CANALE DI CORINTO

 

CANALE DI CORINTO

 

 

 

 

Tagliare l’istmo di Corinto per collegare il mar Ionio con il mar Egeo permettendo così alle navi di risparmiare miglia e navigazione  in mare aperto intorno al Peloponneso, è un’idea risalente addirittura al VI secolo a.C.

 

 

 

 

IL CANALE DI CORINTO è una via d’acqua artificiale che unisce due mari: Egeo e Ionio, é lungo 6,3 km, è largo meno di 25 metri, é altamente suggestivo e pienamente operativo. Venne inaugurato nel 1893 dopo secoli di progetti e tentativi. Con il suo passaggio stretto tra alte pareti tufacee, il Canale di Corinto è un’esperienza di navigazione che non lascia indifferenti se si pensa che ogni anno sono oltre 11.000 le imbarcazioni che lo attraversano di cui circa il 60 per cento barche da diporto e il 40 per cento navi commerciali. La maggior parte del traffico avviene naturalmente durante la stagione estiva, circa il 70 per cento con quasi 3.000 imbarcazioni che transitano in entrambe le direzioni.

TIME IS MONEY - Tutti lo sanno! Specialmente i naviganti che risparmiando circa 400 miglia sulla rotta tra il Mar Ionio e il Mar Egeo anticipano l’arrivo al Pireo evitando le burrasche in mare aperto: il risparmio è variabile e maggiore per le rotte in cui il punto di partenza o di arrivo siano collocati più vicino all’istmo, cioè nel Golfo di Corinto a Ovest o nel Golfo Saronico a Est.

E’ quasi inutile dirlo: il maggiore limite del canale è la sua contenuta larghezza che non consente il transito alle “giant ships” di qualsiasi tipo come accade invece per i Canali di Suez, Panama e Keel, che sono prettamente commerciali e sono soggetti periodicamente ad allargamenti e dragaggi per fare fronte alle continue e crescenti esigenze commerciali.

Per dare un’idea limite della sua operatività, citiamo un record: l’imbarcazione più grande che abbia mai attraversato il canale è la nave da crociera BRAEMER (195,82 metri di lunghezza e 22,52 m di larghezza, con a bordo 929 passeggeri) della compagnia norvegese di navigazione Fred Olsen che ha effettuato con successo il passaggio il 9 ottobre del 2019.

 

Crociera da record per la BRAEMAR - la nave più grande ad aver mai transitato il Canale di Corinto

 

 

ESISTE UN PROBLEMA: Le stesse pareti rocciose del canale, particolarmente alte e ripide, hanno da sempre costituito uno dei principali problemi del canale, costruito oltretutto in zona sismica: i crolli di roccia sono tutt’ora abbastanza frequenti e spesso il canale deve essere chiuso per lavori di manutenzione, messa in sicurezza e dragaggio. L’ultima frana, avvenuta a gennaio 2021, ne ha causato la chiusura per oltre un anno.

RIPORTIAMO ALCUNE IMPORTANTI ISTRUZIONI PER COLORO CHE DECIDESSERO D’INTRAPRENDERE UN NUOVA AVVENTURA NAUTICA

A circa mezzo miglio dall’imboccatura iniziano le procedure burocratiche. Prima di tutto si effettua una chiamata radio sul canale 11 del VHF all’autorità di controllo del canale che è Isthmia Pilot. L’attesa, prima di accostare in banchina per le pratiche di ingresso e il pagamento, dipende ovviamente dal traffico. Occorre quindi compilare l’apposito modulo con i dati della barca, il porto di provenienza e destinazione, il numero di persone a bordo e pagare il pedaggio nell’ufficio dell’autorità di controllo del canale.

QUANTO COSTA IL TRANSITO DEL CANALE?

Evitando di assumerci responsabilità che non sono di nostra competenza, riportiamo integralmente alcune istruzioni, disposizioni e tariffe che possono interessare i nostri lettori:

Il pedaggio viene calcolato in base al tipo di imbarcazione e alla sua lunghezza, alla bandiera e al tipo di utilizzo (privato o commerciale). Per fare un esempio, un 53 piedi privato, bandiera inglese a vela, paga 322 euro. Il passaggio notturno prevede un sovrapprezzo. Insomma un salasso, e non è un caso che rispetto alla lunghezza del passaggio, il Canale di Corinto sia uno dei più cari “transiti”  al mondo.

Ricevuta l’autorizzazione, a questo punto si deve attendere. Di giorno quando il transito non è ancora permesso è esposta la bandiera rossa, mentre di notte ci sono due luci bianche sovrapposte. Il via libera è dato dalla bandiera blu, che nelle ore notturne è segnalato con una sola luce bianca. Subito dopo si viene contattati via radio: “5 minuti al transito”. Si accende quindi la luce verde ai lati del piccolo ponte sommergibile che scendendo sott’acqua apre così il varco all’interno del canale. Se si è da soli, il tutto si è risolto in una ventina di minuti, mentre in caso di più barche le procedure sono più lunghe e si attende di creare un convoglio con le piccole navi commerciali davanti e le barche da diporto dietro.

 

 UN PO’ DI STORIA 

Il Canale di Corinto, fu già pensato da Periandro, uno dei Sette Savi, 600 anni prima di Cristo, e poi dai Romani, anche se la sua realizzazione è iniziata molto più di recente, tra il 1881 ed il 1893, addirittura dopo l’indipendenza della Grecia.

L’idea di ‘tagliare’ l’istmo nel suo punto più stretto risale al VII secolo a.C., ma per non togliere a Corinto la sua centralità sulle rotte commerciali, non fu mai concretizzata.

 

ALCUNE CURIOSITA’

  • La necessità di accorciare le distanze e i tempi di consegna delle merci si realizzò con un primo compromesso: fu creato un collegamento via terra, pavimentato e utilizzato per lo spostamento di beni e merci da una parte all’altra. La strada consentiva lo spostamento di persone ma anche il trasporto di intere navi tirate in secco.

  • Sotto Nerone, avvenne il primo tentativo di scavo dell’Istmo. Ai lati opposti del futuro canale, si avviarono le prime perforazioni in cima per valutare la resistenza delle pietre e, alla base, vengono scavate le prime trincee. Il progetto fu abbandonato per la grande difficoltà dovuta al non adeguato avanzamento tecnico e tecnologico dell’epoca.

L’unificazione della Grecia e la ripresa del progetto

Soltanto nel 1830, con la nascita del nuovo Stato greco, si riaprirono i cassetti dei vecchi progetti e si ripensò ad una concreta realizzazione. Il prestigioso incarico fu dato all’ingegnere francese Pierre Théodore Virlet d’Aoust giunto in Grecia, non per caso, con la spedizione sbarcata per liberare il Peloponneso dalle forze turco-egiziane. Gli eccessivi costi portarono tuttavia a un nuovo rinvio del progetto che riprese vigore soltanto dopo il collaudo delle nuove tecnologie sperimentate con l’apertura del canale artificiale di Suez, inaugurato nel 1869.

 

La realizzazione del canale

Una difficile storia di fallimenti iniziali…

Il cambio di passo arriva finalmente da uno strategico cambio di prospettiva che, aiutato da importanti progressi tecnici, guarda al coinvolgimento di capitali privati. Proponendo un partenariato pubblico privato ante litteram, lo stato vara una legge che in cambio della realizzazione dà in concessione l’opera e i suoi proventi per 99 anni. Inizia così una staffetta che, tra fallimenti e nuove prese in carico, vede alternarsi società e ingegneri provenienti da mezza Europa. Si inizia con una prima compagnia che fallisce dopo lo scavo delle due estremità, per passare a un gruppo misto franco-italo-ungherese che fallisce interrompendo nuovamente i lavori. Il cantiere viene portato a termine, dopo 12 anni dall’avvio dei lavori, dalla compagnia di costruzione greca guidata da Andreas Syngros.

 

ALCUNI INTERESSANTI INGRANDIMENTI

 

 

 

 

 

 

Agosto 2014, Palinuro attraversa il Canale di Corinto_Foto M.M. (7)

 

 

 

 

La velocità massima consentita è di 6 nodi e in parte è condizionata dalla corrente, fra 1 e 3 nodi, che a sua volta risente della direzione del vento. Con buone condizioni il passaggio si conclude in circa 30 minuti, a una velocità di circa 5,5 nodi. Non vi sono particolari difficoltà durante il transito, ma è sempre bene stare a debita distanza dai motoscafi che per via della scia potrebbero generare fastidiose turbolenze sulla pala del timone. Per il resto lo spettacolo è garantito tanto che ogni giorno frotte di turisti si affacciano dai ponti che collegano le due sponde, per ammirare il passaggio delle barche.

 

 

 

Da questa foto, più che in altre, si nota la “briglia" dei cavi del rimorchiatore il quale con piccoli aggiustamenti del timone riesce a tenere in rotta la nave che in ogni caso usa i propri mezzi Timone e Motore).

 

 

 

 

 

Chiudiamo questa carrellata d'immagini della CORINTO navale con il nostro adorato SCIPIO (dott.Scipione D'Este) che tanto ha donato a tutti noi di Mare Nostrum e alla città di Rapallo.

 

 

I DINTORNI DEL CANALE

In superficie è oggi attraversato da diversi ponti: per la linea ferroviaria, per una strada locale e un’autostrada a due carreggiate e un collegamento pedonale. Risalgono alla fine degli anni ottanta i due ponti mobili sommergibili collocati alle sue estremità, a Isthmia e Poseidonia. Abbassano il loro impalcato per 8 metri sotto la superficie dell’acqua per consentire il passaggio di imbarcazioni senza limiti di altezza, permettendo il passaggio dei veicoli terrestri.

La città sorge alle pendici del monte Acrocorinto, proprio sull’istmo di Corinto. Il Canale di Corinto collega il golfo omonimo con il Mar Egeo ed il Golfo Saronico e trasforma l’istmo in qualcosa che si può considerare quasi a sé stante, quasi un’isola, oggi una terra nota come Peloponneso.

Un tempo Corinto era una delle città più importanti della Grecia e lo è rimasta, nel Medio Evo ha visto nascere sulla sua area le fortificazioni di Acrocorinto, l’acropoli, odierna “Corinto Alta”, un terremoto ha distrutto poi quasi tutta la città, poi ricostruita 9 km a nord di quella antica.

 

 

 

“INNO ALL’AMORE” DI SAN PAOLO TRATTO DALLA PRIMA LETTERA AI CORINZI

 

 

“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,

ma non avessi l’amore,

sono come un bronzo che risuona

o un cembalo che tintinna.

E se avessi il dono della profezia

e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,

e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,

ma non avessi l’amore, non sarei nulla.

E se anche distribuissi tutte le mie sostanze

e dessi il mio corpo per esser bruciato,

ma non avessi l’amore, niente mi gioverebbe.

L’amore è paziente,

è benigno l’amore;

non è invidioso l’amore,

non si vanta,

non si gonfia,

non manca di rispetto,

non cerca il suo interesse,

non si adira,

non tiene conto del male ricevuto,

non gode dell’ingiustizia,

ma si compiace della verità.

Tutto copre,

tutto crede,

tutto spera,

tutto sopporta.

L’amore non avrà mai fine”.

Per chi ama la Storia Antica e l’Archeologia riporto dal sito ROMANO IMPERO il seguente LINK:

CORINTHUS - CORINTO (Grecia)

https://www.romanoimpero.com/2016/01/corinto-grecia.html?hl=en

 

 

MELTEMIUN VENTO DA NON SOTTOVALUTARE

 

 

 

 

Il Meltemi greco: vento amico o nemico?

https://www.yachting.com/it-it/news/the-greek-meltemi-friend-or-foe

NAVIGARE CONTRO MELTEMI ? di Marinella Gagliardi Santi

https://www.marenostrumrapallo.it/maltemi/

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 29 Dicembre 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Lunazioni, stagioni e segni zodiacali - 2023 - IL SESTANTE

 

  2023  

Commenti astronomici

www.ac-ilsestante.it    sestanteinfo@libero.it

Capodanno è di Domenica e, come quasi tutti gli anni (ad eccezione degli anni bisestili), anche l’ultimo dell’anno, cade nello stesso giorno: Domenica.

L’anno inizia con Luna crescente e termina con Luna calante.

L’Equinozio di Primavera è Lunedì 20 Marzo alle 22:26.

La 1^ Lunazione, detta Lunazione di Primavera, è Martedì 21 Marzo alle 18:27.                      

Per fissare la data della Pasqua (secondo il metodo canonico), si aggiungono 14 giorni al 21 Marzo e, nella prima domenica successiva, si fissa la data della Pasqua: 9 Aprile.

E’ una Pasqua media * come nel 1871, 1882, 1939, 1944, 1950, 2023, 2034, 2045 …

In Agosto vi sono 2 Lune Piene che si vedono più grandi del solito, perché la Luna è più vicina alla Terra; la Luna Piena di Giovedì 31 Agosto, è chiamata Luna Blu *, perché è la 2^ Luna Piena del mese (è bene precisare che la Luna non è di colore blu).

Eclissi - 20 Aprile Eclissi anulare di Sole non visibile dall’Italia - 05 Maggio Eclissi parziale di Luna visibile dall’Italia al tramonto - 14 Ottobre Eclissi anulare di Sole non visibile dall’Italia - 28 Ottobre Eclissi Parziale di Luna visibile dall’Italia alla sera  

Ora Legale Estiva alle ore 02:00 di Domenica 26 Marzo, si portano gli orologi avanti di 1 ora e alle ore 03:00 di Domenica 29 Ottobre, si portano gli orologi indietro di 1 ora ovvero alle ore 02:00 (la 2^ ora dalle 02:00 alle ore 03:00 è denominata, agli effetti di legge, Ora bis) *.

* La Pasqua bassa è dal 22 Marzo al 2 Aprile – La Pasqua media è dal 3 al 13 Aprile – La Pasqua alta è dal 14 al 25 Aprile.

 * Secondo alcuni studiosi, il termine Luna Blu deriva dall’usanza inglese di stampare sui calendari, di colore blu, la 2^ Luna Piena del mese, per distinguerla dalla prima. E’ abbastanza raro che vi siano 2 Lune Piene in un mese e, per questo motivo, gli inglesi dicono Once in a Blue Moon = Una volta ogni Luna Blu che è simile a Una volta ogni morte di Papa.  

* Domenica 29 Ottobre, ritorniamo all’Ora Solare Media del 1° Fuso Est e tutto il Fuso ha la stessa Ora Solare Media del Meridiano di Longitudine 15° Est, passante per l’Etna e Termoli, pertanto non passiamo all’Ora Solare vera (come dicono gli organi di informazione), perché ogni località ha un’Ora Solare vera diversa, a seconda della sua Longitudine e, per ovviare a questa diversità, nel 1866 venne unificata l’ora in tutta l’Italia.

 

 

 

  2023

Lunazioni, stagioni e segni zodiacali

 

 

 

Associazione Culturale

Il Sestante

31 Dicembre 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


UNA LETTERA DAL MARE ...

Una Lettera dal mare… 

di Mario Terenzio PALOMBO

 

Quando nel lontano 2006 dovetti sbarcare, per motivi di salute, dalla Costa Fortuna, sentii il bisogno di informare i miei ufficiali del mio, purtroppo, definitivo ritiro in pensione.

 

Come sapete, il giorno 11 Settembre 2006, nel porto di Napoli, sono stato costretto a lasciare il comando della “Costa Fortuna” (nella foto) per motivi di salute. Non credevo di finire così la mia carriera. Sbarcare in ambulanza ha provocato una ferita al mio orgoglio professionale che ha richiesto diversi mesi per rimarginarsi. Ringrazio tutti per l’interessamento nei miei confronti e l’assistenza che io e mia moglie abbiamo avuto in questa occasione. Ora mi sono completamente ristabilito, ma il cardiologo mi consiglia di evitare stress causati dal comando di una nave. Sarei tentato di non seguire questo consiglio: questo tipo di stress per me è piacevole perché deriva da un lavoro fatto con passione. Mi auguro che gli Ufficiali che sono stati sotto la mia direzione si ricordino dei miei insegnamenti. Ho cercato di trasmettere loro coraggio, passione e serietà professionale.

 

 

In piedi, da sinistra mia figlia Daniela, mio fratello Terenzio e l'Assistente sociale. Seduti, da sinistra Fabiano un amico di mio padre, mio padre; alla mia sinistra, mia moglie Giovanna.

Soprattutto ho insegnato loro l’arte del navigare, quella che io ho appreso da mio padre, vecchio lupo di mare, che non sarà mai superata dalla moderna tecnologia, e che fa di un Comandante un vero “Uomo di Mare“. Cordiali saluti e buon Lavoro.

Qualche tempo fa ho ricevuto, per posta elettronica, da un mio ufficiale che ricordo benissimo perché gli avevo dato dei preziosi consigli in quanto aveva un’ottima preparazione professionale, ma manifestava delle difficoltà ad integrarsi con la vita di bordo. La lettera mi ha molto commosso perché significava che ero veramente riuscito, durante la mia carriera al comando, a dare un buon esempio ed insegnamenti utili ai miei ufficiali, che ne avevano fatto tesoro. Perciò ne voglio pubblicare il contenuto:

 

Simone Canessa

Buongiorno Comandante, probabilmente non si ricorderà subito di me, sono Simone Canessa ed ebbi l’onore di iniziare la mia carriera sul mare sotto suo comando nel 2005 e nel 2006, come allievo ufficiale di Coperta, rispettivamente sulla “Costa Fortuna” e sulla “Costa Atlantica”. Le scrivo (ho avuto questo indirizzo dal Sig. Console d’Italia in San Juan P.R.) perché ho avuto occasione di leggere, pubblicata sulla rivista aziendale, la sua lettera. Mi è molto dispiaciuto venire a conoscenza di ciò che le è accaduto solo dopo così tanto tempo, e in questa maniera così inusuale, ma ancora di più mi dispiace per ciò che le è successo. 

Spero che oggi quel problema di salute si sia completamente rimarginato e che non le impedisca di godersi con la dovuta tranquillità il suo meritato riposo.

C’e anche un’altra parte della sua lettera che mi ha molto toccato, quella in cui parla ai suoi Ufficiali degli insegnamenti che ha dispensato nella sua lunga carriera da Comandante. Ecco, io volevo ringraziarla proprio per questo. Mi rendo conto solo ora, dopo diversi anni, di quanto sia stato importante avere una persona come Lei al Comando, e solo oggi riesco a cogliere ciò che intendeva trasmettere a me e agli altri Ufficiali. Oggi sono riuscito a diventare Terzo Ufficiale, sono stato promosso all’esame per il titolo professionale  con i complimenti della Commissione esaminatrice, riesco a svolgere il mio lavoro con l’apprezzamento degli altri, mi sono appassionato all’astronomia, riesco finalmente a calcolare con precisione la posizione con le 4 stelle al crepuscolo e con il sole a mezzogiorno, queste e tante altre cose, e per tutto questo devo ringraziare Lei, perché anche se forse Lei non ha mai avuto modo di accorgersene, Lei mi ha sempre ispirato a diventare un Ufficiale, un Lupo di Mare, come scrive nella sua lettera. Un Ufficiale che sa guidare la sua nave anche solo grazie alle sue capacità. Certo sono ben lungi dal rispecchiarmi in queste definizioni che ho appena dato, troppe cose devo ancora imparare e tanta esperienza ho ancora da acquisire, però ci tenevo molto a dirle che se un giorno riuscirò nel mio intento sarà solo grazie a Lei e grazie ai suoi insegnamenti. La cosa che più le ho invidiato, nel senso buono del termine, è la sua lunga esperienza, la sua professionalità che andava ben oltre le ultime innovazioni tecnologiche, quella sensazione palpabile che Lei, in ogni momento, grazie ai suoi segreti, avrebbe potuto condurre la nave a destinazione da solo con le sue conoscenze, senza alcun ausilio moderno. E rubarle, sempre nel senso buono del termine, questi segreti è stato il mio obiettivo. Avrei voluto tanto ringraziarla di persona, e mi creda, una delle cose a cui tenevo molto era diventare il suo Primo Ufficiale un giorno, per avere l’onore di navigare con Lei in una posizione così prestigiosa e dimostrarle che la pazienza che ripose in me a suo tempo fu ben riposta. Purtroppo il destino ha deciso in maniera diversa, non so nemmeno se avrò mai l’occasione per stringerle la mano e dirle grazie di persona, per questo sono qui a scriverle questa lettera. La ringrazio di nuovo, Comandante. Mando i miei migliori saluti a Lei e alla sua gentile Signora. Buona giornata. Simone Canessa. Terzo Ufficiale di Coperta. Costa Fortuna.

 

Sono certo che un giorno, in una delle mie vacanze a bordo delle navi “Costa”, incontrerò questo bravo ufficiale e potremo con piacere stringerci la mano.

Dopo 43 anni dedicati alla mia professione, il mare e le navi saranno  per sempre la mia passione, ma non mi resta ora che augurarmi di recuperare in futuro, vivendo in salute e serenità, gli affetti familiari che ho dovuto trascurare vivendo da “Uomo di Mare”.  

 

Un saluto dal comandante Mario Terenzio Palombo

      

ALLESTIMENTO E COMANDO DELLA 

COSTA FORTUNA

di

C.S.L.C Mario Terenzio PALOMBO

 

https://www.marenostrumrapallo.it/fortuna/

 

Rapallo, 15 Dicembre 2022

 

 

 


LUIGI ONETO, UN COMANDANTE DI ALTRI TEMPI

 

COMANDANTE LUIGI ONETO

di Camogli

Introduzione

“ NAVIGARE NECESSE EST, VIVERE NON EST NECESSE ! ”

” Navigare è indispensabile, vivere no ! “

E’ l’incitazione che, secondo PLUTARCO, Pompeo diede ai suoi marinai, i quali opponevano resistenza ad imbarcarsi alla volta di ROMA a causa del cattivo tempo.

Ma chi é il navigante ?

Il 2012 é l’anno del TITANIC, il successivo sarà quello del REX per gli 80 anni del suo Nastro Azzurro. Gli scaffali della ‘Libreria del Mare’ traboccano di ciminiere colorate, e pare che le prue delle navi passeggeri stampate in copertina si stacchino in cerca di un ormeggio in porto. Ne prendo uno a caso, e comincio a sfogliarlo ponendomi la stessa domanda di sempre:

“Ci sarà un’anima in questo libro? Oppure sarà la solita ricerca d’archivio con belle immagini risanate al computer? Sarà il frutto del committente di turno in cerca di propaganda familiare e aziendale, oppure  scoprirò finalmente un nuovo scrittore di talento?”

Alla fine ci casco sempre e passo all’acquisto. La mia libreria casalinga ormai rolla e beccheggia come un vapore nella burrasca. Poi, a malincuore, annoto la solita delusione. La letteratura marinara italiana soffre di un mal di mare inguaribile. Ci racconta di liners e di celebrate compagnie di navigazione, di navi sempre più grandi ed efficienti, di eccezionali strumentazioni collegate a progressi scientifici spaziali, senza mai raccontare alcunché della vita di bordo, degli equipaggi, degli uomini che le comandano nelle bonacce e nelle tempeste negli irrequieti Seven Seas. Mi prende la nostalgia per il passato e penso a Vittorio G.Rossi che il mare l’aveva dentro e sapeva ‘sbattercelo’ in faccia con tutti i suoi umori salmastri. Ma di lui si parla poco o niente, i suoi scritti sono introvabili, e mi manca soprattutto quando i tragici  fatti dell’Isola del Giglio, mi ricordano quanto poco si sappia degli uomini mare, di quella razza che vive sospesa nel cavo dell’onda come recita il detto:

“ I vivi, i morti e i naviganti ”

Tutto ciò mi rattrista perché rivela un diffuso malessere in questo ‘Paese di poeti, santi e navigatori’ che stenta a sollevarsi, a guardare oltre la linea dell’orizzonte e a prefigurarsi un futuro degno della sua invidiabile tradizione.

Quando i ‘topi d’archivio’ riempiono le librerie di mare senza dire nulla di marinaro, significa che lo ‘stivale’ non é più in mezzo al mare, ma si é spostato in una grande palude. Forse é lo stesso scenario immaginato da Seneca già duemila anni fa quando scriveva:         

“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare!”

Chi invade il campo marinaro senza rendergli giustizia commette un errore gratuito di valutazione, ma é quasi sempre esente da colpe. Occupare uno spazio vuoto é un rito meccanico, fisiologico, lo si compie per colmare un vuoto lasciato intenzionalmente per motivi a volte insondabili di chi glissa sulla propria vita; é una scelta meditata e riveste la sfera privata. Il marinaio accetta di lasciare la terra e viaggiare in incognito verso una via che anno dopo anno lo allontanerà dagli affetti più cari e dagli antichi compagni di scuola. Sa di appartenere ad un mondo che non é in vendita, ma che premia i suoi figli migliori e respinge con crudeltà quelli più arrendevoli. A suo modo si sente un privilegiato, un uomo scelto dall’alto per una missione impegnativa che lo riempie di visioni e conoscenze vere, non virtuali, di sentimenti forti, non potenziali e fittizi.

A volte succede che il navigante decida di raccontare qualcosa degli strani labirinti esistenziali della vita di bordo, ma a questo punto affiora un’altra anomalia. Egli ha già messo nelle mani di Dio le sue confessioni ed ha già perdonato il male ricevuto. I suoi personaggi non sono più esseri umani impastati di bene e di male, come accade in ogni angolo della terra, ma sono compagni d’avventura o di sventura che vanno capiti e perdonati perchè accomunati dallo stesso destino. In questi racconti non c’è spazio per l’orgoglio ferito, i rancori, le invidie, gli errori fatali, le cattiverie reciproche, la diffamazione e le critiche gratuite.

Quando la nave arriva in porto, il navigante dimentica e si rigenera, si trasforma e risorge. L’incubo di una ‘nave-cella’ in mezzo al mare svanisce con un colpo di ‘redazza’ ben assestato tra le mura di casa cancellando ogni brutto ricordo residuo.

Come per incanto, la ferita cessa di sanguinare e il suo racconto s’intreccia con  ricordi falsati e sbiaditi, con piccole bugie ed omissioni. La sua purificazione é rapida e completa. La rassegnazione è il sentimento che resta in sospeso, ma non é mai in discussione, bensì il prezzo da pagare per chi é nato lì, dove arriva e riparte il mare. Passano i giorni e si fa sotto l’ansia che deve imbarcare, soffrire, condividere il viaggio con i nuovi compagni, morire un’altra volta, risorgere e poi dimenticare.

L’uomo di mare non é un santo!

Il suo mondo é inflazionato d’arrivisti, carrieristi e gelosi della propria professione con atteggiamenti a volte molto discutibili, proprio come un qualsiasi manager di terra, ma a differenza di questi, percepisce i rintocchi della campana di bordo come il monito che batte il trascorrere del ‘tempo’ ma anche il suo inesorabile cambiamento: l’imminenza della tempesta, dei pericoli nautici rende tutti uguali dinanzi a Dio, nell’umiltà, nella prudenza, nella sofferenza e nella speranza di uscirne vivi.

L’etica del capitano di mare sta nel tenere costantemente sotto osservazione due bussole:

Quella di bordo, che gli indica la direzione da seguire con i ben noti

punti cardinali:

Nord-Est-Sud-Ovest

Quella che ha dentro di sé, che gli indica le:

virtù cardinali:

prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.

I divi-capitani sono sporadiche eccezioni che, prima o dopo, smarriscono queste bussole pur sapendo che il dio-mare non accetta sfide e non sa perdonare. Mai!

Qui finisce la storia che é vecchia come il mondo. Il valore di certi libri  non può che essere monco, anzi, senza anima. Il ‘topo d’archivio’ scrive di navi, ma non vanta alcuna conoscenza dell’umanità marinara. Egli non può intuire le modalità che ogni capitano usa di volta in volta per consegnarsi alla nave, dandole il suo carattere, persino il proprio linguaggio, vivendo in simbiosi con essa come fosse un inconfessabile amante. Questo legame é fortissimo e fa parte di una giungla di sentimenti difficilmente comprensibile ad un estraneo a questo mondo arcaico, leggendario, superstizioso, a suo modo spirituale e religioso, a volte anarchico verso la terra matrigna e lontana che non lo capisce.

Talvolta i rapporti umani tra i membri dell’equipaggio possono complicarsi  e assumere risvolti psicologici inafferrabili che, senza voler scomodare J.Conrad costituiscono, ancora oggi, materia d’indagine per corsi universitari di psichiatria. Se il comandante é nervoso, il suo malumore si diffonde come un ordine calato vertiginosamente dal vertice della piramide fino alla base attraverso persone con gradi e responsabilità diverse. La nave percepisce qualsiasi anomalia e risponde, a modo suo, con vibrazioni e lamenti che il suo comandante interpreta come segnali di buona o cattiva navigazione.

Non molti lo sanno, ma la nave é fortunata o sfortunata, allegra o triste, ubbidiente o capricciosa; essa é come la vuole il suo Capitano e, quando questi scende a terra, entra in sofferenza e spesso si ammala.

Un tempo, proprio sulle navi di cui tra poco ci occuperemo, si diceva:

‘Se il Comandante é felice, lo é tutto l’equipaggio!’

CAPITANI D’ALTRI TEMPI…

IL COMANDANTE LUIGI ONETO

L’imbarco sul  REX. In guerra sulla VIRGILIO. L’affondamento dell’ADREA DORIA. Il comando sulla MICHELANGELO e RAFFAELLO.

Il dott. Gianni Oneto ci racconta suo padre.

Il Capitano Superiore di Lungo Corso Luigi Oneto di Camogli

L’uomo di mare che oggi vi presentiamo meriterebbe una biografia ben più completa della modesta intervista che segue, se non altro per il lungo e complesso percorso iniziato sette anni prima della Seconda guerra mondiale e terminato con l’esplosione del mondo crocieristico negli anni ’70.

Per capire il mondo del com.te Luigi Oneto occorre partire da lontano, da un dato terribile: il 10 giugno del 1940 l’Italia entrava in guerra con circa 3.500.000 di tonnellate di naviglio. A guerra terminata poteva contare soltanto su 300.000 tonnellate. Oltre trentamila furono i marittimi uccisi. Tra i superstiti vi furono  sicuramente i più fortunati, ma questi si erano fatti più forti, più duri essenzialmente in virtù delle esperienze belliche e para-belliche vissute sulla propria pelle.

Ognuno di loro raccontò la ‘sua’ storia privata ricca d’insidie soltanto in famiglia e agli amici: bombe d’aerei che cadevano a grappoli intorno alla nave, sfiorate decine e decine di mine sparse in mezzo al mare, siluri evitati per pochi centimetri, navi affondate, equipaggi recuperati e poi affondati per la seconda volta nello giorno, come capitò a tanta gente di mare in quei terribili frangenti.

Quante storie ignorate e dimenticate! Quante biografie scritte sull’acqua e spazzate via dalle onde oltre quella linea d’ombra che é già … al di là!

Il comandante Luigi Oneto fu uno di loro. Un superstite, un reduce che, grazie alla sua fermezza e al suo coraggio, divenne uno dei più brillanti Capitani di Mare del dopoguerra. Di lui esiste solo qualche articolo di giornale ormai ingiallito e qualche notizia presso qualche Associazione di ‘vecchi marinai’ come la nostra.

