MA BELAN...!

PREMESSA:

Il seguente “sàggio du belin”… é dedicato all’AMICO Comandante Nunzio Catena di Ortona il quale, avendo navigato a bordo di navi genovesi, capisce ed ama il nostro dialetto fino al punto di chiedermi una ricerca anche “limitata” sull’argomento. Ho cercato di accontentarlo inizialmente con un po’ di ritrosia poi, all’improvviso, mi é venuto in mente una lettura studentesca di molti anni fa: Marco Valerio Marziale 38-104 d.C. (ed altri) – gli epigrammi proibiti che mi sono andato a rileggere sul web. Devo confessarvi che: “MA BELIN”… al confronto é un giochetto da educande…

Giusto per non confondere la lana con la seta, gli antichi latini usavano il termine MENTULA al posto del nostro….

MA BELIN…!

L’argomento é serio… per tale motivo partiamo da modelli scientifici consolidati per poi arretrare verso i “recanti” della storia ed infine per calarci nella quotidianità con quelle espressioni che esplodono dalle viscere sanguigne così vicine alle nostre radici storiche e territoriali.

La nota guida del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari, Giancarlo Boaretto introduce l’argomento così:

Attenzione qui siamo in presenza di uno strumento a lunga gittata che può lasciare conseguenze…”.

Capìta l’antifona… i liguri presenti scoppiano in una folle risata…!

Il Comandante Ernani Andreatta racconta: “Che cos'è? Ma c’era, il fax, molto tempo fa? Non c’era, però state a sentire qualcosa che molta gente non sa e così, poi, glielo potrete raccontare. In Francia, quasi un secolo fa, l’ingegnere Edouard Belin inventò un congegno che trasformava l’elettricità in segni di scrittura o di disegno. Così, in pace, e purtroppo in guerra, fu usato per trent'anni, e inviava i suoi messaggi per tutta la terra. Quel fax antico, come si chiamava? È il belinografo!

Trovandoci in un Museo Marinaro, ci viene in mente quella nave passeggeri che, negli Anni ’20, portava il nome di Albert Ballin il quale fu il primo armatore che pensò di realizzare navi dedicate esclusivamente alle crociere. Albert Ballin fu Direttore Generale della Compagnia di Navigazione Hapag (divenuta nel 1970 Hapag-Lloyd dopo la fusione con la grande rivale Norddeutscher Lloyd).

Rientrando velocemente nel tema, stiamo pensando a tutti quei marittimi genovesi di quegli anni che, incrociando quel transatlantico in oceano, avranno sicuramente pronunciato il suo nome alla genovese, forse per sentirsi un po’ a casa…


La Albert Ballin in navigazione

L’occasione della visita al Museo Marinaro ci offre l’occasione d’introdurre un argomento un po’ particolare; infatti, col successo del comico genovese Maurizio Crozza in televisione e in teatro, l’intercalare genovese BELIN viene usato senza risparmio anche due o tre volte nella stessa frase sollevando molte curiosità e altrettante domande da parte di chi ligure non é. Pertanto, non indugeremo oltre sul Belinografo, ma ci concentreremo sull’intercalare genovese BELIN che si presta a molti significati e a svariate interpretazioni che cercheremo di riassumere in seguito. Ma ora, come é nostra abitudine, partiamo da lontano con alcune ipotesi storiche sulle origini di questo termine.

BELIN … nella Storia!

1° Ipotesi

"Belin", rappresenta l’imprecazione, l’esclamazione più usata nel dialetto genovese, potendo assumere tono affermativo, risentito, solenne, stupito, iroso, sconsolato, beffardo, e altro ancora.

Sentiamo cosa ne pensa l’illustre etimologo E. Mori:

 

“occorre seguire contemporaneamente il filone storico e quello psicologico, perché i popoli hanno, in materia di parole, una loro psicologia. Una regola psicologica ci dice che in nessuna lingua l'organo maschile è indicato con un diminutivo. Gli antichi dizionari ricollegavano belin al greco balanos (glande) ed era, psicologicamente, una stupidaggine perché gli antichi liguri non avevano di certo aspettato i greci per dare un nome al loro pisello! Però un fondo di vero c'era e già un linguista del 1940 ricollegava belin al dio fenicio Baal, individuando una radice indeuropea che con bal indicava la divinità in genere. Ed infatti per i Galli la loro divinità (Henri Dontenville, Mythologie française) era un essere che era Padre e Figlio ad un tempo. Come Padre, si chiamava Belenus; equivaleva sostanzialmente ad Apollo, era il grande dio solare originariamente adorato dalle popolazioni pre-indoeuropee. In qualità di Figlio era sentito come più vicino alla terra, in qualche modo legato alle pietre, agli alberi e alle acque; si chiamava Gargano.
Il territorio francese, per limitarci a questo, è costellato di luoghi il cui nome si collega etimologicamente a quello di Belenus (Bel o Belen in francese) o di Gargano. Si tratta, a seconda dell'evoluzione fonetica delle varie zone, di Balan, Blesme, Belfait (l'albero di Bel), Montbelair, Baleine, Blaine, Ballons, Corblin (la pietra di Belin), Blainville, Belmont, Montbel... Si tratta delle antiche rocche­forti dei Galli, Gergobina e Gergovie; a Guérande, il castello Gorgon; si tratta di fiumi: Gorganne, Gorgonne, Gargonne, Gargonde; di alture: Gargatte, Jariatte... Non è raro che i due nomi si affianchino; oppure - e può essere ancor più sintomatico - non lungi dal luogo che richiama Belenus, sopravvive (o sopravviveva fino a poco tempo fa) una leggenda popolare il cui eroe è un gigante perlopiù chiamato Gargantua.
È quindi certo che nell'area francese-provenzale-ligure il termine
belin era diffuso per indicare la divinità. In Val Varaita vi è il paese Bellino, quasi certamente riconducibile alla stessa origine (Belin, Belinium, Belinius, nom d'homme gaulois ou de divinité. Charles Rostaing, "Dictionnaire des noms de lieux", Ed. Larousse p.68). La dimostrazione del collegamento tra belin genovese e divinità galliche è data dal fatto che in francese esiste la parola antica beliner proprio con il significato di “scopare”. È vero che tutti gli etimologisti francesi dicono che la parola deriva da belin, termine che fin dal medioevo indica il montone, ma si sono dimenticati che nella preistoria, quando vi erano ancora i culti totemici, l'animale totem di un popolo dava il nome anche al dio, o viceversa (giove, giovenco, juvenes, ecc.).
Quindi la tesi probabile al 90% è che la parola genovese
belin derivi dall'antica parola dei galli-liguri Belenus”.

2° Ipotesi

Maria Elena Dagnino, cogoletese, é stata professoressa di italiano e latino nei licei per 40 anni. Ora é docente per l’Unitre di Arenzano Cogoleto, di cui é socia storica.

Secondo la studiosa, l’intercalare ebbe origine dal popolo dei Celti.

Al lettore eccessivamente sensibile e di gusti alquanto raffinati consigliamo di fermarsi sull’uscio di Paolino… Un scito do belin!

Da cui accogliamo e pubblichiamo le seguenti espressioni dialettali più comuni

"A belin de can": "a ca… di cane" (si dice d’ogni cosa sgraziata, mal costrutta).

"Sottî comme i péi do belin de ‘na mosca": "sottile come i peli del c… di una mosca".

"Açimentâ o belin": "cimentare, irritare il c…": (annoiare, infastidire)

- Eguale significato hanno le espressioni:

"Menâ, ronpî, sciaccâ, sgarbellâ, spellâ, sussâ, tiâ o belin": "mungere/menare, rompere, schiacciare, scalfire, sbucciare, succhiare, tirare il c…".

"Avéi o belin inverso (o inböso)": essere in gran collera, essere di malumore.

"Avéine o belin pin": essere all’ estremo limite della pazienza, o averlo superato.

"Battisene o belin (inti schéuggi)": non darsi pensiero, non preoccuparsi, fregarsene (negli scogli)

- Ma chi è accusato a torto di ciò, può controbattere:

"In sce ‘n ‘articiòcca": "su un carciofo"; che non è cosa di poco conto.

"Fâ di discorsci do belin": "fare dei discorsi (o ragionamenti) del c…" (cioè sciocchi, futili).

"Fâ rîe o belin": si dice di parole o decisioni molto sciocche.

Levâse co-o belin amâo": "alzarsi col c… amaro" svegliarsi di cattivo umore.

"No distingoe o belin da-a còrda": non avere nessuna capacità speculativa.

"Portâ via o belin": andarsene bruscamente.

"Rataieu da belin": "trappola da c…" (si riferisce a donna decisamente non casta).

"Tocâse o belin co-a camîxa": "toccarsi il c… con la camicia" (mostrarsi straordinariamente casto o schizzinoso, affettare modi esageratamente raffinati)

"Travaggio do belin": "lavoro del c…" (impresa ardua, ma anche - secondo i casi - lavoro molto facile, sciocco).

"Un belin che te neghe": "un c… che ti strozzi" (esclamazione imprecativa).

"O deve avéi o belin a manego de paegoa": "deve avere il c… a manico d’ ombrello" così si ipotizza a proposito di persona dalle forme tutt’altro che armoniose; spesso, anche di chi, andando alla toilette, bagna tutt’attorno).

Locuzioni riferite a un pene di iperboliche dimensioni:

"Un belin ch’o pâ un figieu picin ch’o rîe": "un c… che pare un bambino piccolo che ride".

"Un belin che se ti gh’apendi un cavagnin, o pâ un figieu ch’o vadde a l’azilo": "un c… che se gli appendi un cestino, pare un bimbo che va all’asilo".

"Un belin che se ti ghe metti ‘na beretta o pâ un garaventin": "un c… che se gli metti una berretta pare un garaventino" (cioè un marinaretto della Nave Scuola Garaventa).

Espressioni allusive:

"O l’à a mêz’asta": "l’ha a mezz’asta" (è incapace d’erezione).

"O l’à coscì picin, che se o dâ da mangiâ a un gatto de venardì, o no fa manco pecòu": "l’ha così piccolo che se lo dà da mangiare a un gatto di venerdì (evidentemente quando era ancora prescritto il magro) non fa neppure peccato".

"Ti te l’æ mâi visto a-o ciæo da lùnn-a? ": "te lo sei mai visto al chiaro di luna?" (espressione usata nei confronti di chi formula una richiesta assurda, pretende impresa irrealizzabile).

"Òmmo picin tutto belin": "uomo piccolo tutto c…." (a confronto dell’uomo non dotato di imponente statura).

"Chi l’à ciù gròsso de mi, l’à gonfio": "chi l’ha più grosso di me, l’ha gonfio".

"Cangiâ l'ægoa a-o canâio": "cambiare l’acqua al canarino" (orinare).

"Pociâ o beschéutto": "inzuppare il biscotto" (avere un rapporto sessuale).

CONCLUSIONE

Non possiamo terminare questa nostra stravagante escursione … senza elencare i principali sinonimi di Belin:

Affare, Anghilla, Anghæzo, Beschéutto, Canâio, Canetta, Canociâle, Cantabrùnn-a, Caròttoa, Ciciòllo, Manubrio, Macacco, Nenne, Oxello, Pigneu, Pistòlla, Pinfao, Radiccia, Suchin.

Per ovvi motivi estetici… mi scuso per la mancata pubblicazione di foto sull’argomento!

CARLO GATTI

Rapallo, 26 Aprile 2018

 

 

 


GENOVA - LA CASA DEL BOIA

GENOVA - LA CASA DEL BOIA

Il porto antico, il cuore della città vecchia dove è nata la Serenissima Repubblica di Genova, spazia dal Mandraccio al Galata e nasconde molti segreti spesso sconosciuti agli stessi genovesi.


Dalle Calate Interne del Porto Vecchio, oggi chiamato Porto Antico, mille anni fa partivano i crociati per la Terrasanta dopo aver alloggiato nella retrostante COMMENDA di S. Giovanni in Pré. Da qui è passata la storia del capoluogo che dura da un millennio, ma questa Genova, “con quella faccia un po’ cosìconserva ancora la curiosa espressione di chi scopre facce sempre nuove, senza chiedersi se hanno una casa o una nave come casa.


Genova - Oltre alla simpatica nomea dei genovesi legata alla dubbia accoglienza, alla poca propensione nello spendere qualche soldino in più e al talento olimpionico per il mugugno, il genovese vive la sua quotidianità con eccessiva abitudine: come ogni difetto porta con sè i suoi rischi, uno fra tutti quello di arrivare a pensare che nel capoluogo ligure le visite guidate si esauriscano con la casa di Cristoforo Colombo, la Cattedrale di San Lorenzo o le Torri di Sant'Andrea.


Non è così. Un esempio: avete mai visitato la Casa del Boia a Genova? Conosciuta anche come Casa di Agrippa, è un edificio del centro storico risalente all'XI o al XII secolo, situato nel quartiere del Molo, all'estremità orientale di Piazza Cavour, proprio di fronte all'ex mercato del pesce.

Un'ottima idea per una visita guidata alternativa. Curiosi di visitarla? Il bello è che si può fare, grazie alla Compagnia Balestrieri del Mandraccio, che ha fatto della Casa del Boia la sua sede e che periodicamente organizza visite guidate. Dopo essere rimasta chiusa per un periodo a causa di lavori di ristrutturazione, ora la Casa del Boia è pronta ad accogliere i visitatori: eccezionalmente, la prima visita guidata è stata fissata per domenica 11 marzo 2018. Ne seguiranno altre.


Entrata della Casa del Boia, o casa di Agrippa


La freccia rossa indica l’esatta posizione un po’ anacronistica e surreale della Casa del Boia in Piazza Cavour sotto la “sopraelevata”. C’é un cumulo di pietre nella congestionata Genova di oggi che chiude a levante il Centro Storico più grande d’Europa, oltre il quale inizia la città moderna con corso Aurelio Saffi che sale e poi scende verso la Fiera del Mare.

Questo petit ensemble di rovine antiche, (indicato dalla freccia rossa nella foto sopra) é la cosiddetta Casa del Boia che tutti i rappresentanti istituzionali della città di Genova hanno inteso conservare nei secoli quale monito rivolto al passante affinché non perda la memoria dei tempi oscuri quando le parole: democrazia e giustizia avevano un significato che nel tempo si era allontanato a dismisura dagli ideali del mondo greco antico dove erano nate.

PIAZZA CAVOUR


Notare nel quadrato a destra in basso: la scritta Piazza Cavour in cui si trova la Casa del Boia a pochi metri dal porto. (carta P.Allodi 1855)

Dietro le “calate interne”, a destra nel disegno sopra, c’é piazza Cavour che, con la sua lunghissima storia, é uno dei più antichi siti di Genova. Dopo le Crociate, da qui prendevano il mare i condottieri delle flotte genovesi, e la consuetudine si protrasse sino alla metà del 1400. Un imponente corteo accompagnava l’ammiraglio dalla cattedrale di San Lorenzo al luogo d’imbarco, dove si congedava dai nobili e dagli anziani tra squilli di trombe, salve di bombarde e i suoni a distesa delle campane.

Le case di allora sorgevano sulla piazza – e di cui alcuni resti sono incorporati nelle costruzioni attuali – appartennero agli Embriaci, ai Mallone ed ai Castello. Nei secoli passati vi si tenne anche un mercato di erbe e verdure.

