Il PITTORE CHIAVARESE AMEDEO DEVOTO

 

PRESENTAZIONE DEL PITTORE

AMEDEO DEVOTO

IL GRANDE PICASSO HA DETTO.

“CHI IMITA E’ UN MEDIOCRE – CHI COPIA E’ UN GENIO”

AMEDEO DEVOTO SA ANCHE COPIARE OLTRE A SAPER FARE QUELLO CHE E’ SCRITTO IN APPRESSO SE AVETE VOGLIA DI LEGGERLO

Natale 2012 - Amedeo Devoto durante la Fiaccolata al Rione Scogli

Amedeo Devoto è nato a Chiavari nel rione Scogli 1’8 Settembre 1935. Sin da bambino ha l’intuito per il disegno che sempre abbina a principi matematici e tecnici. Le scuole frequentate da Devoto sono quelle di Avviamento Industriale e pertanto può definirsi un autodidatta per eccellenza. Da giovane trova impiego dapprima alla Lames quale meccanico e poi, nel 1962, nel Cantiere Navale di Chiavari (ex Gotuzzo) come disegnatore tecnico progettista. Importante è il rapporto professionale che si instaura tra lui e il capo-progetto Gino Solari.

L’amicizia fra questi due straordinari “ragazzi degli Scogli” va avanti per moltissimi anni, sino alla prematura scomparsa di questo suo grande amico avvenuta nel 1997. Insieme, negli anni ‘70, progettano svariati tipi di imbarcazioni da diporto come il Barbagatto, il Riviera, l'Olivetta e inoltre la famosa Paraggina, che fu in competizione con i prestigiosi Ischia dei cantieri Baglietto.

Amedeo Devoto trova in seguito impiego nei Cantieri Navali di Lavagna dove continua nella sua attività di progettista. Collabora alla progettazione e alla costruzione degli Admiral e Ghibli, prestigiose imbarcazioni da diporto che possono annoverarsi fra le migliori produzioni italiane a livello internazionale. Nel 1975, durante la demolizione dell’edificio in cui era ospitato l'antico cantiere dei Gotuzzo, per il “rifacimento” dello stesso da parte della nuova proprietà, recupera buona parte dei piani di costruzione originali dei grandi velieri varati in questo cantiere di Chiavari nella seconda metà dell’Ottocento e primo Novecento; li ridisegna e li completa con tutti i particolari del disegno tecnico moderno. II più antico di questi piani è datato 1875.

E’ un importante salvataggio! Tutti questi preziosi piani di costruzione sono stati donati e sono conservati nel Museo Marinaro Tommasino-Andreatta che ha sede presso la Scuola Telecomunicazioni FFAA di Chiavari. Nella sala dei Velieri e degli Utensili dei Maestri d’Ascia del Museo trova anche posto il bellissimo diorama del Rione Scogli dal 1880 al 1910 che misura mt. 5,40 x 1,80 costruito da Devoto con la collaborazione di Giancarlo Boaretto. Fra le sue molteplici attività si è dedicato all’arte figurativa attraverso dipinti che hanno sempre una retrospettiva di ricerca storica relativa al rione Scogli. Le sue opere, emozionanti per chi le guarda, fanno rivivere l’epoca irripetibile delle costruzioni dei grandi velieri e della vita legata al mare e alla pesca quando la “Piazza”, prima chiamata “Ciassa di Barchi”, diventò, nell’uso comune, “Ciassa di Pescoi” o “Piazza dei Pescatori”. Tante attività di quel tempo, veri affreschi di vita quotidiana del passato che appaiono nei suoi quadri, sono frutto di racconti dei “vecchi” degli Scogli, che lui ascoltava e memorizzava quando era bambino e che ora materializza su tela e fa rivivere nei suoi dipinti.

Devoto si cimenta spesso anche in riproduzioni di copie d’autore del Caravaggio fra le quali citiamo Il Bacco, Il Ragazzo morso dal ramarro, Il Canestro di frutta, Il Bacchino malato e, non ultimo, Il San Matteo e l'Angelo, ricostruzione dell’opera originale di Michelangelo Merisi il cui dipinto è andato completamente distrutto a Berlino durante uno degli ultimi giorni di guerra nel 1945.

Ultimamente si è dedicato con successo alla costruzione di liuti e chitarre anche a 9 corde che spesso si diletta a suonare in forma privata o per gli amici più cari.

Per tutti Devoto è un uomo di grande ingegno e dalle mani d’oro con un carattere riservato, quasi schivo ma attento e rispettoso di tutti. Potremmo definirlo timido, per chi non lo conosce, ma dentro di lui albergano emozioni non comuni, una ricchezza d’animo straordinaria ed un amore infinito per il suo rione. Un giorno, guardando il mare dalla 'Piazza', mi ha detto: "Io, il Rione Scogli l’ho amato molto..... ma ..... non so ..... se gli Scogli hanno amato me!" gli ho risposto: sai, penso la stessa identica cosa !

Nel 2006, dalla Società Economica di Chiavari, gli è stato conferito il Premio Turio Copello per la sezione artigianato.

Questa raccolta di 120 opere è soltanto una parte delle quasi  200 prodotte negli anni da Amedeo Devoto sino alla data in corso. Per tutte le sue molteplici qualità, non credo di sbagliare a definirlo, un vero Artista.

(IL CATALOGO DI AMEDEO DEVOTO COMPRENDE ALLA DATA ATTUALE 120)

Ultimamente ha prodotto quadri su Rapallo, Lavagna, Sestri Levante ecc. Ma i suoi quadri hanno sempre alle spalle una ricerca storica meticolosa e precisa.

Vorrei aggiungere che Amedeo Devoto è schivo da ogni forma pubblicitaria anche perché non ne ha alcun bisogno.

Alcuni dipinti legati all'arte di Amedeo Devoto.



Quando nel 1956 Amedeo Devoto  era RADIOTELEGRAFISTA  a Napoli, durante il periodo di leva, disegnò sul retro del suo solino questa bellissimo ritratto di KIM NOVAK che quelli della nostra età ricorderanno certamente. Doveva dormire col solino sotto il guanciale e lo salvò per miracolo da parecchi tentativi di furto da parte dei suoi compagni d'armi. Si può capire il perché.


Come nasce una "retrospettiva" di Amedeo Devoto sul nostro Quartiere degli Scogli

L'ultimo suo quadro sarà una nuova prospettiva della PIAZZA GAGLIARDO che una volta si chiamava CIASSA DI BARCHI e ora è diventata PIAZZA DEI PESCATORI. Da una straordinaria e inedita foto ne ricaverà una nuova retrospettiva aggiungendovi sia a destra che a sinistra alcune "pezzi" dell'epoca. A sinistra, le case e i gozzi che nel 1938  sono scomparsi per il "cannibalismo" del nuovo proprietario del Cantiere Navale che in seguito costruì quello scandaloso edificio che è ancora sotto gli occhi di tutti ai nostri giorni. A destra aggiungerà le case che non esistono più perchè buttate giù dal mare e la casa Canepa più all'interno.

Sarà, per noi nostalgici, un vero capolavoro che naturalmente ho già prenotato. Quando il quadro è finito manderò l'immagine dell'opera e vedrete la differenza.



2010 - T/N EUGENIO C. Dipinto di Amedeo Devoto, simbolo della Mostra Mare Nostrum Rapallo

Olio su tela: 80 x 40 cm

L'ULTIMO VIAGGIO OCEANICO DELL'EUGENIO C. STA PER CONCLUDERSI. LA PILOTINA AFFIANCA LA BELLA NAVE E IL COMANDANTE CARLO GATTI DI RAPALLO LA PORTERA' ALL'ORMEGGIO DI PONTE ANDREA DORIA E POI, FATALMENTE, IN DISARMO. L'EUGENIO C.  ERA STATA PROGETTATA SIA PER IL TRAFFICO PASSEGGERI DI LINEA, SIA PER L'EMERGENTE SETTORE CROCIERISTICO. LE SUE LINEE ARCHITETTONICHE D'AVANGUARDIA LA PONEVANO TRA LE NAVI PIU' ELEGANTI DEL SUO TEMPO. DISLOCAVA 30.567 TSL. E LA SUA LUNGHEZZA ERA 217 Mt. SUPERO’ TEMPESTE MEMORABILI TRASPORTANDO IN SICUREZZA MIGLIAIA DI PASSEGGERI PER I SEVEN SEAS.

Al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta è conservata una "reliqua", un pezzo di lamiera di questa nave, dono di Piero Costa e la lettera del suo ultimo Comandante Pier Norberto Buatier che  descrive la vita e la morte di questa "grande e meravigliosa nave".

2011- La Partenza dei Mille da Ge-Quarto

Dipinto  di Amedeo Devoto, simbolo della Mostra Mare Nostrum Rapallo


2011 - Il REX - Dipinto di Amedeo Devoto, simbolo della Mostra Mare Nostrum - Rapallo


Ernani Andreatta

Rapallo, 01.01.13

a cura del webmaster Carlo Gatti




FRANCESCO TARABOTTO, il Comandante del REX

Tarabotto, il Comandante del REX,

sfollato a Rapallo  nella Seconda guerra mondiale

Diciamolo subito: il leggendario Rex era l’emblema della sfida lanciata da Mussolini a tedeschi e inglesi per la supremazia sui mari. Va da sé che fino al 1991, esaltare il Rex, in molti ambienti del nostro Paese, era  interpretato come apologia del fascismo.

La caduta del muro di Berlino non solo ha tolto il paravento a tante  ipocrisie, ma ha avuto il pregio di trascinare con sé quel radicalismo ideologico che, per almeno cinque decenni, aveva contrastato l’idea di commemorare certi “primati” che avevano fatto entrare, di diritto, l’Italia nella storia mondiale della navigazione.

In questo senso vanno interpretati i vuoti di memoria esistenti tuttora nei nostri musei navali, all’interno dei quali, ancora oggi, si prova la strana sensazione d’immergersi nella lettura di  un vecchio e pregiato libro, al quale sono state strappate le pagine più belle!

Questo gap storico, purtroppo, diventa lapalissiano se osiamo paragonare la produzione bibliografica  nazionale a quella di provenienza anglosassone. Lo stesso discorso vale per la presenza qualitativa e quantitativa dei siti internet di questo settore.

Dopo questa necessaria premessa, possiamo finalmente ricordare che il transatlantico Rex fu ordinato il 2.12.1929, la sua chiglia venne impostata il 27 aprile 1930 e fu varato nei Cantieri Ansaldo di Sestri Ponente (Ge) il 1° agosto 1931 per conto della N.G.I. (Navigazione Generale Ita-liana).

2.12.1929 - Il REX nel giorno del varo

Proprio così: sono passati 83 anni del varo della nave, di quel pomeriggio in cui il REX scivolò in mare, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, della Regina Elena e di settantamila spettatori. Il Rex diventò la nave ammiraglia della flotta italiana.

Il magnifico transatlantico portava con sé le cifre più alte, mai scritte nel Registro Navale Italiano: stazzava 51.062 tonnellate ed aveva una lunghezza di 268 metri, una larghezza massima di 31 metri ed un pescaggio di 10.07 metri; 142.000 cavalli di potenza gli consentirono di sviluppare alle prove di macchina, sulle basi misurate della Riviera ligure, una velocità massima di 29,5 miglia orarie. Aveva un equipaggio di 756 persone. Poteva trasportare 604 passeggeri di 1° classe, 378 di 2° classe, 410 in classe turistica, 866 in 3° classe.


Il REX con il Gran Pavese entra trionfante a New York – Lo attende il Nastro Azzurro

Il REX è ancora oggi la nave più rappresentativa nella storia dei “primati navali” del nostro Paese e qui ci piace inserire un’inedita veduta aerea, che ritrae la nave sullo scalo prima del varo. La peculiarità dell’immagine sta nel delineare la lunghezza dello scafo del transatlantico che arriva a lambire il bagnasciuga del Cantiere.

