LE LUNAZIONI PER L'ANNO 2024

 

La luna, il Monviso e la basilica della Superga

 

 

 

 

LE LUNAZIONI PER L'ANNO 2024

 

Nel rispetto di una lunga tradizione che unisce le Associazioni

MARE NOSTRUM RAPALLO

 

 

Il SESTANTE

 

 

 

Pubblichiamo

 

LE LUNAZIONI PER L’ANNO 2024

CHE NASCERA’ TRA POCHE ORE

 

Rivolgiamo un doveroso RINGRAZIAMENTO al STV Enzino Gaggero (Associazione Culturale il SESTANTE) per il prezioso regalo che ci ha inviato

 

 

MARE NOSTRUM RAPALLO

31 Dicembre 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


AUGURI DI NATALE - IL MIRACOLO DEL NATALE 1914

 

AUGURI DI NATALE 2023

 

Carissime Amiche e cari Amici,

 

 

In questo periodo natalizio, mentre il freddo dell'inverno avvolge gli Stati e il Mare che li unisce, mi ritrovo a riflettere sulla connessione speciale tra il mondo di terra e il vasto oceano che, in passato, è stato teatro delle epiche gesta dei nostri navigatori. È un legame che risale a tempi lontani, grazie anche alle invenzioni rivoluzionarie come quella di G. Marconi, che ha donato al mondo uno strumento prezioso, permettendo ai cuori lontani di pulsare all'unisono durante il NATALE DEL MARINAIO.

"A Natale tutte le strade conducono a casa"

Una frase che ha un significato ancora più profondo quando si parla dei marinai. È un pensiero virtuale, ma reale, che unisce chi è in mare a chi è sulla terraferma in un legame affettivo profondo. Nella magia delle luminarie che danzano sulle note natalizie, si crea un palcoscenico fiabesco che rimane inciso negli occhi dei bambini, ma anche nel cuore di coloro che, lontani fisicamente, sono uniti spiritualmente.

Ricordo certe notti invernali nell'attesa della  X-MAS Eve rollando e beccheggiando tra le onde, quando tutto l’equipaggio nascondeva dentro di sé il pensiero del calore di casa.

È in quei momenti che la nostalgia si fa più intensa, ma allo stesso tempo, si rafforza il senso di comunità tra chi vive la vita del mare.

La domanda di un bambino, "Dov'è papà?", trova risposta nel buio dell'oceano, là dove finiscono le luci e comincia il mistero, il mare che presto porterà papà a casa con tanti regali.

In ogni parte del mondo, la vita del marittimo e della sua famiglia è segnata dalla stessa nostalgia durante le Feste Natalizie, un sentimento che si fa sofferenza e tristezza.

 

 

Mentre da noi la concezione di un detto famoso: "I VIVI, I MORTI E I NAVIGANTI" è ancor più palpabile, come se coloro che solcano gli oceani appartenessero a una stirpe speciale, uniti dalla forza del mare e dalla storia che li lega, al contrario, nelle terre bianche e fredde del Nord, la tradizione marinara radicata nei secoli fa sì che la gente di mare si senta meno sola durante LE FESTIVITA' NATALIZIE.

Quando scatta l’ora X-mas tutte le Istituzioni e i media entrano in azione facendo a gara nel contattare le navi in ogni parte del mondo per lo scambio degli Auguri.

Confesso d’aver sempre provato una certa invidia per questi legami terra-mare vissuti altrove: rapporti umani che almeno in questo Speciale Periodo  andrebbero rinsaldati ancor prima si sfilacciarsi, interrompersi e finire irrimediabilmente nelle tante “sentine” della Storia navale come, purtroppo, è accaduto dalle nostre parti.

Mi piace pensare che proprio in questi giorni la nostra Associazione possa essere un faro virtuale di sostegno e vicinanza per tutti i marinai, una bussola che li guidi attraverso le onde della nostalgia verso la riscoperta delle radici umane e marinare di cui andiamo fieri.

 

 

Auguro a tutti i membri di MARE NOSTRUM RAPALLO e agli Amici che ci seguono nel mondo 

Buon Natale 2023 sereno e colmo di ricordi leggendari che navigano come stelle nel cielo notturno, nella speranza che il messaggio di pace e amore possa risuonare in ogni cuore, superando le barriere create dalle circostanze più difficili.

Con stima e affetto

 

Carlo GATTI

Rapallo, 22 Dicembre 2023

 

 

 

2023 - UNA VIGILIA DI NATALE DIFFICILE

DUE GUERRE IN CORSO

IN QUATTRO NAZIONI SI MUORE OGNI GIORNO SOTTO I BOMBARDAMENTI

 

La storia complessa e intricata delle relazioni tra nazioni e popoli spesso riflette una serie di fattori, tra cui questioni politiche, sociali, economiche e culturali. Nonostante le affinità storiche, culturali, linguistiche e religiose, i conflitti possono emergere per svariate ragioni. Nel caso della Russia e dell'Ucraina, così come nel conflitto tra Israele e Palestina, la complessità delle dinamiche e delle tensioni è alimentata da una combinazione di fattori:

Le relazioni internazionali sono spesso influenzate da difficili questioni politiche, come ambizioni di potere, controllo territoriale, risorse e interessi geopolitici.

Anche quando ci sono numerose somiglianze culturali, le differenze ideologiche possono portare a divisioni significative. Nel caso di Russia e Ucraina, le divergenze politiche e ideologiche sono emerse sempre più virulente nel tempo, portando a tensioni e conflitti che sono sotto i nostri occhi.

Spesso, la mancanza di dialogo aperto e la mancanza di sforzi per comprendere il punto di vista dell'altro possono alimentare incomprensioni e portare a una crescente polarizzazione.

Nel caso del conflitto tra Israele e Palestina, la regione ha una storia lunga e martoriata che comprende anche periodi di convivenza pacifica, ma il conflitto attuale è stato alimentato da questioni territoriali, diritti umani, e una serie di cause politiche e sociali che sono sfociate in una situazione molto difficile da risolvere.

È importante sottolineare che la convivenza pacifica e la comprensione reciproca sono ideali desiderabili, ma la realtà di oggi richiede sforzi “superiori” e concreti da parte di tutte le parti coinvolte per raggiungere una risoluzione pacifica. La storia e la cultura comune possono essere un punto di partenza, ma affrontare certe complessità richiede sforzi equilibrati da parte di “grandi” STATISTI… Una razza di cui, purtroppo, si sono perse le tracce!

 

 

 

 

IL MIRACOLO DEL NATALE 1914

 Un Richiamo alla Pace nei Momenti di Buio

 

Il miracolo del 25 dicembre 1914
Cento anni fa la tregua di Natale

 

Video - Corriere della Sera 

https://www.corriere.it/cultura/speciali/2014/prima-guerra-mondiale/notizie/miracolo-25-dicembre-1914-cento-anni-fa-tregua-natale-f4a5d08a-8b6b-11e4-9698-e98982c0cb34.shtml

 

“Il «miracolo» del Natale 1914, di due avversari (Inglesi e Tedeschi) che dimenticano l’odio per unirsi in un abbraccio fraterno, rimase un fatto quasi isolato (ci sono poi stati altri episodi di «vivi e lascia vivere» ma mai più così eclatanti) e ben presto trascolorò nel mito, tanto più quando il sentimento popolare degli europei nei confronti della Grande Guerra cambiò di segno: non più glorioso fatto d’arme ma massacro insensato, che aveva spazzato via una generazione. La tregua di Natale venne quindi vista come la dimostrazione che gli uomini sono fondamentalmente buoni e che erano stati spinti alla guerra da governi stupidi e irresponsabili, tanto che appena liberi di farlo avevano scelto la pace e la fratellanza”.

Paolo Restelli

 

 

IL COMMENTO DI MARE NOSTRUM RAPALLO

Il Natale è spesso associato a gioia, amore e pace, ma talvolta la realtà del mondo in cui viviamo sembra contraddire questi valori fondamentali. In questo Natale del 2023, mentre il mondo è diviso da conflitti e tensioni tra parenti storici, vale la pena riflettere su un evento eccezionale che ha segnato la storia durante un periodo altrettanto turbolento: il Miracolo del Natale del 1914.

Poco più di cent'anni fa, nel cuore della Prima Guerra Mondiale, le trincee che separavano le forze nemiche divennero il palcoscenico di un atto straordinario di umanità. In quella fredda notte del 25 dicembre, i soldati sul fronte occidentale lasciarono da parte le armi per celebrare insieme il Natale. La tregua non fu istituita dall'alto, ma fu piuttosto un gesto spontaneo che emerse dalle truppe stesse.

Questo evento straordinario dimostra che, nonostante le differenze politiche e nazionali, il desiderio di pace e compassione è radicato nell'animo umano. La tregua di Natale del 1914 è stata un potente segnale che i popoli coinvolti nella guerra non si odiavano per natura, ma erano vittime di circostanze create da decisioni politiche e interessi di guerra.

In un periodo in cui i conflitti familiari possono sembrare insormontabili, il ricordo di quel miracoloso Natale ci ricorda che c'è sempre spazio per la riconciliazione e la comprensione reciproca. È un monito contro l'odio irrazionale, un invito a guardare al di là delle barriere create dalle divisioni e a riscoprire il nostro comune desiderio di pace.

Mentre oggi assistiamo a tensioni tra parenti storici, è fondamentale abbracciare lo spirito religioso e di pace che alberga negli animi della gente comune. Questa stagione natalizia dovrebbe essere un momento di riflessione, di rinascita dello spirito di fraternità e di impegno per costruire un futuro prospero e stabile che prevalga sulle divisioni.

Invece di attribuire colpe, possiamo guardare a questo Natale come ad un'opportunità per rinnovare il nostro impegno verso la pace, ispirandoci al Miracolo del Natale del 1914. Solo attraverso la volontà condivisa di superare le differenze possiamo sperare di creare un mondo in cui lo spirito natalizio trionfi sempre.

 

 

Carlo GATTI

 

NATALE 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LE NAVI DI IERI E DI OGGI

LE NAVI DI IERI E DI OGGI

 

Avendo dedicato la mia vita al mondo del MARE, possiedo una collezione di oltre 30.000 fotografie di navi che testimoniano la trasformazione avvenuta nel settore marittimo. Desidero pertanto rendere visivamente noto la differenza tra le navi di linea di un tempo, che giustamente si potevano chiamare "navi", e quelle in circolazione oggi, che ci sorprendono per la loro somiglianza a città galleggianti dove è persino difficile distinguere la prora dalla poppa…

Le navi passeggeri italiane, celebri per il loro Italian Style, hanno lasciato un'impronta indelebile nella nostra tradizione cantieristica. Queste imbarcazioni, sia mercantili che militari, erano per noi fonte di orgoglio, grazie alla loro linea architettonica originale e raffinata, senza eguali nel mondo.

Con l'avvento del nuovo millennio, il settore marittimo è stato rivoluzionato, per non dire stravolto, raddoppiando le dimensioni delle navi ed apportando notevoli miglioramenti tecno-strumentali mirati per ottenere una maggiore sicurezza della navigazione e delle manovre. Questo progresso, se così vogliamo interpretarlo, ha pure consentito di imbarcare un numero elevato di passeggeri a costi più accessibili, rappresentando una conquista sociale che ha permesso a molti di conoscere il mondo croceristico.

Questo settore offre, infatti, un'ampia gamma di servizi e intrattenimenti, trasformando il viaggio in un'esperienza multisensoriale. Ciò ha permesso a persone provenienti dall'entroterra italiano di scoprire il mare, le navi, i marinai e porti famosi. Le strutture a bordo, progettate da artisti internazionali, portano sull'acqua e in giro per il mondo l'arte moderna in tutte le sue forme, dai film al teatro, ai balletti e agli spettacoli di comici coinvolgenti.

Tuttavia, sorge in me la domanda se questo gigantismo navale, pur essendo in qualche modo attraente e funzionale, abbia conservato veramente lo spirito della tradizione marinara. Esteticamente, sembrano distanti dalla grazia delle navi del passato, e forse sono state progettate solo per soddisfare le esigenze economiche degli armatori che sono perfettamente in linea con le aspettative di un pubblico cambiato nei gusti e diventato persino più esigente in materia ludico-sportiva.

Il mio modesto parere è che, nonostante tutte le comodità e le meraviglie offerte a bordo, queste imbarcazioni non trasmettano l'antica atmosfera di bordo, il desiderio di scoprire il mare con la sua arte, il suo profumo e il suo selvaggio moto ondoso che una volta catturavano il cuore dei passeggeri, donando loro ricordi indelebili per tutta la vita.

 

Esiste la speranza di un ritorno al passato?

Si mormora sulle calate del porto di Genova che le prospettive future per il settore marittimo passeggeri siano “intriganti” e potrebbero evolversi in diverse direzioni. C'è una crescente consapevolezza e desiderio di esperienze autentiche, che potrebbe orientare molti passeggeri a preferire navi più piccole ma rispettose della tradizione e caratterizzate da un'autentica atmosfera navale.

Un pubblico più maturo e consapevole potrebbe sviluppare un apprezzamento per viaggi più personalizzati, con un focus sulle usanze marinare e la vita a bordo. Le navi di dimensioni più contenute potrebbero offrire un'esperienza più affascinante, consentendo ai passeggeri di interagire da vicino con gli equipaggi e di immergersi nell’antica cultura marinaresca.

Le esperienze a bordo di queste imbarcazioni potrebbero includere visite guidate nei quartieri degli equipaggi, workshop interattivi sulla navigazione, e la possibilità di partecipare visivamente alle attività quotidiane della nave anche durante le operazioni di carico e scarico nei porti sia di giorno che di notte consentendo alle persone di terra di acquisire competenze e conoscenze significative sulla vita dei veri marittimi operativi.

Il desiderio di autenticità potrebbe anche influenzare le destinazioni delle crociere, incoraggiando itinerari meno convenzionali che offrano esperienze culturali e storiche più ricche. 

In definitiva, c'è speranza che una parte di futuri passeggeri preferisca orientarsi verso un rapporto più marinaresco con il mondo del MARE, contribuendo a mantenere vive le tradizioni e a preservare la connessione tra le generazioni future e il patrimonio marittimo.

 

 

LE NAVI DI IERI

 

CONTE DI SAVOIA

 

REX

 

ANDREA DORIA

sopra e sotto

 

 

 

MICHELANGELO

sopra e sotto

 

Ormeggio a New York

 

LEONARDO DA VINCI  - Canale di Panama

 

EUGENIO C.

 

EUGENIO C. - FEDERICO C.

 

GALILEO GALILEI – Sidney

 

 

 

 

LE NAVI DI OGGI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Concludo questa ricerca con la segnalazione di un  prezioso saggio che ci "guida" verso la comprensione della bellezza di una nave

Primi Anni '30 del Novecento

 

VICTORIA

Lloyd Triestino

Una delle navi più belle mai costruite al mondo

 

https://www.italianliners.com/victoria

 

 

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, NATALE 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


SALE MAGNETICO

 

SALE MAGNETICO

 

Dev’esserci nichel, nell’acqua di mare; spiegherebbe il luccichio del bagnasciuga. 

 

Avete mai visto persone di mare, d’inverno? Prive d’ogni carica, nella puzza acida di porto, nel loro letargo in cui covare il pessimismo da far sbocciare d’estate, per i turisti.

 

 

Forse perché il mare, si sa, è anche un minestrone di luoghi comuni veri, ed i liguri sono una sotto-specie d’anfibi, con questi loro sguardi arcigni, minacciosi, scostanti, girati di balle. Quando finalmente arriva l’estate, mugugnano delle alghe velenose, e delle migrazioni dei milanesi, di come ne brulichino le seconde case e le spiagge più squallide, che loro nemmeno frequentano.  Se ne stanno dentro tane senza l’aria condizionata, per il sangue freddo (ed il braccio anatomicamente molto più corto).

 

 

In mare vengono fuori dalla schiuma pargoletti, come girini, e s’apprestano sulla spiaggia evolvendosi. E nel mare ci crescono; ci si tuffano le loro migliori estati, volando dagli scogli in quella schiuma magnetica. Mentre le madri, velate dell’unico filo d’ombra al mare, se l’immaginano morire, e li richiamano insultandoli. Poi spariscono sott’acqua, e s’immergono. Spulciano minuziosamente il fondale di polpi e ancore. Crescendo, fanno una selezione tutta propria delle spiagge in cui rifugiarsi, quindi quei pochi nidi di ciottoli e scogli, emarginati dal turismo e da tutto quell’estero poliglotta che li invade, coi traghetti. Se ne stanno lì a maledire quel loro strisciare avanti e indietro, sull’orizzonte, come lumache bianche piene di tedeschi e giapponesi.  

Perché quel mare loro son convinti di possederlo, conoscendolo. Cosa ne sanno i giapponesi, pensano loro, del fondale sotto il loro traghetto bianco? Per loro il mare è uno sfondo azzurro per le foto. Cosa ne sanno i tedeschi, dell’odore del porto a novembre, sulla foce del fiume? Ed in questo senso, nell’acqua salata, uno potrebbe addirittura trovarci del rarissimo istinto gregario tra liguri, (certo, non si fraintenda, liguri strettamente dello stesso mare, come se quello di La Spezia fosse un altro) che all’occasione, finiscono addirittura per far fronte comune. 

 

 

 

Ne son testimoni Rapallo e la Madonna di Montallegro i primi di luglio, quando il mare diventa un campo sacro e quelli si schierano per il proprio sestiere. D’un tratto non vivono più nelle tane, ma nei “sestieri” ed in quelle tre sere, luccica come un miracolo nel cielo, la solidarietà. Si lotta per i fuochi e ci si aiuta per il panegirico (d’un tratto non vivono più nei sestieri, ma addirittura in una “città”).

