.

L'interno dell'edificio è diviso da colonne in ardesia - denominata anche "pietra nera" - e conserva sul muro della vasca battesimale un affresco raffigurante il Battesimo di Gesù di pittore sconosciuto, ma forse risalente al Cinquecento.

Negli anni della Seconda guerra mondiale l’artista Italo PRIMI, nato a Rapallo nel 1903 e spentosi nel 1983, da sfollato ad Allegrezze, dedicò il suo tempo alla cura architettonica e artistica della chiesa di Allegrezze riportando alla luce tesori d’arte come le colonne originali in pietra nera (ardesia) della navata centrale che erano ricoperte da comune materiale edilizio e naturalmente valorizzando altre opere importanti già esistenti.

Italo PRIMI era un artista a tutto tondo: scultore, pittore, creatore di forme e oggetti. Stimato scultore, appassionato pittore, abile decoratore e uomo legato alla sua famiglia e alla sua terra, non ha mai smesso di coltivare la sua passione per l’arte. Artista vivace e aperto a nuove sperimentazioni, ma anche uomo riservato e incline alla solitudine.

All’epoca quel piccolo angolo di mondo girava intorno alla sua chiesa, un antico santuario dedicato alla Madonna delle Grazie, da cui il nome Allegrezze. Il suo altissimo campanile è visibile dappertutto ed è tuttora il punto di riferimento della religiosità molto sentita dalle comunità montane di quel comprensorio. Il borgo si anima d’estate con la presenza di famiglie rivierasche attirate dalla posizione dominante alla quale si accede dalla costa attraverso i Passi della Forcella (875 mt.s.l.m.) o della Scoglina (926 mt.s.l.m.)

Negli anni ’80-‘90 la maggior parte dei giovani residenti abbandonarono i campi e le stalle e si trasferirono nelle grandi città in cerca di lavoro. Oggi si assiste ad un ritorno al passato molto promettente che vede alcune iniziative famigliari dedite non solo alla produzione di latte ma anche dei suoi derivati: formaggi tradizionali della vallata, e persino yogurt che sono molto richiesti per la loro fragranza.  

Non hanno più riaperto il negozio d'alimentari e gli altri esercizi cui accennavo perché le anime di questo paese non raggiungono il numero di 25 e, sia i pochi residenti che i turisti, sono ormai motorizzati e raggiungono in pochi minuti il vicino comune di Santo Stefano. Le mucche sono 35, il numero è proporzionate al terreno di pascolo dei proprietari.

A questo punto vi chiederete: “ma perché Carlo ci ha portato fin quassù dopo averci abituato ai settimanali viaggi di mare … ?”

Innanzitutto, dopo questa estate infuocata, penso che una gita da queste parti vi possa solo giovare… dal punto di vista climatico e non solo… ma il vero motivo è un altro, ed è giunto il momento d’entrare in argomento.

QUADRO STORICO

 Dopo lo sbarco in Sicilia degli Alleati e la caduta del fascismo il nuovo governo italiano tratta con gli Alleati per uscire dalla guerra. I tedeschi capiscono quello che sta per accadere e danno il via all’Operazione Alarico, con cui mandano consistenti truppe nella penisola. Mentre le trattative per l’armistizio vanno avanti tra ambiguità e tentennamenti da parte italiana, i nostri vertici militari si preparano al mutare degli eventi. In un documento: la Memoria Op 44, si danno disposizioni su come reagire alla probabile rappresaglia tedesca dopo l’armistizio, e si indicano chiaramente i nostri ex alleati come il nuovo nemico. Nonostante tutto, l’8 settembre ‘43 coglie il governo impreparato. Gli ordini non vengono diramati, i vertici dello Stato e delle forze armate abbandonano la capitale e lasciano i comandi territoriali, in Italia e all’estero, privi di indicazioni. Molti decidono di combattere, ma vengono presto sopraffatti dai tedeschi, che in poco tempo catturano un milione di militari italiani, la maggior parte dei quali viene condotto in prigionia nei lager di Germania e Polonia.

I Carabinieri sono tra i pochi militari che rimangono al loro posto, in virtù delle funzioni di polizia che devono svolgere e grazie alla loro presenza capillare sul territorio. In quei giorni concitati, a Torrimpietra, una località a 30 chilometri da Roma, un'esplosione causata incidentalmente da un gruppo di paracadutisti tedeschi durante un'ispezione, viene fatta passare per un attentato. I tedeschi rastrellano per rappresaglia 22 civili, destinandoli alla fucilazione. Il vicebrigadiere dei carabinieri SALVO D’ACQUISTO, di stanza in caserma, si autoaccusa dell'atto e sacrifica la propria vita per salvare quella degli ostaggi. Medaglia d'oro al valor militare, Salvo D'Acquisto diventa il simbolo della dedizione e dello spirito di sacrificio dell'Arma e il suo gesto non rimarrà isolato. Durante i venti mesi di occupazione tedesca, infatti, altri carabinieri daranno la vita per proteggere le popolazioni civili, oppure supporteranno la Resistenza e la lotta di liberazione.

Nella Val D’Aveto. Un anno dopo!

ALBINO BADINELLI (6.marzo 1920- 2.settembre 1944)

il carabiniere che si costituì ai nazifascisti per salvare 20 ostaggi e l'intero paese dalla rappresaglia.