La CASA DEL BOIA è conosciuta anche come la CASA DI AGRIPPA. Risale infatti al ritrovamento, nel 1902, in un edificio attiguo, di un'iscrizione riferita a Marco Vipsanio Agrippa (63 a.C. – 12 a.C.), genero di Augusto, che ebbe un importante ruolo politico al tempo della transizione tra repubblica e impero. La scoperta avvenne quando, nel corso di lavori di ristrutturazione di un edificio medioevale adiacente alla Casa del Boia, vennero alla luce resti di una costruzione di epoca romana imperiale, datata al III secolo, con una pavimentazione in lastre di marmo, una delle quali riportava la dedica ad Agrippa, recuperate da un precedente edificio del I secolo d.C. ed oggi conservata nel museo archeologico nella villa Pallavicini di Pegli.


Busto di Marco Vipsiano Agrippa

Marco Vipsiano Agrippa é stato un politico, ammiraglio della flotta romana e architetto. Amico di Ottaviano il futuro imperatore Augusto, fu suo fedele collaboratore e anche suo genero. Agrippa fu artefice di molti trionfi militari di Ottaviano, il più considerevole dei quali fu la vittoria navale nella battaglia di Azio contro le forze di Marco Antonio e Cleopatra.


Sul frontone del Pantheon a Roma si legge: Marco Agrippa, figlio di Lucio, Console per la terza volta, edificò.

Nella foto sopra vediamo il frontone del PANTHEON di Roma sul quale l’imperatore Adriano (76 d.C.- 138 d.C.) volle ricordare l'architetto originario, e ripristinò l'iscrizione commemorativa di Agrippa "M. AGRIPPA L F COS TERTIUM FECIT"), in bronzo, quale oggi si vede: l'attuale è tuttavia una copia di fine Ottocento, al posto dell'antica scritta che fu depredata in una delle tante razzie.

Ma ora ritorniamo un po' alla curiosa storia della CASA DEL BOIA.

Questa tradizione popolare derivava dal fatto che le esecuzioni avvenivano presso il vicino Molo Vecchio.

L'attuale edificio è solo una piccola porzione di quello originario, che si sviluppava su più piani e probabilmente si estendeva per tutta la larghezza della piazza, tra il camminamento delle mura delle Grazie e il duecentesco carcere della Malapaga, in cui erano rinchiusi i debitori insolventi. L'edificio è conosciuto soprattutto perché tradizionalmente era ritenuto l'abitazione di colui che eseguiva le pene capitali al tempo della Repubblica di Genova e per questo era detto comunemente Casa del Boia. La costruzione invece, più verosimilmente è medievale, dell’XII° sec. ed è ciò che rimane di un’abitazione civile, probabilmente appartenuta ad un pescatore, poiché la zona allora si trovava proprio a picco sul mare che era ove adesso si trova l’ex mercato del pesce. I genovesi conoscono questa costruzione come “Casa del Boia”, perché è certo che durante le vicissitudini della città dal XII° al XV° sec. le condanne capitali venivano eseguite proprio qui al molo e quindi la leggenda ci tramanda questo sito come l’alloggio del boia quando veniva chiamato a Genova da “fuori” per fare il suo lavoro.


Genova - Piazza Cavour, vicino al porto antico, c’ è un relitto di casa dell’XI secolo che viene chiamata la Casa del Boia. Nella foto é ripresa l’entrata. Il Ministero della Cultura l’ha data in concessione alla Compagnia dei Balestrieri del Mandraccio. Questo edificio si ritiene per tradizione popolare fosse la casa di chi eseguiva le pene capitali al tempo della Serenissima Repubblica di Genova.

Qui il boia trascorreva la notte prima dell'esecuzione capitale assieme ad un aiutante chiamato tirapiedi, perché una volta aperta la botola dell'impiccato aveva il compito di strattonarlo al fine di velocizzare lo strangolamento. Ecco perché il servitore fedele, ma senza autonomia si chiama ancora oggi tirapiedi.



Dopo un lungo periodo di abbandono, nel 1988 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali lo ha dato in concessione alla Compagnia Balestrieri del Mandraccio, che grazie a lavori di recupero architettonico, nel 1990 vi ha aperto la propria sede sociale, arredando l'interno in stile quattrocentesco ed allestendovi un'esposizione di armi, armature e costumi di epoca medioevale.

CONCLUSIONE

Concludiamo l’argomento prendendo in prestito dal sito di Miss Fletcher una foto emblematica….

Vi lasciamo al suo commento originale:

“Si dice che nel XI secolo fosse questo il luogo presso il quale il boia compiva le sue esecuzioni.
Forse è realtà o forse è leggenda, derivata dal fatto che, al Molo, realmente si compivano le esecuzioni.
Tuttavia, circostanza ancor più strana ed ammantata di mistero, nel palazzo di fronte, ad angolo tra Via del Molo e Piazza Cavour, all’ultimo piano, in prossimità di un terrazzino, nel muro,  c’è una scultura, che potrete vedere soltanto salendo i gradini di Piazza Cavour e puntando lo sguardo oltre la Sopraelevata.


E’ una testa, proprio di fronte alla casa del Boia.
Svariate e differenti sono le interpretazioni in merito a questa inquietante scultura e io davvero non saprei dirvi quale sia veritiera, mi limito a riportarvele, così come le conosco.
Il Miscosi, noto studioso delle storie di Genova, sostiene si tratti della testa di Giano, altri raccontano che schizzavano fin lassù le teste mozzate dalla scure, altri ancora sostengono che proprio lì sia murata la testa del temibile boia. Non so proprio quale sia la verità ma, in ogni caso, la scultura ha un aspetto decisamente sinistro”.

GATTI CARLO

Rapallo, 18 Aprile 2018


MUGUGNO ALLA GENOVESE...

 

MUGUGNO ALLA GENOVESE ...


La necessità “de mogognâ” dei marinai è un forte desiderio a non subire “chi gestisce il potere”; tanto da poter difendere i loro diritti, addirittura non rendendoli commerciabili. Questi “prestatori d’opera” hanno dato dignità al loro lavoro! Una forma embrionale di Democrazia. (Marcello Carpeneto)

Oggi il mugugno è un segno d’identità della città ma anche dell’intera regione, riconosciuta per la sua gente chiusa e stondäia (brontolona), apparentemente restia all’accoglienza e al turismo.

Un po’ di Storia


Genova - Via Conservatori del Mare


"Le mampae di Via dei Conservatori del mare". Cartolina tratta dalla collezione di Stefano Finauri.

Imboccando questo vicolo si vede ancora oggi una piccola lastra di marmo, doveva esserci l’apposita cassetta per gli avvisi per quegli illustri magistrati.
Ecco, per le denunce e i mugugni di competenza dei Conservatori del Mare bisognava venire qui!

La Magistratura dei Conservatori del Mare era la più antica Istituzione genovese che si occupava della sicurezza del porto e pure delle cause inerenti i sinistri marittimi. Questo organismo aveva sancito, fin dal 1300:

IL DIRITTO AL MUGUGNO

“Ius murmurandi”

Pare che tale privilegio sia stato accordato per la prima volta ai marittimi camoglini, la cui fama se l’erano guadagnata già nei tempi antichi per aver solcato e cavalcato i mari con sempre più crescenti successi. Una simile richiesta, proveniente da una “casta” benemerita, non poteva rimanere inevasa, anche perché si trattava della richiesta di un diritto che aveva un prezzo, anzi due tipi di ingaggio:

“il primo prevedeva paga elevata e niente mugugno, il secondo paga decurtata e diritto a lamentarsi”.

Nacque così, da origini marinare ben documentate, uno stile di vita che piano piano si estese a tutti i genovesi e i liguri in generale forgiando una mentalità sociale che si é protratta fino ai giorni nostri.

Gli armatori e i loro equipaggi, gli Agenti Marittimi, i Portuali e tutte le altre categorie del settore marinaro e portuale entrarono in questo modo di pensare che aveva come base fondante l’intolleranza a ricevere ordini ed ingerenze esterne che non si potevano accettare senza il diritto di mugugnare, quindi discutere “democraticamente”.

Seguendo il filone storico scopriamo che detto diritto/consuetudine trovò la sua pietra d’inciampo nel 1500 ad opera del grande Ammiraglio Andrea Doria che, temendo forse incrinature nella “disciplina di bordo”, preferì imboccare una strada più furba ma anche corretta sul piano della democrazia: propose ai suoi equipaggi migliori condizioni di lavoro (ad esempio riduzione dei turni di voga) e alimentari (carne essiccata a bordo al posto delle solite sbobe) nonché un salario più cospicuo in cambio della rinuncia al mugugno”.

A questo punto possiamo aggiungere alcune riflessioni relative al mondo dei “bordi”. Chi ha navigato sa che gli ordini, per motivi di sicurezza, non si discutono, sia nella Marina Militare che in quella Mercantile. Questo concetto é sempre stato rispettato nella storia della navigazione fin dai suoi albori, pertanto é bene chiarire che il “mugugno” preso in considerazione in questa rubrica, ha dei limiti ben precisi rimanendo, si spera e si pensa, nell’ambito della dura vita del mare che va sempre tenuta sotto controllo, ma che mai può interferire con gli ambiti professionali della gerarchia di bordo.

Un altro interessante aspetto riguarda il CAMALLO DEL PORTO che di riflesso iniziò ad esercitare il diritto di mugugno percependo 9 soldi anziché 10 per una giornata di lavoro in porto, in compenso aveva il diritto di mugugno.
Si dice, fra i cultori della materia, che la percentuale di chi aderiva al diritto di mugugno fosse altissima tanto da potersi definire il mugugno come tratto distintivo del carattere di tutti gli “indigeni” della regione, alla faccia della presunta tirchieria…

Come scrive Miss Fletcher, un personaggio di grande simpatia e spessore culturale:

L’abitudine a lagnarsi è trasversale e assai diffusa, a Genova il mugugno è libero ed ogni occasione è buona per dar sfogo al proprio malcontento, si mugugna per il caldo e per il freddo, per le cose che non vanno e per quelle si vorrebbero in altra maniera, ogni circostanza può scatenare nuove lamentazioni.
Un’alzata di spalle, il sopracciglio che si inarca, il tono della voce che si fa cantilenante, il mugugno è un rituale e prevede una precisa gestualità.
Al di là della propensione al mugugno, nella Superba ci sono tante persone creative e tenaci, vulcaniche ed entusiaste, animate da sincero desiderio di proporre alternative e continue occasioni di crescita per la città e per i suoi abitanti.
Esaltando le sue bellezze e le potenzialità, le ricchezze culturali e le possibilità, mostrando strade nuove da percorrere e modi diversi di guardare e di vivere i luoghi del nostro quotidiano, mettendo in risalto i lati positivi e ciò che altri non credono nemmeno immaginabile.
E questa per me è la Genova migliore, quella che sa fare la differenza.
Naturalmente cedere alla tentazione del mugugno è ammesso, lo facciamo tutti e può anche essere un peccato veniale se lo si fa con il giusto spirito, con una certa leggerezza, sapendosi prendere in giro e con la consapevolezza che lamentarsi e basta non serve proprio a niente.


ALBUM FOTOGRAFICO

LE METOPE SCELTE DA MISS FLETCHER RAPPRESENTANO IL MUGUGNO RIPRESO NELLE DIVERSE SUE ESPRESSIONI ARTISTICHE. FORSE NON E’ UN CASO CHE SI TROVINO SULLA FACCIATA DI PALAZZO TURSI, DIMORA ANNOVERATA TRA I ROLLI ED OGGI SEDE DEL COMUNE DI GENOVA.





 

Il commento di un anonimo genovese… al quale ci uniamo con simpatia!

MAGNIFICO….questo tuo post dove noi zeneisi siamo colpiti e affondati! azzeccatissimo…..ammia câa Miss semmou coscí còmme ti dixi ti…i discórsci

che gian insciú mogògno soun cæi e scetti “mogògno libberou” o ”levæme tùtto ma lasciæme ou mogògno ”, o ascí ” pe’ fâ andâ e cose drite ghé veu ‘na bella lite, niatri inte ‘na manea o natra douvemmou mogògnâ.

Ciâo grandiscimma, un grande abràsso e gràçie!

CARLO GATTI

Rapallo, 10 Aprile 2018

 

 

 

 


UN IMBARCO ISTRUTTIVO... GIUAN DI CARUGGI

UN IMBARCO ISTRUTTIVO…

Giuan di caruggi…



La NESSY FRIEND era una moderna petroliera dei primi Anni ’60.

Buona strumentazione, locali spaziosi all’americana, una palestra da ginnastica (rimasta sempre chiusa per ordine del Comandante) ed altri comfort che, al momento dell’imbarco, ci avevano fatto dimenticare i disagi raccontati da tanti marittimi imbarcati su carrette tirate su dal fondo nel dopoguerra. La nave aveva una potente turbina che ci spingeva a quasi 20 nodi ci velocità e i viaggi ci sembravano più corti, ma era solo un’impressione. La sala macchina era sempre pulita e gli ufficiali indossavano la tuta bianca come gli ingegneri di terra. Il loro “sano” ambiente sembrava appartenesse ad un’altra nave, o quanto meno ad un’altra famiglia, saggia e di buoni principi.

L’equipaggio era sottoposto alla universale legge del mare:

- - fare la guardia con scrupolo per partire, navigare e arrivare in sicurezza;

- - controllare la posizione della nave tre volte al giorno;

- - raschiare e pitturare in continuazione, anche in Golfo Persico in estate con 50°-60° di calore, non escluso i gavoni di prora e di poppa;

- - il radar era un ottimo Raytheon ma apparteneva ad una sola persona: il Comandante che non era uno stupido, tutt’altro! Ma per capire il suo modo di pensare e di agire occorreva aggiungere circa 130 anni ai suoi 45, e andare indietro nel tempo: al trasporto dei Coolies cinesi nelle stive da Macao al Perù… (Vedi su questo sito: NAPOLEONE CANEVARO, i COOLIES cinesi si ammuntinano).

Per lui la parola DEMOCRAZIA era svuotata di ogni significato in tutti i suoi pensieri, atti ed atteggiamenti.

L’equipaggio proveniva dalle due riviere, solo il Comandante, naturalizzato genovese, era di una città vicino a Napoli.

Quella nave aveva un solo difetto: batteva bandiera ombra - liberiana e l’unica legge vigente a bordo era quella del Comandante che, come avete  capito era uno “padre - padrone psicopatico”.

La parte burocratica del viaggio: registrazione arrivi e partenze dai porti, le avarie della nave, del carico, sbarchi-imbarchi equipaggio, eventuali problemi di qualsiasi tipo (assicurazioni, perizie ecc…) erano “risolti” presso il Consolato Liberiano del porto scalato, il quale era del tutto disinteressato alle “beghe da frati” che accadevano tra i rissosi equipaggi latini…

A dire il vero il Comandante era un uomo di mare che conosceva alla perfezione il numero dei bulloni della “sua” nave, era un “tappo” che faceva coppia con il 1° Uff.le di coperta; avevano la stessa età ma tra loro c’era un abisso nell’intendere il concetto di normalità da applicare in un ambiente di lavoro difficile, insano e dislocato in mezzo al mare.

