ARCIDUCA MARKUS d'ASBURGO AL MUSEO MARINARO TOMMASINO ANDREATTA
Visita al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta
dell'Arciduca d'Austria Markus d’Asburgo-Lorena, pronipote di Francesco Giuseppe e Elisabetta d’Austria
Comunicato Stampa
Sabato 20 c.m. alle ore 16.00, S.A. L’Arciduca d’Austria Markus d’Asburgo-Lorena, pronipote di Francesco Giuseppe e Elisabetta d’Austria e il Colonnello (Ris) delle FF AA Austriache Ing. Karl Skrivanek, Presidente della OMV(Österreichischer Marineverban–ÖMV- cioè l’Associazione Marinai Austriaci che ha il compito di conservare la memoria della Marina Austroungarica) accompagnati dal Cav. Stefano Foti, Chiavarese di adozione e attualmente residente in La Spezia, nonché amico personale dei due illustri Ospiti, visiteranno il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.
Da notare che i graditi e importanti ospiti, parlano bene l’Italiano e visiteranno il Museo Marinaro in “divisa sociale” della OMV. L’Arciduca, tra i numerosissimi titoli ha anche quello di Granduca di Toscana e quindi ha voluto imparare l’italiano. Pertanto eventuali spiegazioni dei Curatori del Museo Marinaro, o eventuali interviste non avranno problemi di sorta in fatto di idioma.
Alla figura di Elisabetta d'Austria fu ispirata una trilogia di film austriaci diretti negli anni cinquanta da Ernst Marischka e interpretati da Romy Schneider nel ruolo della duchessina (impropriamente chiamata "principessa") bavarese e poi imperatrice d'Austria, divenuta celebre con il soprannome di "Sissi".
Per il Benvenuto a Chiavari e al Museo Marinaro, gli ospiti saranno ricevuti nell'ufficio dal Capitano di Vascello Giuseppe Cannatà Comandante della Scuola Telecomunicazioni FF AA di Chiavari. Dopo i saluti di rito faranno da guida al Museo Marinaro il Comandante Ernani Andreatta e i suoi curatori Giancarlo Boaretto ed Enrico Paini.
Lo scorso anno il Cav. Stefano Foti è stato a Vienna in rappresentanza A.N.M.I. (Associazione Nazionale Marinai d'Italia) per una toccante cerimonia relativa alla commemorazione degli Equipaggi multietnici della K.u.K. Kriegsmarine (Marina Imperiale) composti da Italiani, Dalmati, Austriaci, Tedeschi e Ungheresi.
Un epilogo commovente di tante battaglie sul mare tra l'Italia e Impero Austro Ungarico durante la Prima Guerra Mondiale. Ma ora è tempo di unirci tutti per commemorare i tanti caduti sul mare di tutte le nazionalità. Quelle guerre sono finite, e suoi Caduti indistintamente sono tutti da onorare come Eroi, anche se purtroppo, di guerre, ai giorni nostri, ne sono cominciate altre ancora peggiori dove di eroico non c'è più nulla se non il fanatismo forsennato di pochi ....
Stefano Foti, è Tenente c. della riserva, insignito della Croce di Cavaliere della Repubblica e della Croce d’oro al Merito di Marina “Marine-Kreuz” austriaca, è soprattutto un grande appassionato di Storia Marinara, con una serie di ascendenti decorati anche al valor Militare come suo Zio Diogene Foti. Tra gli altri suo Padre, il Comandante Cesare Foti, già presidente del Rotary Club Rapallo Tigullio negli anni 90', può considerarsi Chiavarese avendo abitato per molti anni assieme alla compianta Signora Tina a Chiavari in Corso Genova. Molti dei preziosi cimeli legati alla vita del mare sia in pace che in guerra della famiglia Foti, fanno ora parte del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta anche nella sala dei decorati intitolata a Enrico Millo.
L'Arciduca Markus, vive a Bad Ischl, che è un comune austriaco di circa 14.000 abitanti nel distretto di Gmunden, in Alta Austria, con la consorte Hildegard a insieme ai loro tre figli nella residenza Kaiservilla, che viene spesso aperta al pubblico e nella quale si trova il museo che custodisce tutte le testimonianze storiche dell’impero austro-ungarico. Markus, undicesimo di tredici figli, è il nipote di Maria Valeria, la figlia prediletta dell’imperatore Francesco Giuseppe e di "Sissi", e di Francesco Salvatore, a sua volta discendente di Maria Immacolata di Borbone. Nel suo sangue c’è il legame indissolubile di due tra le più grandi dinastie di fine Ottocento, i Borbone di Napoli e gli Asburgo d’Austria.
Il Colonnello Skrivanek è Presidente della OMV (Österreichischer Marineverband-ÖMV) cioè l’Associazione Marinai Austriaci che ha il compito di conservare la memoria della Marina Austroungarica. Storico navale di fama, pluridecorato, è molto attivo in tutto ciò che concerne la storia della Marina Austroungarica e dei suoi Equipaggi, di cui ancor oggi tiene alto l’Onore, ed è noto nelle FF AA austriache per le sue attività di ingegnere inventore di sofisticati congegni, per i quali ha ricevuto riconoscimenti da molte parti del mondo. E’ coniugato con Maria Teresa, Italiana di nobili origini.
Ma un pò di storia, ogni tanto, è bene ricordarla, ....
Francesco Giuseppe I d'Austria, (in tedesco: Franz Joseph I von Österreich Vienna, 18 agosto 1830 - Vienna 21 novembre 1916), è stato Imperatore d'Austria 1848-1916 e Re d'Ungheria (1867-1916). Regnò sul neo riformato Impero Austro-ungarico dal 1867 e sul Regno Lombardo Veneto, fino al 1866 apparteneva alla casa d'Asburgo-Lorena.
Dopo i moti rivoluzionari del 1848 subentrò a suo zio, ritenuto troppo debole per continuare a governare. Il padre di Francesco Giuseppe rinunciò alla successione e il diciottenne Francesco Giuseppe venne incoronato imperatore d'Austria il 2 dicembre, 1848, su richiesta della sua famiglia.
Con un regno di quasi 68 anni ha superato ogni altro sovrano della sua dinastia, le scelte di governo in politica estera ed interna che compì durante questo lasso di tempo lo imposero come il responsabile del disgregamento e della dissoluzione dell'Impero Austro-Ungarico.
Abrogò nel 1851 le concessioni costituzionali e instaurò un regime assolutistacentralista. Le sconfitte militari nella seconda guerra d'indipendenza italiana (1859) e nella guerra austro-prussiana (1866) lo videro costretto a scendere a patti con i magiari e convertire l'Impero Austriaco in due nonarchie costituzionali: il compromesso del 1867 ha creato la doppia monarchia austro-ungarico come una vera e propria unione di due stati.
Sotto il suo regno crebbe l'opposizione alla Russia sui Balcani, mentre si avvicinò all'Impero tedesco (Duplice alleanza). Il rifiuto di avviare un processo di riforme nella Cisletania da parte di Francesco Giuseppe, nelle Terre della corona di Santo Stefano il non riconoscimento dell'élite Magiara, e il sempre più ampio conflitto tra le diverse nazionalità avviarono verso il collasso l'impero. Le tensioni in atto nei Balcani di dichiarare guerra alla Serbia, e di conseguenza a causa delle alleanze tra stati alla prima guerra mondiale e la forte sovrastima delle forze militari di Austria-Ungheria condussero Francesco Giuseppe nel 1914.
La morte di Francesco Giuseppe il 21 novembre, 1916 in concomitanza con la sconfitta militare della prima guerra mondiale ed i divergenti interessi nazionali dei popoli, portarono alla dissoluzione dell'Austria-Ungheria, nel 1918.