Leggendo il curriculum del comandante Luigi Oneto, mi sono reso conto d’averlo ‘sfiorato’ diverse volte nei primi anni ’60, durante i miei imbarchi da Allievo Ufficiale sulle M/n Saturnia-Vulcania-Marco Polo della Società Italia. Purtroppo, non feci in tempo a conoscerlo neppure quando entrai nel Corpo Piloti del Porto di Genova, perché era da poco andato in pensione. L’anno in cui raggiunsi il mio ‘retire’ il comandante Oneto mancò. Nella Società Capitani e Macchinisti di Camogli, che ripresi a frequentare negli anni successivi, era ancora vivissimo il suo ricordo umano e professionale. Per ricostruire a grandi linee la sua carriera, ho pensato di affidarmi ai ricordi del figlio Dott. Gianni Oneto, con la speranza di cogliere e ‘salvare’ alcuni dati peculiari del suo carattere, la comprensione etica e morale dell’uomo che ha fatto anche discutere molti ‘terrestri’, ma facendo trionfare, alla fine, l’onestà, l’onore e le capacità professionali di un vero marinaio ligure. Ma veniamo alla prima domanda:

–  So che lei si é diplomato all’Istituto “Nautico” S.Giorgio di Genova, ha navigato come ufficiale e si é laureato in Economia Marittima all’Università di Napoli. Dott. Oneto abbiamo in mano il ‘Libretto di Navigazione’ di suo padre.  Ritorniamo indietro nel tempo e proviamo ad imbarcarci con lui.

Mio padre nacque a Genova nel 1911 da genitori di antica tradizione marinara di Camogli, fu  l’ultimo di dieci figli, di cui sette sono arrivati alla vecchiaia!

All’età di vent’anni, di propria volontà, scelse la vita di mare. 
Si diplomò nel 1933 presso l’Istituto Nautico di Camogli. 
I primi imbarchi li fece con la Società Alta Italia (Armam. Piaggio) sui piroscafi Perseo, Mongioia, Montello e Monfiore, anche se il primo imbarco lo fece sul P.fo Ravenna (la prima nave da carico dei Costa).

Non era più un ragazzino, in realtà, di quei primi imbarchi so molto poco. Erano gli anni della grande depressione economica mondiale e l’armatore per riuscire ad avere un margine accettabile tra noli incassati e costi variabili della nave faceva il massimo delle economie imponendo agli equipaggi turni  pesanti (4h di guardia e 4h di riposo). Persino alcune casse-acqua di bordo erano riempite di carico. Per quel che ne so, la nave portava carbone dall’Inghilterra all’Argentina e ritornava verso l’Europa con grano; oppure facevano scalo nel Golfo del Messico. L’acqua, come si diceva, era sacrificata al carico, quindi era sempre razionata. La cosa che amava ricordare da vecchio, era un ingegnoso sistema, di cui non ricordo i dettagli: si trattava di un grosso straccio pulito usato per lavarsi con pochi litri d’acqua di lavanda al giorno. Ce lo raccontava in modo divertente, ma anche con orgoglio. Non so perchè, ma le mie sorelle ridevano come matte. Forse non immaginavano quanto la finissima polvere di carbone, caricato fino alla ‘marca’, penetrasse dovunque e coprisse completamente la nave come un velo.

Le autostivanti erano ancora di là da venire. Le soste nei porti duravano settimane e gli equipaggi apprezzavano molto la navigazione in banchina! Una volta chiesi a mio padre se la guardia 4+4 era molto pesante, lui mi rispose: “No, non é pesante, perché una volta in banchina sostavamo per almeno 15 gg. e senza nemmeno troppi vincoli ” Mio padre non si lamentava mai !

–  Di suo padre si dice che fosse un Comandante di altri tempi, un uomo  carismatico, un professionista esemplare; severo come tutti i padri del dopoguerra. Com’era tra le mura domestiche tra un imbarco e l’altro?

Mio padre fu un uomo del suo tempo che visse la sua carriera nell’ascesa, il culmine e la fine del periodo d’oro dei grandi transatlantici. Andò in pensione a 60 anni nel 1971, quando ormai tutte le nazioni di grande tradizione marinara smobilitavano o convertivano i loro liners in navi da crociera.

Ripeto, fu l’ultimo di dieci figli e credo che ciò abbia influito, non poco, sul suo carattere aperto e cordiale, ma anche sulla sua ‘filosofia di vita’, in tutti i sensi.

Si reputava, con sincera modestia, il più normale degli uomini. Di certo non era il tipo da lambiccarsi il cervello per cose più grandi di lui…

Quando era in licenza, oppure a casa per una o due sere, usava, come si suol dire, ‘tirare giù la saracinesca’. Invitare un collega a casa anche soltanto per un’ora, era cosa rarissima; poteva forse capitare, una volta ogni 2 o 3 anni. Dei fatti di bordo parlava pochissimo, almeno in nostra presenza ed il suo  tempo lo dedicava interamente alla famiglia, al bricolage domestico ed al contatto con i fratelli,  sorelle e le rispettive famiglie.

Bene! Ora andiamo a conoscere le navi della Società Italia su cui fu imbarcato il comandante Luigi Oneto.

 

M/n AUGUSTUS in navigazione nella versione anteguerra

La prima nave della Soc. Italia su cui imbarcò fu la vecchia AUGUSTUS. Poi, nel 1938, inaspettatamente, si ritrovò con il grado di 3° ufficiale sulla nave REX. Credo che mio padre si sentisse molto orgoglioso di far parte dello Stato Maggiore della nave-simbolo dell’Italia sul mare e di essere a tal fine stato scelto dalla Società.

 

 

Il REX in navigazione. La nave che vinse il “Nastro Azzurro” rimase per  sempre nel cuore del comandante Luigi Oneto.

 

New York – Il REX (il primo a sinistra) é ormeggiato al Pier 84 della Soc. Italia di Navigazione. Negli altri Piers si notano i più grandi “liners” dell’epoca.

 

–  Il REX era anche la nave più tecnologica dell’epoca. Ricorda qualche suo aneddoto?

Tutta la nuova tecnologia dell’epoca era applicata su quella gigantesca nave, di certo imparò molto dal lato professionale. In famiglia si ricorda per esempio, che mio padre  ebbe a dire che a bordo di quel ‘gigante’ c’erano troppi ‘scienziati’. Un modo di dire certamente, ma che rivelava quanto poco ammirasse chi cercava di mettersi in mostra. Per lui la parola ‘scienziato’, come veniva usata a bordo, non era un gran complimento. Un complimento era semmai ‘cervellin’, detto proprio in genovese, con cui s’intendeva un tecnico molto preparato sul piano teorico, ma anche molto bravo e pronto a risolvere velocemente qualsiasi problema, tipo quelli che ogni ora a bordo il cielo ci manda”. Lui era assolutamente certo di non appartenere a nessuna delle due categorie.

Delle navi passeggeri, credo che in fondo gli piacesse il fatto di essere in mezzo a tanta gente, di ogni razza e provenienza, due volte per ogni viaggio: andata e ritorno. I grossi ‘Liners’ di quei tempi, occorre ricordare, non portavano solo i ricchi in prima classe, ma anche tanti tristi emigranti in cerca di lavoro e fortuna al di là dell’Oceano Atlantico. Questa complessa convivenza sociale a bordo era spesso sottolineata da mio padre.

–  Quali furono le altre navi su cui imbarcò suo padre nel periodo tra le due Grandi Guerre?

Nella seconda metà degli anni trenta, oltre che sul vecchio AUGUSTUS e REX navigò anche sulla  PRINCIPESSA GIOVANNA. (vedi foto sotto)

–  Può dirci qualcosa sull’arruolamento degli ufficiali della Società Italia.

A quel tempo si diceva che solo la ‘crema’ degli ufficiali usciti dai Nautici italiani sarebbe entrata a far parte degli organici della Società Italia. Mio padre entrò in ‘organico’ nel Ruolo Navi Passeggeri all’inizio del 1940 e fu una vera tappa miliare nella sua vita di giramondo, o meglio, di tranviere dell’Atlantico, come avrebbe detto Lui!.

All’epoca, per gli ufficiali di coperta e di macchina, c’erano due Ruoli: il ‘Ruolo Carico’ e il ‘Ruolo Passeggeri’, che erano  assolutamente impermeabili tra loro. Nel primo Ruolo la carriera era più rapida, perché erano richieste meno attitudini. Nel secondo Ruolo, come vedremo, gli avanzamenti di grado erano lentissimi.

–  Ritorniamo al Libretto di Navigazione.

La M/n VIRGILIO (gemella della ORAZIO) *

Nel Marzo del 1940 mio padre imbarcò sulla M/n VIRGILIO. Era una nave mista che operava sulla linea del Centro America-Sud Pacifico sino a Valparaiso (Cile). Fu un imbarco lunghissimo: oltre tre anni. Su questa nave navigò in qualità di ufficiale capo-guardia e, conoscendo il suo carattere, immagino che ne fosse felice. Su quella linea, forse la più interessante tra quelle battute dalla Società Italia, portò a termine oltre 50 viaggi in tutta la sua carriera.

Mio padre, navigando tra le sponde degli oceani, ‘viveva e respirava’ – più di tanti altri – i tragici venti bellici, e la dichiarazione di guerra all’Inghilterra gli parve una pura follia… Ma per tutto quel che ho letto in seguito, oltre ai ricordi personali, quel tipo di valutazione personale, sia tra gli ufficiali della marina mercantile che di quella militare, era tutt’altro che isolata o limitata ai gradi inferiori. Per farsene un’idea abbastanza precisa, era sufficiente considerare lo sviluppo industriale anglo-americano di quegli anni, per non cadere in certe scelte politiche…

Comunque, mio padre fece in tempo a rientrare in Italia dal viaggio e la sua nave fu prudentemente fermata a Genova, come altre unità del gruppo IRI.

– Adesso sono io che le propongo una domanda:

“Perchè l’IRI fermò un numero non indifferente delle sue navi mentre, com’é noto, le navi degli Armatori privati continuarono a partire dai porti italiani per ogni dove, praticamente fino all’ultimo giorno di pace ?

 

–  Sono sicuro che qualche storico di professione interverrà per dipanare questi dubbi (politici) su quella delicata fase storica del nostro Paese.

Eravamo rimasti all’inizio della guerra…

Ai primi di Giugno del ’40, mio padre pensava che la storia italiana avesse imboccato una strada di non ritorno e che la guerra fosse ormai imminente. Così fu, ed  il 10 Giugno toccò al nostro Paese entrare in guerra.

Ormai, la soddisfazione professionale che mio padre assaporò pochi mesi prima, si era ridotta a ben poca cosa. Sono comunque sicuro che non stette molto a pensare sul da farsi; non perdeva mai tempo a lambiccarsi il cervello sulle cose impossibili, sia in mare, sia nella vita privata. A quel punto, forse si rallegrò di non essersi ancora sposato, e sapeva che sua madre e le sue sorelle si sarebbero facilmente ‘imboscate’ nella casa di Pissorella sulle alture di Camogli. In quella casa che era appartenuta a suo padre e prima ancora a suo nonno, andavano del resto tutte le estati.

 

La VIRGILIO dopo la trasformazione in nave-ospedale

L’incendio scoppiato a bordo della VIRGILIO dopo l’attacco aereo del 9 luglio 1941

Una bella immagine della VIRGILIO alle boe

Aspettò ben poco tempo. La VIRGILIO su cui era imbarcato, fu rapidamente trasformata in Nave-Ospedale. L’equipaggio di coperta e di macchina della Società Italia rimase a bordo ‘militarizzato’, mentre dalla Regia Marina giunse il personale medico e RT.  Su quell’unità mio padre rimase oltre 3 anni senza sbarcare. Sostanzialmente i viaggi erano sempre gli stessi: Napoli-Porti Libici e ritorno, con Sicilia e isole minori sovente incluse. Tra l’altro rifiutò uno scambio con un collega pari grado, che lo avrebbe portato ai lavori a Genova (ossia a casa) per la trasformazione  di una nave passeggeri italiana (la ROMA n.d.r.) nella portaerei AQUILA. (Andò a finire che l’Aquila non si fece più, e il suo collega morì in guerra).

In teoria, una ‘Nave Ospedale’, non avrebbe mai dovuto essere coinvolta in operazioni belliche navali, ma non fu così, perché spesso gli equipaggi si trovarono sotto i  bombardamenti aero-navali, mitragliamenti vari e susseguenti incendi; ci furono pure la morte del comandante a bordo, varie vittime, ed ordini assurdi di Supermarina. Per ogni viaggio la nave trasportava centinaia e centinaia di soldati feriti o morenti di ritorno dal fronte. In seguito ricordava quel periodo con tanta tristezza per lo scempio di vite umane cui aveva assistito.

–  Dove si trovava suo padre l’8 settembre del 1943?

Mio padre sbarcò  a La Spezia il 9 Settembre del 1943 per ordine della Società. La flotta navale di stanza a Spezia era partita nella notte, quel famigerato 8 Settembre con la nuovissima corazzata ROMA che affondò subito dopo, come sappiamo, fuori dell’Asinara. Mio padre aveva poco ‘penchant’ per le cose militari e non  ricordava nulla di quel movimento di navi da guerra. La sua nave-ospedale, nell’attesa di fare lavori di manutenzione, credo sia stata saccheggiata e quindi sequestrata dai Tedeschi in quei terribili giorni di caos.

Il lato paradossale della sua carriera militare come ‘guardiamarina’, sta nel fatto che non dormì mai una notte in caserma (la legge di allora lo prevedeva, perché era il quinto figlio maschio, di cui quattro avevano già prestato il servizio militare).

La sera del 9 Settembre tornò nella casa sopra Camogli, dove nel frattempo si erano trasferiti anche i fratelli sposati con le relative famiglie.  Iniziò per lui un periodo molto particolare.

Non aver nulla da fare è la peggior disgrazia che possa capitare a chiunque, ma soprattutto a chi lavorava e vegliava anche nelle ore di riposo, proprio come succedeva agli uomini di mare in navigazione su percorsi di guerra, tra agguati di sottomarini e mine più o meno vaganti. Questo capitò a mio padre.

In realtà, dopo l’8 settembre, egli era confinato in quella casa in una sorta di “arresti domiciliari” ma, paradossalmente, non poteva farsi trovare in casa se l’avessero cercato i nazi-fascisti. La casa e il giardino erano molto grandi e, tra un lavoretto e l’altro, aveva studiato e predisposto tutte le possibili vie di fuga verso il ‘monte’ di Portofino. Usciva solo di notte con il coprifuoco ed andava a far legna sulle colline circostanti. Sin da bambino conosceva tutte le ‘creuse’ delle nostre colline. I fratelli avevano una decina d’anni più di lui e non avevano problemi, al di là delle restrizioni belliche. Suo fratello il commissario, a furia di richiami, era diventato tenente di vascello ed era rimasto al sud. Non ne seppero più nulla sin dopo il 25 Aprile 1945. I tedeschi, nel frattempo, avevano chiesto di mio padre alla Società Italia per rispedirlo sulla VIRGILIO. Ne scaturì un nulla di fatto. La Società in qualche modo dovette aiutarlo, perché nessuno venne mai a cercarlo, per di più era proprio a casa sua…

Un suo fratello medico, periodicamente, gli faceva ottenere qualche certificato. Tutti lo conoscevano, sapevano o immaginavano che se non era nella sua abitazione a Camogli  doveva trovarsi sicuramente in villa o nascosto da qualche parte sulle alture.

Mio padre rifiutava d’andare in guerra a combattere contro suo fratello rimasto al Sud. Se i tedeschi l’avessero scoperto, si sarebbe giocato l’ultima carta arruolandosi nelle Brigate Partigiane della Liguria, facili da raggiungere da Ruta.

Gli andò bene! I tedeschi non bussarono mai alla sua porta, ed é molto strano, visto che il Comando tedesco alloggiava in una villa distante solo qualche centinaio di  metri. Credo che la gente di Pissorella lo abbia in qualche modo protetto. Dirò forse una banalità, ma credo che mio padre e i suoi fratelli fossero benvoluti da tutti e non stessero proprio  sui ‘cosiddetti’ a nessuno.

Trascorse 20 mesi da recluso, ma anche da fuggiasco, passando dalla noia alla tensione, dalla preoccupazione per i fratelli in guerra, alla tristezza di non poter essere utile a nessuno. Fumava, ma non aveva né sigarette né soldi, però si innamorò di mia madre che si trovava in frangenti anche più difficili, ma almeno poteva muoversi liberamente.

Sono certo che entrambi uscirono indenni dalla guerra con l’assoluta desiderio di dimenticare in fretta tutto quanto era successo. Li attendeva un mondo completamente rinnovato che andava affrontato con nuovi ideali e nuove forze, nonostante le ristrettezze economiche impensabili per tutti solo pochi anni prima.

Racconto soltanto un piccolo dettaglio che ritengo sia indicativo del pacifismo praticato dalla mia famiglia: sono nato nel ’48, ma da bambino non ho mai avuto un’arma giocattolo, quel che al massimo mi era concesso era una pistola ad acqua d’estate. Ciò spiega il motivo per cui le domande sui bombardamenti ed azioni belliche in cui si era trovato mio padre, non andassero mai a buon fine.

–  Nonostante la guerra e i bombardamenti che non risparmiarono nulla e nessuno, la nave-ospedale VIRGILIO fu un’unità fortunata per suo padre?

Alla fine si. L’imbarco sulla ‘Nave Ospedale VIRGILIO’, almeno in teoria, non era stata la peggior sorte toccatagli, dati i tempi, ma io seppi di quel che successe alla M/n VIRGILIO  leggendolo sui libri di storia di quel periodo, e quando provai a discutere con lui di certi fatti, mi resi conto che mio padre aveva accantonato per sempre quel genere di ricordi.

Un’altra mia fonte fu l’ex Cappellano di bordo della VIRGILIO che, nel frattempo, da Carmelitano si era fatto Certosino di Clausura. Il religioso, grande amico di mio padre, era un uomo davvero straordinario, sembrava fatto apposta per smentire tutti i possibili luoghi comuni sui religiosi.

–  Nel difficile dopoguerra italiano, il comandante Luigi Oneto riprende a navigare con la Società Italia di Navigazione, alle cui dipendenze rimarrà sino alla pensione percorrendo tutti i gradi della sua carriera su i più prestigiosi  ‘Passenger Liners’ italiani dell’epoca. Suo padre rinasce una seconda volta?

Alla fine della guerra, mio padre ebbe una storia comune a molti suoi colleghi, e forse anche più defilata all’interno dell’ambiente-Finmare. Dalla Società, pur essendo ormai in organico, prendeva uno stipendio assai modesto, che certo non gli avrebbe consentito di sposarsi e mettere su famiglia. Fatto più preoccupante, mancavano le navi e non era per niente scontato che gli USA avrebbero restituito i nostri Transatlantici sequestrati all’inizio delle ostilità.

Di sicuro so soltanto che non prese mai, nemmeno per un attimo in considerazione l’idea di abbandonare il mare. Stava invece esaminando la possibilità di andare a fare il Pilota del Canale di Suez.

Le incertezze finirono quando mio padre fu chiamato per il primo imbarco sul P.fo PATRIOTA. Questa nave meriterebbe una ricerca, perché nelle tante letture in cui mi sono imbattuto, ho ‘incrociato’ questo nome soltanto una volta e senza tanti particolari significativi. Si trattava in realtà di un ex-panfilo risalente, come costruzione, all’inizio del novecento ed era stato adattato nel dopoguerra al trasporto di passeggeri tra Civitavecchia e Olbia (ambedue quasi distrutte dalla guerra).

–  Si trattò sicuramente di una piccola nave adattata, nel disastro post-bellico, al collegamento del continente con la Sardegna altrimenti isolata e abbandonata a se stessa.

Il problema però era un altro, questo ex-panfilo non aveva DDFF !! (dispositivi di sicurezza)  Sic et sempliciter… Non c’è bisogno di aggiungere molto! Bussola magnetica, carta nautica, timone e via!

Di quella nave mio padre, arruolato come 3° ufficiale di coperta, mi  raccontò due cose:

– La prima consisteva nella diffusione della corruzione a tutti i livelli. Tra i compiti del 3° ufficiale rientrava il controllo dei biglietti dei passeggeri ai piedi dello scalandrone e, ad ogni partenza, mio padre subiva pressanti tentativi di corruzione. Ci raccontava, a questo proposito, che se avesse avuto altri principi… con quell’imbarco, si era nel 1946, sarebbe diventato certamente ricco!

– La seconda, più tecnica, riguardava le incertezze del Comandante nel manovrare  la nave sotto costa, in fase d’atterraggio e in manovra, e quindi dei pericoli che ne potevano derivare. Mio padre aveva già 35 anni e disponeva di una buona esperienza per poter giudicare un comportamento poco marinaro. Tenne duro, prese tutto con filosofia, terminò l’imbarco e mise i soldi da parte per sposarsi. Nel frattempo mia madre si laureò e finalmente convolarono a nozze. Nel ’47, anche le cose più semplici erano difficili, ma molti italiani paiono oggi aver dimenticato quei tempi poi non così lontani.

 

Il suo secondo imbarco (postbellico) portò la fine delle incertezze, ed avvenne sulla ex-Liberty USA – STRONBOLI, adibita ai viaggi del Nord Atlantico.

‘I Liberty nu sun miga rumenta’

Questa frase (non sua) l’ho sentita pronunciare molte volte nella mia lontana infanzia, ma in effetti si trattò di una delle più grandiose imprese industriali del secolo scorso.

–  Ai lettori interessati all’argomento LIBERTY, segnaliamo l’articolo sul nostro sito:

La Seconda Spedizione dei Mille”.

https://www.marenostrumrapallo.it/spedizione/

Ed eccoci finalmente a riparlare di navi celebri, ma questa volta negli anni della RINASCITA.

Siamo giunti al 1948 con prospettive decisamente migliorate. Il suo terzo imbarco posbellico fu su sulla MARCO POLO, una nave da carico della serie NAVIGATORI, (A.Vespucci, M.Polo, P.Toscanelli, S.Caboto, A.Usodimare, A.Vivaldi – n.d.r) che era stata recuperata dopo l’affondamento causato dalle bombe d’aereo piovute dal cielo di Genova, prima ancora d’entrare in linea. I ‘navigatori’ furono navi provvidenziali in quel momento per la Marina Mercantile Italiana. L’operazione ‘recupero’ fu opera della FINMARE che le trasformò in ‘Navi Miste’ (carico e passeggeri). Tre andarono alla linea Centro America-Sud Pacifico e ci rimasero 15 anni circa, le altre navigarono in genere per il Llody Triestino.

Ho sempre sentito raccontare in famiglia l’aneddoto, peraltro vero, di una coppia di Camogli, ormai sulla sessantina, (famiglie emigrate da varie generazioni, cosa non rara in riviera) che  aveva il biglietto in 1a classe per il ritorno in Peru’ nell’estate del ’40, dopo una vacanza di pochi mesi a Camogli, ma finì per  partire solo nel 1948,  in un camerone di 3a Classe.

Mio padre partecipò ai lavori sulla MARCO POLO nei Cantieri di Sestri Ponente, fece l’allestimento e  poi un anno d’imbarco, sempre da 3°ufficiale. La nave viaggiava ogni volta con il massimo dei passeggeri trasportabile e le stive cariche di merci.

Presumo che i problemi a bordo non mancassero, ma la ripresa commerciale era in atto:

le Liberty, la restituzione delle navi sequestrate dagli Usa e le prime newbuidings della Società, costituivano una buona base per ripartire con nuove assunzioni. Mio padre decise di restare anche se molti suoi colleghi, nel frattempo, avevano dato le dimissioni  o erano andati in pensione da 1° ufficiale proprio a causa della mancanza di navi.

 

La M/n Marco Polo in una ‘chiusa’ del Canale di Panama

La Marco Polo insieme con la A.Vespucci, la P. Toscanelli, la A.Usodimare, formavano la Classe ‘Navigatori’ della Società Italia. Furono impegnate per molti decenni nel trasporto di emigranti e merci verso i porti del Sud-Pacifico.

–  Vedo dal libretto che suo padre fece ancora tre mesi da 3° Uff.le sulla M/n CONTE BIANCAMANO e nel 1950 fu promosso 2° Uff.le. La guerra gli aveva ritardato la carriera di almeno 10 anni, in compenso si era avvantaggiato sul piano dell’esperienza. Forse lo ammetteva lui stesso?

Nel 1951 (compiva ormai 40 anni) iniziò un imbarco di 15 mesi sulla M/n PAOLO TOSCANELLI (un altro ‘Navigatore’!), sulla rotta Genova-Buenos Aires (Baires). Gli imbarchi lunghi allora erano normali. Questa fu la prima nave che io vidi! Ne sono sicuro.

I successivi imbarchi furono più importanti: CONTE BIANCAMANO e CONTE GRANDE. All’inizio del ’55 fu promosso 1° Uff. ed imbarcò sulla M/n GIULIO CESARE. Per la prima volta, la sua paga superò le 100.000 lire al mese, amava ricordare mia madre!

Incontro tra due Conti: C. GRANDE (nella foto) e C. BIANCAMANO

Nel periodo compreso tra il ’48 e il ’55, salvo pochi viaggi su i vecchi ‘CONTI’ sulla linea di New York, mio padre fece quasi sempre viaggi per il Sud America con la classe ‘Navigatori’ che avevano un solo motore, trasportavano centinaia di passeggeri ed appare strano, ancora oggi, questa carenza di sicurezza perché erano linee molto richieste per via dei flussi consistenti d’emigrazione.

–  Sulla sua interessante osservazione, vorrei aggiungere un commento personale, dal momento che feci due viaggi proprio sulla Marco Polo nel 1963, quando forse mi sfiorai con suo padre… I cosiddetti ‘Navigatori’ erano navi eccezionali che potevano usufruire di una buona manutenzione nei numerosissimi porti che scalava. Il loro limite, per quei viaggi era la mancanza dell’impianto dell‘aria condizionata’ di cui parleremo tra breve.

Verissimo, e credo che fin verso la metà degli anni ’60 abbiano fatto viaggi assai redditizi per la Compagnia.

L’Armamento Costa iniziò nel dopoguerra la sua attività nel settore passeggeri proprio con i viaggi per il Sud America. Sul piano ‘nautico’ non mi risulta che avessero avuto particolari problemi, al contrario, credo che non sia stata facile la gestione dei passeggeri. Molti erano poverissimi e magari analfabeti. Altri erano più abbienti, ma ‘gli si leggeva in faccia’ che per un motivo o per l’altro erano ‘uomini in fuga’, non che fossero dei criminali, i casi erano magari i più impensabili, sia per i nostri connazionali che per i numerosissimi stranieri. Gli ho sempre sentito ripetutamente dire: “cosa dobbiamo aver portato in quegli anni in Sud America… non lo sapremo mai!”

Per questo motivo, non mi sono mai meravigliato più di tanto quando, molti anni dopo, sono usciti vari libri e romanzi sulla ‘rotta dei topi’, alcuni dei quali erano anche molto ben documentati. Nel periodo postbellico si erano rimescolate tante carte e si dovevano accettare anche situazioni estreme.

–  Nei primi Anni ’60, nella Società Italia di Navigazione esistevano diverse anime: quella genovese, quella triestina e quella napoletana. Tre modi diversi d’interpretare la vita di bordo, di navigare, di rapportarsi con l’equipaggio e con i passeggeri. Si diceva, per esempio, che i genovesi fossero degli ottimi teorici, i triestini e dalmati degli buoni marinai, manovratori ecc… e che i napoletani fossero una via di mezzo. Anche sulla disciplina si facevano dei distinguo: diversi comandanti della scuola di Trieste e Lussimpicolo, davano un taglio piuttosto militaresco (austro-ungarico) al proprio ruolo. Mentre i genovesi, come suo padre, ma anche i napoletani preferivano un atteggiamento più moderno e mercantile. Personalmente, pur essendo allora molto giovane, trovavo queste differenze un arricchimento, un travaso d’esperienze e di vedute professionali di grande spessore, e devo dire che anche i burberi Comandanti di allora erano degli eccellenti padri di famiglia e rispettosissimi “personaggi” nella vita civile triestina dei primi anni ’60. Ne vorrei citare alcuni: Giovanni Assereto, Pietro Castro, Alfredo Cosulich, Claudio Cosulich, Giovanni Peranovich e Danieli che sono stati miei comandanti, tutti gli altri che non ho citato, li ho conosciuti da pilota del Porto di Genova: il comandante Gladulich (Gladioli) ha abitato per moltissimi anni a Rapallo ed ho frequentato a lungo la sua casa.

Suo padre  fece mai cenno in famiglia di questa “complessa” convivenza di SCUOLE della tradizione a bordo dei nostri transatlantici ?

Su questa interessante pagina della storia della Società ITALIA mi trova impreparato a rispondere sul piano tecnico. Mio padre guardava ai singoli uomini, ed oltre ad esser poco attratto dalle memorie familiari a livelli da non credere, e qui c’entra il fatto di essere stato l’ultimo di dieci figli, non ha mai raccontato molto di quel che gli accadeva a bordo.

Probabilmente avrà raccontato molto di più a mia madre (c’é qui da ricordare il capitolo che riguarda le lunghissime lettere – allora ‘aeree’ – che si scambiavano in tutti i porti!), ma a noi figli raccontava poco o nulla, forse anche per colpa nostra. Vent’anni dopo diceva di non ricordare più niente… ed era anche vero!

–  Il Comandante di una nave passeggeri ha il compito istituzionale di “lasciare il segno dell’ospitalità latina” sugli ospiti, a volte molto illustri, che viaggiano sulla sua nave, tuttavia egli deve essere anche un buon marinaio. Quale dei due ruoli amava di più suo padre?

Da Comandante, uno dei suoi molti doveri professionali era frequentemente quello di accogliere ed intrattenere a bordo personaggi illustri ed assai noti alle cronache. Assolveva a questo aspetto del suo lavoro con scrupolo, cortesia e cordialità. Da ‘padrone di casa’, era a suo agio, di carattere era allegro e cordiale, non musone, ma in privato non mostrò mai di annettere a questo lato del suo lavoro un’importanza particolare. Ne parlava raramente. Tra gli altri passeggeri illustri dell’epoca, ad esempio, ha ospitato a bordo lo scrittore Thornton Wilder, gli attori Burt Lancaster, Rossella Falk, Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Alberto Sordi e Monica Vitti, gli anziani Duchi di Windsor, la ex-regina di Bulgaria Giovanna di Savoia, il simpatico Raymond Peynet (l’autore della fortunata serie dei “fidanzatini” di Parigi), il celebre pittore Pietro Annigoni, i soprani Renata Tebaldi ed Anna Moffo e la lista non é esaustiva, oltre naturalmente ad altri personaggi di varie istituzioni: Politici, Vescovi, Cardinali e Diplomatici.