I due soggetti entrarono in conflitto fin dalla partenza da Palermo dove la nave aveva fatto lavori importanti sia in macchina che in coperta.

Quell’imbarco “sui generis” iniziò quando fu anche troppo evidente che i Sottufficiali di coperta prendevano ordini soltanto dal Comandante, in barba all’antica consuetudine di bordo che vede tuttora il 1° ufficiale assegnare ogni mattina i lavori giornalieri al nostromo, tankista, carpentiere e cuoco. Il 1° ufficiale del ponente ligure non accettò mai di essere messo da parte in quel modo scorretto e prepotente e da quel momento condusse una battaglia psicologica che caratterizzò e classificò quell’imbarco come il peggiore in assoluto vissuto da quell’equipaggio nella loro vita da naviganti.

Alla mafia dei “torresi”, così era configurata quella particolare situazione di bordo, si aggiungevano altre figure direi “intimidatorie” che seguivano fedelmente il Comandante ad ogni imbarco: uno era un gigantesco lericino, cameriere della mensa Ufficiali, quarantenne che pochi anni primi era stato campione di pugilato nella categoria dei mediomassimi. Poi c’era il suo cameriere personale, una specie di “rasputin” che aveva il compito di riportargli tutti i “ceti” che origliava tra le “sonorizzate” paratie della nave.

Comandante e 1° ufficiale si parlavano per interposte persone ed era ormai percezione comune che prima o poi ci sarebbe scappato il morto… Per fortuna non andò così, ma non mancarono le risse e le beccate tra questi due “pesi gallo”, qualche occhio nero, minacce di denunce che poi vennero sempre archiviate a causa della “disinteressata” bandiera liberiana…

Le disavventure di quell’imbarco durarono a lungo e peggiorarono quando la parte “normale” dell’equipaggio si accorse che le provviste “buone” della cambusa venivano sbarcate e contrabbandate nei porti dalla “famiglia caina”, e per l’equipaggio rimaneva soltanto da consumare il cibo in scatola.

Questa fu l’atmosfera che respirai al mio primo imbarco da Allievo Ufficiale di coperta che mi vide subito schierato, direi “appiccicato” al 1° ufficiale perché da lui dovevo imparare il mestiere, sia durante le guardie in navigazione, sia in segreteria, sia nella gestione del carico.

Un imbarco sfortunato e scioccante che per fortuna si concluse dopo 7 mesi e 24 giorni quando il santo protettore dei marittimi s’impietosì al punto da dire: “ora basta”!


Il Golfo Persico



Il monte Fuji detto anche Fujiyama

La nave, dopo sei viaggi consecutivi Golfo Persico - Giappone, ne fece un altro per Luanda (Angola) e poi finalmente si verificò il miracolo che nessuno aveva osato immaginare: il viaggio per Genova, dove ¾ dell’equipaggio sbarcò per motivi personali… senza doversi pagare il viaggio di rientro, per esempio dal Giappone, e neppure quello del rimpiazzo subentrante.

Solo in questo modo il nostro “dimagrito” equipaggio ebbe il suo giorno della liberazione!

Un imbarco così disastroso avrebbe meritato di essere analizzato da una commissione di psichiatri e non solo… anche perché non poteva che concludersi con un finale altrettanto “psicopatico”; vi anticipo che non fu tragico come l’immaginazione di ognuno potrebbe suggerire, ma fu di tutt’altro tipo che definirei comico… giudicate voi stessi!

Direi quindi che lo scopo di questo memory non é quello di coinvolgere il lettore nella storia “pietistica” del mio primo imbarco che potrebbe interessare solo una piccola parte dei miei conoscenti; ma piuttosto l’esperienza che ne derivò dall’aver scoperto quanto la solitudine del marittimo sia la causa di tanti malesseri che sono difficili da spiegare alla gente di terra che ogni sera, nella propria oasi famigliare, scarica le tensioni e poi “risorge” per affrontare lo stress del giorno dopo nell’ambiente che gli dà le risorse per vivere.

Vi devo subito presentare l’elemento “chiave” di quell’avventuroso arrivo a Genova.

Giuan di caruggi, imbarcato sulla Nessy Friend con la qualifica di “giovanotto di coperta”, era la sagoma di bordo, ovvero il “giullare” di quei pochi momenti di relax che erano rimasti tra un programma e l’altro di RADIO CUCINA che annunciava solo casini…


Giuan nel suo regno

Giuan era una leggera da angiporto, una specie di saltimbanco, di scimmia ammaestrata, che prendeva tutti per il culo senza offendere nessuno, rispettava i graduati ma con loro scherzava sempre tra ironia e satira e non andava mai sopra le righe. Il suo pensiero era uno soltanto… “prima o poi ve lo metterò in quel in posto…”.

Aveva ragione! Il suo momento di gloria non tardò ad arrivare, l’home-voyage per i Porto Petroli di Multedo-Genova era stato annunciato giusto in tempo per fargli organizzare un “progetto di rapina  ad hoc”.


In quegli anni il Giappone viveva il suo magic moment tecnologico ed aveva imposto sui mercati internazionali il primato di qualità e quantità di macchine fotografiche, walky-talkie, radio di ogni tipo, altoparlanti, binocoli e registratori. I marchi Minolta, Canon, Yashica, Fuji ed altri che non ricordo, erano sulla cresta dell’onda ed i lettori con i capelli grigi li ricorderanno per aver caratterizzato i mitici anni ’60, un decennio reso famoso per il boom economico che rappresentò il più importante rinnovamento, anche generazionale, del secolo scorso.

L’Estremo Oriente, tra cui le città-stato: Hong Kong e Singapore, aveva il monopolio della costruzione e della vendita di questi richiestissimi prodotti altamente sofisticati che si trovavano sparsi nelle vetrine di tutti i mercati del mondo. Tuttavia, a questo enorme “laboratorio” ufficiale, si associava un altro mercato parallelo che viveva sottobanco ed alimentava il contrabbando internazionale specialmente negli angiporti europei.

Tra i marittimi c’era una specie di malattia da competizione tra chi riusciva a farne incetta con il miglior rapporto prezzo/qualità, ma quegli apparati avevano il fascino della modernità orientale: antenne lunghe e tante minuscole manopole che miglioravano i suoni e le musiche secondo parametri a noi sconosciuti. Le “voci dall’Italia” giungevano chiare di notte sulle onde corte “e il naufragar (dello spirito) m’era dolce in questo mare”.

Anche il look era particolare: prevaleva il colore nero lucido con strisce metalliche lucenti che davano eleganza e mistero all’oggetto.

In Giappone i loro prezzi erano di gran lunga convenienti, circa un terzo del valore pattuito di contrabbando in Italia, insomma si trattava di un business molto ambito da tutti i marittimi in circolazione in quel periodo! Guadagnarsi un extra stipendio era il sogno che spesso faceva dimenticare le disavventure di bordo, la nostalgia e la lontananza dall’Italia.

Forse avrete già capito il senso del contendere: sei viaggi per il Giappone in quel periodo potevano valere una fortuna per i contrabbandieri di alto bordo, ma anche per i marittimi di un certo tipo…


Purtroppo l’ingenuità dei marittimi più abbelinati stava per scontrarsi con la strategia dell’astuto Giuan di caruggi!

Arrivammo a Genova nel tardo pomeriggio. I piloti del porto ci avvisarono che l’ormeggio al porto Petroli di Multedo si sarebbe liberato soltanto dopo qualche giorno e il Comandante fu invitato a dare fondo l’ancora garantendo l’ascolto continuo per eventuali istruzioni.

Il Comandante abitava a Genova-Sturla per cui decise di dare fondo in quella zona per poter salutare sua moglie con il fischio di bordo.

Non essendo la nave in “libera pratica” (sanitaria) era tassativamente proibito all’equipaggio trasferirsi a terra con qualsiasi mezzo si fosse presentato sottobordo.

“Fatta la legge trovato l’inganno” !

Giuan di caruggi conosceva il Codice della Navigazione più di tanti esperti ufficiali di bordo e trovò il modo e la maniera di “portare in porto…” il suo sogno!

Secondo la ricostruzione di alcuni testimoni di bordo, verso le due di notte un motoscafo o qualcosa del genere, si affiancò a luci spente dal lato di sottovento dov’era pronta una biscaglina pronta ad essere calata in mare al segnale pattuito.

In pochi minuti 20 valige piene di prodotti giapponesi, furono calate sulla lancia tramite due heaving-line, con la PROMESSA che sarebbero state occultate in un magazzino costiero nella vicina Sturla, nell’attesa di essere ritirate, previa compensa, dai proprietari che mai sarebbero passati da un varco doganale del porto di Genova per pagare le dovute tasse allo Stato italiano.

Il cliente più diffidente dell’equipaggio, all’ultimo momento ebbe qualche dubbio e chiese a Giuan di caruggi delle garanzie sull’intera operazione: costi e recupero della merce. Evidentemente non era tutto chiaro! Ma a quel punto venne fuori la prontezza di spirito e la genialità di Giuan il funambolo il quale, messo un po’ alle strette, dichiarò solennemente:

“Io sono la vostra garanzia. Seguirò la merce fino a destinazione. Sparirò dalla nave per qualche ora, vi lascio i miei documenti e i miei averi in consegna, ecco le chiavi della cabina e del mio armadietto. Se nel frattempo mi cercassero, voi non sapete nulla e non avete visto nulla! Rientrerò in tempo per fare la mia guardia in coperta. State tranquilli! Sistemerò io le vostre valige e al momento giusto festeggeremo il business nel miglior ristorante di via Pré!”

La merce lasciò la Nessy Friend scivolando via tra le acque amiche velate di tramontana e di tanto mistero!

A questo punto anche il lettore meno smaliziato avrà capito che quella notte Giuan di caruggi passò al comando di quel motoscafo-fantasma e sparì per sempre… chissà dove… chissà con chi… e di lui non si seppe più nulla, for ever!

A bordo, il giorno dopo, in tanti piansero rendendosi conto di non poter mai più rivendicare la loro merce di contrabbando… altri se la risero di nascosto ma con l’amaro in bocca per non aver sconsigliato con più veemenza quella pazza idea al loro compagno di bordo e di sventura.

Chi scrive ebbe un’altra storia: quella di sentirsi totalmente “abbelinato” per circa sette mesi! Poi, quando ormai si era convinto d’aver sbagliato tutto, improvvisamente, si vide consegnare presso le FFSS di Rapallo un gran bel pacco con tutto quello che aveva comprato e spedito da Yokohama seguendo il consiglio di un anziano giapponese in kimono che lo aveva intenerito con i suoi numerosi inchini di rispetto e per l’antica saggezza che emanava sotto i baffi e la barba bianca, lunga e appuntita.

Il pacco, imbarcato chissà su quale misterioso treno, attraversò tutta l’Asia imballato a regola d’arte, al punto che nulla fu danneggiato, neppure il servizio da tè, con le belle geishe in trasparenza sul fondo, che ancora oggi “sorridono” nel mio salotto buono…


In seguito si seppe che il Comandante cambiò velocemente Compagnia, forse trovò imbarco su una riedizione del Vascello Fantasma in compagnia dei suoi fedeli pirati… Il suo intimo motto era: Dopo di me il nulla! O forse “despues me Dios!”

Ma ne aveva anche un altro meno aulico e di più recente memoria:

O con me o contro di me!”

Per ¾ dell’equipaggio sbarcante, quel diavolo di Comandante scrisse peste e corna, tra cui: “l’allievo di coperta non é navigabile”.

Quell’uomo mi aveva profondamente deluso: era un buon marinaio che conosceva tutti i segreti della nave… ma non era un conoscitore di uomini. Dote che in seguito ravvisai in Comandanti, in Direttori di Macchina e in tanti Ufficiali delle tre sezioni con i quali feci lunghissimi imbarchi. Di tutti loro conservo intatto il ricordo della loro umanità e qualità professionali che mi aiutarono a crescere!

Ma la domanda finale é questa: Quanti giovani allievi di coperta avranno rinunciato a battere le VIE DEL MARE per colpa sua?

Carlo GATTI

Rapallo, 25 Febbraio 2018

 

 

 


VITTORIO G. ROSSI GIORNALISTA, SCRITTORE E UOMO DI MARE

VITTORIO G. ROSSI

GIORNALISTA, SCRITTORE E UOMO DI MARE

Caduto nell'oblio?

Vittorio G. Rossi nel 1965


Quest’anno ricorre il 120° anniversario della nascita dello scrittore ed il 40° della sua morte.

« Si può amare una nave come si ama una donna, anche di più. Certo, una nave non si ama tutti i giorni, tutt'altro: vengono giornate in cui si maledice lei e chi l'ha fatta. Ma neanche una donna amata si ama tutti i giorni.»

(Vittorio Giovanni Rossi, "Pelle d'uomo", 1943 )

Un grande filosofo ha scritto:

“Gli avvenimenti della nostra vita sono come le immagini del caleidoscopio nel quale ad ogni giro vediamo una cosa diversa, mentre in fondo abbiamo davanti agli occhi sempre la stessa.“

Noi crediamo che la vita di Vittorio G.Rossi, “giramondo innamorato del mare”, si presti ad essere sbirciata attraverso il tubo magico del caleidoscopio.  Ed ora ci proviamo…

Vittorio Giovanni Rossi (Santa Margherita Ligure, 8 gennaio 1898 – Roma, 4 gennaio 1978) è stato un giornalista e scrittore italiano.

Nato da padre lombardo e madre ligure, dopo il diploma di capitano di lungo corso ottenuto al'Istituto tecnico Nautico di Camogli, venne ammesso all’Accademia navale di Livorno come allievo ufficiale di complemento. Subito dopo la Prima guerra mondiale fu inviato - a vent'anni – a Trieste  col compito di riorganizzare la flotta abbandonata dalla Guardia di finanza austroungarica; promosso comandante e docente della scuola nautica  da lui fondata per la Guardia di Finanza  italiana in Istria,  vi rimase otto anni. Nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali fascisti.

Trascorse lunghe licenze viaggiando per tutto il mondo su navi mercantili e scrivendo instancabilmente.

È stato inviato speciale del Corriere della Sera ed Epoca, ma nel corso di quel viaggio raramente interrotto che fu la sua vita fu anche occasionalmente marinaio e timoniere, palombaro e pescatore, carovaniere e minatore. Nel 1944 gli fu assegnato il Premio Mussolini  dall’Accademia d’Italia, ma Mussolini d'imperio lo cancellò per darlo all'antifascista Marino Moretti.

È stato anche il primo giornalista italiano non comunista ad entrare nella Russia sovietica, dopo la seconda guerra mondiale. Fu lo stesso Governo italiano dell'epoca a mediare per l'ottenimento del visto. Di questo viaggio è testimone il libro Soviet, del 1952.

È sepolto nel cimitero di Santa Margherita Ligure, dove ha sede anche il museo a lui dedicato, situato all'interno di Villa Durazzo-Centurione.

“Siamo nuovamente in guerra, una serie di conflitti diffusi che si richiamano alle religioni e alle civiltà e in questo pentolone i parlatori di mestiere hanno buon gioco.