 

 

 

C’è chi lo fa per la Madonna, chi per Rapallo, chi per la tradizione, e chi per il piacere di vedere il cielo in fiamme.  E poi c’è chi non lo fa; perché magari è tanto ligure che nemmeno il cielo in fiamme lo smuove da Casa Propria, (istituzione a cui il ligure è profondamente devoto), o perché magari questa tradizione non lo tocca, e non sente, in quel boato, schiribizzo di colori e nella calca, quell’atmosfera salata e magica che arriva dal mare. 

 

 

Ma il mare dà, e prende nella morsa delle mareggiate.  Anche di questo ne san qualcosa i Rapallesi, amareggiati, che guardano la passeggiata mare popolata di yacht tra l’ottobre e il novembre del 2018. Fu colpa d’un vento, infiltratosi nel porto e che, travolgendo, si portò via il porticciolo Carlo Riva. Arrivò d’un tratto, fu questione d’una notte; Rapallo divenne il fondo d’un catino pieno d’acqua, e nei giorni a seguire, pieno di relitti. Ve n’erano più di duecento sulla terraferma, ma d’altro canto qual’era la terraferma, se Rapallo stessa era un fondale? Se, travolto dall’acqua, non v’erano più certezze solide, ma piuttosto effimere e contingenti, relative al vento.  Quello Rapallino fu l’halloween più spaventoso fra tutti, tra i tronchi sparpagliati, le barche, e le insegne dei ristoranti. Ed i ristoranti, che anonimi, parevano abbandonati. Ed in quella malinconia che gorgogliava grigia e coerente al giorno dei morti. Ma d’altro canto da quant’è, che lo avveleniamo? Passiamo l’anno intero a saturarlo di benzina, rifiuti, sangue. Lo bruciamo l’estate con i flash dei turisti. Non v’è alcun altruismo o infamia nei rapporti magnetici, ma solo poli positivi che ne implicano di negativi, e l’onda che travolge, per quel che si ritira. E quando il mare ci vomitò addosso, con onde di dieci metri, quel che noi avevamo vomitato dentro di lui, siamo rimasti come spiazzati. Abbiamo ricominciato, vittime, a scattar foto all’impazzata cercando un colpevole infotografabile; lo scirocco. Ed abbiamo ricomposto, pezzo per pezzo nel tempo a venire, la costa.  E così, abbiamo dato.

C’è chi poi al mare finisce per dar tutto, lavorandoci, sviluppando addirittura branchie e pinne. Chi invece ne sviluppa un'ossessione, alla stessa stregua d’ogni altro feticismo e devozione, e vive dipingendolo, o scrivendone. Forse perché egli è uno sfondo che difatti, non si sviluppa; una sicurezza cerulea al di là d’ogni montagna e tempo. Non un mare qualsiasi, ma quello in cui si è cresciuti, e sotto quella piazza di cielo liquido e immutabile, qualcuno trova importante nasconderci i ricordi, affinché il sale li conservi. Forse nello scrutare sempre la stessa linea blu, ci pare di farlo sempre con gli stessi occhi; chissà quanti pensieri, desideri e rancori, che nuotano fra gli sgombri. E chissà se intendeva questo Hemingway, quando “il vecchio capì che nessuno è mai da solo in mare”. Posso solo dire che nel mio mare, fra gli sgombri, c’è anche quest’interpretazione. Posso dire che l’acqua di porto è un liquido amniotico pieno d’idee immortali, e che forse sono loro che luccicano sotto il sole. Nella salsedine v’è qualcosa di mistico.

Avete mai visto, persone di mare, lontane da quest’ultimo? Perse, come aghi di bussole a cui manca il magnete, deliranti, senza un Nord. Non trovano l’orizzonte, e cercandolo, annegano.

 

 

Di Leonardo d’Este

 

Rapallo, venerdì 24 Novembre 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


« Zé Peixe » - José Martins Ribeiro Nunes - Lo straordinario pilota del porto di Aracaju-Brasile

 

RACCONTI DI MARE

 

 

« ZE' PEIXE » 

José Martins Ribeiro Nunes

Lo straordinario pilota del porto di Aracaju-Brasile

 

 

 

Statua di Zé Peixe al Memorial del Sergipe

 

José Martins Ribeiro Nunes, (Aracaju, 5 gennaio 1926 – Aracaju, 26 aprile 2012), noto anche come Zé Peixe o Joe Fish, era un Pilota Portuale. Insolitamente, invece d'incontrarsi e partire dalle navi in ​​mare aperto utilizzando una pilotina, nuotava da e verso le navi, tuffandosi ad altezze notevoli e nuotando per circa 10 chilometri al giorno.

 

 

 

Aracaju è una città del Brasile, capitale dello Stato del Sergipe, parte della mesoregione del Leste Sergipano e della microregione di Aracaju.

 

 

MAPPA DI ARACAJU

 

 

 

La freccia rossa indica la zona del porto fluviale di Aracaju (PORTO D’ANTAS)

 

 

 

 

 

 

 

Zé Peixe ha trascorso la sua vita in acqua, cercando a nuoto le navi. La storia incredibile di questo mitico uomo di mare figlio di quel Brasile dove tutto è magia, folklore e spettacolo nella più disarmante semplicità e umiltà.

 

 

Un po’ della sua Storia…

 

Zé Peixe aspetta la biscaglina per salire a bordo

 

Questa è la storia di un “pesce” chiamato José. Per più di sei decenni ha trascorso la maggior parte del suo tempo in acqua. Nuota quasi quotidianamente per circa 10 chilometri al giorno, è abituato a saltare da navi alte oltre 30 metri ed è capace di gesta omeriche in mare anche in età avanzata... Zé Peixe, come è conosciuto ad Aracaju, è venerato dai marinai di tutto il mondo per la sua umiltà, coraggio e profonda conoscenza delle cose del mare.

E, come ogni leggenda, ha le sue particolarità. Da quando ha iniziato a lavorare nel porto di Aracaju, Zé Peixe non ha mai fatto una doccia sotto l’acqua dolce. Beve anche raramente acqua dolce.

Ciò che rende Zé Peixe una specie unica è il modo in cui lavora: nuota per raggiungere la nave, mentre i suoi colleghi utilizzano la Pilotina e quando porta la nave fuori dal porto, invece di tornare col mezzo della Corporazione, si tuffa in mare. Lo fa così: arrotola la sua maglietta, la mette in una borsa di plastica con i suoi documenti e il resto del denaro, la lega ai suoi pantaloncini, si tuffa e torna a casa con eleganti e ritmiche bracciate, senza muovere le gambe per non attirare gli squali.

Zé Peixe ha guadagnato fama internazionale grazie al racconto dei marinai stranieri che approdavano nel suo porto. “Gli americani mi chiamano Joe Fish," dice. Una volta, il capitano russo di una nave da carico gli chiese di fermarsi quando stava per gettarsi in mare, pensando che volesse suicidarsi.

Joe è un pesce di 1,60 metri che pesa 53 chili. Anche se è piccolo, ha compiuto grandi imprese. La più grande delle quali, si dice, sia quando ha salvato la nave Mercury, che stava bruciando in alto mare. Andò così: Proveniente dalle piattaforme Petrobrás con operatori a bordo, Zé trasbordò su un rimorchiatore con il quale guidò la nave fino a un punto in cui tutti potessero saltare in mare e nuotare verso la terra ferma. Grazie alla sua condizione fisica ottimale, riuscì a salvare innumerevoli vite, racconta Brabo, il Capo dei barcaioli, che vive con Peixinho da 26 anni.

Zé non ha mai lasciato la casa in cui è nato, una delle più antiche di Aracaju. Nemmeno quando si è sposato, più di 40 anni fa (da 20 anni è rimasto vedovo senza figli). Ha allestito una casa per sua moglie, ma non si è mai mosso da lì. Si è sempre preso cura di qualcuno della famiglia, a volte sua madre, a volte un fratello malato. Morirò qui – dice - ma solo quando il Capitano lassù lo vorrà.

Ci sono anche coloro che arrivano da lui chiedendo un po' di aiuto. Zé di solito divide il suo stipendio con i mendicanti: vecchi pescatori che non possono più lavorare, disoccupati o invalidi che si affidano alla sua generosità.

Anche dopo essere andato in pensione, Zé Peixe continua ancora a lavorare per piacere. Si sveglia presto al buio. Non ha un orario fisso per lavorare, dipende dal traffico navale che è condizionato dalle maree. Ha abituato il suo corpo a mangiare molto poco, perché uno stomaco pieno non va d'accordo con il mare e fa venire la nausea. Al mattino, una pagnotta di pane con caffè nero è sufficiente. E poi solo frutta. Quando trascorre l'intera giornata in porto, digiuna. Il medico ha confermato: “Zé ha il cuore di un ragazzo. Non ha mai fumato o bevuto. Il suo unico vizio è il mare”.

Se non cammina a piedi usa la bicicletta e pedala a piedi nudi. Indossa scarpe solo la domenica per andare a messa o in occasioni speciali. C'è stato un periodo in cui, per passare inosservato, usava portare le scarpe. “Un giorno ho scoperto che le scarpe non avevano la suola” - confessa il suo amico Zé Galera -. “È l'unico autorizzato a gironzolare per il terminal marittimo con i pantaloncini al di sopra della vita a piedi nudi. Poiché è una rarità, un cittadino totalmente al di fuori della norma, è diventato un'eccezione alle regole” - conclude Galera che ha imparato a nuotare con lui all'età di sei anni ed è ora il suo partner nel pilotaggio navale -.

È il mio eroe - racconta il deputato Fernando Gabeira di quando era in esilio in Germania e vide un reportage su Zé Peixe - La storia del coraggioso nuotatore catturò la mia immaginazione”. Quando tornò in Brasile, volle conoscere da vicino questo sergipano*.

È una figura straordinaria. Ho cercato di fare un film sulla sua vita, ma lui non ha voluto."

*Il Sergipe è il meno esteso tra gli stati del Brasile ed è situato nella parte nordorientale del paese, sulla costa atlantica. Confina con gli stati di Bahia e Alagoas. Lo stato ha l'1,1% della popolazione brasiliana e produce solo lo 0,6% del PIL brasiliano.

Stato del Brasile nord-orientale (21.910 km2 con 1.939.426 ab. nel 2007), affacciato a SE sull’Oceano Atlantico, il meno esteso del paese. Capitale Aracaju. Si compone di una vasta zona costiera bassa e sabbiosa, seguita, verso l’interno, da una zona pianeggiante e, più oltre, da un penepiano cristallino. Ha clima equatoriale, mitigato verso la costa e sulle pendici delle serre (brezze marine): scarse le precipitazioni nella zona dell’altopiano interno. I fiumi più importanti sono il Vasa Barris, il Contiguiba e il suo affluente (da cui lo Stato prende nome) Sergipe (lungo 160 km). Nelle valli dei fiumi, le colture principali sono quelle della manioca, del mais, della canna da zucchero, del cotone, del riso, del tabacco. Allevamento di bestiame nelle regioni dell’altopiano. Estrazione del petrolio. Industria alimentare.

ARACAJÚ (A. T., 155-156)

 

Città capitale dello stato di Sergipe (Brasile orientale), sulla destra del Rio Cotinguiba, a circa 9 km. dall'Atlantico. Il nome può essere connesso con quello di un tipico frutto: l'aracassú o aracá grande.

La città, che nel 1920 contava 37.000 abitanti, sorge su un fiume, dal breve corso che può dirsi relativamente largo e profondo, raggiungendo l'ampiezza di 800 metri, e una profondità di circa 9 metri, ad alta marea: esso è risalito da correnti di marea la cui velocità varia da 80 a 160 centimetri al secondo.

 

Biografia di ZE' PEIXE  - (Aracaju, 5 gennaio 1926 – Aracaju, 26 aprile 2012)

Ze Peixe figlio di Vectúria Martins, insegnante di matematica e di Nicanor Nunes Ribeiro, impiegato pubblico,

Ze Peixe è il terzo di una prole di sei figli.

Ze Peixe è cresciuto in una casa di fronte al fiume Sergipe, nell'attuale via Ivo do Prado, vicino alla Capitaneria di Portio, che un tempo apparteneva ai suoi nonni. Lì ha vissuto fino alla sua morte. Ha imparato a nuotare con i suoi genitori e fin dall'infanzia giocava nel fiume o lo attraversava a nuoto per raccogliere i frutti degli alberi di anacardio sull'altra riva.

A 11 anni, era già un eccellente nuotatore. Mentre gli altri ragazzi andavano in canoa alla spiaggia di Atalaia, lui ci andava a nuoto. Un giorno, il comandante della marina Aldo Sá Brito de Souza, sbarcato alla Capitania dos Portos perché l'ancora si era impigliata sul fondo del fiume, osservando l'abilità del ragazzo José Martins, lo soprannominò "Zé Peixe", un soprannome che si radicò.

Tra i fratelli, Rita (che ricevette anche il soprannome "Pesce") era l'unica che lo accompagnava nelle avventure sul fiume, anche di notte, nonostante la disapprovazione dei genitori, che pensavano non fosse un comportamento adatto per una ragazza. Riceveva sempre rimproveri da loro e a volte nascondevano i suoi costumi da bagno (ma questo non serviva a nulla, poiché andavano a nuotare anche con l'uniforme scolastica, che poi mettevano ad asciugare nel cortile di casa). I suoi genitori preferivano anche che Zé Peixe si concentrasse sugli studi e sui compiti, ma lui voleva soltanto stare in spiaggia a guardare il passaggio delle barche e a disegnare navi; oppure sul fiume, guidando i Capitani tra i variabili bassifondi di sabbia.

Ha frequentato il liceo al Colégio Jackson de Figueiredo e ha completato il secondo grado al Colégio Tobias Barreto. All'età di 20 anni, è entrato nel servizio di "Pilotaggio" presso la Capitania dos Portos. Si è sposato negli anni '60, ma non ha mai avuto figli. È stato vedovo per 25 anni della signora Maria Augusta de Oliveira Nunes.

Il suo modo vigoroso, coraggioso, indipendente e laborioso è sempre stato considerato un esempio di carattere e di invecchiamento dignitoso. Nel corso di decenni, è stato oggetto di numerosi articoli su giornali, riviste, libri, interviste e reportage televisivi, sia nazionali che internazionali. È stato una delle personalità che ha portato la torcia panamericana a Sergipe durante i Giochi Panamericani del 2007 a Rio, percorrendo il tragitto in barca.

Prima di morire, si è allontanato dal mare a causa della malattia di Alzheimer, che lo ha reso limitato e confinato nella sua casa, dove è stato assistito dalla famiglia.

Praticantato Nel 1947, suo padre lo ha mandato al servizio della Marina, dove, attraverso un concorso, è stato assunto come Allievo Pilota dello Stato, assegnato alla “Capitania dos Portos de Sergipe”, una professione che ha svolto per più di mezzo secolo (all'epoca, il compenso per i praticanti era molto più modesto).

La foce del fiume Sergipe é una delle peggiori vie d'acqua portuali del paese. Zé Peixe, per la sua dedizione e la sua conoscenza dettagliata della profondità delle acque, delle correnti e della direzione del vento, si è sempre distinto nel servizio di praticantato.

Ma è stato il suo modo peculiare di lavorare a renderlo famoso in vari mezzi di comunicazione. Quando una nave doveva uscire dal porto sotto la guida del Pilota, Zé Peixe non usava l’apposita pilotina: saliva a bordo e, una volta guidata la nave verso il mare aperto, legava i suoi vestiti e documenti al pantaloncino e si tuffava  dall’aletta della plancia della nave in caduta libera ad altezze variabili in mare, (vedi YouTube), nuotava fino a 10 km per raggiungere la spiaggia e percorreva a piedi altri 10 km fino alla sede della Capitania dos Portos.

All'arrivo delle navi in porto, a volte usava una tavola per raggiungere le imbarcazioni più distanti, e aspettava su una boa d'attesa (a 12 km dalla spiaggia) per tutta la notte o addirittura per un intero giorno, fino a quando la marea fosse favorevole all'avvicinamento e all’attracco in banchina. Zé Peixe ha compiuto queste imprese anche in età avanzata, il che stupiva l'equipaggio e i comandanti ignari di questa prassi… Una volta, un comandante russo ordinò di tenerlo fermo prima del salto, pensando che fosse fuori di sé.

Diverse altre situazioni hanno dimostrato la sua bravura nel lavoro, il che gli ha valso molti riconoscimenti. A soli 25 anni, ha salvato tre velisti sul Rio Grande do Norte. Mentre stava guidando un'imbarcazione a vela fuori dalla foce, questa si capovolse e tutti i membri dell'equipaggio naufragarono nel mare agitato. Zé Peixe e sua sorella Rita riuscirono a portare i velisti sani e salvi sulla spiaggia. Un altro episodio riguardò la nave Mercury, la quale viaggiando con i dipendenti di una piattaforma della Petrobras, prese fuoco in alto mare. Zé Peixe raggiunse la nave in fiamme con una barcaccia e, nonostante il rischio di esplosione, salì a bordo e pilotò l'imbarcazione in un punto più sicuro dove tutti poterono tuffarsi e nuotare fino alla terra ferma.