La strada che taglia l’abitato di Allegrezze porta il nome di questo giovane carabiniere: Albino Badinelli che testimonia al passante un gesto di amore ed altruismo infiniti nel dare la propria vita per salvare quella di 20 civili avetani presi a caso e destinati alla fucilazione quali vittime di un’infame rappresaglia decisa dal comando nazifascista di Santo Stefano D’Aveto per vendicare alcuni militari caduti tra i reparti della Monterosa.

La Monterosa fu una delle unità militari create durante la Repubblica Sociale Italiana dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, nonché una delle più importanti che combatterono sotto le insegne del Fascismo repubblicano. La divisione, composta da circa 20.000 uomini era stata addestrata in Germania e quando tornò in Italia fu impiegata a ridosso delle Alpi Apuane e dell’Appenino Tosco-Emiliano ed anche nella Val D’Aveto.

ALBINO BADINELLI in alta uniforme

«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

 

Davanti al plotone di esecuzione, come Gesù in croce, Albino disse: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Un perdono che nasceva da una fede nutrita in famiglia, fin dall’infanzia. E la Chiesa guarda con crescente interesse alla sua figura.

 

Settimo di 11 figli di Caterina e Vittorio, contadini, Albino nasce ad Allegrezze, frazione del paesino ligure di Santo Stefano d’Aveto. Fin da piccolo, quando non è impegnato con la scuola, aiuta la famiglia nei campi. La sera, per genitori e figli, è consueta la recita del Rosario attorno al focolare. Albino porterà sempre con sé la devozione per la Madonna coltivata tra le mura domestiche ed espressa anche con il custodire, nelle sue tasche, la coroncina del Santo Rosario.

 

Il giovane carabiniere di Allegrezze, dopo l'8 settembre 1943, privo di comando nella Caserma di S. Maria del Taro a cui era stato assegnato, torna presso la famiglia di origine che cerca in tutti i modi di aiutare con il suo lavoro nei campi e nella ricerca del fratello disperso in Russia.

Nell’agosto 1944 diversi scontri tra partigiani e nazifascisti mettono a ferro e fuoco i paesi del circondario. Per contrastare gli attacchi della Resistenza, il comandante della Divisione Monte Rosa (maggiore Cadelo) minaccia di incendiare S. Stefano d’Aveto e di uccidere 20 ostaggi se i partigiani e gli sbandati non si presenteranno al Comando. Poiché nessuno si costituisce, terrorizzato dall’idea che venti innocenti possano essere trucidati, Albino si presenta il 2 settembre in caserma accompagnato dalla madre, invocando moderazione e pace. Viene invece immediatamente condotto davanti al plotone d’esecuzione presso il Cimitero del borgo attiguo alla chiesa, dove confida al sacerdote, un attimo prima di essere fucilato, la volontà di perdonare i suoi carnefici.

Segnalato da Tommaso Mazza, pronipote. Candidatura proposta per il Monte Stella nel 2016

 

Desidero a questo punto aggiungere alcune testimonianze, rese a chi scrive, dal fratello Antonio (Tony) e da sua moglie Augusta durante i lunghi pomeriggi trascorsi insieme.

“Le sue giornate passavano tra casa, campagna e chiesa. Albino leggeva molto e studiava sempre, era il più intelligente di tutti noi. Fin da bambino aveva dimostrato un forte senso religioso, intriso di profondi valori cristiani: umanità, generosità, carità, bontà d’animo e spirito di servizio. Albino era profondamente radicato nelle tradizioni religiose proprie della nostra montagna.

Albino aveva una bella voce, ed il suo canto aggiungeva solennità alle celebrazioni liturgiche in occasione delle festività, e anche quando poteva ogni mattina alle messe feriali, mentre nel tempo libero si dedicava a disegni artistici.

Diventare carabiniere era il suo sogno fin da bambino. Nel 1939 entrò all’Accademia Militare di Torino. Ai primi di marzo del 1940 venne incorporato, quale Carabiniere Ausiliario a piedi, presso la Legione Allievi Carabinieri di Roma, con la ferma ordinanza di leva di mesi 18.

Nominato Carabiniere il 10 giugno dello stesso anno, fu trasferito alla Legione di Messina il 14 successivo, per poi prestare servizio nella cittadina di Scicli. Il 2 maggio 1941 è assegnato alla Legione di Napoli per il costituendo XX Battaglione Mobilitato e giunge in Balcania, territorio dichiarato in stato di guerra, il 21 settembre 1941. 

Nei primi tempi Albino non se la passò male, almeno non come nostro fratello Marino che non tornò mai più dalla campagna di Russia. Tutto cambiò nel 1944 quando, dopo la distruzione della caserma in provincia di Parma dove prestava servizio, fu invitato a tornare a casa in attesa di ordini. Molti suoi colleghi in quei mesi passarono tra i partigiani. Lui era un animo pacifico, ma aiutava come poteva coloro che si erano dati alla macchia per non essere catturati e deportati.