E una visita importante per il nostro Museo Marinaro e cercheremo di renderla interessante e piacevole con l'aiuto della Scuola Telecomunicazione FF AA e con i nostri collaboratori e curatori Giancarlo Boaretto e consorte Paola Ferraris, Enrico Paini e gli allievi curatori Francesco Ulivi e Francesco Materno, studenti di Ingegneria ma anche diplomati Nautici a Camogli che da qualche tempo collaborano attivamente, nei momenti liberi, con la nostra realtà museale. Ma soprattutto un grande grazie al Cav. Stefano Foti che porterà al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari questi illustri ospiti.
Comandante Ernani Andreatta
A sinistra, l'Arciduca d'Austria Markus d’Asburgo-Lorena, pronipote di Francesco Giuseppe e Elisabetta d’Austria; al centro, la granduchessa Hildegarde e a destra, il Col. Karl Skrivanek.
L’Arciduca d’Austria Markus d’Asburgo-Lorena è il secondo da sinistra. il Cav. Stefano Foti è il primo a destra. Gli altri due sono rappresentanti della ex Marina Austro Ungarica.
A cura di Ernani ANDREATTA Direttore e Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.
CHIAVARI
10 Maggio 2017
C'era una volta... il NOSTROMO di banchina
C’era una volta....
il Nostromo di banchina
Cosa sta succedendo nel porto di Genova da un po’ di tempo a questa parte? Sono in molti a chiederselo. Ovviamente ci si riferisce ai ripetuti incidenti mortali che stanno colpendo turisti, croceristi ai terminal passeggeri, ma anche lavoratori portuali nelle calate dei containers negli ultimi anni.
London Valour
Monica Russotti
Haven-Epilogo
Ho trascorso in porto metà della mia esistenza, prima come comandante di rimorchiatori, in seguito come pilota portuale e, a mio modestissimo avviso, posso testimoniare d’aver visto e vissuto molte tragedie navali. Tuttavia, occorre precisare che si trattò di naufragi (London Valour), incendi (Anna C.- Angelina Lauro - Achille Lauro), esplosioni (Hakuyo Maru-Haven) nonché numerosi altri incidenti mortali causati da trombe d’aria, fulmini, mareggiate da libeccio ecc... Lo scenario oggi é cambiato ed entra in gioco la sicurezza all’interno del porto e non si parla più di cause naturali. Oggi é necessario affrontare il discorso sulle responsabilità umane, ma a questo punto il discorso si fa molto arduo perché nel nostro Paese, purtroppo, le responsabilità sono sempre frazionate, a volte frantumate e, alla fine, dopo decine di anni spesi in accertamenti e cause, tutto cade nell’oblio totale.... Da oltre dieci anni a questa parte, a mio modo di vedere, nel porto di Genova si muore troppo facilmente e per altri motivi che volutamente non approfondisco, per non interferire sulle decine di cause ancora in corso. Tutto cominciò intorno al 2000, forse per motivi di bilancio, ma sicuramente a causa della privatizzazione delle banchine. Improvvisamente fu “licenziato” dalle banchine il Nostromo di banchina, un sottufficiale di Capitaneria, che rappresentava l’Autorità Marittima e Portuale nei punti nevralgici del porto, dove erano in corso manovre di navi e operazioni in banchina. Questi militari di grandissimo “mestiere”, avevano il controllo totale di tutto ciò che si muoveva in porto: arrivi, partenze, movimenti, carico e scarico delle merci. Il Nostromo di banchina era il maggiore collaboratore dei servizi portuali perchè dava il via alle manovre soltanto quando erano cessati i pericoli in calata (gru fuori posto, presenza di chiatte, cavi in mare o messi male, auto od altro posteggiate in zone pericolose ecc...). Il Nostromo controllava i pescaggi, gli sbandamenti delle navi e la sua presenza in banchina era paragonabile a quella del “poliziotto di quartiere” che segnalava agli interessati qualsiasi anomalia e provvedeva a risolverla in tempi quasi sempre brevissimi. Ogni nostromo aveva la sua zona e tutti facevano riferimento alla sua persona, H-24. Per chi ha lavorato con loro ed ha vissuto il passaggio successivo, non ha ancora capito il mistero della loro improvvisa eliminazione che ha creato un vuoto nell’organizzazione portuale che perdura tuttora. Chi ha deciso quello stravagante provvedimento non aveva sicuramente la minima idea della loro professionalità, attendibilità, serietà, dedizione, senso del dovere, capacità organizzative, grandissima esperienza. Con la loro uscita di scena, le banchine sono scivolate, da un giorno all’altro, nell’anarchia e nella deregulation, lasciando lo spazio al disordine più o meno calcolato. Senza di loro, il pressing e lo stress sono diventati i veri protagonisti della produttività a scapito della sicurezza.
Probabilmente i Nostromi di Banchina erano ritenuti responsabili di “frenare” la scorrevolezza del traffico e la movimentazione delle merci con la loro diligente azione sul campo, e mai nessuno aveva calcolato, al contrario, quanti incidenti avevano evitato dal dopoguerra in poi.
Con la loro scomparsa, il numero degli operai schiacciati dai mezzi di carico e scarico è cresciuto vertiginosamente, specialmente nel settore containers. Inoltre, con la massiccia espansione del gigantismo navale (passeggeri e traghetti), ha fatto capolino una nuova tipologia d’incidenti: auto cadute in mare ai terminal traghetti, per mancanza di segnalazioni, barriere e controlli nelle corsie d’avvio agli imbarchi/sbarchi.
Rientra in questo tragico quadro anche l’incidente avvenuto all’inizio dell’estate a bordo di una grossa nave passeggeri (MSC), che ha visto precipitare in mare (dallo scalandrone) due passeggeri mentre la nave era in movimento. Un tempo, nessuno, avrebbe potuto filare, virare o spostare i cavi di una nave, o mettere in moto le eliche di manovra senza il permesso del Nostromo di Banchina.
Non conosciamo a fondo la dinamica dei fatti e ci asteniamo pertanto di tranciare giudizi tecnici, tuttavia, dagli articoli apparsi sui quotidiani, ci sembra di capire che anche nell’incidente di ieri, avvenuto sul Traghetto Moby Otta ci sia stata una carenza di sicurezza. In altri tempi, il Nostromo di Banchina avrebbe fatto completare l’ormeggio, poi avrebbe fatto abbassare la rampa della nave e avrebbe cadenzato lo sbarco delle auto. La vettura precipitata in mare con due giovani tedeschi, a quanto pare, é avvenuta quando i motori e le eliche della nave erano ancora in movimento.
Non è neppure escluso che tra le possibili cause ci possa essere la solita micidiale avaria di fine stagione, che colpisce, ogni anno, una buona parte di traghetti giunti al limite dell’efficienza. Anche i motori, come gli umani, esigono controlli e manutenzione dopo un infinito numero di corse, di doppie corse, compiute con il fiato sul collo della concorrenza, degli orari da rispettare, a cominciare dal mese di giugno. Le problematiche su cui riflettere sarebbero numerose, proprio come gli interessi in gioco. Ma qui mi fermo! E ripenso a quella frase così densa di verità ed ironia:
“Tutti parlano di sicurezza, ma nessuno la vuole pagare”.
Carlo GATTI
Rapallo, 19.04.11
LOCH KISHORN – CHEVRON NINIAN CENTRAL
LOCH KISHORN – CHEVRON NINIAN CENTRAL
Storia del Porto e del Bacino di Kishorn
Progetto Ninian Central
Il progetto originale del cantiere di Kishorn in Scozia era stato sviluppato come un cantiere di costruzione per le piattaforme nel 1970. Il cantiere fu gestito dalla Società Howard Doris Ltd ed operò dal 1975 al 1987. Nel 1975 il lavoro iniziò nel lato a nord del Loch Kishorn per acquisire e sviluppare un’area sufficiente per costruire la Piattaforma di Ninian Central. Questo era molto diverso dal piano originale di costruire un dry dock di 150 metri di diametro per alloggiare la costruzione della struttura di cemento del primo anello della base di Ninian Central.