È stato insignito di vari premi e medaglie: per il salvataggio della “yole potiguar” (barca a vela) ha ricevuto la medaglia d’oro al merito del Rio Grande do Norte; per i suoi anni di lavoro ha ricevuto la Medaglia Almirante Tamandaré (istituita nel 1957, onora istituzioni e persone che hanno fornito importanti servizi nella promozione o nel rafforzamento delle tradizioni della Marina del Brasile); è stato omaggiato con la Medaglia dell'Ordine al Merito Serigy, il più alto riconoscimento del comune di Aracaju; ed è stato eletto Cittadino Sergipano del XX secolo. Nel 2009, all'età di 82 anni e già malato, ha chiesto alla Marina il suo definitivo esonero dalla professione di Pilota. (Portaria N 141/DPC, 13/10/2009).

 

 

Vi garantisco che il video che ora vi propongo vale molto di più dell’articolo tradotto ed elaborato in gergo marinaro dal sottoscritto. Se non avessi visto questo YouTube non avrei mai creduto ai racconti sul personaggio Zé Peixe arrivati via mare dall’altra sponda dell’oceano! La sua pelle cotta dal sole e dal salino ci ricorda l’espressione di tanti nostri pescatori e marinai imbarcati sui Leudi perennemente a bagnomaria sotto i raggi del sole.

 

Video

Zé Peixe - The extraordinary pilot from Port of Aracaju, Brazil

 

https://www.marine-pilots.com/videos/372354-ze-peixe-extraordinary-pilot-from-port-of-aracaju-brazil

 

published on 23 December 2021 -    532 - 

 

 

 FONTE

Brazilian Maritime Pilots' Association
Practicagem do Brasil

 

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'uomo e il mare

Sempre il mare, uomo libero, amerai!
Perché il mare è il tuo specchio; tu contempli
nell'infinito svolgersi dell'onda
l'anima tua, e un abisso è il tuo spirito
non meno amaro. Godi nel tuffarti
in seno alla tua immagine; l'abbracci
con gli occhi e con le braccia, e a volte il cuore
si distrae dal suo suono al suon di questo
selvaggio ed indomabile lamento.
Discreti e tenebrosi ambedue siete:
uomo, nessuno ha mai sondato il fondo
dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,
mare, le tue più intime ricchezze,
tanto gelosi siete d'ogni vostro
segreto. Ma da secoli infiniti
senza rimorso né pietà lottate
fra voi, talmente grande è il vostro amore
per la strage e la morte, o lottatori
eterni, o implacabili fratelli!

 

Charles Baudelaire

 

 

 

Carlo GATTI

 

 

 

Rapallo, lunedì 13 Novembre 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LA MADONNA DELLE MILIZIE DI SCICLI (RAGUSA)

LA MADONNA DELLE MILIZIE DI SCICLI (RAGUSA)

 

QUANDO IL PERICOLO VENIVA DAL MARE

“ MAMMA LI TURCHI! ”

- Paura e terrore in un modo di dire -

 

Nel lembo di terra più a SUD della Sicilia, tanto cara ai followers del commissario Montalbano, oltre al mare e ai paesaggi incantevoli di quella regione fantastica che tanto ci ricorda la nostra Liguria, abbiamo scoperto molti tesori d’arte barocca ed anche un’antica tradizione che merita di essere conosciuta.

 

 

 

 

UN PO’ DI STORIA

Secondo un’antica leggenda, nel 1091, quindici giorni prima di Pasqua, sulle coste di Donnalucata si sarebbe combattuta una sanguinosa battaglia tra l’esercito Normanno di Ruggero D’Altavilla e gli invasori arabi guidati dallEmiro Belcàne. Il conflitto si risolse in favore dei Cristiani grazie al miracoloso intervento della Madonna che avrebbe scacciato i turchi con la spada sguainata.

 

Il racconto dell’aggressione col tempo si è trasformata in leggenda, poi in tradizione ed infine in profonda devozione creando nella popolazione il culto per la Madonna guerriera. Il popolo fa sua la Festa delle Milizie mettendo in scena il fatto d’armi in modo spontaneo, i cittadini si improvvisano attori lasciandosi andare anche satira politica e sociale.

La Madonna delle Milizie è la patrona di Scicli, insieme a San Guglielmo. La sua statua è custodita nella chiesa Madre dove può essere ammirata tutto l’anno. Il suo nome non deriva dal carattere guerriero ma dal luogo dove si sarebbe combattuta la battaglia, in contrada Mulici che venne italianizzato in Milizie.

 

 

 

Nella foto sopra, i resti del primo duomo di Scicli dedicato a San Matteo.

 

Situato in contrada Mulici, la tradizione lo vuole costruito nel luogo dell'epica battaglia tra Normanni e Saraceni a memoria e ringraziamento dell'intervento risolutore della Madonna a cavallo.

 

 

 

Non capita tutti i giorni di trovarsi di fronte la statua di una Madonna a cavallo, se poi la Madonna in questione è una guerriera con tanto di spada, si capisce come la Madonna delle Milizie di Scicli sia un’iconografia rara e interessantissima.

 

Edificato tra il 1093 e il 1098 fu ampliato nel 1391 e ricostruito interamente nel 1721, dopo esser stato distrutto da un terremoto, sulla base del modello precedente. In seguito venne costruito un convento accanto all’edificio. Caratteristica è la torre campanaria che aveva pure la funzione d'avvistamento dominando un vasto territorio. In alto si trova la lapide posta da Ruggero d'Altavilla, che secondo la tradizione volle la costruzione del Santuario, per ricordare l’epica battaglia. In quel periodo iniziò la tradizione processionale che coinvolse tutti i centri abitati dalla zona che invocavano la protezione della Madonna. Nel suo anniversario la battaglia viene ancora oggi messa in scena da figuranti al culmine di una festa molto sentita.

La Festa della Madonna delle Milizie

 

Si tiene l'ultimo sabato di maggio. Mito, leggenda e tradizione locale hanno costruito, secolo dopo secolo, la storia della Madonna intervenuta per salvare i Cristiani impegnati in battaglia contro gli invasori “turchi” sbarcati sulla costa di Donnalucata, borgo marinaro di Scicli.

 

 

 

Anno dopo anno i cittadini di Scicli, mettono in scena il tentativo di invasione turca e la risposta dei Normanni che nel momento in cui stanno per soccombere vengono salvati dalla Madonna che impugna una spada. In piazza Italia viene allestito un palco con un grande castello medievale a fare da scenografia, qui attori locali, insieme ad attori noti, raccontano le gesta della Madonna davanti ad una grande folla che attende l’urlo: W Scicli, W Maria!

Intorno alle 19 il suono dei tamburi annuncia l’inizio della rappresentazione che culmina con la battaglia e l’intervento della Madonna delle Milizie che entra in scena. I fuochi d’artificio scandiscono le ultime fasi del combattimento e la vittoria dei Cristiani mentre i turchi scappano sulla loro nave. Il canto dell’angelo chiude lo spettacolo e da via all’inizio della processione.

 

 

La battaglia si inserisce nella grande lotta tra la civiltà araba e quella cristiana che intorno all’anno Mille riconquistò l’isola.

 

 

 

 La rappresentazione in costume è stata raccontata anche dallo scrittore Elio VittoriniIl garofano rosso, ed è stata inserita nel registro delle Eredità Immateriali tutelate dall’Unesco.

Maria S.S. delle Milizie, un documentario di Alessia Scarso (2013).

 

 

CHIESA MADRE DI SCICLI

Dedicata a San Guglielmo

 

 

Nella Chiesa Madre di San Guglielmo, a Scicli, a un passo dalla perla del Barocco di Palazzo Beneventano e dalle basole di via Mormino Penna, è custodita un'opera di Francesco Pascucci. Si tratta di una tela della seconda metà del 700 che raffigura una Madonna Guerriera.

 

 

 

Chiesa di San Bartolomeo - Scicli

 

“Bella Chiesa” in stile barocco siciliano, una tra le più antiche di Scicli, ancora in fase di restauro, è ricca di stucchi dorati e affreschi. Una delle cappelle è dedicata a San Guglielmo con le sue reliquie nella cassa d'argento. La cappella più importante è quella dedicata alla Madonna delle Milizie, di cui si può ammirare un quadro del '700 e una bellissima statua di cartapesta a grandezza naturale che raffigura la Madonna guerriera, unica al mondo, con la corona sui capelli neri veri, la corazza, il mantello azzurro e la spada sguainata in sella ad un cavallo bianco impennato che schiaccia i corpi dei Saraceni sconfitti in battaglia e segna la vittoria dei Normanni. Questa statua unica nel suo genere mi ha ricordato le immagini di Giovanna d'Arco santa ed eroina francese che salvò il popolo dalla tirannia. In tutte le Chiese di Scicli ci sono all'interno due ragazzi del luogo che forniscono informazioni sulla storia e sui dipinti. Peccato che sono tutte da restaurare e non si mettono a disposizione fondi per preservare i tesori italiani nel tempo.

 

 

 

La tradizione religiosa ha ispirato anche la cucina locale

LE TESTE DI TURCO

Un grande turbante ripieno di ricotta

 

 

 

 

 

La Testa di turco è il dolce tipico della festa, il nome deriva dalla sua caratteristica forma che ricorda il turbante arabo. Questa delizia somiglia ad un grosso bigné, solitamente è farcito con ricotta, crema bianca o cioccolato. Secondo la tradizione ad inventare il dolce furono proprio gli arabi, si tratta quindi di un dolce dei vinti e non dei vincitori.

 

La Testa di Turco, in passato si trovava solo nel periodo della festa della Madonna delle Milizie, oggi invece lo si trova tutto l’anno nelle pasticcerie di Scicli.

 

 

 

A SCICLI SULLE ORME DEL COMMISSARIO

SALVO MONTALBANO

 

 

I romanzi di Andrea Camilleri sono diventati una delle serie tv italiane più vendute nel mondo. In onda dal 1999, sono stati trasmessi prima su Rai 2 e poi, dalla terza stagione, su Rai 1.18 set 2023.

La serie, oltre a essere stata trasmessa da Rai Internazionale per gli italiani al di fuori dell'Europa, è stata anche trasmessa da televisioni straniere:

 

Da Wikipedia

 

Occorre subito precisare:

Vigàta e Montelusa sono luoghi immaginari che non si trovano sulla carta geografica ma che geograficamente si collocano nel territorio compreso tra la collina di Girgenti e il mare africano. Luoghi semifantastici che, pur avendo dei confini non precisi e dilatati, esistono veramente.

Vigàta è un immaginario comune siciliano creato dallo scrittore Andrea Camilleri, in cui sono ambientate le avventure del commissario Montalbano nell'immaginaria provincia di Montelusa. La località corrisponde nella realtà a Porto Empedocle, comune natale di Camilleri, in provincia di Agrigento.

 

 

 

La Spiaggia di Punta Secca è nota anche per suo il faro, oltre che per la presenza della casa di Montalbano e ovviamente per il suo bel litorale delimitato da qualche scoglio, e che d'Estate è alquanto affollato.

 

Così scrive il Dott. Gaetano Cascone a proposito del faro:

“Il re delle due Sicilie Ferdinando II (1810 – 1859) promosse a partire dal 1855 la costruzione di numerosi fari nei punti più strategici dell’isola per aumentare la sicurezza della navigazione ed il miglioramento dei commerci. Nella costa meridionale della Sicilia, tra gli altri, furono costruiti i fari della Colombara, di Licata e quello di Capo Scalambri a Punta Secca nel comune di Santa Croce Camerina.


Il faro di Punta Secca fu progettato dall’ingegnere Nicolò Diliberto D’Anna, il quale consegnò gli estimi ed il progetto alle autorità committenti il 24 novembre 1857, al fine di essere sottoposto alle procedure di gara d’appalto.


L’ingegnere Diliberto previde una torre circolare alta 36 metri, il cui muro innalzato con conci (blocchi di pietra) regolari rastremati (cioè che si assottigliano andando verso l’alto) risultò spesso 1,75 metri alla base e 78 cm in cima. Una scala a chiocciola autoreggente su un pilone centrale e ad incastro nelle pareti della torre, composta da 128 gradini in pietra pece di Ragusa più quattro gradini di ferro, permetteva di raggiungere il fuoco della lanterna posto a 33,80 metri dalla base.


Centosette lastre di vetro piombato chiudevano il vano della lanterna, la cui luce doveva raggiungere le 16 miglia marine. Alla base della torre faro, l’ingegnere Diliberto previde un ampio parterre circondato da un edificio ad U composto da due corpi lunghi 21,67 m e da un corpo centrale che li univa di 14,70 m. in questo edificio furono previste diverse stanze ove allocare i due guardiani del faro e le loro famiglie oltre ai locali da destinare ad ufficio e deposito. Il costo dell’opera previsto in progetto ammontò a 12.100 Ducati ed i tempi di realizzazione furono fissati in 9 mesi dall’inizio dei lavori; tempi che furono sostanzialmente rispettati, atteso che l’opera andò in appalto nella primavera del 1858; mentre i lavori furono espletati dall’autunno dello stesso anno e consegnati alla fine della primavera 1859.


Il faro di Punta Secca può considerarsi una delle maggiori opere pubbliche del governo borbonico in provincia di Ragusa.” Il faro venne costruito con mattoni di arenaria prelevati in territorio di Scicli e trasportati a Punta Secca mediante grossi barconi.


Accanto al faro è annesso un fabbricato a piano unico della Marina militare. Visibile per 206° (tra 318° e 112°) nella zona mare compresa tra Gela e Cava d’Aliga. Il faro a ottica fissa è catalogato con il numero 2942. Altri due fari sono a Scoglitti e a Marina di Ragusa
il Faro si chiama di Capo Scalambri…

 

Tra tutti i comuni ragusani, Scicli è il paese che più di tutti offre scorci per rendere reale la città immaginaria. A Scicli riconoscerete il Commissariato di Vigata, potrete visitare la Stanza del questore di Montelusa, ammirare l’affascinante Mannara e passeggiare sul lungomare di Marinella.

Gran parte di Vigata si trova a Scicli! Nel centro del bellissimo paese barocco vi sembrerà di passeggiare accanto a Salvo Montalbano, sarete abbagliati dalla bellezza dei luoghi cari al commissario e vi sembrerà di sentire la voce di Catarella!

Quando sognate di vivere come il Commissario Montalbano state desiderando di visitare Scicli.

La casa di Montalbano, nelle due foto sotto, si trova a Punta Secca, frazione marinara di Santa croce Camerina, a pochi km da Ragusa.

 

 

 

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 18 Ottobre 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


QUEL VIAGGIO IN POLONIA ...

 

QUEL VIAGGIO IN POLONIA …

 

UN PO’ DI STORIA

IL REGIME COMUNISTA E LA TRANSIZIONE ALLA DEMOCRAZIA DELLA POLONIA

Nel 1939, al principio del secondo conflitto mondiale, la POLONIA fu invasa dalla Germania  e subito dopo dall’Unione Sovietica. Gli anni della guerra e dell’occupazione furono drammatici per il paese, che subì perdite umane pesantissime, soprattutto nella componente ebraica della popolazione, massacrata in massa nei ghetti e in numerosi campi di sterminio nazisti, tra cui quello di Auschwitz (Shoah) I Tedeschi furono cacciati dalla Polonia dai Sovietici, che al termine del conflitto stabilirono il proprio controllo sul paese.

Dopo le elezioni del 1947, i comunisti assunsero il potere e abolirono qualsiasi pluralismo partitico. La Polonia divenne in tal modo un paese di stampo sovietico, pienamente integrato nel sistema politico e militare dell’URSS, nonostante le ampie manifestazioni contro il regime che si svilupparono nei decenni successivi, in particolare dopo l’avvio della destalinizzazione (Stalin) nella seconda metà degli anni Cinquanta.

Nel 1980 una nuova ondata di contestazioni operaie costrinse il governo a riconoscere il diritto di sciopero e la libertà sindacale. Sorse allora il sindacato di Solidarność che, con il suo leader Lech Walesa, divenne il motore della lotta contro il regime, con il sostegno del papa polacco Karol Józef Wojtyła (1920-2005) Giovanni Paolo II (1920-2005) molto attento alla Polonia in quanto paese cattolico. Il governo introdusse la legge marziale e mise fuori legge Solidarność. Negli anni successivi, tuttavia, tali misure furono attenuate, soprattutto dopo l’ascesa al potere in Unione Sovietica di Michail S. Gorbačëv (1985). Questo processo culminò, nel 1989, nella celebrazione delle prime elezioni pluripartitiche della Polonia comunista, che segnarono la piena affermazione di Solidarność e, di fatto, la fine del regime.

Da allora la Polonia ha avviato una complessa transizione alla democrazia e all’economia di mercato, in un quadro di instabilità politica e di tensioni sociali che hanno fortemente eroso il consenso nei confronti di Solidarność e di Walesa, che è stato presidente della Repubblica dal 1990 al 1995.

 

IL PRESUPPOSTO ...

Venti anni fa, attratti dalla storia martoriata dei polacchi: dal massacro di Katyn ai tristissimi luoghi della Shoah,  dalla figura carismatica di Papa Wojtyla al ritrovamento della loro agognata libertà, decidemmo di fare rotta per la Polonia. Al ritorno in Italia ci rendemmo conto d'aver compiuto un vero e proprio pellegrinaggio che solo in parte, per motivi di spazio, oggi vi  raccontiamo.

Molti di voi, soci e lettori di Mare Nostrum, si chiederanno a questo punto: “Carlo questa volta è andato fuori tema”.

E’ vero solo in parte! Infatti non parlerò di “mare vero” e neppure di navi esistite e diventate famose per qualche avventura o disavventura, ma di una nave ricca di simboli religiosi che venne costruita sulla terraferma nel nuovo millennio e dista dal mare  1500 km.