 Nell'estate del 1944 i partigiani uccidono cinque fascisti. Per rappresaglia, il comandante Cadelo della divisione  Monterosa, “Caramella” era il soprannome che gli fu dato per il monocolo che gli copriva un occhio, fece diffondere un ultimatum terribile: se i partigiani non si fossero consegnati subito, avrebbe fatto fucilare tutti i civili, tra i quali c'erano anche donne e bambini, detenuti nella Casa Littoria del paese. In più avrebbe dato ordine di incendiare Santo Stefano, come già era stato fatto con alcuni paesi vicini. Di fronte a questa prospettiva, Albino prese la sua decisione:

 Prima che uccidano qualcuno, mi presento io. Altrimenti non avrei pace

ci disse. “Noi eravamo tutti terrorizzati, ma pensavamo che al massimo l'avrebbero portato in Germania. E invece quando “Caramella” lo vide si mise a urlare:

"Tu sei un carabiniere! Il tuo dovere è catturare i disertori!”.

Albino provò a obiettare che lui voleva solo la pace, ma "Caramella" urlò ancora più forte:

“Altro che pace! Il plotone di esecuzione ti aspetta!”.

In una delle lettere di quel periodo, il 7 giugno 1942, scrive:

«Cara mamma, non posso descriverti tutta la poesia che mi suscitò nel cuore l’immagine di quella Madonnina alla quale vengono rivolte preghiere che non potranno non essere esaudite, essendo rivolte con tanta devozione dal cuore di una madre, che con ansia implora la protezione dei figli lontani... Siate sempre tranquilli, perché ovunque Ella stenderà il Suo manto sopra di noi, ne conserveremo la devozione».

Il 21 agosto successivo, in un’altra lettera, raccomanda ai familiari: «Rassegnatevi sempre al volere di Dio».

Nel biennio ’43-’44 la famiglia Badinelli è segnata prima dall’angoscia di non avere più notizie di uno dei fratelli di Albino, Marino, impegnato a combattere sul fronte russo, e poi dal dolore per la certezza della sua morte. Sarà san Pio da Pietrelcina - una delle persone a cui mamma Caterina aveva scritto - a far sapere alla famiglia di non cercare più Marino perché giaceva sepolto in una fossa comune in Russia. Circostanza che verrà confermata dal Ministero della Difesa negli anni Ottanta.

Nel ’43, Albino viene richiamato in Italia per prestare servizio a Santa Maria del Taro, piccola località in provincia di Parma. Il giovane carabiniere stringe amicizie profonde e non manca, nel suo piccolo, di evangelizzare. Testimonierà il collega Fabio Morelli, conosciuto durante l’esperienza lavorativa nel parmense: «Albino era una persona speciale, dotata di grande umanità e profonda religiosità. Andava ogni giorno a Messa nella chiesa parrocchiale e spesso ci invitava tutti a pregare il Rosario con lui. Era un grande esempio per noi che gli eravamo legatissimi […]».

LA GUERRA CIVILE

Ulteriori testimonianze

 

Dopo il Proclama Badoglio dell’8 settembre ‘43, che annuncia l’armistizio con gli Alleati, l’Italia si trova spaccata in due, tra nazifascisti e forze della Resistenza. Anche Albino sperimenta presto la durezza di quella guerra nella guerra, dove pure vecchi amici e familiari possono trovarsi su fronti opposti. Alcuni partigiani, siamo già nel ’44, attaccano la caserma di Santa Maria del Taro, devastandola con una bomba. Seguendo gli ordini di un superiore, Albino fa ritorno a casa, ma prima si libera del moschetto perché sconvolto dall’idea di potersene servire per uccidere dei fratelli.

Come abbiamo già visto, anche la Val d’Aveto non rimane estranea agli scontri tra “repubblichini” di Salò e "partigiani". È l’agosto del ’44 quando la Divisione nazifascista Monterosa entra in quei territori, incendiando le case in diversi borghi. Al suo comando c’è il maggiore Girolamo Cadelo, il quale ha diversi obiettivi: stanare i ribelli che infestavano quelle campagne, neutralizzare l’attività partigiana e rastrellare disertori e renitenti alla leva (in osservanza del decreto legislativo del Duce 18 febbraio 1944, n. 30:

“Pena capitale a carico di disertori o renitenti alla leva”)» [cfr. Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri, Anno II, n. 4, p. 93].

Nel giorno dell’ingresso a Santo Stefano d’Aveto, il 27 agosto, la Monterosa subisce un agguato partigiano, patendo alcune vittime. La frazione di Allegrezze, due giorni più tardi, viene incendiata dalle bande fasciste. Arriva quindi il 2 settembre. Il maggiore Cadelo e i suoi uomini hanno con sé una ventina di ostaggi. Dei manifesti, sparsi in tutto il territorio cittadino, invitano i giovani “sbandati” a presentarsi alla locale Casa del Fascio. In caso contrario, i prigionieri saranno uccisi e le case di Santo Stefano date alle fiamme. Pochi si consegnano e tra questi - pur non partecipando attivamente alla Resistenza - c’è Albino, che ai familiari aveva detto: «Devo presentarmi prima che venga ucciso qualcuno, perché non avrei più pace. Io devo essere il primo!».