Nelle foto seguenti si vedono le fasi di costruzione del bacino di Loch Kishorn:
Dal 1977 c’erano più di 3000 persone che lavoravano nel cantiere. Per la pianificazione di tutto il personale impegnato il cantiere fu considerato come un’isola e tutti i materiali e le persone venivano movimentate per mare e per cielo. Due navi passeggeri in disarmo (Ragantira e Odysseus) furono ormeggiate nel Loch ed adibite a hotel galleggianti per ospitare tutto il personale.
Per continuare il progetto di Ninian la base galleggiante da 150.000 tonnellate fu rimorchiata fuori dal dock ed ormeggiata nel Loch Kishorn. Il bacino nel Lock Kishorn ha una profondità utile per costruzioni di 80 metri. Dopo il completamento le 600.000 tonnellate della piattaforma di cemento furono rimorchiate da 7 rimorchiatori nel campo petrolifero del Mare del Nord. A quel tempo questa piattaforma era stata il più grande oggetto mobile mai costruito dall’uomo.
Nella sequenza di foto che segue si vedono le varie fasi della costruzione della piattaforma:
Base piattaforma in costruzione dentro al bacino
Base piattaforma galleggiante mentre viene rimorchiata fuori dal bacino.
Nelle foto che seguono si vedono le varie fasi durante la costruzione a ptf galleggiante e ormeggiata davanti a Loch Kishorn:
Rimorchio per cambio ormeggio
Rimorchio per la destinazione finale
Nelle foto a seguire si vede la c.v. Pearl Marine della Micoperi durante le fasi di sollevamento dei moduli:
Ninian Central
La piattaforma di Ninian Central ha un singolo piede di supporto in cemento piuttosto che molte gambe. Il piede di supporto alla base ha un diametro di 140 metri restringendosi salendo verso l’alto.
Installazione di Ninian Central
Alle 05.00 del mattino del 12 di agosto 1977 le 220.000 tonnellate della piattaforma a gravità e galleggiante erano pronte per essere posizionate. E’ stata rimorchiata da una flotta di 6 rimorchiatori oceanici da Loch Kishorn fino al alla destinazione finale in mezzo al Mare del Nord (settore inglese). La base della piattaforma è grande quanto Trafalgar Square . La posizione finale della piattaforma alla fine è risultata di 3 metri migliore che nel progetto.
Piattaforma di Ninian Central terminata e in produzione
Prove di produzione dei pozzi
D.M. PINO SORIO
Carlo GATTI
Rapallo, 7 Maggio 2017
SEQUENZA VARO JACKET PIATTAFORMA
SEQUENZA VARO JACKET PIATTAFORMA
Spieghiamo innanzitutto cosa sia un Campo Petrolifero prendendo come esempio IL CAMPO VEGA che è stata costruita dalla Pearl Marine della Società MICOPERI. All'epoca, l'autore di questi APPUNTI, il D.M. Pino SORIO, socio di Mare Nostrum Rapallo, era a bordo della piattaforma in qualità di Direttore di Macchina.
Scheda tecnica
- Luogo:
Canale di Sicilia, 20 Km a sud di Pozzallo (RG)
- Tipologia:
campo off-shore
- Produzione giornaliera:
circa 2700 barili/giorno
- Situazione erogativa:
attualmente in produzione
- Numero piattaforme:
Vega A e una nave stoccaggio (FSO Leonis)
- Numero di pozzi:
24 (di cui 17 in produzione)
- Profondità acqua:
122 m
- Operatore:
Edison (60%) – ENI (40%)
- Inizio produzione:
1987
- Trattamento e stoccaggio:
Vega A, stoccaggio su FSO Leonis
Vega è la più grande piattaforma petrolifera fissa realizzata nell’off-shore italiano. Il campo Vega, 60% Edison in qualità di operatore e 40% Eni, è ubicato a circa 12 miglia a sud della costa meridionale della Sicilia, al largo di Pozzallo. Comprende una piattaforma denominata Vega – A per lo sfruttamento del giacimento petrolifero e un deposito galleggiante da 110.000 tonnellate ricavato dalla trasformazione della ex-petroliera Leonis in FSO (Floating – Storage – Offloading). Il galleggiante è ormeggiato a una mono boa situata a circa 1,5 miglia dalla piattaforma e ad essa collegata tramite condotte sottomarine.
La piattaforma è stata appoggiata nel febbraio 1987, su un fondale di circa 122 metri di profondità d’acqua tramite un Jacket, struttura di acciaio tubolare a forma di traliccio con otto gambe ancorate al fondo marino per mezzo di 20 pali, su cui sono stati successivamente posati i restanti moduli di produzione e servizi.
La piattaforma adotta tecnologie d’avanguardia per la sicurezza del personale e dell’ambiente circostante. E’ stata, infatti, progettata per resistere a venti fino a 180 Km/h, onde marine di 18 metri e terremoti fino al nono grado della scala Mercalli. Vega A è munita, inoltre, di un sistema di sicurezza combinato di rivelazione gas/incendio e arresto di emergenza che garantiscono un alto livello di sicurezza
Il giacimento si trova ad una profondità sotto il livello del mare variabile da 2.400 a 2.800 metri, il quale si estende su una superficie di circa 28 chilometri quadrati. La produzione è stata avviata nell’agosto del 1987; attualmente dei 24 pozzi presenti in piattaforma 17 sono in produzione.
Dalla piattaforma il greggio viene trasferito tramite una condotta flessibile e coibentata, verso la FSO Leonis che riceve il greggio, lo distribuisce nelle diverse cisterne di carico e se necessario lo riscalda con vapore. La FSO funge inoltre da terminale per il caricamento delle navi cisterna che trasportano in raffineria il greggio prodotto dal Campo Vega.
La piattaforma Vega è permanentemente presidiata 24h su 24h e tutto il controllo degli impianti è monitorato in Sala Controllo. Il personale usufruisce dei turni di riposo secondo una turnazione che prevede 14 giorni a bordo e 14 giorni di riposo a terra.
Leonis
Nell’ottobre 2009 al fine di ottemperare alle nuove normative Europee in materia di doppio scafo, Edison ha sostituito l’ex galleggiante a singolo scafo Vega Oil con la nuova unità a doppio scafo e doppio fondo Leonis del tipo Aframax.
Una piattaforma petrolifera è un'imponente struttura utilizzata per l'esplorazione di aree marine in cui sono locati potenziali giacimenti di IDROCARBURI. Allo stesso tempo le piattaforme vengono utilizzate anche per la perforazione di pozzi petroliferi, nel caso sia stata provata l'esistenza del giacimento. Una volta terminato il pozzo, la piattaforma può essere usata per estrarre idrocarburi dallo stesso, oppure può essere spostata in un'altra località per eseguire una nuova perforazione.
SEQUENZA VARO JACKET PIATTAFORMA
Come si vede nella sequenza di foto il varo di un jacket viene eseguito con una procedura particolare. Le bettoline per il trasporto dal cantiere di costruzione sono fatte apposta per questo servizio. Il jacket posa su due rotaie guida e viene spinto da due enormi pistoni idraulici. Con un piano di zavorrameto preparato in anticipo la bettolina viene appruata di qualche grado fino che il jacket incomincia a scivolare sulle due guide acquistando via via velocità fino alla caduta in mare. In questa sequenza di foto il jacket è del tipo auto verticalizzante, cioè con l’apertura e chiusura automatica di valvole si allagano delle tanke situate nella parte bassa: l’acqua che entra fa si che il jacket si verticalizzi restando però galleggiante. Dopo di che viene agganciato dalle gru della nave e posizionato nel punto esatto dove c’è il pozzo pilota. A questo punto si allagano completamente le tanke della zavorra e posato sul fondale.
