L'IMPORTANZA DELLA REPUTAZIONE

L'IMPORTANZA DELLA REPUTAZIONE

di John Gatti

Un pezzo provocatorio che vuole essere spunto di riflessioni.
Una buona reputazione lavora a tuo favore 24 ore su 24.

Sto parlando a te!

So che mi sto addentrando in un sentiero buio e contorto.

Proprio per questo, prima di fare il primo passo, voglio citare un paio di definizioni sulle parole che seguono:

· La reputazione, in ambito sociologico, è un concetto che attiene alla credibilità che un determinato soggetto ha all’interno di un gruppo (wikipedia).

· Per quanto riguarda la saggezza, mi ha colpito questa definizione di Epicuro: Non è possibile vivere felicemente senza anche vivere saggiamente, bene e giustamente, né saggiamente e bene e giustamente senza anche vivere felicemente. A chi manchi ciò da cui deriva la possibilità di vivere saggiamente, bene, giustamente, manca anche la possibilità di una vita felice.

· Il Compromesso per come lo intendo di qui a seguire: Cedimento morale in vista di un vantaggio pratico (dizionario Corriere della Sera). Ne convengo che “il compromesso” è molto di più, spesso inevitabile e addirittura auspicabile, ma in questo contesto viene considerato solo nella sua accezione negativa.

Mettendo da parte Ia filosofia, ci accorgiamo che i discorsi relativi alla correttezza, alla coerenza e all’onestà, dipendono in larga misura dalla posizione occupata da chi parla.

Un esempio banale: supponiamo di avere due fette di torta, una di fronte a un uomo che non mangia da tre giorni, l’altra davanti a un uomo completamente sazio. Secondo voi chi dei due subirà maggiormente la tentazione di rubare il dolce?

Chi, come me, ha già percorso buona parte del tragitto professionale, si trova nella stessa condizione “dell’uomo sazio” e può quindi permettersi giudizi etici e filosofici a scapito di chi ancora combatte a un quarto della via…

In altre parole, il trentenne che aspira a fare carriera, dovrà confrontarsi con i compromessi imposti dall’ambizione; chi invece ha già superato questa fase, può indossare la veste del saggio e predicare l’importanza dei valori nella vita.

Bello così eh?

A dirla tutta, nutro seri dubbi sull’opinione comune che tiene in alta considerazione le parole di un anziano in virtù della saggezza maturata negli anni.

Il momento cruciale, quello che determinerà la qualità di questa saggezza, lo incornicio in una fase temporale che precede di molto l'”età matura” e, più precisamente, in quel periodo dell’esistenza dove si scontrano opportunità, credibilità e l’ambizione di raggiungere una posizione rilevante. È allora che l’istinto suggerisce strategie di conquista, che spinge verso compromessi che rimbalzano da una discutibile onestà a un allineamento verso idee di convenienza, dalla calunnia all’incoerenza, dalle bugie alle azioni nascoste. Tutto questo, pur di salire sul cavallo che si ritiene vincente nella corsa alla soddisfazione dell’illusoria regola secondo la quale l’universo girerebbe intorno a ognuno di noi…

Ma essere veri uomini non è una cosa scontata.

Non è uno status che spetta di diritto una volta raggiunta una certa età.

Diventare Uomini con la “U” maiuscola, il più delle volte, è il risultato di un percorso fatto di scelte che rispettano la propria scala dei valori, di coerenza intellettuale (che non vuol dire “non essere disposti a cambiare idea”, vuol dire farlo tutte le volte che lo si ritiene necessario, in armonia con il proprio modo di pensare e di essere) e, soprattutto, di decisioni prese con grande apertura mentale, dove l’eventuale sconfitta viene accettata a favore di un’opzione più giusta.

Chi cede al compromesso – quello del “cedimento morale in vista di un vantaggio pratico” – imbocca un sentiero dove il compromesso si autoalimenta; e più ci si addentra e più diventa facile ignorare il rispetto dei valori.

Alla fine si diventa qualcos’altro, che sicuramente non assomiglia all’Uomo con la “U” maiuscola e che, sicuramente, non permetterà di entrare a far parte dei “saggi” che si sono conquistati il prestigioso titolo sul campo.

Sono poche le persone con un’apertura mentale tale da permettere d’imparare scavalcando il proprio orgoglio e la propria presunzione, e più si cerca avanti negli anni e più è difficile trovarle.

Tra le righe di quello che ho scritto c’è la definizione della parola “reputazione”.

Ho iniziato affermando che una buona reputazione lavora a tuo favore 24 ore su 24.