A proposito di record,  riportiamo quello che a noi pare il più curioso: nella consuetudine, è la nave che sceglie il porto adattandosi alle sue strutture. Nel caso del Rex, al contrario, fu il porto di Genova che, per potersi adeguare alle colossali misure della nave, dovette procedere alla demolizione del tratto terminale del Molo Vecchio e dragare il canale d’attracco verso Ponte dei Mille. Fu poi progettata e realizzata la nuova Stazione Marittima di Ponte Andrea Doria, destinata a provvedere alle operazioni d’imbarco e sbarco dei passeggeri; infine fu realizzato un ulteriore bacino di carenaggio della lunghezza di 261 metri che fosse in grado d’accogliere la nave per le periodiche manutenzioni e riparazioni. Il Rex entrò in servizio sulla linea celere del Nord America il 27 settembre 1932. Durante la sua costruzione, la compagnia armatrice mutò nome. Il 2 gennaio 1932 avvenne la fusione tra la N.G.I. di Genova, il Lloyd Sabaudo di Torino e la Compagnia Cosu-lich di Trieste, compagnie tutte che già operavano nel servizio transatlantico collegando i porti del Mediterraneo con il Nord America. I colori sociali delle unità delle tre flotte furono unificati.


REX e CONTE DI SAVOIA ormeggiati nel Porto Vecchio di Genova

La nuova Compagnia di Navigazione Italia Flotte Riunite si ritrovò sugli scali di costruzione, proprio in quegli anni, oltre al Rex, anche un altro bellissimo transatlantico, il Conte di Savoia che fu costruito nei Cantieri S.Marco di Trieste. Con questi “Giganti di linea”, (near sisters), simili ma non gemelli, l’arte della costruzione navale italiana, entrò di diritto nell’olimpo delle grandi tradizioni marinare. La loro perfetta armonia, esito felice d’eleganza e tecnica avanzata, ebbe l’ambito riconoscimento da parte della più qualificata clientela dell’epoca, che li scelse dinnanzi alle più celebrate “signore dei mari” che collegavano già da tempo le due sponde dell’Oceano Atlantico.

Il Rex, dotato di una potenza di macchina da far invidia alle navi da crociera moderne, era in grado d’esprimere una velocità altissima, che gli consentì di passare alla storia con l’impresa più affascinante della sua pur breve vita: la conquista del prestigioso Nastro Azzurro.

Il 10 agosto il Rex, al comando del capitano Francesco Tarabotto di Lerici, partiva da Genova alle 11.30 diretto a New York. Arrivò a Gibilterra il giorno successivo alle 17.30 e ne ripartì dopo un’ora. Nei giorni 13 - 14 incontrò mare agitato e venti contrari da ovest e sud ovest e il 16, alle ore 4.40 era al traverso del battello-fanale di Ambrose. La distanza da Gibilterra a New York, di 3.181 miglia, venne coperta in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti, alla velocità media di 28,92 nodi. Il massimo percorso effettuato in un giorno fu di 736 miglia alla velocità di 29,61.

Il Rex strappò il Nastro Azzurro al transatlantico tedesco Bremen e dovette consegnarlo, due anni più tardi, al mastodontico liner francese Normandie.

Il dott. Lodola, all’epoca noto farmacista rapallese, aveva affittato il piano terra della sua villa alla famiglia del comandante del Rex. Gli anziani di Via Aschieri non hanno mai dimenticato l’austera figura di Francesco Tarabotto.


Francesco Tarabotto, il Comandante del REX

“Un uomo di poche parole” – racconta la signora Lola Lodola ved. Barbiroglio –  “e il suo atteggiamento severo ci metteva in soggezione. Aveva un pizzetto curatissimo e gli occhi piccoli e neri che ti fissavano soltanto per dare degli ordini. Sembrava che indossasse la divisa anche quando curava i fiori in giardino; era l’epoca che dopo Dio c’era il comandante della nave. Io credo che Tarabotto sia stato in gara anche con il Padreterno per avere il comando assoluto sia in mare che in terra. Devo dire che i tempi erano difficili per tutti, specialmente per gli sfollati come il comandante e la sua famiglia, che avevano lasciato tutto al loro paese, nell’attesa di ritornarvi dopo la tempesta della guerra. Io ero ragazzina e non capivo veramente nulla dell’importanza di quella personalità che avevamo in casa. Ricordo, in ogni modo, che gli anziani di quegli anni parlavano di lui come una persona molto seria e onesta perchè era  un buon pagatore…”!

Nuvole nere apparvero tuttavia all’orizzonte e presagirono tempeste su tutto il mondo. Presto calò il sipario sulla stagione d’oro dei transatlantici che dovettero lasciare la scena alla calata dei nuovi barbari. Gli eventi bellici della seconda guerra mondiale interruppero e terminarono la brillante e breve carriera del Rex e del Conte di Savoia in modo tragico.

Nel 1939 sulle murate delle due navi italiane furono dipinte due grandi bandiere tricolori in segno di neutralità, per distinguerle dalle unità degli stati coinvolti nella guerra. Il 25.5.1940 la Direzione della Società Italia di Navigazione annunciò la sospensione del servizio transatlantico di linea. Rex e Conte di Savoia furono destinate ad un lungo disarmo verso porti più sicuri di quello di Genova.


Il REX colpito a morte dagli aerei della R.A.F. giace morente su un fianco

Il Rex, dopo vari scali intermedi, ormeggiò al molo VI° di Trieste. Il Conte di Savoia trovò l’attracco a Venezia-Malamocco. L’armistizio se-gnò la fine di queste splendide unità che, abbandonate e ridotte ad un ammasso di ruggine, rappresentavano ormai l’ombra ed il rimpianto di un’epoca irrepetibile.

Il 9 settembre 1943 i Tedeschi occuparono Trieste. Sul Rex iniziarono subito le razzie di tutti i suoi preziosi arredamenti, tappeti, quadri, posaterie, porcellane ecc…Il 13 marzo 1944 l’ex-ammiraglia cambiò bandiera e dal quel giorno fece compartimento Amburgo. Il 10 giugno 1944 il Rex si salvò miracolosamente da un terribile bombardamento a tappeto che colpì tragicamente Trieste. Molte incursioni della RAF convinsero i Tedeschi a rimorchiare il Rex nella rada di Capodistria. Il suo trasferimento non passò, tuttavia, inosservato agli Inglesi che il 9 settembre 1944 apparvero nuovamente a bassa quota con i temibili Beaufighters e colpirono a morte la nave, con ben 123 razzi incendiari. Stessa tragica sorte era toccata al Conte di Savoia l’11 novembre del ’43, quando la più bella unità italiana fu ridotta ad un ammasso di lamiere fumanti, sotto i bombardamenti di una squadriglia d’aerei tedeschi.

Carlo GATTI

Rapallo, 18.02.12



BOMBE SU RAPALLO. Come eravamo...

 

BOMBE SU RAPALLO. COME ERAVAMO……

A RICORDO DEI CIVILI RAPALLESI CADUTI NEI BOMBARDAMENTI 1944-45

Zetto, cäsinasso e prie.

....e se ti senti e lägrime sciörtî,

no maledî !

Perdunn-a e scorda:

scorda e camminn-a

(L.Poggi)

1981 – LIONS CLUB RAPALLO NEL XXV DELLA SUA FONDAZIONE

(nelle due lapidi ai fianchi elenchi con 21 e 20 nomi, conclusi dala data dell’affissione 6 novembre 1944

 

Mi è venuto per caso tra le mani un libro che mi ha riempito il cuore e la mente di ricordi e di nostalgia: RAPALLO, COME ERAVAMO…..“da Faccetta nera a Papaveri e papere”.

L’album fotografico è un autentico ed emozionante tuffo nel passato di almeno due generazioni: la nostra e quella dei nostri genitori. Le immagini che riguardavano la nostra tenera fanciullezza, erano intrise di quei simboli guerrieri del fascismo che, sparsi un po’ dovunque, avevano la pretesa d’inquadrarci, già nella culla, in categorie che richiamavano alla mente la romanità: “figli della lupa”, così ci chiamavano, così ci vestivano….Ma erano tempi duri, c’era fame e piovevano bombe. Si! Cari lettori, sopra la mite Rapallo volava un piccolo aereo che la fantasia popolare aveva battezzato Pippo, il cui unico scopo era quello di sganciare bombe sull’abitato per creare terrore e morte.

 

Ci troviamo nel cuore pulsante di Rapallo, nel suo Castello sul mare, dove ogni anno si celebra, ormai come un rito religioso, la Mostra di Mare Nostrum. Si tratta, infatti, di un appuntamento annuale tra gli amici del mare e le navi di ogni tempo, ma i ricordi passati e recenti di tanti rapallini affiorano sempre e si vestono di magia come in una favola e diventano personaggi. Lucio Mascardi, Ardito e Bottaro ritornano improvvisamente a vivere ed allora il dialogo si arricchisce, diventa concitato e le domande aumentano nell’ansia di fare in tempo a conoscere …certe verità. Oggi, il nostro interlocutore è Mauro Mancini, una vecchia conoscenza dei rapallini che ormai lo considerano un poeta dialettale, uno scrittore di casa nostra, la memoria storica di tanti avvenimenti cittadini a partire dalla seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri.

 

“Mauro, da tanti anni convivo con un ricordo che, per vari motivi, non ha mai avuto una vera conferma. Spesso mi capita addirittura di confondere quel lontano ricordo con un sogno impregnato di incubi. Non posso che spiegartelo in breve, perché nella mia memoria ci sono impressi soltanto dei brevissimi flash. Non conosco la data, ricordo soltanto di essermi svegliato nel letto grande dei miei che era completamente ricoperto di vetri che luccicavano, ed avevo il quadro della Madonna appoggiato sul viso. In qualche modo quella grande icona mi aveva salvato dall’implosione dei vetri di casa, causata dallo spostamento d’aria di una bomba caduta su Villa Michele, situata vicino alla Funivia a circa trecento metri da noi. L’ultimo flash termina proprio qui, tra mucchi di macerie, quei poveri corpi appena estratti e il pianto di mia madre che mi trascinava via. “


Gli occhi di Mauro cominciano a luccicare dalla commozione e inizia a raccontare quell’episodio che lui, poco più grande di me, aveva invece vissuto dal vivo, attimo per attimo, e che ora si accinge a raccontare come un film visto da poco e per il quale tuttavia rivendica i ruoli di attore e regista che gli spettano per meriti storici ed anagrafici, come testimone credibile dell’accaduto.

La mia famiglia: papa Pietro, mamma Gina, il fratello Bruno ed io, abitava in quegli ultimi mesi del 1944 in una camera con uso di cucina al civico n.19 di via Betti. Il trasferimento dal centro città, dove era la nostra residenza abituale, era stato necessario perché la casa era inagibile dopo il bombardamento di Rapallo del 28 luglio 1944, al quale eravamo fortunatamente scampati. La zona del “fossato di Monte”, allora periferica, era giudicata abbastanza sicura. In via Maggiocco, a villa Michele, abitavano gli amici di nonna “Tetta”: la famiglia Vicino. Con Maria Rosa e Nino, nostri coetanei, decidemmo di costruire, nel vano del loro portone il presepe di Natale.

 

 

Giunse così la sera del 31 dicembre quando, seduti attorno al tavolo in cucina, ammiravamo la mamma che preparava i “magri” ravioli per il pranzo di Capodanno; fu alle ore 22 che un aereo anglo-americano “PIPPO” sganciò una bomba che centrò il lucernario di villa Michele, esplose nel vano scala, proprio sul presepe. Tre furono le vittime e numerosi i feriti. Contemporaneamente all’esplosione venne a mancare la luce, lo spostamento d’aria spalancò la finestra del terrazzo; papà accese la candela, ci guardammo in volto, eravamo impauriti, e in quel fioco chiarore non ritrovammo il viso di Bruno. Attimi di panico. Non riuscivamo a capire dove fosse finito. Lo chiamammo a gran voce. Nessuna risposta. Fortunatamente la mamma guardò sotto il tavolo dove istintivamente lui si era nascosto rannicchiato ed impaurito. Fu allora che la mamma mise in bocca ad ognuno di noi uno dei ravioli ancora crudi e questa semplice, amorevole trovata ci rasserenò”.