Jacket auto verticalizzato e galleggiante pronto per essere posizionato e posato sul pozzo pilota o sulla template già fissata sul fondo del mare.
D.M. Pino SORIO
Carlo GATTI
Rapallo, 28 Marzo 20167
VENDÉE GLOBE RACE 2016-2017
VENDÉE Globe Race 2016-2017
…. La regata più pazza del mondo…..
Fu dondata nel 1989 – Per le Classi IMOCA 60
Partenza e Arrivo da LES SABLE-D’OLONNE (Francia)
Nel duello più lungo il bretone Armel Le Cléac’h vince il giro del mondo 2016-2017
Con il record del mondo abbassato di quattro giorni, Armel Le Cleac'h ha vinto la leggendaria Vendée Globe Challenge, il giro del mondo in solitario e senza scalo che era partito il 6 novembre da Les Sables d'Olonne, un'edizione rivoluzionata dagli scafi dotati di "baffi". Testa a testa con il britannico Alex Thomson durato oltre 25 mila miglia:
Capo di Buona Speranza (Sud Africa)
Al Capo di Buona Speranza fu dato il nome di «Capo Tempestoso» dall’esploratore portoghese Bartolomeu Diaz, il primo europeo a raggiungerlo via mare nel 1488. Nel XV secolo, le navi si trovavano spesso in difficoltà in questo tratto di mare.
Capo Leeuwin (Australia)
Capo Leeuwin è considerato erroneamente il punto più a sud dell’Australia e il punto d’incontro tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Glaciale Antartico. Il nome gli fu assegnato nel 1801 dal navigatore e cartografo inglese Matthew Flinderscapo, in onore del vascello olandese “Leeuwin” che per primo lo doppiò, nel 1622.
Pur non essendo il punto più meridionale dell’Australia Capo Leeuwin fa parte delle “boe” naturali, utilizzate dalla maggior parte delle regate intorno al mondo (come la Vendée Globe)
Assieme agli altri due capi nominati fa parte della fascia di latitudine dei "QUARANTA RUGGENTI", così denominata proprio per indicare alcuni dei tratti di mare più pericolosi al mondo.
Se ti è piaciuto questo articolo condividilo con i tuoi amici! Oppure raccontaci quale di queste rotte ti piacerebbe intraprendere, da solo o in compagnia!
Capo Horn (Cile)
Capo Horn è il punto più a Sud delle Americhe, situato in realtà nell’omonima isola, appartenente all’arcipelago della Terra del Fuoco. Venne doppiato per la prima volta dalla spedizione Olandese di Willem Schouten e Jacob Le Marie, che lo battezzarono Kaap Horn in onore della città natale di Schouten.
Si può scegliere di passare in mare aperto, dal canale di Drake, oppure nello Stretto di Magellano, attraverso le isole della Terra del Fuoco, che però offrono un passaggio lento e ricco di insidie. In ogni caso Capo Horn va affrontato nella stagione estiva, quando le giornate durano circa 20 ore e le temperature sono un po meno proibitive.
Il motivo delle violenti tempeste che si infrangono su Capo Horn risiede nella costante presenza di vento da Ovest, che corre lungo l’Oceano australe, unita ad un repentino abbassamento della profondità del mare. Nello stretto di Drake il fondale passa improvvisamente da 4.000 m ad appena 100 me questo causa la formazione di onde estremamente violente. La normalità in estate sono 20-25 knt di vento e 2-3 m di onda ma la Marina cilena rileva spesso venti di 80- 100 knt e onde superiori a 20 m. Se poi consideriamo una temperatura dell’aria che va dai 12°C (in estate) ai -5°C (di inverno), con l’acqua sempre prossima agli 0°C, potrete facilmente capire il perché della fama di Capo Horn.
La mappa indica la rotta della regata VENDE’E GLOBE
http://www.vendeeglobe.org/en/
La 17a RACE
Iniziata il 6 novembre 2016
Terminata il 17 gennaio 2017
Per il vincitore: Armel Le Cléac'h è durata 74 giorni 03h 35' 46"
Sebastien Josse alla partenza del Vendée Globe su Gitana
la Francia s'inchina agli eroi della vela estrema.
I PARTECIPANTI ARRIVATI
Sailor |
Yacht |
Time |
Banque Populaire VIII § |
74d 03h 35' 46" (current record) |
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Hugo Boss § |
74d 19h 35' 15" |
|
Maître CoQ § |
78d 06h 38' 40" |
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StMichel-Virbac § |
80d 01h 45' 45" |
|
Quéguiner - Leucémie Espoir |
80d 03h 11' 09" |
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Finistère Mer Vent |
80d 04h 41' 54" |
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Bureau Vallée |
87d 19h 45' 49"
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Spirit Of Hungary |
93d 22h 52' 09" |
|
Comme un Seul Homme |
99d 04h 56' 20" |
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La Mie Câline |
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100% Natural Energy |
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One Planet One Ocean |
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Newrest - Matmut |
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La Fabrique |
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No Way Back § |
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Great American IV |
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Famille Mary - Etamine Du Lys |
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TechnoFirst - FaceOcean |
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UN PO’ DI STORIA:
La Vendèe-Globe è una regata per barche a vela che consiste in una circumnavigazione completa in solitaria, senza possibilità di attracco o di assistenza esterna (pena l'esclusione). L'iniziativa è stata fondata da Philippe Jeantot nel 1989 , e a partire dal 1992 si è svolta ogni quattro anni. Per le sue evidenti restrizioni, la regata costituisce una dura prova di resistenza individuale, e viene da molti considerata come la più significativa delle competizioni in ambito velico, è soprannominata « L'Everest de la mer » o « L'Everest des mers », in ogni caso è l'unica regata al mondo in solitario, senza scali e senza assistenza che prevede la circumnavigazione completa del globo.
La Regata venne istituita nel 1989 dal velista Philippe Jeantot. Jeantot aveva già preso parte alla BOC CHALLENGE (oggi Velux 5 Oceans Race), nelle edizioni 1982-83 e 1986-87, vincendole entrambe: insoddisfatto della formula "a tappe", decise di allestire una nuova regata non-stop, che nelle sue intenzioni doveva rappresentare la sfida per eccellenza per i navigatori in solitaria.
La prima edizione della gara si tenne a cavallo fra il 1989 e il 1990, e fu vinta da Titouan Lamazou; Jeantot stesso vi prese parte, classificandosi al quarto posto . L'edizione successiva fu quella del 1992-93; da allora si è regolarmente svolta ogni quattro anni.
Le Barche
La gara è aperta a ogni imbarcazione a scafo singolo conforme ai parametri della classe OPEN 60 (prima del 2004, la competizione era estesa anche agli Open 50). Alcune peculiarità dell'imbarcazione sono lasciate alla discrezione del partecipante, ma un pacchetto di regole limita o impone parametri riguardanti lunghezza, pescaggio, stabilità e appendici, oltre a una serie di numerose norme legate alla sicurezza.
LA ROTTA DEI CLIPPERS
La Gara
La gara inizia e finisce a Les Sables-d'Olonne, nel dipartimento francese di Vendèe. Sia Les Sables d'Olonne che il Vendée Conseil Général sono sponsor ufficiali della competizione. Il tragitto è sostanzialmente una circumnavigazione lungo la clippers route: da Les Sables-d'Olonne, giù per l'Oceano Atlantico al Capo di Buona Speranza, dopo di che si procede in senso orario attorno all'Atartide, lasciando a sinistra Cape Leeuwin e Capo Horn, infine di nuovo verso Les Sables d'Olonne. La gara generalmente dura da Novembre a Febbraio: è studiata in modo che i partecipanti possano affrontare i Mari Antartici durante l'estate australe.