 

IL SANTUARIO DELLA DIVINA MISERICORDIA

SI TROVA NELLA PERIFERIA SUD DELLA CITTA’ DI KRAKOV (Cracovia)

 

 

La Basilica, costruita secondo il progetto di Witold Cęckiewicz, ha la forma di una nave

 

 

Il quartiere che ospita il santuario è situato nella periferia Sud della città di Cracovia-Łagiewniki e attira pellegrini e visitatori da tutto il mondo.

La forma a nave del santuario di Cracovia, nella tradizione cattolica, è spesso paragonata a una nave che guida i fedeli attraverso le tempeste della vita verso il porto sicuro della salvezza. Questo simbolo è ispirato al racconto biblico dell'arca di Noè, che simboleggia la protezione divina dalle acque del diluvio, ma può essere anche interpretata come un invito a imbarcarsi sulla “nave della misericordia di Dio”: un mezzo per superare le difficoltà che ognuno di noi incontra nella vita quotidiana.

Le interpretazioni di questa costruzione naval-religiosa fa pensare anche alla narrazione evangelica quando Gesù calmò i venti e le onde durante un viaggio tempestoso nel Mar di Galilea mentre si trovava sulla barca da pesca  insieme ai suoi Apostoli. Questo episodio può essere pertanto interpretato come un segno del potere di Dio di placare le tempeste della vita e guidare i credenti attraverso tutte le avversità.

In sintesi, la forma a nave del Santuario della Divina Misericordia a Cracovia è un simbolo carico di significato religioso, che rappresenta il viaggio spirituale verso la salvezza, la protezione divina e la misericordia di Dio.

 

 

Chiesuola della bussola

Chissà, forse non è un caso che sulle navi esista da secoli la CHIESUOLA, che è il supporto della bussola: lo strumento che indica la rotta da prendere. Questo apparato, nonostante l’evoluzione tecnologica di tutte le strumentazioni di bordo, esiste tuttora ed è collocato a cielo aperto, sopra il ponte di Comando di ogni nave come bussola di emergenza in quanto è la bussola più lontana dai “ferri di bordo” che potrebbero influenzarla magneticamente.

PRECISIAMO alcuni dettagli:

Bussola Normale, è una bussola posizionata in una zona sopraelevata, in modo da subire il minimo ingombro per le sovrastrutture della nave.

Questa bussola è normalmente dotata di un cerchio azimutale con traguardo, per prendere i rilevamenti di oggetti esterni.

Il traguardo è dotato di un prisma a 45° che consente di leggere sulla rosa graduata il valore del rilevamento dell'oggetto traguardato.

  • Bussola di rotta, è una bussola normalmente posizionata all'interno della timoneria, in prossimità del timoniere, che la impiega per il governo della nave.

 

Anche la Chiesa è una bussola per i credenti!

 

Il santuario della DIVINA MISERICORDIA è oggi uno tra i più importanti al mondo per milioni di pellegrini che lo raggiungono per “vivere un’emozione particolare” con umiltà e devozione la misericordia di Dio dinnanzi alla tomba di Santa Faustina e al quadro Jezu, ufam Tobie (qui sotto raffigurato).

 

 

Il Santuario è strettamente legato alla figura di Santa Faustina Kowalska, una suora polacca che ha avuto esperienze spirituali e visioni di Gesù Cristo nel XX secolo. In queste visioni, Gesù le ha detto di diffondere il messaggio della sua Divina Misericordia verso tutta l'umanità.

L’edificio è parte integrante del complesso conventuale delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia, dove Santa Faustina Kowalska ha vissuto ed ora dimora lì in eterno.

Nel 1931 suor Faustina assistette all’apparizione di Gesù vestito di bianco con una mano alzata in benedizione, mentre dall'altra emana un raggio di luce pallida e uno più scuro, che rappresentano sangue e acqua, simboli del battesimo e dell'Eucaristia. L’apparizione avrebbe dettato l'istituzione della Festa della Misericordia la prima domenica dopo Pasqua.

L’immagine di Cristo Risorto descritta da suor Faustina fu immortalata in un dipinto recante il motto Jezu, ufam Tobie (Gesù, confido in Te). Secondo quanto testimoniato dalla santa, i raggi simboleggiano i Santi Sacramenti e la Chiesa nata dal fianco squarciato di Cristo, essi alludono ai doni dello Spirito Santo, il cui simbolo biblico è l’acqua.

 

 

Uno degli elementi più significativi del complesso religioso è il dipinto della "Divina Misericordia" (foto sopra) che raffigura Gesù.Le riproduzioni del quadro sono oggi venerate in tutti i continenti.Il messaggio di misericordia e compassione diffuso attraverso LA NAVE-SANTUARIO ha guadagnato popolarità tra i fedeli cattolici, specialmente dopo la canonizzazione di Santa Faustina da parte del Papa Giovanni Paolo II nel 2000. Il papa stesso era originario di Cracovia e ebbe un legame speciale con questi eventi eccezionali.

Karol Wojtyła, che in seguito divenne Papa Giovanni Paolo II, aveva avuto un rapporto particolare con gli insegnamenti di Santa Faustina fin dai primi anni del suo sacerdozio.

La loro “unione spirituale” ebbe un impatto significativo sulla diffusione di questa devozione in tutto il mondo che ha contribuito a rendere il Santuario della Divina Misericordia a Cracovia un luogo di pellegrinaggio di importanza internazionale.

Oggi Milioni di pellegrini da tutto il mondo raggiungono ogni anno questo sito di Cracovia. Ogni giorno, all'Ora della Misericordia (ore 15.00), i fedeli venerano il momento della morte di Cristo sulla croce e pregano per la misericordia nel mondo.

La recente Basilica può contenere circa 5 mila persone. Durante la cerimonia di consacrazione, tenuta nel 2002 da Papa Giovanni Paolo II, il mondo intero è stato affidato alla Divina Misericordia.

BIOGRAFIA

Santa Faustina Kowalska, nata come Helena Kowalska, è stata una suora polacca e mistica del XX secolo. La sua vita è stata caratterizzata da profonde esperienze spirituali e visioni di Gesù Cristo che ha ricevuto durante la sua vita religiosa. Ecco una panoramica della sua vita:

Nascita e Giovinezza: Helena Kowalska è nata il 25 agosto 1905 a Głogowiec, un piccolo villaggio in Polonia. Era la terza dei dieci figli di una modesta famiglia contadina. Fin dalla giovane età, manifestò un profondo interesse per la fede e la vita religiosa.

Chiamata alla Vita Religiosa: Nel 1925, all'età di 19 anni, Helena sentì una chiara chiamata a entrare in convento. Nel 1928, entrò nel Convento delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia a Varsavia, prendendo il nome di suora Maria Faustina del Santissimo Sacramento.

Visioni di Gesù Misericordioso: A partire dal 1931, Suor Faustina cominciò a ricevere una serie di visioni e messaggi da Gesù, nei quali egli le chiedeva di diffondere il messaggio della Divina Misericordia. Gesù le mostrò un dipinto che avrebbe dovuto essere realizzato, raffigurante lui stesso con i raggi di luce pallida e scura emananti dal suo petto. Questi raggi rappresentano sangue e acqua, simboli dei sacramenti dell'Eucaristia e del Battesimo.

Scrittura del Diario: Suor Faustina tenne un diario intimo e spirituale in cui registrava le sue esperienze, le visioni e le parole di Gesù. Questo diario è diventato una fonte preziosa per comprendere la sua spiritualità e la sua missione.

Diffusione del Messaggio: Suor Faustina dedicò la sua vita a diffondere il messaggio della Divina Misericordia, insegnando che Dio è un Dio di amore e misericordia che offre il perdono a chiunque si rivolga a Lui con umiltà e pentimento.

Morte e Canonizzazione: Suor Faustina morì il 5 ottobre 1938 a Cracovia, all'età di soli 33 anni, a causa di una malattia. Dopo la sua morte, il messaggio della Divina Misericordia iniziò a diffondersi sempre di più, specialmente dopo la canonizzazione di Suor Faustina da parte di Papa Giovanni Paolo II il 30 aprile 2000.

Riconoscimento e Devozione: Oggi, Santa Faustina è riconosciuta come una delle sante più influenti del XX secolo. Il suo messaggio di misericordia divina ha attirato numerosi fedeli e il suo santuario a Cracovia è diventato un importante luogo di pellegrinaggio per coloro che cercano ispirazione spirituale e riflessione sulla misericordia di Dio.

La vita di Santa Faustina Kowalska è stata segnata da una profonda devozione religiosa e un'autentica ricerca di Dio attraverso le sue esperienze mistiche e il messaggio di misericordia che ha trasmesso.

LA MODERNA BASILICA

 

 

Nel 1999-2002 è stata costruita una moderna basilica ellissoidale a due piani, specificamente dedicata alla Divina Misericordia. L'edificio è stato progettato per assomigliare ad una nave e ha una torre alta 77 metri che ricorda la Torre di controllo del traffico di un grande porto, ma anche la Torre di Controllo di un aeroporto e  soprattutto l'albero di una nave munita di coffa. Prima dell'avvento del RADAR, in caso di nebbia, i marinai si alternavano di guardia sulla coffa e davano l'allarme in caso di pericoli imminenti.

La basilica può ospitare circa 5.000 persone e la cappella maggiore ha circa 1.800 posti. L'altare del santuario principale ospita il famoso dipinto e le reliquie di Santa Faustina. L'immagine sopra l'altare maggiore è stata dipinta da Adolph Hyla nel 1944 e sostituisce la prima immagine dipinta da Hyla nel 1943 come offerta votiva per essere sopravvissuto durante la seconda guerra mondiale.

Nel 2011 la basilica ha ricevuto circa due milioni di pellegrini da tutto il mondo.

Il livello inferiore della chiesa presenta al centro una cappella dedicata a Santa Faustina, con quattro cappelle laterali. La parte superiore della basilica ha una cappella per l'adorazione perpetua del Santissimo Sacramento. Il 24 giugno 2007, in occasione del 60º anniversario dell’Operazione Vistola, la Basilica ha aperto una cappella greco-cattolica dedicata alla riconciliazione e come dono alla Chiesa greco-cattolica. 

 

 

 

Giovanni Paolo II visitò tre volte il Santuario, Benedetto XVI una volta, nel 2006; è stato proprio Giovanni Paolo II a consacrarlo. Nel vestibolo della basilica è visibile la prima pietra angolare, proveniente dal Golgota e consacrata da Giovanni Paolo II.

 

 

Osserviamo ora da vicino il Santuario della Divina Misericordia

 

 

Giovanni Paolo II visitò tre volte il Santuario, Benedetto XVI una volta, nel 2006; è stato proprio Giovanni Paolo II a consacrarlo. Nel vestibolo della basilica è visibile la prima pietra angolare, proveniente dal Golgota e consacrata da Giovanni Paolo II.

 

 

Osserviamo ora da vicino il Santuario della Divina Misericordia

 

 

Per la visita interna della chiesa, ci siamo accodati ad un gruppo di pellegrini italiani ed abbiamo potuto “registrare” le spiegazioni lette da una religiosa-guida del gruppo:M. Elżbieta Siepak ISMM

Traduzione dal polacco Dominika Grzebyk

Santuari/Il Santuario della Divina Misericordia a Cracovia-Łagiewniki Di Wlodzimierz Redzioch

Plock, lunedì, 1. marzo, 2021 14:58 (ACI Stampa).

 

 

 

Nel presbiterio dietro il grande altare si trova il tabernacolo sotto forma di globo terrestre con disegnati i continenti, il quale è circondato da un cespuglio in preda a venti molto forti, tutto ciò rappresenta il mondo di oggi oppure l’uomo che è in preda alle varie correnti. In questo cespuglio è immersa l’immagine di Gesù Misericordioso (pennello di Jan Chrząszcz), che ci ricorda che, come disse il Santo Padre Giovanni Paolo II, nella Misericordia il mondo troverà la pace e l’uomo la felicità. Alcuni vedono nell’allestimento del presbiterio il simbolo piuttosto del roveto ardente dal quale Dio una volta parlò a Mosè e così parlò ai giorni nostri a Santa Suor Faustina trasmettendo il messaggio della Misericordia per la Chiesa e per il mondo.

La misericordia di Dio è nella teologia biblica un attributo di Dio, che consiste nel perdonare i peccati. Nel cattolicesimo la Divina Misericordia è una devozione propagata per iniziativa di santa Faustina Kowalska in tutto il mondo, con lo scopo di avere fiducia nella misericordia di Dio e di adottare un atteggiamento misericordioso verso il prossimo. Il nostro Padre Celeste conosce le nostre debolezze e i nostri peccati. Egli mostra misericordia quando perdona i nostri peccati e ci aiuta a tornare alla Sua presenza.

Sulle pareti che separano il presbiterio dalla navata centrale è posta l’immagine della Madonna della Misericordia della Porta dell’Aurora (dipinta da Jan Chrząszcz) e dall’altra parte un frammento dell’Atto della Consacrazione del mondo alla Divina Misericordia che fece in questa basilica il Santo Padre Giovanni Paolo II (il 17 agosto 2002). All’entrata della basilica si trova la pietra angolare proveniente dal Golgota, benedetta dal Santo Padre Giovanni Paolo II e una targa commemorativa del secondo pellegrinaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II a Łagiewniki e la consacrazione della basilica (il 17 agosto 2002).

Negli spazi verticali delle finestre e sopra il coro sono montate delle vetrate. Quest’ultima, di superficie 148 m2, è la maggiore vetrata di Cracovia. Rappresenta un sole grandissimo, sullo sfondo del quale si vede una croce luminosa, simbolo della fede e segno più espressivo della Divina Misericordia. Al di sotto della linea dell’orizzonte si trova il mare che armonizza cromaticamente con le vetrate laterali della basilica, le quali devono creare l’impressione di scaturire dalle profondità del mare. L’autore delle vetrate è l’architetto della basilica di Łagiewniki prof. Witold Cęckiewicz e l’artista Małgorzata Toborowicz.

 

 

Nella parte inferiore della basilica si trovano cinque bellissime cappelle che sono disposte come dei raggi, il cui allestimento è un dono dei paesi europei. La cappella centrale è la cappella di Santa Suor Faustina, il cui allestimento è un dono dell’episcopato italiano (spesso viene usata l’espressione: „cappella italiana”). Dietro l’altare della cappella si trova un tabernacolo a forma di fiore che si sta aprendo che si riferisce alle parole dell’Apostola della Divina Misericordia che indicano l’Amore di Dio come un fiore e la Misericordia come il suo frutto (D. 949). Sopra il tabernacolo si trova l’immagine di Santa Suor Faustina con il ”Diario” dal pennello di Jan Chrząszcz, inscritta nella pala dell’altare sotto forma di libro aperto. Davanti all’altare si trovano una parte delle reliquie di Santa Suor Faustina poste nel reliquiario a forma di rosa. L’altare, il pulpito e la base del reliquiario sono fatte in travertino chiaro, le pareti sono abbellite con piastrelle in arenaria polacca, il pavimento, posato a raggiera, si ricollega alla parte superiore della basilica, e nella sua espressione ideale – ai raggi dell’immagine di Gesù Misericordioso, che sono il simbolo di tutte le grazie. Tutta la cappella è coperta dalla cupola. Una solenne benedizione di questa cappella ebbe luogo il 27 agosto dell’anno 2005, durante il centenario del battesimo di Santa Suor Faustina e nel giorno dell’inserimento del metropolita di Cracovia Card. Stanisław Dziwisz nella cattedrale di Wawel ad opera del Card. Camillo Ruini, presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

 

 

 

Alla destra dell’entrata, nella parte inferiore della basilica, si trova la cappella Communio Sanctorum, che fu benedetta il 9 ottobre dell’anno 2004 dal Primate dell’Ungheria Card. Péter Erdó con il metropolita di Cracovia il Card. Franciszek Macharski, durante un pellegrinaggio nazionale degli ungheresi. L’allestimento di questa cappella è un dono della Chiesa ungherese e quindi colloquialmente si usa definirla: ”cappella ungherese”. E’ abbellita con bellissimi mosaici alle pareti laterali che rappresentano gli oltre 60 santi e beati ungheresi, polacchi e di altri paesi europei che furono inscritti nelle più belle pagine della storia Chiesa. Il testo delle otto benedizioni del Discorso della Montagna accompagna i vari gruppi di questi santi, costituendo come un commento alla loro vita. La schiera dei santi è guidata da Maria, Madre di Dio. Sopra l’altare di marmo si trova il mosaico di Gesù Misericordioso con Santa Suor Faustina assorta nelle Sue parole e intorno, in varie lingue, sono scritte le parole: Gesù, confido in Te. Nel reliquiario, ha la forma di una mano destra e che si trova davanti all’altare, è deposta una parte della reliquia di Santo Stefano, re d’Ungheria. L’autore del progetto dell’allestimento della cappella e suo esecutore è l’artista ungherese, sacerdote grecocattolico, László Puskás assieme alla moglie.