C'è una differenza fondamentale tra la nostra e le altre religioni: la confidenza, come la chiamo io. Nelle altre religioni non c'è questo rapporto di quasi familiarità.

Te lo spiego.

Noi, quando assumiamo l'ostia sacra, il Corpo di Cristo, cioè Dio, stiamo generalmente dritti in piedi come se fosse pane.

Noi ci rivolgiamo a Dio, e lo chiamiamo Padre Nostro che sei nei cieli.

Nelle religioni che ho conosciuto non ho mai sentito chiamare Dio con tanta confidenza e dolcezza come Padre Nostro.

E questo Padre l'ho sentito tante volte in mare, nei momenti più difficili, e le decisioni le prendeva lui”.

Vittorio G. Rossi

( Da Colloqui con VGR di Decio Lucano )

I libri Oceano, Maestrale, Il granchio gioca con il mare, Il cane abbaia alla luna, La pelle dei marinai crude oil in Golfo Persico; il mio abbigliamento preferito era un cofanetto con i libri di Vittorio G.Rossi. ed altri sono stati i miei più cari compagni di viaggio sulle petroliere e in seguito sulle navi passeggeri. Sulle prime imbarcavo con il sacco da marinaio sapendo che sarei andato incontro alla reclusione tra quattro lamiere per oltre un anno in mezzo al mare e non dovevo indossare divise ed abiti eleganti per andare a caricare il crude oil in Golfo Persico; il mio abbigliamento preferito era un cofanetto con i libri di Vittorio G.Rossi.

Istituto Tecnico nautico Cristoforo Colombo - Camogli

Da sinistra: Vittorio Massone, Ernani Andreatta, Bruno Gazzale, Pro Schiaffino, Carlo Gatti, Mario Peccerini.

Lo conobbi a Camogli in visita al suo Vecchio Istituto Nautico di Camogli, era già anziano, ma capii subito che lui era un professore, non tanto di navigazione ed astronomia, ma dello spirito, della coscienza e della conoscenza del MARE che lui emanava come fosse il mare e noi gli studenti marinai…

Emanava esperienze “salate” che già mi portavano al largo verso il mio primo imbarco, tra gente con le ossa rotte dalla guerra che era ancora in guerra contro il mondo, uomini di mare accigliati, diffidenti, sospettosi in cerca di mine vaganti… ma era gente dal cuore tenero!

Erano le sue parole anche quando diceva: “ragazzi non vi preoccupate più di tanto, non siete voi a scegliere la carriera del mare, ma é il mare che sceglie i suoi “amanti” e poi li sposa per sempre! Non mancategli di rispetto. Temetelo ed amatelo!”

Avevo letto di recente il suo libro OCEANO

Oceano raccontava la navigazione del mercantile norvegese Galatea, partito da Bergen e diretto all'Avana, e vi cuciva intorno storie di marinai e di guerre, la Prima guerra mondiale, di pesca al merluzzo e di pesca alla balena, riflessioni sulla natura umana, descrizioni di paesaggi, con quello stile scabro che in parte gli era proprio e in parte gli veniva dalla frequentazione della letteratura realista anglo-americana. Il tutto era al servizio dell'entità sovrana e mobile che era l'Atlantico, mare freddo e scuro, affascinante e minaccioso su cui Vittorio G. Rossi, capitano di lungo corso, si muoveva con attenta naturalezza:

Mentre il Mediterraneo è un mare intensamente popolato, e quindi il suo attraversamento è una storia di porti, incontri, vita, l'Atlantico sta su quella nave che lo attraversa, o altrimenti è una realtà costiera, da un capo all'altro dell'immensa distesa di mare che la separa. L'Atlantico, insomma, è l'imbarcazione che lo naviga, ovvero gli uomini che vi stanno sopra, le loro reazioni, le loro paure, o gioie.

Grazie ad altri sappiamo tutto sull'Oceano, ma non cosa significhi navigarci dentro. Vittorio G. Rossi ci fa accomodare a bordo.

In seguito ebbi la fortuna d’imbarcare su tre navi passeggeri e tra le migliaia di libri di bordo, scritti in tutte le lingue, c’erano anche i romanzi “vissuti” di Vittorio G.Rossi e non conobbi mai la solitudine del marinaio.

Ancora oggi sfoglio i suoi libri con infinita nostalgia riscoprendo la sua intatta forza narrativa: asciutta, precisa, diretta e in essa scopro tanta poesia nascosta… lontana dalle frasi ad effetto.

Qualcuno ha scritto:

Il suo rammarico per chi non comprende la bellezza del mare, né il valore di coloro che, uomini veri, ne affrontano i pericoli, è palese nella maggior parte dei suoi scritti. E che questo, per certi versi, accada anche oggi, ci porta a condividere il suo rammarico.

Il giornalista scrittore Francesco Amendola é andato giù duro…:

La cultura italiana ha la memoria corta; lo sappiamo.
Hanno la memoria corta, sovente per invidia e meschina gelosia, la critica e il mondo degli intellettuali «affermati» (e progressisti, si capisce: i veri intellettuali sono tutti progressisti; o no?); e ha la memoria corta, per superficialità e conformismo, il pubblico, sempre smanioso di novità e sempre pronto ad applaudire qualche nuovo idolo, nell'ambito letterario così come in quello sportivo, musicale e dello spettacolo.
Tuttavia, vi è qualche cosa di più, e di peggio, nell'oblio in cui è stata relegata l'opera di Vittorio Giovanni Rossi; qualche cosa che oltrepassa l'ambito della semplice ingratitudine, e che sembra evocare altre ragioni e altri scenari; quasi una calcolata vendetta postuma.
Sarà perché Vittorio G. Rossi, i suoi libri, li vendeva a tiratura altissime, anche se non aveva frequentato i canonici studi letterari e non aveva mai avuto a che fare con l'ambiente accademico, tanto meno si era trovato nella necessità (si fa per dire) di leccare le scarpe ai soliti baroni del palazzo.
Sarà perché i signori critici non lo avevano mai veramente apprezzato, avevano sempre mantenuto, nei suoi confronti un atteggiamento sussiegoso e supercilioso: tanto è vero che, in tutta la sua lunga carriera di scrittore, una sola volta si erano scomodati a concedergli un importante riconoscimento letterario: ed era stato il Premio Viareggio, per il romanzo «Oceano»; e questo quasi all'inizio di essa, nel lontano 1938.

 

Già, nel 1938: vale a dire, ai tempi del Fascio. E allora - tanto vale dirlo subito - una terza possibile ragione di questo oblio, che somiglia maledettamente a un complotto, potrebbe avere a che fare con quella firma di Vittorio G. Rossi, messa lì nero su bianco e più che mai politicamente scorretta (almeno dopo il ribaltone del 1943…) in calce al Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto nel 1925 da Giovanni Gentile.

Vuoi vedere che abbiamo messo il dito sulla piaga giusta?

……………………..

Sta di fatto che si è trattato di una presenza decisamente atipica, nel panorama delle patrie lettere: uno scrittore che non viene fuori dal mondo dei libri e dell'università, ma dal mare: un capitano di lungo corso, uscito dall'Accademia Navale di Livorno, che ha passato tutta la sua vita sul mare e in lontani continenti; un uomo che, quando non navigava (ed è sua la frase che si può amare una nave esattamente come si ama una donna, e sia pure con momenti di stanchezza e di rifiuto), faceva il manovale o qualche altro strano mestiere «en plen air». Uno che - figuriamoci il dispetto dei nostri intellettuali, tutti topi da biblioteca: spalle strette e puzzetta sotto il naso - aveva la sfrontatezza di affermare che «bisogna scrivere con la propria pelle: cioè prima vivere, e poi scrivere».

Certo che aveva tutte le carte in regola per attirarsi l'eterna inimicizia di quella consorteria di eunuchi autoreferenziali che non perdonano a un «outsider», a un cane sciolto, tutto quel successo scandaloso, tutti quei libri venduti, tutto quel pubblico che andava pazzo per lui.


Ho riportato quasi interamente l’articolo di Francesco Amendola perché nella sua analisi tocca “nervi scoperti” che meritano attente riflessioni; tuttavia dopo aver riletto un ingiallito libro di V. G. Rossi: LA GUERRA DEI MARINAI edito da Bompiani nel 1941, quando il fascismo toccava l’apice del suo “rovinoso” successo, l’autore non dedica alcuna parola al regime. Mussolini non viene mai nominato. La politica non emerge in alcun modo, neppure di striscio…

La Marina Militare e quella Mercantile, si sa, erano orientate verso la monarchia, ma lo scrittore amava soprattutto il mare ed i suoi operosi marinai, al di sopra di ogni ideologia.

Ciò che invece affiora in ogni riga é lo stupore per l’abnegazione degli uomini di mare imbarcati sulle navi da guerra e sulle “carrette” mercantili.

Vittorio G.Rossi a pag.92 scrive:

“Quelli che fanno il Mare del Nord, mare dannato anche quando non c’é la guerra; nebbie, tempeste che strizzano il cuore come uno straccio, banchi e secche, e se c’é nebbia, sono ore tremende, paura di sentir d’attimo in attimo la prora dare nel banco, e col gran mare che fa laggiù, una nave incagliata é una nave persa, ondate paurose che schiodano la nave e la fanno a pezzi; nebbie e tempeste, e ora c’è la guerra, mare che la guerra ha fatto il più duro di tutti, mine dappertutto, mine a urto, mine magnetiche, mine in deriva; e i segnali della costa sono spenti, navigare a fiuto, ogni miglio rischiare

Cento volte di rimetterci la pelle; e poi ci sono i sommergibili e gli aerei, ci vuol poco a prendere nella nebbia, una bandiera per un’altra,

e un siluro fa presto a correre, una bomba, una spazzata di pallottole di mitragliera fa presto a piovere: e il “mercantile”, che ancora non é in guerra, “fa” il Mare del Nord, che é il mare più duro di tutti……

Un vero artista si vede dalla bocca; se la sua bocca ha pratica di masticare il ferro; nessuno può diventare un vero artista, se non ha provato a masticare il ferro…

La sua narrazione é un susseguirsi di fermo-immagini di un modo sconosciuto ai più, un film sempre attuale di una razza che sposa il mare e ne segue le sorti come un fatale destino che si perpetua da sempre: dagli Argonauti, a C. Colombo, dal Titanic all’Andrea Doria, fino a farci intravvedere il mare come una gigantesca tomba di famiglia dove tutto giace nelle profondità abissali in quel mondo di anime che solo il mare si é scelto.


Lo scrittore Vittorio G. Rossi conversa con Giuseppe Saragat

 

Colloquio immaginario con Vittorio G. Rossi

Se potessi incontrare lo scrittore di mare Vittorio G.Rossi gli direi:

Maestro, indipendentemente dalla bandiera, lingua, religione ed etnia, i marittimi provano gli stessi sentimenti di solidarietà e amicizia soprattutto quando – INSIEME – hanno superato grandi pericoli per la loro esistenza terrena.

Il mare unisce sempre, anche quando il destino umano corre sbandando sulla cresta di una gigantesca onda che divide la vita dalla morte. Il marittimo é sempre il più vicino a questa ineffabile frontiera che lui stesso ha scelto di sfidare tra un tramonto memorabile vicino a Dio e una tempesta di venti infernali. Il paradiso e l’inferno del marittimo si alternano e girano insieme sulla ruota del timone e della fortuna. Chi naviga lo sa e vive la sua religiosa solitudine specchiandosi nel mare blu dove vagano tanti spiriti che lo consolano sussurrandogli: “non sei solo!”

E lui mi risponderebbe:

Già! I vivi, i morti, i naviganti, gli spiriti, i gabbiani… tutti sotto lo stesso cielo che abbraccia sempre lo stesso mare! A volte per amore, a volte per morire insieme e poi risorgere.

Ma ora ritorniamo in questo contesto scolastico che mi riporta alla  perduta gioventù… Tu hai letto il mio OCEANO e saprai che ci sono popoli che si svegliano ogni mattina con lo sguardo sull’oceano. Nel Nord Europa si usa andare a battere il mare molto presto, con qualsiasi tipo di nave, grande o piccola. Da quelle parti la mentalità marinara é un fattore antropico, figlio di un ambiente duro da affrontare e domare per via delle alte montagne che spingono i norvegesi ad avventurarsi verso l’Atlantico a cercare la sopravvivenza, un tempo solo per pescare, oggi anche per altri motivi legati alla ricerca del petrolio ed hai commerci marittimi di ogni tipo.

La Norvegia, per fare un semplice esempio,  dispone oggi di una flotta di navi tra le maggiori al mondo ed ogni norvegese é consapevole d’avere nelle proprie vene sangue vikingo. Tutta la nazione ha, per questi motivi, una caratura marinara molto accentuata e, soprattutto, la Scuola Nautica é in linea con questo principio comportamentale, che impone all’allievo l’alternanza dello studio teorico nelle aule scolastiche con periodi d’imbarco sulle navi al fianco di marinai e ufficiali professionisti con i quali approfondire la loro preparazione.

Anche l’Italia ha una storia di “grandi navigatori medievali” ad alto livello marinaro, ma la mentalità che dilagò nei secoli successivi, tradì quel mondo delle scoperte dell’oltremare per non aver saputo gestire politicamente le nuove terre. Si può anche dire che abbiamo avuto dei grandi navigatori senza una politica alle spalle che sapesse mettere a frutto i loro sforzi ed il loro coraggio.

La nemesi storica… si ripete anche oggi! I migliori cervelli allevati in Italia scappano all’estero, a loro vengono preferiti i VOTI della mediocrità politica!

Questo distacco dal mare oggi é definito da una piccola cifra: soltanto il 5% degli Allievi Nautici del nostro Paese prende la Via del Mare per intraprendere la carriera da ufficiale.

Infatti, fin dalla tenera età, un giovane deve sapere a cosa va incontro attraverso esperienze progressive che lo fanno maturare, oppure lo fanno desistere dal continuare la vita di mare per la quale non é tagliato.

La Scuola Nautica del Nord Europa si é da tempo adattata al mondo globale del mare dove esistono poche regole da seguire, semplici ma ferree:

- Chi frequenta questa Scuola deve essere preparato a diventare un uomo di mare universale, globalizzato che si sposta in continuazione senza sosta, senza farsi problemi politici, religiosi e di ogni altro tipo.

- La lingua del mare é l’inglese, la Seaspeak. Questa lingua gli permette di navigare e lavorare senza problemi, ma la deve conoscere alla perfezione perché una cosa é certa: nella sua vita di marittimo parlerà di più la lingua inglese che quella di casa.

- Possiamo concludere con una osservazione di carattere generale:

- L’Italia non regge il confronto con la scienza museale marinara del mondo cosiddetto civile.

- Non solo il nostro Paese ha pochissimi Musei Navali, ma non riesce a conservare reperti e ricordi di navi famose che possano infiammare l’entusiasmo dei giovani.

- La cultura marinara dell’Italia é affidata agli ultimi Mohicani che dedicano tempo e denaro con un impegno personale che ha prodotto ricerche e “chicche storiche” ogni giorno, ma questi frutti, per quel che si vede, non sono destinate a dare germogli.

- Lo Stato, la TV e i mass-media in generale ignorano del tutto le nostre origini ed i fasti del passato di una antichissima civiltà marinara che si sviluppò lungo 8.000 km di costa e poi prese il largo verso gli Oceani.