Ulteriori punti di navigazione obbligatori possono essere imposti in aggiunta al regolamento per una particolare edizione, al fine di garantire la sicurezza dei partecipanti in merito per esempio alle mutevoli condizioni dei ghiacci. Nell'edizione 2004, ai partecipanti fu chiesto di tenersi a nord dei seguenti punti di riferimento:
· un passaggio situato a sud del Sudafrica , a 44 ° Sud, tra 005 ° e 014 ° Est
· un passaggio a sud ovest dell'Australia, a 47° Sud, tra 103° Est e 113° Est
· un passaggio a sud est dell'Australia, fra 52° Sud, tra 136° Est e 147° Est
· un passaggio nell'Oceano Pacifico, a 55° Sud, tra 160° Ovest e 149° Ovest
· un passaggio nell'Oceano Pacifico, a 55° Sud, tra 126° Ovest e 115° Ovest
Ai concorrenti è concesso star fermi all'ancora, ma non accostarsi a una banchina o un'altra imbarcazione; essi non possono ricevere assistenza esterna, comprese previsioni meteo personalizzate o informazioni sulla rotta. L'unica eccezione è che un concorrente che ha un problema iniziale può tornare alla partenza per le riparazioni, purché sia in grado di riprendere la gara entro 10 giorni dalla data in cui la competizione ha avuto ufficialmente inizio. La gara si caratterizza come una serie di sfide di rilievo, in particolar modo per le impegnative condizioni di vento e onda nei Mari Antartici, la notevole durata di una corsa senza assistenza, e il fatto che la rotta spinga spesso i concorrenti lontano dalla portata di qualsiasi normale risposta in caso di emergenza. Di norma, una significativa percentuale di iscritti è costretta al ritiro, e nell'edizione 1996-97 il velista canadese Gerry Roufs è scomparso in mare. Per contenere i rischi, ai concorrenti è richiesta l'idoneità a corsi di sopravvivenza e pronto soccorso. Devono altresì fornire prove attendibili di una solida esperienza acquisita in materia di navigazione, e queste consistono in due possibilità: o la partecipazione a una precedente competizione transoceanica in solitaria, oppure, naturalmente, aver preso parte a una passata edizione dello stesso Vendée Globe e averla portata a termine per intero. Per regolamento, il passaggio di qualificazione deve essere stato effettuato con la stessa imbarcazione che gareggerà; in alternativa il concorrente dovrà sottoporsi, con la barca che gareggerà, a un ulteriore passaggio transoceanico di osservazione, non inferiore alle 2.500 miglia e da percorrersi a una velocità media di almeno sette nodi (circa 13 km/h). Dal momento che le gare transoceaniche in genere sottostanno a rigidi criteri di idoneità, si ritiene che ogni iscritto al Vendèe abbia accumulato una sufficiente competenza in merito.
I VINCITORI delle varie edizioni:
1989-1990 - Titouan Lamazou – Francia – 109 gg 08 h 48’
1992-1993 - Alain Gautier - Francia – 110 gg 02 h 22’
1996-1997 – Christophe Auguin - Francia - 105 gg 20 h 31’
2000-2001 - Michel Desjoyeaux Francia - 93 gg 3 h 57’
2004-2005 - Vincent Riou - Francia - 87 gg 10 h 48’
2008-2009 - Michel Desjoyeaux – Francia - 84 gg 3 h 9’
2012-2013 - François Gabart - Francia - 78 gg 2 h 16’
Il fascino della vela
Vittorio Malingri è l'unico italiano ad aver fatto e quasi completato il Vendée Globe, giro del mondo in solitario, con una barca progettata e costruita da solo. Vittorio “Ugo” Malingri, skipper, figlio di Franco, navigatore e progettista, e nipote di Doi, apripista della vela oceanica in Italia. Vittorio (19 maggio, 1961), naviga da quando ha cinque anni. A diciassette anni ha fatto il giro del mondo con la famiglia e, come ama ripetere, da allora “non è mai più tornato”. Ha vissuto sempre a bordo delle sue barche a Cuba, Bahamas, Francia, Panama, Grecia. Non ha mai tenuto il conto delle miglia percorse, anche se si dice che siano attorno alle 400mila. Pragmatico e insieme sognatore, anticonformista, ama la natura selvaggia in tutte le sue forme, non solo quella marina, ed è sempre alla ricerca di una nuova sfida o di una nuova impresa da compiere.
Vero e proprio “maestro di mare”, tra un’avventura nautica e una terrestre, Vittorio ha sempre tenuto su tutte le sue barche - Huck Finn, Moana 60’, Elmo’s Fire, Time of Wonder e sull’ultima Huck Finn II - corsi di scuola di vela d’altura “Ocean Experience”, ai quali hanno preso parte negli anni oltre un migliaio di allievi. Ha una grande famiglia allargata di cui va molto fiero e che forma da sola un gran bell’equipaggio. Ma la sua crew preferita è quella composta dai figli: Manuele (26), Nico (24), Nina (12) e Mila (6).
CARLO GATTI
Rapallo, 15 Febbraio 2017
ABERDEEN, LA CAPITALE DEL PETROLIO EU
ABERDEEN
La capitale del Petrolio EU
Mare del Nord
Aberdeen in Scozia a sinistra - Stavanger in Norvegia a destra delimitano la vasta zona d’estrazione del Mare del Nord impossibile immaginare la nostra società di oggi senza gas e petrolio, che servono per gli autoveicoli, per il riscaldamento, per la produzione di energia elettrica e per tante altre cose indispensabili a garantire il livello di comfort che conosciamo. Tutto il settore è in mano a grandi compagnie multinazionali come Shell, BP, Exxon, Elf, Petrochina, Gazprom, Eni ed altri, che spesso lavorano insieme nella ricerca e nello sfruttamento dei campi di petrolio e di gas perché i costi da affrontare sono altissimi. Gas e petrolio si trovano in molti angoli della terra. In Europa la zona del Mare del Nord è la più ricca di petrolio e gas. L’estrazione riguarda principalmente il territorio inglese e quello norvegese, in parte ridotta quello danese, tedesco e olandese.
Veduta aerea di Aberdeen
Strada principale di Aberdeen
Università di Aberdeen
Regno Unito e Norvegia
Nel Regno Unito tutta l’economia del petrolio gira intorno ad Aberdeen e Glasgow. Sono i due principali centri per trovare un lavoro sulle piattaforme o nell’indotto, come cantieri navali, raffinerie, ditte di catering, agenzie che gestiscono il personale subacqueo. Altre località coinvolte sono Newcastle e i porti che guardano verso l’Irlanda. L’industria inglese, compreso l’indotto, impiega attualmente 260.000 unità. Una sezione a parte è dedicata al settore petrolifero e del gas in Norvegia che rappresenta una delle punte di diamante dell’economia nazionale. Impiega quasi 80.000 persone e costituisce un terzo degli introiti del paese; crea inoltre un effetto di ricaduta anche su altri settori economici chiave, che si giovano dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico. Decenni di esperienza nel campo hanno permesso alla Norvegia di acquisire un’industria petrolifera ben sviluppata, più sicura, efficiente e attenta all’ambiente. A livello mondiale la Norvegia si attesta al terzo posto come esportatore di gas e petrolio.
Barche da pesca nel porto di Aberdeen, com’era nel 1955
Aberdeen è una città nel Nordest della Scozia sulla costa del Mare del Nord. La sua economia si basava sull’industria della pesca e sul tessile fino agli anni Settanta, quando la scoperta di grandi giacimenti petroliferi sottomarini l’ha trasformata in uno dei principali centri per l’estrazione del greggio.