Durante i lunghi anni di lavoro sul mare per la Società Italia di Navigazione, ebbe ben due proposte di ‘passare a terra’ con la dichiarata prospettiva di diventare capo dell’ufficio marittimo (Capitano d’Armamento), ma serenamente e cortesemente declinò le due proposte. In privato diceva che lui aveva scelto, a suo tempo, il suo lavoro sul mare, e di non aver mai avuto un solo motivo per ‘cambiar rotta’. A lui piaceva il mare… persino in vacanza non andava in montagna perché /testuale) “doveva vedere l’orizzonte”…

 

New York. Anni ’60 – Una bella immagine dell’epoca dei “liners”. In mezzo al fiume Hudson sta manovrando la Queen Elizabeth della celebre Cunard Line. Ormeggiate nei Piers di Manhattan si vedono da sinistra: la Costitution gemella dell’Indipedence (dell’American Export Line), l’Andrea Doria gemella della C.Colombo (Soc. Italia di Navigazione), la United States, la Olimpia (American Greek Line).

 

Una bella immagine dell’ANDREA DORIA davanti ai grattacieli di Manhattan

 

–  Nel 1956 accadde la gravissima tragedia dell’ANDREA DORIA. Suo padre era il 1° Ufficiale della nave. A distanza di quasi 60 anni, dopo tanta confusione, dubbi e forse anche un atteggiamento sbagliato delle istituzioni italiane di quel tempo, oggi se ne può parlare alla luce di fatti accertati che hanno ristabilito la verità. Qual’é il suo punto di vista?

 

L’ANDREA DORIA nella fase drammatica del suo affondamento

 

Nel Luglio del 1956 mio padre visse in prima persona la tragedia dell’affondamento della M/n ANDREA DORIA, su cui era da molti mesi imbarcato in qualità di 1° Ufficiale Anziano.

Ma veniamo all’affondamento della ANDREA DORIA, di cui mio padre, suo malgrado, dovette raccontarci qualcosa, in varie occasioni, sino alla vecchiaia, ma sempre con la stessa pena.

Il 5 Novembre 1955 mio padre imbarcò con il Com.te Pietro Calamai sulla T/n ANDREA DORIA, il gioiello più ammirato dello shipping di allora. Mia sorella Franca ed io, per la prima volta in vita nostra, abbiamo avuto modo di conoscerla da vicino. La nave arrivava ogni 19 o 20 gg. ed ogni volta andavamo in banchina a riceverlo. Quando la nave cominciava ad indietreggiare verso il molo, riuscivamo a vederlo subito perché il posto di manovra del 1° Ufficiale era sull’aletta di poppa (alette poppiere, tipiche delle costruzioni passeggeri di quegli anni). Per noi era un bel divertimento ed eravamo sempre molto contenti. Andò così per otto mesi consecutivi.

Tralascio per ovvi motivi di riservatezza, l’evento fin troppo noto e ormai (voglio augurarmi) sostanzialmente chiarito anche sotto il profilo tecnico. Mi permetta di tralasciare anche i risvolti familiari per tutti noi molto pesanti. Ancora oggi, con mia sorella Camilla abbiamo qualche problema a parlarne, sebbene siamo gli unici superstiti della famiglia.

Mi sto già preparando psicologicamente a tutto quel che mi toccherà leggere sui giornali e ascoltare in TV quando si celebrerà il 60° anniversario nel 2016. D’altronde, a nessuno della famiglia è mai piaciuto fuggire dai problemi, tuttavia, in questa sede, qualcosa vorrei accennarla.

Mio padre stimava molto il Comandante Calamai e, da anziano, mi disse che era stato uno dei suoi due maestri. Le cose andarono così: mio padre doveva sbarcare per normale avvicendamento all’ultima sosta della ANDREA DORIA a Genova prima che iniziasse quel viaggio disgraziato.

Terminato l’ultimo ormeggio a Genova, il comandante Calamai chiamò mio padre nel suo ufficio e gli disse più o meno queste parole: “Oneto, lei sa che non amo troppo i giri di valzer sul ponte. Ieri in Società ho ottenuto che lei rimanesse a bordo, tra 20 gg. sbarcheremo insieme. Lei ha problemi?”

Allora il mondo andava cosi. Mio padre fu un attimo sorpreso, c’era l’estate di mezzo e tante promesse alla famiglia, ma non ebbe dubbi ed accettò di proseguire l’imbarco seduta stante. Credo che mio padre non avrebbe mai detto ‘NO’ al suo Comandante, per di più davanti ad un simile attestato di stima!

Mio padre era il piu’ anziano degli ufficiali e faceva la prima guardia (04-08/16-20). Quando avvenne la collisione era franco di guardia e mai avrebbe immaginato che sarebbe stata l’ultima guardia della sua vita. Appena ‘smontato’ fece le solite cose e andò in cuccetta. Con l’urto improvviso e tremendo tra le due navi,  si ritrovò sul pavimento senza rendersi conto dell’accaduto, pochi istanti e fu subito sul Ponte.

Mio padre non era stato neppure testimone della collisione, ma aveva capito subito la dinamica dell’incidente e fin dal primo momento si convinse dell’assoluta buona fede del Comandante e dei suoi colleghi. Con questa radicata convinzione andò avanti sino a 80 anni suonati, sempre difendendo il buon nome del comandante Calamai, della sua nave e dei suoi colleghi in mille modi, con tanta ammirevole ostinazione.

Quando nel 1972 fu pubblicato il Rapporto Carrothers sulle cause della collisione, lo stesso anno in cui morì Pietro Calamai, ricordo che mio padre lo leggeva e rileggeva con tanta intensità e partecipazione, ed era felice che finalmente la verità fosse emersa tra le mille menzogne raccontate in giro per tanti anni. Era davvero strano sentirlo parlare di navi tra le mura domestiche, proprio lui che era sempre stato così restio a confondere i due ambienti. Improvvisamente si era trasformato. Di quella collisione ne parlava con tutti. “ma non era ancora finita…” continuava a sostenere!

Dopo l’incidente, mio padre era davvero amareggiato. Sorvolo su quanto pensava allora della Società Italia, ancor peggio del suo Management e delle stesse Autorità Marittime italiane…

Mio padre era ancora lontano dal pensare di smettere di navigare, ma la Società escogitò una soluzione davvero strana: da un giorno all’altro, mise tutti gli ufficiali di coperta della ANDREA DORIA in banchina, in una specie di ‘quarantena’  che durò fino al Marzo ’57.

La mia famiglia approfittò della ‘sosta forzata’ per traslocare a Genova.

Arrivati a questo punto del racconto, vista anche la mia professione nel settore marittimo, colgo questa opportunità per formulare la mia opinione sul periodo post-collisione. La Società, a livello di pubbliche relazioni, fece proprio tutto quello che non doveva fare e che avrebbe dovuto fare, come qualsiasi armatore di questo mondo, in circostanze similari, avrebbe fatto. Questo concetto mi è fin troppo chiaro e non sono certo il primo ad esternarlo.

Sul piano interno, diciamo operativo, la Società non fece sostanzialmente  nulla, salvo:

a) – Promettere verbalmente al Comandante P.Calamai che sarebbe stato subito imbarcato sulla T/n COLOMBO. Si lasciò però correre un po’ di tempo, sino a che compì 60 anni… é qui la ferrea prassi della Società era di collocare a riposo Comandanti, Direttori e Commissari! La chiamata ci fu, ma si trattò della  “comunicazione di pensionamento”.

b) – Tenere per oltre sei mesi in ‘quarantena’ tutti gli ufficiali di coperta, e credo anche alcuni ufficiali di macchina (la scusa ufficiale era l’inchiesta ministeriale).

Ovviamente la Compagnia doveva rispettare procedure burocratiche e prassi interne per casi gravi come quello avvenuto a Nantucket: testimonianze scritte e verbali a non finire, dal Comandante  sino all’ultimo ‘piccolo di camera’,  senza mai giungere a conclusioni definitive ed ufficiali. Tutto era molto pilatesco. Non mi é noto alcun strascico giudiziario, degno di nota, per alcun membro dell’equipaggio. L’unico ‘agnello sacrificale’ fu il povero comandante Pietro Calamai, lasciato solo in pasto ad una pubblica opinione frastornata e disinformata, fino a trasformarlo nel personaggio principale di un farsa ordita alla perfezione per salvare chi e che cosa?

Di fatto, fu il solo a ‘pagare’ un conto salatissimo pur essendo innocente, anzi il primo tra quelli che impedirono conseguenze peggiori. Ancor oggi mi capita di sentire persone in buona fede (che non sanno nulla di cose di mare) affermare che: Il Comandante Calamai aveva comunque qualcosa da nascondere.” Certe idee potevano essere maturate per opera anche di certa stampa ‘deviata’ o comunque incompetente.

In casa nostra abbiamo provato sempre tanta pena per le due figlie del comandante  Calamai, che avevano una decina d’anni più di noi e forse erano più ‘scafate’, ma i successivi anni della loro vita, trascorsi sino allo scagionamento USA, (ma anche dopo!) devono esser stati pesanti sotto ogni punto di vista, una sorta di calvario psicologico.

–  Sulla base di quanto si lesse e si sentì allora, solo poche persone si resero veramente conto della brillantissima opera di salvataggio e del limitato numero di vittime che si verificarono dopo una collisione tra due navi cariche di passeggeri e numerosi equipaggi.

Esatto! Si rischia di dimenticare che molti passeggeri e membri dell’equipaggio, senza saperlo, dovettero la vita proprio alle decisioni marinarescamente perfette, prese dal comandante Calamai in quelle difficili ore. Oggi sappiamo che le manovre impartite da Calamai in quella circostanza, oggi sono prese a modello da tutte le Accademie navali del mondo e vengono insegnate ai futuri ufficiali di marina.

Molti anni fa, il giornalista Corradino Corbò scrisse un ottimo testo divulgativo: “Quella notte a Nantucket”, editore Nistri-Lischi (una piccola Casa Editrice di Pisa). Leggendolo mi resi conto che non occorreva essere un ‘esperto’ per capire la dinamica dell’accaduto. Quel libro, purtroppo, ebbe scarsa diffusione ed oggi credo sia introvabile persino sul mercato dei libri usati: un’occasione mancata per il grande pubblico, purtroppo.

–  Ma chi prese quelle assurde decisioni?

Da quel giorno sono ormai passati quasi 60 anni, nel frattempo la cronaca é diventata storia. Solo storia. Oggi é mia personale convinzione che la ‘regia’ dell’atto burocratico post-collisione sia stata decisa a Roma, molto in alto, a pochissimi giorni dalla collisione, da un numero ristretto di persone che per mentalità politica e formazione professionale era completamente estraneo al mondo dello shipping. Il top-management della Società Italia, sostanzialmente composto da ‘yes-man’, ebbe soltanto la funzione esecutiva di quanto era già stato deciso nella capitale.

Se si mettono in ordine cronologico date e fatti, emergono tutte le contraddizioni prive di logica messe in opera dall’Armamento genovese nei successivi 12-18 mesi. Quella ‘linea politica aziendale’’, rimase immutata nei decenni successivi fino alla scomparsa della Società.

Il Ministero della Marina Mercantile promosse un’inchiesta abbastanza seria, ma i risultati non furono mai pubblicati, la legge lo consente, questa è l’unica cosa chiara che emerse, pur se si trattava e si tratta di una prassi politicamente  inaccettabile.

Nessuno sarà mai in grado di scrivere la vera storia dell’ANDREA DORIA. Quella  conosciuta dal grande pubblico é stata dettata al telefono da burocrati senza scrupoli. Chi aveva il diritto di raccontarla é stato messo a tacere, a suo tempo, e oggi non é più tra noi.

Per noi Oneto, il naufragio dell’ANDREA DORIA non fu solo un dramma legato alla perdita di vite umane e della nave stessa. La storia marinara é maestra di naufragi e i santuari vicini alle coste lo ricordano a tutti con migliaia e migliaia di ex voto. Noi, sebbene molto giovani, eravamo preparati anche a questo, come lo é qualsiasi famiglia di un marittimo impegnato a guadagnarsi il pane sul mare. Il naufragio era tra gli eventi che potevano  accadere, ma il vero dramma fu il peso psicologico ed emotivo che pesò a lungo sulle nostre spalle. Nei successivi 40 anni abbiamo dovuto sopportare polemiche inconsistenti, sensazionalismi, leggende metropolitane, idee recepite in modo sbagliato, magari, in perfetta buona fede da parte di tanta gente che ancora oggi, dopo tanti anni trascorsi dall’avvenimento, insiste e persiste su quelle sbagliate convinzioni che erano state diffuse e inculcate dall’irrazionale, autolesionistico, ed illogico comportamento dell’armatore dell’ANDREA DORIA.

Da questo punto di vista, il rapporto Carrothers resta comunque, anche dopo 40 anni, un atto scientifico rigoroso e convincente che ha fatto giustizia e messo una pietra pesante su una serie infinita di menzogne.

Da italiano, é triste doverlo ammettere, ma se solidarietà c’é stata, questa é venuta dallo shipping straniero. Non mi riferisco soltanto agli Istituti americani e a Carrothers, ma ai miei compagni di lavoro e conoscenti che pur sapendo tutto della collisione e chi era mio padre, non senza mia sorpresa, non fecero mai un passo falso nei miei confronti.

–  La ringrazio per questa sua pacata, ma decisa presa di posizione sulla collisione avvenuta tra la Andrea Doria e la Stockholm. Quel che conta é la vera STORIA, non quella che é in vendita dal giornalaio e che ha sempre un padrone. Riprendiamo il racconto. Cosa accadde dopo la strana ‘quarantena’ ?

Mio padre imbarcò da 1° ufficiale all’inizio dell’estate ’57 sulla M/n MARCO POLO, di cui abbiamo già parlato. I viaggi del Sud-Pacifico duravano 70 giorni. Su quel tipo di nave mista: carico-passeggeri, il 1° ufficiale svolgeva il compito di Comandante in 2° ed era ‘giornaliero’, ossia fuori guardia. Si avvicinava il sospirato ‘comando’ e quella era la strada obbligata. L’imbarco durò un anno. Di quel periodo ho conservato un ricordo nella mia memoria: la nave arrivava alla Stazione Marittima di Ponte dei Mille a Genova e, subito dopo lo sbarco dei passeggeri, faceva “movimento” a P.te Assereto, oppure a P.te Somalia, per le operazioni commerciali.  Rimanevo a bordo con lui, mentre mia madre e le mie sorelle tornavano a casa. Una volta riuscii ad intrufolarmi tra i marinai che andavano al posto di manovra a prua e ci rimasi, sempre attento a non intralciare la manovra in corso. Avevo 10 anni e i pantaloni corti.

Quando mio padre mi vide dal ponte di comando, mi fece un gesto che nulla di buono lasciava presagire. Quella sera mi presi una bella ‘arronzata’. Aveva ragione, al di là del rischio di farmi seriamente male tra quella selva di cime e cavi in tensione, temeva anche la reazione del Comandante che per fortuna non se n’era accorto o, come credo tuttora, fece finta di non accorgersene, date le distanze davvero ridotte tra il ponte di comando e la prora.

La M/N VULCANIA incontra la M/n SATURNIA

Un bel salto nella carriera di mio padre ci fu il 29 Settembre 1959, quando mio imbarcò, alla bella età di 48 anni, da Comandante in 2a sulla M/n SATURNIA a Trieste. Da quel momento girò con quel grado su tutte le grandi navi passeggeri dell’epoca d’oro della Società: CONTE BIANCAMANO, GIULIO CESARE, AUGUSTUS e sulla T/n CRISTOFORO COLOMBO.

Da Comandante in 2a cominciò il periodo secondo me forse più ‘sottovalutato’ della sua vita professionale, che durò siano al 1963 quando imbarcò a 52 anni suonati come Comandante in 1a sulla M/n MARCO POLO (sempre lei!) per l’ultimo viaggio con la Società Italia.

La figura del Comandante in 2a era sottovalutata nel senso che operava  un intenso lavoro che non appariva quasi a nessuno, eppure tutto a bordo dipendeva da lui, dalle sue direttive. Tutto quanto succedeva a bordo faceva riferimento alla sua persona, ed a lui spettava la soluzione dei problemi del personale imbarcato, di ‘certi’ noiosi passeggeri, rispondere alle lamentele, indagare sugli infortuni, sui furti, interagire con gli altri capi servizi (coperta-macchina-commissari) per la routine quotidiana, e poi c’erano gli imprevisti di ogni genere, oltre ai lavori di manutenzione di bordo. Infine doveva sovrintendere alla disciplina di tutto l’equipaggio. Anche la navigazione era sottoposta alla sua supervisione. Sulle sue spalle pesava un lavoro vasto e pesante che gli prefigurava, comunque, l’ultimo avanzamento  della sua carriera.

–  Ricordo benissimo il ruolo del Comandante in 2a sulle nave passeggeri e concordo con lei. Tuttavia, ritengo che questo ‘delicato passaggio di carriera’ sia una grande risorsa per tutti: passeggeri ed equipaggio. Avere un Comandante esperto a bordo, che sia in grado di risolvere i tanti problemi che si presentano, va sicuramente a vantaggio della sicurezza di tutti. (I fatti recenti del Giglio ce lo ricordano ampiamente!). Tra l’altro, ricordo che su certe linee avvenivano anche fatti gravi. Suo padre forse le avrà raccontato alcuni episodi?

Si, ma semplici aneddoti, irrilevanti. I LINERS di allora  non esistono più da decenni, così come quell’eterogenea clientela composta da persone agiate, pescatori destinati alla campagna del merluzzo al largo di Terranova ed emigranti di tante nazionalità. Spesso capitava che per futili motivi scoppiassero disordini ed anche risse (dovute all’alcool) talvolta pericolose e difficili da sedare.

Oggi sulle navi da crociera la situazione é più gestibile. La popolazione di bordo é costituita da una massa molto omogenea di turisti, che imbarca con lo spirito vacanziero, é più autosufficiente: infatti ha a sua disposizione un numero d’equipaggio limitato rispetto al passato.

Al Comandante in 2a arrivavano quindi tutti i problemi di bordo e, a volte, dopo una giornata intensa in cui succedeva di tutto, poteva capitargli che intorno alle 23.00, nel bel mezzo di una buriana, il Comandante gli dicesse “Adesso le lascio la nave. Io me ne vado in cuccetta” e rimaneva sul Ponte di Comando per tutta la notte. Fatto, peraltro, probabilmente ‘gradito’ ad un aspirante al comando come mio padre.

Sono certo che gli anni trascorsi con il grado di Comandante in 2a siano stati sotto alcuni aspetti poco gratificanti, ma furono assai importanti e utili per l’esperienza maturata.

Presso le più importanti Marine Occidentali, le carriere degli ufficiali anticipavano, in quegli anni, mediamente  di 10-15 anni e lui ne era ben conscio.

(In proposito avrei un aneddoto anche divertente….. ma è meglio glissare!)

–  Che carattere aveva suo padre, era paziente oppure nervoso come tanti marittimi ?

Nervoso no! Mai! Quando in quegli anni mio padre  era in porto a Genova, arrivava tardi o molto tardi a casa per ripartire molto presto all’indomani mattina. Nelle relazioni umane era paziente, certo molto più di me, e c’insegnava che le cose era meglio vederle in tempo che sentirsele raccontare in un secondo tempo. Amava rispettare la ‘persona’, anche quando la riprendeva dopo aver compiuto un errore  professionale. Nessuno conosceva mio padre al di fuori della Società Italia e del porto, ed appariva sempre sereno. Al di là delle apparenze, non parlava quasi mai dei fatti di bordo. Questo é stato.

–  Com’erano viste le navi italiane all’estero?

All’estero, le navi della Società Italia erano viste  come un pezzo di suolo nazionale dalle comunità dei nostri emigranti in tutti gli scali. Specialmente in Sud America, le navi della Società Italia erano sempre accolte da folle incredibili che sostavano ore per vivere con nostalgia la partenza o l’arrivo di questa o quella nave italiana. Per altri aspetti, erano invece navi complicate, con le ben note contraddizioni che ci appartengono. In alcuni scali nazionali, le navi della Società erano invece considerate alla stregua di ‘vacche da mungere’ con tutto quel che si può immaginare in una Italia che, per molti versi, é sempre la stessa, ancora oggi.

 

La M/n ROSSINI entra nel porto di Genova.

Con Verdi e Donizzetti formavano la Classe Musicisti che sostituì la Classe Navigatori, ormai obsoleta sulla rotta del Sud-Pacifico

–  Un bel salto di qualità avvenne con la messa in linea della classe MUSICISTI in sostituzione della classe NAVIGATORI ormai superata. Finalmente, sulla linea del Sud-Pacifico subentrò anche un po’ di eleganza e soprattutto comodità. Anche suo padre poté quindi navigare nei climi tropicali con l’aria condizionata.

Nel 1963 assunse il primo comando per l’ultimo viaggio sulla linea Mediterraneo-Centro America-Sud Pacifico della M/n MARCO POLO (prima della loro vendita e trasformazione in nave da carico).

Arrivati a Genova, l’equipaggio fu spedito in treno a Napoli per imbarcare sulla M/n VERDI proveniente dal Lloyd Triestino, ed entrare sulla medesima linea del Sud Pacifico. La nave era più veloce, ed il viaggio sarebbe durato solo 2 mesi, ma soprattutto era alleviato dall’aria condizionata. Diciamo che a me (avevo ormai 15 anni) la Verdi fece l’impressione di un ‘Luxury Liner’ al confronto del Marco Polo! Il viaggio inaugurale ebbe un grande successo, e seguirono molte prenotazioni che incrementarono lo storico legame tra l’Italia ed i santuari dell’emigrazione nostrana in Sud-America!

Sulla M/n VERDI restò 10 mesi, ed oltre 11 mesi sulla M/n ROSSINI (sulla stessa linea). Erano gli anni della nostra adolescenza. Gli imbarchi di mio padre erano più lunghi, ma anche le soste a Genova si erano allungate e si aveva l’impressione d’averlo a casa più spesso, naturalmente solo di sera, ma per noi era già una festa.

Frequentavo l’Istituto Nautico S.Giorgio di Genova. Mio padre non entrò mai nel merito di questa decisione e gliene sono tuttora grato.

–  Finalmente cap. Luigi Oneto prende il sospirato Comando!

La M/n GIULIO CESARE (gemella della M/N AUGUSTUS) in navigazione

 

Mio padre prese il comando della bella M/n GIULIO CESARE per oltre 10 Mesi sui viaggi di BAIRES. Nel nuovo ambiente si sussurrava che la Società avesse ‘confinato’ su quella unità gli ufficiali un po’ birichini, che avevano maturato qualche castigo… ma si trattava di persone di gran spirito, e l’impressione che se ne ebbe in famiglia ( e non solo nella nostra famiglia…) fu che se si erano divertiti ben oltre l’usuale non erano da biasimare. In fondo la vita di mare era già fin troppo dura. Posso solo arguire che mio padre ebbe anche qui il suo bel da fare, ma navi e viaggi senza grane non credo siano di questo mondo!

 

CRISTOFORO COLOMBO in partenza da  Genova nella livrea bianca sulla linea del Sud America

 

Nel Settembre del ’66 mio padre imbarcò a Napoli sulla T/n CRISTOFORO COLOMBO, che faceva allora capolinea a Trieste ed era dipinta di nero come tutte le navi impiegate sulla linea del Nord America.

L’imbarco durò 11 mesi. Ricordo che ebbe i suoi problemi pratici e diplomatici dovuti all’itinerario carico di scali: Venezia – Trieste – Messina – Palermo – Maiorca- Malaga – Gibilterra – Lisbona – Azzorre – Canada – Boston N.Y. Molti di questi scali erano ‘schedulati’  forse per esigenze politico-clientelari, con indubbia influenza sui costi. So che fu per lui un anno impegnativo, sotto diversi aspetti.

–  Dal punto di vista della manovra, i grandi transatlantici di allora erano veramente impegnativi. Disponevano di lente turbine e avevano grandi pescaggi. Non si parlava ancora di eliche trasversali, di azipod ecc… e come si diceva allora: chi le manovrava doveva essere un buon manico!

E’ vero! Un ulteriore problema era la manovra di una grossa turbonave di quell’epoca, in certi piccoli porti. Se si pensa che nella marcia indietro la turbina navale concede soltanto 1/3 della propria potenza e l’attesa é di circa 40 secondi per l’inversione della marcia. Ricordo che quando gli chiesi spiegazioni (facevo ormai il  5° Nautico, e avevo già navigato un po’) mi rispose: “Ho avuto tanti anni di carriera per studiare il problema e ho visto manovrare tanti comandanti….che quando é stato il mio turno, non ho più avuto difficoltà!”. Comunque, appena imbarcato su una nave che non aveva ancora comandato le sue evoluzioni di prova fuori dal porto le faceva alla prima occasione possibile!

 

La LEONARDO DA VINCI entra a New York

Salvo un bel Natale trascorso a Trieste, quell’anno lo vedemmo pochissimo. Mia madre, invece, andava regolarmente a trovarlo a  Trieste.

Venne poi l’imbarco sulla T/n LEONARDO DA VINCI, già dipinta di bianco, ed ebbe un incarico particolare: la nave era destinata ad una ‘campagna crocieristica sperimentale’ di 5 mesi ai Caraibi.

Il solo pensarci, oggi può far sorridere, perché il tipo di clientela era completamente diverso e improvvisamente cambiato. La Sede di Genova era distante e ciò significava che il Comando di bordo si trovava improvvisamente nella necessità d’imporre un cambio di mentalità a molti membri dell’equipaggio.

I risultati furono ottimi, l’esperimento fu ripreso da altre navi sociali, a mio padre  fu riconosciuto il merito d’aver portato l’esperimento a buon fine per la Società.

Oltretutto, nemmeno esisteva a bordo la figura del Direttore di Crociera. Per tale ragione il Comandante dove gestire il ‘settore passeggeri’ dopo aver sentito il Capo Commissario.

Le T/n MICHELANGELO e RAFFAELLO sono ormeggiate a Ponte Andrea Doria-Genova

 

Siamo giunti così al 1968. Negli anni successivi mio padre prese il  comando, alternativamente e a più riprese, delle ammiraglie MICHELANGELO e RAFFAELLO sino al pensionamento avvenuto nel 1971. Nel frattempo i turni d’imbarco si sono accorciati per tutti.

–  Suo padre le confidò mai qualche segreto nautico in previsione di una carriera simile alla sua?

No, nel modo più assoluto. E non avrebbe nemmeno gradito troppe domande! Era arci convinto che a bordo si dovesse iniziare dal basso con i più banali lavori in coperta (cosa che di fatto feci), e poi imparare guardandosi attorno e facendo funzionare cervello e capacità critiche. Ideologizzava quasi la cosa………. E poi c’era anche una dose del mio orgoglio di ventenne!

–  Avere il comando di una delle due ‘ammiraglie’, così sotto gli occhi della stampa italiana in quegli anni, lo preoccupava o lo innervosiva in qualche modo ?

No, direi proprio di no, e se c’era qualche preoccupazione era di carattere extra-marinaresco. Questa almeno era la percezione che se ne aveva in famiglia. Assai banalmente, non ricordo d’averlo nemmeno mai sentito, visto o percepito preoccupato per le condizioni meteo che lo aspettavano dietro l’angolo.

Quelle navi erano lunghe più di 270 metri e gli davano una grande sicurezza. Mio padre conosceva molto bene la meteorologia, interpretava a dovere le carte del tempo, ma soprattutto conosceva i limiti della sua nave e ad essa si adeguava. Forse era questo il suo segreto: un notevole senso marinaro gli suggeriva in anticipo le mosse da fare, con determinazione, ma anche con prudenza. Mio padre fu conosciuto dentro e fuori il suo ambiente per le sue doti umane e marinaresche.  Non furono tutte rose e fiori né per lui, né per mia madre e neppure per noi figli, ma proprio in questo intreccio di contrasti forti, sta il vero senso della vita: saper convivere con le gioie e i dolori. Mio padre fu un maestro in tutto ciò, e ancora oggi ci sentiamo orgogliosi d’essergli stati figli.

Scambio di presenti sulla RAFFAELLO tra il Comandante Luigi Oneto e lo scrittore Raymond Peynet.

 

–  Come pilota del porto di Genova ebbi diverse occasioni di manovrare sia la T/n MICHELANGELO che la gemella RAFFAELLO. Impiegavano 3-4 rimorchiatori a seconda della direzione e  forza del vento. Erano manovre impegnative anche per un pilota rutinato che eseguiva un migliaio di manovre-anno.

Seppi in quegli anni che suo padre “by-passò” uno sciopero dei rimorchiatori di New York e ormeggiò personalmente la MICHELANGELO. Dinanzi ad un fatto del genere, che non ha precedenti nel nostro mestiere, non solo mi tolgo tanto di cappello, ma aggiungo che manovrare una nave nel porto di New York presenta difficoltà a volte insuperabili per via della corrente del Hudson che naturalmente varia con le piogge e le condi-meteo del periodo. Non tutti lo sanno, ma i famosi Piers (i Dock di Manhattan) sono posizionati di traverso alla direzione della corrente, per cui é addirittura impensabile avventurarsi in certe manovre senza pilota e rimorchiatori portuali (McAllister e Moran). Come ci riuscì suo padre?

Professionalmente, la cosa che ricordava con più piacere dei suoi ultimi anni sul mare era quella di esser riuscito durante un lungo sciopero e per ben tre volte consecutive ad ormeggiare e disormeggiare la RAFFAELLO al ‘Pier’ di Manhattan senza Pilota e – soprattutto – senza rimorchiatori: “senza rompere nemmeno un cavo”, come diceva lui (ciò accadeva durante un altro ciclo di crociere ai Caraibi, e non era certo una cosa semplice per una turbonave di allora, senza eliche trasversali, senza eliche a passo variabile, etc.: altre navi dello stesso tipo evitarono di far scalo a New York, altre ancora causarono danni).

–  Mi risulta che suo padre, da vecchio lupo di mare, una volta in pensione continuò a lavorare per il ‘Nuovo Mondo Crocieristico’ che stava sorgendo sulle ceneri di tante Società di Navigazione che non seppero ‘vedere lungo’, come la Soc. Italia di Navigazione. Che ruolo assunse il comandante Luigi Oneto in questa fase epocale?

Una volta in pensione, mio padre accettò l’offerta giuntagli inaspettatamente di selezionare gli equipaggi per le prime navi da crociera CARNIVAL degli allora poco noti armatori americani Arison: le T/n MARDI GRAS e FESTIVALE (Ufficiali e Sottufficiali di Coperta e di Macchina, tutti italiani). Lo fece per un paio d’anni circa.

Questo travaso di veri specialisti del mare, avvenne subito dopo il fallimento della Società Italia di Navigazione ed il contemporaneo decollo della Flotta Carnival di Teddy Arison che inaugurò con le sue Fun Ship il mondo crocieristico. I comandanti Calvillo, Castagnino, Fabietti, Fossati, Gavino, Sbisà, Schiaffino  e naturalmente molti altri, una volta entrati in Carnival, richiamarono a loro volta un piccolo esercito di ufficiali di coperta, di macchina e di tutte le altre categorie, dai commissari, al personale alberghiero di camera e di cucina. Si può tranquillamente affermare che quarant’anni di professionalità e di massimo prestigio italiano sui mari, si mise su quella nuova “rotta di grande successo” che continua ancora ai nostri giorni ed é sempre in crescita.