Quando leggerete questa rievocazione, sono passati quasi 70 anni da quel tragico fine anno e noi pensiamo che molti genitori e figli di oggi, debbano riflettere sulle conquiste di civiltà e democrazia compiute dal nostro Paese, da allora sino ad oggi. Purtroppo sappiamo quanto la memoria umana sia fragile ed allora l’augurio che porgiamo a tutti per il nuovo anno, è quello di verificare ogni giorno la strenua difesa di quei valori.

Carlo GATTI

Rapallo, 17.02.12

 

 

 


CRISTO DEGLI ABISSI - Un'opera venuta da lontano

IL CRISTO DEGLI ABISSI

Un’opera venuta da lontano...

Dieci anni fa, con la prima edizione di Mare Nostrum, pubblicammo “Gli Eroi del Tigullio” alla memoria di quei valorosi “marinai” che ottennero i massimi riconoscimenti della Marina per le azioni compiute durante il Secondo conflitto mondiale. Riaffiorarono così, dopo 60 anni di oblio “ideologico”, le imprese subacquee di Luigi Durand de la Penne ad Alessandria d’Egitto, di Emilio Legnani nel Mar Nero, i numerosi siluramenti del sommergibilista Gazzana Priaroggia in Atlantico, i danni provocati dal sub-nuotatore-incursore Di Lorenzo nella rada di Gibilterra. Purtroppo, e solo per ragioni di spazio, non fu possibile rievocare anche l’azione di Suda (Creta) del chiavarese T.V. Luigi Faggioni e quella del sub-genovese Luigi Ferraro ad Alessandretta (Turchia). Da quelle pagine emerse, tuttavia, un dato molto significativo: la piccola Liguria fu la regione più decorata d’Italia e la motivazione di tanto eroismo é ancora oggi sotto esame da parte dei più autorevoli storici della Seconda guerra mondiale. E’ nostro parere che ‘nulla nasce dal nulla’ e che forse la spiegazione di tanto ardimento sia piuttosto da ricercare nellantico humus natatorio e in quella speciale atmosfera che si respirava nella nostra Riviera a partire dagli anni ’30, quando nelle nostre acque si addestravano agli agguati alcuni ‘squali’ silenziosi e pronti a tutto. Si trattava di un gruppo ristretto di personaggi, che oggi si potrebbero definire gli “eroi civili” di quel tempo, perché contribuirono con le loro ricerche, esperienze e collaborazioni al conseguimento dei risultati ricordati nella citata pubblicazione. I loro nomi sono Egidio Cressi, fondatore della Cressi-Sub - Luigi Ferraro, fondatore della Technisub - Ludovico Mares, fondatore della Mares. (A quesa Azienda fondata a Rapallo nel 1949 e presente in oltre 80 Paesi, dedicheremo un servizio nei prossimi numeri). Questi citati campioni furono i pionieri delle prime strumentazioni per la subacquea civile e militare. I loro brevetti, con le loro attività industriali e commerciali, sono tuttora competitivi sulle piazze commerciali di tutto il mondo.

F.1 -  Duilio Marcante

 

F.2   - Giorgio Odaglia

A questi coraggiosi e idealisti imprenditori-nuotatori vanno associati il genovese Duilio Marcante, (1914 –1985), Luigi Ferraro ed il rapallese Giorgio Odaglia, che sono i veri padri della didattica subacquea. Insieme questi uomini condivisero tutte le iniziative del settore e costituirono un sodalizio interrotto solo dalla morte di Marcante. Quali pionieri della nuova scienza subacquea, furono definiti la Tribù delle Rocce ed ebbero un ruolo fondamentale nella formazione di sub civili e militari di molte generazioni. Quella “scuola” é viva ancora oggi e porta il loro sigillo. La storia racconta che la nascita della Cressi-Sub, la più antica tra le aziende esistenti, risale a quel difficile 1943 e fu avviata nell'entroterra ligure dai fratelli Egidio e Nanni Cressi, due autentici geni della meccanica applicata.

F.3 Un ARO indossato da un uomo rana

In questa fase sperimentale, la produzione in piccola scala delle prime attrezzature subacquee portò anche la firma di Duilio Marcante e Dario Gonzatti. Quest’ultimo creò in quel primo laboratorio il prototipo sportivo dell'autorespiratore ad ossigeno (ARO), sulla base dello stesso respiratore impiegato dalla Marina Militare che tuttora viene usato nella fase iniziale del corso-Incursori del Varignano. Subito dopo toccò a Luigi Ferraro inserirsi nel gruppo e, grazie a quei materiali studiati e prodotti artigianalmente, poté compiere azioni belliche spettacolari e regalare all’Italia una Medaglia d’Oro al Valore Militare. Questa era l’aria un po’ “carbonara” che si respirava nella nostra Riviera che diede alla Marina dei veri giganti del mondo subacqueo.

Nel dopoguerra, tutto ciò che Ferraro inventava ed avviava, Marcante lo sviluppava ed incrementava in una fase successiva. Nel 1952 nacque il Centro Subacqueo di Nervi e Duilio Marcante ne divenne il Direttore Tecnico. Anche i Carabinieri Subacquei per anni furono addestrati da Marcante dopo l’avvio di Ferraro, e così avvenne con i Vigili del Fuoco nel cui Centro di Addestramento, Marcante divenne Direttore dei Corsi quando gli impegni di lavoro costrinsero Ferraro a lasciare l’incarico. Il metodo Marcante, tratto dall’esperienza maturata insieme con Luigi Ferraro, fu applicato e via via perfezionato negli anni dalla F.I.P.S.A.S. (Federazione Italiana Pesca Sportiva ed Attività Subacquee) che lo fece proprio e lo diffuse in tutto l’ambito nazionale. Duilio Marcante fu autore del primo Manuale Federale d’Insegnamento, il testo ufficiale della Federazione su cui studiarono migliaia di allievi e istruttori, e di due altri libri di divulgazione: Scendete sott’acqua con me (coautore G.Odaglia-1983) e Questo è lo Sport Sub. Ma, fatto di grande importanza, fu l’invenzione con il Prof. Odaglia, della tecnica di compensazione della pressione sul timpano, che da allora porta il nome di Marcante - Odaglia. I meriti della didattica subacquea di Duilio Marcante e dei suoi amici hanno quindi avuto una valenza scientifica che é andata estendendosi ben oltre  la nostra penisola.

F.4 - Il Cristo degli Abissi

Duilio Marcante fu quindi uno tra i più amati artefici della subacquea, ma strano a dirsi, la sua notorietà raggiunse il massimo livello per una iniziativa collaterale alla sua attività: quando concepì l’idea di posare nella baia di S.Fruttuoso la statua del CRISTO DEGLI ABISSI con il viso e le mani protese verso il cielo. Duilio la volle ardentemente per ricordare l’amico Dario Gonzatti, tragicamente scomparso durante un’immersione nei pressi di San Fruttuoso, di fronte alla secca Carega. Per la verità, l’idea era già nata nel 1947 quando, nel primo dopoguerra, molte famiglie piangevano ancora i loro morti in mare e Marcante aveva suggerito di creare un luogo dove i subacquei potessero andare a pregare in grande raccoglimento. Il successo di quella iniziativa va quindi ascritta sicuramente alla sua prestigiosa firma e al credito acquisito in tanti anni di successi nel nostro Paese.

Affinché non vadano persi nel tempo, cogliamo da Internet alcuni dati davvero interessanti sul Cristo degli Abissi: “Occorreva l’artista e doveva essere un genovese. Lo scultore Guido Galletti si offrì di realizzare gratuitamente l’opera, purché fosse imponente, almeno due metri e mezzo. Aveva bisogno d’un modello e suo genero si diede da fare a cercarlo. Lo trovò in Agostino, che allora aveva 58 anni e lavorava in ferrovia, era un uomo alto un metro e novanta, con mani grandi e forti. Dovendo posare con le braccia alzate, Agostino usciva sempre stanchissimo dal laboratorio di Galletti, ricavato nei fondi d’una casetta, in passo Barsanti, sotto ponte Caffaro. La statua venne realizzata in bronzo, e per la fusione furono raccolte donazioni provenienti da tutto il mondo: eliche, frammenti di navi, medaglie Olimpiche e al Valore, persino una manciata di monetine di bronzo - ex voto - offerte da una madre di un marinaio scomparso in mare. I restanti cospicui costi dell’operazione furono coperti dall’armatore Giacomino Costa il quale ebbe un ruolo molto importante, non solo finanziario ma anche come Presidente del Comitato Esecutivo che comprendeva fra gli altri: l'Ansaldo, la Società di Navigazione Italia, il Prof. Luigi Ferraro, il Comando dei Presidii Militari di Zona.
 Il 29 agosto 1954, nella Baia di San Fruttuoso di fronte alla storica Abbazia dei Doria, la statua, alta 2,50 metri e pesante 8 quintali, bloccata su un piedistallo di calcestruzzo a forma di tronco di piramide, venne calata in mare alla profondità di 17 metri.
 Sua Santità Pio XII inviò la Sua particolare benedizione e un suo medaglione tuttora presente ai piedi della statua”.

F.5 – La posa del Cristo degli Abissi -  Foto Cipollina-Camogli

Finalmente arrivò il grande giorno, e la posa in mare del Cristo degli Abissi nella baia di S.Fruttuoso  fu un evento memorabile, storico e nello stesso tempo simbolico della nostra storia marinara. Il transatlantico della Soc. Italia Cristoforo Colombo deviò dalla sua rotta e fu la prima grande unità della Marina Mercantile a salutare il Cristo dei Marinai con i tradizionali fischi di bordo. Tutti gli anni, l'ultima domenica di luglio, in ricordo dei morti in mare e di quanti fanno del mare la loro vita, si svolge nella baia una cerimonia molto coinvolgente. La festa comincia con la processione illuminata da torce che parte dall'abbazia per arrivare alla spiaggia, qui le fiaccole vengono passate ai sommozzatori che raggiungono il Cristo nuotando in superficie. A questo punto uno di loro s’immerge per deporre una corona di alloro sul basamento della statua. Dopo il ritorno a riva dei subacquei, viene celebrata la S.Messa sulla riva. La toccante cerimonia termina intorno alle 23.

ALCUNE NOTE: La Statua fu restaurata nel 2003 per preservarla dalla corrosione e dalle incrostazioni e, soprattutto, per riattaccarle la mano staccata dal peso di un'ancora gettata da un imbec... per essere poi riposizionata sott'acqua il 17 luglio 2004 su un nuovo basamento, ad una profondità inferiore a quella precedente

COPIE - Esiste una copia del Cristo degli Abissi in formato  ridotto sulla banchina del porto di St. George's, capitale dell'isola caraibica di Grenada. È stata donata al popolo di Grenada dalla compagnia di navigazione “Costa" per la coraggiosa e decisiva opera di salvataggio dei naufraghi della nave passeggeri "Bianca C.", distrutta nel porto di St. George's da un furioso incendio scoppiato il 22 ottobre 1961.