Alle persone piace raccontare le cose belle e le cose brutte, e lo fa tendendo a massimizzarne l’effetto. Questo vuol dire che se qualcuno ha qualcosa da raccontare di “positivamente diverso” – rispetto alla massa – che ti riguarda, stai pur certo che lo farà esagerando, piuttosto che minimizzando. Scatenare un passaparola positivo sulla reputazione è quanto di più produttivo si possa fare per gettare delle solide fondamenta per il proprio futuro, sempre!

Ma distruggere una buona reputazione è veramente molto facile. È sufficiente cadere nella trappola del compromesso, che magari permette un veloce successo temporaneo, ma che alla lunga dipinge la personalità in modo distruttivo.

Mentre scrivo penso ad alcune persone reali, uomini ancora con la “u” minuscola, ma fatti di carne, di ossa e di sangue. Penso a individui che conosco da anni, a cui non manca nulla: intelligenza, preparazione, volontà, presenza fisica, carisma e ambizione; quell’ambizione, potenzialmente sana, ma che a volte spinge verso il famoso e famigerato “compromesso” (inteso sempre in accezione negativa, ovviamente).

Non ne avete bisogno!

Avete tutto quello che vi serve per arrivare dove volete senza calpestare valori a cui ancora non avete dato la giusta importanza.

È meglio un assaggio di buon Tignanello, gustato nel giusto bicchiere, alla giusta temperatura e nel momento giusto, piuttosto che una botte di vino scadente bevuto con la cannuccia nel cimitero dei valori calpestati.

Tu che stai leggendo… che sai che mi sto rivolgendo a te… che so che puoi capire…

non cercare di diventare una persona di successo, cerca di diventare una persona di valore, e arriverai a essere quello che ti spetta diventare.

John Gatti

Rapallo, 28 Giugno 2018


OSKAR IL GATTO INAFFONDABILE

OSCAR

 

IL GATTO INAFFONDABILE

 

(The Unsinkable!)

 

PREMESSA: I naviganti ed i terrestri in generale hanno poche cose in comune. Ogni nave é un’isola che naviga in un mare che divide gli Stati e le civiltà per categorie, razze, religioni ecc…

In terra si parla molto e si fa tanta politica che divide ancora di più i terrestri. In mare l’ambiente é asettico perché il buon senso, quello ANTICO come il mondo, suggerisce una forma di convivenza più saggia: “risparmiare tutte le energie per i giorni tempestosi, perché l’unico obiettivo é quello di arrivare in porto.”

Di problemi in mare ce ne sono anche troppi: navi vecchie e stanche,

logorate da avarie e toppe su cui vigilare… Tutti evitano di creare ulteriori problemi, ogni tentativo in quel senso sarebbe una stupidità inutile. In terra, come tutti sappiamo, esistono tanti problemi, ma i più comuni sono quelli che le persone si creano nei vari tentativi, spesso falliti, di migliorare la propria esistenza.

Tuttavia, tra questi due mondi che si frequentano poco, c’é un punto di contatto: l’amore per gli animali!

I cani e i gatti la fanno da padroni… e molto spesso imbarcano e sbarcano ognuno con il proprio marinaio, dopo imbarchi lunghi ed impegnativi.

I marittimi di una certa età ricordano certi incontri ravvicinati in oceano con vecchie carrette tirate su dal fondo, dopo giorni e giorni di cielo e mare.

Per vedere l’altro da vicino, si accostava un po’ di gradi per sbracciarsi a salutare, sentire abbaiare un cane, cantare il gallo se era l’alba e, a volte, quando si era sottovento ad una nave ligure, si poteva annusare l’aroma del basilico coltivato nei vasi a bordo che arrivava con l’odore di casa, pieno di nostalgia. Quando poi si era al traverso ci si scambiava il rito del fischio: un brivido che ti rimaneva a lungo sulla pelle. Si prendeva il binocolo e spesso si vedeva il Comandante con un gatto tra le braccia, oppure un cagnolone che gli scodinzolava tra le gambe in segno di festa.

Spesso dalla coperta partiva un urlo:

“A peggio di noi !!!”

Come se qualcuno trovasse in quell’ululato gettato al vento un motivo di consolazione…

Certe emozioni si provano solo in mare, tra marittimi che neppure si conoscono ma che si sentono fratelli nella solitudine, nella vita, nel destino di quasi tutti i rivieraschi del mondo.