Lui non lo sapeva e non lo avrebbe mai immaginato, ma proprio in quei due anni di reclutamento era nata la moderna industria delle navi da crociera (decisamente un’altra epoca rispetto alla sua…). Oggi CARNIVAL è il più importante Armatore di navi da crociera del mondo: la vecchia scelta di mantenere personale di S.M. italiano è però rimasta, ed ancor oggi contraddistingue le navi della società. 
Molti anni dopo, ossia nel 1996, ebbe la personale soddisfazione di essere invitato dall’Armatore a Venezia per l’inaugurazione della M/n CARNIVAL DESTINY, costruita nei cantieri di Monfalcone. Allora era la nave da crociera più grande del mondo, la prima nave  passeggeri da oltre 100.000 T.S.L. Non andò, aveva ormai 85 anni compiuti e, pur godendo di buona salute, era da qualche tempo quasi cieco: forse temeva l’emozione, di sicuro temeva l’eventualità di non riconoscere e salutare qualcuno che in altri tempi gli era stato ben noto. Questo problema era ormai diventato il suo assillo abituale anche quando usciva di casa a Camogli.

–  Mi sembra di ricordare che suo padre dedicò gli ultimi anni della sua vita al servizio dei marittimi. Ha qualche ricordo più dettagliato da raccontarci?

Dettagliato no, non ero più a Camogli e avevo ben altro di cui occuparmi in quegli anni.

Negli anni ’80 è stato per un mandato quinquennale Presidente dell’USCLAC (Unione Sindacale Capitani di Lungo Corso al Comando e D.M.). Questo incarico lo impegnò molto, e ne fu sempre particolarmente orgoglioso. 
Negli stessi anni ’80 è stato presidente dell’Associazione Nazionale Medaglie D’Oro di Lunga Navigazione.

Conoscendolo, Credo proprio che in ambo i casi lo fece perchè i colleghi lo reclamavano!

E’ stato componente attivo del “Gruppo di Lavoro” sulla collisione Stockolm-Andrea Doria. 
Era ormai il più anziano di tutti
 e lo viveva come un dovere morale nei confronti del Comandante Calamai.

–  Da un articolo apparso nel 1986  sulla Rivista Marittima, firmato dal Comandante Giuseppe Longo,  95enne, ex Capo Pilota del Porto di Genova, estrapoliamo la seguente  testimonianza:

“….Un Comandante che voglio ricordare è Luigi Oneto di  Camogli: nel 1966, al comando della T/n MICHELANGELO, fu sbarcato su due piedi, dal funzionario responsabile della Finmare, il quale – non conoscendo né il Codice della Navigazione, né le disposizioni impartite dalla sua stessa Finmare – ebbe un ingiusto motivo di disappunto nei riguardi del Comandante Luigi Oneto e ne ordinò lo sbarco immediato. L’intero equipaggio, caso unico negli annali del sindacalismo attuale, si fermò e dichiarò sciopero per 24 ore bloccando la partenza della nave. Non penso si potesse dimostrare meglio di così la stima universale di cui godeva il comandante Luigi Oneto: e anche  se ben pochi, all’infuori dei marinai, ottimi giudici, osarono farlo, i piloti del porto gli fecero pervenire subito un caldissimo telegramma di solidarietà.”

–  Uno dei miei 11 nipoti si é iscritto quest’anno all’Istituto Nautico di Camogli. Il senso di questa intervista al dott. Gianni Oneto, che riguarda la rievocazione della brillante carriera di suo padre, comandante Luigi Oneto, consiste anche nel dare la “rotta giusta” a questi futuri ufficiali di marina, facendogli capire che comandanti si diventa con il sacrificio, con l’uso di quelle due bussole citate… e con tanta modestia, tanto amore e rispetto per il mare e la sua gente.

QUALCHE ANNOTAZIONE FINALE:

In questo lavoro, spesso si é fatto riferimento alla Classe ‘Navigatori’, riteniamo pertanto utile, riportare alcune note storiche di notevole interesse che abbiamo estrapolato dal sito Navi e Armatori, a cura di Maurizio Gadda che ringrazio.

Tra il 1947 e 1949 vennero consegnate le sei motonavi della serie “Navigatori”, ordinate prima del periodo bellico come navi da carico per il programma della legge Benni. Solo tre di esse erano state varate prima dell’armistizio, ma nessuna era entrata in servizio in quanto affondate per azione bellica o sabotate nelle acque dei cantieri costruttori durante la ritirata delle forze tedesche. Le tre unità rimaste sullo scalo, benché anch’esse danneggiate, furono le prime a essere completate trasformando il progetto originario in unità miste con sistemazioni per 520 emigranti in cameroni di terza classe.

Ugolino Vivaldi”, impostata come “Ferruccio Bonapace”, fu varata dall’Ansaldo il 25 novembre 1945, consegnata il 10 maggio 1947, partì in viaggio inaugurale sulla linea per il Brasile – Plata il 18 maggio al comando del cap. Pietro Calamai. “Sebastiano Caboto”, impostata come “Mario Visentin”, fu varata a Sestri Ponente il 4 novembre 1946 e consegnata a fine aprile 1948 (velocità 15 nodi, 90 passeggeri in classe cabina e 530 in terza classe). Quest’ultima riaprì il servizio per Napoli – Cannes – Barcellona – Tenerife – La Guayra – Curacao – Cartagena – Panama – Buonaventura – Puna – Callao – Arica – Antofagasta – Valparaiso (Sud Pacifico) partendo in viaggio inaugurale da Genova il 4 maggio 1948 al comando del cap. Achille Danè : fu la prima nave italiana ad attraversare il Canale di Panama nel dopoguerra. Lo scalo di La Guayra fu importante per il flusso migratorio verso il Venezuela che nel 1947 fu di 2.292 persone, nel 1950 15.914. La terza unità era “Paolo Toscanelli”, nominativo non assegnato durante la costruzione, varata a Sestri Ponente il 30 gennaio 1947 e consegnata a metà marzo 1948; la nave partì per il Brasile – Plata da Genova il 25 marzo 1948 al comando del cap. Filippo Rando.

Contemporaneamente, si procedette al recupero delle altre tre unità affondate, anch’esse completate come navi miste ma con capienza di 90 passeggeri in classe unica e 612 emigranti in cameroni di terza classe, più tardi denominata turistica ed estesa su sei ponti (precisamente dal basso verso l’alto): sul Ponte D gli alloggi di classe turistica, sul Ponte C gli alloggi e la sala da pranzo di classe turistica, sul Ponte B il vestibolo, la sala di soggiorno e le passeggiate, sul Ponte A il vestibolo e gli alloggi di classe unica; sul Ponte Passeggiata la sala da pranzo, la sala di soggiorno la veranda e le passeggiate di classe unica; sul Ponte Sole bar e piscina di classe unica.

La “Marco Polo”, impostata e varata come “Nicolò Giani”, affondata il 29 aprile 1944, fu consegnata a fine luglio 1948 e partì per il primo viaggio verso il Sud Pacifico il 7 agosto 1948 al comando del cap. Cesare Gotelli.

L’ “Amerigo Vespucci”, varata nel 1942 come “Giuseppe Majorana” e sabotata nell’aprile 1945 dai tedeschi in ritirata, venne consegnata a fine aprile 1949 e partì per il viaggio inaugurale per il Brasile – Plata il 5 maggio 1949 al comando del cap. Pietro Passano poi trasferita alla linea del Sud Pacifico il 5 luglio 1949.

L’ “Antoniotto Usodimare”, varata come “Vittorio Mocagatta” il 16 ottobre 1942, trovata affondata a La Spezia nel dopoguerra e ripristinata a Genova, venne consegnata a metà luglio 1949, dopo aver raggiunto alle prove in mare i 18,24 nodi, e partì il 25 luglio 1949 per il Sud Pacifico al comando del cap. Pasquale Pezzato.

Le prime unità vennero modificate dopo pochi viaggi sull’esempio delle ultime. Con l’entrata in servizio delle “Navigatori” sulle linee del Sud America, la turbonave “Gerusalemme” venne trasferita in servizio sperimentale sulla linea centro-americana per La Guayra, Cartagena e Cristobal dal 23 luglio 1948, rimanendovi sino a settembre quando venne consegnata alla Lloyd Triestino di Trieste per la linea del Sud Africa.

Dopo il 1950, le navi della classe “Navigatori” potevano trasportare:

Nave

Cl. cabina

3^ classe

Equip.

Ugolino Vivaldi

95

620

129

Sebastiano Caboto

90

615

129

Paolo Toscanelli

97

698

129

Marco Polo

99

702

129

Amerigo Vespucci

92

518

129

Antoniotto Usodimare

92

614

129

***

Rapporto Carrothers. Studi e simulazioni computerizzate svolte dal capitano Robert J. Meurn della Accademia della Marina Mercantile degli Stati Uniti, per conto della stessa Accademia e in parte basate anche sulle scoperte di John C. Carrothers, conclusero che fu l’inesperto terzo ufficiale della Stockholm, Carstens-Johannsen, unico ufficiale sul ponte di comando al momento della collisione a mal interpretare i tracciati radar e a sottostimare la distanza tra le due navi a causa di un’errata regolazione del radar. (n.d.r.)

Ringrazio il dott. Gianni Oneto per la sua disponibilità.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 3.12.22

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


RICORDO DEL COMANDANTE NUNZIO CATENA

 

RICORDO DEL COMANDANTE NUNZIO CATENA

 

Care Amiche e cari Amici, 

Purtroppo devo darvi una ferale notizia: è mancato il nostro carissimo Amico Comandante Nunzio CATENA di Ortona, socio della nostra Associazione insieme alle tre figlie da diciassette anni. Nunzio è salito in cielo alle 02,30 del 31 ottobre scorso nell’ospedale di Chieti dov’era ricoverato dal 26 ottobre per insufficienza respiratoria. 

Come molti di voi sanno Nunzio, classe 1940, trascorse sulla carrozzella gli ultimi 29 anni della sua vita terrena a causa di un incidente che lo colpì il 28 luglio 1993. Nunzio ha resistito stoicamente a questa tragedia per tutti questi anni dedicando le sue forze residue alla moglie Marilena anch’essa malata da trent’anni. La loro vita, se così si può chiamare, è paragonabile soltanto al CALVARIO patito da Gesù Cristo. 

In questo tragitto di estrema sofferenza, questi due SANTI VIVENTI hanno avuto soltanto un GRANDE dono dal destino: TRE FIGLIE MERAVIGLIOSE, Marina, Selene e Martina.

In questo momento ci uniamo a loro e a Marilena sentendoci uniti dallo stesso dolore.

Con questo manifesto funebre MARE NOSTRUM RAPALLO ha voluto salutarlo per l’ultima volta nella sua amata Ortona:

 

 

RICORDO DI NUNZIO CATENA

Da sinistra: Marina, Nunzio, Selene e Marilena

 

Nunzio era dotato di una intelligenza non comune che insieme ad un sense of humor  straordinario lo rendevano un personaggio simpatico ed autoironico di grande spessore umano.

Nunzio e Martina

 

UN RICORDO INDELEBILE

 

 

Il REX conquistò il “Nastro Azzurro” nell’Agosto del 1933 ad una velocità media di crociera di 28,92 nodi, strappando il record detenuto dal transatlantico tedesco Bremen. Il 10 Agosto 1933 la nave salpò da Genova alla volta di New York comandata dal lericino Francesco Tarabotto. Percorse il tragitto da Gibilterra al Faro di Ambrose (3.181 miglia) in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti. A bordo numerosi erano i lericini.

Per festeggiare gli 80 Anni di quella mitica impresa, Lerici dedicò gran parte del 2013 a molti eventi importanti: Una grande mostra di cimeli di Transatlantici con pezzi originali e di pregio; un convegno con i massimi esperti sui Transatlantici; coinvolgimento delle scuole; tavole rotonde; regata d’altura; spettacoli a tema; i Grandi Chef e l’alta cucina; la V edizione di “Lerici Legge il Mare” incentrata sul Rex e transatlantici.

Per l’organizzazione di quella grande FESTA ligure, fu chiesta la partecipazione di non pochi esponenti di Mare Nostrum Rapallo che fu la prima Associazione che iniziò le celebrazioni dedicando a quel mitico viaggio del REX l’annuale MOSTRA al Castello cinquecentesco riportata nel manifesto qui sotto. Era l’ottobre del 2012. In quella occasione, voglio ricordare l’operato di Nanni che diede TANTO in fatto di esperienza e reperti museali.

 

Durante il CLOU della manifestazione, in una splendida serata estiva che vedeva sullo sfondo il Castello di Lerici apparve, per un’improvvisa magia, la gigantesca sagoma luminosa del REX proiettata sul vecchio maniero.

Dinanzi alla platea di un migliaio di persone, parlai del Comandante del REX, il lericino Francesco Tarabotto il quale, durante il periodo bellico, si era trasferito nel mio quartiere di S. Agostino a Rapallo.  

Conclusi il mio intervento con la lettura del saggio: 

U FUNTANN-A… ERA STATO FUOCHISTA SUL REX

del Com.te Nunzio Catena che commosse non pochi spettatori meritando una “standing ovation”.

 

GLI SCRITTI DI NUNZIO CATENA

 

… Da SAGGISTICA NAVALE / Mare Nostrum Rapallo

 

U FUNTANN-A… ERA STATO FUOCHISTA SUL REX

https://www.marenostrumrapallo.it/nunzio/

OSSO DI SEPPIA

file:///Users/carlogatti/Desktop/OSSO%20DI%20SEPPIA%20–%20MARE%20NOSTRUM.webarchive

 

IL FERROVIERE CHE GUARDAVA VERSO IL MARE

https://www.marenostrumrapallo.it/rocco/

ATTENTI A QUEI DUE

https://www.marenostrumrapallo.it/terry/

 

IL REZZAGLIO DEL MIO AMICO “COCOLA”

https://www.marenostrumrapallo.it/coco/

 

GIA’, AVEVO UN BEL FIATO …

https://www.marenostrumrapallo.it/nunzio-2/

NEL PIENO DELLA TEMPESTA

https://www.marenostrumrapallo.it/ricordi-di-guerra/

ANNI ’60 – RICORDI DI BORDO E DINTORNI…

https://www.marenostrumrapallo.it/ricordi/

MOSCIAMME

https://www.marenostrumrapallo.it/mosciamme/

 

… DA STORIA NAVALE/Mare Nostrum Rapallo

 

ITALNAVI SOCIETÀ DI NAVIGAZIONE - GENOVA

https://www.marenostrumrapallo.it/italnavi/

Colgo l’occasione per essere ancora una volta spiritualmente accanto al mio fraterno AMICO NUNZIO con un articolo dedicato al Com.te Francesco TARABOTTO che ho spesso citato sopra...

 

Francesco Tarabotto, il Comandante del REX, sfollato a Rapallo nella Seconda guerra mondiale.

https://www.marenostrumrapallo.it/tarabotto-il-comandante-del-rex/

 

 

 

IL GIGLIO DI MARE ora cresce anche nel mio giardino di Rapallo. Quattro anni fa Marina m’inviò da Ortona i bulbi di questo “raro” fiore delle dune sabbiose che vive solo 24 ore, poi muore e risorge ogni anno nel mese di luglio. Quest’anno ne sono fioriti 35 ed aumentano sempre.

 

Il GIGLIO DI MARE

https://www.marenostrumrapallo.it/pancratos/

di Carlo Gatti – Rapallo Arte

 

Ciao Nunzio – R.I.P – Alle 08 di ogni mattina che verrà penserò a te e tu sai perché!

Carlo e Guny

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 25 Novembre 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


NARVIK - S'AVVICINA LA FINE DELLA SUPER CORAZZATA TIRPITZ - QUARTA PARTE

QUARTA PARTE

S’AVVICINA LA FINE DELLA SUPER CORAZZATA

VON TIRPITZ

 Il 22 settembre 1943. Mentre in Italia meridionale si andava costituendo il Fronte Alleato, si registrava un importante fatto d'armi nel Mare Artico: i britannici, con l’aiuto e la complicità di agenti segreti norvegesi, studiavano il modo per mettere definitivamente fuori combattimento la corazzata von Tirpitz, di 52.000 tonnellate che era diventata l’ossessione di Churchill.

La Tirpitz protetta dalle reti anti siluri, non lo era dagli attacchi aerei.

Operazione Catechism

Un ulteriore attacco aereo ebbe luogo il 12 novembre 1944, sempre con l'impiego degli stessi squadroni. La Tirpitz fu colta di sorpresa in una giornata serena e soleggiata, priva della cortina difensiva di fumo e senza alcun caccia di scorta. Il primo allarme dell'incursione fu dato verso le 08.00, quando la Tirpitz fu collegata immediatamente con il centro antiaereo di Tromsø. Un quarto d'ora più tardi fu richiesta la protezione dei caccia e fu dato l'allarme. Le sirene della base di Tromsø suonarono alle 08.45 e alle 09.15 quando furono avvistati i veivoli inglesi. Cinque minuti più tardi fu ripetuta la richiesta di protezione aerea e da Bardufoss decollarono immediatamente i caccia tedeschi FW190 del gruppo JG5, ma la Luftwaffe non era stata (inspiegabilmente) informata dello spostamento della nave a Tromsø.  Dalla corazzata furono lanciate salve da 38 cm e poi un intenso fuoco di sbarramento con il resto del proprio armamento in un vano tentativo di difesa. Lo squadrone n° 617  formato da 32 Lancaster sganciò con estrema precisione 29 bombe Tallboy, quindi fu sganciato lo stesso carico del n° 9. L'artiglieria della nave da 10,5 cm aprì il fuoco verso le 09.34, e l’aumento pochi minuti dopo con i pezzi da 3,7 cm e 2 cm. Una Tallboy, probabilmente la quarta, colpì la nave insieme ad altri due lanci successivi. La bomba più disastrosa raggiunse la Tirpitz sul lato sinistro, vicino alla catapulta nel compartimento laterale della sala-macchine, penetrando il ponte di coperta e la corazzatura; un'altra cadde in mare al traverso sinistro, con un grande fragore, mentre le altre quattro bombe caddero nella rete. Un’altra cadde al traverso della torretta "D" provocando una grande colonna di fumo nero, cui seguì un lampo per lo scoppio di munizioni nella parte centrale della nave. Molte altre bombe scoppiarono nel porto con il conseguente riversarsi di una ingente quantità d'acqua sulla nave, che sbandò di 35°. Venne dato l'ordine di esaurire l’acqua infiltrata, ma nessuna pompa era in grado di funzionare e l’ordine fu ignorato.  L’ordine successivo fu quello  di abbandonare la nave. Lo sbandamento continuò fino a 60°, dove si assestò per breve tempo. 

Seguì una tremenda esplosione presso la torretta "C" che sollevò tutta la massa rotante dalla nave, dopodichè la Tirpitz si rovesciò fino a che “l'opera morta” (le sovrastrutture) non raggiunse il fondo del mare.

Un esame successivo dimostrò che il fianco della nave era stato divelto tra le ordinate 98 e 132, ma ad eccezione di questa falla, gli altri danni furono di piccola entità. La vera causa dell'esplosione nella torretta "C" non fu mai definitivamente accertata ma l’idea ricorrente indicava nella rapida entrata di migliaia di tonnelate d’acqua in caldaia, la causa dell’esplosione. L’enorme falla fu sufficiente a fare sbandare la nave di 35°, e ciò fu facilitato dal fatto che la nave fosse relativamente leggera per la scarsità di carburante e scorte. L'inondazione continuò e la nave sbandò ancor più, fino a 60°; allora si calcolò che la quantità d'acqua doveva equivalere a circa 17.000 tonnellate e che sarebbe aumentata. I morti furono molti, tra essi l'ufficiale al comando, Capitano di vascello Weber, che aveva sostituito Junge all'arrivo della nave a Tromsø. Alla Kriegmarine rimanevano solamente due Panzerschiffe, ambedue nel Baltico.

DISOBBEDIENZA CIVILE

Un aspetto di minore importanza militare, ma molto significativo sul piano umano e sociale,  fu la distribuzione continua e costante di giornali clandestini che mostrando coraggio e fierezza agli invasori, manteneva nella popolazione un sentimento nazionalista e anti-tedesco. La propaganda clandestina norvegese costò ai tedeschi più risorse degli effetti reali della stessa operazione. Un altro interessante aspetto dell’ostruzionismo norvegese antitedesco, fu il  fronte del ghiaccio che consisteva nel non parlare mai la lingua tedesca (in realtà molti la capivano) e rifiutarsi di sedere accanto ad un tedesco nei trasporti pubblici. Tale consuetudine fu così irritante per le autorità tedesche di occupazione che divenne illegale stare in piedi se sull'autobus c'erano posti liberi a sedere. Negli ultimi anni di guerra, la Resistenza si acquartierò spesso e volentieri nelle foreste attorno alle maggiori città della Norvegia, e da queste basi partivano commando che eliminarono numerosi ufficiali nazisti che si erano macchiati di efferati delitti, e con loro furono eliminati, durante e dopo la guerra, molti collaboratori delle autorità tedesche o di Quisling. Vennero costituite forze militari segrete, che erano considerate una seria minaccia da parte dei tedeschi.

Un ruolo importante fu quello svolto dalla flotta civile norvegese, che fu presente sia nelle Campagne Navali dell’Atlantico, sia durante i combattimenti che seguirono il D-Day. Nell’ultimo anno di guerra, gli svedesi concessero alla Norvegia di addestrare e rafforzare le unità militari che in seguito presero parte alle campagne contro la Germania. Questo avvenne con la complicità delle truppe sovietiche che avevano attaccato e liberato una piccola Contea del Finnmark nel nord-est della Norvegia.

La Norvegia rimase occupata fino alla capitolazione della Germania, nel 1945. Quando giunse la resa, erano presenti in Norvegia 400.000 soldati tedeschi su una popolazione che a quel tempo contava solo 3 milioni di abitanti. L’occupazione portò allo sfruttamento da parte della Germania dell’economia norvegese e a un dominio nazista basato sul terrore che includeva esecuzioni e stermini di massa, anche se su scala leggermente inferiore rispetto agli altri paesi occupati.

LA LIBERAZIONE

 

1945- Dalla Svezia arriva un treno a Narvik con le truppe di Polizia norvegese destinate a governare l’atto finale: la ritirata dei tedeschi sconfitti. Questo Corpo faceva parte delle Forze Militari Norvegesi e si era stabilito nella neutrale Svezia ed era composto di 8 Battaglioni di Riserva di Polizia e 8 Compagnie di polizia Nazionale. Quando si trasferirono in Norvegia nella primavera  del 1945, essi costituivano una forza militare di circa 13.000 uomini equipaggiati e organizzati in ordine militare.

L’incubo è finito. Le truppe tedesche lasciano la città di Narvik.

L’8 maggio 1945 gli uomini della Resistenza Norvegese guadagnarono posizioni strategiche sui nazisti e spianarono la strada agli Alleati e alle forze militari norvegesi presenti in Gran Bretagna e in Svezia. Il tanto atteso passaggio di consegna del territorio si svolse senza problemi.

Il 7 giugno 1945 - Re Haakon rientrò in Norvegia facendo il suo ingresso nel porto di Oslo a bordo di una nave militare inglese.

 Col reimbarco delle truppe di Narvik, che seguiva a pochi giorni di distanza quello dei contingenti sbarcati più a sud, si concludeva disastrosamente per gli Alleati la campagna norvegese. L'intero paese cadeva così, con le sue importantissime basi aereonavali, sotto il controllo delle forze armate germaniche. Non è facile stabilire nemmeno oggi, a tanti anni di distanza, quali furono le perdite negli scontri aereonavali nel Mare del Nord. Da parte britannica fu accusata la perdita di quattro torpediniere, di una corvetta e di dieci altre navi da guerra. I tedeschi dichiararono invece di aver distrutto complessivamente sessantaquattro unità britanniche tra le quali nove incrociatori e nove caccia. Per parte loro, i tedeschi persero - secondo notizie britanniche - due navi da battaglia, quattro incrociatori e undici torpediniere.

 

Alcuni dati statistici

 

Alla fine della guerra, i norvegesi sopravissuti dai campi di concentramento nazisti, cominciarono a riapparire.

92.000    norvegesi erano all’estero

46.000    in Svezia.

141.000 cittadini stranieri, oltre ai tedeschi, erano presenti in Norvegia, per la maggior parte erano prigionieri di guerra.

84.000    erano russi.

10.262    norvegesi  persero la vita  durante la guerra o in prigione.

40.000    furono incarcerati.

Durante la guerra, i tedeschi avevano confiscato il 40% del prodotto interno lordo. Notevoli furono i danni provocati dalla guerra stessa, ma nella contea di Finnmark furono ingenti: vastissime aree furono distrutte eseguendo l’ordine dei tedeschi durante la loro ritirata di fare terra bruciata. Altre città e paesi furono distrutti dai bombardamenti o incendiati deliberatamente usando le stesse metodiche sperimentate in tutti i Paesi occupati

 

Il Dopoguerra

I problemi del dopoguerra furono quelli dell’Europa messa in ginocchio dall’occupazione tedesca: città bombardate, impianti distrutti, penuria di case, la flotta mercantile ridotta ai minimi termini.

La volontà di ricostruire, di riprendersi, e l’aiuto del Piano Marshall annullarono in pochi anni questa situazione, portando anche a una modernizzazione del sistema produttivo accompagnata dalla piena occupazione. Le Elezioni Generali dell’ottobre 1945 portarono al governo il Partito laburista al cui leader, Einar Gerhardsen, fu affidato il compito di costituire il primo Governo del dopoguerra. Il partito rimase al potere per i successivi vent’anni, periodo durante il quale il paese divenne una socialdemocrazia compiuta, con un articolato stato sociale; intanto la Norvegia partecipò alla fondazione delle Nazioni Unite, al Programma di ricostruzione europeo del 1947 e divenne membro dell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) (1949), abbandonando così la sua tradizionale neutralità.

L’economia norvegese uscì dalla guerra molto indebolita, ma il processo di ricostruzione prese subito avvio. Nel 1957 Olaf V succedette a Haakon. Nel 1959 la Norvegia fu tra i membri fondatori dell’EFTA (Associazione europea di libero scambio). Nel 1965 la sconfitta del Partito laburista alle elezioni generali pose fine a un lungo dominio politico.

 

ALCUNE IMMAGINI DEL “WAR MUSEUM” DI NARVIK

 

RPM Panzer Hotchkiss H 35- Francia 1940 - Cannone 47 mm - Peso 20 t. Vel.23 km/h –  equipaggio: capocarro, cannoniere, guidatore.

 

All’interno del War Museum si trova questa  stele commemorativa in ricordo dei Caduti sul fronte di Narvik nel 1940.

 

 

La Johnny WalkerSpecial Bomb” fu disegnata e costruita appositamente dagli inglesi per distruggere la nave da battaglia tedesca Tirpitz (dislocamento: 52.600 tons-lunghezza: 253,60 mt.- larghezza: 36 mt. potenza: 163.26 CV – velocità 30,8 nodi – equipaggio: 2.608 uomini – armamento principale: otto pezzi da 380 mm. 12 da 150 – 16 da 37 mm. – 8 lanciasiluri da 533 mm. 2/4 idrovolanti Arado Ar 196A-4. La Tirpitz era gemella della Bismarck.  La bomba J.W. aveva all’interno una “pressure vessel” che rilasciava idrogeno e lavorava come un water-jet. La bomba era disegnata in modo tale che entrando nell’acqua affondava sino a 50 piedi, poi rimergeva sino a pochi piedi dalla superficie.  La bomba doveva colpire il bersaglio durante la sua ascesa, in caso negativo, ridiscendeva e ripeteva lo stesso ciclo zigzagando con angoli leggermente diversi. La bomba aveva un carico esplosivo di 100 lb di Torpex.

 

Nella salone d’ingresso del War Museo di Narvik ci s’imbatte in un siluro tedesco inesploso. Si calcolò che durante la Campagna di Norvegia andarono a vuoto, a causa dei siluri difettosi, ben 14 attacchi contro navi da guerra e 15 contro navi da carico. Il solo Warspite ne uscì (senza saperlo) indenne per ben 4 volte. Sotto a sinistra è visibile una delle 25.000 mine che erano state depositate dagli Stati belligeranti in quei primi anni di guerra. All'inizio delle ostilità i Tedeschi, gli unici ad essere in Europa veramente pronti alla guerra di mine, sorpresero gli avversari con l'impiego della mina magnetica ad ago, la cui attivazione era determinata dalla perturbazione magnetica generata dal transito di uno scafo metallico. I danni provocati furono notevoli e sottoposero i Britannici, in particolare, ad uno sforzo che mobilitò buona parte delle forze della Nazione.  A questo riguardo Winston Churchill  nella sua «Storia della Seconda guerra mondiale»  scrive: "Tutte le energie e la scienza della Marina britannica vennero messe in opera; una parte notevole dei nostri sforzi bellici dovette venire impiegata negli esperimenti per combattere questo pericolo. Si sottrassero ad altri impieghi materiali e mezzi finanziari, giorno e notte migliaia di uomini rischiarono la vita a bordo di dragamine». Lo sforzo maggiore fu fatto dai Britannici nel 1940, quando quasi 60.000 uomini furono adibiti a questi servizi. Basterebbe l'entità di tale impegno, anche senza citare quella degli affondamenti, a giustificare, da sola, l'azione di minamento attuata dai Tedeschi, tanto più che questo risultato rilevante fu ottenuto con ben poche perdite di mezzi posamine. Per quanto riguarda le perdite causate dalle mine, gli affondamenti dovuti ad esse rappresentano il 6,5% del totale, cifra che a prima vista dice ben poco perché non tiene conto di tutti gli altri tipi di danni e delle implicazioni ad essi relative, non agevolmente quantificabili".

 

 

A sinistra il plastico riporta le posizioni delle postazioni e batterie costiere, sotto, alcuni proiettili di diversi calibri.

Per gli appassionati d’artiglieria leggera abbiamo scattato alcune foto di cannoni da campo di piccolo e medio calibro e contraerea.

Questo cannone da 5-in. faceva parte della Batteria di Framnes ed era stato prelevato dalla nave costiera corazzata Tordenskjold.

 

 

In questa bacheca del War Museum di Narvik sono visibili le armi leggere del Terzo Reich. In alto l’ampia gamma di pistole automatiche, tra cui le Walter e le Luger. Al centro la Mauser cal. 7.63 con il calcio allungato dalla custodia di legno e sotto la Schmeisser. Infine, pistole lanciarazzi. In primo piano, il manichino tedesco porta nel cinturone la bomba a mano Handgranate M.24.

 

MUSEO DI SVOLVAER (Lofoten)

Lofoten Krigsminnemuseum

www.lofotenkrigmus.no

Sul sito internet di questo interessante e fornitissimo Museo di Svolvaer è attivato un circuito interno televisivo che scorre lentamente dopo aver cliccato su ogni fotografia degli 8 reparti che lo compongono.

Barchini esplosivi. Si tratta di nuove armi che si trovavano presso basi segrete nei dintorni di Svolvaer-Lofoten. Si trattava di motoscafi velocissimi costruiti per essere impiegati contro le corazzate e gli incrociatori tedeschi che  transitavano dentro e fuori il Vestfjord.

 

Il conduttore lancia il “Barchino” carico di tritolo sull’obiettivo e si getta in mare salvandosi a nuoto.

War Museum-Svolvaer (Isole Lofoten)

 

La giovane e fiera “levatrice-partigiana” di Svolvaer

 

Nel giardino della Chiesa principale di Svolvaer (Isole Lofoten) abbiamo ripreso la Stele commemorativa dei soldati caduti durante la Seconda guerra mondiale.