- Un’altra copia del Cristo si trova a Key Largo in Florida, nel primo parco marino del mondo, "John Pennekamp Coral Reef State Park"

Carlo GATTI

Rapallo, 13.10.11



Il PRESEPIO DI AMEDEO GATTI, Rapallo

 

IL PRESEPIO di Amedeo - RAPALLO

Il Natale é la festa che ci tocca più di tutte le altre, per la magia che porta con sé nel coinvolgere tanto gli adulti quanto i bambini. Ma a quelli di una certa età, che di Natali ne hanno visto già tanti, salta agli occhi soprattutto il crollo delle tradizioni di un tempo. Oggi i nuovi santuari portano nomi esotici e sono i grandi supermercati, dove fiumi “umani” sempre in piena sono attenti, più che altro, a “comprare” il Natale. Già! Il finto Natale che profuma digitale, che non é né antipatico né simpatico, é soltanto vuoto di calore umano, di comunicazione familiare e privo totalmente d’atmosfera antica e religiosa. Un tempo il Bambino nasceva in casa, in tutte le case, ed era naturale che fosse così. Oggi si preferisce la coreografia virtuale che si avvale di firme prestigiose che colpiscono soltanto gli occhi. Il vecchio cuore, o forse il cuore del vecchio è troppo lontano nel tempo e nello spazio e quando l’atmosfera natalizia s’avvicina gli tornano in mente i ricordi di un’infanzia genuina e spensierata. Nel dopoguerra le famiglie erano di tipo patriarcale: comprendevano i nonni, i genitori e i figli. A quel tempo non c’era la TV e quando cominciava ad imbrunire i ragazzi erano già tutti in casa. Il maestro Angelini, Nilla Pizzi, Natalino Otto, Rabagliati, Beniamino Gigli, Gino Bechi, il concerto Martini del lunedì sera e pochi altri erano gli abituali appuntamenti che riunivano le famiglie intorno alla rumorosa ed ingombrante radio Marelli. Le serate scivolavano via ultimando i compiti scolastici o chiacchierando con i genitori e i nonni, tutti riuniti intorno alla stufa per scaldarsi. I grandi parlavano ancora di guerra, delle bombe di “Pipetto”, di fascisti e partigiani. La legna ancora verde scoppiettava, e le palle compresse di giornale diventavano globi di fuoco colorato e odoravano di linotype. Dal braciere si levava un profumo dolce di bucce d’arancia e mandarino che la nonna ogni tanto aggiungeva per purificare l’aria. Ricordo con nostalgia l’eccitazione che ci prendeva alla fine di novembre, quando si contavano i giorni che mancavano alla grande festa. Intanto nelle strade cominciavano a vedersi i primi segni del Natale. Quasi ogni anno, chissà per quale magia, giungevano gli zampognari, si diceva che venissero da lontano e suonavano agli angoli delle strade seguiti, normalmente, da un gruppo di ragazzi festanti. Dopo S. Lucia, si pensava al Presepio. I muri di sostegno delle fasce di S. Agostino erano ricoperti di muschio, ma quello più alto, morbido e di color verde smeraldo lo si coglieva al “Cimitero dei Cani”, dalle umide pietre che guardavano verso il Santuario di Montallegro. Il giovane muschio dava vita ai primi piani dell’opera, e quello ormai secco e bruno copriva le vallate sabbiose e lontane.

Ogni anno Amedeo lo riponeva nei contenitori cilindrici del panettone Motta che lo zio Chicchin ci regalava per farsi invitare, e lì riposava con le statuine in un sicuro sgabuzzino al riparo dai topi. In Chiesa ci andava poco o niente, ma a Natale, Amedeo si convertiva e diventava un grande artista da Presepio, non solo, ma sapeva anche come impastare i ravioli e “santificare” la vera tradizione culinaria genovese. Con il Presepio si esaltava, s’improvvisava ingegnere, architetto, elettricista, falegname, idraulico, e l’intero progetto prendeva corpo in modo sempre diverso aumentando l’ingombro nella sala che purtroppo era sempre la stessa, con i suoi mobili stile “fiorentino” regolarmente svuotati, violentati, declassati e sequestrati sino alla Epifania. Mia madre non era certo d’accordo, non ritrovava più le sue cose e se la prendeva con la prepotente Arte Presepiale di Amedeo, pur sapendo che era una battaglia persa. Il BOS, infatti, aveva tanti alleati nelle agguerritissime bande di S.Agostino che sotto le feste deponevano le armi e si trasformavano in soldatini ai suoi ordini. Ognuno aveva il suo compito e l’obiettivo comune era quello di vincere il 1° Premio del Concorso Presepi Città di Rapallo. Di quelle vittorie ne ricordo un paio, e per S.Agostino fu come vincere le Olimpiadi! Allestito il paesaggio con scatole vuote di scarpe, Amedeo lo copriva con la carta da imballaggio “mimetizzata” che prima era appallottolata per dare l’impressione della rugosità della roccia, e poi veniva incollata sul modellato. Iniziava dallo sfondo dove la scenografia prevedeva le colline rocciose di Betlemme con burroni e strapiombi. Con un raffinato strofinio delle dita, sagomava le stradine che scendevano dalle montagne verso la grotta che era allestita nel centro del complesso ed era circondata da botteghe ricavate nei fianchi della montagna. Terminato il plastico, per la colorazione Amedeo usava lo spruzzatore a stantuffo del DDT. I colori di base erano polveri da sciogliere in acqua: la terra d’ombra bruciata e il blu oltremare con qualche spruzzata di terra rossa mista a terra di Siena bruciata. Terminata la colorazione del paesaggio, il Capo passava all’animazione con opere d’ingegneria idraulica. Iniziava così la costruzione di una cascata realizzata con acqua vera, che cadeva per gravità da una vecchia pentola, messa in alto e nascosta dietro le montagne. Il rito prevedeva che fosse riempita prima che arrivassero ospiti. In seguito collegava l’impianto elettrico, e nella Grotta inseriva una luce fissa, per illuminare la Natività che restava accesa fino all’Epifania. Il paesaggio diventava un vero Presepio con la sistemazione accurata del muschio e l’entrata in scena delle statuine. La sistemazione delle figure comportava sempre qualche problema perché, nonostante la cura con cui erano state riposte l’anno precedente, ce n’era sempre qualcuna che presentava mutilazioni evidenti e quasi tutte avevano bisogno di rifarsi il trucco... Eseguiti i restauri, Amedeo si dedicava ai dettagli. Vicino alla grotta sistemava il solito “specchio” ovale che simulava l’immancabile laghetto. Sul bordo piazzava l’antico pescatore che reggeva la canna con il pesciolino attaccato. Di fianco, una lavandaia risciacquava i panni nei tröggi. Sulle stradine di montagna erano già in cammino i Re Magi che venivano spinti ogni mattina verso la Grotta da chi di noi si svegliava per primo. In alto sulle montagne, svettavano le casette di sughero colorato con le finestre illuminate. La neve del Presepio era farina sottratta di nascosto dalla madia della mamma che proprio in quei giorni, faceva gli impasti per preparare i dolci natalizi. Sulle pareti dell’impianto veniva incollato un grande foglio blu raffigurante il cielo stellato. A far da cornice all’opera ormai ultimata, s’inchiodavano alcuni rami di pino e di ginepro a cui s’appendevano pigne, caramelle e cioccolatini di marca. Le anziane vicine di casa erano le prime vittime della rinnovata commozione, ma anche della derisione di noi bastardelli quando, in quell’atmosfera già densa di religiosità, venivano sorprese dal melodioso canto liturgico: “Tu scendi dalle stelle...” che saliva dal grande megafono di uno strano marchingegno nero (La Voce del Padrone) che mio padre caricava con una maniglia e amplificava con diversi altoparlanti che si procurava chissà dove e posizionava con grande astuzia nei quattro angoli della sala per ottenere strabilianti effetti sonori. Per tutti, Amedeo era un mago! Nelle giornate vicine alla Vigilia, nelle strade e nei vicoli di Rapallo si sentiva il profumo e la fragranza dei dolci provenienti dalle varie abitazioni. Per le festività, le case erano affollate di parenti, giunti anche da lontano, che si riunivano per trascorrere assieme il Natale. Il giorno di Natale, noi ragazzi ci svegliavamo più tardi. Amedeo ci pettinava raschiandoci il cuoio capelluto per farci la riga da una parte, ci spalmava di brillantina Linetti e ci spediva a Messa. In Chiesa, dopo la funzione, c’era il Presepio da vedere, così grande da occupare un’intera cappella. Ma quello di Amedeo era sempre il più bello!

Carlo GATTI

Rapallo, 05.01.12



Da CAVOUR alla CAVOUR

“ Da Cavour alla Cavour ”

140 anni di sviluppo della tecnologia navale in Italia

Presenti tutte le massime autorità militari e civili di Spezia, sabato 17 dicembre 2011 si é tenuta l'Inaugurazione della Mostra "Da Cavour alla Cavour". Il nostro socio Ing. Marco Prandoni organizzatore, responsabile e probabilmente ideatore della mostra, ha riscosso un "enorme" successo personale. L'idea della mostra é nata dalla storica collaborazione tra L'Università d'ingegneria di Genova e la M.M.
A Marco Prandoni invio a nome di Mare Nostrum un grande applauso di stima per l'impegno qualitativo e quantitativo profuso che fa tanto onore a lui e alla nostra Associazione che, tra l'altro, ha collaborato con alcuni modelli del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, e con la modernissima grafica dei nostri soci Claudio Molfino e Sandro Bonati.

Carlo Gatti

Rapallo, 21.12.11

MUSEO NAVALE – ARSENALE M.M. – LA SPEZIA

2011 - 2012

La facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova celebra nel 2011 i 140 anni dalla fondazione della Regia Scuola Superiore Navale. A tal fine, con il concorso della Marina Militare, la Facoltà organizza, presso l’Arsenale M.M. della Spezia, una Mostra illustrativa dello sviluppo della progettazione e costruzione navale in Italia in questi 140 anni.

Su un fronte espositivo di oltre 200 mt, modelli storici, disegni d’epoca, schede tecniche, macchinari originali, foto e filmati condurranno il visitatore a ripercorrere lo sviluppo della tecnica e dei mezzi navali, ed a conoscere i suoi protagonisti.

Dalle Pirofregate dell’Ottocento alle Navi da Crociera, dai primi Apparati Motore a Carbone alle Turbine a Gas, ed alla Propulsione a Idrogeno, dagli Scafi in Legno alla Costruzione in Compositi, dai primi pionieristici Sommergibili alla Portaerei Cavour, si potrà apprezzare la radicale trasformazione avvenuta, in questo secolo e mezzo, nell’architettura delle navi e nella tecnologia utilizzata per realizzarle.

Trasformazione e progresso in cui l’ingegno italiano ha raggiunto ripetuti primati di innovazione e di eccellenza.

Durante il periodo di apertura della Mostra, nella Sala Auditorium di cui essa é corredata, si terranno conferenze sui temi tecnici e storici navali e marittimi, ed altri eventi culturali.


Calendario Manifestazione Mare Nostrum 2011

La Partenza dei Mille dallo scoglio di Quarto Genova del pittore chiavarese Amedeo Devoto

MARE NOSTRUM

Presentazione e Calendario Manifestazione

Se Il 2011 è stato - ed è ancora mentre scriviamo queste note - l'anno in cui si è celebrato il 150° anniversario dell'unità nazionale: un anno denso di avvenimenti, rievocazioni, mostre, dibattiti e ricco di importanti momenti che hanno visto coinvolte tutte le più significative componenti della nostra Nazione, tanto a livello centrale quanto periferico.

Un anno, quindi, di celebrazioni unitarie e di volontà - da parte di tutti - di ribadire i concetti che stanno non soltanto alla base della nostra storia ma che costituiscono, di per sé stessi, le basilari fondamenta del nostro vivere civile, delle nostre tradizioni e della nostra essenza culturale.

Per una fortunata coincidenza, in questo 2011 così improntato al ricordo (e al tempo stesso rivolto al nostro futuro), anche la Mostra "Mare Nostrum" fa registrare il raggiungimento di considerevoli traguardi: non certo commisurabili al tondo "150°" dell'unità d'Italia, ma di sicura valenza epocale e culturale - soprattutto se rapportati alla nostra realtà locale e confrontati con l'effimera durata di altre analoghe manifestazioni, organizzate un po' ovunque in Italia e all'estero.

Difatti, con l'edizione 2011 la Mostra "Mare Nostrum" celebra il suo anniversario trentennale, e non possiamo non tornare con la memoria alle prime, pionieristiche edizioni della manifestazione, successivamente "consolidata" nei locali dell'Auditorium delle Clarisse e - da ormai molti anni - definitivamente trasferitasi nella prestigiosa e centralissima sede del nostro "Castello a mare".