Oggi ad Aberdeen grandi compagnie internazionali come l’americana Chevron mettono a punto le più innovative tecniche di perforazione sottomarine. Le sperimentazioni per l’estrazione del petrolio a grandi profondità vengono poi utilizzate per estrarre gas naturale e petrolio nel Golfo del Messico, in Angola, in Australia, nella Repubblica del Congo e in molte altre parti del mondo.
Aberdeen è la terza città della Scozia, ha circa cinquecentomila abitanti se si comprendono anche le contee circostanti, ma la sua economia è la seconda più ricca dell’intera Gran Bretagna, superata soltanto da Londra. Il reddito medio dei suoi abitanti si aggira tra le le 32 mila e le 49 mila sterline. Il tasso di disoccupazione della città è la metà della media nazionale. Lo stipendio medio per un lavoratore dell’industria petrolifera è di 64 mila sterline, più del doppio della media britannica.
Torre Piloti del Porto di Aberdeen
Il porto di Aberdeen, oggi
I Supply Vessels sono mezzi di supporto alle piattaforme offshore
Una piattaforma petrolifera nel Mare del Nord
Una piattaforma petrolifera Total nel Mare del Nord
This is an undated handout photo issued by Total E&P UK Ltd of Total's Elgin PUQ (Process/Utilities/Quarters) platform. A two-mile exclusion zone has been set up around the offshore platform in the North Sea which has been evacuated after a gas leak, Tuesday, March 27, 2012. The leak on Total's Elgin PUQ platform, about 150 miles (241km) off the coast of Aberdeen, led to the evacuation of all 238 workers on Sunday. (AP Photo / TOTAL E&P UK Ltd) NO SALES.
L'incendio alla piattaforma Piper Alpha nel Mare del Nord, nel luglio 1988. Morirono 160 persone
In questo disegno vengono rappresentate le piattaforme utilizzate in base alla profondità del fondale
A marzo 2016, il numero complessivo di piattaforme operative in attività di prospezione o di estrazione di petrolio e gas, nel mondo, è 1.551: quasi il 12% in meno di quelle in attività a febbraio (erano 1761) e il 18% in meno rispetto a gennaio 2016 (1891).
MUSEO MARITTIMO ABERDEEN
Aberdeen Maritime Museum is a maritime museum in Aberdeen, Scotland.
The museum is situated on the historic Shiprow in the heart of the city, near the harbour. It makes use of a range of buildings including a former church and Provost Ross' House, one of the oldest domestic buildings in the city.
The museum tells the story of the city's long relationship with the North Sea. Collections cover shipbuilding, fast sailing ships, fishing and port history, and displays on the North Sea oil industry. It also commands a spectacular viewpoint over the busy harbour.
Collection highlights include ship plans and photographs from the major shipbuilders of Aberdeen including Hall, Russell & Company Ltd, Alexander Hall and Sons, Duthie and John Lewis & Co. Ltd and Walter Hood & Co.
Displays include ship and oil rig models, paintings, clipper ship and "North Boats" material, fishing, whalers and commercial trawlers, North Sea oil industry, and the marine environment.
Ricostruzione in scala di una pittaforma offshore
Attrezzature per divers d'alti fondali
Il Bar del Museo con molti reperti originali
Anders Lebano, un rapallino "esportato" ad Aberdeen
Due Supply Vessels in notturno
CARLO GATTI
Consulenza tecnica di Anders Lebano
Rapallo, 13 Febbraio 2017
TORRE PILOTI NEI PORTI DEL MONDO
ALBUM FOTOGRAFICO
TORRE PILOTI NEI PORTI DEL MONDO
Lo scrittore J. Conrad definì il pilota:
- trustworthiness personified -
ovvero l'attendibilità in persona!
PORTI ITALIANI
TORRE PILOTI - VENEZIA (2 foto)
TORRE PILOTI - NAPOLI
TORRE PILOTI - TARANTO
TORRE PILOTI - GIOIA TAURO
TORRE PILOTI - LIVORNO
PORTI FRANCESI
MARSIGLIA Porto Vecchio - TORRE PILOTI
FOS - MARSEILLE
FOS
LE HAVRE
PORTOGALLO - LISBONA
BELGIO - ANVERSA
Port-House
GERMANIA
HAMBURG
Piloti HAMBURG
Piloti KIEL
STRALSUND
HANSEATIC PILOTS
SPAGNA
VALENCIA
LA CORUÑA
OLANDA
ROTTERDAM
SCANDINAVIA
MARSTRAND (SVEZIA)
ISOLA DI ÅLAND
Kobba-Klintar
COPENHAGEN (DANIMARCA)
GDANSK - POLONIA
PORTI INGLESI
SCOZIA
GREENOCK
ABERDEEN
SPITHEAD (U.K.)
HARWICH
Pilot arriving by helicopter at the rendez-vous
CALSHOT- HAMPSHIRE
ROGER STIRK HARBOUR
TOWER CLYDE
LIVERPOOL: Pilot Office-1883/1978
PORTSMOUTH
SPINNAKER TOWER
DOVER
TURCHIA
ISTAMBUL
CANADA
VANCOUVER
STATI UNITI
CAPE HENLOPEN DELAWERE
NEW YORK - STAZIONE PILOTI
HONDURAS
PUERTO CORTES
AUSTRALIA
SYDNEY
SOUTH AFRICA
PORT ELIZABETH
EMIRATI ARABI
KALIFHA
ARABIA SAUDITA
JEDDAH
CARLO GATTI
Rapallo, 2 dicembre 2016
JOHN GATTI E I PILOTI DI PRA'
JOHN GATTI E I PILOTI DI PRA’
Tra le persone da annoverare tra gli “amici di Pra’ “ c’è sicuramente John Gatti, il giovane e brillante Capo dei Piloti del Porto di Genova. Avendo compreso le genuine ragioni dei cittadini di Pra’ e le loro legittime richieste ed aspettative, ha di sua spontanea iniziativa corretto tutte le scritte e diciture che, sui documenti dei Piloti e sul loro sito web, riportavano gli obsoleti riferimenti relativi al bacino portuale realizzato davanti a Pra’. John ha la grande responsabilità di dirigere e coordinare i piloti del più grande porto italiano, uno dei più grandi del mondo, quello di Genova, facendo in modo che le navi entrino, ormeggino ed escano nei tempi previsti ed in sicurezza, con ogni condizione meteo. Il suo ufficio si trova nell’edificio di Ponte Colombo che un tempo era il terminal Tirrenia, poi ristrutturato in modo originale, con i prospetti, porte e finestre che ricordano le sovrastrutture di una nave.