 

 

Torre trinata da 280 mm della batteria “Orlandet” (Oslo) in Norvegia, già appartenente all’incrociatore da battaglia tedesco Gneisenau

foto A.Bonomi. Dalla rivista Storia militare-Settembre 2007

 

 

MUSEO DELL’AVIAZIONE DI BODØ

NORSK LUFTFARTSMUSEUM

http://luftfart.museum.no/engelsk

Dieci telecamere permettono di visitare virtualmente il Museo

 

 

Questa stele ricorda i tre valorosi piloti di Gloster Gladiator inglesi che si batterono per la libertà  fino alla morte contro forze nettamente superiori. Museo dell’Aviazione di Bodø, Norvegia.

 

 

  MK-1   SPITFIRE SUPERMARINE

Del 74° Squadron della RAF - estate 1940.

Museo dell’Aviazione di Bodø, Norvegia.

 

APPENDICE STORICA 

Narvik un Punto Chiave ..............................................................................    268

Quadro Storico ............................................................................................   270

Il Caso della Nave ALTMARK .................................................................. ...     274

I Piani D’attacco di Hitler ............................................................................    276

La Germania e L’invasione della Norvegia .................................................      279

Il Museo della Guerra di Narvik ..................................................................      287

L’Odissea di Narvik .................................................................................... .   288

La Prima Battaglia di Narvik per gli Inglesi .............................................. ...    296

La Seconda Battaglia di Narvik per gli Inglesi ............................................     298

Elenco delle Navi affondate nel Porto di Narvik ........................................      309

Fotografie dei Bombardamenti della Città .................................................     310

Batterie Costiere ........................................................................................    314

Battaglie sui Monti di Narvik .....................................................................      319

Coinvolgimento delle Contee a Nord di Narvik ....................................... ..     320

Carta delle Battaglie terrestri a NE di Narvik ............................................      323

“Tutte le Forze Norvegesi devono ritirarsi” .............................................      326

La Fuga del Re Haakon e del Governo .....................................................      327

La Resistenza Norvegese - Organizzazione.............................................      329

L’Acqua Pesante nel Telemark ............................................................... ..     331

La Battaglia di Hegra Fort ...................................................................... .     333

La Resistenza e la corazzata Tirpitz ........................................................     335

Disobbedienza Civile – La liberazione ....................................................      341

Immagini del Museo di Narvik ................................................................      345

Immagini dal Museo di Svolvaer (I.Lofoten) ......................................... ..     352

Immagini dal Museo dell’Aviazione di Bodø ........................................ ....    359

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 22 novembre 2022

 


APRILE 1940 - I TEDESCHI INVADONO LA NORVEGIA - LA RESISTENZA NORVEGESE - PARTE TERZA

APRILE 1940 - I TEDESCHI INVADONO LA NORVEGIA 

LA RESISTENZA NORVEGESE

PARTE TERZA

Dopo la ritirata delle forze alleate dalla Norvegia centrale, il teatro delle operazioni si restrinse a Narvik ed ai territori settentrionali. In quella zona il comandante tedesco Dietl, isolato e circondato, al comando di 2.000 soldati da montagna e di un numero piuttosto cospicuo di marinai (circa 2.000) superstiti dei cacciatorpediniere tedeschi, si stava rivelando un osso duro. 
Durante il mese di aprile, il Maggiore inglese Generale P.J. Mackesy, Comandante di tutte le Forze di terra, aveva ricevuto buoni rinforzi: mezza brigata di “Chasseurs Alpins”, mezza brigata di uomini della Legione Straniera, una brigata di “Chasseurs du Nord” polacchi, alcuni pezzi di artiglieria e carri armati. Egli riuscì ad attestarsi in alcune postazioni a cavallo dell'Ofotfjord mediante sbarchi effettuati fuori dalla portata delle postazioni tedesche. All'inizio di maggio, a causa della sua scarsa aggressività, oppure per l'incapacità di quei forti contingenti alleati di avere ragione di Dietl, la situazione diventò intollerabile. 
Al suo posto di Mackesy fu nominato l’Ammiraglio Lord Cork quale comandante di tutte le forze inglesi, francesi e polacche intorno a Narvik. L’alto ufficiale era già stato coinvolto con successo in una Spedizione in aiuto ai finlandesi e si era guadagnato la fama di aggressive attacking officer.

Un discorso a parte merita il contingente territoriale norvegese, il cui comandante, il Generale norvegese Carl Gustav Fleischer ebbe un grande ruolo in quei giorni, perchè seppe infondere nei giovani militari norvegesi il giusto spirito bellico che servì per comunicare ai tedeschi il primo segnale di resistenza. La sua prima azione fu quella di mobilitare  le scarse forze disponibili per contrastare l’azione degli invasori tedeschi. A sua disposizione aveva:

il 2° Battaglione del Nord Hålogaland-Reggimento di Fanteria (II°/IR-15) che fu inviato verso il fronte Sud all’alba del 9.4.40.

1 Compagnia costituita da Cadetti e Istruttori della Scuola Ufficiali di Harstad (60 Km a nord-ovest da Narvik) che venne per prima in contatto con il nemico.

In questa mappa del War Museum di Narvik, a sinistra le frecce nere indicano l’attacco terrestre tedesco del 9 aprile 1940 partito in due direttrici, verso la zona del Lapphaugen a nord-est e verso il Bjørnfjell alle spalle di Narvik. A destra invece è segnato da frecce bianche il contrattacco dei norvegesi e degli alleati il  10 giugno 1940.

 

La Guerra sui Monti.

In questa seconda cartina viene riprodotta ancora una volta la controffensiva dei norvegesi del 10 giugno 1940                          

    p.g.c. del War Museum di Narvik

Il 12 aprile i tedeschi furono temporaneamente fermati a Gratangen (30 km  a Nord-Nord-Est di Narvik-vedi cartina sopra) dopo una dura battaglia. I ragazzi norvegesi dimostrarono un eccezionale spirito combattivo che si prolungò per i due mesi successivi, fino al ritiro degli Alleati.

 

ANCHE LE CONTEE A NORD DI NARVIK SONO COINVOLTE NELLA GUERRA

CONTEA DI TROMS

 

 

a.b.c. - Centro amministrativo è Tromsø, (150 km in linea d’aria a NNE da Narvik),  sede delle Forze Armate Norvegesi, 6° Divisione di Fanteria e gran parte dell’Aeronautica. Molti paesi nominati in questo saggio fanno parte di questa contea: Balsfjord, Bardu, Gratangen, Harstad, Lavangen, Målselv, Tranøy, Tromsø ecc..

I tedeschi ebbero qualche ripensamento sull’efficienza delle truppe del Nord e durante questo periodo di cautela, i norvegesi mobilitarono i 2 Battaglioni di Troms 16° Reggimento di Fanteria (IR-16)  e di spostare il Battaglione di Alta (il più popoloso comune del Finnmark- 17.000 abitanti) e il 1° Battaglione di Sør-Trøndelag del Reggimento di fanteria (1°/IR-12) dal Finnmark (la regione più a nord della Norvegia) verso sud.

CONTEA DI FINNMARK

Centro Amministrativo è Vadsø, la maggior parte dei Lapponi è concentrata nel Finnmark. I comuni principali sono: Alta, Hammerfest, Nordkapp, Tana, Vadsø, Vardø.

Le forze norvegesi furono spinte insieme verso Fossbakken (vedi cartina) e riuscirono a tenere a distanza le forze germaniche che si erano assestate fin dal 13 aprile sul fronte di Lapphaugen. A questo punto c’è da rilevare un fatto importante: Questa battuta d’arresto fu considerata dagli storici come la prima sconfitta della Germania nella Seconda guerra mondiale. Il 24 aprile sull’onda del successo proseguirono la controffensiva, ma i tedeschi operarono una ritirata strategica dall’area di Lapphaugen (vedi cartina) favoriti da forti burrasche e piovaschi intensi. In effetti si riunirono con altre truppe che avevano bivaccato a Elvenes (vedi cartina) e mossero con rapidità un attacco di sorpresa al I°IR-12 che aveva ripiegato di notte verso una postazione che aveva una scarsa via di fuga. Il risultato dell’incursione tedesca fu pesante: il Battaglione ebbe 24 soldati uccisi e 60 feriti. Il morale dei norvegesi, tuttavia, non fu scalfito e lo dimostrò pochi giorni dopo durante l’offensiva del 1° maggio. Il nemico infatti si era ritirato verso sud e si trovava a Gressdalen e sui monti intorno a Leigastiden (10 km a NE di Bjerkvik), quando le truppe Chasseurs Alpins francesi cominciarono a fluire in forze dal fronte meridionale e occidentale.

 

 

La cartina mostra le località dove si sono svolte le maggiori battaglie tra i Tedeschi e gli Alleati inglesi, francesi e polacchi sbarcati nel nord della Norvegia.

 

I primi sbarchi delle truppe inglesi avvennero a nord e sud di Trondheim soltanto una settimana dopo il colpo di mano tedesco, più precisamente era il 15 aprile e sbarcarono nel nord, presso Harstad (50 km a NW di Narvik). Il giorno successivo altri sbarchi si ebbero nel fiordo di Namsos (130 km a NNE di Trondheim) con mezza brigata di Chasseurs Alpins francesi e presso le città di Aandaisnes e Molde (180 km a SW di Trondheim). Le difficoltà sul terreno per le truppe alleate si manifestarono subito, sia per la mancanza di adeguato equipaggiamento pesante, sia per il completo dominio dei cieli da parte della Luftwaffe, che ora poteva usufruire anche degli aeroporti di Sola (vicino a Stavanger -170 km a sud di Bergen) e di Fornebu (Oslo). Inoltre i tedeschi si impadronirono delle linee ferroviarie, fondamentali per lo spostamento in un paese come la Norvegia privo di grosse infrastrutture stradali.

Il secondo sbarco degli Alleati. Nella notte del 13 maggio, con i sette mezzi da sbarco inglesi disponibili, sbarcò a Bjervik il 1° battaglione della Legione straniera e 3 carri armati francesi. Nonostante il fuoco delle mitragliatrici tedesche, le perdite furono leggere. I carri armati ridussero ben presto al silenzio le mitragliatrici, ed i legionari avanzarono lungo la strada per congiungersi con i norvegesi che, sulle montagne orientali, avevano preparato la strada per lo sbarco mediante un nuovo attacco. 
Non restava che occupare Narvik e circondare Dietl.

I tedeschi erano presi tra due fuochi, a Nord dai norvegesi, a Sud dai francesi. Lo sbarco degli alleati francesi avvenne con la copertura dei cannoneggiamenti delle navi da guerra inglesi che, purtroppo, distrussero un numero incredibile di case e fecero anche 16 vittime tra i civili.

Il tenente generale inglese Sir C.J.E Auchinleck, arrivato a Harstad  l'11 maggio, decise, come si è visto, di esonerare Mackesy dal comando, ma saggiamente evitò di troncare la collaborazione tra la Legione Straniera e la Marina Inglese, che stava cominciando a dare buoni frutti. Intanto i norvegesi avevano ricacciato indietro i tedeschi, raggiungendo la zona elevata di Kobberfjell (22 km NE di Narvik), da dove potevano minacciare la base di rifornimento di Dietl situata sulla frontiera svedese. Le condizioni atmosferiche erano proibitive. Tanto i norvegesi quanto i tedeschi risentivano del fatto di essere rimasti a lungo sulle montagne coperte di neve, e gli uomini di Dietl, reduci da un lungo periodo di ininterrotta attività, erano stremati.

Il 20 maggio i norvegesi attaccarono ancora una volta, costringendo i tedeschi a ritirarsi nella loro ultima posizione di montagna. Il 22 ed il 25 maggio Dietl ricevette rinforzi. Dai primi di aprile in poi, alcune unità di paracadutisti che avevano preso parte ai primi colpi di mano, furono lanciate in suo aiuto. 
Infine, nelle prime ore del 28 maggio, dopo un preliminare bombardamento navale, gli uomini della Legione Straniera, utilizzando i cinque ultimi mezzi da sbarco disponibili, sbarcarono sul lato settentrionale della penisola di Narvik. Il resto dei due battaglioni della Legione ed un battaglione norvegese seguirono su battelli da pesca. Un attacco tedesco sulla parte alta del litorale fu respinto. Francesi e norvegesi avanzarono attraverso la penisola puntando su Narvik e i tedeschi dovettero ritirarsi come meglio poterono su una nuova linea difensiva più a nord. Béthouart intanto si preparava a premere lungo i fianchi del fiordo, mentre sulle montagne in prossimità della frontiera svedese, i norvegesi si apprestavano a sferrare l'attacco decisivo che avrebbe isolato Dietl dalla linea ferroviaria, disperdendone le forze. Purtroppo la fine della resistenza nella Norvegia centrale aveva permesso ai tedeschi di disimpegnare forze e il primo pericolo che minacciò gli alleati a nord, fu costituito dagli attacchi aerei. Harstad era stata bombardata a più riprese, e sebbene gli alleati vi avessero installato notevoli difese contraeree, era ormai chiaro quanto fosse indispensabile farvi affluire aerei da caccia. Il 26 aprile la Furious, che era rimasta a nord con i suoi lenti Swordfish da ricognizione e da bombardamento, salpò per la Scozia.

La Ark Royal  poco dopo il completamento (fine 1938-inizio 1939)

Dieci giorni dopo l’Ark Royal arrivò al largo di Harstad ed i suoi Blackburn Skua (bombardieri in picchiata) poterono finalmente svolgere una modesta  attività di copertura. I lavori per l'approntamento di campi d'atterraggio per i caccia erano a buon punto, ed il 21 maggio i Gladiator del 263° gruppo giunsero a Bardufoss; i caccia inglesi riportarono subito notevoli successi abbattendo numerosi aerei tedeschi. Il 28 maggio giunsero nel settore gli Hurricane del 46° gruppo e, poiché una seconda pista di atterraggio allestita in prossimità di Harstad si dimostrò inutilizzabile, scesero anch'essi su Bardufoss. Da quel momento in poi le forze alleate poterono contare su di un certo grado di copertura da parte dei caccia. 
Ma i tedeschi avevano anche cominciato a muoversi a terra dirigendosi verso nord.

I francesi e i norvegesi avevano occupato Narvik il 28 maggio,  ma i preparativi per l'evacuazione erano cominciati, mentre ancora si stavano completando quelli per la conquista della città. La sera del 11 giugno Cork ebbe finalmente il permesso di comunicare a Re Haakon che gli alleati intendevano ritirarsi; Ruge ne fu informato la mattina seguente. Le parti convennero di posticipare di 24 ore l'operazione, sperando che i tedeschi accettassero la proposta di dichiarare Narvik città neutrale e d’affidarne il controllo agli svedesi; ma la richiesta fu respinta e la ritirata continuò. 


Nello stesso momento, a Sud di Narvik presero posizione 4 Battaglioni della Brigata Polacca Podhale (4778 soldati) che rilevarono le forze Inglesi e Francesi. Li comandava il generale Zygmunt Bohusz Szyszko, 47 anni. I polacchi facevano parte della North Western Expeditionary Force che contava su 12 battaglioni in totale. I Polacchi possedevano armi francesi e si rivelarono degli eccellenti combattenti. Durante le due settimane successive, liberarono le coste da SO a SE di Narvik (Ankenes-Halvøya e Beisfjorden) e spinsero i tedeschi verso i monti a NE della città.

Gli incrociatori da battaglia Gneisenau e Scharnhorst l'incrociatore Hipper e quattro cacciatorpediniere salparono da Kiel la mattina del 4 giugno. L'ammiraglio Marschall, che comandava la formazione, aveva ricevuto ordine di alleggerire la pressione su Dietl attaccando Harstad e di portare poi le sue navi a Trondheim in modo da appoggiare l'avanzata verso nord. Sebbene le condizioni atmosferiche fossero buone, le navi attraversarono il Mare del Nord senza essere avvistate, incontrarono una nave cisterna in punto prestabilito e, nelle prime ore dell’8 si avvicinarono alla costa settentrionale della Norvegia in formazione di perlustrazione (anziché entrare nei fiordi per bombardare Harstad, Marschall aveva infatti deciso di attaccare i convogli britannici cui era segnalata la presenza in mare). Quasi improvvisamente i tedeschi avvistarono navi inglesi: le prime due, una nave cisterna ed una nave di linea vuota, furono affondate, la terza, una nave ospedale, fu lasciata andare.

Ritornando allo scenario precedente, ci furono delle cruente battaglie sulle alte montagne a Est di Leigastinden tra Lapphaugen e il Bjørnfjell, vicino al confine svedese. I due Battaglioni Troms, con grande sacrifici e difficoltà di rifornimenti e comunicazioni di qualsiasi tipo, senza alcuna possibilità di essere sostituiti da truppe fresche, con cannoni pesanti da trasportare con i cavalli in condizioni ambientali estreme, spinsero i tedeschi indietro, roccia dopo roccia, da una cima all’altra per il lungo periodo che va dal 1° maggio fino al 8 giugno. Poi, improvvisamente, giunse l’ordine che aveva in sé una profonda delusione:

“Tutte le Forze Norvegesi devono ritirarsi”

La vittoria era ormai acquisita. I vagoni ferroviari erano pronti al confine per evacuare i tedeschi dalla Norvegia alla Svezia. 

Con l’entrata in guerra dell’Italia, si era aperto un nuovo Fronte nel Sud Europa che richiedeva l’immediato rientro degli Alleati dalla Norvegia.

Prima di quell’infausto annuncio, anche Narvik fu riconquistata dopo una spettacolare battaglia sul Taraldsfjellet alle spalle della città. Le truppe norvegesi e la Legione Straniera francese presero d’assalto la montagna con l’appoggio del fuoco di copertura delle navi inglesi e con i cannoni francesi e norvegesi di Øyjordhaløya poste sull’imboccatura del Rombaksfjord. Nello spazio di poche ore di fuoco intenso, la II/IR-15 perse un quarto della sua forza. 17 furono le vittime.

 Purtroppo, il sacrificio di tutti questi giovani valorosi combattenti norvegesi di tutte le armi valse solo a salvare l’onore della Patria e a guadagnarsi il rispetto di tutto il mondo che in quei primi mesi di guerra tenne gli occhi e gli orecchi puntati su questo teatro di guerra, dove i tedeschi non ebbero vita facile come credevano, e soltanto un capovolgimento strategico della storia in corso, li salvò, probabilmente, da una grande umiliazione, sproporzionata senz’altro alle loro sconfinate ambizioni di espansione territoriale.

Così il 7 Giugno i soldati alleati, stanchi e demotivati, abbandonarono Narvik. Insieme a loro, anche il Re e i membri del governo lasciarono la Norvegia.

Fu sulle montagne, quindi, che i soldati norvegesi furono informati che il loro attacco,  che avrebbe completato la disfatta di Dietl, era stato annullato. Il 7 giugno Re Haakon e i ministri norvegesi s’imbarcarono a Tromsø sull'incrociatore Devonshire, lasciando Ruge, dietro sua richiesta, con i suoi soldati.

L' 8 giugno gli ultimi soldati inglesi e francesi s’imbarcarono a Harstad, mentre le difese contraere rimasero attive fino all’ultimo momento. Dopo di che i cannoni furono distrutti e gli aerei da caccia decollarono per ritornare sulla Glorious.

Il 9 giugno entrò in vigore un armistizio preliminare tra i tedeschi e i norvegesi superstiti. Dietl si mostrò generoso nei confronti di Ruge, e i soldati norvegesi poterono tornarsene alle loro case. Sebbene gli inglesi non se ne rendessero conto, in quel momento la minaccia più grave  non era quella proveniente dalla terra o dal cielo, bensì dal mare.

LA FUGA DEL RE HAAKON E DEL GOVERNO

Anticipando gli sforzi tedeschi per catturare il Governo,  la Famiglia Reale, l’intero Parlamento e alcuni alti funzionari del Ministero della Difesa e dell’Amministrazione civile prepararono la loro fuga in Gran Bretagna insieme alle truppe alleate che si stavano ritirando. La ritirta cominciò quando le Autorità norvegesi lasciarono frettolosamente Oslo in treno e in auto, trasferendosi prima a Hamar (120 km a Nord di Oslo) e poi a Elverum (25 km a Est di Hamar), dove fu convocata una sessione straordinaria del Parlamento. Grazie alla presenza di spirito del presidente del Parlamento Carl Johan Hambro, il governo approvò un provvedimento d’emergenza (noto come: Autorizzazione Elverum)* che dette la piena autorità al Re e al Governo fino a che l’Esecutivo non si fosse di nuovo riunito. Tale Atto dette al Regno e al suo Governo l’autorità costituzionale per rifiutare l’ultimatum dell’emissario tedesco Curt Bräuer. Re Haakon e il Principe Olav con i membri del Governo norvegese riuscirono a evitare tutti i tentativi di cattura e viaggiarono attraverso le remote regioni dell’interno finchè  arrivarono a Målselv (90 km a NNE di Narvik), dove fecero una sosta breve a Trollhaugen vicino a Olsborg (3 km a Nord di Målselv), prima di continuare per Dybwad Holmboe’s presso Langvatnet in Balsfjord (60 km a Sud di Tromsø).

Qui rimasero fino al 7 giugno Assicurando la legittimità costituzionale.

* Il Parlamento norvegese minò alla base qualsiasi tentativo di Vidkun Quisling (collaborazionista nazista) di rivendicare il Governo per sé. Dopo che Quisling ebbe proclamato la propria assunzione del Governo di Norvegia, diversi membri della Corte Suprema presero l’iniziativa di istituire un Consiglio Amministrativo (Administrasjonsrådet) nel tentativo di fermarlo. Ciò fu però considerata un’iniziativa controversa e infatti il legittimo Governo norvegese rifiutò di appoggiare tale Consiglio, mentre le autorità tedesche semplicemente lo sciolsero.

 

ALCUNI PUNTI FERMI....

  1. a) - Durante l’invasione germanica della Norvegia, si ricorda che diverse unità militari norvegesi lanciarono numerosi contrattacchi contro i tedeschi, cooperando con le forze britanniche e polacche, ed ebbero un certo successo.

  2. b) - Con lo sbarco degli Inglesi-Francesi-Polacchi a Narvik, si accese una grande speranza di liberazione, che purtroppo tramontò poco dopo, con il ritiro delle loro truppe a causa dell’apertura di un nuovo fronte nella Francia meridionale.

  3. c) - Quando la Norvegia settentrionale cadde in mano naziste, il Governo norvegese era già riuscito a fuggire in Inghilterra, insieme alla Famiglia Reale. In esilio a Londra, fu mantenuta la legittimità costituzionale e, di fatto, la Norvegia entrò a far parte dello schieramento alleato.

  4. d) - Il Governo Inglese si mosse su due linee: unì le truppe norvegesi a quelle alleate, e collaborò con la Norwegen Transport Shipping (Nortraship), la maggior organizzazione mondiale di spedizioni marittime, (mobilitava circa 1.000 navi mercantili), per il supporto logistico nel trasporto di merci e

e) - Quest’ultimo punto determinò nell’Alto Comando germanico la preoccupazione che gli Alleati potessero tentare di riprendere la Norvegia. Ciò spiega l’impegno in Norvegia di centinaia di migliaia di soldati che altrimenti sarebbero stati dislocati su altri fronti.

LA  RESISTENZA  NORVEGESE

La Norvegia si difende

Dal 1940 al 1945, la Resistenza Norvegese si oppose all’invasore ed occupante nazista con diverse forme di ostilità e combattimento:

  1. A) - Sostegno al Governo norvegese in esilio e, di conseguenza, mancato riconoscimento di legittimità al regime di Vidkun Quisling e all'amministrazione del Reichskommissar Josef Terboven.

  2. B) - Difesa iniziale della Norvegia meridionale che fu in larga parte disorganizzata, ma diede tempo al Governo norvegese di evitare la cattura.

  3. C) - Difesa e contrattacco militare, maggiormente organizzata nelle regioni della Norvegia occidentale e settentrionale, che fu finalizzata ad assicurarsi posizioni strategiche e all'evacuazione del Governo.

  4. D) - Resistenza armata, nelle forme del sabotaggio, dei raid dei commando e altre operazioni speciali durante l'occupazione.

  5. E) - Disobbedienza civile e resistenza passiva.

 

Le basi SEPALS dei partigiani norvegesi a Est della città di Narvik sono segnate sulla carta (sopra) dalle bandierine con il loro nome in codice.                        

(Narvik, War Museum)

 RESISTENZA ARMATA. Oltre alle già citate battaglie di Narvik, furono portate a compimento numerose altre azioni militari con l’intento, sia di rovesciare le Autorità naziste, sia di contribuire allo sforzo bellico in generale. La Resistenza Norvegese s’impegnò attivamente nel “transito clandestino” di popolazione tra la Svezia e la Norvegia, ma anche verso le Isole Shetland, impiegando barche da pesca che furono chiamate Shetland Bus.

La MILORG iniziò come piccola unità di sabotatori e finì per costituire una vera e propria Unità militare.

La COMPANY LINGE si specializzò in incursioni e combattimenti costieri. Si ricordano le ripetute incursioni realizzate presso le Isole Lofoten, Måløy e altre aree costiere. La sua partecipazione si estese, con ricognitori norvegesi, alla distruzione delle corazzate tedesche Bismarck e Tirpiz.

 

 

Manifesto del celebre film “Gli Eroi di Telemark”

 Nell’area occupata del Telemark (Regione centro-meridionale della Norvegia) funzionava a pieno ritmo una fabbrica di Acqua Pesante, ritenuta indispensabile per la costruzione della Bomba Atomica tedesca. La fabbrica era una minaccia per gli Alleati e andava neutralizzata. La complessa operazione è stata fra l’altro rievocata in un celebre film:

GLI EROI DI TELEMARK

La fabbrica era arroccata fra le montagne, difficilissima da bombardare, così fu decisa un’azione di sabotaggio. L’impresa fu affidata a un pugno di uomini della Resistenza norvegese. Il 27 febbraio 1943, quattro di loro riuscirono ad introdursi nel sorvegliatissimo complesso. Sistemarono l’esplosivo e uscirono prima che si consumassero i trenta secondi della miccia. L’operazione riuscì brillantemente, ma le speranze di arrestare definitivamente i lavori della fabbrica andarono deluse. I nazisti rimisero rapidamente in piedi le apparecchiature e pochi mesi dopo fu necessaria una nuova operazione. Questa volta gli Alleati scelsero un bombardamento aereo grazie al quale, la produzione fu fermata ancora una volta, ma la minaccia non era stata neutralizzata.

Nel febbraio 1944, il Comando nazista decise di trasferire in Germania la preziosa Acqua Pesante prodotta in Norvegia. Di nuovo fu necessario l’intervento degli uomini della Resistenza che, questa volta, riuscirono pienamente nel loro intrepido atto di sabotaggio, affondando il traghetto incaricato del trasporto. La trama del film, così riassunta, è fedele alla storia dello spettacolare avvenimento, ma i principali e reali sabotatori si chiamavano Joachim Rønneberg, Knut Haukelid, Max Manus Gunnar Sønsteby ed altri. Questo coraggiosissimo atto di sabotaggio permise agli scienziati americani di recuperare tempo prezioso sulla finalizzazione del programma atomico USA.

Sebbene le loro gesta siano passate alla storia per aver distrutto l’impianto di Acqua Pesante e le “riserve” imbarcate sul traghetto Norsk Hydro a Vemork (Rjukan), questi  impavidi eroi norvegesi, insieme ad altri sabotatori della Resistenza Armata norvegese, distrussero numerose altre navi e rifornimenti del Terzo Reich. I nazisti, per rappresaglia e vendetta, ad ogni atto di sabotaggio, uccisero numerosi norvegesi innocenti. Il peggior di tutti fu l’assalto al villaggio di pescatori di Telavåg (25 km a sud ovest di Bergen) nella primavera del 1942.

 

GLI EROI DI TELEMARK, LA VERA STORIA

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di Carlo GATTI

ACQUA PESANTE

L’Acqua Pesante doveva servire alla Germania nazista per costruire la sua prima bomba atomica e se ciò fosse accaduto, chiaramente, la storia sarebbe stata completamente stravolta.

L’Acqua pesante in apparenza é identica a quella normale, ma ha una composizione completamente diversa: aniziché essere composta da un atomo di ossigeno e due di idrogeno è formata da un atomo di ossigeno e da due atomi di un isotopo dell’idrogeno, il deuterio.

Il deuterio è un elemento il cui nucleo invece di avere un protone è composto da un protone e un neutrone. Questa differenza è importante perché in una reazione nucleare l’Acqua pesante può rallentare i neutroni, dando luogo così alla fissione nucleare; a tale scopo si può anche utilizzare l’uranio naturale e non quello arricchito. I nazisti avevano realizzato un impianto pilota in Norvegia per la produzione di Acqua Pesante e, quindi sarebbero riusciti a costruire la loro prima bomba atomica.

Ecco come sono andati i fatti.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre milioni di uomini si massacravano con mezzi non troppo dissimili da quelli delle guerre precedenti, i politici ed alcuni scienziati avevano ben chiaro un fatto cruciale. In questo conflitto sarebbe stata giocata una carta totalmente nuova e decisiva, uno strumento bellico capace di uccidere in un colpo solo centinaia di migliaia di persone. Il solo nome sarebbe stato in grado di terrorizzare interi popoli:

si trattava della bomba atomica

Sia le forze alleate che i nazisti si buttarono a capofitto nel tentativo di costruire l’ordigno. Ciascuno sapeva che anche l’avversario inseguiva il medesimo scopo e che il possesso della bomba avrebbe significato la vittoria finale. Nel 1943 negli Stati Uniti la piccolissima cittadina di Los Alamos, nel Deserto del Nuovo Messico, era stata trasformata in una sorta di immenso recinto di massima sicurezza. Qui, praticamente segregati, vivevano e lavoravano alcuni dei più brillanti fisici, chimici e ingegneri del mondo. Quello a cui partecipavano era il celebre e costosissimo Progetto Manhattan che avrebbe poi effettivamente portato alla messa a punto della bomba nucleare. Fra di loro c’erano:

Enrico Fermi, Segre e gli amici di via Panisperna) Robert Oppenheimer e molti altri.

Ma anche i nazisti non lesinavano gli sforzi necessari, anche se in seguito fu appurato che essi non erano mai stati vicini al risultato finale.

Non molto tempo fa, fu rivelato che la Svezia aiutò la Resistenza norvegese addestrando ed equipaggiando molte reclute in numerosi campi militari lungo il confine norvegese. Per sviare i sospetti, i centri furono camuffati da campi di addestramento della Polizia. Di notevole importanza per gli Alleati, fu il lavoro di Intelligence svolto dalle diverse Organizzazioni, tra le quali si distinse la XU fondata da Arvid Storsveen che era formata da studenti dell’Università di Oslo. A questo proposito, mi sembra opportuno ricordare che tra i quattro capi riconosciuti della Resistenza norvegese, due erano giovani donne, una di loro, si chiamava Anne-Sofie Østvedt. (Nel romanzo “IL GIUSTIZIERE DI NARVIK” ogni riferimento è del tutto casuale...). 

Hans Reidar Holtermann, 1895-1966, Colonnello norvegese, meglio conosciuto come il Comandante di Hegra Fort.