Questa premessa ci dà lo spunto per addentrarci in un nuovo capitolo

da aggiungere nella “Saggistica Navale” del nostro sito nel quale, chi scrive dedicò insieme all’amico Bruno Malatesta, un articolo intitolato: “CANI MARINAI” da amare.

Di GATTI NAVIGANTI che raggiunsero una certa fama ne ricordiamo due: CHIPPY, gatto soriano, che accompagnò Ernest Shackleton nella spedizione-Endurance (1914-1917) in Antartide. Fu soppresso quando l'Endurance, ormai intrappolata dalla banchisa, non era più in grado di navigare e l'equipaggio fu costretto a proseguire a piedi;

SIMON, gatto arruolato come tradizione antica, mantenuta dagli Inglesi, quale portafortuna e scacciatopi sulla Royal Navy. Fu apprezzato ancor più per vere imprese eroiche e per ferite di guerra nel 1947-1949, meritandosi ambite decorazioni.

Ai gatti vengono riconosciuti dei super poteri, come la capacità di prevedere il meteo e tante altre situazioni più o meno pericolose che vanno ad intrecciarsi con superstizioni e stregonerie che si perdono nella notte dei tempi.

LA STORIA DEL GATTO OSCAR

OSCAR é il meno celebre tra i personaggi a quattro zampe, almeno sulla terraferma, perché la sua fama non nacque dalla fantasia di uno scrittore, ma dalle atrocità di una guerra sui mari che durò dal 1939 al 1945.

Oscar, gatto a macchie bianche e nere, fu mascotte “militarizzato” e roditore ufficiale sulla Bismarck della Kriegsmarine nel 1941, e su alcune unità della Royal Navy come vedremo in seguito.

IL LIBRETTO DI NAVIGAZIONE DI OSCAR

Il gatto-marinaio apparteneva ad un ignoto marinaio in servizio sulla nave da battaglia BISMARCK durante il suo primo e unico viaggio nel maggio del 1941.

La BISMARCK fu affondata in mare aperto dopo una lunga caccia e un intenso cannoneggiamento a opera della marina britannica. Il 27 maggio sopravvissero all'affondamento solo 115 marinai su oltre 2.200 imbarcati.

Il gatto fu trovato ore dopo l'affondamento, era sopravvissuto artigliando un carabottino di bordo. Venne recuperato dall'equipaggio del cacciatorpediniere HMS COSSACK che lo adottò. Il gatto fu ribattezzato Oscar dall'equipaggio britannico.

Oscar rimase a bordo del COSSACK per alcuni mesi, durante i quali la nave fu impiegata come unità di scorta nel Mediterraneo e nel Nord Atlantico. Il 24 ottobre 1941 il COSSACK partì da Gibilterra per scortare un convoglio verso il Regno Unito e fu silurato dal sommergibile tedesco U-563.

Colpito da un siluro, subì danni gravi che ne compromisero la stabilità: la prua era stata danneggiata per circa un terzo della lunghezza della nave, causando 159 vittime su 190 d’equipaggio.

Il cacciatorpediniere HMS LEGION tentò di rimorchiare la nave danneggiata tuttavia, un peggioramento delle condizioni meteo fece fallire il tentativo. Dopodiché l'equipaggio, compreso il gatto Oscar, fu tratto in salvo dal LEGION mentre il COSSACK affondava il 27 ottobre al largo di Gibilterra.

Qualche mese dopo, dalla portaerei UK HMS ARK ROYAL partì la richiesta per avere un gatto, come arma anti-topi. Così Oscar, nel frattempo soprannominato Unsinkable Sam, (l’inaffondabile) prese servizio sulla portaerei.

Durante un viaggio di ritorno dal Mediterraneo centrale, dove aveva lanciato degli aerei di rinforzo verso Malta, il 14 novembre 1941 la HMS ARK ROYAL venne silurata dal sottomarino U-81. Ogni tentativo di traino del relitto fallì per via delle enormi falle da cui entrò il mare vivo. La nave si capovolse a trenta miglia dalla costa di Gibilterra.

L'affondamento fu abbastanza lento tanto da permettere il salvataggio di tutto l'equipaggio, con l'eccezione di un solo uomo.

Unsinkable Sam fu recuperato dall'acqua, aggrappato ad un reperto galleggiante proveniente da una lancia distrutta.

In seguito fu assegnato all’ HMS LIGHTNING che, a sua volta, venne affondato in combattimento nel 1943 senza che Oskar subisse alcun danno fisico e morale....