- C’é ancora da sottolineare con amarezza il vuoto su cui “galleggiano” gli Istituti Nautici Italiani nei quali non si studia più la geografia, dove non si prende più in mano un sestante, dove nessuno ha ancora capito che la caratteristica principale di una scuola Nautica é la sua peculiarità internazionale, quindi l’uso di una sola lingua, quella del MARE, LA SEA-SPEAK !!!

- Io ero già in cielo quando ho sentito rimbombare l’ultima bestemmia contro il mare… l’abolizione del Ministero della Marina Mercantile avvenuto nel 1994. Ecco, io penso che l’inesorabile declino sia iniziato con la rinuncia a governare un mondo che solo chi ha navigato conosce i segreti per affrontarlo…

La ringrazio Maestro! Da lei ho capito tante cose, ma su tutte una : "Il Mare va temuto perché dietro quel fascino irresistibile che ci attrae, c'é un'immensa superbia che non perdona!

Joseph Conrad e Vittorio G.Rossi


Joseph Conrad

Figlio unico di Apollo Korzeniowski e della sua consorte Ewa Bobrowska, entrambi appartenenti a nobili famiglie polacche, Conrad nacque il 3 dicembre del 1857 a Berdyciv, in Podolia, attualmente sita in Ucraina, una regione parte del Regno di polonia fino al 1793 quando, con la seconda spartizione della polonia,  venne annessa alla Russia zarista. Morì a Bishopsbourne il 3 agosto 1924.


Museo Marinaro di Camogli - Quadro di G. Roberto. Un quadro a tempera rappresenta la nave "Narcissus", di proprietà di un armatore Camogliese, sulla quale lo scrittore Polacco naturalizzato inglese, Joseph Conrad navigò come ufficiale e alla quale si ispirò per scrivere "The Nigger of the Narcissus". Successivamente lo scrittore passò al comando della “Otago”, che rimase famosa poichè fu l'unica unità ad essere comandata dallo scrittore-capitano.


In Joseph Conrad c’é la ricerca interiore dell’anima del marittimo del suo tempo, il quale si agita tra le tante difficoltà razziali, religiose e politiche. Lo scrittore ne analizza gli aspetti psichiatrici come un professionista che é presente a bordo pur essendo nella posizione privilegiata di Primo Ufficiale oppure Comandante del “NARCISSUS”.

Vittorio G. Rossi racconta il marinaio che va incontro al mare consapevole di essere un predestinato alla sofferenza, alla solitudine ad un matrimonio difficile ma inevitabile, un rapporto che può finire da un momento all’altro, ma che sa dare giorni alterni di felicità e dolore. Il marinaio ha una sola risorsa da sfruttare: entrare in empatia con il mare-oceano per imparare a cavalcarlo, a domarlo.

A mio avviso tra i due grandi scrittori esiste un fattore di complementarietà che li unisce nel percepire questa vecchia, anzi antica razza come la più matura per esercitare una sorta di convivenza che li rende anonimi come quei reclusi di terra che nessuno conosce e vuol conoscere. Chi può dire di conoscere un marittimo se non é stato con lui tra quattro lamiere battute dall’oceano? Chi può dire di conoscere la paura del mare se solo pochi compagni di viaggio gli sono testimoni avendo ancora negli occhi gli stessi terribili colpi di mare?

In Conrad c’é una specie di pudore nel descrivere la sofferenza del marittimo; in Vittorio G.Rossi c’é la gioia di sopportare il peso della CROCE, un rito sacrificale mistico, molto religioso: qualcuno lo deve pur fare anche per chi non conosce oppure crede di conoscere come la famiglia che lo aspetta sulla costa ma che poi l’onda di riflusso se lo riporta via, ogni volta diverso, che parla lingue diverse, che chiama cambusa la cucina di casa, che chiama corridoio il cortile, che chiama gabbiani tutti gli uccelli che vede, che chiama mozzo il figlio più piccolo e così via.

In Conrad c’é la visione aristocratica di un mare che domina la scena. In Vittorio G. Rossi il marinaio ha capito che può essere salvato soltanto dalla conoscenza, dalla tecnica, dalla capacità di rinnovarsi nello scontro col mare che non é il male, ma come lo stesso nome un po’ si assomiglia…

Crediamo di fare cose utile al lettore segnalando i libri di Vittorio G. Rossi, ormai non facilmente reperibili, pur essendo passati pochi anni da quando venivano stampati a decine di migliaia di copie, e tradotti in tutto il mondo.

«Le streghe di mare» Milano, Alpes, 1930. «Tassoni», Milano, Alpes, 1931. «Tropici», Milano, Bompiani, 1934. «Via degli Spagnoli», Milano, Bompiani, 1936. «Oceano», Milano, Bompiani, 1938. «Sabbia», Milano, Bompiani, 1940.» «La pelle dei marinai», Milano, Bompiani, 1941. «Cobra», Milano, Bompiani, 1941. «Pelle d'uomo», Milano, Bompiani, 1943. «Alga», Milano, Bompiani, 1945. «Preludio alla notte», Milano, Bompiani, 1948. «Soviet», Milano, Garzanti, 1952. «Fauna», Milano, Bompiani, 1953. «Il granchio gioca col mare», Milano, Mondadori, 1957. «Cristina e lo Spirito Santo», Milano, Mondadori, 1958. «Festa delle lanterne», Milano, Mondadori, 1960. «La Terra è un'arancia dolce», Milano, Mondadori, 1961. «Nudi o vestiti», Milano, Mondadori, 1963. «Miserere coi fichi», Milano, Mondadori, 1963. «Il silenzio di Cassiopea», Milano, Mondadori, 1965. «Però il mare è ancora quello», Milano, Mondadori, 1966. «Teschio e tibia», Milano, Mondadori, 1968. «L'orso sogna le pere», Milano, Mondadori, 1971. «Calme di luglio», Milano, Mondadori, 1973. «Il cane abbaia alla luna», Milano, Mondadori, 1975. «Maestrale», Milano, Mondadori, 1976. «Terra e acqua», Milano, Mursia, 1988.

Vittorio G. Rossi era amico dei marinai anche a tavola



San Rocco di Camogli

Le gallette del MARINAIO


Le lettere di un affezionato cliente, il celebre Vittorio G. Rossi


Qui le Gallette del Marinaio sono una vera istituzione, al punto da aver fatto il giro del mondo e da essere state apprezzate da personalità illustri come Vittorio G. Rossi che ha riservato allo storico negozio dei Maccarini numerose dediche e riconoscimenti scritti.

 

CARLO GATTI

Rapallo, Venerdì 16 febbraio 2018


TORRE MARCONI - SESTRI LEVANTE

TORRE MARCONI

 

SESTRI LEVANTE

 

Il 15 giugno 1927 Guglielmo Marconi sposò Maria Cristina Bezzi-Scali. La loro figlia fu chiamata Maria Elettra Elena Anna. Anche il panfilo che ospitò molte ricerche in varie parti del mondo si chiamò Elettra.

Gli esperimenti effettuati nel golfo del Tigullio avevano come postazione a terra una TORRE, posta sulla penisola di Sestri Levante, che successivamente prese il nome di TORRE MARCONI, mentre nelle carte ufficiali della Marina italiana il golfo del Tigullio assunse il nome di: GOLFO MARCONI.

 

 


La nave laboratorio ELETTRA a Sestri Levante

Dipinto di Amedeo Devoto

 

 

Guglielmo Marconi nella sua postazione sull’ELETTRA

 

 


Sestri Levante – Baia del Silenzio

La freccia indica la posizione della TORRE MARCONI

Nominativo di chiamata 

IY1TTM

Non molti sanno che al culmine della penisola di Sestri Levante esiste la Torre Marconi dalla quale lo scienziato italiano portò a termine la parte tecnologicamente più avanzata dei suoi esperimenti.

 

 


Sentiero che porta alla Torre Marconi

 

Sulla penisola, immediatamente fuori le mura, un breve percorso conduce alla “Torre Marconi”, compresa attualmente nel Parco del Gran Hotel dei Castelli – edifici costruiti per volere dell’industriale piemontese Riccardo Gualino  e situata sul punto della penisola di massima visuale: nelle giornate limpide la vista abbraccia buona parte della costa ligure di ponente, oltre al tratto di mare verso punta Manara. Le torri costituivano certamente un elemento fondamentale di avvistamento e di segnalazione in rapporto alla fortezza. 

Il manufatto, di sezione circolare, ha un’altezza di circa 10 metri su tre piani, ed è interamente in mattoni. Nell’impossibilità di stabilire il periodo dell’originaria edificazione, si può in ogni caso ipotizzare che ricalchi una o più precedenti fondazioni: le carte e le stampe antiche indicano, infatti, un mastio al di sopra del sentiero, proprio nel punto dove oggi sorge la torre; si può anche pensare che in questa parte del promontorio esistesse più di un punto di osservazione: in un luogo più elevato della penisola,  nei pressi della torre, sono visibili i resti di un altro manufatto di epoca imprecisata, una torricella costruita con grosse pietre regolari e rovinata nella parte sud per un crollo: forse di antica origine, probabilmente utilizzata come “batteria” in tempi più recenti; apparati di questo genere sono indicati, nelle carte del settecento, in svariati punti dell’isola. 

Dopo secoli di abbandono la Torre è stata nuovamente utilizzata nel corso del Novecento, grazie alla sua posizione strategica sul mare; Riccardo Gualino, proprietario dagli anni venti di parte della penisola, amico di Guglielmo Marconi, lo invitò ai Castelli e gli mise a disposizione la torre, dove lo scienziato condusse numerosi esperimenti tra il 1932 e il 1934.

 

 

Il 30 luglio 1934, alla presenza di tecnici, ufficiali della Marina Italiana e Inglese e di numerosi rappresentanti della stampa, Marconi coronò con successo i suoi esperimenti sulla possibilità di utilizzare le microonde per ottenere un sistema di radiotelegrafia da applicarsi alle navi in condizioni di scarsa visibilità o nulla: salpata da Santa Margherita, la nave Elettra si diresse verso Sestri Levante, sul cui promontorio era stato installato il radiofaro; a circa 800 metri da questo si trovavano disposte due boe distanziate tra loro di 100 metri, tra le quali l’Elettra passò con precisione, guidata unicamente dai segnali emessi dal radiofaro. 

Dal 1971 la Torre è custodita dai radioamatori della sezione A.R.I. (Associazione Italiana Radioamatori) di Sestri Levante (IY1 e’ il nominativo speciale assegnato alla torre), grazie ai quali perdura l’originaria funzione di trasmissione, “avvistamento” e segnalazione della costruzione. Nel seminterrato ci sono due piccoli magazzinetti, al pianterreno c’è un piccolo salotto e sulle pareti sono appese diverse fotografie di Guglielmo Marconi e del panfilo “Elettra”; una scala a chiocciola porta al piano superiore dove c’è la sala radio. Si può accedere al tetto a terrazza attraverso una botola. 

Per questo motivo la storica “Torre Marconi” rappresenta da sempre la sede ideale dei radioamatori di Sestri Levante e di tutto il Golfo del Tigullio; non a caso sulle carte nautiche dell’Istituto Idrografico della Marina tale golfo é riportato con il nominativo: Golfo Marconi per gli studi svolti dallo scienziato nella Riviera di Levante. Dai tempi di Guglielmo Marconi il nominativo di chiamata della stazione radio, presente all’interno della Torre, é il seguente: IY1TTM ed é conosciuto in tutto il mondo.

Bibliografia: 

-Albertella L., Fortificazioni, edifici ecclesiastici, borghi nella Liguria di Levante nel Medioevo: comune di Sestri Levante, tesi inedita, Università degli Studi di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1986/1987, relatore Prof.ssa Colette Bozzo Dufour, pp. 127-130.

-La torre Marconi, a cura della sezione A.R.I. di Sestri Levante (Associazione Radioamatori Italiani, www.radiomar.net)

 

 

 

TORRE MARCONI

 


La tromba delle scale della Torre Marconi che é accessibile da una botola sul tetto della Torre stessa.

 


Torre Marconi a Sestri Levante vista dalla Baia del Silenzio

 

 

Guglielmo Marconi

(Bologna 25 aprile 1874 – Roma 20 luglio 1937)

 

 

 

1932-Santa Margherita Ligure. Guglielmo Marconi con la moglie, marchesa Maria Cristina Bezzi-Scali (Roma, 2 aprile 1874 – Roma, 15 luglio 1994) seconda moglie dello scienziato e madre di Elettra.

 

 

 


1906 - Una Stazione Radio MARCONI, Capo Cod, Massachusetts, Stati Uniti di Marconi  

 


Antenna Marconi

 

Il giovane MARCONI

 

Museo Marinaro Tommasino Andreatta Chiavari

Cuffia “Brown”

(adoperata dal marconista dell’Elettra)

Gran Bretagna, 1925

Dimensioni: cm 20x10x18

Materiali: metallo, bachelite

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. – Invent. n. 109

 


 

Questa cuffia, in uso presso la stazione radiotelegrafica dello yacht “Elettra”, la nave a bordo della quale Guglielmo Marconi condusse i suoi più importanti esperimenti, fu donata a Mario Tommasino da Adelmo Landini, operatore radio di bordo.

 

 

 

Al centro della foto la Signora Elettra Marconi a braccetto del Comandante Ernani Andreatta, Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari. La foto é stata scattata nel giardino che circonda la Torre Marconi.

 


 

Elettra Marconi, in visita al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, ammira la perfezione del modello della nave laboratorio ELETTRA che porta il suo nome. Di questo eccezionale “modello” ne esiste soltanto un’altra copia presso la  sede della RAI di Torino.

Da sinistra: Guglielmo Giovannelli Marconi figlio di Elettra, Franco Tommasino detto “Mario” (autore del modello) co-fondatore del Museo marinaro, Elettra Marconi e la signora Erminia Gueglio, moglie di Franco Tommasino.

 


 

La foto é stata scattata nel salone della Caserma di Caperana-Chiavari. Da sinistra, la signora Elettra Marconi, il Capitano di Vascello Vincenzo Rinaldi, Comandante della Scuola TLC, il Comandante Ernani Andreatta, il radioamatore Giuliano Corradi amico di Elettra Marconi, il Maggiore Gigi Pansa Aiutante del Comando.

 

 

Una bella immagine dell’ELETTRA nelle nostre acque

 

 

Guglielmo Marconi nella Stazione Radio della nave laboratorio ELETTRA

 

 

 

Guglielmo Marconi con padre Alfani all’inaugurazione della stazione di radiotelegrafica dell’Osservatorio Ximeniano di Firenze

 

 

 

I RADIOAMATORI EREDI DI GUGLIELMO MARCONI 

OGGI NELLA TORRE CHE PORTA IL SUO NOME

 

 

IY1TTM – TORRE MARCONI – Interni

 


Montallegro - Rapallo

 


Scultura in rilievo della ELETTRA di G.Marconi su una parte di CARENA della nave stessa.

 

L’opera si trova a Villa Durazzo – Santa Margherita Ligure, teatro di molti esperimenti di Marconi in rada, in navigazione nel Tigullio e in porto a Santa Margherita Ligure.