LA BATTAGLIA DI HEGRA FORT. Durante l’avanzata in terra norvegese, i tedeschi occuparono poco alla volta tutti i forti e le batterie dell’Esercito norvegese per poi avere il controllo del territorio. La conquista del  Forte di Hegra era un importante obiettivo militare dei tedeschi per unire le loro linee d’attacco. In questa delicata fase, Holtermann fu incaricato di mobilitare il 3° Reggimento di artiglieria a Värnes (50 km a nord-ovest di Trondheim-Norvegia centrale), ma l’incalzante avanzata nemica gli impedì di completare il piano, allora ripiegò su una località più sicura: Hegra Fort (35 km a Est di Tromdheim), una fortezza di riserva del 1926 che era tuttora in ottime condizioni e difendibile. Holtermann con una forza improvvisata di 250 soldati, organizzò una “resistenza” con l’intenzione di tenere il Forte sino all’arrivo di un supporto effettivo che, purtroppo non arrivò. L’eroe Holtermann, con i suoi valorosi soldati resistettero 25 giorni (dal 15 aprile al 5 maggio 1940)  all’assedio delle artiglierie germaniche e ai bombardamenti della Lufwaffe. Nella prima settimana, gli invasori tentarono con due massicci assalti della fanteria ed in seguito con bombardamenti dell’aviazione e pesanti bombardamenti dell’artiglieria. Poi, alle 05.15 del 5 maggio 1940, venne il giorno della resa. Holtermann incontrò il Comandante delle locali Forze tedesche e si arrese con le sue truppe come ultimo Comandante del Sud della Norvegia.

PoW - Dopo la resa di Hegra, Holtermann e i suoi umini marciarono come PoW (prigionieri di guerra) sino a Berkåk (70 km a Sud di Trondheim) dove furono impiegati per riparare le strade colpite dalle bombe. I prigionieri furono rilasciati in tre gruppi in date diverse. Holtermann fu l’ultimo ad essere liberato il 2 giugno 1940, ma l’uomo non era il tipo da sottomettersi ai tedeschi e divenne molto attivo nel Movimento della Resistenza norvegese. Dal 1940 al 1942 lavorò come manager presso la “Okla Metall” a Orkanger (32 km  Sud Ovest di Trondheim) mentre era segretamente attivo per la Resistenza. Nel 1942 la sua attività illegale fu scoperta dai tedeschi e fu costretto a  varcare il confine verso la neutrale Svezia. Dalla Svezia riuscì a scappare in Inghilterra dove, nel 1943 assunse il grado di Colonnello e prese il Comando dell’Esercito norvegese in esilio della principale Unità: la Brigata Norvegese in Scozia. Nel 1944 il colonnello Holtermann fu trasferito alla conduzione del Comando del Distretto-Trøndelag (40 km a sud di Tronheim), e ritornò in Svezia dove prese parte alle operazioni di liberazione della Norvegia l’8 maggio 1945 insieme con battaglioni rinforzati da 2.570 truppe di polizia, di cui si è già parlato e, infine, prese parte alle operazioni di disarmo ed internamento delle Forze di Occupazione tedesche.

 

Il Ruolo della Resistenza Norvegese nella

 Fine della corazzata

TIRPITZ

La nave che si nascose e si difese per tre anni nei fiordi norvegesi

Gemella della Bismarck, la corazzata von Tirpitz, dislocamento 52.000 tons. era la più moderna e potente nave da guerra tedesca. Il suo armamento principale era costituito da 8 cannoni da 381 mm.

 

 

Durante le operazioni belliche nell’Ofotenfjord nel 1940, il riparatissimo fjordo di Bogen bay, situato a 15 km in linea d’aria a NW di Narvik, era stato già per gli Alleati il luogo nascosto, sicuro ed ideale per “staccare” dai combattimenti, ritemprarsi e riorganizzarsi. Anche i tedeschi, subito dopo il ritiro degli anglo-francesi, trasformarono Bogen in base navale con tanto di banchine e cantieri di riparazioni navali. Essendo Narvik il Quartiere Generale della Marina Tedesca, Bogen diventò il naturale punto d’incontro per la Flotta d’altomare germanica, con la Tirpitz al centro del progetto. “Admiral Nordmeer” fu la designazione del Quartiere Generale di Narvik  collegato con l’Alto Comando Navale di Kiel. Il Comando supremo si trovava a bordo del Grille, ancorato nel porto di Narvik. Questa unità era stata in precedenza lo Yacht privato di Hitler.

 

Questa foto aerea mostra la Tirpitz ripresa da un ricognitore britannico che riuscì a scoprirla in un fiordo a ridosso delle conifere e delle rocce.

 

 

La corazzata Tirpitz  veniva periodicamente usata negli attacchi ai convogli dell'estremo nord. Nella foto sopra si trovava alla fonda nel Kåa Fjord, (60 km a Est di Tromsø), appendice dell'Alten Fjord, nella Norvegia settentrionale. Proprio qui, in questo ramo laterale che si vede nella foto, la nave troverà la sua tomba.

 

La foto mostra un mini-sommergibile inglese X-craft, lungo 16 metri, che aveva quattro uomini d’equipaggio ed una massima immersione fino a 100 metri. Lungo i fianchi dello scafo, trasportava  due contenitori con 2 tonnellate di potente esplosivo AMATOL. Ne furono costruiti 6 con lo scopo preciso di sabotare la Tirpitz. Il 22 settembre, tutti questi mezzi furono impiegati per la missione. Purtroppo, solo 3 sommergibili tascabili inglesi riuscirono a superare gli sbarramenti ed a danneggiare gravemente l'unità tedesca, mettendola fuori combattimento per molti mesi.  I tre sommergibili supertiti, a missione compiuta, furono scoperti e distrutti dalle vedette germaniche.

 

UN’ALTRA AZIONE TANTO IMPAVIDA QUANTO SFORTUNATA

Il peschereccio norvegese ARTHUR trasportò due siluri-umani dalle isole Shetland sino al Trondheim Fjord. Quattro membri della Resistenza Norvegese, tra cui Leif Larsen, noto come “Shetland-Larsen”, accettarono la missione. Un team di 6 marinai inglesì s’unirono al gruppo per pilotare gli Chariot. Giunti nelle acque norvegesi, i mezzi d’assalto furono presi a rimorchio dell’Arthur.  Purtroppo il tempo peggiorò improvvisamente e, durante la forte burrasca, andarono persi i mezzi proprio mentre entravano nell’Aase Fjord. La Tirpitz era ormeggiata a poca distanza. La Resistenza collaborò a far sparire i relitti ed aiutò i superstiti a varcare il confine svedese dopo quattro interi giorni di freddo intenso che provocò in alcuni di loro congelamenti alle dita. In seguito, mentre si trovavano su una strada deserta, furono avvicinati dalla polizia tedesca. Soltanto Larsen era armato di fucile automatico ed una piccola pistola. Il norvegese, con un balzo da felino, saltò addosso a due tedeschi creando una tale confusione che un inglese, Billy Tebb, riuscì a disarmare un altro tedesco e a sparargli contro. L’altro tedesco rimase illeso, ma prima di sparire nel bosco riuscì a sua volta a sparare e a colpire Bob Evans allo stomaco. Purtroppo l’inglese morì prima di varcare la frontiera. I superstiti inglesi di questa sfortunata missione furono decorati col Distinguished Service Cross, mentre Larsen ottenne la Conspicuocus Gallantry Medal.

La corazzata Tirpitz non ebbe certamente il ruolo leggendario della sua gemella Bismarck. La mancanza di una portaerei (la Graf Zeppelin non fu mai ultimata) la privò di un valido appoggio aereo e rese deboli ed indifese anche le altre navi da battaglia Scharnhost e Gneisenau. In pratica la Tirpitz passò la propria esistenza rintanata nei fiordi norvegesi, fuggendo continuamente dagli attacchi aerei alleati. Churchill dipinse egregiamente la situazione definendola: "fleet in being", cioè “flotta in potenza”, in grado cioè di tenere impegnate un gran numero di navi ed aerei nemici, senza nemmeno muoversi. Nei suoi tre anni di vita la Tirpitz costituì sempre un forte pericolo potenziale, e fu per questo motivo che subì 22 attacchi, quasi tutti da velivoli partiti dalle portaerei.

La difesa della Tirpitz rappresentava un problema non secondario dopo la perdita dell’incrociatore pesante tedesco Scharnhost, poiché nel fiordo di Alten era costituita solamente dalla torretta "H" della corazzata: due pezzi d'artiglieria da 15 cm e la batterie di siluri Lillan e Drott che erano stati portati da Trondheim. 

Nel frattempo il servizio segreto britannico, sia con i rapporti di Ultra che con quelli degli agenti norvegesi, aveva seguito costantemente le riparazioni della nave dopo ogni attacco. Durante tutto il Capitolo Tirpitz, un notevole ruolo lo svolse, ancora una volta, la Resistenza norvegese con il continuo aggiornamento d’informazioni relative la nave nascosta nel fjordo. Il norvegese Torstein Raaby, del Secret Service (SIS), fu sbarcato da un sottomarino per una missione di spionaggio ai danni dei tedeschi. Si unì a lui Karl Rasmussen, un giovane della Resistenza. Insieme montarono una stazione radio nel centro di Alta a soli 200 metri di distanza da un campo tedesco e da lì cominciò il loro lavoro di intelligence sull’evolversi della situazione a bordo della nave Tirpitz. Le loro informazioni furono decisive per il grande raid inglese contro la corazzata del 3 aprile 1944. Torstein Raaby riuscì a rietrare in Inghilterra, mentre Karl Rasmussen, catturato dai tedeschi e torturato dalla Gestapo, si suicidò.

Raaby diventò il radiotelegrafista del Kon-Tiki nella spedizione del 1947. Morì durante una spedizione artica nel 1964.

CONTINUA ...

Carlo GATTI

Rapallo, 20 novembre 2022


Aprile 1940 - CONTINUA L'INVASIONE DELLA NORVEGIA - PARTE SECONDA

APRILE 1940

CONTINUA L'INVASIONE DELLA NORVEGIA ...

PARTE SECONDA

Una nuova ondata d’invasione…. ma questa volta sono gli ALLEATI!

 

LA PRIMA BATTAGLIA DI NARVIK PER GLI INGLESI

10 APRILE 1940

 

 

La Prima Battaglia Navale di Narvik del 10 Aprile 1940

 

   9.4.40 - Dieci cacciatorpediniere tedeschi arrivarono per primi a Narvik. Il giorno successivo, il   10.4.40 - Giunsero cinque cacciatorpediniere inglesi ed ebbe inizio la Prima Battaglia di Narvik.                                                                                                           

P.g.c. War Museum-Narvik

 

Sbarcato il contingente per l’occupazione di Narvik, i dieci cacciatorpediniere germanici avrebbero dovuto rifornirsi di carburante e ripartire subito. Delle due cisterne inviate in anticipo sul posto, una aveva dovuto autoaffondarsi per non cadere in mani britanniche. L’altra era comunque insufficiente per adempiere quel compito.

Per questo o per altri motivi mai chiariti, i dieci caccia rimasero in zona. Come si vede dal disegno, cinque erano ormeggiati nella baia di Narvik (Z-17 D.V.Roeder/ Z-19 H.Kunne/ Z-18H Ludemann/ Z-21WHeidkamp/ Z-22 A.Schmitt), gli altri, come vedremo, si trovavano al riparo nei fiordi laterali. Il capitano di vascello B.A.W Warburton-Lee, comandante la 2° Destroyer Flottila con insegna sull’HMS Hardy, al mattino del 9.4.40 ricevette l’ordine dall’ammiraglio Forbes al comando dell’Home Fleet, di affondare e catturare le navi nemiche che si trovavano nell’Ofotenfjord. Ma fu soltanto verso mezzogiorno che informazioni più accurate dell’Ammiragliato pervennero a Forbes. Erano presenti almeno 6 caccia tedeschi e non uno soltanto come precedentemente asserito. La scelta se proseguire o abbandonare l’attacco fu lasciato al comandante Warburton-Lee che attinse nuovi aggiornamenti tattici dai piloti di Tranoy. Alle 18.00 comunicò: “Proseguo l’azione, attaccherò domani con l’alta marea”.

Alle 03 del mattino del 10, i caccia HMS Hunter, Havock, Hotspur e Hostile, guidati dall’Hardy entrarono nel canale lungo 51 miglia e largo 2 che dal Vestfjord conduce all’Ofotfjord. A causa della scarsa visibilità, la formazione non fu avvistata. L’Hotspur e lHostile rimasero in retroguardia secondo gli ordini, mentre gli altri tre diressero a tutta forza verso il porto di Narvik, giungendovi di sorpresa alle 04.30.

Alla banchina della Posta erano ormeggiati i caccia Z-21 W.Heidkamp e lo Z-22 A.Schmitt. Il primo fu colpito con un siluro dellHardy causando la morte del commodoro tedesco. Il secondo affondò a cannonate; i caccia inglesi coninuarono il tiro sulle navi da carico tedesche. Gli altri caccia germanici, superata la sorpresa iniziale, cominciarono a loro volta ad inquadrare gli inglesi ed a sparare contro l’Havock senza colpirlo. I cinque caccia inglesi si ritirarono per  compattarsi con gli altri due caccia e nuovamente  tornarono in cinque ad attaccare nuovamente le unità tedesche e l’Hotspur  fece altre due vittime. Seguì una seconda ritirata e poi un terzo attacco verso Narvik; ma questa volta doveva rivelarsi una sconfitta per le unità britanniche.

Diversi caccia tedeschi, che si erano ormeggiati nei fjordi laterali, raccolsero l’allarme dei loro compagni e alle 05.30 tre  “Zestroer(Z-12 G.Gieze/ Z-13 E.Koellner / Z-9 W.Zenker) iniziarono a muovere da Bjervik verso il nemico, dopo dieci minuti altri due uscirono da Ballangen (Z-2 G.Thiele/ Z-11 B.V.Arnim) e presero gli inglesi tra due fuochi. L’Hardy fu colpito in plancia dallo Z-2 e fu ucciso il comandante Warburton-Lee. Il caccia si arenò e poi affondò. Poco dopo l’Hunter fece la stessa fine, anche questo sotto i colpi dello Z-2.

Alle 06.30 terminò lo scontro si può dire in “parità” (2 a 2) per quanto riguarda i caccia, ma vi era da mettere in conto da una parte i sei piroscafi affondati dagli inglesi e dall’altra l’HMS Hotspur che uscì malconcio dallo scontro. C’è da aggiungere inoltre che quando i tre caccia inglesi stavano per uscire verso il mare aperto incontrarono la nave tedesca Rauenfels  ed il giorno dopo anche la Alster dirette al rifornimento del contingente di Narvik. La prima era carica di armi e munizioni, fu presa a cannonate e saltò in aria, la seconda era carica di automezzi e fu affondata. Le due perdite causarono  gravi conseguenze per la loro missione del Corpo di spedizione tedesco.

 

 

Il porto di Narvik dopo l’attacco di cinque cacciatorpediniere britannici del 10 aprile 1940, che affondarono due unità da guerra e quasi tutte le navi da carico tedesche che si trovavano all’ancora (vedi foto). Poi, tre giorni dopo, gli inglesi tornarono alla carica, e mandarono a picco il resto del naviglio germanico. Ma non sapranno sfruttare l’esito favorevole dell’operazione, e la riconquista di Narvik avverrà solo di lì a un mese e mezzo, grazie a un Corpo di 25.000 uomini, composto in prevalenza di Norvegesi, Polacchi e Francesi.                                

 (Foto di repertorio)

 

LA SECONDA BATTAGLIA DI NARVIK PER GLI INGLESI

 

 

La Seconda Battaglia Navale di Narvik del 13 Aprile 1940

 

Questo disegno schematico fotografato nel Museo della Guerra di Narvik, riproduce l’attacco UK condotto dalla nave da battaglia Warspite e da nove cacciatorpediniere. Gli inglesi arrivarono in forze e costrinsero i tedeschi ad una ritirata strategica sui monti circostanti dove subirono una controffensiva degli alleati.                                                                       P.g.c. War Museum-Narvik

 

Gli inglesi, temendo la presenza di un incrociatore pesante tedesco e sopratutto la presenza di U-Boote inviati a sostegno dei caccia intrappolati, organizzarono una seconda spedizione con il compito di spazzare via definitivamente i tedeschi da Narvik. Nella notte del 13, l’ammiraglio Whitworth trasbordò sulla corazzata Warspite che ebbe l’incarico di guidare l’attacco con l’appoggio di 9 caccia, tra cui 4 della classe Tribals. Il giorno dopo, con visibilità ridotta a causa di nevicate e piovaschi intermittenti, la squadra entrò nel Vestfjord a 10 nodi di velocità.

 

La nave da battaglia HMS Warspite in una foto di poco successiva ai fatti di Narvik

P.g.c. Foto Storia Militare

 

Formazione d’attacco: Hero, battistrada, con ai fianchi il Forester e l’Icarus (dotati di paramine); poi, su due file, Cossack, Kimberly, Foxhound (a sinistra) e Bedouin, Punjabi, Eskimo (a dritta); infine la corazzata Warspite, che alle 11.52, a 5 miglia da Baroy, che si trova sull’imboccatura del canale che immette nell’Ofotenfjord, catapultò il suo idro Swordfish con a bordo l’osservatore tenente di vascello C.Brown, oltre al pilota, il mitragliere ed un carico di 750 kg di bombe.

L’attacco.  La prima vittima dello scontro fu lo Z-13 (E.Koellner) che si era piazzato di guardia un paio di miglia a ponente del Ballangenfjord e fu avvistato dall’aereo, nonostante una cappa di nuvole. Erano le 12.30 quando i Tribals, sulla dritta, risposero al fuoco ed ai lanci del caccia tedesco che in breve tempo fu ridotto ad un rottame in fiamme. Lo stesso Warspite gli diede il colpo di grazia.

Lo Swordfish si era nel frattempo inoltrato sino a Bjervik, dove individuò l’U-64 (un battello oceanico del tipo “IX”). L’aereo s’abbassò a 100 metri e lanciò due bombe che causarono l’affondamento immediatao del sommergibile. I caccia tedeschi reagirono spingendosi incontro al nemico tentando una disperata difesa con i cannoni e con i siluri; due di questi mancarono per poco il Cossack ed il Warspite. Ben presto tuttavia esaurirono le munizioni e si videro costretti a cercare scampo nei fjordi laterali: lo Z-19 verso l’Herjangsfjord, ma fu inseguito ed affondato dall’Eskimo; Z-9 e Z-11 s’addentrarono nel Rombakfiord protetti dallo Z-18  che aveva ancora colpi disponibili. Questi ingaggiò il Punjabi e gli mise a bordo 6 granate causando 7 morti, molti feriti e danni così gravi da costringere l’unità britannica a rimanere ferma e senza difesa per circa un’ora. Anche il Cossack rischiò altrettanto, avendo ricevuto ben 12 colpi nell’arco di 10 minuti. Dopo questi risultati, lo Z-18 si ritirò nel Rombaksfjord.

 

Il caccia tedesco Erich Giese Z-12 in affondamento nell’Ofotfjord il 13.4.1940

 

Un altro caccia, Erich Giese Z-12, che aveva mollato gli ormeggi da Narvik per soccorrere i compagni, cadde invece sotto il fuoco concentrato dell’avversario, s’incendiò e cominciò ad andare alla deriva nell’Ofotenfjord e poi ad incagliarsi; un siluro lanciatogli contro sbagliò il bersaglio e rischiò di colpire il Cossack che si trovava a non troppa distanza.

La formazione inglese diresse ancora più in profondità in cerca di prede. In porto trovarono soltanto lo Z-17 (D.V.Roeder) deciso a difendersi strenuamente dall’attacco dei caccia Cossack, Foxhound, e Kimberly. A questo punto è interessante notare l’avventura del Cossack che fu il primo a subirne la dura reazione, costatagli 11 caduti, oltre una dozzina di feriti e danni così gravi da renderlo ingovernabile e farlo incagliare su un relitto sommerso. Il Kimberly tentò inutilmente di disincagliarlo mentre il caccia inglese era sotto il tiro delle mitragliatrici di terra. Provvide l’alta marea all’indomani, dopo che i siluri erano stati trasferiti sullo Zulu e le munizioni sul Beduin. Le maestranze norvegesi si adoperarono per rimetterlo in navigazione ed il caccia lasciò Narvik e ragiunse Portsmouth il 30 aprile, dopo una traversata difficile a causa di continue infiltrazioni d’acqua a prora. Tornò  in linea il 15 giugno successivo. Lo Z-17 saltò in aria sotto il tiro degli altri due caccia e del Warspite.

Erano trascorse circa tre ore da quando l’instancabile Swordfish era decollato dalla sua nave. Le sue continue picchiate a bassa quota tra le nuvole burrascose e i fumi degli incendi, rasentavano le pareti dei fiordi e mettevano a dura prova la resistenza dei tre uomini d’equipaggio: l’osservatore, tenente di vascello C.Brown, il pilota e il mitragliere. Ma questa ricerca affannosa portò a dei risultati che determinarono una rapida svolta della battaglia. L’aereo avvistò i caccia tedeschi che si erano rifugiati nel Rombaksfjord: Z-9, Z-11, Z-18 e lo Z-2 che aveva affondato l’Hardy e lHunter  tre giorni prima.

 

Round Finale

I caccia inglesi Eskimo, Forester, Hero, Ikarus e Bedouin furono incaricati di porre fine alla Seconda Battaglia di Narvik. Vicino all’imboccatura del fjordo si trovavano lo   Z-2  sottocosta, e lo Z-18 che si era messo di traverso per proteggere la ritirata dei compagni. L’audace manovra, stava per concludersi con una inevitabile collisione con entrambi i caccia inglesi, a causa anche della scarsa acqua di manovra. L’intrepido caccia tedesco Z-18 riuscì a lanciare tre siluri che l’Eskimo riuscì ad evitare  per la bravura del suo timoniere, ma con tanta fortuna del suo comandante.

 

 

Il cacciatorpediniere Eskimo F-75 senza prora dopo aver ricevuto un siluro lanciato dal Georg Thiele Z-2.

         Foto Storia Militare-Settembre 2004

L’affondo dei caccia inglesi continuò in direzione dello George Thiele Z-2 che centrato da numerosi colpi prese fuoco, ma fu lo Swordfish a dargli il colpo di grazia con l’ultima bomba rimastagli sotto la fusoliera. A questo punto successe qualcosa d’incredibile: per evitare l’affondamento, il caccia tedesco diresse, con la poca forza che gli restava, verso l’incaglio. In questa delicatissima fase riuscì a lanciare ancora quattro siluri, uno dei quali staccò di netto la prora dell’ex-fortunato Eskimo che subì ingenti perdite tra il suo equipaggio. Il caccia inglese riuscì a trascinarsi faticosamente verso l’imboccatura del fiordo, dove rimase a galla grazie all’azione del suo equipaggio che improvvisò un provvidenziale jettison di tutto quanto potesse allegerirlo per non affondare.

Anche per l’Eskimo vi fu il contributo della manodopera norvegese, che rese possibile il definitivo distacco della prora. Frattanto, erano iniziati pesanti bombardamenti della Luftwaffe su Narvik, dai quali il caccia uscì sforacchiato a più riprese da schegge. Messo finalmente in condizioni d’affrontare il mare, il caccia UK partì a rimorchio il 31 maggio presentando la poppa alle onde. Giunse in patria il 4 giugno e  rimase ai lavori quattro mesi, tornando in attività a fine settembre.

Tre erano ancora i caccia tedeschi superstiti che avevano trovato rifugio in una insenatura protetta in fondo al fiordo, dalla quale avrebbero potuto lanciare con profitto i loro siluri contro gli attaccanti rimanendo indenni. Dal Warspite partì un ordine perentorio ai caccia:

La minaccia dei siluri va accettata. Il nemico dev’essere distrutto senza indugio. Prendete ai vostri ordini Kimberly, Forester, Hero e Punjabi ed organizzate l’attacco mandando per primo il caccia in migliori condizioni. Se necessario, speronate ed abbordate”.

A porre rimedio alla determinazione inglese di finire il lavoro... ci pensarono gli stessi tedeschi abbandonando uno Z in autoaffondamento, un altro che stava affondando, mentre il terzo  relitto fu raggiunto da un siluro dell’Hero.

Lo Swordfish dopo un incredibile volo di quattro ore, fu ripreso dal Warspite e l’ammiraglio Withworth nella propria relazione scrisse: “Le indicazioni fornite dal velivolo del Warspite sugli spostamenti del nemico sono state preziose. Dubito che mai fino ad oggi un aereo imbarcato sia stato impiegato così proficuamente come in questa operazione”.

La nave ammiraglia inglese, temendo la presenza di U-Boote nei fiordi vicini, anzichè sbarcare i “Royal Marines” e i “Bluejackets a Narvik prese il largo scortato da sei dei nove caccia con cui era entrato. A Narvik rimasero l’Eskimo, il Cossack ed il Kimberly che lo assisteva. Nel Vestfjord, la formazione fu attaccata  dal U-48 che lanciò siluri da breve distanza contro il Warspite e due caccia. Tutto si concluse con un nulla di fatto, ma il bilancio finale avrebbe potuto cambiare i numeri in extremis.

 

 

A distanza di settant’anni da quei tragici avvenimenti, lo scafo rovesciato dello “George Thiele” Z-2 oggi ci appare così, aggrappato agli scogli del Rombaksfjord come un naufrago che non vuole morire sotto lo sguardo pietoso delle betulle che lo accarezzano. E’ singolare il desiderio di sopravvivenza che pervade questo indomito guerriero germanico che fu un vero incubo per le navi di sua Maestà, avendo affondato lHardy e l’Hunter  e messo  fuori combattimento l’Eskimo per lungo tempo.                                                                                                     (Foto dell’autore)

 

La formazione navale inglese composta di numerosi caccia e della corazzata Warspite, affondò in più riprese i dieci cacciatorpediniere che avevano sbarcato il contingente tedesco a Narvik. Gli inglesi persero due caccia e ne ebbero altri due gravemente danneggiati. Queste pesanti perdite navali non impedirono ai tedeschi di posizionarsi sulle teste di ponte conquistate e cominciare l’avanzata verso l’interno. Circa duemila marinai tedeschi di queste unità abbandonate, scapparono sui monti e si unirono alle truppe di Dietl.

 

 

 

Un particolare del relitto del caccia tedesco Bernd von Arnim Z-11 che si è autoaffondato.  Durante gli scontri del 10 e del 13 aprile l’unità non venne mai colpita.

 

Nella foto in alto, il George Thiele Z-2 incagliato all’imboccatura del Rombanks Fjord il 13 aprile 1940. Poco dopo il caccia fu fatto saltare e successivamente il relitto “scivolò” in acque profonde, ma poi riemerse il relitto come abbiamo già visto. 

- Nella foto centrale, il caccia Roeder Z-17 danneggiato dal tiro britannico il 10 aprile. Dalla foto si rileva che sono già iniziati i lavori di riparazione che però non potranno essere conclusi in quanto, tre giorni dopo, l’unità andrà perduta.

- Nella foto in basso, un cacciatorpediniere tedesco alla fonda davanti a Narvik. Dovrebbe trattarsi del Kunne Z-19 o, più probabilmente, dello stesso Z-17 della foto precedente.

I caccia tedeschi Zenker Z-9, von Armin Z-11 e Lundemann Z-18, autoaffondatisi in acque basse sul fondo del Rombaks Fjord il 13 aprile 1940

                                                                                                               P.g.c. Storia Militare

 

 

Narvik. Le navi affondate presso la banchina di Fagerne: HÅLEG, LIPPE, KELT.

 

Narvik. Navi semiaffondate presso il molo dei minerali. Da sinistra:

FRIELINGHAUS, PLANET, JAN WELLEM.

 

In questo plastico fotografato nel War Museum di Narvik, vengono riportate con dei modellini le posizioni delle navi affondate davanti al porto di Narvik. In alto a sinistra si nota il Molo di Minerali. In alto un po’ più a destra il Molo della Posta. I modellini pitturati di verde rappresentano le navi da guerra.

 

ELENCO DELLE NAVI AFFONDATE A NARVIK

 

Nr. Bandiera Nome Nave Tipo Armatore Compartim Stazza L. t. Anno

Costr.

1 Norvegia

D.S. Cate B

n.carico Th. Brovig Farsand 4.285 1920
2 -“-

D.S. Eldrid

-“- Eldrid Backe Trondheim 1.712 1915
3 -“-

D.S. Saphir

-“- Sk.Edv.Endresen Stavanger 4.306 1905
4 -“- D.S. Manlegg -“- A/Havilde Skien 1.758 1922
5 -“-

Norge

militare Marina Norvegia 1898
6 -“-

Eidsvold

-“- -“-          -“- 1898
7 -“- Michael Sars -“- -“-          -“- 1900
8 -“-

Kelt

-“- -“-          -“- 1925
9 -“-

Senia

-“- -“-          -“- 1937
10 Svezia

Boden

cargo Trafik AB Gräng.Oxelös. Stockholm 4.264 1914
11 -“-

Oxelae-

sund

-“- -“- -“- 5.613 1923
12 -“-

Strassa

-“- -“- -“- 5.602 1921
13 -“-

Torne

-“- -“- -“- 3.792 1913
14 -“-

Diana

-“- -“- -“- 213  Staz.N. 1922
15 -“-

Styr

bjørn

-“- -“- -“- 167  Staz.N. 1910
16 Olanda

Bernisse

-“- P.A von Es-co Rotterdam 951  Staz.N. 1915
17 U.K.

Blythmoor

-“- Moor Line Ltd. London 6.581 1922
18 -“- Mersingto Court -“- Court Line Ltd. London 5.141 1920
19 -“- North Cornwall -“- North Shipping Co. Ltd. Newcastle 4.304 1924
20 -“-

Riverton

-“- Carlton S/S co. Newcastle 5.378 1928
21 -“-

Romanby

-“- Ropner Sh.Co. Hartlepool 4.887 1927
22 Germania

Aachen

-“- Norddeutscher  Lloyd Bremen 6.388 1923
23 -“-

Altona

-“- Hamburg-Amerika-Packett A/G Hamburg 5.398 1921
24 -“-

Bockenheim

-“- Umterweiser Rederei A/B Bremen 4.902 1924
25 -“-

Heyn Hoyer

-“- Hanseatische R. Hamburg 5.836 1937
26 -“-

Marta H.Fisser

-“- Fisser & von Dornum Emden 4.879 1911
27 Germania

Neuenfels

Cargo Deutche D/S Grs. Hansa Bremen 8.096 1925
28 -“-

Jan Wellem

-“- Henkel & Co. Wesermllm. 1921
29 -“-

Lippe

-“- Norddeutcher Lloyd Bremen 7.849 1917
30 -“-

Frielinghaus

-“- Fried. Krupp Bremen 4.339 1922
31 -“-

Planet

-“- Lacisz Reder. Hamburg 5.881 1922
32 -“-

Wilhelm Heidkamp

C/Torp Deutsche Kriegsmarine 1936
33

 

34

-“-

 

-“-

Anton Schmitt

Diedter V.

Roeder

C/Torp

 

C/Torp

Deutsche Kriegsmarine

Deutesche

Kriegsmarine

1936

 

 

1936

 

 

NARVIK - 2 giugno 1940

 I BOMBARDIERI TEDESCHI DISTRUGGONO  IL CENTRO CITTA’

 

 

Il fuoco ha raggiunto l’angolo della piazza principale, il cui spazio vuoto gli impedisce di espandersi e proseguire.