 

 

 

Sulla destra, accanto alla cappella Communio sanctorum, c’è la cappella di Sant’Andrea Apostolo, che è un dono della Chiesa greco-cattolica di Polonia e Ucraina. L’iconostasis con l’immagine di Sant’Andrea, il patrono della Chiesa Orientale, è opera dell’artista ucraino Lubomir Medwid. Oltre a questo la cappella è abbellita da una policromia eseguita secondo la tradizione orientale, che include un messaggio legato alla storia della Chiesa. Le composizioni pittoriche di Timur Karim e di Małgorzata Dawidiuk rappresentano: il Concilio della Madonna, il Battesimo della Russia (Ucraina), la Santissima Trinità dell’antico Testamento (Ospitalità di Abramo), il Cristo Acheiropoietos (Mandylion, Chusta Abgara) e l’Esaltazione della Santa Croce. La benedizione solenne della cappella ebbe luogo il 24 giugno dell’anno 2007 ad opera del metropolita di Przemysl e di Varsavia, arcivescovo abp Jan Martyniak e del Metropolita di Cracovia, Card. Stanisław Dziwisz.

 

 

 

Sulla parte sinistra dall’entrata nella parte inferiore della basilica si trova la cappella di Santa Croce, abbellita dai fedeli dalla Germania e quindi si usa anche l’espressione “cappella tedesca”. Nella sua abside l’attenzione dei fedeli è catturata dalla grande croce sulla quale fu messa la corona di spine. Sulle pareti ci sono le stazioni della Via Crucis e le immagini della Passione di Cristo che in maniera più piena parlano dell’Amore Misericordioso di Dio verso l’uomo.

 

 

 

A sinistra, vicino alla cappella della Santa Croce, si trova la cappella della Madonna Vergine dei Sette Dolori, il cui allestimento è un dono della Chiesa Slovacca e quindi viene chia- mata la ”cappella slovacca”. Nel suo arredamento creato secondo il proget- to dell’architetto Marian Sitarčik, domina la bellissima Pietà scolpita di Jan Lesňák. Le pareti sono affrescate a rappresentazione dei sette dolori della Madonna Vergine dipinti da Peter Čambál e le parole del ”Magnificat” nelle lingue liturgiche della Chiesa ai tempi degli Apostoli, degli Slavi santo Cirillo e Metodio, cioè in slavo antico ortodosso, latino, greco e ebraico, nonché in lingua slovacca. Dietro l’altare si trova una parete di vetri, su cui un’opera grafica rappresenta la deposizione di Gesù nella tomba e la Sua Risurrezione. La benedizione solenne della cappella avvenne il 19 aprile dell’anno 2008, durante un pellegrinaggio nazionale degli slovacchi e fu celebrata dal presidente dell’Episcopato della Slovacchia, vescovo František Tondra, dal vescovo Jan Babjak, dall’arcivescovo grecocattolico di Prešow e dal metropolita di Cracovia, Card. Stanisław Dziwisz.

 

 

 

Davanti alla basilica, sopra il muro, sono ubicate 9 campane carillon, che con le melodie suonate ricordano la Misericordia di Dio. Sulle campane sono scritti i nomi di Gesù, di Santa Suor Faustina, di Giovanni Paolo II e dei Santi di Cracovia: San Stanislao, San Giacinto, Sant’Edvige, San Giovanni Kanty, San Raffaele e San Frate Alberto. Le campane sono state benedette dal metropolita di Cracovia, Card. Stanisław Dziwisz, durante la Festa della Misericordia nell’anno 2009.

 

 

DUE DOMANDE PER CHIUDERE IL PELLEGRINAGGIO:

 

Chi ha dipinto l'immagine della Divina Misericordia?

 

 

 

Eugeniusz Kazimirowski

Era il direttore spirituale di Santa Faustina Kowalska, colui che la incoraggiò a scrivere un diario, e che fece in modo che l'Immagina della Divina Misericordia fosse dipinta. Per farlo, scelse Eugeniusz Kazimirowski, un artista che tra l'altro si proclamava non credente.

Cosa disse Gesù a Santa Faustina?

Gesù disse a Suor Faustina: 

Esigo da te atti di Misericordia che devono derivare dall'amore verso di Me.

 

 

 

Il centro di Cracovia nella carta sotto.

Il SANTUARIO si trova a SUD della città, nel punto 33 blu indicato da una freccia rossa

 

 

CONCLUSIONE:

La DIVINA MISERICORDIA di Cracovia, gode di un grande primato: si tratta della nave più visitata al mondo. Questo dato serve a giustificare la sua presenza sul sito di MARE NOSTRUM RAPALLO.

Più volte ho scritto: “sulla terraferma la parola solidarietà è una delle più citate,  ma la si pratica solo in mare, tutti i giorni, da sempre!”

Ora aggiungo: anche la parola misericordia, come l’articolo sotto riporta, segue la stessa rotta”.

 

LE NAVI DELLA MISERICORDIA

Mercyships.org

https://riforma.it/it/articolo/2023/07/12/le-navi-della-misericordia

 

 

 

Le Navi della Misericordia

di Redazione

 12 luglio 2023 

Quarantacinque anni fa, si realizzava il sogno di Don e Deyon Stephens di trasformare una nave in un ospedale galleggiante, per portare cure chirurgiche sicure e gratuite ai più bisognosi

Nel lontano 1978, Don e Deyon Stephens insieme ai loro quattro figli lasciarono la loro casa negli Stati Uniti, e si avventurarono in acque sconosciute per realizzare un sogno: trasformare una nave in un ospedale galleggiante dove i più bisognosi potessero ricevere cure specialistiche sicure e gratuite

Diventando armatore per «seguire l’esempio di Gesù», Don – che insieme alla moglie infermiera erano membri dell’associazione cristiana Ywam (Youth with a Mission) – convinse il colosso Ubs a un prestito da un milione di dollari per comprare e trasformare in nave-ospedale un vecchio transatlantico italiano degli anni ’50, “Victoria”, ribattezzata “Anastasis”. 

In 33 anni di servizio sono state quattro le navi-ospedale di Mercy Ships, ultime delle quali: l’“Africa Mercy”, che ha rimpiazzato “Anastasis” nel 2007, e la Global Mercy

Dal ’78 le Mercy Ships hanno curato 2,4 milioni di persone tra cui 608 mila per cure mediche e dentali e 74 mila procedure “life-changing”. È stata condotta formazione su 34.500 persone, sono stati completati 1.100 progetti di sviluppo delle comunità, in 57 nazioni per 581 porti.

Oltre alle cure chirurgiche, il lavoro delle Mercy Ships ha avuto risultati anche a lungo temine: grazie alle relazioni che l’ente di beneficenza ha stabilito di volta in volta con i governi nazionali e i ministeri della salute, è stato possibile avviare la formazione di professionisti medici locali e dare sostegno ai sistemi sanitari nazionali.

Ogni anno, più di 3.000 volontari provenienti da oltre 60 paesi prestano servizio a bordo delle due navi ospedale civili più grandi del mondo, l’Africa Mercy e la Global Mercy. Professionisti come chirurghi, dentisti, infermieri, cuochi, elettricisti, idraulici, ingegneri, assistenti dedicano il loro tempo e le loro competenze per facilitare l’accesso a cure chirurgiche, ostetriche e anestetiche sicure.

Nella prima metà del 2023, più di 1.100 volontari globali hanno prestato servizio a bordo della nuovissima Global Mercy nel suo primo servizio in Senegal.

«Avevamo tre infermiere, tre chirurghi, due anestesisti, in rappresentanza di quattro diverse nazioni, solo per un intervento chirurgico», ha detto Don. Ricordando che durante l’intervento durato 18 ore, la paziente ha ricevuto plasma da parte dei membri dell’equipaggio e dei volontari, Don ha dichiarato: «La paziente ora ha più di sette unità di sangue provenienti da 15 nazioni diverse». Quella “banca del sangue ambulante”, ha aggiunto Don, e la generosità dei donatori, sono la rappresentazione simbolica della missione delle Mercy Ships.

Mentre l’organizzazione non profit continua a crescere, la preghiera di Don è che il suo staff e l’equipaggio rimangano fedeli ai valori fondamentali delle Mercy Ships: amare Dio, amare e servire gli altri, essere persone integre e lottare per l’eccellenza in tutto ciò che dicono e fanno.

All’inizio della loro avventura, Don e Deyon non avevano previsto l’entità dell’impatto di quel loro sogno. Tuttavia, come ha sottolineato Don, l’inimmaginabile non è poi così sorprendente, dato che Dio è «in grado di fare incommensurabilmente più di tutto ciò che chiediamo o pensiamo».
«Ho immaginato tutto questo all’inizio? No!», ha detto Don. «Mercy Ships è cresciuta al di sopra dei miei sogni più fervidi... Contando su ciò che Dio sta facendo e continuerà a fare, la mia speranza è che le Navi della Misericordia possano dare un piccolo ma significativo contributo nella crescita del regno di Dio nel continente africano».

 

Ringrazio mia moglie Guny e gli Amici di sempre Aurelita e Bobby per aver impreziosito questo viaggio speciale con immagini  e riprese cinematografiche d'assoluto valore reale e spirituale.

Carlo GATTI

Rapallo, 22 Agosto 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LE TERME ROMANE DI BATH - INGHILTERRA

 

 

LE TERME ROMANE DI BATH

Inghilterra

 

 

La prima grande invasione della Gran Bretagna ebbe inizio ad opera dell’imperatore Claudio nel 43 d.C, quando le legioni romane arrivarono sull'isola. L'occupazione durò fino al 410 d.C. e diede vita ad alcune bellissime città, lasciando dietro di sé strade, monumenti, piante e leggende. Le terre conquistate presero il nome di Britannia che divenne una provincia imperiale, governata da un Legatus Augusti pro praetore di rango consolare.

Ed ora parliamo della città di BATH (vedi carta geografica sotto). I Romani nel 75 d.C., durante il regno di Vespasiano vi costruirono delle TERME che divennero famose in tutto l’Impero Romano e lo sono state fino ai giorni nostri! Questo è il motivo per cui oggi ne parliamo! Per la verità, questa attività che i Romani esaltarono in modo davvero eccellente in Britannia, poggiava da tempo sul culto della dea Sulis, divinità celtica che i Romani identificarono, fin dal primo momento, con la dea romana Minerva, in cui onore edificarono il Tempio. 

 

La città era collegata da un'importante strada romana denominata: Via Calleva Atrebatum-Aquae Sulis. Questa strada proveniva da Londinium (Londra) e passava per Calleva Atrebatum e Aquae Sulis.

Tra il I e il V secolo d.C. la strada costituì un importante percorso per gli spostamenti est-ovest e per la logistica militare dell'Inghilterra sudorientale. (vedi carta sotto)

 

Riassumendo: Bath in italiano significa bagno. Il termine bath è inteso in senso quasi letterale, perché questa città divenne un centro termale con il nome latino AQUÆ Sulis ("Le Acque di Sulis") quando i Romani costruirono le terme e un tempio nella valle del fiume Avon, anche se le sorgenti calde erano conosciute anche prima di allora.

 

LA DEA DELLE TERME

UN PO’ DI STORIA

 

Il primo santuario sul sito delle sorgenti termali fu costruito da una tribù dell’Età del Ferro, i Dobunni, che lo dedicarono a Sulis, la dea celtica delle acque sacre e della guarigione.

Con la conquista di Roma Sulis fu equiparata a Minerva, la dea romana della saggezza, delle arti e dei mestieri. Il complesso termale religioso sul sito, divenne in tal modo un centro balneare e sociale che abbiamo già visto.

 

IL CULTO SU COSA SI FONDAVA?

La dea Sulis-Minerva da quel momento diventò per tutti un ibrido tra la religione romana e quella celtica. Considerata la dea della giustizia, le persone che venivano derubate si recavano alle terme romane per chiedere il suo aiuto nel recupero dei beni perduti. La convinzione dei Romani era che la dea Minerva avrebbe punito il ladro e restituito i beni perduti.

Alcuni si rivolgevano alla dea, mentre altri scrivevano un biglietto che piegavano e lanciavano alla fonte, supponendo di venir preso dalla dea. La dea leggeva il biglietto ed esaudiva il loro desiderio creando un miracolo per recuperare l’oggetto rubato.

Oltre che per la giustizia, la dea era onorata anche come dea dei poteri curativi e della pace. Le persone si rivolgevano a lei per chiedere felicità, pace e buona salute per i loro familiari e i loro cari. Persone provenienti da tutto il mondo, compresi i Romani, la visitavano e la onoravano con gioielli preziosi, monete, braccialetti e pietre.

 

 

Testa di bronzo dorata della statua di Minerva Sulis proveniente dal Tempio di Bath, fu rinvenuta nel 1727 ed ora si trova presso le Terme romane di Bath. 

 

 

BATH – Inghilterra – 90.000 abitanti. La città che prende il nome dai suoi bagni romani

 

Bath si trova nella contea del Somerset, nell'Inghilterra del Sud-Ovest. Lo scalo aereo più vicino è l'aeroporto di Bristol. In treno, Bath è raggiungibile da Bristol in circa 15 min, da Londra in circa 1 h 30 min, da Birmingham in circa 2 h.

La città portuale di Bristol è famosa per l'architettura georgiana e vittoriana, la tradizione marinaresca, i negozi di tendenza, la street art e la musica underground, è la quarta città più visitata del paese. Inoltre, la posizione strategica tra il mare e la campagna la rende una meta ideale in qualsiasi stagione dell'anno.

 Bath è Patrimonio dell'Umanità Unesco dal 1987 per diversi attributi culturali, in particolare i resti romani come il Tempio e il complesso delle terme che sono tra i resti romani più famosi e importanti a Nord delle Alpi e hanno segnato l'inizio della storia di Bath come città termale.

 Bath è la città più grande della contea cerimoniale di Somerset, si trova nella valle del fiume Avon. La popolazione è di circa 90.000 abitanti.

Bath - Durante l'occupazione romana della Britannia, su suggerimento dell'imperatore Claudio, vennero costruite delle strutture lignee sotterranee per evitare che l'edificio sprofondasse nel fango.

Bath Abbey (Abbazia) fu fondata nel VII secolo e divenne un centro religioso; l'edificio fu ricostruito nel XII e XVI secolo. Nel diciassettesimo secolo, le acque furono dichiarate curative e la città divenne popolare come luogo termale nell’era Giorgiana. Molte delle strade e delle piazze sono state disegnate da John Wood e nel XVIII secolo la città divenne di moda e la popolazione crebbe.

 

Un frammento di letteratura:

LA DONNA DI BATH

 

I Racconti di Canterbury - è una raccolta di 24 racconti scritti in medio inglese da Geoffrey Chaucer nel XIV secolo.  

Due dei racconti sono scritti in prosa, mentre i rimanenti in versi. 

Alcune storie sono contenute all'interno di una cornice narrativa, narrata da un gruppo di pellegrini durante un pellegrinaggio da Southwark a Canterbury, per visitare la tomba di san Tommaso Becket nella cattedrale di Canterbury. 

Chaucer iniziò a scrivere l'opera intorno al 1836, con l'intenzione di far raccontare a ogni pellegrino quattro storie differenti: due sulla via per Canterbury e le rimanenti altre due sulla via del ritorno.

La donna di Bath è una delle due donne cantastorie dei Racconti (l'altra è la Prioressa): ha viaggiato per il mondo in pellegrinaggio (è stata a Gerusalemme, Boulogne-sur-Mer, Roma, Santiago di Compostela e a Cologne in Francia), e quello a Canterbury dunque appare come un gioco rispetto ai precedenti viaggi.

 

LE TERME COME LUOGO DI SOCIALITA’

 

 

Rappresentazione pittorica delle Terme di Caracalla

 

Le terme erano tra i principali edifici pubblici romani. Realizzate da privati in principio, divennero poi grandi opere pubbliche degli imperatori romani, tra cui Traiano, Antonino Pio, Caracalla. Proprio le terme fatte edificare da quest’ultimo sono tra le più famose e grandi di Roma, superate solo da quelle di Diocleziano (in realtà costruite da Massimiano), nei pressi dell’attuale stazione Termini e piazza della Repubblica, che ricalca l’esedra di ingresso delle terme, di grandezza spropositata. I romani usavano lavarsi ogni giorno e adoperavano le terme come luogo di ritrovo anche per concludere affari. Inizialmente non c’era divisione tra uomini e donne, che venne introdotta solo da Adriano. Il percorso era sempre il seguente: si accedeva nel frigidarium, che conteneva acqua fredda, per passare al tiepidarium (acqua tiepida) e infine al calidarium (acqua calda). Tutto il sistema di riscaldamento sotterraneo, facente uso di spropositate quantità di legna trasportate su carri lungo i viali sottoterra, era gestito da schiavi. Era considerato poco virile saltare l’abluzione con acqua fredda, cosa che faceva per esempio l’imperatore Commodo, venendo per questo ferocemente criticato.

 

LE TERME DI BATH

Famosa in tutto il mondo per la sua imponente architettura e i suoi resti romani, Bath è una città vivace e molto attraente con oltre 40 musei, ottimi ristoranti, negozi di qualità e teatri.

La città di Bath fu scoperta dai Romani, dove costruirono i loro insediamenti intorno alle terme che vi trovarono. Le Terme Romane e il magnifico Tempio che fa da contorno, furono costruiti intorno alla sorgente naturale di acqua calda che sgorga a 46°C e furono il centro della vita romana ad Aquae Sulis tra il I e il V secolo. I “resti” sono straordinariamente completi e comprendono sculture, monete, gioielli e la testa in bronzo della dea Sulis Minerva che abbiamo già conosciuto.

Vi mostriamo ora alcune immagini impregnate di quella atmosfera che pare immutata da millenni. Ci asteniamo dal commentarle preferendo osservarle in silenzio!

 

 

 

 

 

Le antiche terme romane contengono acqua di sorgente naturale che scorre ancora nel fiume Avon. Lo scopo principale delle terme era quello di permettere ai Romani di purificarsi. La maggior parte dei Romani che vivevano in città si recavano ogni giorno alle terme per questo rito. Si spalmavano la pelle di olio d’oliva e poi la strofinavano con un raschietto di metallo chiamato strigile.