 

ALCUNE ANTENNE POSIZIONATE DAI RADIOAMATORI SULLA TORRE MARCONI

SESTRI LEVANTE


 

 


 

 

BIOGRAFIA DI GUGLIELMO MARCONI

 

  • Radio radianti

Premio Nobel per la fisica nel 1909, Guglielmo Marconi nasce il 25 aprile 1874. Trascorre l’infanzia a Pontecchio, Villa Griffone, cittadina vicino a Bologna, dove sviluppa le prime curiosità scientifiche e matura la sua grande scoperta, l’invenzione della radio. E’ proprio qui infatti che lo scienziato lancia da una finestra, tramite l’invenzione di un’antenna trasmittente, il primo segnale di telegrafia senza fili, nell’anno 1895, attraverso quella che diverrà poi “la collina della radio”.

Marconi dedicherà tutta la sua vita allo sviluppo e perfezionamento delle radiocomunicazioni. Studia privatamente; ha vent’anni quando muore il fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz: dalla lettura delle sue esperienze Marconi prenderà ispirazione per quei lavori sulle onde elettromagnetiche che l’occuperanno per tutta la vita.

Forte delle sue scoperte e galvanizzato dalle prospettive (anche commerciali) che potevano aprirsi, nel 1897 fonda in Inghilterra la “Marconi’s wireless Telegraph Companie”, non prima di aver depositato, a soli ventidue anni, il suo primo brevetto. I benefici della sua invenzione si fanno subito apprezzare da tutti; vi è un caso in particolare che lo dimostra in modo clamoroso: il primo salvataggio, a mezzo appello radio, che avvenne in quegli anni di una nave perduta sulla Manica.

Nel 1901 vengono trasmessi i primi segnali telegrafici senza fili tra Poldhu (Cornovaglia) e l’isola di Terranova (America settentrionale). La stazione trasmittente della potenza di 25 kW posta a Poldhu Cove in Cornovaglia, come antenna dispone di un insieme di fili sospesi a ventaglio fra due alberi a 45 metri d’altezza, mentre la stazione ricevente, posta a St. Johns di Terranova, è composta solo da un aquilone che porta un’antenna di 120 metri.

Il 12 dicembre 1901 per mezzo di una cuffia e di un coherer vengono ricevuti i primi SOS attraverso l’Atlantico. Così Marconi, non ancora trentenne, è carico di gloria e il suo nome già famoso. Queste sono state le prime trasmissioni transatlantiche.

Nel 1902, onorato e celebrato in ogni dove, Marconi compie alcune esperienze sulla Regia nave Carlo Alberto, provando inoltre la possibilità dei radiocollegamenti tra le navi e con la terra.

Pochi anni dopo, i 706 superstiti del noto disastro del TITANIC devono la salvezza alla radio e anche per questo l’Inghilterra insignisce Marconi del titolo di Sir, mentre l’Italia lo fa Senatore (1914) e Marchese (1929).

Nel 1914, sempre più ossessionato dal desiderio di allargare le potenzialità degli strumenti partoriti dal suo genio, perfeziona i primi apparecchi radiotelefonici. Inizia poi lo studio dei sistemi a fascio a onde corte, che gli permettono ulteriori passi in avanti oltre alla possibilità di proseguire quegli esperimenti che non si stancava mai di compiere. In questo periodo si interessa anche al problema dei radio-echi.

Nel 1930 viene nominato presidente della Real Accademia d’Italia. Nello stesso anno inizia a studiare le microonde, preludio all’invenzione del radar.

Guglielmo Marconi muore a Roma all’età di 63 anni, il 20 luglio 1937, dopo essere stato nominato dottore honoris causa dalle università di Bologna, di Oxford, di Cambridge, e di altre università italiane, senza dimenticare che all’Università di Roma è stato professore di radiocomunicazioni.

La scienza è incapace di dare la spiegazione della vita; solo la fede ci può fornire il senso dell’esistenza: sono contento di essere cristiano.

Guglielmo Marconi

 

Su questo sito di MARE NOSTRUM RAPALLO, nella sezione Storia Navale, pag.5 – Trovate l’articolo: 

QUANTE VITE SALVO’ GUGLIELMO MARCONI…– 14.115 visite circa in data odierna.

 

 

 

 

A cura di 

Carlo GATTI

Rapallo, 9 Febbraio 2018

 

 

 

 

 

 


RICORDO DI GIORGIO ODAGLIA

RICORDO DI GIORGIO ODAGLIA


In questi giorni di tristezza per la scomparsa di Giorgio Odaglia, i giornali lo hanno ricordato come medico della Sampdoria per oltre 40 anni, di quando fondò la prima Cattedra di Medicina dello Sport e del Lavoro in Italia e per gli studi sulla scienza subacquea; noi preferiamo ricordare Giorgio nei suoi momenti più gioiosi, quelli che lui amava di più, gli anni in cui si distinse come bravo giocatore di serie A, nello sport più seguito in Liguria: la Pallanuoto.

Giocammo insieme due campionati nella R.N. Camogli, in seguito Giorgio continuò a giocare fino all’età di 36 anni concludendo la sua carriera sportiva nella Pro Recco vincendo il Campionato Italiano.

Tra i tanti ricordi personali mi é caro sottolineare che Giorgio fu innanzitutto un MAESTRO di educazione, di umiltà e di grande umanità. Il mondo della pallanuoto si é sempre distinto, tra le altre discipline sportive, per essere uno sport  duro, gladiatorio e Giorgio, che era uno scienziato, fu tra i più autorevoli Campioni, un uomo-atleta che non fece mai pesare la sua immensa cultura.

Vinti e vincitori: più amici di prima

I pallanuotisti per lui erano tutti AMICI, anche gli avversari, ma in particolare il giocatore Odaglia era l’antidivo più ammirato e amato da tutti.


Il Camogli nella formazione che ha battuto la Canottieri Napoli

Da sinistra: Gatti, Rontevroli, Parodi, Caprarulo, Marciani (in secondo piano), Ferrando, Odaglia.


La sua estrema gentilezza, cordialità e ripeto imbarazzante educazione, va interpretata nel senso SPORTIVO, in quanto Giorgio in acqua si trasformava in un leone, arcigno, duro, spigoloso che non perdeva volentieri… Era nato sul mare, alle Nagge di Rapallo; era “costruito” per nuotare e in acqua raddoppiava il suo già incredibile potenziale.

Per moltissimi anni frequentammo gli attigui stabilimenti balneari: Bagni Vittoria e Bagni Tigullio.

Appena qualcuno si avvicinava col pallone alla porta del campo di pallanuoto, i vecchi e i giovani pallanuotisti rapallesi si tuffavano in mare: Bonazzi (Lacci), un certo Bruno, Odaglia, io e mio fratello Pino, Paolo ed occasionalmente arrivavano altri nuotatori attirati dal rimbombo delle pallonate… Quelle di Giorgio facevano male, erano legnate che io, giovane portiere, assorbivo con disinvoltura, ma quando uscivo dall’acqua, dopo qualche ora di “bombardamento”, avevo le braccia rosse e forse anche gonfie… i palloni di allora erano pesanti e facevano male, specialmente quando li prendevo in faccia e nel collo sotto il mento!

Anche in allenamento Giorgio non faceva sconti… ma con lui s’imparava a combattere e a vivere da sportivo vero.

Il 13.10.11 Scrissi sul sito di Mare Nostrum Rapallo:

CRISTO DEGLI ABISSI

Un'opera venuta da lontano

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=151;sfruttuoso&catid=52;artex&Itemid=153

In quell’articolo parlo di Giorgio Odaglia e del contesto dei grandi subacquei liguri che diedero un impulso enorme all’evoluzione della scienza SUB. (Furono chiamati “La Tribù delle Rocce”)

Giorgio fu felice di quella pubblicazione dicendomi che non avevo dimenticato proprio nulla…

Giorgio fu il mio medico per molti anni e mi preparò anche per il superamento della difficile visita medica per diventare pilota.

Giorgio, come appassionato di storia e di mare, fu spesso presente agli EVENTI di Mare Nostrum e molti soci lo ricorderanno come ospite illustre della nostra Rassegna.

Conobbi anche i suoi fratelli Gianfranco e Puny. Si somigliavano non solo fisicamente, ma soprattutto per la semplicità con cui si porgevano verso il prossimo.

Il professor Giorgio Odaglia lascia la moglie Franca Mari (figlia di un storico dirigente della pallanuoto), i figli Stefano e Federica con le rispettive famiglie.

Addio Giorgio! Grazie per tutto quello che ci hai donato!

 

Carlo GATTI

Rapallo, 6 Febbraio 2018

 


QUANDO RAPALLO SOGNAVA IL SUO CASTELLO RESIDENZIALE

QUANDO RAPALLO SOGNAVA IL SUO CASTELLO RESIDENZIALE…

“C'ERA UNA VOLTA …”

Tre generazioni fa a Rapallo fu lanciata un'dea che si realizzò solo in parte:

IL CASTELLO DEI SOGNI

Di quel “sogno” é rimasta solo la toponomastica che ricorre ogni volta che si parla di quel sito, di investimenti immobiliari, di polemiche e del tempo che fu…!

Da UNA FINESTRA SU RAPALLO Album curato da Maria Angela Bacigalupo, Pier Luigi Benatti ed Emilio Carta leggiamo:

Il “Castello dei sogni” come appariva al turista in questo scatto del 1929. E’ un’immagine romantica ormai perduta: la costruzione sorgeva là dove era stata realizzata la torre Da Vigo distrutta dalla furia del onde la notte di Natale del 1821.

Su progetto dell’ing. *Luigi Rovelli, che per la prima volta impiegò solette in cemento armato, la costruzione venne avviata agli inizi del nostro secolo (1900). Una leggenda spiegherebbe perché l’opera rimase per molti decenni incompiuta: il proprietario accompagnando la fidanzata a visitare la nuova casa in costruzione ebbe la sventura di vederla cadere nel vuoto e trovare la morte nella scogliera sottostante. Di qui la rinuncia a proseguire i lavori ed il nome di “Castello dei sogni”.

Il Castello dei Sogni nel 1925

(Agenzia Bozzo-Camogli)

Il Castello dei sogni visto dal vialetto delle Orsoline

(Agenzia Bozzo-Camogli)

*Luigi Rovelli – Milano, 23.3.1850-Rapallo, 1911 - E’ stato un architetto italiano, uno dei protagonisti dell’Ecletismo in Liguria.


La facciata del santuario di Nostra Signora di Montallegro, opera del Rovelli risalente al 1896

Avevo forse una decina di anni quando, sotto lo sguardo vigile di nostro padre Amedeo sul gozzo a remi, mio fratello Pino ed io nuotavamo dai Bagni Vittoria fino al Molo Langano, toccavamo il muro sotto il lanternino rosso e ritornavamo ai Vittoria senza fermarci. Il tempo di sentire i commenti tecnici di Amedeo e poi via, sempre a nuoto, verso il Castello dei Sogni. Oggi si direbbe: “che figata!” Già, quei ruderi erano la nostra TANA proibita, l’arena per confrontarci con le altre bande cittadine, coraggiose ed agguerrite.

Ma perché? Beh, innanzitutto perché era proibito avventurarsi tra quei muri grigi, arcigni e severi che avevano catturato e ucciso una giovane donna… e forse altri “furesti” che, ignari di quelle insidie nascoste tra gli anfratti, si erano salvati per un pelo. Insomma, il Castello era inagibile sotto tutti i punti di vista. Le leggende si moltiplicavano e ad ogni incidente venivano liberati spiriti e folletti maligni che pretendevano sempre un’altra vittima.

Erano tempi legati alle credenze popolari e tra i vicoli di Rapallo si aggiravano ancora le streghe, le chiromanti, i creduloni e tanti inbriaeghi che contavan de musse! Noi leggevamo Salgari e ci bastava per sentirci delle Tigri di Mompracen!

Eravamo impertinenti e impermiabili alle raccomandazioni dei nostri genitori che mai seppero, neppure in vecchiaia, delle nostre avventure tra quelle mura sbrecciate che erano aperte alla pioggia e alle burrasche da scirocco; di quando aspettavamo le mareggiate per farci spingere in salita fino alla prima rampa che portava al primo piano e poi farci risucchiare in discesa a folle velocità verso il fondale profondo e sicuro.

Dai basamenti delle sue colonne prendevamo la rincorsa sulla breve piattaforma e ci lanciavamo in mare trattenendo il fiato per vedere chi emergeva più lontano tra i cavalloni. Fu proprio in quel Castello, che presi i primi colpi di mare in faccia ingaggiando le prime lotte contro il mare. Ma sapevo che la mia nave immaginaria non mi avrebbe mai abbandonato, era sempre là, immobile, dietro le mie spalle, inaffondabile, per guardarmi e farmi crescere; sfidavo il mare, lo bevevo e poi scappavo, lui mi raggiungeva, ma per accarezzarmi; presto diventammo AMICI! E lo siamo ancora oggi!

Sono passati 60 anni e forse più....

Roma, 24 giugno 2008

Mare Monstrum 2008 – dossier Legambiente

Oggi, il “Castello dei sogni” è un complesso residenziale composto da due condomini e nove villette immerse in uno scenario incantevole: a picco sul mare, con terrazzamenti e una piccola darsena. Nei primi Anni ’50 tra i primi acquirenti VIP si ricordano Walter Chiari, Ugo Tognazzi ed altri attori che erano all’epoca sulla cresta dell’onda.

I mugugni con i relativi malcontenti hanno covato a lungo sotto la brace nonostante lo scudo protettivo della “rapalizzazione” poi, a turbare l’idillio dei residenti, nel luglio 2007, è arrivata la Capitaneria di porto di Santa Margherita che ha sequestrato alcune porzioni delle ville costruite negli anni Cinquanta, secondo l’accusa, sul demanio marittimo. Aumenti volumetrici abusivi che l’ufficiale della Capitaneria ha notificato in base ad una vecchia mappa del 1903 e delle planimetrie disponibili.

I condomini di oggi…

Una situazione quasi grottesca, poiché i sigilli hanno riguardato camere da letto, bagni, salotti, terrazze all’interno delle varie abitazioni: sequestri, per così dire, a macchia di leopardo. Con una linea gialla segnata in una mappa affissa alle porte degli appartamenti, l’ufficiale ha diviso le zone private, di libero accesso, e le zone del demanio ad uso interdetto. Qualcuno si è trovato così rinchiuso in un paio di metri quadrati, dopo che aveva acquistato una casa di centoquaranta. Dalla Capitaneria fanno sapere che l’operazione è stata condotta con criteri chirurgici perché sarebbe stato ingiusto mettere i sigilli alle intere case. Secondo l’Agenzia del demanio, le entrate evase, dagli anni Cinquanta ad oggi, ammontano a circa otto milioni di euro. Sulla vicenda sta indagando la Procura di Chiavari.

 

“Quando gli abusi vengono accolti con la sottomissione, il potere usurpatore non tarda a convertirli in legge.”