 

Alla Casa del Fascio, Badinelli spiega a Cadelo di appartenere all’Arma e di volere la pace, ma il maggiore gli urla di aver mancato al dovere di catturare i disertori ed emette la sua ‘sentenza’: «Plotone di esecuzione!». Albino chiede a quel punto di potersi confessare, ma gli viene negato. Un giovane ha però la pietà di andare a chiamare monsignor Giuseppe Monteverde, un anziano sacerdote del posto, che accompagna Albino verso il luogo dell’esecuzione, il cimitero di S.Stefano D’Aveto, e ne raccoglie le ultime confidenze. Tra queste, c’è anche il perdono per coloro che di lì a breve saranno i suoi uccisori. Il buon sacerdote lo benedice, gli consegna un crocifisso e lo raccomanda alla Madonna di Guadalupe, molto venerata a Santo Stefano.

 

Chiesa parrocchiale di Santo Stefano - Santuario della Madonna di Guadalupe

Nell'edificio viene conservata un'immagine della Santa portata nel santuario nel 1804 dalla chiesa di San Pietro in Piacenza. Il santuario conserva dal 1811 anche una tela che raffigura la Vergine donata all'edificio dal cardinale Giuseppe Maria Doria Pamphilj, segretario di Stato di papa Pio VII. Si narra che questa tela fosse sulle navi del suo antenato Andrea Doria nel 1571, durante la Battaglia di Lepanto. Il quadro, copia dell'immagine impressa sulla tilma, gli era stato donato all'ammiraglio dal re di Spagna Filippo II. La chiesa di stile gotico toscano fu ricostruita nel 1928 in sostituzione della vecchia settecentesca di cui rimane il campanile. L'altare maggiore espone ai lati del vecchio quadro due pale dedicate a Santo Stefano ed a Santa Maria Maddalena. Le parti in legno sono state eseguite da maestri della val Gardena.

 

Albino BADINELLI fu fucilato con la schiena al muro dove oggi è posta la targa commemorativa  qui  fotografata mentre viene benedetta da un sacerdote.

LA MEDAGLIA D’ORO conferita al carabiniere Albino Badinelli

 

Onorificenze e riconoscimenti

Domenica 25 settembre 2016, durante la visita a Stella (Savona), paese natio di Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incontrato Agnese Badinelli, sorella di Albino.

Dal 6 marzo 2017 Albino Badinelli viene commemorato come “Giusto dell’umanità”, titolo riservato a coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi. A lui e ad altre venti figure è stata dedicata la cerimonia di apertura delle celebrazioni per la Giornata europea dei Giusti, a Palazzo Marino, Milano, con la consegna delle pergamene per l’inserimento nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. E’ seguita poi la commemorazione in Consiglio Comunale, con la lettura dei nomi dei nuovi Giusti, ospiti d’onore nella seduta del Consiglio.

Anche la Chiesa cattolica sta lavorando per riconoscere ufficialmente la fama di santità di questo giovane. Papa Francesco è stato informato della vicenda legato alla figura di Albino Badinelli nel settembre 2015, quando il Comitato, in visita a Roma, ha donato un piccolo volume a Papa Francesco, nel contesto dell’Udienza generale. Nella stessa occasione, il volume è stato dato anche al Papa emerito Benedetto XVI, attraverso il suo segretario personale.

Il 2 gennaio 2016, Tommaso Mazza, sacerdote della diocesi di Chiavari, ha avuto l’opportunità di intrattenere una conversazione personale con Papa Francesco a Casa Santa Marta. In questa occasione, tra le molte cose proposte, ha presentato al Santo Padre, in modo più dettagliato, la storia di Albino Badinelli, facendo particolare riferimento alla storia della sua morte. Nel maggio 2018 i Cardinali e i Vescovi lo hanno scelto come “Testimone” del Sinodo dei Giovani.

Decreto del Presidente della Repubblica 

 3 agosto 2017 

Medaglia d'oro al merito civile alla memoria

«Carabiniere effettivo alla Stazione di Santa Maria del Taro (PR), dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, non volendo venir meno al giuramento prestato e deciso a non far parte delle milizie della Repubblica di Salò, si dava dapprima alla macchia e successivamente decideva di consegnarsi al reparto nazifascista che, come rappresaglia ad un attacco subito, minacciava di trucidare venti civili inermi. Condotto davanti al plotone di esecuzione sacrificava la propria vita per salvare quella dei prigionieri. Chiaro esempio di eccezionale senso di abnegazione e di elette virtù civiche spinte fino all’estremo sacrificio. 2 settembre 1944 Santo Stefano d'Aveto(GE)

 

Giunti al cimitero del Comune di Santo Stefano d’Aveto, Albino viene posto con le spalle al muro. È in quegli istanti che, dopo aver baciato con grande devozione il crocifisso, dice come Gesù in croce:

«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».

Qualcuno nel plotone si rifiuta di sparare. Ma la sua sorte è segnata. Viene raggiunto da tre colpi di arma da fuoco, due al cuore e uno alla testa. Così, il 2 settembre 1944, il ventiquattrenne Albino torna al Creatore (sul luogo della sua morte, oggi si trova una lapide, la cui scritta finisce così:

«O tu che passi / chinati al suo ricordo / e prega a lui ed al mondo / pace»).

A piangerlo, tra i tanti familiari e amici, la fidanzata Albina, che tempo dopo chiederà di essere sepolta insieme alle lettere che lui le scriveva.