Le terme erano anche un luogo di socializzazione. Gli amici s’incontravano alle terme per parlare e mangiare. A volte gli uomini tenevano riunioni d’affari o discutevano di politica.

 

 

 

I Romani nel 75 d.C., durante il regno di Vespasiano vi costruirono delle terme, ben presto note in tutto l’Impero Romano. La città di BATH era raggiunta da un'importante strada romana, la Via Calleva Atrebatum-Aquae Sulis di cui abbiamo pubblicato una vecchia carta.

 

Riportiamo dal sito principale di BATH un po’ di storia più recente.

L’ingresso del tempio romano di Bath era stato progettato per assomigliare al volto di una Gorgone. La Gorgone è il mostro che risiede negli inferi. Nella mitologia greca esistevano tre Gorgoni: Medusa, Stheno ed Euryale.

Avevano un aspetto mostruoso, con capelli simili a quelli di un serpente, ali enormi, artigli affilati e un corpo ricoperto di scaglie simili a quelle di un drago. Le persone avevano paura di guardare il volto delle Gorgoni, pensando che lo sguardo potesse ucciderle o trasformarle in pietra.

Dopo il ritiro dei Romani dalla Britannia all’inizio del V secolo, il complesso termale fu trascurato e cadde in rovina. Il maggiore Charles Davis, geometra della città, scoprì i “resti romani” delle terme nel 1878. Lo scavo fu effettuato dopo la perdita della sorgente del King’s Bath e fu necessario esplorare e testare il pavimento delle terme. I lavori di scavo durarono circa due anni e i bagni romani furono finalmente scoperti nel 1880.

Il sito fu aperto al pubblico nel 1897 e fu scavato, ampliato e conservato per tutto il XX secolo. Gli architetti John Wood il Vecchio e John Wood il Giovane, padre e figlio, hanno lavorato alla sua progettazione. Nel 2011, le Terme Romane sono state sottoposte a un massiccio intervento di riqualificazione da 5,5 milioni di sterline per renderle più accessibili e preservarle per i prossimi 100 anni.

 

Abbazia di Bath

Gli abitanti e i visitatori sono accolti nell’Abbazia di Bath per praticare il culto o semplicemente per ammirare la splendida architettura e le vetrate colorate. Tre chiese occupano il sito dal 757 d.C. e la versione attuale dell’abbazia è stata trasformata a metà del tardo 1800. Gli orari di apertura variano e si può prolungare la visita con l’aggiunta di un tour della torre o partecipando a una funzione.

 

 

 

 

Il tempo sembra essersi fermato qui, davanti agli angeli di pietra che sorvegliano l’Abbazia dei santi Pietro e Paolo.

 

 

 

 

Si ipotizza che le terme romane nel Regno Unito abbiano poteri curativi che aiutano a curare alcune malattie. I poteri curativi dei bagni romani furono notati dai Romani dopo che il bagno curò la lebbra di Bladud.

Bladud, figlio del re d’Inghilterra, soffriva di lebbra che non era stata curata nemmeno dopo molti tentativi. Tuttavia, il bagno nel famoso bagno romano guarì miracolosamente la sua lebbra.

La leggenda fece credere alla gente che le sorgenti termali avessero poteri curativi e che qualsiasi malattia potesse essere guarita facendovi il bagno. Il re Bladud, soddisfatto del risultato, creò la città di Bath, dove furono aperte molte piscine di sorgenti minerali naturali. L’altra ragione era la presenza della dea Sulis Minerva alle terme. Secondo l’antica tribù dei Dobunni, la dea aveva il potere di guarire.

 

 

 

Al re Bladud venne dedicata una statua che tuttora sovrasta la stazione termale

 

 

 

 

Plastico che riproduce il complesso delle Terme. A sinistra il Tempio cui si fa spesso riferimento

 

 

 

 

Il Calidarium (sopra) con le sue tubazioni di piombo (sotto) utilizzate dagli Antichi Romani

 

 

 

Un mosaico raffigurante un ippocampo 

 

 

 

L’elaborato frontone raffigurante la testa di Gorgone

 

 

 

 

Le statue sul corridoio sopraelevato

 

 

Concludiamo con due CURIOSITA PER I TURISTI:

 

BATH - Il circo

Accanto al Royal Crescent si trova un cerchio di case a schiera chiamato The Circus, ispirato al Colosseo di Roma. Questo esempio unico di architettura georgiana fu progettato da John Wood il Vecchio. Completato da suo figlio, è visitabile gratuitamente.

 

 

 BRISTOL

Come abbiamo visto la città di BATH si trova alla periferia di BRISTOL (467.099 abitanti) la quale, come tutti sanno, è una città portuale antica e molto importante sia per le tradizioni storico-navali che per lo stile dei suoi palazzi e monumenti. La domanda che sorge spontanea a tutti (credo) possa essere la seguente:

 

Perché a Rapallo esiste da oltre un secolo il famosissimo Hotel BRISTOL (5*) che ha quel nome inglese?

 

 

 

 

Hotel BRISTOL – Rapallo 

Vista sul Golfo Tigullio

 

 

Ricavato in una dimora storica in stile Liberty costruita nel 1908, l'Hotel fu inaugurato nel 1911 e ristrutturato radicalmente nel 2006. affacciata sul promontorio di Portofino e circondata da un giardino di vegetazione mediterranea, dove lo stile moderno degli spazi e delle costruzioni si armonizza con il linguaggio architettonico del Liberty che, ancora oggi, caratterizza la facciata e tutto concorre a creare spazi e momenti di tranquillità in un paesaggio di grande bellezza.

 

  Trovate le risposte aprendo questo LINK:

 

IL MISTERO DEGLI HOTEL BRISTOL

https://www.skyscrapercity.com/threads/il-mistero-degli-hotel-bristol.719416/

Dopo un breve pezzo dell’articolo, compare la voce “see more” per leggerlo tutto.

 

 

Concludo con un paio di riflessioni:

Già c’eravamo accorti, con l’articolo sul Faro di Dubris, l’unico faro romano ancora esistente nella sua forma originale, che gli Inglesi sono particolarmente affezionati alla conservazione della cultura Romana in generale. Con la visita alle Terme di Bath ne abbiamo avuto la conferma!  

Per gli appassionati dell’argomento ho trovato LA LISTA DI TERME ROMANE che risalgono alla presenza dell’Impero Romano durante la sua espansione:

https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_terme_romane

Da una superficiale lettura ho ricavato l’impressione che soltanto le Terme di Bath abbiano conservato l’impianto originale ove è ancora possibile immergersi anima e corpo nell’atmosfera di 2000 anni fa. Impressione, non significa certezza! Il lungo elenco di località pubblicate da Wikipedia, temo si riferisca a “ruderi” di terme romane, oppure a moderni rifacimenti strutturali di Impianti Termali su antichi siti già esistenti e sfruttati in epoca romana per la presenza di acque calde curative.

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 28 Giugno 2023

 


IN VIAGGIO CON I TONNI

 

IN VIAGGIO CON I TONNI

 

 

E’ vero che i FENICI cacciavano già i tonni nel primo millenio a.C.?

A questa domanda hanno risposto due archeologi dell’Università di Sassari, Piero Bartoloni, docente di Archeologia fenicio-punica, e Michele Guirguis,  ricercatore, durante una conferenza archeologica dal titolo: 

 

I Fenici lungo le vie dei tonni tra Oriente e Occidente

Un incontro che ha percorso la storia del Mediterraneo all’alba del I millennio a.C., quando le navigazioni tra Oriente e Occidente portarono i Fenici alla frequentazione stabile delle coste del Mediterraneo centro-occidentale e della Sardegna. In quel periodo si era già a conoscenza delle abitudini migratorie dei tonni e, secondo alcuni studiosi, anche delle pratiche di pesca con le tonnare. È certo che i “maiali di mare”, * in quella fase, rappresentassero una primaria fonte di ricchezza. Inoltre, sembra che gli spostamenti della popolazione fenicia verso l’Oceano Atlantico dipendessero dalle volontà di seguire le rotte dei tonni. Dunque i Fenici e i tonni possono considerarsi dei veri “compagni di viaggio”, che oltrepassarono le Colonne di Ercole e che unirono le regioni mediterranee e atlantiche in un continuum culturale fino alle soglie dell’età romana. Bartoloni e Guirguis racconteranno gli esiti delle campagne di scavo, condotte dai primi anni 80 del secolo scorso a oggi, nel Sud Sardegna, a Sant’Antioco e Monte Sirai (Carbonia), siti archeologici dove sono state trovate diverse vertebre di tonno rosso.

 * Poiché gli scarti di lavorazione sono minimi, il tonno viene anche detto “maiale di mare”.

 

   MA FURONO I GRECI E I LATINI A LASCIARCI MAPPE E DOCUMENTAZIONI SCRITTE

 

 

Principali fonti antiche in relazione alla localizzazione geografica nel Mediterraneo

... Una delle prime spiegazioni la diede Aristotele nella sua Historia Animalium (Arist. hist. an. VIII), tesi in seguito ripresa da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia (Pli. nat. IX,18-19) e da molti altri. Inserendo le citazioni degli autori classici in un quadro geografico è possibile osservare come tutte siano distribuite lungo le rotte seguite dai tonni. L'ipotesi di Aristotele fu poi raccolta da tutti gli autori dell'Antichità e del Medioevo 5 ...

Le tonnare “di andata” nella costa occidentale siciliana sonoFavignana, Formica, San Cusumano, Bonagia, Scopello, Castellammare, Trabia; mentre tonnare “di ritorno” sono: Capo Passero, Siculiana, Sciacca, Capo Granitola, Santa Panagia.

 

LE ROTTA DEI TONNI

Il tonno entra nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra, tra l'inverno e la primavera, e segue le coste africane (Marocco, Algeria, Libia); in estate il tonno scompare, migra nell'Atlantico, in cerca di cibo più abbondante. Le rotte seguite sono le stesse da chissà quante migliaia di anni…

 

 

 

Oggi si dice che intorno al TONNO (l’oro rosso del Mediterraneo) ci sia in atto una guerra da 65 miliardi … per controllarne il mercato. Si scopre così che i contendenti si chiamano Signori delle Reti e Signori delle Gabbie. Le nazioni contendenti si chiamano Italia, Spagna e Malta, che intendono conquistare separatamente il GIAPPONE quale primo MERCATO del tonno rosso in assoluto nel mondo. Il boom mondiale del consumo di sushi e sashimi ha fatto decollare prezzi e fatturati di questo pesce: ai 40 miliardi legali si devono aggiungere almeno altri 25 miliardi del mercato illegale.

Quante tonnare ci sono in Italia?

In Italia, al momento le tonnare che hanno una licenza di pesca sono solo tre: Isola Piana a Carloforte, Capo Altano e Porto Paglia a Portoscuso, tutte in Sardegna. Ci sono poi quelle di Favignana in Sicilia, Cala Vinagra a Carloforte in Sardegna, Camogli in Liguria, senza né una licenza di pesca, né delle quote.

Dove si trova il miglior tonno al mondo?

Tonno rosso «di corsa», a Carloforte il migliore del mondo

È una pratica che risale, come abbiamo già visto, ai tempi dei fenici quella che si ripete ancora oggi nei mari della Sardegna, precisamente a Sud, sulle coste della minuscola isola di San Pietro dove si trova il comune di Carloforte,  l'ultima tonnara d'Europa.

 

TONNO ROSSO «DI CORSA», A CARLOFORTE IL MIGLIORE DEL MONDO

 

 

 

500 anni di tradizione, una pesca cruenta, un animale eccezionale. Stiamo parlando del tonno rosso, soprannominato «tonno di corsa», una vera prelibatezza tipica di Carloforte, Isola di S. Pietro, località a sud ovest della Sardegna.

 

L’ultima tonnara d’Europa

 

Quella di Carloforte è l’unica tonnara attiva di tutto il Mediterraneo, dalla quale si dirige una pratica, quella della mattanza, che risulta essere uno spettacolo esclusivamente per palati forti. Nonostante il metodo cruento è una pratica che si svolge una volta l’anno, su una scala troppo limitata per mettere in pericolo la specie di tonni rossi che torna nel mediterraneo ogni anno. Proprio da questo prende il suo soprannome, «di corsa»: i tonni arrivano in grandi banchi dall’oceano Atlantico con l’obiettivo di deporre le uova nelle acque più calde del Mediterraneo.

Durante questa lunga navigazione il pesce attinge alle sue scorte di grasso, la carne diventa più magra e ricca di proteine e diventa davvero pregiata. Così il tonno rosso viene diretto, quando transita vicino a Carloforte, all’interno di diverse camere composte da reti fisse. Quando il numero di esemplari raggiunge la soglia che il rais – il capo della tonnara – reputa sufficiente, l’ingresso di questo labirinto viene chiuso e gli esemplari fatti entrare nell’ultima grande «camera» dove si compie la vera e propria mattanza.

Gli esemplari catturati in questo modo sono richiesti in tutto il mondo e in particolare sono gli chef giapponesi ad avere una passione sfrenata per questo tipo di pesce, quasi di più che per le loro varietà locali. Ogni anno alla fine di maggio si tiene a Carloforte il famoso Girotonno, una festa in concomitanza con la riapertura della tonnara, dove vengono invitate molte personalità del mondo della gastronomia a celebrare quello che in molti definirebbe come il migliore tonno del mondo. Bisogna stare comunque attenti: i carlofortini non sono gli unici appassionati di questo pesce e in Europa esistono soglie vincolanti di pesca che non possono essere superate.

Matteo Buonanno Seves

 

 

IL VIAGGIO DEI TONNI VIVI VERSO I MERCATI DEL MARE NOSTRUM

 

La comunità europea é favorevole al loro utilizzo, prova ne sia che questo sistema di ingabbiamento riceve finanziamenti dagli stati membri.

 

La pesca del tonno, secondo la legge italiana, è aperta soltanto dal 15 maggio al 14 giugno, ma la possibilità di poterli comprare sui banchi dei mercati ittici della penisola e poterli consumare tutto l’anno ci induce a porci qualche domanda.

Per capire il segreto di questo commercio in forte espansione, occorre sapere che ormai da un ventennio la domanda di TONNO cresce in modo esponenziale sui mercati nazionali ed internazionali che hanno il loro epicentro nell’Estremo Oriente.

Siamo così entrati con molta curiosità nei meccanismi principali che regolano la pesca e la vendita del tonno che, cambiate le sue regole ed anche le complesse tecniche di allevamento che precedono la fase finale del ciclo,  ha allungato i suoi orizzonti via mare verso rotte e mete lucrose sempre più lontane e difficili da raggiungere a rimorchio... 

A dire il vero, è stato proprio questo aspetto: il viaggio a rimorchio dei tonni all’interno di grandi gabbie ad aver catturato la nostra attenzione.

 

Entrando più nel dettaglio possiamo dire che le tonnare tradizionali, insieme ad altri sistemi di reti più moderne: (saccaleva o rete a circuizione), provvedono alla cattura del tonno che viene trasferito in appositi “bacini galleggianti”. L’immissione del tonno vivo in queste “prigioni” abbastanza criticate dagli ambientalisti, fa crescere il pescato sotto misura così da poterlo rivendere su richiesta del mercato, nella taglia voluta e commercialmente conveniente.

Riferendoci ora alla nuova disciplina della pesca del tonno rosso del Mediterraneo, voluta dalla CEE e supportata scientificamente dall’ICCAT, si passa ad uno degli aspetti più importanti dell’attività di conservazione in mare del tonno, vale a dire il trasferimento nelle gabbie che vedremo nel dettaglio.

L'Acronimo ICCAT si riferisce a: International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas”. Tale Commissione fu fondata in seguito alla Convenzione Internazionale per la Conservazione dei Tonnidi dell'Atlantico firmata a Rio de Janeiro il 14 maggio del 1969.

 

Il circuito ci viene spiegato meglio dagli specialisti:

 “…… dell’ingabbiamento, ovvero della possibilità per le imprese singole, cooperative o loro consorzi di costruire degli allevamenti dove depositare i tonni catturati vivi nel periodo di tempo concesso. Le norme valgono essenzialmente per gli individui che sono sotto le misure prescritte: 30 chilogrammi o 115 centimetri di lunghezza. L’immissione di questo prodotto vivo nel bacino galleggiante fa crescere il pescato sotto misura così da poterlo rivendere su richiesta del mercato, nella taglia voluta e commercialmente conveniente”.

 

Sono gabbie lunghe 60 metri e vengono trainate da rimorchiatori potenti ma per ragioni legate alla vita stessa del tonno, la velocità di questi “strani” convogli non può superare 1 nodo all’ora.

 

Chi scrive ha lavorato, una decina d’anni al comando nel settore dei rimorchi portuali e d’altura, ed anche negli anni successivi, da pilota del porto di Genova, si è sempre occupato con passione dell’evoluzione tecnologica di questi mezzi molto particolari e versatili, ma solo da pensionato ha scoperto che da circa 15/20 anni vengono effettuati rimorchi di tonni vivi in gabbie speciali. Ovviamente, avendo solo informazioni di seconda mano, si affida anche in questo caso, ad un bravo  giornalista: Mario Bussani che ci descrive in modo molto preciso ed efficace quanto segue:

 

La gabbia è costruita in materiale sintetico. Contiene mediamente al suo interno 2.000 tonni; calcolando ciascun individuo di 100 kg, abbiamo una potenzialità in peso di 200 tonnellate, con un volume disponibile per ogni capo di 56 m3 di mare.