In ultimo, quella che i lettori stanno per sfogliare è la decima edizione di una pubblicazione che, ormai tradizionalmente, affianca e accompagna la Mostra nella sua sede espositiva: un percorso iniziato nel 2002 con "Il Tigullio un Golfo di Eroi" e proseguito, sino ad oggi, con una serie di fascicoli - ora rivolti alle tradizioni marinare di Rapallo, ora dedicati ad aspetti di grande respiro della storia navale nazionale - che, nel tempo, non soltanto hanno seguito un filo conduttore comune ma che costituiscono un "oggetto da collezione" ricercato da appassionati e studiosi del settore storico-navale più largamente inteso. Da questo indubbio successo pubblicistico non è disgiunta la recente costituzione, nel 2008, dell' "Associazione Culturale Mare Nostrum" (in cui gli autori sono coinvolti in prima persona), che - a sua volta - è andata ad occupare una fondamentale posizione per il collegamento e la collaborazione tra i suoi Soci, il Comune di Rapallo, le Istituzioni locali e tutte le realtà che ruotano attorno alle iniziative tese ad approfondire la realtà marittima, navale e storica della nostra Città.

In conclusione di questo anno, così importante e simbolico per l'unità nazionale, anche la Mostra "Mare Nostrum" e l'omonima Associazione Culturale hanno pertanto deciso di dare il proprio contributo con la realizzazione di questo fascicolo il cui titolo - "Garibaldi un uomo di mare" - non può non partire dal nome di colui che, più di ogni altro, rappresenta a tutt'oggi lo spirito risorgimentale dell'Italia unitaria.

La stele rostrata dell'artista genovese Giovanni Scanzi fu innalzata per commemorare i 50 della Spedizione dei Mille che da quel  punto  del porto prese inizio.

Con l'esperienza derivante da lunghi anni trascorsi in mare, al comando di rimorchiatori portuali e d'altura e nel Corpo dei Piloti del Porto di Genova, il com.te Carlo Gatti fa rivivere uno dei momenti più noti - ma sicuramente meno approfonditi dal punto di vista tecnico-marinaresco - della "Spedizione dei Mille". La partenza da Genova dei famosi piroscafi garibaldini Piemonte e Lombardo avvenne, difatti, in presenza di notevoli difficoltà nautiche, rendendo necessaria una complessa operazione di rimorchio e costituendo - probabilmente - uno dei più concitati momenti della navigazione delle due unità verso il Regno delle Due Sicilie. Anche in questo caso, l'intendimento dell'autore è stato il desiderio di divulgare fatti poco noti ma importanti, assai spesso messi in ombra da momenti maggiormente eclatanti e quasi mai portati a conoscenza del pubblico degli appassionati alle vicende storico-navali del nostro paese.

Giuseppe Garibaldi sul ponte di comando in una celebre illustrazione di Edoardo Matania.

Emilio Carta affronta e approfondisce una tematica sino ad oggi mai presa in considerazione, ossia la partecipazione di rapallesi e abitanti del Tigullio alla "Spedizione dei Mille" e alle immediatamente successive fasi del consolidamento dell'unità nazionale. L'argomento è di sicuro interesse, e consente di far luce su aspetti sino ad oggi mai sviluppati, sia pure solo collateralmente a ad analoghi studi, e tantomeno approfonditi con un lavoro organico "sul campo", sulla base di documenti archivistici, raccolte di cimeli e revisione critica delle fonti storiche primarie e bibliografiche. Uno studio, quindi, che riteniamo possa "fare scuola", andando a rappresentare un "valore aggiunto" per la storia di Rapallo e del suo circondario e rappresentando un collegamento tra passato e presente soprattutto ad uso delle generazioni più recenti e dei giovani i cui corsi di studio - forse - non sono oggi così attentamente rivolti alla storia viva che si nasconde ovunque in Italia, e quindi anche nella nostra Città.

551 - Incrociatore Giuseppe Garibaldi

Infine, Maurizio Brescia (in collaborazione con Francesco Bucca, anch'esso socio dell' "Associazione Culturale Mare Nostrum") presenta un altro tema sicuramente legato alle vicende garibaldine ed alle figure più rappresentative del Risorgimento: le navi militari italiane che - in centocinquant'anni di storia - hanno portato i nomi di Garibaldi e Cavour. Nel tempo, la Regia Marina e la Marina Militare hanno inteso onorare l' "Eroe dei Due Mondi" e lo statista piemontese (che fu - tra l'altro - anche il primo Ministro della Marina del neocostituito Regno d'Italia) assegnandone i nomi a importanti navi che - in molti casi - hanno a loro volta scritto fondamentale pagine della nostra storia navale. Sarà così questa l'occasione per ricordare, e far rivivere con foto attuali e d'antan, le prime navi a propulsione mista che portarono i nomi di Garibaldi e Cavour e, tra le successive unità, l'incrociatore corazzato Garibaldi e la nave da battaglia Cavour, sino alle due moderne e avveniristiche portaeromobili attualmente in servizio con la Marina Militare.

La realizzazione di un programma espositivo e pubblicistico di questa portata non avrebbe potuto avvenire senza la determinante collaborazione del Comune di Rapallo e, nella fattispecie, senza l'entusiasmo e il fondamentale apporto del Sindaco - dott. Mentore Campodonico - il quale non soltanto ha sempre "creduto" nella considerevole valenza culturale della Mostra "Mare Nostrum" (e di questa pubblicazione) per la nostra Città, ma ha saputo far sì che l'Amministrazione Comunale ci consentisse di portare a compimento il nostro progetto con un sincero, concreto e fondamentale appoggio.

E proprio da questa volontà, e dal sostegno che il Comune di Rapallo ci ha sempre accordato, è scaturita la collaborazione con la Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, un Istituto bancario sempre attento e sensibile al supporto delle realtà culturali liguri che - pur nella difficile congiuntura economica che tutti stiamo vivendo - in occasione dell'organizzazione della Mostra "Mare Nostrum" 2011 ha dimostrato, una volta di più, di sapersi far partecipe del nostro progetto con interesse e attenzione, nella certezza che la cultura è "pagante" e che i fondi ad essa destinati costituiscono non già una perdita, ma un investimento.

Desideriamo quindi ringraziare tutti coloro che ci hanno fattivamente sostenuto e appoggiato come - d'altra parte - i visitatori che si recheranno al "Castello a Mare" nei locali della Mostra, confidando che ciò possa rappresentare un interessante momento di "immersione" nella cultura e nella nostra storia.

E a tutti i lettori di "Garibaldi un uomo di mare" va, come è ormai decennale consuetudine, l'augurio di Buona lettura e di Buona navigazione!

 

Rapallo, novembre 2011

M. Brescia - E. Carta - C. Gatti

 

 

 

Curatori e collaborazioni

“Mare Nostrum Rapallo” si avvarrà della collaborazione dell’Associazione Modellisti di Rapallo, guidata dal presidente Silvano Porcile, della competenza e della preziosa opera di volontariato dei propri soci, in particolare del giornalista-scrittore Emilio Carta, del sottoscritto presidente dell’Associazione comandante-scrittore Carlo Gatti, dello studioso e ricercatore della Marina Militare dottor Maurizio Brescia, del direttore del Museo marinaro Tommasino-Andreatta con sede presso la scuola Telecomunicazioni di Chiavari, comandante Ernani Andreatta, dell’appassionato d’arte Claudio Molfino. Si avvarrà inoltre della disponibilità del locale gruppo dell’Associazione Marinai d’Italia, che esporrà documenti e materiale storico-didattico della Marina Militare.

La vocazione della nostra Associazione per le discipline astronomiche e astrofisiche si avvarrà, per la prima volta, di uno stand con materiale espositivo della Associazione IL SESTANTE di Casarza Ligure, Presidente Enzo Gaggero.

Per questa “speciale” 30^ Edizione che coincide con il 150° dell’Unità d’Italia e con il 10° anniversario della Pubblicazione di Mare Nostrum, sono previsti diversi eventi collaterali alla Mostra quali: una conferenza stampa, la presentazione di libri a carattere marinaro, conferenze di esperti storici di assoluto valore, proiezione di documentari e filmati.

Calendario della manifestazione

Venerdì 4 novembre Apertura Mostra dalle ore 15 alle 18

Sabato 5 novembre ore 10.30: Sala consiliare

Conferenza stampa per l’Apertura della 30^ Edizione della Mostra di Mare Nostrum e presentazione della Pubblicazione di carattere storico curata da Maurizio Brescia, Emilio Carta, Carlo Gatti, alla presenza degli stessi autori.

Domenica 6 novembre - ore 11,00:

Conferenza presso il Centro Incontri del Gran Caffè Rapallo (sede sociale dell’Ass. Mare Nostrum) tenuta dal Cap. Umberto Ricci sul tema

“I GARIBALDINI DI RAPALLO”. Presenta Paolo Pendola

Sabato 12 novembre – ore 11

Conferenza presso il Centro Incontri del Gran Caffè Rapallo di Emilio Carta e Lorenzo Del Veneziano su “U BOOT 455. SVELATO ANCHE L’ULTIMO MISTERO” . Presenta Carlo Gatti

Proiezione di un inedito filmato sull’ultima discesa negli abissi

Domenica 13 novembre – ore 11:

Conferenza presso il Centro Incontri del Gran Caffè Rapallo del del Dott. Maurizio Brescia sul tema “ I 150 ANNI DELLA MARINA MILITARE”. Parteciperanno alla conferenza “testimonial” e importanti personaggi della marina. Presenta Carlo Gatti.

Sabato 19 novembre – ore 11.00

Conferenza presso il Centro Incontri del Gran Caffé Rapallo del com.te Enzo Gaggero sul tema ORA “FERROVIARIA” NELL’UNITA’ D’ITALIA Con il regio decreto del 10 agosto 1893 Il Re adotta il “Fuso Orario” di riferimento che passa per Termoli – Etna

Domenica 20 novembre – ore 11.00

Presentazione presso il Centro Incontri del Gran Caffè Rapallo

del libro marinaro di Mario Ammi “All’Inferno e ritorno”

Presenta Emilio Carta

Domenica 20 novembre - ore 18: chiusura Mostra e saluto ai partecipanti

Lunedì 21 novembre – smantellamento della mostra

Orario apertura al pubblico:

Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì ............ giorni di chiusura

Venerdì ...............................15-18

Sabato...... 10-12 - 15-18

Domenica.. 10-12 - 15-18

Le sale espositive

Antico Castello – sala al primo piano

Ivi saranno ospitati lo stand del locale gruppo della Marina Militare e la grande mostra espositiva sulla storia del mare e della navigazione attraverso il modellismo navale curata dall’Associazione modellisti “Nonno Franco” di Rapallo.

Antico Castello - sala al piano superiore

Ivi sarà esposto materiale storico iconografico afferenti il 150^ Annversario dell’Unità d’Italia utilizzando le collezioni private del com.te Carlo Gatti, del curatore del Museo delle Telecomunicazioni com.te Ernani Andreatta, di Emilio Carta, dello studioso Maurizio Brescia e, come annunciato, del com.te Enzo Gaggero con una Mostra su “Ora Ferroviaria nell’Unità d’Italia”.

Antico Castello - due salette al piano superiore

Ivi saranno ospitati:

- Una esposizione di cimeli garibaldini.

- Una Mostra con la riproduzione di materiale interessante a cura di Claudio Molfino.

- il materiale espositivo-didattico-museale messo a disposizione dal Curatore del Museo navale Tommasino-Andreatta, comandante Ernani Andreatta;

- Sala proiezioni per il pubblico con filmati di carattere storico e documentale navale;

 

Carlo GATTI

Rapallo, 17.10.11

 

 

 

 

 


QUANDO si NUOTAVA NEL GOLFO DEI NESCI...

RAPALLO, QUANDO SI NUOTAVA NEL GOLFO

ALLA RICERCA DELLE NOSTRE RADICI…

1931 - Nella foto scattata negli allora Bagni Vittoria (oggi Lungomare) vediamo da sinistra, Bonazzi, Macera, Pendola, Truffa M., Moggi, Olivieri, Tassara, Solari, Truffa E., Ferrari-Nelli, Bagigalupo L.