Il suo ultimo imbarco ebbe luogo sull’ HMS LEGION (che lo aveva già raccolto dopo il siluramento del HMS COSSACK), ma la nave fece naufragio nel 1944. Oscar, arrabbiato ma in perfetta salute, si salvò ancora una volta. Scampato cinque volte alla morte, il fortunato felino venne soprannominato “The Unsinkable Sam” (l’inaffondabile) e divenne popolarissimo tra i marinai inglesi.

IL PENSIONAMENTO DI OSCAR

Dopo l’ultimo naufragio, Oscar fu trasferito presso gli uffici del Governatore di Gibilterra e poi rimpatriato nel Regno Unito per essere affidato ad un marinaio di Belfast.

Prudentemente, (forse per salvargli la nomina di portasfiga…) l’Ammiragliato decise di tenerlo ben lontano dal mare e dopo un congedo onorevole, lo affidò - come riporta Detlef Bluhm nel libro ”Gatti di lungo corso” - in un istituto per marinai: House for Sailors di Belfast. Qui morì di morte naturale nel 1955.

Oscar è protagonista di un ritratto dal titolo: Oscar, il gatto della Bismarck eseguito dall'artista Georgina Shaw-Baker, di proprietà del National Maritime Museum di Greenwich.


Il ritratto di Georgina Shaw Baker è pregevole ma, a parere di qualcuno, non coglie in pieno il carattere coriaceo di Oscar e l’essere, dopo tanti naufragi, INCAZZATO NERO…

APPENDICE

LE NAVI DI OSCAR

LA BISMARCK

La BISMARCK fu una nave da battaglia tedesca della Seconda guerra mondiale, così battezzata in onore del cancelliere del XIX secolo Otto von Bismarck (1815-1898). È famosa per l'affondamento dell’incrociatore da battaglia HOOD e per la caccia successiva che le venne data che portò alla sua distruzione. Eponima della classe Bismarck, l'unica altra unità della stessa classe fu la TIRPITZ.


La nave da battaglia tedesca BISMARCK in navigazione

Cacciatorpediniere UK - HMS COSSACK


Cacciatorpediniere UK - HMS LEGION


Cacciatorpediniere UK - HMS LIGHTNING


La portaerei inglese HMS ARK ROYAL poco prima dell’affondamento

Carlo GATTI

Rapallo, 28 Marzo 2018

 

 


QUANDO UN MARITTIMO DIVENTA TERRESTRE

QUANDO UN MARITTIMO DIVENTA TERRESTRE

Si nasce con una “dotazione di base” fornita dalla natura, arricchita dai genitori e completata da un “ingrediente sconosciuto” che ci rende unici.

Quando veniamo al mondo siamo come un grosso libro ancora da scrivere: il nostro nome stampato sulla copertina, ma con le pagine al suo interno quasi completamente bianche.

In questo testo non verrà narrata la nostra storia, ma il modo in cui vivremo la nostra vita, che dipenderà da come verremo “programmati“.

Da quando si nasce, e per tutta la vita, si ricevono input dall’esterno: suoni, immagini, pensieri, odori, procedure, verità, bugie… qualsiasi cosa è un dato da elaborare e da gestire.

Una quantità immensa di segnali; ma come si difende il cervello dal sovraccarico di informazioni? Nella sua incredibile efficienza, crea dei “programmi” che  attivano degli “automatismi.

Guidare la macchina è un esempio efficace: volante, cambio, frizione, acceleratore, freno… operazioni in successione che vanno eseguite con un certo tempismo. Quando si impara a guidare è necessario ragionare su quanto si sta facendo, sulla giusta sequenza nei giusti tempi. La ripetizione dei gesti arriva a creare un programma nel cervello che permette di agire in automatico, senza pensare e senza più mettere in discussione quello che si deve fare.

Ogni volta che dobbiamo ricordare qualcosa che impariamo, si viene a creare un circuito elettrico tra diversi neuroni chiamato sinapsi“. In questo modo le informazioni che noi archiviamo possono interagire per dare forma a pensieri e conoscenze più profondi. Una volta creata, questa sinapsi non viene più messa in discussione (il fuoco brucia=non bisogna toccarlo, abbassare la maniglia=aprire la porta, allacciarsi le scarpe, scrivere, leggere, ecc.).

Acquisita una certa competenza, la stessa viene gestita da quella parte del cervello che si occupa dei processi automatici che non hanno più bisogno di essere verificati.

Quando il libro è vuoto i processi di programmazione sono semplici e lineari, ma cosa succede se, a distanza di anni, gli automatismi creati non sono più attuali? Quando ci si trova a dover adattare concetti nuovi a idee vecchie? Quando la natura porta a non mettere in discussione le “certezze” già archiviate?