 

 

Teoricamente si potrebbero contenere in quello stesso spazio molti più pesci, ma è un rischio elevato poiché questi ultimi, ristretti in quello stessa capacità, potrebbero ammazzarsi durante gli spostamenti con le gabbie al traino. Il diametro del bacino, come detto, è di 60 metri, mentre la rete ha le maglie di 40 centimetri di lato. L’intera struttura è trattenuta in basso da cinque zavorre o corpi morti ciascuno delle quali pesa 650 kg circa. Durante il trasporto la gabbia stessa è trainata da una cima sintetica in polietilene, lavorata a cavo torticcio, di 300 metri di lunghezza e con un diametro da 12 a 15 centimetri. Di notte è segnalata la sua posizione con delle luci particolari, anche per il traino e per il rimorchiatore: una luce bianca fissa e una lampeggiante, oltre alle normali luci di posizione per la navigazione. È inoltre munita di un deflector radar (sagoma metallica per l’individuazione del punto trasmesso sullo schermo radar) per l’avvistamento a distanza sullo schermo delle altre navi. La velocità di crociera della gabbia al rimorchio, quando è vuota, può raggiungere 3,6 miglia all’ora; quando, invece, è carica con pesce vivo non deve superare 1 miglio all’ora altrimenti i tonni potrebbero perdere dentro, nel bacino, il loro orientamento sistematico, che è permanentemente circolare, in senso destrorso, ovvero in direzione oraria. In tal caso, si scontrerebbero tra di loro ferendosi prima e uccidendosi poi, all’interno del bacino stesso con la logica conseguenza della perdita del prodotto.

 

 

Le rotte più battute sono: Trapani-Marsiglia – Trapani Malta - Sud Sardegna-Marsiglia - Sud Sardegna-Malta. I viaggi più lunghi possono durare anche un mese e più giorni perché molto dipende dalle rotte scelte e dalle condizioni meteo che s’incontrano nelle stagioni scelte per questi viaggi molto particolari.

 

Rimorchio Gabbie - Oceanis S.r.l.G

oceanissrl.it

https://www.oceanissrl.it › public › allegati › pr...

PDF

Rimorchio Gabbie. “CAMPAGNA DI PESCA AL TONNO ROSSO 2018”. INCONTRO RIVOLTO AI COMANDANTI E/O ARMATORI DEI. RIMORCHIATORI (TUG) IMPEGNATI NELL'ATTIVITA' DI ...11 pagine

 

 

 

 

 

ECCO COME APPARE UNA GABBIA IN NAVIGAZIONE

 

 

 

 

 

 

Nel mare esistono circa 50 specie di tonno, tutte più o meno accomunate dal corpo robusto e dalla forma affusolata, perfetta per nuotare velocemente. Quattro sono però le varietà più consumate: tonno rosso, alalunga, pinna gialla e tonnetto striato.

 

LA TONNARELLA DI CAMOGLI

A conclusione di questa ricerca riportiamo lo stralcio di un’interessante ricerca storica sulle tonnare liguri della scrittrice camogliese Mariotti Annamaria Lilla che riguardano il Tigullio.

 

 

UN PO’ DI STORIA…  Le tonnare liguri 

Nel 1600 alcune di queste tonnare si trovavano lungo tutta la Riviera Ligure, ma tre sole erano le più importanti e remunerative. Nella seconda metà del 1600 la prima tonnara in ordine di importanza era quella di Camogli, seguita da Monterosso e da Santa Margherita. La tonnara di Camogli ha origini antichissime, le prime notizie scritte risalgono al 1603, quella di Monterosso era già in funzione alla fine del 1500, e quella di Santa Margherita risale al 1617.  Queste sono le prime notizie storiche a cui si può risalire, ma sicuramente erano tutte molto più antiche perché nel 1300 era già attiva una tonnara a Portofino Mare e ancora prima gli Abati di San Fruttuoso avevano calato una tonnara tra San Fruttuoso e Punta Chiappa, ma le forti correnti li avevano fatti desistere.  Tra il 1383 e 1385 abbiamo notizia di alcuni Portofinesi multati o condannati per aver venduto o occultato del tonno. Nel 1388 Nell'inventario di Oberto Graziano, barbiere di Portofino, figura un barile di tonnina sott'olio, già una rarità a quell'epoca, in cui il tonno veniva ancora solamente salato.  

Nel 1608 era già stata calata una tonnara nel golfo di Rapallo e nel 1617 viene accordato a Benedetto Costa l'appalto per la tonnara di Santa Margherita.  Nel 1618 quattordici pescatori di Camogli si associano con Costa che da parte sua impiega quattro uomini, con l'impegno che il primo tonno pescato doveva essere offerto al Santuario si Santa Maria di Nozarego per un voto fatto dallo stesso Costa.  Tanto valeva il tonno a quei tempi che poteva essere usato come ex-voto al posto di un qualsiasi oggetto di valore, infatti la pesca dei tonni era considerata molto lucrosa, perché in quegli anni ne venivano ancora pescati molti.  Tutta l'economia delle piccole città costiere gravitava intorno a questa attività.    Una parte degli utili di questa tonnara fu impiegato per il restauro di quel Santuario. 

 

Da una ricerca di Carlo Gatti:

La tonnara di Perdas de Fogu a Sorso (sassari)

Rilevo alcune parti curiose che si riferiscono alla presenza di

alcuni liguri delle nostre parti…

 

…. 1769 iniziò così l’ultima fase della tonnara di Perdas de

Fogus che vide contrapposti due schieramenti: da una parte

Emanuele Vivaldi e creditori del defunto residenti nel capo  

meridionale della Sardegna, e dall’altra Scajoni che aveva 

acquistato i diritti di alcuni creditori liguri della tonnara. Per i

Vivaldi era in ballo il predominio nelle loro tonnare fino al

termine dei contratti nel 1785, poiché neanche alle saline

andava tutto per il verso giusto. Lì i locatari avevano rescisso

il contratto nel 1768, motivando la loro decisione con l’aspra

concorrenza di Perdas de Fogu collocata sopravvento – quindi –

raggiunta prima dai branchi dei tonni – per cui la quantità dei

pesci catturati sarebbe notevolmente diminuita, da quando

lo stabilimento di Sorso aveva ripreso l’attività.

La tonnara delle Saline passò ai mercanti:

Raimondo Belgrano di Diano e Francesco Rapallo di Cagliari,

anche lui di origini liguri ….

 

 

Conclusione:

Il mondo che gira intorno alle TONNARE ha subito un forte cambiamento nei secoli, la tecnologia ha facilitato tutte le operazioni legate alla filiera del pescato. Se un tempo i tonni venivano venduti e consumati sui mercati locali, oggi, come abbiamo visto, è il Giappone che guida e comanda il mercato mondiale delle moderne degustazioni del Sushi…Tuttavia, c’è da sottolineare che la TRADIZIONE ITALIANA in questo settore è dura a morire come rileviamo da un sito carlofortino:

“...a conservare il senso di ciò che fu per secoli è rimasta la lingua viva, e ancor oggi che le cose son cambiate, le parole, i nomi delle cose sono quelli antichi. Molto del lavoro si svolge ancora come fu nei secoli passati: quello della tonnara si rivela a tutt’oggi tra i vari modi della pesca praticati, il meno dannoso per la specie, a dispetto del suo carattere cruento. Il più sostenibile nel suo scegliere i capi da pescare, nel risparmiare gli altri. Nel suo confronto diretto con la forza del tonno, sono da sempre il rispetto dell’animale e la necessità sentita di salvaguardare il suo ambiente naturale”.

 

 

La conclusione vista da un altro punto di vista....:

RPIMEDIA

Investigative Reporting Project Italy

 

La mattanza invisibile

Un sommozzatore svela le reali conseguenze della pesca al tonno rosso nel Mediterraneo. Gli esemplari morti sono molti di più di quanto dichiarato, e le quote di trasferimento vengono sforate senza alcuna preoccupazione. In un settore impregnato di omertà

30 Novembre 2022

https://irpimedia.irpi.eu/mattanza-invisibile-tonno-rosso/

Nel 2015 dedicai un servizio al settore della pesca:

ALLEVAMENTO DI ORATE E BRANZINI NEL TIGULLIO

Un settore in forte crescita grazie all’iniziativa del “rapallino” Roberto CO’

https://www.marenostrumrapallo.it/aqua/

L’articolo non ha nulla a che fare con i tonni, tuttavia molta attrezzatura: reti,  gabbie e mezzi  nautici danno l’idea, con le dovute differenze, della stessa tecnologia impiegata nel moderno settore che abbiamo trattato.

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, Martedì 21 Giugno 2023

 

 

 

 

 


LA CHIESA DI SAN MARCO AL MOLO - PORTO DI GENOVA

 

LA CHIESA DI SAN MARCO AL MOLO

PORTO DI GENOVA

 

La chiesa del Porto, costruita per tre lati sull’acqua, accoglieva i naviganti già nell’alto Medioevo

 

La chiesa nasce nella zona più antica del porto. La denominazione "al molo" indica proprio la sua vicinanza all'attracco delle navi nella parte più trafficata dell'epoca.  Si tratta dell’unica chiesa che si trova ancora oggi murata tra le case d’abitazione all’interno della cinta portuale.

L’altra importante peculiarità fu che l'arcivescovo Ugone della Volta, tra il 1163 e il 1188, la fece costruire su richiesta del “popolo del porto”  che lavorava nelle attività commerciali, nei servizi portuali e in quelle numerose Corporazioni degli artigiani navali che si occupavano delle riparazioni navali.

E’ persino superfluo rimarcare quanto questa CHIESA  rappresenti al suo interno un prezioso scrigno in cui si conserva lo spirito della Genovesità/Zeneixitae mercantile che è sempre stata la fucina di grandi  navigatori e armatori i cui nomi riecheggiano nel mondo dello Shipping internazionale da molti secoli.

 

MOLO VECCHIO nel 1760

 

 

 

UN PASSO INDIETRO

Il dipinto di Antonio Varni (foto sotto) rappresenta scene di vita quotidiana a Genova. Si nota la chiesa di San Marco al Molo che fa da sfondo alla vita in porto. Una chiesetta del XII secolo, nascosta nel fronte del Molo che oggi borda il parterre del Porto antico.

 

 

 

La foto (sotto) ritrae la chiesa di San Marco alla fine dell'800. In primo piano si nota la difesa a mare della città, costruita nel XVI secolo.

 

 

 

 

IL MOLO VECCHIO NEGLI ANNI '50 DEL NOVECENTO

 

 

 

 

IL MOLO VECCHIO OGGI

 

 

 

 

Nella  foto sotto scattata da un drone, si fatica ad intravedere la chiesa di San Marco al Molo. L’edificio religioso appare soffocato da case d’abitazione. La freccia rossa poggia quasi sul suo campanile. L'immagine dà l'idea precisa della sua posizione centrale che fu nel porto medievale.

 

 

IL MOLO VECCHIO(sotto) con i suoi magazzini in primo piano, è stato inglobato nel Porto Antico di Renzo Piano aprendosi alla città e attirando il turismo d’élite.

 

 

 

Passeggiando nel  Porto Antico ...

L’anonima entrata della chiesa di San Marco al Molo

 

 

 

 

SAN MARCO 

STORIA DELLA CHIESA DEL PORTO

 

La piazza prende nome dalla prospiciente chiesa dedicata a San Marco, il quale nato in Cirenaica quando Cristo aveva già compiuto la sua missione, si trasferì a Roma dove infuriava la persecuzione contro i seguaci del Nazareno. Il contatto quotidiano con San Pietro lo rese edotto sulla vita e sui fatti miracolosi del Salvatore, ed ebbe così modo di scrivere il Vangelo che da lui prese nome. Dopo il martirio di San Pietro, Marco lasciò Roma ed andò ad Aquileia dove fu il primo vescovo; trasferitosi in Egitto fondò in Alessandria la prima chiesa, quando preso dagli eretici fu sottoposto al martirio al quale seguì la morte. Fin dall’VIII secolo il corpo di San Marco fu conservato nella chiesa episcopale da lui fondata, ma nell’anno 815 fu trafugato e portato a Venezia dai nobili veneziani Buono Tribuno e Rustico di Torcello. Da quel periodo il culto verso San Marco si diffuse anche a Genova, malgrado i documenti che ci rimangono al riguardo non vadano anteriormente al secolo XII. Il primo infatti è l’atto relativo alla costruzione della chiesa dedicata a San Marco; nel documento datato 26 gennaio 1173, risulta la richiesta di un Striggiaporco, figlio di Giovanni Nepitella da cui discendono i Salvago, per ottenere dai Consoli un pezzo di terreno presso il Molo, e fabbricarvi una chiesa da dedicare a San Marco evangelista. Un altro documento riguardante la chiesa è contenuto in una lettera di papa Alessandro III al vescovo di Tortona datata 20 settembre 1175. La chiesa sorse nella cornice assai pittoresca delle casupole antistanti la zona del Molo, ed appena finita accolse le spoglie del patrocinante della sua costruzione: lo Striggiaporco, la cui tomba fu detta dei Salvaghi, suoi discendenti, che ivi per secoli ebbero diritto di sepoltura. L’Arcivescovo Ugo della Volta (1163-1188) non esitò ad erigere in parrocchia la nuova chiesa, sotto la dipendenza del Capitolo della Cattedrale, incontrando l’ostinata opposizione dei parroci confinanti i quali non lasciarono nulla d’intentato per contrastare la decisione vescovile. L’originaria chiesa romanica ebbe a subire nel tempo delle modifiche ed aggiunte che ne compromisero le sorti, anziché abbellirla come era nell’intento di chi vi operò i lavori. Già alla fine del secolo XV la forma primitiva poteva dirsi scomparsa; il campanile, singolarissimo nella sua pianta ottagonale, molto simile a quello del non distante San Donato, durò più a lungo, ma minacciando rovina fu abbattuto nel secolo XVII.

L’ampliamento della chiesa secondo il suo assetto attuale che la mostra incorporata in una casa, risale al periodo di costruzione dell’ultima cinta muraria cittadina (1630) e venne realizzata con la contribuzione finanziaria della Corporazione dei Calafati, la quale fece anche costruire per proprio conto la cappella dedicata ai Santi Nazario e Celso che secondo la tradizione naufragarono davanti a Genova e furono salvati dai marinai genovesi. Si ricorda inoltre che San Marco fu sede della confraternita dei barcaioli, risalente al 1265, e della casaccia dei “bombardieri” o fonditori di cannoni i quali svolgevano la loro attività nelle vicine officine del Molo. Il concorso di privati arricchì la chiesa di tele e di sculture.

Nel 1346 la Conservatoria della Vergine dell’Umiltà adornò un altare con un dipinto del camogliese Bartolomeo Pellerano, che scioltasi la Conservatoria fu trasferito altrove, nella chiesa di San Giorgio costruita a Palermo dai genovesi colà residenti. Altre opere si aggiunsero nel tempo ad adornare gli altari della chiesa, fra i quali, come tra breve vedremo: “Lo sposalizio di Santa Caterina” di Orazio De Ferrari; “Martirio di Santa Barbara” di Domenico Fiasella; “Nostra Signora del Soccorso” di G.B. Carlone; Gruppo scultoreo di Francesco Schiaffino raffigurante i Santi Nazario e Celso; Assunta” scultura lignea di A.M. Maragliano.

Nel secolo XVI la chiesa di San Marco risultava una delle meglio officiate della città; e dal 1593 per decisione del capitolo di San Lorenzo vi si svolgeva una solenne processione di ringraziamento, dopo che la popolazione aveva superato un critico periodo di carestia, con l’arrivo inaspettato in porto di molte navi cariche di grano. Vanno inoltre ricordati i cimeli marmorei, apposti alle pareti della chiesa. All’esterno sul lato di via del Molo il Leone di San Marco, portato in patria da Gaspare Spinola, da Pola, dopo la vittoria del 1380 sui veneziani. Altro marmo decorato dai fregi del Della Porta, ricorda la pulizia del fondale marino, operata in quel tratto di mare compreso fra San Marco ed il Ponte dei Cattanei, nell’anno 1513.

Durante il periodo bellico, nell’ottobre 1944, la chiesa fu fatta evacuare per il progettato piano germanico di distruzione del Molo con le adiacenti banchine; fortunatamente tale disegno distruttivo non ebbe luogo e nel dopoguerra saggi di restauro hanno rimesso in luce le colonne romaniche originarie, caratterizzate da capitelli cubici di pietra nera, e la linea perimetrale della prima abside, segnata da un corso di mattonelle chiare.

La chiesa di San Marco era meta dei condannati a morte, i quali dinnanzi ad essa ricevevano la benedizione prima di essere condotti al supplizio. L’ultimo giustiziato a Genova nella zona del Molo fu Antonio Cella, (nativo dell’entroterra di Chiavari) il 5 gennaio 1855.

Sulla piazzetta prospiciente la chiesa s’ergeva il Palazzetto dove fino al 1428 ebbero sede i Salvatori del Porto e del Molo, e successivamente anche i Padri del Comune.

L’edificio nel 1565 fu ceduto al Magistrato dell’Abbondanza per costruirvi ampi magazzini.

Porta di San Marco:

La porta, la quale dà accesso alla calata dei Cattanei, prende nome dalla stessa chiesa di San Marco; un tempo esisteva una loggia eretta nel 1346 in aderenza alla chiesa che risulta citata in antichi documenti con nome “Logia Sancti Marci”. In sua memoria una lapide del 1346 ricordava la concessione in locazione dell’ufficio dei Protettori delle Compere ai massari della chiesa di San Marco. Gli stessi massari nel 1571 la subaffittarono al Magistrato dell’abbondanza che l’utilizzò per stivare il grano.