Su un articolo ingiallito del Secolo XIX che porta la data del 18 agosto 1945, leggiamo: Il “Gruppo Sportivo Nuotatori Rapallesi” che nel periodo 1928-1935 (e negli anni 1919-1927 come “Ruentes”) aveva primeggiato all’estero per tanti anni, per merito dell’invitto Luigi Bacigalupo prima e poi del poderoso fratello Renato, è risorto a nuova vita. Continuerà certo anche nel campo nazionale seguenti l’esempio dei due campioni e dei Michele ed Eugenio Truffa, Andreae, Ottonello, Baracco, Bonazzi, Cappellini, Macera, Papadato, Vexina, Magnolfi, Moggi, Queirolo, Mascardi, Castruccio.

L’infaticabile Luigi Bacigalupo ha con slancio giovanile iniziato la sua attività e buoni risultati sono stati ottenuti. Gli allenamenti da lui diretti proseguono e porteranno i giovani nuotatori a certi trionfi e Rapallo ne sarà fiera. Il nefasto regime aveva soffocato lo sport natatorio locale tanto che il Gruppo Rapallese aveva dovuto emigrare a S.Pier d’Arena. Per merito di Luigi Bacigalupo – cui plaudiamo toto corde – ora il Gruppo rinasce e siamo certi che farà risuonare il nome di Rapallo sportiva nelle competizioni nazionali e internazionali. I giovani che vogliono allenarsi ed iscriversi al Gruppo possono ogni giorno dalle 10 alle 12 portarsi allo stabilimento “Tigullio” dove Luigi Bacigalupo dirigerà gli allenamenti.”.

Questo breve “documento”, così denso di nomi e di fatti, rappresenta il prezioso ricordo di un’epoca ormai tramontata che, tuttavia, ci fa riflettere su certi valori sportivi come la passione dilettantistica, l’attaccamento ai colori sociali che hanno sempre catturato l’entusiasmo della gioventù della costa, quando ancora Rapallo disponeva  dell’unico impianto natatorio fruibile, il suo splendido golfo che in estate si trasformava nell’arena dove avvenivano le famose “traversate”, gli scontri pallanuotistici all’ultimo sangue e le gare di nuoto su tracciati di cento metri che riecheggiano ancora la famosa manifestazione nazionale giovanile della Coppa Scarioni.

COPPA SCARIONI 1925 – Ordine d’Arrivo: 1° Solari, 2° Bonazzi, 4° Cuneo, 5° Mancini, 6° Costa, 7° Federici Allenatore Garbarono; degli altri atleti non si ricordano i nomi.


1951 - In piedi da sinistra: Renato Bacigalupo (Lan), Michele Truffa, Luisito Bacigalupo, Capellini, Raimondo Papadato, accosciati: Lucio Mascardi, Vittorio Vexina, Pippo Ottonello, Luigi Baracco.

“ A Rapallo de stae gh’é troppa mussa…no ghe sciörtiâ  mai ûn bön nêuo” (A Rapallo d’estate ci sono troppe distrazioni….non ci uscirà mai un buon nuotatore)

Questa scellerata convinzione è stata per molti decenni l’opinione corrente dei rapallini che contavano, almeno sino all’inversione di tendenza avvenuta, per fortuna, nei primi anni settanta con la costruzione della piscina  di S.Pietro (1974), intitolata, guarda caso, a Renato (Lan) e Luigi (Luisito) Bacigalupo, un grande fondista rapallese del passato, dal fisico possente che fu campione italiano dei 400 s.l. e nei 1500 s.l.  (1924, 1925, 1926) e vinse moltissime gare di fondo, tra cui si ricorda ancora una sua celebre partecipazione alla traversata della Manica. Renato apparteneva per la verità ad una famiglia di grandi nuotatori e qui ricordiamo il fratello Luigi che fu campione italiano dei 1500 s.l. nel 1919. Tempi d’oro che culminarono con la vittoria della staffetta 4x200 s.l. ai Campionati italiani di Pesaro (campo-mare di 100 metri) del 1924, ed era composta dai nuotatori rapallesi Erminio Andreae, Pippo Ottonello, Lan e Luisito Bagicalupo.


La foto è del marzo 1926 e fu scattata in occasione di una gara sui 400 t. disputata in mare. Risultato: 1° Renato Bagcigalupo, 2° Luigi Bacigalupo, 3° Aldo Piazza. Negli anni successivi i fratelli Bacigalupo organizzarono, sempre a Rapallo, il “Trofeo Fratelli Bacigalupo” sulla distanza di mt. 500 in linea retta in mare, nel tratto prospiciente la passeggiata a mare. Questa gara venne anche inserita sui calendari federali spostandola però alla fine di giugno perché tutti i partecipanti si rifiutarono di gareggiare a marzo a causa dell’acqua troppo fredda.

Nell’Album d’Oro della celebre competizione internazionale del Miglio Marino di Sturla (1° Ediz.1913), oltre a Renato Bacigalupo che lo vinse per la Ruentes-Rapallo nel 1923, ricordiamo un altro grande nuotatore rapallino, Michele Truffa che lo vinse nel 1931, all’età di 18 anni. Lorenzo Marugo, futuro master della Rapallo Nuoto,  firmerà per ben tre volte (1968-1970-1972) la vittoria  nella prestigiosa gara Sturlina.

I nuotatori masters rapallesi compiono quest’anno 25 anni di attività

Molti di loro sono ancora “full immersion” in vasca e ciò gli dà la chance di ancorare la loro età anagrafica alla cronaca… Speciale privilegio o anomalia, quindi, di un giubileo che altrove è registrato di norma come “storia”.

Per la verità, come abbiamo visto nel vecchio articolo, un po’ della nostra “storia” esiste già perchè i masters, proprio in quel periodo, affondano le loro radici con Lucio Mascardi e poi Francesco “Uccio” Bonati e pochi altri come Lacci Bonazzi che tennero accesa la fiaccola della passione del nuoto e della pallanuoto e seppero trasferirla alle nuove generazioni.

Uno di loro, in particolare, entrò in scena nel primo dopoguerra, come personaggio “chiave” del nuoto tigullino, era il massaggiatore di professione Mario Ravera, noto con il nomignolo di MARO’, affibbiatogli per errore, come lui stesso raccontava, da una cliente di Milano e rimastogli poi appiccicato fin sulla lapide del cimitero. Marò non era un nuotatore, ma aveva il raro “talento” di capire ed insegnare il nuoto, che non era ancora “scienza”, ma era sulla soglia di grandi cambiamenti che lui fiutava, intuiva e gestiva con grande perspicacia, tanto da essere considerato - da più parti - il custode  delle tecniche natatorie più avanzate a livello nazionale. Marò sfogò questa sua passione dedicando tempo e denaro all’insegnamento del “nuoto moderno” ai giovani. Alcuni di loro diventarono veri campioni.

1951 - Marò ed il suo campione Aldo Samoiedo

Marò era un rapallino vero e lo dimostrò fondando una “scuola gratuita” che non fu mai ufficialmente riconosciuta, cui iniziarono a “sbracciare”:

Luciano Zanoni, che nel 1949 vinse a Bologna il Campionato Italiano  sugli 800 s.l. cat. Allievi, Claudio Balloni, Antonio Baroni (master), Lacci Bonazzi (ottimo centometrista e pallanuotista di serie A), Ginetto e Laura Canessa, Bepi Cardinale, Attilio Casareto, Pino e Carlo Gatti (pallanuotista di serie A e master),  Fulvio Nobile, Aldo Samoiedo, (campione italiano, 400 s.l. nel 1951), Vito Tongiani, Corrado Villa, Carlo Zanetti (campione italiano  allievi, 50 delfino Questi atleti confluirono nella Chiavari Nuoto che era allenata proprio da Marò nell’unica piscina del comprensorio del Tigullio.

Questi ragazzi vinsero per tutti gli anni ’50 titoli regionali ed italiani e parteciparono con la Chiavari N. ai combattutissimi Campionati a Squadre di serie A, che avevano luogo in vari “Concentramenti” sparsi in tutta Italia e che si concludevano in Settembre. Ma tutti i nuotatori rivieraschi di quei tempi erano penalizzati rispetto ai nuotatori genovesi (Le piscine di Albaro furono costruite nel 1936) e milanesi per la  mancanza di piscine coperte, così diventò consuetudine il loro ritardo di preparazione in vista delle sfide ufficiali in calendario, ed ancora più favolosi diventarono i loro “salvataggi” per pochissimi punti a fine stagione. La Chiavari Nuoto resistette a lungo in serie “A” e ciò fu dovuto alla generale mobilitazione di tutti gli atleti della Riviera, molti dei quali sbarcavano dalle navi, altri rinunciavano a ferie, affari ecc… con l’intento di “portare punti”  alla squadra.

“Che tempi?” Avrebbe detto Gilberto Govi!

Rapallo-Rappresentazione di un tipico Campo-gare degli anni ’50.

“Senza impianti non c’è lo sport” lamentava invece Marò, che vedeva lungo… e già sognava anche per Rapallo una piscina modesta, magari salmastra, un piccolo santuario appartato, ma con la giusta “atmosfera olimpica”, dove poter celebrare con sacralità la sua più amata disciplina sportiva. Ed ora concedetemi un piccolo ricordo personale:

“L’occhio del portiere te l’ha dato “Gimmi” e la Carlo Grasso, ma le gambe di un portiere di pallanuoto te le ho date io, con tutti i chilometri di rana che ti ho fatto fare!”- Mi considerava un suo “prodotto sportivo” e devo dire che se ancora oggi ho voglia di salire sui blocchi di partenza significa, forse inconsciamente, che tuttora lo onoro e lo porto dentro nella memoria e nel cuore.

A questi ricordi nostalgici, vorrei aggiungerne ancora un paio che risalgono alla fine degli anni ’70. Dopo avermi messo a posto una spalla, Marò mi disse d’aver ricevuto l’invito dalla celebre Karolinska Institutet di Stoccolma, (era l’epoca del famoso neurochirurgo Olivekrona) che intendeva inserirlo come conferenziere sulle “Tecniche del  Massaggio Manuale”. Ma quanti lo seppero in città? L’umiltà di Marò era grande quanto la sua capacità professionale e, dietro quel fare e agire da  “ineffabile sornione”, nascondeva soprattutto la rara capacità di capire e gestire i suoi atleti. Ne ebbi la conferma quando, passati ormai tanti anni, mi raccontò che in allenamento non diceva mai ai suoi allievi, da bordo vasca, il tempo registrato dal cronometro su una certa distanza, ma quello che “serviva” in quel momento per alzare o abbassare il tono agonistico di quell’atleta che a volte tendeva  alla depressione, altre volte invece si montava la testa…..Credo che Marò usasse l’arma della psicologia in tutte le sue attività, dimostrando d’essere molto avanti rispetto alla propria epoca.

Vorrei ancora ricordare che in quei ruggenti anni cinquanta, fecero parte della Chiavari N., forse soltanto per alcune stagioni, quasi tutti i campioni d’allora: Paliaga, Massaria, Grilz, Faidiga, Prati, Caponi, che si unirono a quelli locali, Aldo Samoiedo, “Nanni” Andreatta, “Fofi” Crovetto, Sica, Cattani, i fratelli Volponi, i fratelli Monti, Ostuni, Berni (futuro allenatore della Rapallo Nuoto) oltre ai già citati “rapallini”. A distanza di tanto tempo sono ancora convinto che quei campioni furesti siano approdati al Tempio di Marò, per scoprire ed imparare le nuove tecniche del nuoto, con l’intento di migliorare ancora i loro primati personali.

In quell’ambiente ricco di forti personalità, entusiasmo e vero senso dello sport, siamo cresciuti noi, che certamente non eravamo tutti campioni in vasca, ma sicuramente lo siamo diventati nello spirito e ce lo siamo portati dentro sino alla fondazione della Rapallo Nuoto  (1971) e in seguito del settore-masters, nel 1983.