Il suo cadavere, ancora sanguinante, viene lasciato per un po’ davanti al cimitero e poi portato nel coro della vecchia chiesa parrocchiale, con l’ordine del maggiore Cadelo di non spostarlo da lì, perché serva da monito. Ma nella notte il corpo esanime di Albino viene trafugato da alcuni compaesani, guidati da monsignor Casimiro Todeschini, per dargli degna sepoltura.

Il suo sacrificio contribuisce comunque a placare l’ira di Cadelo, che rinuncia al proposito di uccidere gli ostaggi e incendiare Santo Stefano. Lo stesso maggiore finirà vittima di un’imboscata alcuni giorni più tardi, il 27 settembre, nei pressi del Passo della Forcella.

Ma chi comunica il fatto a mamma Caterina, pensando di portarle una buona notizia, si sente rispondere da lei:

«Non voglio ritirare il perdono che mio figlio ha dato prima di morire!».

E qualche tempo dopo, mentre sta recitando il Rosario in un angolo della sua cucina, interpellata da un cappellano militare giunto con altri a raccogliere informazioni sulla morte di Albino, la donna confida:

«Prego per coloro che hanno ucciso mio figlio».

Da quel giorno il ricordo del sacrificio di Albino non si è ancora spento: a suo nome è stata intitolata una via del Comune, dove si trovano la stazione dei Carabinieri e la scuola.

Nel 2015 è stato poi fondato il Comitato Albino Badinelli, per favorire lo sviluppo e la conoscenza della sua testimonianza.

«In questo modo - come afferma una dichiarazione di un testimone - il Carabiniere Albino Badinelli entrò nel novero di quegli eletti che, con il loro sacrificio supremo, resero possibile il nostro riscatto».

ESEMPIO PER LA CHIESA E IL MONDO

Naturalmente, la Chiesa guarda con grande attenzione alla figura di Badinelli. Almeno quattro Papi - Pio XII, Paolo VI, Benedetto XVI, Francesco - hanno conosciuto ed espresso in vario modo la loro gratitudine per l’esempio di Badinelli. Ratzinger ha parlato del suo sacrificio come «testimonianza di amore e di pace che dona forza e stimolo ai giovani del nostro tempo». E nel Sinodo dei Giovani del 2018, voluto da Bergoglio, Albino è stato incluso tra i testimoni dell’amore di Cristo da far conoscere alle nuove generazioni.

Di recente lo stesso giornalista Italo Vallebella ha scritto per il SECOLO XIX un articolo così intitolato:

Santo Stefano D’Aveto, beatificazione e canonizzazione del carabiniere Badinelli: la Congregazione dà il nulla osta

 

Per saperne di più:

Libro: L’amore più grande

Autore Tommaso Mazza

 

 

LA BATTAGLIA DI ALLEGREZZE NELL’ANNO 1944

http://www.valdaveto.net/documento_655.html

 

Con il nome di Bando Graziani furono chiamati una serie di bandi di reclutamento militare obbligatorio, destinati ai giovani italiani nati negli anni tra il 1916 e il 1926, emanati dal Ministro della Difesa della Repubblica Sociale Italiana, Rodolfo Graziani, per la costituzione del nuovo Esercito della RSI. 

Il primo di questi bandi risale al 9 novembre 1943 e riguardava i giovani delle classi 1923, 1924 e 1925. Dei 180 000 richiamati alla leva da questo primo bando, solo 87.000 si presentarono, tutti gli altri disertarono e molti di loro fuggirono raggiungendo le formazioni partigiane. Il 18 febbraio 1944 un decreto di Mussolini sanciva la pena di morte mediante fucilazione  per i renitenti e i disertori. Questi bandi, tuttavia, ebbero scarso successo e anzi rafforzarono la resistenza partigiana clandestina, verso la quale furono attratti inevitabilmente i tanti renitenti in fuga dalla leva.

Come un ruvido panno passa sull'umanità, privandola di quelle differenziazioni sociali di cui la collettività stessa si nutre.

Rimane infine l'uomo, nella sua essenza. Nel bene e nel male.

Ecco allora che questa pagina rievocando i drammatici accadimenti della cosiddetta Battaglia di Allegrezze, rappresenta un vero monito per tutti: non lasciamo mai che la bestia che vive in ognuno di noi prenda il sopravvento.

Pensiamo al prof. Podestà, al canonico Moglia e al falegname Zaraboldi. Diversi per formazione e ruolo sociale, ma accomunati da quello che più conta: essere uomini.
Nell'accezione più sublime del termine.

Di Massimo Brizzolara

Chiavari 30 giugno 1946

Il sottoscritto dichiara che la sera del 27 agosto 1944 alle ore 17 circa, venne prelevato (arma alla mano) da due soldati accompagnati da due borghesi che erano stati prelevati in rastrellamento da una colonna di nazifascisti (gruppo Cadelo di esplorazione della Monte Rosa) ed invitato a recarsi ad Allegrezze d'Aveto per prestare soccorso medico a feriti nel combattimento in corso con un gruppo di partigiani che aveva aggredito la colonna stessa.
Il sottoscritto era a La Villa d'Aveto dove aveva la propria famiglia sfollata e da pochi giorni era venuto a visitarla. Il sottoscritto si fece accompagnare dal figlio del suo padrone di casa sig. Zaraboldi Costantino ed insieme ai militari e borghesi suddetti si recò ad Allegrezze che dista circa 1 Km.