Attorno a lui la sala operativa, “high-tech”, da dove è possibile seguire la situazione dei transiti, delle manovre, e degli accosti, e poi altri uffici, e le “cabine” dove i piloti possono riposare nelle pause, e perfino una piccola, deliziosa, mensa con cucina dedicata, operativa 24 ore su 24. La sede è ad uso temporaneo, dopo il triste evento dell’abbattimento della Torre Piloti da parte della Jolly Nero, e resterò operativa fino alla realizzazione della nuova struttura, posta all’impoccatura del porto, di cui, nell’ufficio di John si può vedere uno schizzo a mano libera dell’ideatore Renzo Piano. Il Corpo dei Piloti, oltre alla sede principale a Genova, ha anche due sedi distaccate a Multedo e a Pra’. Il Corpo Piloti del Porto di Genova è composto da 23 Piloti più il Capo Pilota. Le aree in cui operano comprendono i bacini di Genova (Porto Vecchio, Sampierdarena, Italsider), Multedo e Pra’, per un totale di oltre 25 chilometri di costa. Annualmente ogni Pilota svolge dalle 700 alle 1000 manovre che, con il passare del tempo, diventano un bagaglio di esperienza a disposizione delle generazioni che seguono. Per entrare in questa Corporazione è necessario partecipare a un concorso pubblico bandito dalla locale Capitaneria di Porto a cui si accede per titoli ed esami. Occorre infatti aver effettuato diversi anni di navigazione su navi al di sopra di un certo tonnellaggio per arrivare a sostenere gli esami di diritto, manovra, inglese e comunicazione previsti dal concorso. Il vincitore accede a un tirocinio della durata di un anno, al termine del quale deve superare un ulteriore esame pratico, che consiste nello svolgimento di una manovra, e uno teorico sulla conoscenza del porto e delle sue caratteristiche. Il pilotaggio è un servizio di interesse generale che contribuisce in maniera rilevante alla sicurezza e alla piena funzionalità del porto, ma è anche un lavoro che permette di assaporare paesaggi incantevoli da punti di vista esclusivi e la bellezza del tratto di costa su cui è seduta Pra’, con il verde dei boschi che scende fino all’acqua, è uno spettacolo che aggiunge una perla alla collana di meraviglie offerte dalla Liguria vista dal mare. John ci ha reso una sua personale ed appassionata testimonianza: «Nascere e crescere nella delegazione di Pra’, abbracciata tra gli Appennini e il mare, vuol dire conoscere la Tramontana: un vento freddo che pulisce il cielo e rende l’aria asciutta e frizzante, ma significa anche aver visto tante volte lo Scirocco e il Libeccio frustare di sale l’intero paese. Non sono solo gli elementi a spingersi ai massimi livelli: in pochi chilometri di costa troviamo gru che appartengono alla generazione delle più grandi al mondo e davanti a loro evoluiscono i così detti “giganti del mare” per ormeggiare nel Bacino Portuale di Pra’, uno dei terminal più moderni d’Italia che riesce a superare periodicamente i suoi stessi record».
John GATTI – Guido BARBAZZA
Rapallo, 22 Novembre 2016
DONAZIONE "REGATTA" AI PILOTI DI GENOVA
DONAZIONE DELL’OPERA REGATTA AI PILOTI DEL PORTO DI GENOVA
Giovedì 13 ottobre 2016
Giovedì 13 ottobre 2016 una delegazione di Mare Nostrum ha fatto visita alla Stazione Piloti del Porto di Genova.
Era in programma la donazione di un bassorilievo in ardesia chiamato REGATTA, voluta dal suo proprietario, il socio Renzo Bagnasco, presente alla cerimonia, che ha desiderato unirsi a Mare Nostrum per questo gesto che é stato MOLTO APPREZZATO dal Capo Pilota e dalla comunità dei Piloti di Genova. Il socio Regista-Comandante Ernani Andreatta ha raccolto molto materiale: interviste, riprese cinematografiche, fotografie e tante altre curiosità marinare che vedremo in occasione dell’Evento programmato in cui il Capo Pilota John Gatti affronterà il tema: LE PROBLEMATICHE DELLA PORTUALITA’ ALLE PRESE CON IL GIGANTISMO NAVALE. L’attività del Pilotaggio Marittimo sarà inoltre ampiamente documentato con la Mostra fotografica PILOTAGE che si terrà al Castello Antico di Rapallo dal 22 ottobre al 6 novembre 2016.
La nostra visita ha coinciso con la manovra d’attracco di una gigantesca nave portacontenitori cinese di 368 metri di lunghezza, sotto la direzione del Capo Pilota John Gatti, proprio nella banchina del SEK davanti alla Stazione Piloti.
Il forte vento di tramontana (22-23 nodi) ha reso la manovra alquanto complicata. Ma tutto si è concluso nel migliore dei modi. Non mi dilungherò nella descrizione della accoglienza riservataci, né sull’efficienza e funzionalità della Stazione Piloti per non anticipare la documentazione cui facevo riferimento perché sarà in seguito riportata sul sito di Mare Nostrum Rapallo. Rimane tuttavia da sottolineare il significato dell'EVENTO, che rappresenta un’importante pietra miliare nella trentennale storia della ASSOCIAZIONE MARE NOSTRUM RAPALLO.
Segue uno scritto del socio Renzo Bagnasco che ci fornisce la motivazione della sua personale volontà di DONARE “REGATTA” ai Piloti genovesi:
REGATTA
Questa opera, creata dallo scultore Stelvio Pestelli genovese, la stiamo oggi donando ai Piloti del Porto di Genova perché resti con loro sempre e, con essa anche noi che l’abbiamo donata. Respireremo il loro sudore e l’acre odore della lana bagnata ogni qual volta ritorneranno da una loro “missione”. Quale miglior compagnia può volere di più uno che ama il mare? Ci siamo uniti nella donazione con Mare Nostrum-Rapallo perché ci accomuna la passione per il mare. Alla mia tarda età ho già preparato la sacca da marinaio che mi ha sempre seguito in mare quando lo navigavo con la mia amata Nada, io comandante e lei….mozzo. In quella sacca ci ho messo dentro tutto quello che ho fatto e nulla di superfluo perché, dove andrò, mi si dice non si possa bluffare; il buon Dio mi ha concesso il tempo di raccogliere e riordinare quello che ho fatto e non quello che avrei voluto fare. Quando mi chiamerà sarò pronto ad “IMBARCARMI” per l’ultima volta e non a “partire”: ecco perché non ho le valige. Anche per arrivare là, navigherò con nel cuore la stessa forte speranza che aveva chi doppiava Capo Horn: confidare nella misericordia di Dio. La scultura immortala, anzi ci fa rivivere, uno dei momenti più adrenalinici di chi va per mare: la partenza di una “regata” alla genovese, che sembra confusa e caotica, mentre invece è calcolata al millimetro: se sgarri sei fuori. In questa scultura si respira questa tesa atmosfera e quando un’opera ti fa vivere l’emozione di quello che l’artista voleva significare, vuol dire che sei davanti ad un’opera d’arte. Sia il poeta che lo scultore come il pittore, quando, attraverso le loro opere ti coinvolgono, vuol dire che hanno raggiunto lo scopo.
E pure noi, ascoltando e vivendo proviamo le stesse sensazioni ma loro le sanno esprimere: se non fossero così sensibili sarebbero come noi.
Buona compagnia quindi cara scultura: ti abbiamo affidato in buone mani; gente che tutti i giorni respira salmastro e questo basta. Ho scelto di restare con voi cari amici, perché fra noi di Mare Nostrum, anche senza parlarci, come quando sui velieri il vento cancellava le parole o nella rumorosa sala macchina ci si doveva parlare, basta guardarci.
Grazie!
Renzo Bagnasco
A queste toccanti parole di Renzo Bagnasco aggiungo il pensiero che ho espresso al Capo Pilota John Gatti:
Il socio Renzo Bagnasco ha voluto coinvolgere L’Associazione MARE NOSTRUM che rappresento, nella DONAZIONE del bassorilievo REGATTA ai Piloti del Porto di Genova. Nessuno più di loro, in questo grande porto talvolta martoriato, è più degno di possederla.
I piloti dei porti sanno che il mare scuro come l’ardesia è presagio di burrasche vicine, ma non hanno ragioni sufficienti per rimanere a ridosso della diga.
Lo scultore genovese Stelvio PESTELLI, purissima espressione del “mare di Liguria”, ha usato la nostra pietra, il nostro vento e le nostre barche per calarsi nel profondo della spiritualità e dell’essenza del marinaio ligure: duro, spigoloso, ma coraggioso e pronto fino al sacrificio estremo. Lo dice la sua STORIA, quella lontana e quella dei giorni nostri.
Grazie!