Con Marò, la Chiavari Nuoto diventò grande e  per ricordare la sua storia e onorare la memoria del suo grande allenatore, la città intitolò (nel 2003) la sua prima piscina coperta a Mario “Marò” Ravera. Ma il seme da lui gettato in quegli anni ’50 e rimasto sepolto per molti decenni, germogliò anche a Rapallo e quello spirito mai domo rinacque nella “giusta atmosfera” dei primi  anni ’70, quando scoppiò la fatidica scintilla che finalmente illuminò gli amministratori locali e li convinse che le turiste straniere potevano “convivere” con gli atleti del nuoto senza produrre danni… E finalmente anche i nuotatori rapallesi ritrovarono il loro agognato Tempio del Nuoto a S. Pietro (inaugurato nel 1974) come aveva sognato Marò.

Tratto dal libro di Carlo Gatti


Carlo GATTI

Rapallo, 16.03.11










IL PICCOLO P/fo LANGANO SFIDO' LA KRIEGSMARINE

LANGANO

Un molo storico, una nave rapallina da ricordare...


Foto n.1 - Rappresentazione di alcuni piccoli velieri attraccati al Molo Langano (vedi freccia) nell’Atlante di Matteo Vinzoni del 1773. Il 4 gennaio del 1608 Rapallo passò da Podesteria a Capitanato della Repubblica di Genova e le autorità del Capoluogo decisero di spendere 700 lire per la costruzione del Molo Langano, con lo scopo di creare una protezione contro le mareggiate da scirocco. Quest’anno l’antico molo compie 400 anni e le sue spoglie sono tumulate sotto il banchinato di sottoflutto che divide i due porti turistici e che oggi si chiama Via Langano.

 


Foto n.2 Anni ’20- Pizzi e merletti.
Sullo sfondo il Molo Langano popolato di Leudi.

 

Rapallo è il luogo d’origine amatissimo e mai dimenticato della dinastia COSTA, (imprenditori e armatori di grande successo), che diede il nome Langano al secondo piroscafo della neonata flotta, in omaggio al molo cittadino prospiciente la loro residenza. Da uomini di mare, abbiamo pensato di ricordare i 400 anni della costruzione del Molo Langano alla nostra maniera, con la rievocazione della storia, poco nota o forse addirittura sconosciuta, di una nave rapallina, (almeno nell’intenzione), chiamata appunto Langano che quest’anno avrebbe compiuto 80 anni d’anzianità societaria e 114 dal suo varo.

Nel 1926 - così racconta la storia navale - Giacomo Costa fu Andrea iniziò la sua attività armatoriale formando una Società in nome collettivo con sede a Genova, Portici Vittorio Emanuele n. 4, avente per scopo l’industria della navigazione del trasporto merci per via marittima. Il suo primo vapore fu il Ravenna acquistato nel febbraio 1927, ma ben presto le stive di questa piccola unità si dimostrarono insufficienti per le esigenze della Compagnia, così, nel 1928 Costa decise l’acquisto di un secondo piroscafo, il Langano che era stato costruito a Lubecca nel 1894.

 

 

Foto n.3 Una rara fotografia del Langano dell’Armatore Giacomo Costa, ripresa nel porto di Ancona. Il suo epitaffio potrebbe essere questo: Il piroscafo varato nel 1894, aveva una stazza lorda di 1267 tonnellate. Sopravvisse a due guerre mondiali e, come un umile servo, si adattò a qualsiasi mansione...ma quando fu necessario, dimostrò d’essere anche un indomito combattente. Nel 1950, dopo cinquantasei anni di duro lavoro, umiliazioni, ribellioni e tanti colpi di mare, cadde sotto i colpi del demolitore ed entrò nell’oblio della storia navale.

 

Con l’entrata in servizio di quest’unità, i fratelli Costa si resero conto che dopo aver sbarcato i propri fusti d’olio d’oliva, si poteva trasportare merce anche per conto terzi. Fu quindi il Langano a dare vita a quella che ieri si chiamava LINEA C. ed oggi COSTA CROCIERE, ed ebbe una vita lunghissima, perché rimase in attività con i colori della compagnia fino al 1950. Tuttavia, la fama di pietra miliare nella storia dell’armamento Costa, il Langano non se la guadagnò a parole e, per la verità, neppure per la sua avvenenza.... (vedi foto), perchè il vecchio piroscafo era un trasandato guerriero d’altri tempi che non discuteva mai gli ordini del suo capitano, ma li portava a termine da par suo. Nel lungo arco della sua vita, seppe adattarsi a qualsiasi trasporto o missione e nessuno osava fermarlo, neppure il Terzo Reich, che in fatto di controllo del territorio la sapeva lunga!

“La fortuna aiuta gli audaci!”

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, la Flotta di Giacomo Costa era composta di otto piroscafi da carico che andarono tutti perduti nel corso delle ostilità ad eccezione, appunto, del cinquantenne Langano.

L’8 settembre 1943 fu una data infausta per l’Italia ed anche per l’anziano Ravenna che cadde sotto le bombe nel porto di Genova; per il Langano si trattò, al contrario, di un giorno di gloria che lo vide protagonista di un’autentica avventura. Si trovava in porto a Venezia e i tedeschi avevano già deciso di requisirlo, ma, proprio in quelle ore, a bordo della nave scaturì la decisione di sottrarsi nottetempo alla confisca con uno spericolato colpo di mano. Ecco come, sul giornale interno della Costa, è raccontato l’episodio:

“Macchine avanti a tutta forza!” La nave, prima che potesse essere dato l’allarme, aveva già preso il largo, diretta verso sud, con soli sette uomini d’equipaggio. Pochi, ma animosi e sufficienti perché si arrivasse fino a Malta, dove la nave fu adibita a compiti vari fino al termine del conflitto”.

Non occorre essere esperti in materia per intuire che dietro le scarne parole del citato rapporto, si doveva nascondere una realtà ben più difficile d’affrontare. La nave era lunga circa 100 metri e “violando il blocco”, se la svignò furtivamente lungo il canale veneziano della Giudecca, nel buio più totale a causa dei bombardamenti, facendo autentici slalom tra ostruzioni belliche, relitti affondati o semi-affondati. Il suo comandante fece tutto da solo, manovrando gagliardamente il vecchio piroscafo in spazi ristretti e vigilati, tra l’altro, dalle motovedette tedesche munite di potenti riflettori e adeguati mitragliatori. Lo sappiamo con certezza, perchè in quelle terribili ore che scattarono con l’8 settembre, anche i piloti portuali erano stati “requisiti” dai tedeschi.

Di fatto, il vecchio e indomito piroscafo non badò a certe formalità... ma sgusciò tra le maglie dell’efficientissima rete germanica contando soltanto sull’astuzia ed il coraggio del proprio equipaggio.

Il 9 settembre, mentre il Langano era in navigazione verso la base di Malta, tra migliaia di mine che erano state posizionate sulle principali rotte di navigazione, si consumò, com’è noto, l’immane dramma della corazzata Roma che fu colpita e affondata dalle innovative bombe telecomandate “PC 1400X” (Fritz-X) dei bombardieri tedeschi DO-217/K al largo dell’Asinara. In quei giorni il caos era totale e, nel dubbio, una nave sparava su tutto prima ancora di stabilire se il bersaglio era “friend or foe” (amico o nemico).

Qui ci fermiamo per mancanza d’altre notizie sulla fuga del Langano, ma anche per non incorrere nella facile retorica che di solito s’accompagna a certe “patrie” rievocazioni. Del resto, non abbiamo dubbi sulla capacità dei nostri affezionati lettori, nati e cresciuti sul bagnasciuga, di valutare compiutamente la portata dell’eroica “fuga del Langano”,

Ma la storia continua....

E’ curioso rilevare inoltre che, dopo la parentesi di Malta, nell’agosto del 1945, il Langano fu messo sulla linea Civitavecchia-Olbia, portando passeggeri diretti ad Olbia e pecore dirette a Civitavecchia. “Per questa linea fu richiesta la derequisizione del piroscafo “Fanny Brunner”, ma gli alleati negarono l’autorizzazione in quanto le pecore da trasferire in continente non erano adatte all’alimentazione umana.”. (Storia dei Trasporti Marittimi - Autori: Radogna, Rastrelli, Ogliari, Spazzapan...)

Con la nobile etichetta di “nave passeggeri”, il glorioso Langano continuò a navigare quando i servizi con la Sardegna erano ancora nel caos e fu adibito al collegamento fra Civitavecchia e Cagliari, trasportando migliaia di persone.

Si sa inoltre che i traffici commerciali sulle rotte tradizionali della Soc. di Navig. Adriatica per l’Egitto, il Levante e l’Egeo furono riattivati nel 1946 con le due unità noleggiate della Soc. Costa: il “nostro” Langano e la nuova motonave Federico C. (847 t.s.l.) che fu consegnata dai Cantieri del Mediterraneo nel luglio 1946. Così, duramente provata dalla guerra, la Linea C. riprese a vivere.

Terminiamo il racconto salutando con grande simpatia questa nave che batté tanti mari, quasi sempre in “burrasca meteo-politica”...Langano, un pezzetto di Rapallo, pitturato sui lati della prora e sulla poppa. mostrando a lungo e con onore la parola...

Carlo GATTI

Rapallo, 26.02.11

 


CARMELO DE SALVO reduce dai lager nazisti

La storia di Carmelo De Salvo

reduce dai lager nazisti


Tra il 1933 e il 1945, la Germania Nazista costruì circa 20.000 campi di concentramento destinati alla prigionia di milioni di persone. Noti con il nome di lager, erano usati per il lavoro forzato, per il transito e, fatto storicamente incontestabile, per l’eliminazione in massa dei cosiddetti “Nemici dello Stato”: comunisti, socialisti, social-democratici, Rom, Testimoni di Geova, omosessuali e persone accusate di comportamenti ritenuti asociali o devianti. La direzione dei campi di concentramento era affidata a spietati Reparti-SS che, dopo l’invasione della Polonia (7.7.1939), mantenevano costante il numero dei detenuti lasciandoli morire per sfinimento, malnutrizione, malattie o esposizione alle intemperie. In seguito, per sopprimere il crescente numero di prigionieri, i nazisti optarono per la “Soluzione Finale scientifica” che fu realizzata nei lugubri campi di sterminio a Auschwiz-Birkenau, Belzec, Sobibor, Treblinka ed altri ancora che diventarono in poco tempo vere fabbriche di morte per l’omicidio di massa a livello industriale. Chelmno-Polonia fu il primo campo di sterminio a diventare operativo l’8 dicembre 1941, ma per uccidere Ebrei e Rom era impiegato il gas di scarico, all'interno di furgoni appositamente modificati. Il diabolico progetto raggiunse, tuttavia, la sua massima efficienza con l’impiego del gas Zyclon B emesso attraverso le docce nelle famigerate camere a gas che rendevano lo sterminio  “impersonale” per coloro che materialmente lo portavano a termine. A tre chilometri da Auschwitz, il lager di  Birkenau fu dotato di quattro camere a gas. Nel  periodo in cui le deportazioni raggiunsero la maggiore intensità, ogni giorni vi venivano assassinati 6.000 ebrei che subito dopo erano bruciati nei forni crematori. Con il martirio della Shoah, l’umanità intera scrisse direttamente, o indirettamente con il suo tragico silenzio, le pagine più efferate della storia contemporanea.

Secondo l’Ufficio Autonomo Reduci da Prigionia e Rimpatriati del MINISTERO DELLA GUERRA, al 3 dicembre 1946 rientrarono in Italia 600.000  prigionieri di guerra tra cui molti civili che erano stati strappati dalle  fabbriche italiane e deportati in Germania per sostenere gli sforzi bellici del Terzo Reich. Dopo l’8 settembre del 1943, lager,  campi di lavoro e fabbriche di armi furono, per lo più, le destinazioni dei nostri compatrioti che subirono in quei terribili anni violenze e umiliazioni di ogni genere. Dopo quella fatidica data, 50.000 italiani non fecero più ritorno dalla Germania e i superstiti dovettero  affrontare un deludente rimpatrio fra caos e indifferenza di tanti italiani che si opposero anche con sospetto e incredulità dinanzi ai loro racconti testimoniati, peraltro, da numerosi scritti che formarono nel tempo un vero e proprio  “florilegio delle malvagità”.