 

                         

                    

Le vecchie case di legno prendono subito fuoco, e il vento spinge le fiamme da sud a nord attraversando la città. Sullo sfondo il Fagernesfjell.

 

                                 

Da queste due immagini si vedono gli effetti del bombardamento dell’aviazione tedesca. Tutto ciò che era di legno andò distrutto, delle costruzioni di cemento rimasero soltanto rovine. La lunga strada che dal centro città arriva sino al porto è la Kongensgate.

                                               

Nel 1940 la città di Narvik aveva appena 38 anni di età. La sua area urbana era molto sviluppata e la “downtown” era caratterizzata da moderni negozi e lunghe file di eleganti e uniformi abitazioni di legno. Ma, come mostra la foto, subito dopo i bombardamenti, quasi tutto fu ridotto in rovina. Questo scenario durò per altri cinque anni di occupazione, sotto la bandiera con la croce uncinata che sventola  al centro di questa significativa ripresa fotografica.                  

                                                                                                                   P.g.c War Museum –Narvik

 

LE BATTERIE COSTIERE INSTALLATE PER IL CONTROLLO DEL TRAFFICO NAVALE  NEL  VESTFJORD – OFOTENFJORD

 

 

Il quadro generale rappresenta la localizzazione delle Batterie Costiere nella parte interna del Vestfjord e nell’Ofotenfjord. Riportiamo la fedele traduzione del sottotitolo: “Ciò che i tedeschi pensavano che noi (norvegesi) avessimo, e ciò che essi stessi installarono”. 

                                                                             

Nel settore Ovest del quadro sono rappresentate le posizioni  delle batterie costiere tedesche composte in prevalenza di cannoni navali. Engeløy: 1 vecchio cannone di U-BOOTE – 2 nuovi cannoni navali tedeschi – 1 vecchio cannone navale norvegese- 1 cannone d’artiglieria.

 

Nel settore centrale del quadro, sono rappresentate: le posizioni di n. 4 batterie costiere francesi a sud, mentre quelle a nord del canale Ofoten sono composte da cannoni navali tedeschi.

 

Nel settore Est del quadro che comprende Narvik, sono rappresentate: le posizioni di  2 batterie tedesche, n. 4 francesi ed 1 vecchio cannone norvegese che apparteneva ad una batteria di frontiera.                                                                                        

                                                                                                                 P.g.c. War Museum – Narvik

CONTINUA ......

 

Rapallo, 18 novembre 2022


APRILE 1940 - I TEDESCHI INVADONO LA NORVEGIA - PARTE PRIMA

APRILE 1940 I TEDESCHI INVADONO LA NORVEGIA

Appendice al Romanzo Storico

IL GIUSTIZIERE DI NARVIK

di Carlo GATTI

“Nessuno è così pazzo da preferire la guerra alla pace: con la pace i figli danno sepoltura ai padri; in guerra tocca ai padri di seppellire i figli”.

 Erodoto, V sec. a.C.

 

PARTE PRIMA

 

Quadro storico-strategico

 

Com’è noto alla vigilia della Seconda guerra mondiale, la tradizionale neutralità della Svezia era molto precaria, come del resto lo era negli altri Paesi scandinavi. Dagli ambienti diplomatici europei emergeva,  infatti, un inquietante problema da risolvere: i minerali ferrosi provenienti dai vasti giacimenti svedesi di Kiruna e Gällivare facevano gola ai Paesi industrializzati.

Quell'antica risorsa era indispensabile a tutti, ma lo era in particolare per gli Stati che si sentivano coinvolti nei vorticosi venti di guerra che si preannunciavano con segnali inquietanti e pericolosi.

La domanda che tutti si ponevano era quindi la seguente: Quale Super Potenza sarebbe riuscita a controllare la materia prima più importante dell’epoca, con cui era possibile costruire navi, aerei, carri armati, treni, cannoni, bombe, munizioni, armi pesanti e leggere d’ogni tipo?”

L’avventura della Seconda guerra mondiale si annunciava lunga, dolorosa ed il grande problema da risolvere era formalmente localizzato lassù, sopra il Circolo Polare Artico. E’ affascinante rilevare come la natura, ovvero la diversa condizione climatica dei versanti svedese e norvegese, abbia giocato un ruolo decisivo nello scioglimento di questo autentico nodo gordiano.

Il modesto sfruttamento dei porti svedesi orientali del Golfo di Botnia (Botten Havet), bloccati dai ghiacci per molti mesi l’anno, poneva precisi limiti alla gestione del trasporto via mare dei prodotti ferrosi verso scali in odore di guerra. Di conseguenza, l’interesse strategico-militare si riversava sul porto atlantico di NARVIK che era, ed è sempre operativo perché lambito, come tutta la Norvegia, dalla tiepida Corrente del Golfo proveniente dal Messico.

E’ mezzanotte. Così appare il porto di Narvik dalla funivia che sale sul monte Fagernes. L’Ofotenfjord (nel centro) termina qui davanti alla città che è costellata di profondi fiordi che nascondono misteri ancora inesplorati.

La carta geografica (sopra), sintetizza gli avvenimenti principali dell’Occupazione Tedesca della Danimarca e Norvegia. Le linee verdi indicano le direttrici dei gruppi d’invasione tedeschi. Le linee rosse mostrano gli attacchi Alleati. Le linee tratteggiate rosse le ritirate degli Alleati. I restanti simboli indicano le posizioni delle battaglie terrestri e navali.

 Con la sintesi storica che segue, spero di soddisfare la curiosità di chi già ama la Norvegia, ma anche di “stuzzicare” l’interesse di chi non la conosce ancora da vicino. Personalmente, devo confessare che il romanzo di Bjørn e Waldemar non sarebbe mai nato se non avessi subìto una specie di “attrazione fatale” per la sofferta storia di Narvik e della sua gente che con grande coraggio seppe riprendersi rapidamente dopo tanti anni di occupazione.

Con la ricorrente apertura degli archivi segreti militari, quasi ogni giorno,  emergono capitoli sconosciuti che sottopongono gli studiosi a rinnovate indagini e approfondimenti, sia delle cause, sia degli eventi che hanno prodotto tanta distruzione e dolore. Mi sottraggo volentieri dal muovermi in questo campo minato e lascio volentieri agli storici-specialisti il compito di regalarci ulteriori chiarimenti.

Suggerisco pertanto al lettore di considerare il presente lavoro un necessario passaggio, l’introduzione o se volete lo stimolo alla lettura dei testi ufficiali di storia. Consiglio inoltre la visita ai War Museum norvegesi, che sono numerosi, documentati e forniti di materiale interessante e qualche volta esclusivo, a partire da quello di Narvik che ringrazio sentitamente per avermi concesso la pubblicazione di materiale fotografico raro ed importante.

Sullo sfondo del romanzo, la storia dell’occupazione tedesca è tratteggiata in leggero chiaroscuro, non perchè sia stata intenzionalmente relegata ad un ruolo secondario, ma per un doveroso e profondo rispetto della memoria di tutti coloro che trovandosi coinvolti nei tragici avvenimenti bellici, diedero la loro vita per l’ideale di Patria.

La bibliografia dedicata all’epopea di Narvik è ricca, molto seria e per tutti segnalo il sito internet al quale potersi rivolgere per qualsiasi informazione:

 

Nordland Røde Kors Krigsminnemuseum
 Postboks 513
8507 NARVIK


Tlf : + 47 76 94 44 26
Faks: + 47 76 94 45 60


Kontakt KMMU

www.warmuseum.no

1940-1945

IL NORDLAND, UNA CONTEA MARTORIATA

Bodø (45.000 abitanti) è il Centro Amministrativo della Contea che è suddivisa in 44 Comuni. A questa regione appartengono gran parte dei nomi citati in questo libro. La Contea Nordland si allunga per 500 kilometri, dal Nord-Trøndelag fino al Troms. La costa è molto frastagliata e la contea comprende la maggior parte delle isole Lofoten e Vesterålen e ospita il Rago National Park. La pesca è uno dei settori economici più importanti e il Nordland è particolarmente celebre per i suoi merluzzi. Anche l’agricoltura occupa numerosi abitanti, con l’allevamento di caprini o bovini. Alcune installazioni minerarie e di energia idroelettrica servono per la diversificazione delle attività locali. Il porto di Narvik dispone di un collegamento ferroviario diretto con i ricchi giacimenti di minerale di Kiruna, in Svezia. Nel 2008 le miniere di Kiruna hanno prodotto 22,7 milioni di tonnellate di prodotti ferrosi, dal porto di Narvik ne sono partite ben 13,6 M/t.

NARVIK UN PUNTO CHIAVE

Quadro strategico

 

In questa foto satellitare, due frecce rosse indicano  la vicinanza geografica tra la città mineraria di Kiruna (Lapponia svedese) a destra, ed il porto di Narvik (Norvegia) a sinistra. La frontiera che divide i due Paesi è segnata con la linea gialla. Le due città sono unite dal Treno del Ferro lungo un  tracciato ferroviario lungo 168 chilometri, di straordinaria bellezza, che corre tra foreste, laghi e montagne innevate anche d’estate.

I due porti del ferro

Da Narvik a Luleå, dal Mar Baltico all’Oceano Atlantico

L'obiettivo militare dell’invasione tedesca del 1940 era l'occupazione di Narvik e dell’intera area su cui transitava il prezioso minerale proveniente da Kiruna e Gällivare (Svezia) via treno.

NARVIK

Situata 345 km a nord del Circolo Polare Artico, la città portuale di Narvik, 18.000 abitanti, guarda verso l’Oceano Atlantico e si nasconde in un luogo sublime, all’imbocco di un fiordo circondato da  montagne che non sono altissime, ma scendono molto ripide in mare. Questa piccola città dista pochi chilometri dalla frontiera svedese e domina l’Ofotenfjord e altri bellissimi fjordi laterali. Il treno del ferro sale versanti montuosi per 42 km fino alla frontiera svedese, sfiorando precipizi e attraversando 22 tunnel e 9 ponti. Ogni anno 275 navi attraccano al porto minerale di Narvik e non mancano le supernavi da 350.000 ton.

Narvik nacque intorno all’industria dell’estrazione del ferro e fu fondata all’inizio dell’Ottocento, quando i regni di Svezia e Norvegia decisero di creare un porto che non fosse mai bloccato dai ghiacci e da cui si potesse esportare il ferro estratto dalle miniere della Lapponia svedese. La costruzione della linea ferroviaria Kiruna-Narvik iniziò nel 1898 e si protrasse per quattro anni e fu opera di marinai norvegesi, svedesi e operai itineranti, i rallare, che vivevano nel Rombaksfjord. Quando il loro villaggio fu distrutto da un incendio, nel 1903, molti operai si trasferirono a Narvik che crebbe rapidamente.

 

 

QUADRO STORICO

1939

CRONACA

POLONIA:

il 23 agosto 1939 è stipulato il famigerato Patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop tra Unione Sovietica e Germania.

1 settembre 1939 alle ore 04.45 la Wehrmacht supera il confine Polacco con cinque Armate forti di 1.500.000 uomini e 2000 carri-armati ed opera un attacco a tenaglia, impiegando l'innovativa tattica militare della guerra lampo o Blitzkrieg.  L'incrociatore Schleswig-Holstein, all'ancora nel porto di Danzica, apre il fuoco sulla città. Nello stesso giorno Hitler assicura al "Reichstag" che "non farà la guerra a donne e bambini, ma l’aviazione limiterà gli attacchi ai soli obiettivi militari".

Il 3 settembre 1939 Gran Bretagna e Francia, dopo aver inviato il giorno precedente un Ultimatum al quale Hitler non rispose, alle 11,45 di mattina dichiarano Guerra alla Germania.

Il 17 settembre Russia aggredisce la Polonia da est. La conseguenza più spettacolare di questo trattato è la divisione del territorio polacco (lungo la Vistola) tra russi e tedeschi.

Con la popolazione civile ridotta allo stremo, Varsavia si arrende alle truppe tedesche.

Il 27 settembre 1939 l'esercito polacco è disarmato entro la fine del mese. Complessivamente, le perdite polacche assommano a circa: 70.000 militari morti, 133.000 militari feriti, 694.000 militari divenuti prigionieri di guerra, 150.000 civili morti, e un numero imprecisato di feriti. Soltanto 100.000 civili polacchi riescono a fuggire in Lituania, Ungheria o Romania. Le perdite tedesche assomma a circa 13.000 militari

06 ottobre1939 L'ultima unità Polacca cade nei pressi di Lublino, segnando la fine della campagna di Polonia.

Questa Operazione dà il via alla Seconda guerra mondiale.

 

 

FINLANDIA - I preparativi franco-britannici per aiutare la Finlandia e di occupare, nel contempo, le miniere di ferro della Svezia, creano i presupposti dell’invasione della Danimarca e Norvegia da parte della Germania nazista (Operazione Weserübung).

NOVEMBRE-DICEMBRE 1939

Al culmine di una lunghissima crisi diplomatica che dura ormai da molti anni, tra il 30 novembre 1939 ed il 13 marzo 1940, si combatte la Guerra d’Inverno, nota come la guerra russo-finnica. l'Unione Sovietica sferra un massiccio attacco contro la Finlandia, dando il via alla Guerra d'inverno, dopo che la Finlandia ha rifiutato la richiesta di Stalin di installare basi militari sovietiche in territorio finlandese.

Le motivazioni di Stalin dietro l'attacco alla Finlandia sono complesse: 1) La fretta di acquisire i territori della sfera di potere sovietica, come previsto dal Patto con i Tedeschi; 2) Il desiderio di far rientrare la Finlandia nell'orbita russa; poichè in precedenza la Finlandia era stata parte dell'Impero Russo, ma si era separata a seguito della sconfitta della Rivoluzione russa. 3) La volontà di vendetta contro i Finlandesi, poichè negli anni della Rivoluzione avevano appoggiato i partigiani russi filo-monarchici (cosiddetti "Bianchi") contro la Russia bolscevica. 4) Dimostrare alla Germania la potenza dell'Armata Rossa a scopo di intimidazione, tentando di conseguire un rapido successo militare simile a quello di Hitler in Polonia. L’aspettativa di Stalin di una rapida conquista è frustata dalla Resistenza finlandese Nonostante l'impiego di 1.000.000 di uomini, 3000 carri armati e quasi 4000 aerei, l'Armata Rossa non riesce a realizzare una rapida invasione: soprattutto a causa di strategie di attacco sbagliate; ma anche a causa delle efficaci tattiche di guerriglia adottate dagli avversari finlandesi (pur numericamente molto inferiori); nonchè a causa del terribile inverno nordico, con suolo ghiacciato e temperature fra i -30°C e -50°C.

1-2 dicembre - L’agenzia sovietica Tass annuncia la costituzione di un “Governo popolare di Finlandia” (governo fantoccio), presieduto da Otto Kuusinen, membro del Komintern. I finlandesi  oppongono una valorosa difesa, spostandosi in bicicletta o sugli sci tra le fitte foreste. Attaccano sui fianchi i carri armati sovietici scagliando nelle loro feritoie un tipo di proiettile che diventa famoso  come Bottiglia Molotov. Vano appare il tentativo di Kuusinen di convincere  i finlandesi ad “abbattere l’oppressore” (il governo legittimo) e di ricevere come “liberatori” i soldati dell’Armata Rossa.  Kuusinen firma un trattato con l’URSS in base al quale tutte le richieste dei russi sono accolte in cambio dell’intera Carelia sovietica.

3-12 dicembre - I finlandesi ripiegano ordinatamente verso l’Istmo di Carelia sotto la pressione delle superiori forze sovietiche e si attestano sulla Linea Mannerheim, così chiamata dal nome del suo ideatore, il gen. Carl Gustav Mannerheim, eroe nazionale, fondatore della Repubblica finlandese nel 1919 e in quei giorni animatore della resistenza contro l’invasore. Tuttavia, questa storica Linea non è che una modesta serie di fortificazioni di legno e cemento che si estese per circa 40 km attraverso l’istmo di Carelia.


La corazzata inglese Nelson è danneggiata dall’urto contro una mina magnetica, nonostante che i tecnici inglesi fossero riusciti a smagnetizzare gli scafi con l’impiego di un cavo elettrico chiamato degaussing. Per effeto delle mine, gli alleati ottengono le seguenti perdite: 2 cacciatorpediniere sono affondati, altri 2 cacciatorpediniere e 1 posamine danneggiati.

L’URSS precisa la sua posizione: il governo legale della Finlandia è quello presieduto da Kuusinen. Tra Russia e Finlandia non esiste alcuna controversia.

5 dicembre - 
I sovietici arrivano sulla Linea Mannerheim nel settore presidiato dal II Corpo d’Armata.


6 dicembre - 
Vi sono scontri massicci sulla  Linea Mannerheim.


7 dicembre - Una divisione russa riesce a spingersi fino alla cittadina di Suomussalmi, sul lago Kianta (Kiantajàrvi).

Nel marzo 1940 viene firmato un Accordo di Pace. La Finlandia cede alla Russia il 10% del suo territorio e il 20% delle sue risorse industriali.

Danimarca, Svezia e Norvegia si dichiarano NEUTRALI

L’Admiral Graf Spee (nella foto) affonda la nave inglese Doric Star in Atlantico. L’unità tedesca è la nave più temuta dalle marine da guerra alleate. La squadra inglese comandata dal commodoro Harwood si apposta al largo dell’estuario del Rio de la Plata.

8-9-10-11 dicembre - Hitler incontra Vidkun Quisling, fondatore in Norvegia di un movimento filonazista: l’Unione Nazionale.
 Il suo nome è diventato sinonimo di tradimento. Quisling da tempo invitava Hitler ad invadere il proprio paese: ufficiale di carriera nell'esercito norvegese, all'apparire dei carri armati tedeschi, si era autoproclamato Capo di Governo il 9 aprile, ma dopo una settimana, Quisling fu allontanato dallo stesso Reich per  incapacità e per il fatto che l'uomo era disprezzato dalla maggioranza dei norvegesi. Hitler, tuttavia, continua ad aiutarlo sovvenzionando il suo partito. Tra Terboven, Reichskommisar della Norvegia, e Quisling si crea, prevedibilmente, un odio acceso. Terboven cercava di isolare Quisling entro le file del suo stesso partito, e a Quisling non resta che mendicare... presso il Führer. Nel 1942, con l’appoggio del Furher, Quisling ottiene poteri che un tempo spettavano al Re. In questo modo il "traditore" può dare avvio ad una nazificazione massiccia della Norvegia, a partire dai giovani ispirando una sorta di Gioventù hitleriana, la cui iscrizione diventa obbligatoria per i ragazzi tra i 10 e i 18 anni d’età. Il suo piano prosegue con la militarizzazione e l'insegnamento filo-nazista. Fa deportare dissidenti in campi di lavoro nell'Artico. Solo sette mesi dopo l'investitura, un sondaggio segreto rivela che il 95% dei norvegesi detesta Quisling. Tutto ciò preoccupa i tedeschi: il Nasjonal Samling perde iscritti, rappresentando l'1,5% scarso della popolazione.

12 dicembre - La Francia fornisce alla Finlandia 5.000 fucili mitragliatori mod. 1915. L’Inghilterra, dal canto suo, invia alla Resistenza finlandese un certo numero di mortai Brandt, fucili mitragliatori mod. 24 e alcuni aerei.


13-14 dicembre - In conseguenza della sua aggressione alla Finlandia, L’URSS è espulsa dalla Società delle Nazioni. La Società invita i Paesi Membri ad attivarsi per aiutare la Finlandia con ogni mezzo.


15-16 dicembre - Il principale attacco russo inizia in Finlandia nel settore di Summa. Nella notte, 70 carri armati sovietici sono distrutti dai commando finlandesi.

17-19 dicembre - Affonda la corazzata Amiral Graf Spee.

20-21-22 dicembre - Le difese finlandesi rimangono saldamente in mano ai difensori, nonostante i ripetuti attacchi  sovietici.

23 dicembre - Due navi mercantili germaniche sono fermate da unità britanniche presso le coste statunitensi. Uno dei due, il Columbus, di 32.000 tonn. è affondato, l’altro si rifugia nelle acque territoriali della Florida.

24 dicembre
 - Alla vigilia di Natale, Papa Pio XII lancia un “Appello per la Riconciliazione” ai Paesi in guerra, ma resta inascoltato.


25 dicembre - Tedeschi e francesi festeggiano il primo Natale di guerra all’interno delle cupole corazzate della linea Maginot e della linea Sigfrido. Prosegue, in modo ancora tranquillo “La Guerra Strana” sul fronte occidentale.

26-27-28 dicembre - 
Economia di guerra. In Inghilterra viene annunciato il razionamento della carne.


29 dicembre - 
Successo finlandese: i finlandesi ricacciano i sovietici dalla riva Nord del Lago Ladoga. Molti soldati della l63a Divisione russa arretrano e si danno a  una fuga disperata. I finlandesi catturano 11 carri armati, 25 cannoni e 150 autocarri.


30-31 dicembre

Royal Oak

Dall’inizio del conflitto, gli Alleati contano le perdite di 746.000 tonn. di naviglio mercantile, 1 portaerei, 1 incrociatore ausiliario, la corazzata inglese Royal Oak.
  Questo disastro è dovuto agli attacchi degli U-Boote, delle unità di superficie, delle mine magnetiche e di azioni aeree. I tedeschi dal canto loro devono lamentare la perdita di una decina di U-Boote, della corazzata tascabile Admiral Graf Spee e di poche decine di migliaia di tonn. di naviglio.

1940

IL CASO DELLA NAVE  “ALTMARK

 

La nave-appoggio Altmark nei ghiacci

Nel Febbraio del 1940 l’Altmark, l’unità  adibita ai rifornimenti della corazzata tascabile Admiral Graf Spee autoaffondatasi nel Rio del la Plata, navigava nelle acque territoriali norvegesi diretta in Germania, con a bordo un gran numero di marinai inglesi prigionieri, presi dalle unità mercantili affondadate dalla Graf Spee. In quanto unità ausiliaria, essa aveva fatto appello al suo diritto di non essere perquisita quando i norvegesi l’avevano fermata prima al largo di Trondheim e, più tardi, al largo di Bergen. Dopo qualche incertezza, i norvegesi la lasciarono proseguire senza sottoporla a perquisizione, ma il 16 febbraio, in prossimità dello Jøsenfjord sulla costa meridionale della Norvegia, l’unità tedesca fu intercettata dall’incrociatore inglese Arethusa scortato dalla 4a flottiglia cacciatorpediniere agli ordini del C.V. Comandante Vian. Due piccole navi da guerra norvegesi che la scortavano, insistettero sul fatto che, trovandosi in acque neutrali, gli inglesi non dovevano interferire nei suoi movimenti, e l’Altmark poté rifugiarsi nello Jøsenfjord. Tre ore dopo Vian, eseguendo gli ordini impartitigli direttamente da Churchill all’Ammiragliato, si avvicinò all’Altmark per abbordarla, avendo prima proposto ai norvegesi la soluzione alternativa di scortarla di nuovo a Bergen per un’ulteriore perquisizione. Nel frattempo era scesa l’oscurità. Quando il cacciatorpediniere Cossack, con a bordo Vian, si affiancò alla ben più grande nave nemica, l’Altmark tentò di speronarlo, ma s’incagliò nel fiordo. Alcuni marinai inglesi salirono a bordo della petroliera tedesca (nave-appoggio) e, con le pistole spianate, ne occuparono il ponte. Altri andarono in cerca dei prigionieri e furono fatti segno a colpi di arma da fuoco da parte di alcune sentinelle tedesche che fuggirono poi sulla superficie ghiacciata. Morirono otto tedeschi, tra uccisi e annegati; 299 prigionieri inglesi furono trasbordati sul Cossack. Infine le unità inglesi si allontanarono lasciando l’Altmark alle prese con il problema di districarsi dai ghiacci e libera di continuare la sua rotta verso la Germania. In Gran Bretagna il fatto venne salutato come un’impresa epica e il grido lanciato ai prigionieri dagli uomini che effettuavano l’abbordaggio - “Arriva la marina inglese” – diventò famoso. In Norvegia tanto il governo quanto l’opinione pubblica erano infuriati e sgomenti per quella che consideravano una flagrante violazione della loro neutralità. In Germania la cosa suscitò un enorme scalpore sulla stampa e alla radio. Hitler era furioso, e secondo i suoi più stretti collaboratori l’incidente pose fine a ogni sua esitazione in merito all’invasione della Norvegia.

 

I PIANI D’ATTACCO DI HITLER

OPERAZIONE WESERÜBUNG

  CRONACA

Il 26 febbraio e il 1°marzo Hitler firma due direttive che stabiliscono gli obiettivi, gli itinerari e i mezzi dell’Operazione Weserübung, che include anche la Danimarca, affidandone la responsabilità al generale Falkenhorst, Comandante del 21° Corpo d’Armata, il quale, ha già avuto esperienze belliche in Scandinavia durante la Prima guerra mondiale. All’operazione sono destinati:

due corpi d’armata, il 21° A.K.(Armeekorps; Norvegia)  e il 31° A.K. (Danimarca), che dispongono di due divisioni di montagna (2° e 3° Gebirgsdivision) e sette divisioni di fanteria (69°, 163°, 1812°, 196° e 214° Infanterie-Division per la Norvegia, e 170° e 198° ID per la Danimarca).

un corpo aereo, il 10° Fliegerkorps, agli ordini del generale Geisler, che inquadra 290 bombardieri bimotori, 40 ju.87 Stukas, 100 caccia, 70 apparecchi da ricognizione terrestre e marittima e 500 trimotori da trasporto junkers ju.52

- tutte le unità navali della Kriegsmarine disponibili alla datta del 7 aprile 1940. Inoltre, per il trasporto di truppe e di materiali sono requisiti ben 41 bastimenti mercantili per un totale di circa 200.000 tonnellate di stazza.

Con tali forze, lo Stato maggiore tedesco organizza tra l’altro undici gruppi navali, di cui cinque destinati alla Danimarca e sei alla Norvegia. Questi ultimi sono così costituiti:

- Gruppo Narvik: 10 cacciatorpedieniere (Wilhelm Heidkamp, George Thiele, Wolfgang Zenker, Bernd von Arnim, Erich Giese, Eich Koellner, Diether von Roeder, Hans Lüdemann, Hermann Künne e Anton Schmitt) al comando del capitano di vascello Bonte, in funzione di Commodoro, con le truppe del 139° Reggimento cacciatori di montagna (Gebirgsjäger)

- Gruppo Trondheim: incrociatore pesante Admiral Hipper (capitano di vascello Heye), 4 cacciatorpediniere Paul Jacobi, Theodor Riedel, Bruno Heinemann e Friedrich Eckoldt con i soldati del 138° Reggimento cacciatori di montagna;

- Gruppo Bergen: incrociatori leggeri Köln e Könisberg; nave scuola cannonieri Bremse; motosiluranti S-19, S-21, S-22, S-23, S-24 con la loro nave appoggio Carl Peters, navi ausiliarie Schiff 9 – Schiff 18 e Koblenz con 2 battaglioni della 69° Divisione di fanteria. Al comando del gruppo navale è posto il contrammiraglio Schmundt.

Gruppo Oslo: al comando del contrammiraglio Kummetz: incrociatori pesanti Blücher e Lützov, incrociatore leggero Emden,torpediniere Albatros, Kondor e Möwe, 8 dragamine, navi pattuglia Rau-7 e Rau-8 con due battaglioni della 163 Divisione di fanteria

In appoggio all’operazione sono opportunamente dislocati anche numerosi sommergibili.

1° gruppo Westfjord:              U-25, U-46, U-51. U-64 e U-65

gruppo Trondheim:            U-30, U-34

3° gruppo Bergen:                  U-9, U-14, U-56, U-60 e U-62

4° gruppo Stavanger:              U-1 e U-4

5° gruppo Est Shetland:          U-47, U-49, U-50 e U-52 e in seguito U-37

6° gruppo Pentland Firth:       U-13, U-19, U-57, U-58, U-59

8° gruppo Lindesnes:             U-2, U-3, U-5 e U-6

9° gruppo Shetland-Orkney:  U-7 e U-10 

                   

2 aprile Hitler dà il via all’operazione Weserübung (Esercitazione Weser) contro Norvegia e Danimarca. L’inizio delle operazioni viene fissato al 9 aprile.

3 aprile a Londra, rimpasto del ministero Chamberlain. Churchill viene chiamato a presiedere il comitato dei ministri della Difesa e ottiene il consenso del governo per la posa di campi minati nelle acque territoriali norvegesi, già deciso nella seduta del Consiglio Supremo Interalleato del 28 marzo. Nella notte 8 cacciatorpediniere della marina inglese posano tre campi di mine nelle acque territoriali norvegesi.

 

I campi minati sono indicati dalle frecce rosse e segnati con tre file di punti neri al Nord ed al Centro della Norvegia.

Dragamine tedesco in cerca di mine inglesi nelle acque norvegesi

 

LA  GERMANIA  E  L’INVASIONE  DELLA NORVEGIA

Aprile 1940

L'azione predatoria dell’Altmark, voluta direttamente da Churchill, creò un clima incandescente nell'opinione pubblica norvegese, a causa della violazione eclatante della neutralità della Norvegia.

Vale forse la pena ripetere che dopo aver seguito per lungo tempo una politica di disarmo, dopo la Prima guerra mondiale, le Forze Armate Norvegesi arrivarono alla fine degli anni ‘30 senza riserve e con scarso addestramento, sebbene alcuni politici dei vari schieramenti richiedessero il rafforzamento delle capacità difensive nazionali. Il risultato fu che le forze militari stanziate nella Norvegia meridionale furono largamente impreparate ad affrontare l'invasione dei tedeschi, i cui sbarchi in Norvegia trovarono, infatti, scarsa anche se combattiva resistenza dovuta, per lo più,  ad atti solitari di vero eroismo. L'assunzione del comando supremo da parte del generale tedesco Otto Ruge aveva troncato, infine, ogni dubbio sul fatto che i norvegesi avrebbero resistito ad oltranza. L'aiuto fornito dagli alleati fu tardivo, deludente, del tutto insufficiente e poco duraturo...

Nel frattempo, con la capitolazione danese, la Luftwaffe poté usufruire quasi immediatamente dell’aeroporto di Aalborg. Il gruppo che sarebbe dovuto entrare a Oslo venne inaspettatamente respinto.

L’incrociatore tedesco Blücher  (nella foto) fu investito dalle cannonate e dai siluri della fortezza di Oscarborg, il cui Comandante, il sessantacinquenne colonnello Eriksen, si assunse la piena responsabilità dell’azione. L’incrociatore colò a picco senza poter reagire e affondò a Drøbak (sul lato est del fjordo di Oslo). Il fatto davvero eccezionale fece ritardare l’occupazione di Oslo di quel tanto che permise al Governo di prendere tempo, evitare la cattura e portare a termine le procedure costituzionali critiche prima di lasciare la capitale. In questo senso, assunse grande importanza la valorosa difesa di Midtskogen (40 km a NE di Oslo) con  azioni, a dire il vero, improvvisate da unità militari isolate e di volontari irregolari. Gli scontri avevano l’obiettivo di ritardare l’avanzata tedesca di diversi giorni ed ebbero successo.