Ferveva sempre il combattimento, ivi giunto trovò il parroco Don Primo Moglia dal quale apprese che lui stesso era stato preso in ostaggio dal comandante della colonna dei nazifascisti e che mentre veniva condotto a S. Stefano d'Aveto con la stessa, aveva inizio un fiero combattimento con i partigiani, per cui la colonna stessa era stata decimata ed aveva dovuto retrocedere.

Il parroco Don Primo allora aveva disposto il raccoglimento dei feriti e dei morti, improvvisando in casa sua (canonica) l'infermeria. Infatti io trovai nei vari letti e stanze, una quantità di feriti più gravi. Pregai il parroco di disporre in modo che mi si aprisse la scuola di fronte alla sua canonica per poter medicare e ricoverare anche altri feriti che via via affluivano portati dai borghesi. Posso attestare che la popolazione di Allegrezze guidata dal suo parroco fece miracoli in quella sera e in tutta la notte successiva, mettendo a disposizione i pagliericci e la biancheria occorrente a medicare e ricoverare ben 37 feriti gravi e a portare al cimitero sette morti.


Furono tutti medicati dal sottoscritto con l'aiuto della popolazione e in modo speciale dal parroco e da una donna che era stata presa in ostaggio certa Caprini Maria.

Nella notte stessa, con l'aiuto dell'interprete tedesco P. Tomas Ruckert, il sottoscritto potè tenere dal tenente tedesco delle SS che apparteneva al Comando della colonna stessa, la promessa su parola d'onore dello stesso, di liberare all'alba gli ostaggi presi e tra questi il parroco Don Primo Moglia ed il giovane sacerdote Giovanni Barattini di Alpicella.

Tutto ciò in premio dell'opera veramente encomiabile prestata da Don Primo e dalla popolazione della sua parrocchia da lui guidata. Infatti, all'alba del giorno dopo, prima di partire io stesso recandomi alla sua abitazione mi accertai personalmente che tale liberazione fosse mantenuta.

ALLEGREZZE BRUCIA

29 AGOSTO 1944

Purtroppo, il giorno appresso venne bruciato il paese, su ordine di un militare italiano Maggiore Cadelo che comandava la colonna.

Infrangendo la parola d'onore con il sottoscritto impegnata in proposito dal Tenente tedesco delle SS a lui in sott'ordine, mentre al mattino del 29 agosto 1944 il parroco Don Primo Moglia celebrava la messa per la festa della Madonna della Guardia presente tutti i suoi parrocchiani, faceva circondare il paese e appiccare il fuoco a tutte le abitazioni della frazione impedendo ai parrocchiani di altre frazioni di accorrere in aiuto per spegnere gli incendi. La chiesa fu salva soltanto perchè il parroco si era adoperato come già detto per i feriti. Così anche la scuola, la canonica e la stessa sua vita.


Giorni dopo assieme al parroco Don Primo Moglia, al becchino e al figlio del mio padrone di casa sig. Costantino Zaraboldi, per mia iniziativa ci recammo in località "La Cava" per raccogliere il cadavere del partigiano Berto, che su ordine del su menzionato Maggiore Cadelo, era stato lasciato sulla strada con minaccia per chi lo avesse toccato e gli demmo onorata sepoltura.

 La bara fu fabbricata dallo stesso Costante Zaraboldi gratuitamente.
Un mese dopo circa, tanto il sottoscritto (che aveva rimesso di proprio tutta la medicazione dei feriti stessi) che il Zaraboldi e il padre suo, vennero arrestati assieme al parroco di S. Stefano d'Aveto ed al parroco di Pievetta sotto l'accusa di collaborazione con i partigiani e non vennero fucilati insieme ad altri otto disgraziati del luogo, solo perché nel frattempo il Maggiore Cadelo (che aveva dato ordine di fucilazione) venne ucciso in imboscata dai partigiani.

 

In fede di quanto sopra firmato Dott. Prof. Vittorio Podestà *

* Medico Chirurgo Radiologo - Docente nella Regia Università di Genova - Perito Medico Giudiziario

 

I due partigiani: BRIZZOLARA ANDREA di Villanoce e SILVIO SOLIMANO “BERTO” di Santa Margherita Ligure caddero combattendo contro i nazifascisti ad Allegrezze il 27 Agosto 1944.

 

Albino Badinelli – L’Arcivescovo di Chiavari, incontra la sorella del carabiniere martire.

http://www.ordinariatomilitare.it/2021/04/28/albino-badinelli-larcivescovo-a-chiavari-incontra-la-sorella-del-carabiniere-martire/

 

TESTIMONIANZE RACCOLTE PRESSO I PARENTI DI

ALBINO BADINELLI

 

IL CIMITERO DI ALLEGREZZE

Due giganteschi alberi di SEQUOIA fanno da guardiani e custodiscono la memoria per sempre

Anni Ottanta dell’Ottocento, epoca della messa a dimora da parte di Agostino Zanaboldi, figlio di immigrati liguri negli Stati Uniti, che ritornò da New York con due piantine di sequoia….

 

 

Concludo con alcune riflessioni personali:

I carabinieri avevano due compiti principali:

di polizia, tutela della sicurezza della popolazione italiana - di militari nelle Forze Armate, avevano giurato fedeltà al re e non al fascismo.