Nel 1648 con decreto dei Padri del Comune datato 20 aprile, si concedeva al rettore di San Marco la facoltà di chiudere detta loggia, situata contigua alla chiesa di fronte al suo ingresso: “ante continguam dicte ecclesie”.

 

PEZZI DI STORIA PORTUALE

 

“I lavoratori del porto di Genova hanno da epoca antichissima avuto – scrive Luigi Einaudi nel 1901 – la tendenza a raggrupparsi in corporazioni, per la tutela dei loro interessi e per la determinazione dei salari e delle altre condizioni di lavoro. Dove gli imprenditori sono pochi e gli operai si contano a migliaia, e tutti sono suppergiù, egualmente forti ed atti a compiere il rude lavoro di facchinaggio che è loro imposto, è naturale che gli operai si riuniscano in società per non portarsi via il pane l’un l’altro, per regolare, una volta per sempre, l’ammontare del salario e la durata del lavoro.  Siccome il lavoro del porto non è continuo, ma muta di giorno in giorno per intensità e ampiezza, così è necessario che sul porto esista un’armata di lavoratori capace di far fronte ai lavori di luna massime nello scarico e nel carico: e siccome nei giorni di lavoro medio od inferiore alla media non tutti possono essere occupati, così è d’uopo che gli operai si accordino per alternarsi al lavoro in modo che nessuno corra il rischio di morire di fame, quando il lavoro è scarso”.

 

(nella foto sotto)

Nei dintorni di via del Molo: la cisterna  era utilizzata per rifornire lavatoi, fontane, navi e velieri

 

Alla base dell'edicola, la scritta:

"Moles Esto et Molias"

 Sii barriera e calma le tempeste

 

 

A due passi dal Porto Antico, nel cuore di Genova, si trova via del Molo, stretta stradina che porta dal centro storico verso il mare. Qui, più o meno all'inizio, i turisti e i residenti possono ammirare un'antica edicola votiva sulla facciata di quella che viene chiamata "Fontana dei cannoni". (foto sopra).

L'edicola risale al 1634 ed è dedicata a San Giovanni Battista, ed è interessante notare che proprio qui terminava il ramo detto di "Castelletto" del tratto più antico dell'Acquedotto Storico di Genova.

In questa fontana, che era più una cisterna, come spiega Mauro Ricchetti in "Le Madunnette dei Caruggi" (Erga) erano infatti raccolte le acque provenienti dalla Val Bisagno per rifornire lavatoi, fontane, navi e velieri.

 

 La strana scultura della "testa del boia" in via del Molo

All'ultimo piano di una casa in via del Molo (quella che da piazza Cavour conduce al Porto Antico, (foto sotto), poco prima che inizi il tetto, in un angolo è scolpito un viso nella pietra (seconda foto sotto).

 

 

 

 

Per alcuni rappresenta il boia, per altri le teste mozzate. Per altri invece è semplicemente il dio Giano, uno dei protettori della città.

Pare che la scultura sia collegata alle esecuzioni capitali che in antichità avvenivano proprio sul molo. La macabra rappresentazione è forse un monito per significare: "comportatevi bene, altrimenti questo è quel che vi aspetta".

 

LA CASA DEL BOIA

La Casa del Boia detta anche casa di Agrippa, in quanto vi fu rinvenuta una lapide appunto dedicata a Marco Vipsanio Agrippa, Ammiraglio dell’imperatore romano Augusto.

 

Ma già nel 1500, appunto, qui molte persone trovarono la morte, e per giustiziarli si ricorreva all’impiccagione o al taglio della testa per mezzo di una scure, ma anche della ghigliottina che tornò in funzione al Molo nel 1806, quando la Liguria era ormai stata annessa all’Impero di Napoleone.

 

 

 

LE CORPORAZIONI PRESENTI IN VIA DEL MOLO

 

Al Molo, prima del Rinascimento, esistevano già 228 botteghe, delle quali almeno 1/3 dovevano essere dedicate all’arte della marineria.

 

“Lungo le calate dei vecchi moli, tra gli edifici alti e stretti addossati l’uno all’altro, in quel distretto un po’ fiabesco dove ogni via rimanda a un mestiere, ecco, in quell’aria spessa carica di sale…”

 

Qui erano le botteghe dei mastri d’ascia e dei cordai che testimoniano gli antichi mestieri di una volta con i nomi stessi dei vicoli:

 

- Via dei Calderai: Antica strada formatasi sul letto prosciugato del torrente Kemonia.
La peculiarità di questa strada è quella di ospitare ancor oggi numerose botteghe di artigiani calderai.

Il quartiere ebraico, si trovava ai margini del torrente Kemonia, era compreso tra il Ponticello, la via Calderai e la via del Giardinaccio.

Il centro del quartiere gravitava attorno alla sinagoga detta volgarmente «meschita», nome ricordato dalla strada in cui sorgeva.

 

- Vico Ferrari: Si ritiene che la denominazione derivi dalle officine che vi avevano i “ferè” (fabbri) per i lavori che eseguivano sulle navi. In tempi lontani il vicolo comunicava direttamente con il Molo. 

 

- Vico Malatti: Sito nel quartiere del Molo  in origine vico Malatti  era uno dei numerosi vico dell'Olio
presenti sparsi in città.

 

- Vico dei Bottai: “nomen omen”, ricorda quando si iniziarono a costruire le abitazioni fuori dalla cinta muraria e si formarono borghi che presero il nome dalle corporazioni artigiane in essi raggruppati. L’industria dei bottai fu qui fiorente fino agli inizi del nostro secolo. In seguito le varie officine poco per volta scomparvero ed oggi continua solo la tradizione. Vico Bottai si estendeva in origine fino al mare. La costruzione delle mura del molo ed i successivi ampliamenti della zona portuale ne ridussero notevolmente la lunghezza. 

 

- Vico Palla: deriva dal fatto che nel vico usavano riunirsi, prima e dopo le competizioni sportive, i giocatori del pallone. Sport diffuso nella nostra città anche nei secoli scorsi. Vico Palla è fiancheggiato da due edifici: i magazzini di S.Marco e i depositi del sale.

 

- Vico delle Vele: Il toponimo di Vico delle Vele sito nell'antico quartiere del Molo rimanda al luogo dove avevano sede i laboratori degli artigiani velai.

 

- Vico Cimella: L'origine del toponimo Cimella rimanda alla traduzione di Cimiez nome della cittadina natale di San Celso Martire. Cimiez vicino a Nizza, infatti, era un tempo genovese e il Santo, insieme a Nazario, fu il primo a predicare il Vangelo in Liguria.

Gli Stoppieri erano commercianti di stoppa e canapa, un lavoro connesso alle arti marinare (cavi e cime di ogni tipo e misura) che al Molo regnavano sovrane in quanto fornivano materiale e maestranze specializzate, ad esempio i CALAFATI che riparavano gli scafi in legno dei velieri messi in "secco" per renderli navigabili.

Era su queste attività che si basava la vita degli abitanti del Molo e Genova che, per mantenere in buona efficienza il loro porto, stabilirono, fin dal 1134, delle gabelle che le navi dovevano pagare quando attraccavano in quelle banchine per fare operazioni commerciali.

 

"Le corporazioni medievali, o arti, erano categorie professionali costituite dall’insieme dei lavoratori e imprenditori di un determinato settore e iniziarono a diffondersi nell’età comunale soprattutto nelle città dell’Italia centro-settentrionale; conobbero il loro maggiore sviluppo tra Duecento e Trecento, andando poi a scomparire tra Sei e Settecento. 

Le corporazioni disciplinavano le strutture lavorative in ogni loro aspetto: regolamentavano la trasmissione del sapere tecnico attraverso l’apprendistato, ostacolavano la concorrenza, stabilivano prezzi, salari e condizioni di lavoro dei loro sottoposti ma allo stesso tempo fornivano un aspetto assistenziale, coordinando e sostenendo le singole botteghe.

Col passare del tempo, per esercitare un mestiere, l’iscrizione all’arte diventò obbligatoria e sempre più complicata per chi non faceva parte dei nuclei familiari già iscritti: le corporazioni si trasformarono così in gruppi privilegiati in cui il carattere di mobilità sociale si perse del tutto.

Alcune arti divennero ricche e potenti istituzioni cittadine tanto che, dalla seconda metà del Quattrocento, il crescente potere degli Stati cercò di limitarne i privilegi; tra Cinque e Seicento la struttura delle corporazioni iniziò ad apparire superata, troppo rigida, non in grado di tenere il passo delle nuove esigenze dell’industria e dei grandi traffici commerciali, andando così a scomparire".

 

PORTA SIBERIA

 

 

A strenua difesa del porto, nel 1553 venne costruita Porta Siberia, (foto sopra) che deriva il suo nome da cibaria, in quanto vi erano in quella zona i depositi del grano, ovvero i Magazzini dell’Abbondanza, ai quali presiedeva un Magistrato, addetto al controllo dei prezzi e al buon andamento del commercio.

E qui erano anche i magazzini del Sale, ai quali era preposto un altro Magistrato.
Dalla porta si ergevano le Mura, l’ultimo tratto, le Mura di Malapaga, prendeva il nome dal carcere che lì si trovava, dove ai tempi della Repubblica, venivano detenuti i cattivi pagatori, gli insolventi dei propri debiti.

 

Le strade che corrono parallele a Via del Molo sono molto antiche

 

"Molto suggestiva è la prospettiva di vico Malatti: con un po’ di fantasia possiamo immaginarla brulicante di vita, con le donne affacciate alla finestra e i marinai, con le loro reti e loro vele, che rincasano con il loro carico di pesci…"

 

In questa immagine, sullo sfondo, potete intravedere il muro di Porta Siberia

 

 

Vico Cimella

 

 

 

 

ED ORA ENTRIAMO NELLA CHIESA DI SAN MARCO AL MOLO

 

 

La foto sotto mostra l’inconsueto semplice ingresso senza portale che tempi addietro si trovava dal lato opposto.

 

 

 

IL LEONE DI SAN MARCO

N.B.

Le foto che seguono e che riguardano gli interni della chiesa di San Marco al Molo sono tratte dallo splendido sito di Mrs. Fletcher che ringrazio sentitamente per i tanti spunti di arte e cultura che ci offre con tanta cura e competenza.

Sul muro laterale dell’edificio appare il bassorilievo del Leone di San Marco, che risale al 1379, al tempo delle guerre tra le Repubbliche Marinare quando a Pola, i Genovesi inflissero ai Veneziani una pesante sconfitta e come bottino di guerra si portarono via il LEONE, che era il simbolo della grandezza della città lagunare.

Ed il Leone di San Marco è ancora qui, sulle mura della chiesa dedicata a questo Santo

 

 

La chiesa è un Museo di storia marinara in cui ogni lapide marmorea descrive un episodio importante della città portuale.

 

Vicino al LEONE, vi è murata una lapide a ricordo del dragaggio dei fondali del porto realizzato nel 1513 ad opera dei Padri del Comune

 

 

 

Gli Interni della Chiesa di San Marco al Molo

 

L'interno, il cui orientamento è stato capovolto nel XVI secolo rispetto alla costruzione romanica, conserva la pianta basilicale a tre navate, separate da colonne in pietra rustica, sormontate da capitelli cubici e archi a tutto sesto. L'originaria copertura a capriate lignee è stata sostituita da una volta a botte, realizzata nel Settecento. 

 

 

 

Si è subito attratti dai dipinti di grandi pittori della scuola barocca genovese: Domenico Fiasella - Orazio De Ferrari e dalla splendida statua lignea dell’Assunta, opera di Antonio Maragliano, (foto sotto) risalente al 1736.

 

Accanto alla parete d’ingresso: L’Assunta, statua lignea di Anton Maria Maragliano

 

 

 

 

 

MADONNE D’OLTREMARE

 

Madonna del Soccorso (fine del XVII secolo)

 

Nella cappella alla destra del presbiterio, altare in marmo di Daniello Solaro  (fine del XVII secolo),  dedicato alla Madonna del Soccorso, raffigurata in una tavola di Giovanni Carlone, racchiusa in una scenografica cornice marmorea.

 

 

 

 

MADONNE BAROCCHE

 

Madonna e i santi Nazario e Celso

Francesco Maria Schiaffino (1735) commissionato dalla corporazione degli Stoppieri (calafati), come indicato da un’iscrizione presso lo stesso altare.

 

 

 

 

 

Martirio di Santa Barbara

 

Opera giovanile di Domenico Fiasella (1622)

Commissionato dalla corporazione detta dei Bombardieri (addetti alla costruzione e all'uso delle artiglierie) 

 

 

 

Ma anche le tracce della vita di persone come Nicola Pinto, la cui vicenda viene narrata sulla lapide che richiude la sua sepoltura.

 

 

A Nicola Pinto, portoghese, giovane di ottimi costumi che,
preparato alla scuola di belle arti,
mentre si affrettava verso Roma per raggiungere l’affezionatissimo fratello,
assalito qui da immatura morte,
perì a 22 anni nell’anno 1591 della salvezza umana.

 

 

LA CHIESA DI SAN MARCO FU L’ULTIMA VISIONE CHE EBBERO I CONDANNATI A MORTE

 

Amarezza, tristezza, pentimento? Nessuno saprà mai descrivere lo stato d’animo dei condannati a morte che percorrevano Via del Molo per ricevere l’ultima benedizione che precedeva la forca.

 

All’interno della chiesa di San Marco si trova ancora una lapide che ricorda quelle tristi esecuzioni.

 

 

Il rettore di San Marco è tenuto in perpetuo
a celebrare messa
ogni sabato e il 2 novembre di ogni anno,
in canto all’altare del SS. Crocefisso,
per i morti di pubblico supplizio qui sepolti,
come scritto nel decreto registrato
del Signor Giovanni Battista
Aronio il 29 Aprile 1654

 

In San Marco al Molo vi si conservano in due teche identiche le reliquie di due martiri cristiane, Santa Tortora e Santa Donata, traslate qui dalla Sardegna nel 1631.  (foto sotto)

 

 

 

 

Tra tutte, una ricorda la costruzione di un altare, dedicato ai santi Nazario e Celso, molto cari ai genovesi che li salvarono miracolosamente da un terribile e miracoloso naufragio.  La targa marmorea del 1734 è opera della corporazione della corporazione degli stoppieri.

 

 

 

 

A gloria di Dio, all’esaltazione della Santa Croce, alla S.ma Vergine madre di Dio,
ai santi Nazario e Celso martiri,
questo altare creato dall’opera marmorea di Francesco Maria Schiaffino,
la corporazione degli stoppieri di pece a proprie spese dedicava
nell’anno 1735 come risulta dagli atti intercorsi con questa chiesa parrocchiale
e rogati dal notaio Giuseppe Onorato Boasi nei giorni 20 e 30 maggio 1734.

 

 

 

La storia di Nazario e Celso inizia sul territorio genovese, intorno al 60 d.C., quando l'attuale Albaro era un piccolo borgo di baracche sul mare. Pescatori videro dalla spiaggia un'imbarcazione in balia delle onde avvicinarsi alla costa. Sulla barca, erano due gli uomini legati. Infine, la tempesta fece si che il relitto di deponesse sul bagnasciuga. Liberato il piu' anziano, si udirono le grida del giovane chiedere acqua acqua... I pescatori restarono sbigottiti quando l'anziano tocco' una pietra e ne fece sgorgare acqua dolce. Nazario e Celso erano stati legati e dati in balia del mare da alcuni liguri di Levante, dove avevano portato la loro predicazione, evidentemente non ben accolta. Nazario era reduce da una fuga da Roma, per sottrarsi alla persecuzione dei cristiani da parte di Nerone. Proprio nel corso della fuga e della predicazione aveva convertito a Nicea (Nizza) il giovane patrizio Celso. Nel 76 d.c. i due trovarono infine in terra lombarda, in quel di Milano, il martirio e la decapitazione.

 

Non è un caso che GENOVA, la città della Lanterna e di tanti preziosi tesori nascosti in una miriade di caroggi, conservi in San Marco al Molo la sede ideale e spirituale di tutto ciò che accade nel suo Porto.

Martedì 7 maggio

 Genova ricorda la tragedia del crollo della Torre Piloti al Molo Giano, che causò 9 vittime.

 

Alle ore 19.30 nella chiesa di San Marco al Molo, il Card. Angelo Bagnasco celebra la S. Messa;

Alle ore 20.45 in Piazzale Porta del Molo lettura di “La Torre degli Eroi”; seguono gli interventi di Marco Bucci, Sindaco di Genova, Ammiraglio Giovanni Pettorino, Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, Edoardo Rixi, Vice Ministro alle Infrastrutture e Trasporti. Partecipano i famigliari delle vittime.

Nell’occasione, verrà scoperta una stele, che sarà benedetta dall’Arcivescovo, a ricordo delle vittime del crollo.

Alle ore 22 corteo verso il Molo Giano e alle ore 22.59, al Molo Giano, deposizione di una corona e momento di raccoglimento al suono delle sirene del Porto.

 

 

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GENOVA – LA CASA DEL BOIA

https://www.marenostrumrapallo.it/boia/

CAMALLI E CARAVANA

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I CADRAI DEL PORTO DI GENOVA

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LA GENOVA DELLE CALATE E DEI CARUGGI ....

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Carlo GATTI

 

Rapallo, 14 Giugno 2023