Il Presidente
Carlo GATTI
ALBUM FOTOGRAFICO
A sinistra Carlo Gatti a destra John Carlo Gatti
John Gatti e Ernani Andreatta
Renzo Bagnasco
Piloti in Sala Operativa
La portacontenitori YANG MING ha ormeggiato al SEK
Pilota che sale sulla "biscaglina"
Carlo GATTI
Rapallo, 19 Ottobre 2016
M/N BOCCADASSE, nacque dall'unione di due Liberty Ships
La M/N BOCCADASSE
Nacque dall'unione di due relitti di Liberty Ships
In una nostra precedente pubblicazione, definimmo i Liberty USA:
“Le navi che vinsero la guerra e poi la pace”
“L’operazione Liberty” prese il via il 27 Settembre 1941 con l’entrata in linea dell’ormai celebre “PATRICK HENRY”, e si concluse con la consegna dell’ultimo esemplare, il “RODA SEAM” del tipo “collier” (carboniero) il 13 Ottobre 1945 da parte del Cantiere “Delta” di New Orleans-Louisiana. Tra queste due date ne scesero in mare ben 2710.
Queste carrette dei mari furono costruite per compiere una traversata oceanica durante la Seconda guerra mondiale, tra gli agguati dei sottomarini dell’Asse, che agivano negli Oceani adottando la ben nota tattica “a branco di lupi”. In seguito a queste azioni belliche, affondarono circa 200 Liberty.
Subito dopo la fine del conflitto “i brutti anatroccoli”, come li definì F. D. Roosvelt, ripresero a navigare e i più longevi lo fecero dignitosamente per circa trent’anni, partecipando alla ricostruzione della flotta mercantile di quasi tutti i paesi belligeranti.
Nel 1945 si concluse una tragica guerra che fu combattuta in cielo, in terra ed in mare, lasciando ovunque distruzione, miseria e rovina.
Soltanto poche cifre sono sufficienti per mettere a fuoco un quadro spaventoso:
- nel 1939 la flotta mercantile italiana contava 3.3 milioni di tonnellate di stazza lorda per un totale di oltre 1200 navi.
- nel 1945 le navi superstiti erano ridotte ad un numero molto esiguo che non raggiungeva in totale le 200.000 tsl. Inoltre le strutture ed infrastrutture portuali erano distrutte ed inagibili, i fondali da sgomberare da centinaia di relitti e da bonificare per la presenza di migliaia di proiettili e bombe inesplose.
A questo punto cruciale della storia martoriata del nostro paese, era necessario reagire con fermezza alla pericolosa situazione di stallo, ed era oltremodo impellente chiamare a raccolta tutte le forze vive e disponibili sul territorio, per passare ad un rapido piano di ricostruzione.
In quel periodo in cui c’era solo da rimboccarsi le maniche, anche il cervello degli uomini più attivi esplodeva d’idee: non c’era nulla da buttare, ma tanto da recuperare, specialmente dai relitti che nel Mediterraneo erano presenti a migliaia, a tutte le profondità.
Da questa idea nacque la storia che ora andiamo a raccontarvi.
Siamo alla fine del 1946. La Liberty “Natahaniel Bacon” è in piena burrasca. Per chi non conosce le “Spiagge Romane”, ventose e senza ridossi, è portato a sottovalutare le difficoltà che le navi incontrano da sempre in questa zona di mare. In questo caso si tratta di una nave carica di scatolame, con scarsa potenza di macchina e quindi con poche possibilità di allontanarsi verso zone più calme. Le onde le imprimono forti movimenti di rollio e beccheggio, sollevano schiuma e limitano la visibilità. La zona non è stata ancora bonificata dalle mine più o meno vaganti ed il comandante è cosciente o forse incosciente di scarrocciare proprio verso una zona “rossa” pericolosamente infestata da questi terribili ordigni. Non ha scampo! Poco dopo si ode una deflagrazione immane: della Liberty galleggia solo la poppa che si allontana alla deriva.
La seconda storia prende inizio nell’aprile del 1948. Complice è sempre la burrasca.
la Liberty “Bert Willians”, va ad incagliarsi al largo del faro di Al Shrat nel Mar Rosso. Viene deciso il rimorchio a Genova, ma dopo un lungo, pericoloso e travagliato viaggio, quando finalmente si trova in Mediterraneo, s’incaglia nuovamente nelle vicinanze di Marsa Matruk (Egitto). Il mare finisce per un terzo l’opera di demolizione, a galla rimane solo la prua, rimorchiata in un primo momento verso il porto di Taranto e poi definitivamente verso il Porto di Genova.
Si sa: “quando il gioco si fa duro, in duri entrano in gioco”.
E furono senza dubbio dei duri gli uomini che pensarono di realizzare, con quei due tronconi galleggianti, un TERZO LIBERTY. La nave che risultò allungata di 10 metri, fu chiamata BOCCADASSE, da una famosa frazione balneare affacciata come un balcone sul mare di Genova.
Giunti a questo punto, ho scelto il servizio più completo che ho trovato su questa operazione. Si tratta di un breve estratto dell’ articolo:
La tecnica che Genova ha dimenticato /La STORIA
di Alberto Quarati – 08 Marzo 2016.
Tratto dalla Rivista SHIPYARD & OFFSHORE
“Le vecchie dinastie vennero affiancate da nuove società di navigazione, alcune destinate a dominare il mercato, altre semplici meteore. Della Industriale Marittima - che ordinò la “Boccadasse”, prima e penultima nave costruita con la prua e la poppa di altre due - rimane solo una citazione presso l’archivio storico della Banca commerciale italiana.
Il creatore della “Boccadasse”, nel 1950, fu Angelo Cassanello, direttore delle Officine meccaniche navali Campanella, allora nel pieno dell’attività. Pietro Campanella, figlio del fondatore Tito, è stato presidente degli industriali genovesi nel primo dopoguerra, e lo stesso Cassanello sarebbe stato tra i fondatori dell’associazione dei riparatori navali. Gli stabilimenti di Savona e Genova (uno per costruire le navi, l’altro per ripararle) erano ancora lontani dalla crisi degli anni Ottanta, dai passaggi di proprietà, dalle divisioni. Il lavoro delle maestranze genovesi dirette da Cassanello produsse quella che gli americani battezzarono “super-Liberty”, una nave di 136 metri in luogo dei 127 standard, e circa 7000 tonnellate di portata lorda.
La novità stava anche nel modo con cui l’operazione venne condotta, cioè tramite elettrosaldatura, e la società che ha fornito questa tecnologia - la svedese Esab - è l’unica realtà ancora esistente tra i protagonisti di questa storia. Per diverso tempo la “Boccadasse” ha navigato per i mari di tutto il mondo, fino al suo smantellamento del 1962, alla Spezia”.
Concludiamo con alcune osservazioni:
Da quell’operazione siderurgica di grande impatto ingegneristico, sono passati 66 anni densi di grandi evoluzioni nel settore navale. Tuttavia, lo straordinario esperimento della BOCCADASSE, è degno di essere ricordato perché fu il primo, nell’era moderna, di una lunga serie di “allungamenti” eseguiti su navi passeggeri, petroliere e container per renderle più “economicamente competitive”.
All’epoca della BOCCADASSE, l’obiettivo era quello di creare navi che fossero in grado di far circolare merci, unica vera “linfa vitale” per la ripresa dell’economia del mondo, oggigiorno gli allungamenti, frutto di quella antica esperienza genovese, sono sempre di moda, ma l’obiettivo appare rovesciato nel suo significato: occorre favorire la massima circolazione di merce con poche navi.
Questo fenomeno si chiama: GIGANTISMO NAVALE ed impensierisce il mondo moderno per le sue cruciali controindicazioni.
Sul sito di Mare Nostrum Rapallo abbiamo affrontato questo problema con molti servizi mirati che trovate in NAVI E MARINAI - Sezione Mondo Marittimo.
Carlo GATTI
Rapallo, 27 Settembre 2016