Domenica 25 luglio 1943 ore 17.00

Tra coloro che si occupano dell'arresto di Mussolini: i carabinieri Giovanni Frignani e Raffaele Aversa saranno tra gli uccisi alle cave Ardeatine.

Per questo motivo i nazifascisti non si fideranno mai dei carabinieri.

La situazione diventa estremamente difficile per l’Arma Regia dopo l’8 settembre 1943, quando il Re abbandona la capitale e l’Arma dei Carabinieri riceve l’ordine di rimanere sul posto per mantenere l’ordine pubblico e collaborare con l’occupante.

Viene chiesta loro la “fedeltà a Salò” e da quel momento iniziano le diserzioni, le deportazioni e gli arruolamenti presso le unità partigiane.

In questo drammatico quadro storico avviene la fucilazione di Salvo D’Acquisto seppure innocente e riconosciuto tale dal comando tedesco.

Il suo gesto eroico salva la vita a 22 ostaggi presi nei dintorni quando tutti sapevano che la causa della morte di due militari tedeschi era dovuta ad una esplosione da loro stessi provocata. Gli ostaggi furono liberati ma i tedeschi ottennero il loro scopo: creare panico e terrore tra la popolazione.

A guerra finita i numeri ci spiegheranno meglio di tante parole il SACRIFICIO dei Carabinieri:

2.735 ……….. caduti

6.521 …………feriti

0ltre 5.000 deportati in Germania

Nel 2001 Papa Giovanni Paolo II, in un discorso rivolto ai Carabinieri disse:

La storia dell’Arma dimostra che si può raggiungere la vetta della SANTITA’ nell’adempimento fedele e generoso verso il proprio STATO.

SALVO D’ACQUISTO:

Nascita:

Napoli, 15 ottobre 1920

Morte:

23-settembre-1943
Località Torre Perla di Palidoro, nella frazione di Palidoro, nel comune di Roma  (oggi-Fiumicino).

ALBINO BADINELLI:

Nascita:

Allegrezze, 6 marzo 1920

Morte:

2 settembre 1944

Santo Stefano D’Aveto

Tra questi due GIGANTI dello SPIRITO DI SERVIZIO è difficile trovare persino le più sottili differenze caratteriali e comportamentali.

Entrambi si presentarono spontaneamente davanti ai loro carnefici esibendo ciascuno il PROPRIO ONORE MILITARE, QUEL VALORE che non trovarono sia nel Comando Tedesco di Roma sia in quello Nazifascista della Liguria montana.

Rimane soltanto da aggiungere qualcosa sull’enfasi, la pubblicità dei media, del cinema e della politica data al tragico evento riferito al povero Salvo D’ACQUISTO ed il lunghissimo SILENZIO dedicato al NOSTRO carabiniere Albino BADINELLI.

Gli storici “sopra le parti” affermano che la politica non nobilita mai certi fatti… ma che è soltanto capace di MITIZZARE la parte che più gli conviene.

Credo si riferiscano all’azione compiuta dai Gruppi di Azione Patriottica il 23 marzo 1944 quando attaccarono una colonna del battaglione di polizia tedesca Bozen in via Rasella a Roma provocando la morte di 26 soldati austriaci, fatto che fece scattare immediatamente la “rappresaglia nazista”.

Nessuno degli autori di quella strage si presentò per autodenunciarsi al Comando tedesco e, com’è noto, la conseguenza fu la seguente: il giorno dopo, il 24 marzo 1944 un plotone tedesco, comandato da Herbert Kappler giustiziò 335 italiani “incolpevoli” alle Fosse Ardeatine

Un massacro tra i più efferati della storia della Seconda guerra mondiale.

Una giustificazione per i responsabili dell’eccidio di Via Rasella esiste in ogni caso: Kappler, per ordine perentorio dello stesso Hitler, fu obbligato a eseguire la strage in tempi brevissimi, motivo per cui non ci sarebbe stato il tempo materiale per mettere a punto una qualsiasi strategia tesa ad evitare la morte di quei poveri Martiri delle Fosse Ardeatine.

                 Tutto comprensibile! Ma per i nostri due VALOROSI Carabinieri:

SALVO D’ACQUISTO E ALBINO BADINELLI

A IMITAZIONE DI CRISTO

bastarono pochi minuti per autodenunciarsi, salire sul patibolo e morire per salvare degli innocenti.

Carlo GATTI

Rapallo, 3 Agosto 2022


IL MARINAIO DI UN TEMPO CHE FU...

IL MARINAIO DI UN TEMPO CHE FU …

Vita di bordo

Porto di Savona – MONUMENTO AL MARINAIO

 

 

I FERRI DEL MESTIERE

Il marinaio di un tempo teneva una varietà di piccoli attrezzi e oggetti personali. La maggior parte di questi strumenti erano primitivi ma altamente funzionali - anche piuttosto belli - e spesso realizzati dallo stesso individuo che li usava.

 

 

 

 

 

MUSEO MARINARO TOMMASSINO ANDREATTA DI CHIAVARI

 

Guardamano per cucire le vele

Italia, primi del ’900

Dimensioni: cm 12×7

Materiali: tela olona e ferro

Donazione Elio Costanzo

M.M.T.A. – Invent. n. 218

Apparteneva al nostromo Andrea Schiaffino.