Non è facile riprogrammare un circuito cerebrale, sovrascrivere una sinapsi, cambiare radicalmente idea su qualcosa…

In pratica, con il tempo, si rischia di prendere decisioni sulla base di programmi non più  corretti o non aggiornati, ma che, comunque, non vengono messi in discussione. Programmi che, fuori dal nostro controllo, influenzano i nostri pensieri.

Cosa centra tutto questo con “un marittimo che diventa terrestre”?

Quanto scritto sopra può essere la base per molti argomenti.

L’apertura mentale, la capacità di mettersi in discussione, la predisposizione a cambiare le abitudini affinché gli automatismi non diventino dei limiti. Rendersi conto che nulla è per sempre: cambiano i presupposti, le circostanze, i soggetti, le cose giuste e quelle sbagliate, le cose possibili e quelle impossibili, e pertanto possono e devono cambiare le idee e le prese di posizione.

La differenza tra marittimi e terrestri è simile a quella tra pesci di mare e pesci d’acqua dolce: creature che si sono adattate ad ambienti profondamente diversi tra loro; paragonarli, giudicarli o anche semplicemente parlarne, è tutt’altro che semplice, perché troppi sono gli ingredienti che vanno a modificare la realtà di ognuno.

Per i marittimi, bisogna considerare dove hanno vissuto e lavorato, perché la vita a bordo di una nave passeggeri è molto diversa da quella su di una petroliera, su di un rimorchiatore o su di un traghetto, e così le esperienze che si maturano nel tempo. La nazionalità dell’equipaggio, le rotte che si seguono, i porti che si toccano, il grado che si ricopre, la lunghezza dei contratti, ecc., tutto concorre a rendere difficile la catalogazione del marittimo “tipo”.

Il terrestre può essere un dipendente oppure un imprenditore, lavorare in una grande azienda oppure in proprio, fare il pendolare o lavorare in casa, e così via per un’infinità di variabili.

Uomini di mare

Approfondiamo ora, generalizzando, la conoscenza di alcune verità che vanno a influenzare quasi sicuramente le tracce delle sinapsi dei marittimi:

- la considerazione della “gerarchia” a bordo di una nave non è percepita allo stesso modo in una struttura terrestre. L’estremizzazione del concetto “dopo Dio ci sono io“, riferito al Comandante di una nave, vede la sua giustificazione proprio nella necessità di garantire un certo “ordine” che, in mezzo al mare, equivale a “sicurezza”. L’adattabilità dell’uomo è innegabile ed è dimostrata una volta di più in questo contesto: mesi e mesi lontani dalle abitudini, dai propri interessi, dagli amici, dai propri cari, costretti a dividere uno spazio ristretto e la compagnia di persone che non si conoscono, riunite assolutamente a caso e, spesso, di nazionalità – religione – età – cultura completamente diverse.  No donne. No vita sociale. No cinema. No birra con gli amici. No “ora stacco due giorni e mi rilasso“. Si potrebbe mai gestire una situazione tanto estrema senza una gerarchia ben precisa? Io sono convinto di no. Ma per capirlo e, soprattutto, per accettarlo, si deve entrare in quel mondo in punta di piedi, come ultima ruota del carro, occorre costruire lentamente delle sinapsi robuste e profonde, si deve capire e accettare. L’alternativa è saltare giù dalla giostra al primo porto, che è poi quello che succede a molte persone al primo imbarco.

- Il rapporto tra coloro che vivono in pochi metri quadrati 24 ore su 24 non può essere lo stesso che si viene a creare tra persone che si frequentano per sole 8 ore al giorno. L’importante concetto: “scegli saggiamente gli individui con cui arricchire la tua vita“, non ha possibilità di applicazione, e questo porta a “spaccati di esistenza”. Mi spiego meglio. A terra la vita gira a un ritmo più o meno costante, scandito dagli impegni lavorativi e da quelli famigliari. Le persone che l’arricchiscono (o la impoveriscono) sono sempre le stesse o cambiano lentamente nel tempo. Mi viene da pensare che la vita a terra scorre puntellata da equilibri che possiamo individuare nelle costanti e nelle certezze. Quella del marittimo si sviluppa, quanto meno, in due dimensioni: una nel contesto famigliare, dove spesso fatica a reinserirsi al termine di un imbarco e da cui poi fatica a staccarsi quando arriva il momento di ripartire; l’altra la ritrova a bordo (per circa otto mesi all’anno) dove l’ambiente cambia ogni volta e le costanti le àncora alla passione per il lavoro, alla solitudine, alla malinconia e all’egoismo in cui si rifugia per dare un senso a una routine che è umanamente difficile da accettare. Le parole “spaccati di esistenza”, quindi, intendono evidenziare come ogni periodo d’imbarco, caratterizzato da ingredienti sempre nuovi in un contesto sempre uguale, diventi un pezzo di vita a sé stante condiviso intensamente con persone che forse non si rivedranno più: ogni imbarco un ricordo circoscritto, un pezzo di vita che ha vita propria, quasi scollegata da quella vincolata tra la nascita e la morte.