La storia che segue é la testimonianza a lieto fine di un nostro concittadino che si é deciso, dopo 66 anni di silenzio, a riportarla alla luce con tutta la documentazione scritta e i  ricordi personali ancora vivi ed indelebili. All’epoca della sua deportazione in Germania, Carmelo di Salvo era un giovane diciannovenne di Palmi (Reggio Calabria). Oggi ha un’età difficile da definire, i suoi 88 anni contrastano con il portamento snello e giovanile; i capelli folti, ondulati e in buona parte imbiancati  si armonizzano con la carnagione liscia, abbronzata e fregiata da un paio di baffetti vispi e maliziosi che destano l’invidia di chiunque, anziano o meno anziano, si aspetti ancora “qualcosa” dalla vita... Carmelo non porta quindi alcun segno delle ferite inferte gratuitamente dai suoi aguzzini nazisti durante l’Odissea che sopportò nel periodo di prigionia in Germania. Carmelo abita da molti anni a Rapallo dove vive da pensionato, coltiva un orto con tanto amore e nei suoi piccoli occhi neri e vispi si coglie lo sguardo severo e indagatore di chi ha visto più volte la morte passargli accanto con la sua ineffabile falce, e si é trovato subito dopo ancora vivo e sorpreso come un miracolato.

Carmelo, sono incuriosito soprattutto dalla vitalità e dalla serenità che emana da ogni poro ... Ha qualche segreto da svelarci?

Sono cresciuto in una realtà molto difficile, come può immaginare, ed ero completamente inconsapevole sia dei problemi politici di quei tempi, sia dei pericoli reali che avevo davanti. Ero un bravo ragazzo come tanti, tuttavia l’ambiente della mia Calabria mi costringeva ad essere sempre sulla difensiva. Non ero un violento di natura, ma dovevo dimostrare agli altri di essere un “duro”, dovevo dimostrare forza e coraggio per sopravvivere, per non farmi schiacciare dal gruppo. Bestemmiavo e facevo “cazzate” ... e solo in questo modo ero rispettato e mi salvavo dalle continue minacce e dalla violenza che da quelle parti fanno parte della vita quotidiana. La serenità che ho dentro deriva soltanto dalla mia solitaria e meditata conversione a Cristo. Mi sento un miracolato e  quando l’ho capito, ho iniziato un percorso  di fede che mi  ha trasformato interiormente. L’odio che ho provato contro i tedeschi e tutti coloro che mi hanno fatto del male, con il tempo l’ho trasformato in amore e perdono. Sia chiaro, non ho cancellato alcun ricordo, ma ho accettato il mio destino come un dono di Dio.


Carmelo De Salvo

La fede é la vera conquista che mi sono guadagnato nei lager e oggi mi sento forte dentro. Prima di quella brutta esperienza non sapevo neppure che esistesse la fede. Oggi sono sereno e prego anche per i miei aguzzini. Questo é il motivo principale che mi ha spinto a raccontare, per la prima volta, la mia storia di prigioniero che dedico soprattutto ai giovani di oggi affinché non cadano nel tranello d’innamorarsi di certe politiche intrise di fanatismi che possono procurare solo guai come nel passato.

Carmelo, ora entriamo nel vivo della sua storia.

Chiamato alle armi nel febbraio del 1943, fui destinato al 30° Reggimento Fanteria Divisione Assietta a Rivoli Torinese. Il 4.6.43 fui assegnato al 13° Reggimento Fanteria Divisione Pinerolo. Il 7.7.43 partimmo per la Grecia e raggiungemmo Kastoria-Macedonia, dove Il 13 settembre del ‘43 fummo catturati dai tedeschi e da quel giorno cambiò la mia vita. C’imbarcarono a Larissa (Tessaglia, Nord-Grecia) stipandoci in cento soldati ogni carro-bestiame. Si dimenticarono di noi lasciandoci senza cibo e acqua per diversi giorni. La gavetta ci serviva solo per fare i nostri bisogni. A Vienna ci fecero scendere e, colpendoci come animali, ci divisero intorno ad una caldaia, ci diedero  due carote, due patate, un pezzetto di pane e un po’ d’acqua. Tutto puzzava di latrina. Con lo stesso treno ripartimmo per un’altra destinazione sconosciuta. Si trattava del Campo di smistamento denominato “Stettin”. Ci divisero e ci mischiarono con Serbi, Polacchi e tanti altri, ma con il resto degli italiani ci perdemmo di vista per sempre. Mi destinarono a Schweningen nel Baden-Württemberg (45 km a Est di Friburgo) dove rimasi a lavorare tre mesi in un’acciaieria, dopo di ché fui trasferito presso la vicina Villingen. Con il numero di matricola 41665, fui destinato allo stabilimento Kaiser Uhren (ex fabbrica di orologi) che durante la guerra  produceva pistoni, spolette e detonatori per mine. Sotto di noi i tedeschi sperimentavano lanci di razzi che ci tormentavano soprattutto di notte attirando i bombardamenti alleati. Rimasi due anni a lavorare come tornitore su macchine speciali. Imparai in poco tempo il lavoro da un capo officina austriaco che mi prese a ben volere per la mia facilità di apprendere il mestiere ed anche la lingua tedesca. Il padrone della fabbrica, oltre ad essere il sindaco del paese, era anche un colonnello a riposo della Wehrmacht. Vivevo in un campo di concentramento sorvegliato dalle SS che di notte giravano con i cani lupo sotto le luci dei riflettori che spazzolavano il terreno da torri di guardia unite tra loro da muri alti e filo spinato elettrificato. Mi davano da mangiare quel tanto per stare in piedi e lavorare, ma la fame era il mio incubo continuo e la paura di ammalarmi mi torturava, il lavoro era l’unica assicurazione sulla mia misera vita. “Mai di peggio” era il mio motto e tra lunghi pianti notturni, nostalgia e umiliazioni continue dovute alla spietata segregazione, vivevo alla giornata sognando la fine della guerra, la liberazione e il ritorno a casa. Ma un giorno successe un fatto grave che improvvisamente peggiorò di brutto la mia prigionia. La figlia del capo reparto austriaco si era invaghita di me, oppure le facevo soltanto pena. Fatto sta che un giorno Ingrid mi aspettò nel gabinetto del reparto, mi diede due pezzetti di pane spalmato di burro e scappò via come un fulmine. Ricordo che mangiai anche la carta unta che  avvolgeva quel bene prezioso, ma fui subito assalito dal militare di guardia che si mise a urlare, mi picchiò, mi minacciò e mi portò dalle SS dicendo che ero un ladro e sabotatore. Senza neppure ascoltare minimamente le mie “bugie”, fui spedito con una camionetta, sotto scorta armata, verso il campo di sterminio chiamato Campo di Gesù dal quale era impensabile uscirne vivo. Quel campo era sinonimo di morte, rappresentava la fine di tutto e l’incontro con Gesù nell’al di là.  Erano 20 baracche stracolme di militari denutriti di ogni razza. Chi si ammalava veniva ucciso nelle fosse comuni di un bosco vicino. Rimasi più di tre mesi in quell’inferno sopravvivendo con due  patate al giorno ed 1 kg. di pane di segale da dividere tra 25 prigionieri. Sette metri di filo spinato ci dividevano dal resto del mondo. I prigionieri sani  scavavano “fosse comuni” nel bosco da riempire di cadaveri quando il campo superava il numero stabilito d’internati. Ma non avvenivano fucilazioni. Il rito di morte era un altro. Sul fondo delle fosse, simili a trincee, erano stesi cinque fili elettrici scoperti. I prigionieri ammalati o in esubero erano spinti a calci  dentro la trincea e, al segnale convenuto, era data corrente elettrica e la morte per quei poveracci era istantanea. In quel lager si diceva che era il modo migliore per congedarsi dalla vita, il più rapido per liberarsi da altre peggiori atrocità. Fui assegnato anche al trasporto dei “morituri” nelle fosse comuni nel bosco. Tra le tante bestialità cui accennavo, ricordo che due volte la settimana arrivavano medici militari per elaborare esperimenti sui prigionieri. Praticavano punture nelle gambe che subito gonfiavano come palloni. Trapanavano crani per vedere le reazioni dei centri nervosi del cervello. Sezionavano corpi vivi a scopo scientifico. Alla sera le SS si ubriacavano e scommettevano tra loro sparando con le pistole sulla fronte di prigionieri scelti a caso e legati al palo. In questo modo, ognuno di noi aspettava il proprio turno. A volte i “bersagli” erano denudati e le SS si divertivano ad aizzargli contro i dobberman. Dopo oltre tre mesi trascorsi senza speranza in quell’inferno animato da pazzi criminali, una sera si presentarono al comandante del campo due militari che chiesero, a nome della fabbrica Kaiser Uhren, la liberazione della matricola n.43. Il miracolato ero proprio io. Non fu facile. Successe un parapiglia. Nessuno era mai uscito vivo dal Campo di Gesù e la Gestapo si oppose con tutti i mezzi che aveva a disposizione. Alla fine dovette cedere perché l’ordine veniva dall’alto e più o meno recitava: “Il n. 43 é un operaio specializzato che conosce perfettamente certe macchine che producono materiale bellico molto importante per il Terzo Reich in questo momento”. Alla fine fui rilasciato e il comandante mi congedò sarcasticamente con due parole che non ho più dimenticato:  “fortunello! – fortunello!”. Fu un dono del Signore, una Grazia ricevuta. Ingrid aveva pregato suo padre, capo reparto della Kaiser Uren, di convincere l’anziano Padrone, Sindaco e Collonello della Wermacht di salvarmi perché ero un insostituibile operaio di quella fabbrica. Non so se fu l’amore, la compassione o il senso di colpa a muovere quello strano ingranaggio che mi salvò la vita, sta di fatto che ora sono qui per raccontare quell’episodio. Quando ritornai in fabbrica e rividi la ragazza, fu un indescrivibile momento di commozione. Mi confessò che era stata vista consegnarmi quel famigerato pezzo di pane e per quella imprudenza le furono tagliati i capelli a zero. Io negai sempre quel suo gesto generoso e fui condannato a morte proprio perché mentii. Ricevetti anche un altro grande regalo: lo spione tedesco che mi aveva fatto deportare al Campo di Gesù era stranamente sparito. In seguito la ragazza cercò di convincermi a ritornare in Germania dopo la guerra per sposarla e condurre la fabbrica.

Finalmente arrivò il momento della liberazione, ma la delusione fu grande quanto incomprensibile. I Marocchini comandati dal Presidio Francese  ci trasferirono nuovamente in un campo di concentramento costringendoci a vivere nelle stesse identiche condizioni di prigionieri. Eravamo liberi di circolare,  ma era pericoloso allontanarsi dal centro cittadino perchè i tedeschi sbandati e in fuga, temendo forse che potessimo raccontare in patria le loro atrocità, ci davano la caccia.  I francesi ci tennero 80/90 giorni  segregati e guardati a vista. Si é saputo in seguito che intendevano dirottarci in Francia come “manodopera” in conto-riparazione-danni di guerra provocati dall’Italia alla Francia. Per tre mesi continuammo a sopravvivere come nei lager tedeschi. Ci buttavano gli avanzi dai balconi per umiliarci come fossimo cani randagi, e poi ci gettavano addosso pentole d’acqua bollente per provocare le nostre reazioni che, vista la nostra debolezza, non potevano che essere timidamente verbali. Odiammo i francesi forse più dei tedeschi perché non capivamo le ragioni di tanto accanimento nei nostri confronti. La guerra era finita e tanto odio verso di noi era del tutto ingiustificato. Non sapevamo nulla della guerra e di come erano andate le cose. In ogni caso l’Odissea terminò quando gli Americani e la Croce Rossa si fecero carico del  nostro rientro e  la storia si concluse quando un giorno, per me indimenticabile, si presentò un ufficiale italiano della Croce Rossa e c’informò che saremmo presto rimpatriati. Stipati come acciughe arrivammo a Milano dove fummo accolti finalmente da “cristiani”, ci schedarono e dopo le pratiche burocratiche  ognuno raggiunse  la propria  città.


Carlo GATTI

Rapallo, 20.06.11