A Trondheim il gruppo tedesco dell’ Hipper superò combattendo il fuoco di alcune batterie costiere. A Bergen le batterie norvegesi riuscirono a danneggiare il Königsberg  e una nave ausiliaria prima che gli invasori riescissero a sbarcare. A Kristiansand, dopo aver inizialmente respinto gli invasori, le batterie scambiarono le navi tedesche per unità francesi, lasciandole passare. Era il 9 aprile 1940.

 

Fortezza di Oscarborg (Oslo). Foto di una Batteria.

L'attacco Navale Tedesco nei dettagli

L'Operazione UK Wilfred,  ossia la posa di mine inglesi davanti ai porti norvegesi che ha come scopo il blocco delle navi tedesche cariche di minerale, é posticipata all' 8 aprile e, per il 9 aprile é programmato lo sbarco nei porti di Narvik, Trondheim, Bergen, Stavanger. Le navi impiegate per queste operazioni sono: Devonshire, Berwick, York, Glasgow. Porto di partenza: Rosyth. (Base Navale a 12 mg. da Edimburgo)

Ricordando il sequestro dellAltmark, la motivazione ufficiale tedesca era quella di salvare la Norvegia dagli invasori inglesi. Le forze alleate si erano effettivamente mosse, anche se con notevole ritardo, per controbattere la nuova aggressione tedesca, che diede un taglio netto alla finta guerra combattuta in quei mesi di relativa calma.

Operazione Weserübung é la definizione data in ambito militare nazista, che inizia il 9 aprile 1940. I tedeschi sbarcano simultaneamente in otto città portuali. Le truppe avrebbero dovuto essere trasportate con navi da guerra. La Danimarca, che non rappresenta un problema militare, é utile per la vicinanza dei suoi aeroporti (Aalborg) alla Norvegia.

Navi trasporto in navigazione dalla Germania verso nord con truppe e rifornimenti.

Nella notte fra il 7 e l'8 aprile i tedeschi si muovono per accerchiare la Norvegia: sono previsti gli sbarchi di truppe via mare nei centri vitali del paese, lanci di paracadutisti e attacchi aerei con l’intento di scoraggiare in anticipo ogni volontà di resistenza. Il grosso delle forze di superficie della Kriegsmarine é in navigazione per scortare i trasporti truppe.

La  potente nave da battaglia Scharnhost in navigazione tra i ghiacci.

Una grossa formazione navale diretta a nord comprende gli incrociatori da battaglia Scharnhorst e Gneisenau, di scorta a dieci cacciatorpediniere che imbarcano un reggimento della 3a divisione da montagna, destinato a Narvik. Un altro gruppo, guidato dall'incrociatore pesante Hipper e forte di quattro caccia, é diretto a Trondheim.


Una bella immagine della Gneisenau

La sera stessa unità della Home Fleet salpano da Scapa Flow per intercettarle. Il cacciatorpediniere Glowworm, allontanatosi per cercare un uomo gettato in mare da un'ondata, intercetta per caso la formazione dell'Hipper, il suo Comandante non esita a speronare la grande nave tedesca, danneggiandola notevolmente.

Gli altri gruppi navali tedeschi sono composti dagli incrociatori leggeri Köln e Königsberg con torpediniere, unità ausiliarie ed erano diretti verso Bergen. L'incrociatore leggero Karlsruhe dirige, con varie torpediniere a Kristiansand. Una grossa formazione composta dalla corazzata tascabile Lützow (gemella della Bismarck), dagli incrociatori Blücher e Emden, oltre ai mezzi da sbarco dirigono invece verso Oslo.

 I Norvegesi sono colti di sorpresa

I nazisti consideravano i norvegesi un popolo razzialmente puro ed affine e si attendevano di essere accolti con simpatia nel Paese occupato. Il Governo norvegese del Primo Ministro Johan Nygaardsvold, con l'eccezione del ministro degli esteri Halvdan Koht e del ministro della difesa Birger Ljungberg, é colto di sorpresa quando é chiaro, nelle prime ore del 9 aprile 1940, che la Germania nazista ha lanciato l'invasione della Norvegia. Sebbene una parte della riserva aurea del paese sia già stata portata via da Oslo, non esistono piani da poter attuare in caso d’invasione nemica. Oltre tutto, la Norvegia dispone di un’altra importante risorsa che  può offrire agli Alleati: la sua immensa  flotta mercantile, che consiste in più di 1000 navi, pari a una stazza lorda complessiva di 4 milioni di tonnellate.

Impreparato, anche se non avrebbe dovuto esserlo, il governo norvegese non ha nessuna intenzione di capitolare all' ultimatum, il quale scadrebbe all'arrivo delle truppe tedesche e sarebbe consegnato da Curt Bräuer, ambasciatore tedesco a Oslo. La richiesta tedesca che la Norvegia deve accettare la protezione del Reich é respinta da Koht e dal governo norvegese prima dell'alba, il mattino dell'invasione. Vi gir oss ikke frivillig, kampen er allerede i gang, replica Koht (Non ci sottomettiamo volontariamente; la lotta è già iniziata).

8 aprile

Gli Alleati informano il governo di Oslo dell’avvenuta posa di mine nelle sue acque territoriali. Ore 11,50 - Al largo della costa norvegese, vicino a Lillesand, la nave tedesca Rio de Janeiro, adibita al trasporto di truppe, é silurata dal sommergibile polacco Orzel. I naufraghi tedeschi sono raccolti dall’unità alleata e, nonostante sia ormai certo che la forza di invasione tedesca si trovi già in mare, il governo norvegese non ordina la mobilitazione generale. Verso sera, durante una riunione del Consiglio dei ministri, il capo di Stato Maggiore dell’esercito, colonnello Rasmus Hatledal, informa il ministro della Difesa che tutti gli ufficiali dello Stato Maggiore sono a disposizione. Viene decisa la mobilitazione (segretissima) di 5 brigate da campagna nella Norvegia meridionale. Sospettando un tentativo di sbarco inglese, i tedeschi improvvisamente si organizzano per  anticipare l’occupazione della Norvegia.

Il Consiglio Supremo Interalleato, a causa di questi inquietanti segnali,  decide il contemporaneo sbarco di truppe, con la consapevolezza che il giorno seguente i tedeschi avrebbero reagito.

 L’errore strategico degli Inglesi

Alle autorità militari e politiche inglesi pareva incredibile che Hitler potesse tentare un’impresa simile. Tuttavia la realtà era chiara e terribile. Prima della fine del 9 aprile, i tedeschi occupano quasi tutte le città portuali della Norvegia, e persino Oslo, la capitale, é caduta nelle loro mani. Nessuno dei loro sbarchi é fallito.

Per l’Ammiragliato britannico é il crollo umiliante di tante colpevoli illusioni: la Scandinavia, infatti, é diventata un campo di battaglia a causa dell’avventatezza e dell’incertezza alleate. Questa volta, la  diabolica mente di Hitler ha contato in misura relativa; egli ha solo bruciato sul filo di lana gli avversari. La verità é che Londra e Parigi hanno gettato i pacifici Paesi Nordici nelle fauci naziste, dimostrando una mancanza di scrupoli non dissimile da quella del feroce dittatore tedesco.

10 aprile

Nella Norvegia settentrionale, il maggiore generale norvegese Fleischer perde con la guarnigione di Narvik (consegnata dal Colonnello Sundlo ai tedeschi di Dietl senza combattere) uno dei suoi battaglioni. Il 10 aprile un altro battaglione ferma gli uomini di Dietl circa 26 km a nord di Bjerkvik, sulla strada per Bardufoss, dove Fleischer stava concentrando le proprie forze al centro di addestramento e all'aeroporto militare. A Trondheim le forze del 5° distretto si ritirano verso nord, a Stenkjár, per effettuare la mobilitazione, ma così facendo lasciano ai tedeschi l'aeroporto militare di Vaernes, situato a circa 40 km da Trondheím. L'artiglieria lascia i suoi pezzi nei depositi della città, ma il maggiore Holtermann del 5° Artiglieria raduna un contingente di volontari nel vecchio forte di Hegra (Hegra Fort), dove oppone al nemico una strenua resistenza, che dura sino all'inizio di maggio, tenendo impegnate forze tedesche superiori. (vedi commento successivo)

10 aprile Il Re e il Governo danesi si sottomettono all’ultimatum tedesco. Re Haakon di Norvegia sconfessa il governo fantoccio formato da Vidkung Quisling. Unità inglesi, al comando di Warburton Lee, sorprendono 10 cacciatorpediniere tedeschi nel fiordo di Narvik riuscendo ad affondarne due, ma perdendone a loro volta due.


11 aprile

La corazzata Lützow é silurata e fortemente danneggiata da un sommergibile britannico, mentre il Königsberg é affondato da bombardieri Skua decollati da Scapa Flow. 11 aprile il Comandante in capo dell’esercito norvegese maggiore generale Laake rassegna le dimissioni, al suo posto é nominato il generale Otto Ruge. 13 aprile La corazzata inglese Warspite, con la sua squadra affonda 8 cacciatorpediniere tedeschi nello specchio d’acqua antistante a Narvik.

Seguono nuove direttive del Governo inglese al Comandante supremo dell’aviazione da bombardamento, maresciallo dell’Aria sir Charles Frederick Algernon Portal:

“In caso d’invasione tedesca del Belgio e dell’Olanda, gli obiettivi da bombardare dovranno essere: i concentramenti di truppe, le vie di comunicazione e gli stabilimenti della Ruhr; i bombardieri pesanti agiranno soprattutto di notte”.

15-16 aprile. I primi contingenti alleati sbarcano in Norvegia. Il 17 aprile l’incrociatore inglese Suffolk bombarda l’aeroporto di Sola nei pressi di Stavanger, a sua volta attaccato e gravemente danneggiato dalla Luftwaffe. Il Suffolk riesce tuttavia a rientrare a Scapa Flow. Il 19 aprile avviene lo barco alleato a Narvik. Il 20 aprile i tedeschi con due colonne prendono contatto con le linee norvegesi a difesa di Lillehammer, Rena e Åmot (le località si trovano a circa 140 km a nord di Oslo) . 21 aprile. Prosegue l’avanzata tedesca in Norvegia. 22 aprile. I tedeschi con due colonne si spingono verso nord, lungo i fiumi Rea e Glomma. Nel pomeriggio, unità tedesche attaccano nel settore di Balbergkamp, pochi km a nord di Lillehammer. 24 aprile. In Norvegia, i tedeschi avanzano su tutti i fronti.
 27 aprile
 Hitler comunica a Wilhelm Keitel, Comandante in capo delle forze armate, e ad Alfred Jodl, capo dell’ufficio operativo del Comando Supremo della Wehrmacht, che intende scatenare l’offensiva contro la Francia nella prima settimana di maggio.28 aprile. 
Fallisce il tentativo della XV brigata alleata del gen. Britannico sir Bernard Paget di avanzare su Gudbrandsdal partendo da Trondheim. Sir Paget comunica al Comandante in capo dell’esercito norvegese Otto Ruge che la ritirata dalla Norvegia centrale appare inevitabile.
 30 aprile
. Le truppe tedesche provenienti da Oslo e da Trondheim si ricongiungono a Dombas. Parte delle truppe alleate abbandonano il suolo norvegese.

 

Operazione “Weserübung”

- Inizia il 9 aprile 1940 e dura sei settimane -

9-10 aprile 1940. Il comando supremo tedesco sapeva di poter contare, nelle operazioni aero-navali in Norvegia, soltanto su un vantaggio di nove ore nei confronti della flotta alleata. Nella foto, dragamine tedeschi aprono la strada in un fiordo norvegese alle unità maggiori di superficie e alle navi trasporto truppe e materiali.

I tragici Risultati

      853     Norvegesi persero la vita nella  Campagna dei quali

      566     appartenevano all’Esercito Norvegese,

      223     appartenevano alla Marina Norvegese

         4        appartenevano all’Aviazione Norvegese

   1.000     Furono feriti, molti rimasero invalidi per sempre.

      185       Furono le vittime tra i civili.

    3.700     I Tedeschi uccisi.

     2.400    Dei quali appartenevano alla Kriegsmarine.

     2.500    Soldati Inglesi morirono nella Campagna, la maggior parte  in mare.

        500     Soldati Francesi e Polacchi furono uccisi o fatti prigionieri.

        100      Aerei norvegesi furono distrutti.

          35      In totale furono le navi tedesche affondate:

                     6 sottomarini, 3 incrociatori pesanti, 10 cacciatorpediniere, 1 silurante,

                     15 imbarcazioni di vario tipo e modello.

      112       Aerei inglesi abbattuti

      242      Aerei tedeschi distrutti, di cui un terzo erano da trasporto civile.

    4000    Abitazioni civili completamente distrutte.

     4000    Abitazioni parzialmente danneggiate.

        300    Furono i ponti fatti saltare.

 

   Dal 10 Giugno 1940 fino al 8 Maggio 1945 la Norvegia fu occupata.

 

L’ODISSEA  DI  NARVIK

CONTEA DI NORDLAND

 

 

In questo plastico dell’Ofotfjord, la freccia rossa indica la città di Narvik, che nella primavera del 1940 fu teatro di epiche battaglie navali  contro gli invasori tedeschi.

                                                                                                      (Narvik War Museum)

 L’arrivo dei tedeschi a NARVIK e l’immediato affondamento dei due anziani iron clade EIDSVOLD e NORGE è già stato descritto nella sua cruda realtà nelle prime pagine del romanzo. Qui di seguito vi propongo i personaggi e le navi da guerra che sono stati i protagonisti di quelle tragiche giornate ma, come vedremo, l’Odissea di Narvik proseguirà anche sulle montagne...

“Il gruppo tedesco destinato a Narvik risalì l’Ofotenfjord e non ebbe difficoltà a sbarazzarsi delle vecchie unità costiere norvegesi che difendevano il porto, sbarcando regolarmente le sue truppe il 9 aprile, dopo aver ottenuto la resa della guarnigione locale”.

 

Il capitano di vascello Bonte, commodoro dei caccia tedeschi a Narvik. A lato, la sua nave, il cacciatorpediniere Wilhelm HeidkampZ-21, in una foto di poco precedente il conflitto. Da questa nave è partito l’ordine di affondare l’Eidsvold con i lanciasiluri visibili di poppavia alla nave.

 P.g.c. Storia Militare

 

Il guardacoste corazzato Eidsvold gemello, del Norge di 3.645 tonn.

 

                     Il guardacoste corazzato Norge 

(P.g.c. di Storia Militare)

 

 

In questa fotografia ripresa nel War Museum di Narvik, notiamo i reperti recuperati dopo l’affondamento del NORGE: il salpancore (in primo piano), il modello della nave in bacheca (dietro), la bussola magnetica (a destra), il telegrafo di macchina (in fondo a sinistra), un telemetro, un pezzo di lamiera, un fanale di navigazione ed infine alcune foto della nave, del suo comandante sotto il nome della nave.

                                                                                            

Narvik – Il Molo della Posta presidiato da tre caccia tedeschi

 

 

La Lufwaffe diede un enorme contributo soprattutto nei primissimi giorni dell’invasione con lanci di truppe aviotrasportate che occuparono Oslo, Kristiansand, Stavanger, Bergen, Trondheim e Narvik. Nella foto, aerei  da trasporto tedeschi Junkers in volo verso Narvik.

 

 

Unità contraerea tedesca in una valle vicino a Narvik

 

 

La mitragliatrice pesante tedesca, MG.08 appostata sulla costa nord della Norvegia. La famiglia Loewe possedeva una parte considerevole delle azioni della Vickers, Sons & Maxim e della Deutsche Waffen & Munitionsfabriken; questo spiega il legame tra le due.

 

Eduard Dietl, generale tedesco nato nel 1887. Nel 1923 partecipò con Hitler al fallito putsch di Monaco. Nel 1940, durante la campagna di Norvegia, fu destinato a presidiare Narvik a capo di un reggimento alpino. Mentre la Marina tedesca subiva gravi perdite proprio davanti a Narvik, Dietl riuscì a resistere a lungo ai vari tentativi alleati di riprendere la città. Ad un certo punto Hitler gli fece ordinare di abbandonare Narvik per ripiegare su Trondheim, ma l’ordine non gli giunse, perchè fu bloccato dal colonnello von Lossberg.  L’ufficiale di collegamento con l’OKW, consigliò Keitel e Jodl di persuadere Hitler ad impedire a Dietl una marcia tra i ghiacciai che avrebbe decimato il suo reggimento. Dietl continuò a combattere sul fronte settentrionale, meritandosi, grazie alla sua abilità, il soprannome di “Rommel del nord”. Nel 1941 fu sul fronte della Carelia con le sue divisioni alpine e nel giugno superò la frontiera norvegese all’altezza di Capo Nord, alla testa del 19° corpo alpino, per impradonirsi delle numerose miniere della zona russa della penisola di Cola che facevano gola a Hitler. Successivamente, in luglio, tentò di spingersi fino a Murmansk che in seguito, grazie al suo porto, si rivelò preziosa per l’Unione Sovietica come arrivo dei mercantili con gli aiuti americani e britannici. Gli attacchi tedeschi, però, andarono a vuoto e Murmansk fu salva perché gli alpini di Dietl non riuscirono a superare l’ostacolo naturale che proteggeva la città. Dietl ottenne la Ritterkreuz il 9 maggio 1940, l’Eichenlaub il 19 luglio dello stesso anno e le Schwerter il 23 giugno 1944, quando morì in combattimento con il grado di generale Comandante della Ventesima Armata.

 

A Narvik, la controparte del generale Eduard Dietl fu il colonnello norvegese Konrad Sudlo comandante della guarnigione locale che, di fatto, consegnò i suoi uomini (700-800 soldati)  e le caserme ai tedeschi senza combattere. In quel tragico giorno, pare che le forze norvegesi fossero, in città, addirittura leggermente superiori a quelle tedesche. Non fu mai chiaro quanto abbiano inciso sul suo imbelle comportamento, la paura oppure il desiderio di risparmiare altre vite umane, dopo quanto successe poco prima ai marinai del Norge e Eidsvold, caduti davanti al porto. In ogni caso, erano ben noti, sia l’odio che nutriva verso i comunisti, sia l’ammirazione che aveva per i nazi-fascisti, ma soprattutto era nota la sua amicizia con “il traditore della Patria V. Quisling”. I norvegesi lo processarono nel 1947 e lo condannarono all’ergastolo.

 

 NARVIK -

IL MUSEO DELLA GUERRA

KRIGSMINNEMUSEUM

 

NORDLAND RØDE KORS

www.warmuseum.no.webarchive

 

 

Ringrazio sentitamente il

Nordland - Croce Rossa - Museo della Guerra di Narvik

per avermi concesso di realizzare la presente ricerca su un capitolo di Storia Europea che solo gli storici di professione conoscono. I principali teatri di guerra della Seconda guerra mondiale hanno “oscurato” quelli periferici come la Norvegia il cui popolo ha subito per cinque anni la FEROCIA nazista facendo conoscere al mondo il loro coraggio ed il loro valore nella difesa della propria terra nonostante fossero pochi e quasi disarmati come abbiamo potuto vedere in questa Prima Parte.

CONTINUA...

Carlo GATTI

Rapallo, 16 Novembre 2022


LA STORIA DELLA NAVE DA CARICO VALFIORITA

LA STORIA DELLA NAVE DA CARICO

VALFIORITA

UNA VITA BREVE…

La Valfiorita Impostata nel 1939 nei cantieri Franco Tosi di Taranto in costruzione Varata il 5 luglio 1942
 e completata il 25 agosto 1942 dalle Industrie Navali Società Anonima.

CARATTERISTICHE:

Motonave da 6200 tsl - lunga 144,47 metri - larga 18,65 - velocità 14-15 nodi.

 

UN PO’ DI STORIA…

Il
 17 settembre 1942, la Valfiorita viene requisita dalla Regia Marina, per essere adibita al trasporto di rifornimenti per le truppe in Africa Settentrionale.
La nave viene armata con un cannone da 120/45 e tre mitragliere contraeree Oerlikon da 20 mm. Per ostacolare la localizzazione della Valfiorita da parte di unità nemiche, viene installato anche un impianto nebbiogeno a cloridrina.

Eravamo in piena guerra per cui l’approvvigionamento di materiali ed attrezzature non era cosa facile. I metalli erano strategici e le priorità verso gli armamenti bellici erano maggiori.

Il 20 settembre 1942 la nave inizia a Taranto il carico di rifornimenti destinati alle forze italo-tedesche a Bengasi, prendono parte al viaggio in AS anche un centinaio di militari del Reggimento Cavalleggeri di Lodi.

Vennero imbarcate in tutto 4171 tonnellate di carico, comprendente 77 veicoli e 206 motociclette italiane, 95 veicoli tedeschi (moto comprese), 16 cannoni e 14 autovetture.

Il 3 ottobre, con i suoi 97 uomini di equipaggio (48 civili, tra cui 3 operai della Franco Tosi di Legnano, azienda produttrice dei motori, e 49 militari della Regia Marina), imbarcò anche 110 militari italiani del Reggimento Cavalleggeri di Lodi e 100 militari tedeschi. Sulla nave erano presenti due comandanti, il capitano di lungo corso Giovanni Salata (comandante civile) ed il capitano di corvetta Giuseppe Folli, comandante militare.

 

LA PARTENZA

Antonio Pigafetta (classe Navigatori)

 

Camicia Nera

 

Saetta

 

Con la scorta dei cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Camicia Nera e Saetta, la VALFIORITA prende il largo alle 15.10, ma solo a mezzanotte che fu dato l’allarme aereo.

Poco dopo in cielo esplosero i bengala che illuminarono il convoglio italiano che era stato segnalato da un Supermarine Spitfire, (foto sopra) aereo da ricognizione a lunga autonomia, sulla base delle intercettazioni delle informazioni fornite da “ULTRA”.

 

 

 

L’attacco inglese era composto da quattro Vickers Wellington (foto sopra) del 69th Squadron della Royal Air Force, armati sia di bombe che di siluri.

Il Vickers Wellington era un bombardiere medio bimotore inglese, realizzato sul finire degli Anni trenta; largamente impiegato nel corso della Seconda guerra mondiale, fu costruito in oltre 11.000 esemplari, caratterizzato dall'inusuale struttura geodetica, sviluppata dal celebre ingegnere ed inventore britannico Barnes Wallis, che garantiva al velivolo un'eccezionale robustezza, già sperimentata con il precedente Vickers Wellesley. 

Caratterizzato dalla sigla interna Type 271, il velivolo fu inizialmente chiamato Crecy (dal luogo in cui si svolse una battaglia della guerra dei cent’anni. Il nome definitivo fu in onore del primo duca di Wellington che sconfisse Napoleone Bonaparte nella Battaglia di Waterlloo. 

Riporto la cronaca dell’attacco tratta da Ocean for Future

L’attacco fu fulmineo, e nonostante l’uso di un pallone frenato e di una fitta cortina fumogena, raggiunse il suo scopo. I bombardieri Wellingtonattaccarono a motore spento da 1370 metri di quota, ed una bomba da 1000 libbre cadde a meno di 140 metri a poppavia della Valfiorita. Uno degli aerosiluranti, volando a bassissima quota, sganciò il suo siluro da 640 metri. Il siluro colpì la Valfiorita nella stiva numero 5, a poppa, facendo levare una fiammata rossastra ed aprendo una grossa falla attraverso cui l’acqua allagò le stive 5 e 6. La reazione della contraerea riuscì a danneggiarlo e costringerlo in seguito ad un atterraggio d’emergenza a Luqa. Sulla Valfiorita si scatenò il panico. A seguito del siluramento anche l’apparato fumogeno della nave rimase danneggiato ed il cloro venne disperso su ponte ferendo molti marinai. Nonostante gli effetti provocati dalla falla, causassero un rapido allagamento, esteso anche alla galleria dell’asse dell’elica, la motonave Valfiorita, proseguì il suo moto raggiungendo il mattino del 4 ottobre Corfù. Al fine di effettuare le dovute riparazioni fu quindi fatta incagliare ad una ventina di metri dalla costa. Nel frattempo i militari del Reggimento Cavalleggeri di Lodi vennero sbarcati e si accamparono presso il vicino villaggio di Potamòs, dove la popolazione soffriva di una gravissima carenza di cibo. Furono i militari italiani a condividere le loro razioni per permettergli di sopravvivere.

Sbarcati uomini e mezzi, solamente il 25 novembre 1942, dopo avere effettuato alcuni lavori, viene messa in condizioni di riprendere il mare, e raggiunge Taranto per i lavori di riparazione.
Terminati i lavori in bacino, a fine giugno 1943 la Valfiorita, ultimò anche le prove in mare e tornò in servizio.

Il 27 giugno 1943 il Comandante civile della motonave, il Capitano di lungo corso Giovanni Salata, chiede l’invio del materiale che mancava, specie delle 55 bombole di anidride carbonica dell’impianto antincendio, che erano state sbarcate per essere ricaricate dopo il siluramento dell’ottobre 1942 e non erano più state restituite. Furono inviate dieci bombole, ma il 7 luglio 1943 il Tenente di Vascello Giuseppe Strafforello, nuovo Comandante militare della Valfiorita dovette lamentare allo Stato Maggiore che le dieci bombole mandate erano inadatte all’impianto della Valfiorita, e che, come già aveva comunicato il comandante Salata il 2 luglio 1943, non c’erano altri mezzi antincendio a bordo della nave.

Sempre in data 7 luglio 1943, la nave in tarda serata, parte da Taranto in direzione Messina, sprovvista di ogni mezzo per spegnere qualsiasi focolare d’incendio, carica di mezzi, tra cui camion Fiat 626, moto, autoblindo e altri veicoli. L’equipaggio civile era composto da 45 uomini, mentre quello militare era composto da italiani e tedeschi. Arrivata a Messina, intorno alle 20,50 dell’8 luglio 1943, lascia il porto messinese in direzione Palermo, alle 22,30 giunta nello specchio di mare tra Capo Rasocolmo e Mortelle, viene fatta oggetto di attacco nemico da parte del sommergibile della Royal Navy HMS Ultor (P53) (foto sotto) agli ordini del Lt. George Edward Hunt DSC, RN.

 

 

L’unità britannica lancia quattro siluri, due dei quali colpiscono mortalmente la motonave. Distrutto il carteggio di bordo, i due comandanti civile e militare, danno l’ordine di abbandono della nave.

 In soccorso dei naufraghi, oltre alla torpediniera di scortaArdimentoso, accorsero da Messina le regie corvette Camoscio e Gabbiano (della stessa classe).

Su 45 civili e 22 militari (18 italiani e 4 tedeschi) che componevano l’equipaggio della Valfiorita, 13 civili persero la vita (dodici – soprattutto del personale di macchina – risultarono dispersi ed il direttore di macchina Pegazzano morì in ospedale) e 11 militari (7 italiani e 4 tedeschi) rimasero feriti.

 

 Torpediniera di scorta ARDIMENTOSO in bacino di carenaggio a Genova

La classe Gabbiano (corvette) fu progettata e costruita durante la Seconda guerra mondiale dall’Italia Fascista per rimediare alla cronica deficienza, nella Regia Marina, di un'unità adatta ai compiti di scorta dei numerosi convogli verso la Libia. Dopo aver fatto fronte a questa necessità utilizzando le navi più disparate, dai cacciatorpediniere di squadra alle vecchie torpediniere della Prima guerra mondiale nel 1941 venne decisa la costruzione di sessanta unità delle corvette classe Gabbiano, adatte alla scorta dei convogli e alla caccia dei sommergibili nemici.

 L’8 luglio 1943 la Valfiorita fu colpita alla prua da un siluro lanciato dal sommergibile HMS Ultor della marina britannica nel tratto di mare tra Messina e Palermo, affondò rapidamente quando si staccò il troncone di prua. La Valfiorita, nonostante la tragicità dell’avvenimento e per le vittime che ha trascinate sul fondo, rimane per i posteri uno dei più affascinanti relitti storici che si trovano al largo delle coste italiane e di tutto il Mediterraneo.

Infatti, non solo conserva ancora intatto tutto il suo carico (motocicli, auto e camion degli anni Trenta-Quaranta), ma si trova adagiata sul fondale in perfetto assetto di navigazione. A causa della notevole profondità, delle reti sul relitto e della forte corrente le immersioni subacquee possono essere effettuate solo da sub molto esperti.

La nave in navigazione da Messina per Palermo venne attaccata e silurata dal sommergibile Britannico Ultor l’8 Luglio del 1943, affonda spezzandosi in due tronconi. Il relitto giace su un fondo che va da 60 a 70 metri, per tre quarti in perfetta linea di navigazione, mentre la prua è riversa su un lato, con la coperta rivolta a NW. Per visitarla tutta sono necessarie almeno tre immersioni aperte solo a subacquei tecnici date l’elevata profondità e la durata. E’ possibile penetrare all’interno delle stive dove si trovano Jeep, motociclette, autocarri e munizioni. La nave è abitata da grandi cernie (Epinephelus marginatus), dentici (Dentex dentex), pauri (Sparus pagrus) e occasionalmente da astici (Homarus gammarus).

 

CONTRIBUTI

http://www.ocean4future.org/savetheocean/archives/22198

Immergersi sulla Valfiorita

La Valfiorita è uno dei più affascinanti relitti storici al largo delle coste italiane e di tutto il Mediterraneo. L’immersione nel blu, adatta a subacquei esperti, è ricca di emozioni. Inizialmente si intravede il castello, situato verso poppa, a circa 45 metri di profondità, poi lentamente si intravedono i resti della importante struttura distribuiti tra i 60 e i 72 circa.

Tra di essi, un’esperta subacquea tecnica,  Isabelle Mainetti che ha raccontato in un suo articolo, corredato dalle foto di GianMichele Iaria la sua immersione sulla motonave Valfiorita. Non solo lamiere immerse nel buio e nel fango ma ricordi, forti emozioni che fanno rivivere quella terribile notte che abbiamo brevemente raccontato. Viene voglia di ritornarci … chissà.

 

 

Il troncone centrale-poppiero giace in assetto di navigazione, mentre quello prodiero giace piegato sul lato sinistro, entrambi ancora carichi di esplosivi, munizioni e vari mezzi, a circa 70 mt di profondità.

 

Scendendo nella stiva ormai a cielo aperto appare tra il fango una mitica Balilla. Di seguito numerosi automezzi ancora perfettamente stivati, uno a fianco dell’altro, come in un garage.

L’altro pezzo della motonave si trova più avanti, a prua, spezzato di netto a circa un quarto della lunghezza della nave, mollemente adagiato sul fianco sinistro. In questo troncone si ritrovano due stive ancora contenenti casse di proiettili e materiali militari.

foto di GianMichele Iaria

Risalendo le strutture contorte o collassate, la plancia, le torrette che ospitavano le armi ormai strappate dalle loro strutture ed affondate negli abissi.

 

Questo il racconto di chi ha avuto la fortuna di visitare questo relitto, che giace ad una profondità non accessibile a tutti i sub. Non avendo avuto questa fortuna mi soffermo sulle loro parole, di quei subacquei che hanno sfidato le profondità alla ricerca di qualcosa che va oltre il relitto.

 

Una parte del relitto della VALFIORITA

 

Carlo GATTI

Rapallo, 26 Ottobre 2022