 

Veniva indossato per proteggere la mano durante la cucitura delle vele. Con la parte metallica veniva spinto l’ago per bucare la tela.

Punteruoli, caviglie, cavigliere, aghi da velaio, pece, bobine di filo per vele

 

Caviglia è anche il cavicchio conico con cui si divaricano i legnoli, ossia gli elementi ritorti dei quali è costituita una cima, per farvi giunte o gasse impiombate.

 

TENDI COMANDO  dell’autore

 

 

Sacchetti porta utensili in tela olona

 

REPERTI DI CALAFATO - dell’autore

Il calafato, o maestro calafato, è un operaio specializzato, o altra figura specializzata, che fa parte delle maestranze impiegate nelle costruzioni navali e nelle manutenzioni nautiche. Il calafato si occupa di calafatare le navi o, più in genere, le imbarcazioni in legno, con cadenza periodica, o qualora si rendesse necessario.

Sulle imbarcazioni di dimensioni maggiori, il calafato poteva essere imbarcato a bordo insieme ad un maestro d’ascia, mentre le imbarcazioni di dimensioni minori facevano riferimento a maestri d'ascia o maestri calafati che operavano a terra.

L'opera del calafato è un lavoro difficile e di precisione, tanto che anticamente ci volevano 8 anni di apprendistato per diventare maestro calafato mentre ne bastavano 5 per diventare maestro d’ascia.

Purtroppo di queste maestranze storiche, altamente qualificate, se ne trovano pochi nei cantieri navali più longevi d’Italia, essendo un mestiere di tramando generazionale che va via via scomparendo.

 

Gli attrezzi del Maestro d’ascia e del Calafato non hanno età

Soltanto visitando i Musei Marinari possiamo “gustarne” tutte le varianti tenendo presente che ogni Mastro d’ascia, così come il Calafato, costruiva i suoi attrezzi a misura dei propri arti: spalla, braccio, gomito, avambraccio, polso e mano.

 

GLI ATTREZZI DEL CALAFATO

MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA - CHIAVARI

 

 

Asce, pialle, seghe, verine, raspe, magli, scalpelli … per ricordare quelli dai nomi risaputi che, basta citarli, richiamano le loro forme. “Sono di tutte le dimensioni, a misura di ogni intervento (anche per quelli in spazi angusti) e di ogni… braccia. Sì, perché a seconda della loro diversa stazza, a cominciare dalla lunghezza delle braccia, maestri d’ascia e calafati si costruivano l’attrezzo specifico, di cui erano gelosi”, racconta Giorgio, ultimo dei maestri d’ascia rapallini, che ne puntualizza il valore: “Ogni attrezzo corrisponde ad un antenato, che qui continua idealmente a vivere … questi attrezzi sono intrisi del suo sudore, del suo sangue, del suo pensiero …” Ecco spiegata la sacralità del luogo!

 

 

CALDARO DA PECE

 

MARMOTTA

 

Gli attrezzi del calafato sono il maglio, martello di legno a due teste rinforzato da cerchi di metallo; la mazzola più corta e tozza; vari ferri tipo scalpelli di diverse dimensioni, privi di affilatura ma con il bordo piatto, alcuni con scanalatura, per non recidere la treccia, chiamati palelle o calcastoppa.

 

GLI ATTREZZI DEL MAESTRO D’ASCIA

MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA – CHIAVARI

Il maestro d’ascia é un professionista le cui origini affondano nell’antichità più remota. Purtroppo di questi mitici personaggi, a metà tra l’artigiano e l’artista, ne rimangono pochi e sono introvabili. Costruire uno scafo preciso al millimetro presuppone anni di fatica e tanto amore per la costruzione navale. Esperienza, perizia e competenza sono tutti elementi che maturano nel corso del tempo, sotto la guida di maestri d’ascia più anziani, spesso nonni e padri che tramandano l’abilità nell’adoperare l’ascia da una generazione all’altra.

 

 

Un po' di letteratura...

IL VECCHIO E IL MARE

ERNEST HEMINGWAY

Tutto in lui era vecchio, tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti.

 

CHARLES BAUDELAIRE

Umo libero, tu amerai sempre il mare! E’ il tuo specchio il mare! Contempli la tua anima nell’infinito svolgersi della sua onda e non è meno amaro l’abisso del tuo spirito.

 

JOSEPH CONRAD

Il mare non è mai stato amico dell'uomo. Tutt'al più è stato complice della sua irrequietezza.

 

ANONIMO

POESIA ANTICA

Vuga t'è da vugâ prexuné

E spuncia spuncia u remu fin au pë.

Vuga t'è da vugâ turtaiéu

E tia tia u remmu fin a u cheu...

 

CONCLUDO

 

 

A scuola ero incazzato nero perché dovevo studiare lavagnate di formule trigonometriche ...  

Era il mio primo viaggio e, superato l’Atlantico quel giorno, con incredibile precisione, mi trovai davanti a New York!

Mi emozionai alla vista della grande MELA con i suoi grattacieli, ma ancor di più quando mi resi conto che quelle “bagasce" di formule analitiche antiche non le avevo studiate invano…

Carlo GATTI

Rapallo, 4.8.2022