MALESHERBES

CARLO GATTI

Rapallo,10 Gennaio 2018

 

 

 


QUANDO A RAPALLO C'ERANO I VIP …

 

QUANDO A RAPALLO C'ERANO I VIP …

HANS NÖBL, CON LA SUA SCUOLA DI SCI NAUTICO, OPERAVA CON I FAMOSI MOTOSCAFI "RIVA" PRESSO

L'EXCELSIOR PALACE HOTEL

Il Casinò di Rapallo competeva con quello di Montecarlo. La sua storia ha inizio nel 1900, quando viene autorizzata la sua apertura nelle sale del lussuoso Hotel Kursaal Rapallo affacciato sul Golfo del Tigullio. Il Casinò resterà aperto sino al 1924 quando il fascismo ne decreta la fine. Riaprirà, per un breve periodo, nel 1946, ma la sua storia, ancora oggi, fa arrabbiare il Tigullio. Il Casinò di Rapallo, infatti, era uno dei migliori in Europa. Oggi la struttura è utilizzata come albergo di lusso.

Il comandante Roberto Donati racconta:

“Quando mio padre (rapallino di S.Ambrogio) tornò in Liguria nel 1953, come Grande Invalido di Guerra, riprese i contatti con gli amici di sempre e nonostante la sua invalidità, per supplire alla misera pensione di guerra, riprese a lavorare come meccanico per la manutenzione dei motori marini in ricovero durante l’inverno, e nei mesi estivi, per un breve periodo, fece il conduttore motorista per la Scuola di sci nautico di Hans Nöbl, noto campione di sci invernale, divenuto istruttore di sci nautico presso il Grand Hotel Excelsior di Rapallo. Fu quello il periodo più gratificante per mio padre, sia per l’ambiente che frequentava la Scuola di sci nautico (noti attori, attrici, scrittori ecc.) sia per la considerazione professionale in cui era tenuto.

Anche per me fu un periodo che ricordo con piacere, infatti, lavorando con lui imparai a guidare i motoscafi RIVA della scuola ottenendo, in seguito, il patentino nautico che mi permise di sostituirlo negli anni successivi”.


Hans NÖBL in Navigazione nel Golfo Tigullio con messaggi pubblicitari. Il maestro dei maestri di sci che era noto in Italia con il nomignolo: “L’ARCANGELO DELLE NEVI”.

Il genitore di Peter Rosenberg durante la fase di allenamento per il tentativo di record sulla distanza Rapallo – Sestri Levante andata e ritorno senza sosta.

La spiaggia del KURSAAL

Hans Nöbl prepara il giovane Peter Rosenberg



Il Giovane Peter Rosenberg pochi istanti prima della partenza per stabilire il record sulla distanza Rapallo – Sestri Levante andata e ritorno senza sosta.


Il campioncino Peter Rosenberg 25.8.1961 all’arrivo dopo la prova di resistenza

Roberto Donati alla guida del Riva

I frequentatori della scuola:

Soraya Esfandiari, ripudiata dallo Scià di Persia Reza Palhavi per motivi dinastici, scelse di vivere gran parte di quegli anni nella nostra Riviera e quella francese. Il personaggio restò fedele al suo ruolo regale di principessa triste. Soraya, lanciò la moda del costume intero, in una foggia che anticipò l'olimpionico: così si chiamerà il modello liscio e aderente, libero da stecche e rinforzi, ispirato alle atlete del nuoto, che dominerà la metà degli Anni Sessanta, soprattutto delle adolescenti. All’epoca della frequentazione dell’ Hotel Excelsior Palace di Rapallo, Soraya aveva recitato in alcuni film girati nella capitale. Soraya e suo fratello erano molto appassionati di sci nautico ed erano considerati tra i più esperti allievi di Hans Nöbl.

Un altro illustre appassionato di sci d'acqua il giovane re Hussein di Giordania, si allenava nel Tigullio sotto la guida di Hans lanciando la moda del costume a calzoncino, piuttosto corto, con doppia tasca e laccio in vita. Ma, da tutti i modi e le mode, si staccava l'eleganza di Rex Harrison, fotografato a Rapallo, dove aveva casa, con la moglie Lilli Palmer. Lo si ricorda in calzoni corti bianchi, camicia aperta fino in vita, golf sulle spalle mostrando quel sorriso che lo fece amare da molte signore.

Erano gli anni della grande popolarità di Alberto Sordi, Sylva Koscina, Rosanna Schiaffino che girarono parecchi film proprio all’Excelsior e nelle sue spiagge: RACCONTI D'ESTATE. Nel giro c’era anche Vittorio Gassman e Anna Maria Ferrero.

Roberto Donati conobbe anche molti diplomatici europei e mediorientali. Ma i lettori con i capelli bianchi ricordano d’aver incontrato in quegli anni a Rapallo John Wayne, Cary Grant, Lana Turner, Tyrone Power e Tony Curtis il quale, chi scrive ebbe il piacere di conoscere nella “villa delle rose” del famoso fotografo rapallese Aldo Diotallevi che curava una prestigiosa galleria fotografica di attori, scrittori, commediografi, poeti da lui incontrati ed immortalati con la sua inseparabile Leica.

Amico Donati ci racconti qualcosa di Hans Nöbl?

“Hans organizzava anche manifestazioni di propaganda di quello sport diventato molto popolare tra i VIP. Amava esibirsi sostituendo gli sci con un disco di circa un metro di diametro; parlava molte lingue, lui stesso era un VIP internazionale e i suoi clienti erano affascinati dal suo eccelso modo d’insegnare per il quale era diventato famoso sia sui campi da sci in alta montagna che sulle spiagge nostrane.

Austriaco e di scuola teutonica, amava alternare charme e sudditanza in base alla fama dei clienti; con i suoi stretti collaboratori, non era così elegante, al contrario era parecchio esigente.

Ricordo che nei momenti di pausa ci faceva raschiare gli scogli ricoperti da un viscido strato di alghe verdi che erano distanti e nulla avevano a che fare con la sicurezza del passaggio dei clienti e dei bagnanti, incarico che spettava, qualora fosse stato necessario, al personale dello stabilimento balneare del Kursaal. Per questo motivo, ma anche per altri similari, Hans ebbe molte difficoltà nel sostituire i collaboratori che sempre più spesso interrompevano la loro collaborazione con la scuola.

Hans era un ottimo imprenditore di sé stesso! Ricordo che inventò una gara di resistenza sugli sci sulla tratta: Excelsior (Rapallo)-Sestri Levante e ritorno. La disciplina diventò ufficiale per quella distanza ed in seguito fu adottata nei Campionati nel mondo. Lui stesso allenò per lungo tempo un giovane campione molto forte, si chiamava Peter Rosenberg”.

Su quale distanza standard avveniva la lezione allo sciatore d’acqua?

“Si partiva dalla Spiaggia dell’Excelsior, si arrivava al Castello dei Sogni, si virava e si faceva ritorno. La distanza era circa un miglio e si navigava alla velocità di 15-20 nodi.

La Sagola di nylon con maniglie aveva una lunghezza di circa 20 metri. Se lo sciatore cadeva, mollava la cima ed io avevo il compito di recuperarla, facevo una curva con il motoscafo per compiere la ripartenza. Gli sci erano di legno plastificato, ne usavamo di varie misure a seconda dell’uso specifico, delle capacità e delle misure del cliente”.

Ha qualche aneddoto particolare da raccontare ai rapallesi?


L’attrice Silvana Pampanini ritratta sulla spiaggia dell’Excelsior

Silvana Pampanini sta per lanciarsi nel mare del Tigullio

“A dire la verità, fu proprio Hans Nöbl che m’insegnò ad essere riservato, educato e a non esprimere mai giudizi e commenti di alcun genere sui clienti. Aveva ragione! E io non lo delusi mai. Ormai é passato tanto tempo e la memoria non é più quella di un tempo tuttavia, più che un aneddoto, posso raccontare di una visione un po’ particolare che ebbi un pomeriggio, quando fummo chiamati da un panfilo che aveva dato fondo l’ancora vicino alla nostra scuola di Ski e ci accorgemmo che la voce era della diva Silvana Pampanini che chiedeva al Maestro se poteva esibirsi con un mono sci.

Il Maestro esaudì la sua richiesta con entusiasmo! L’attrice mostrò subito di essere una provetta sciatrice e ci meravigliò non poco quando invitò il Maestro ad accelerare la velocità in progressione. Purtroppo, facendo alcuni slalom fra le onde, l’attrice perse l’equilibrio e cadde in mare. Facendo la solita manovra per recuperarla, aiutai a salire sul motoscafo Silvana Pampanini che aveva perso il reggiseno del bikini… ed io vidi dal vivo… la Nascita di Venere del Botticelli.

Quando Hans Nöbl arrivò era già famoso come una star?

Hans Nöbl arrivò a Rapallo con un palmares di tutto rispetto! Se l’era guadagnato sulle piste del Sestriere come maestro di sci della famiglia Agnelli.

Giovanni Agnelli era un provetto discesista, almeno fino al primo incidente che gli lasciò una gamba malferma. L’Avvocato amava sciare con il suo istruttore e accompagnatore personale che era appunto il maestro austriaco Hans Nöbl.

La cittadina in provincia di Torino è da sempre legata alla famiglia Agnelli, che in pratica la “inventò” negli anni ’30. Fu il senatore Giovanni Agnelli, nonno dell’Avvocato e fondatore della FIAT, ad acquistare un vasto appezzamento di prati e boschi (40 centesimi al metro quadro, non molto anche per allora) sul quale sarebbe sorta l’odierna località sciistica, che è stata teatro di un campionato del mondo di sci e delle Olimpiadi della neve dello scorso gennaio”.

Annotiamo: Il Circolo Sciatori Sestriere si sviluppò di pari passo con la stazione stessa, passando da 90 soci nell’inverno 1934 a 1.400 nel 1936; così come la Scuola Nazionale di Sci, fondata da Angelo Rivera e diretta da Hans Nöbl, il cui numero di allievi salì da 1.625 a 11.832 in tre anni. Gli strumenti utilizzati per veicolare e valorizzare un messaggio pubblicitario erano diventati con gli anni sempre più vasti ed eterogenei. Fu in quella stagione che il Maestro austriaco si guadagnò il soprannome di “Arcangelo delle nevi”.

Nel dopoguerra la fama di Hans Nöbl maestro di sci era aumentata grazie alla stretta amicizia con il suo amico e connazionale Gustav “Guzzi” Lantschner che era stato negli anni trenta una delle stelle dello sci, campione del mondo di discesa libera nel 1932, vinse in totale tre medaglie d'oro olimpiche e tre titoli mondiali. Nel frattempo “Guzzi” si trasferì a Bariloche in Argentina e chiese ad Hans di raggiungerlo per analizzare il posto migliore dove installare un centro sciistico. Hans definì che la zona più appropriata è sulle pendici del Cerro Catedral. La notorietà di Hans crebbe di pari passo con i successi d’attore del cinema di “Guzzi” il quale interpretò diversi ruoli avventurosi ambientati in montagna. Girò delle pellicole con Leni Riefenstahl e, insieme a Luis Trenker fu un vero divo dell'epoca.

Che ruolo ebbe Hans Nöbl nello sci nautico internazionale?

“Hans Nöbl fu molto astuto nel capire la potenzialità di questo nuovo sport acquatico nato pochi anni prima. Fu Ralph Samuelson, nel 1928 a fondere in un'unica attività sportiva lo sci da neve ed il surf.

Ralph Samuelson, riconosciuto universalmente come l'inventore di questo sport era figlio di un meccanico navale e divenne noto come persona sprezzante dei pericoli dichiarandosi sempre pronto per ogni nuova sfida, anche pazza .... Nel '22 formulò quest'ipotesi: "Se scio sulla neve, dovrei poter sciare sull'acqua". Fu così che provò a farsi trainare da una barca con un paio di assi di legno dritte, con risultati scandalosi; problemi che gli crearono anche gli sci da neve, troppo sottili e stretti per l'acqua. Così andò dal falegname locale e si fece intagliare un paio di assi di legno con la punta ricurva verso l'alto, gli antenati degli sci attuali”.

Come finì la storia ?

“Fu così che dal 1922 al 1928 diede spettacolo con i suoi esperimenti, mirando a raggiungere velocità sempre più alte (nel 1925 si fece trainare da un idrovolante alla velocità di 130 km/h) e rischi sempre maggiori, come il salto da una piccola rampa cosparsa di lardo per renderla scivolosa.

Samuelson non chiese mai di esser pagato per queste dimostrazioni. Nel 1937 ebbe una frattura alla schiena e di conseguenza interruppe tutte le sue attività avendo però già posto le basi di quello che poi diventerà lo sci nautico. Negli anni trenta si passò ad un'evoluzione nelle forme, si adottò un triangolo con impugnatura rivestita in gomma (bilancino), si passò a provare la posizione su un singolo sci con i piedi posti uno dietro l'altro in posizione verticale. Le evoluzioni s'interruppero nel periodo inerente alla Seconda guerra mondiale”.


Dopo la guerra lo sci nautico prese fama internazionale con personaggi di spicco in ogni Stato, come Robert Baltié in Francia, il famosissimo David Nations in Gran Bretagna, il nostro Lanfranco Colombo in Italia, Ragnar Frunck in Svezia. Negli anni cinquanta nacque la distinzione ancora presente oggi delle tre discipline dello sci nautico classico: Slalom, Figure, Salto sulla rampa. Nel 1972 lo sci nautico fu disciplina dimostrativa ai Giochi olimpici: nello slalom l'oro olimpico è andato ad un italiano, il ligure Roby Zucchi.

Giunti a questo punto, molti lettori saranno curiosi di conoscere i fondamentali di questo sport che nel nuovo millennio é diventato molto popolare lungo gli 8.000 chilometri di costa italiana.

Come Fare Sci Nautico?

PASSAGGI

1 - Compra un buon paio di sci d'acqua. Per i principianti, è meglio sceglierne un paio lungo, perché permettono una migliore manovrabilità e un maggiore equilibrio.

2 - È uno sport che richiede forza fisica ed energia. Allenati, quindi, facendo allunghi ed esercizi per rafforzare i muscoli di braccia e gambe (come gli "squats" o i "sit-up").

3 - Quando sei sull'imbarcazione, per indossare facilmente gli sci, mettili in acqua. Infila gli sci, scivola completamente in acqua e posiziona la corda da traino tra di essi.


4 - Dì al conducente del motoscafo di muoversi adagio, mettendo in tensione la corda e tieni stretto il bilancino.

5 - Fai un respiro profondo, piega le ginocchia verso il busto, tendi le braccia e appoggiati all'indietro.


6 - Dai il segnale di partenza al conducente dell'imbarcazione. Il conduttore inizierà andando molto lentamente per recuperare l'imbando. Ti sentirai tirare leggermente e potresti avere problemi a controllare gli sci. Facendo un po' di pratica riuscirai a manovrarli con maggiore agilità. Mantieni l'equilibrio e controlla la posizione.

7 - Dai il segnale successivo al conducente per fargli aumentare la velocità (vedi la sezione dei Consigli). Ti sentirai strattonare. Mantieni le ginocchia piegate e le braccia dritte e ricordati di stare col corpo all'indietro. Lascia che il motoscafo ti sollevi dall'acqua. Non cercare di farlo tu.


8 - Probabilmente, la prima volta che proverai, non arriverai a questo punto, ma dal momento che inizierai ad uscire dall'acqua, cerca di raddrizzare le ginocchia in modo graduale, fino a formare un angolo di 70° e ricorda di mantenere il corpo all'indietro.