Marittimo, così come per molti altri mestieri, lo si può diventare solo fino a una certa età. Età in cui le sinapsi non avranno ancora imposto i loro limiti.

Se si sarà già provato a lavorare a terra, se si sarà già conosciuta la possibilità di un rifugio cerebrale dai problemi quotidiani offerto da vite parallele (famiglia, amici, hobby, lavoro, ecc.), se si saranno già apprezzati i diritti e i vantaggi di una “gerarchia controllata, se la gelosia, la nostalgia, e mille altri validi motivi avranno già consolidato profonde sinapsi nel cervello, difficilmente si deciderà di accettare una vita in mezzo al mare, poco conosciuta, ancor meno considerata e, spesso, dimenticata (vedi elezioni politiche, diritti e protezione sociale, ministeri dedicati, garanzia di lavoro, titoli non riconosciuti, ecc.).

Quando i pensieri tendono a prendere questa direzione, mi viene in mente il titolo di un libro: “I vivi, i morti e i naviganti”. Parole che trasmettono l’idea di qualcosa che galleggia  immerso nella nebbia.

Viviamo in uno stivale che per 8000 chilometri è a contatto con il mare, eppure esiste ancora una netta separazione sociale tra chi lavora in un elemento e chi nell’altro.

Per pareggiare i conti della vita dei marittimi, lo Stato italiano deve fare ancora parecchia strada, dando magari un’occhiata a come viene trattato chi naviga sotto altre bandiere.

Ma, nonostante tutto, la nave è anche un rifugio.

Ho detto che la gerarchia è molto sentita, aggiungo che i ruoli, i doveri e i diritti sono ben definiti. I problemi sono quasi quotidiani, spesso indipendenti dalla volontà di qualcuno e il più delle volte legati agli elementi atmosferici, alle avarie, ai cambi di programma. Insomma, spesso si tratta di problemi pratici, risolvibili con la preparazione, la buona volontà e il rispetto delle competenze.

Il marittimo che diventa terrestre s’immerge in una burocrazia personale più profonda: scopre le scadenze, le bollette, le multe, e si accorge della differenza psicologica che passa tra la gestione della “cartaccia lavorativa” – dove si ha un tempo dedicato e previsto a cui ci si abitua – e quella in cui, non avendo più disponibili mesi liberi consecutivi, si rende necessaria una buona organizzazione del tempo. Realizza che non c’è più una seconda dimensione, che è svanita la possibilità di spostarsi in mare o a terra a seconda della convenienza.

Il gioco si fa più sottile, soprattutto se, prima di lasciare il mare, ha navigato per diversi anni.

I terrestri non sono pratici e semplici come i marittimi, per loro i problemi hanno molte facce e qualsiasi questione, a seconda di come viene guardata, ha più colori dell’arcobaleno. Il bianco e il nero, a cui era abituato chi navigava, hanno mutato di significato ampliando all’infinito le sfumature.

Tutto si complica. I rapporti con le persone, per esempio, diventano un mistero. A bordo, non cambiando l’ambiente e il contesto, in poco tempo i caratteri escono per quello che sono – non si può fingere – e di solito si raggiunge un equilibrio in tempi piuttosto brevi.

A terra l’umore e la personalità cambiano più volte al giorno, a seconda che ci si trovi in famiglia, al lavoro, tra amici: muta l’ambiente, il contesto, il ruolo e il modo di porsi, a volte, per cambiare, basta anche solo indossare o togliere la cravatta…

Ma stravolgere le abitudini è spesso una cosa positiva. Si deve uscire dalla zona di “comfort”, quella dove tutto è famigliare, rimettere in discussione gli automatismi creati nel cervello fino a quel momento, costruire nuove sinapsi e adattarsi al cambiamento.

Lo possono fare tutti?

Non credo. Ci vuole una certa predisposizione, la fortuna di capitare nell’ambiente giusto, una forte motivazione e l’elasticità necessaria a mettere in discussione le certezze create fino a quel momento.

Il marittimo che diventa terrestre è, in definitiva, il classico pesce fuor d’acqua e la velocità/possibilità di adattamento dipenderà, in buona misura, dal suo carattere e dalla famigliarità che sarà riuscito a conservare con l’ambiente solido.

Avrà comunque un modo di vedere le cose differente, che a volte sarà un pregio e altre un limite, ma che sicuramente aiuterà a riflettere.

Quando sei su una nave tra cielo e acqua sai a cosa devi stare attento: il mare non è amico di nessuno; a terra anche questo non è mai così chiaro.

 

JOHN GATTI

Rapallo, 5 Marzo 2018

 


HEDY LAMARR, ATTRICE E GENIO DELLE TELECOMUNICAZIONI

UN PO’ DI STORIA DEL CINEMA CHE POCHI SANNO

L’AFFASCINANTE STORIA DI

HEDY LAMARR

UN GENIO NELLA TELECOMUNICAZIONE

 

di Ernani Andreatta originale di Peter Dally di Sidney

Traduzione di Carlo Gatti ed Ernani Andreatta

Nel 1933, una bella, giovanissima austriaca si spogliò per un regista. Corse nei boschi, nuda. Nuotò in un lago, nuda. Andando ben oltre i costumi sociali dell’epoca.

Il più popolare film del 1933 fu King Kong. Ma tutti a Hollywood parlavano di quel film scandaloso con la giovane e vistosa signora austriaca.

Louis B. Mayer, dell’immenso studio MGN, affermò che essa era la donna più bella del mondo. Il film fu pubblicizzato praticamente dovunque, dove naturalmente poteva diventare popolare e apprezzato. Mussolini, secondo quel che si dice, rifiutò di vendere la sua copia per qualsiasi cifra…

La STAR del film, chiamata Ecstasy, era Hedwig Kiesler. Essa disse che il segreto della sua bellezza era: "Qualsiasi ragazza può apparire meravigliosa. Basta che stia ferma e sembri stupida".

In realtà, Kiesler era tutt’altro che stupida, anzi era un genio. Era figlia unica di un famoso banchiere ebreo ed era un genio matematico che eccelleva nelle scienze. Quando fu adulta diventò inossidabile usando tutto il potere che le potevano dare il suo corpo e la sua mente.

Tra i ruoli sexy da lei interpretati, recitò con la sua esuberante bellezza e la forza del suo intelletto, Kiesler avrebbe mandato in rovina gli uomini della sua vita inclusi due dei più inossidabili dittatori della  20th century, nonché uno dei maggiori produttori cinematografici della storia.

La sua bellezza la fece ricca per un po’ di tempo. Di lei si disse che guadagnò e spese 30 milioni di dollari.

Ma il suo vero talento risultò provenire dal suo intelletto e la sua invenzione continua a “disegnare” il mondo in cui oggi viviamo.

Vedi, questa giovane attricetta avrebbe preso da sotto il naso di Hitler, uno dei più preziosi diritti tecnologici mai sviluppati fino ad allora.

Dopo essere volata in America, non solo diventò la più famosa attrice di Hollywood, ma il suo nome comparve su uno dei più importanti Brevetti mai rilasciati dall’U.S. Patent Office.

Oggigiorno, quando usi il tuo cellulare, o quando sperimenterai nei prossimi cinque anni, in base alla tua esperienza di “super-fast wireless Internet access (tramite qualcosa che si chiama “long term evolution” oppure “LTE” technology), ebbene, sarà usata una estensione tecnologica concepita per la prima volta da una attrice di 20 anni mentre era a pranzo con Hitler.

In quel momento essa recitava Ecstasy, la Kiesler era sposata con uno dei più ricchi personaggi in Austria. Friedrich Mandl era un magnate dell’industria bellica che sarebbe diventato la chiave di volta dei rifornimenti bellici del nazismo.

Mandl usò la bellezza della sua giovane moglie da mostrare come pezzo forte in un importante pranzo d’affari con rappresentanti austriaci, italiani e forze fasciste tedesche. Uno dei temi principali in queste riunioni che includevano cene con Hitler e Mussolini, fu la tecnologia che riguardava il controllo radio dei missili e dei siluri.

Le armi telecomandate assicuravano un maggior raggio d’azione rispetto agli altri sistemi usati a quell’epoca.

La Kiesler partecipava a questi pranzi sembrando stupida mentre al contrario “assorbiva” tutto ciò che sentiva.