9 - Quando sarai completamente fuori dall'acqua per la prima volta, è raccomandabile mantenere le ginocchia leggermente piegate, perché sarà difficile mantenere subito un buon equilibrio. Dopo un po' di allenamento (dopo 2-3 sessioni), puoi iniziare a tenere le ginocchia più dritte, senza serrarle, e non avrai più bisogno di stare all'indietro così tanto come in precedenza.

Consigli

  • Tieni le braccia dritte. Se le lasci piegate fin dalle prime volte, perderai il controllo e cadrai facilmente. Acquisendo maggiore pratica, potrai lasciarle piegate e tenere un buon equilibrio.
  • La velocità dell'imbarcazione da mantenere varia da persona a persona. Quando inizierai a uscire dall'acqua, sarà necessaria una maggiore potenza, ma una volta fuori dovresti andare leggermente più adagio. Se hai meno di 18 anni, la velocità dovrebbe essere 0,90-1,74 nodi in più della tua età. Se hai più di 18 anni, una velocità appropriata è di 17 nodi circa. Avrai bisogno di provare le diverse accelerazioni. Andando troppo adagio, sarà difficile uscire dall'acqua e mantenere l'equilibrio. Andando troppo forte, sarà difficile tenere la presa del bilancino.
  • In alcune località non ti faranno iniziare subito con corda e bilancino, ma ti faranno attaccare a una sbarra sporgente dall'imbarcazione. Quando poi sarai in grado di restare attaccato alla sbarra, ti faranno usare la corda.

Il complesso dell'EXCELSIOR PALACE

Ringraziamo il Comandante Donati per averci portato indietro nel tempo per una cifra di anni che é meglio non calcolare…!

 

CARLO GATTI

 

Rapallo, 7 Gennaio 2018

 


 

 


I MARINAI LIGURI D'ALTURA ...

I MARINAI LIGURI D'ALTURA

Quante intelligenze di mare sono mute per non essersi mai incontrate con i sentimenti e gli stessi pensieri dei terrestri... Chissà cosa potrebbero raccontare con quello che hanno visto e sofferto nel loro peregrinare negli oceani?

C.G.

Il Pensiero del Comandante Nunzio Catena

Platone disse: "ci sono tre tipi di uomini: i vivi, i morti e quelli che vanno per mare”. Come non pensare che ad ognuna di quelle imbarcazioni corrisponde un equipaggio di anime!  I migliori! Costretti dal mare a setacciare ogni giorno sentimenti, affetti e ricordi che un terrestre non fa in tutta la sua vita. In mare si affina una sensibilità diversa e profonda che sublima l'umanità di ciascuno. Certo, non idealizzo, ci sono tanti lestofanti anche tra i naviganti improvvisati, ma lì sono almeno "condannati" a pensare!

Anche il valore della vita di un marittimo è sacro! Per un "uomo in mare" si impegnano a cercarlo navi distanti anche centinaia di miglia, unità che costano migliaia di dollari all'ora.

A terra, invece, ogni giorno ci mostrano immagini di individui che passano sopra il cadavere di un proprio simile, senza neanche fermarsi.

Ognuna di queste navi è un 'microcosmo' governato da regole universali, poche, ma funzionali che mirano solo ad un progetto: partire, viaggiare con un carico ed arrivare a destinazione. Se a terra le cose funzionassero alla stessa maniera, non vedremmo il caos che regna in ogni settore, a cominciare dall’alto…!

Tramontana

Quella mattina invernale era uguale a tante altre. Una fredda tramontana tagliava ogni centimetro di pelle scoperta e tutto rifletteva come fosse di vetro. Genova era quasi sveglia e si gustava ancora per poco il tepore casalingo. Presto si sarebbe specchiata nel suo porto dal sapore nordico. Il Torregrande rientrava veloce da un rimorchio “pesante” all’Italsider. L’equipaggio, assiepato sul ponte di comando, era pronto a divorare la focaccia con la cipolla ancora calda …bagnata dal solito bianchino frizzante.

Testata Ponte Parodi – Anni ’60 - Ormeggio dei Rimorchiatori

Charly tra un viaggio e l’altro in altura, si teneva in allenamento, come Comandante, in questa “università” della manovra portuale che aveva un organico di oltre quattrocento barcaccianti, alle dipendenze della più importante società del Mediterraneo, la “Rimorchiatori Riuniti”.

La caccia ai giovani più dotati, che formassero gli equipaggi d’altomare era sempre aperta. Charly non cercava il “genio marinaro”, ma contava su un volontario con le caratteristiche del lupo di mare: più testa che fegato, un buon carattere, un elevato spirito di corpo e soprattutto uno stomaco d’acciaio.

L’esame finale d’ammissione “all’altura” consisteva nel superamento di un pasto a base di polpi quasi crudi, oppure di trippe alla genovese, condite dal sale di una burrasca forza sette. La sfida di gruppo al dio del mare avveniva in coperta, con il piatto in mano, stivali e incerata da tempesta. Era un’esibizione dal sapore arcaico, un rito fra odio e amore per esorcizzare il pericolo e cementare un legame di solidarietà e reciproca assistenza.

I marinai di un tempo non lontano...

Secondo la leggenda che circola sui bordi, il nostromo é l’uomo rozzo e volgare che conduce la ciurma all’arrembaggio! Da secoli questa definizione arcaica e un po’ romantica conserva un margine di verità anche nel nuovo millennio. Se il moderno capitano marittimo ha assunto, suo malgrado, anche il compito di manager aziendale e quello d’ingegnere elettronico, la figura del nostromo rappresenta tuttora la continuità, la maglia di catena che unisce e dà un senso ai lunghi capitoli della marineria narrata in tutti i continenti. Il suo ruolo é sempre lo stesso: trovare la soluzione ai problemi che il mare propone a getto continuo e in forme sempre più sofisticate. E’ questione di feeling, recita una canzone di Cocciante. Nel nostro caso il mare sceglie i suoi figli migliori e li chiama nostromi.

Il nostromo dei miei tempi “abitava” praticamente a bordo, conosceva ogni bullone della nave, sapeva dove e come mettere le mani per impiombare (unire) due cavi spezzati, sostituiva un’ancora perduta, riparava qualsiasi avaria in coperta, tamponava falle e poi cuciva e rappezzava i cagnari che coprivano le stive, maneggiava le cime (cavi) di ogni calibro con l’arte di un prestigiatore e usava gli  aghi, il paramano, le caviglie, il mazzuolo con tanti attrezzi personali avuti in eredità dai vecchi lupi di mare di Camogli, Viareggio, del Giglio, Imperia, Carloforte ecc... Un vero corredo di utensili che portava con sé sull’altare quando sposava la nave. Già, proprio così! Il Nostromo nasceva e moriva con la “sua” nave.

Mare in coperta ...


Zeppin e sua moglie Anna nella “caletta” di Carloforte

Anche il Torregrande aveva fatto la sua scelta: il nostromo Zeppin che rappresentava lo spirito e la continuità, il carattere e la combattività. Tuttavia nel suo personaggio c’era qualcosa di strano e di misterioso: la normalità di Zeppin sulla terraferma, a bordo si trasformava in mito per diventare l’incarnazione di un folletto onnipresente, onnisciente e tanto positivo da diffondere euforia, ottimismo e sicurezza.

Per lui il mondo umano si divideva in poche categorie: quelli di terra che ignorava e quelli di mare che rispettava come compagni di sventura, ma tra questi amava solo gli equipaggi d’altura, già… quelli che si alternavano sul Torregrande e ne ricevevano il suo “imprinting”.

Non era facile conquistare o farsi conquistare da Zeppin. Occorreva innanzitutto mostrare un viscerale e referente rispetto per il Torregrande, che era per lui casa, chiesa e schêggio…

Lo spirito di corpo in lui era innato, come l’insularità della sua terra: (Carloforte - Isola di S.Pietro), alla quale si sentiva unito da un’impiombatura, che lui stesso ogni giorno ripuliva e curava.

La tonnara di Carloforte


Bilancella di Carloforte

Zeppin era duro come i leudi su cui era cresciuto. Diffidente, aveva occhi nerissimi e li roteava vispi, sempre alla ricerca d’improbabili pirati, in agguato su sciabecchi rapiti all’immaginario d’altri tempi. Zeppin era un uomo scaltro che vedeva in modo giovanile e pensava all’antica. Guardava gli strumenti nautici, ma osservava il colore del mare e il volo dei gabbiani; ascoltava i bollettini del tempo, ma scrutava attentamente le nuvole e amava soprattutto storpiare i proverbi dei suoi avi tabarchini e poi rideva…

Zeppin era un uomo senza tempo, un pezzo di mare che poteva scivolare su e giù per qualsiasi coperta, in ogni angolo di mondo macchiato di minio, cordami e bozzelli. Forse era proprio lui il prototipo, il cosiddetto uomo di mare, dolce e premuroso, che volgeva improvvisamente in burrasca, capace di consumare vendette e poi il perdono.

Dopo l’ennesima avventura sulle spiagge romane, uno stato d’animo da miracolati aleggiava ancora in quella saletta, quando arrivò il D.M. Guido che tranquillizzò tutti assicurando che sarebbero stati imbarcati due rinforzi di esperienza: Gian, primo macchinista e Loturco motorista.

Gian, trent’anni, era il più giovane degli ufficiali ed era della zona di Castelletto come Guido e il 1° di coperta Giorgio. Per chi non lo conosceva Gian poteva sembrare una presenza inquietante: di poche parole, di media statura e ben stazzato, aveva un viso duro e butterato da killer, di cui aveva soltanto la passione per le armi. Proveniva da una nota stirpe d’Armaioli di Piazza Banchi, ed ebbe buon gioco nel coinvolgere Charly, discreto tiratore, in molte sparatorie in mare ed in diversi poligoni regionali.

Gian stava maturando velocemente alla scuola di Guido ed aveva fegato da vendere. Sul Torregrande trovò gli stimoli giusti che esaltavano il suo carattere, dotato tra l’altro di un raffinato humor inglese.

Loturco era il secondo motorista, d’origine pugliese aveva trent’anni. Era forse il più regolare del gruppo: silenzioso in mezzo a tanti istrioni, preferiva la seconda fila. Da lui emanava un senso di pace interiore, che ogni tanto riusciva a sbloccare con battute pungenti ma mai cattive.

Era la vigilia di Natale. In quella tarda mattinata, una cappa grigia gravava sulla città ed uno strano scirocco freddo annunciava nevicate sui monti vicini. A bordo fervevano i preparativi per l’imminente viaggio, ma il pensiero dell’equipaggio era rivolto al suo Comandante che tardava a rientrare a bordo con le ultime notizie sulla spedizione.

Dal parabordo di banchina, Charly preferiva saltare direttamente in coperta. Un doppio colpo, secco e rimbombante, richiamò l’attenzione dell’equipaggio che irruppe velocissimo in saletta.

“Ragazzi si parte!” disse Charly con tono distaccato, poi accennò una pausa e aggiunse: “All’alba del 26, rompete le righe!”


Stea é il primo da sinistra

Ne seguì un applauso e gli auguri alle famiglie.

Stefano (Stea), marinaio di 24 anni, alto e ben piantato era una creatura del nostromo Zeppin. Rivierasco come Charly, aveva una carnagione scura ed un taglio obliquo degli occhi che ricordava vagamente un personaggio di Salgari. Era il ritratto giovanile di suo padre, eroe della “resistenza” sui monti della Liguria e del suo vecchio ne perpetuava il coraggio e quella naturale incoscienza giovanile che più volte Charly cercò di contenere… invano!


Per capire il temperamento di Stea occorre raccontare di quella notte in cui infuriò una burrasca tremenda che sorprese il Torregrande alla fonda davanti al porto di Milazzo. Il convoglio, composto dalla vecchissima draga: Rinoceronte, due chiatte ed un rimorchiatore portuale, era destinato a Taranto. Purtroppo, in navigazione nel basso Tirreno, scoperto ai colpi di mare da libeccio, la benna della draga si dissaldò ed iniziò a brandeggiare ad ogni rollata imbarcando acqua di mare a tonnellate.

Charly fu costretto a puggiare a Milazzo, aperta soltanto a grecale, diede fondo l’ancora in rada e si legò i tre natanti ai due lati. Denunciò l’avaria al Tribunale locale e chiamò una ditta per riparare i danni.

Nella serata del giorno dopo, terminarono i lavori di saldatura. Charly fece preparare il convoglio per la partenza e dispose:


“Salpata l’ancora, molleremo man mano le cime d’ormeggio dei rimorchi per farli sfilare di poppa fino a distendersi in fila indiana. Stea, a bordo dello Zodiaco, baderà a sbrogliare gli immancabili grovigli di cavi e catene”.

In piena notte si levò inaspettatamente un forte vento di burrasca che rovesciò piovaschi così intensi da impedire la visibilità a pochi metri di distanza. L’ancora del Torregrande dragò velocemente e nel giro di pochi minuti il convoglio s’ammucchiò sotto la prora di una petroliera, anch’essa in difficoltà mentre scaricava il suo puzzolente prodotto nel Porto Petroli.



Le cime che legavano i natanti al Torregrande si spezzarono. Charly era accecato dagli aghi di sale e schiuma che gli arrivavano in faccia come impercettibili frecce. A nulla giovavano le potenti sciabolate del proiettore che fendeva quel muro d’acqua senza penetrarlo. Zeppin e Stea, coltello al fianco, irruppero sul ponte di comando a dorso nudo e fradici d’acqua:

“Comandante ci tenga d’occhio, prendiamo lo zodiaco e andiamo a radunare quel branco selvaggio…!”

Disse Stea con tono divertito.

“Dai nu menemuse u belin co-u brancu, andemu desgraziou!” (Dai non perdiamo tempo con le bestie, sbrigati disgraziato!) urlò Zeppin infuriato, come se dovesse inseguire dei ladri.

Charly non ebbe il tempo di fermarli. I due sparirono in una nuvola di schiuma impazzita.

Per Charly quei minuti d’attesa sembrarono un’eternità!

Poi, come un fulmine, l’urlo di Stea raggiunse il ponte: “Comandante abbiamo sciolto il grùppo (groviglio), l’elica é libera potete manovrare!”

In quel momento s’affacciò un marinaio dalla prora altissima della petroliera e gridò impaurito: “Chi siete mai? Che vulite a s’tura?”

(Che cosa volete a quest’ora della notte?)

Ti gh’é un pö de baxaicò, belinn-a?” (ce l’hai un po’ di basilico buon uomo…?) gli urlò Stea divertito.

Stefano Mora (Stea) studiò e diventò un ottimo Comandante, ma per il suo Torregrande diventò anche un bravo pittore ! Oggi é pensionato nella sua Sestri Levante e fa dell'ottimo vino rivierasco! Zeppin é mancato nel 1975 ma é sempre vivo nel ricordo di tutti noi. Anche Giorgio Ghigliotti e Guido Bianchi sono mancati, ma NESSUNO di noi é mai sbarcato dal TORREGRANDE!

 


Rivisitazione di – QUELLI DEL TORREGRANDE

di Carlo GATTI

Ediz.2001 – Nuova Editrice Genovese (esaurito)