Essendo ebrea, Kiesler odiava i nazisti e detestava gli ambiziosi affari del marito. Mandl rispose alla sua capricciosa moglie imprigionandola nel suo castello, Schloss Schwarzenau.


Nel 1937 essa tentò la fuga. Drogò la sua domestica, le rubò i vestiti e sgusciò via dal castello, poi vendette i suoi gioielli per finanziarsi il viaggio verso Londra.

Fece giusto in tempo a scappare. Nel 1938, la Germania annesse l’Austria. I nazisti confiscarono la fabbrica di Mandl che era mezzo ebreo. Mandl volò in Brasile. Più tardi divenne il consigliere del presidente Juan Peron, icona del populismo.

A Londra, la Kiesler combinò un incontro con Louis B.Mayer con il quale firmò un contratto a lungo termine diventando una delle più famose STAR della MGM. Apparve in oltre 20 films diventando co-star di Clark Gable, Judy Garland e persino Bob Hope. In ciascuno dei suoi primi sette film fu considerata una bomba ad alto potenziale...per la risonanza riscontrata.

Ma la Kiesler, per combattere i nazisti, guardò più lontano e non soltanto interpretando film erotici. Raggiunto il massimo della sua fama, nel 1942 sviluppò un nuovo sistema di telecomunicazioni ottimizzando l’invio di messaggi in codice che non potevano essere decifrati. Mise in pratica un sistema-guida di siluri e bombe che erano in grado di raggiungere i loro obiettivi. Fu in grado di costruire un sistema per uccidere i nazisti.

Dagli anni 1940, sia i nazisti che gli alleati stavano usando una specie di singola frequenza per il controllo-radio che l’ex marito della Kiesler

aveva prodotto e venduto. Il ritiro di questa tecnologia permise al nemico di trovare la frequenza giusta per intercettare il segnale di guida del missile con interferenze adeguate.

La chiave innovativa di Kiesler consistette nel “cambiare canale”. Questo fu il modo di codificare un messaggio attraverso una banda larga nello spettro delle trasmissioni radio. Se una parte dello spettro subiva interferenze, il messaggio riusciva a passare comunque attraverso le altre frequenze usate nello stesso canale.

Ma c’era un problema: la Kiesler non riusciva a capire come poter sincronizzare il cambio di frequenze su entrambi il ricevitore e il trasmettitore. Per risolvere il problema si rivolse al primo tecno-musicista al mondo: George Anthiel.

Anthiel era un conoscente della Kiesler che acquisì una certa notorietà per la creazione di complesse composizioni. Egli sincronizzava le sue melodie attraverso 12 pianisti producendo suoni stereofonici che nessuno aveva mai ascoltato prima. La Kiesler assimilò la tecnologia per sincronizzare il suo. Poi fu in grado di sincronizzare i cambi di frequenza tra il ricevitore dell’arma ed il suo trasmettitore.

L’11 agosto 1942 fu assegnata la PATENT N° 2,292,387 ad “Anthiel e a Hedy Kiesler Markey”, che era il cognome del marito di quel momento.

La maggior parte di voi non riconoscerebbe il nome Kiesler. E nessuno ricorderebbe il nome Hedy Markey. Ma é una facile scommessa, per chiunque di una certa età che legge questa lettera, ricordare una delle più grandi bellezze dell’epoca d’oro di Hollywood, Hedy Lamarr. Il nome che il regista Louis B. Mayer diede alla sua preziosa attrice. Quel nome che la Compagnia cinematografica rese famoso.


Mentre quasi nessuno conosce Hedwig Kiesler,  Hedy Lamarr,  fu una delle pioniere delle radiotelecomunicazioni. La sua tecnologia fu sviluppata dalla Marina degli USA che la usa fin d’allora.

In questo momento tutti noi stiamo probabilmente usando la Tecnologia Lamarr. Il suo Brevetto é situato presso la “Spread Spectrum Technology”, che usiamo ogni giorno quando ci colleghiamo  alla rete wi-fi o facciamo  delle chiamate con il cellulare abilitato Bluetooth.

Hedy Lamarr è nel cuore di tutti i massicci investimenti nella cosidetta quarta generazione “LTE” (Long Term Evolution) cioè l’evoluzione a lungo termine di queste tecnologie della comunicazione senza fili. La prossima generazione di telefoni cellulari  o di ripetitori di cellulari, sicuramente genereranno un enorme ed esponenziale aumento sulla qualità e velocità delle reti di  trasmissione diffondendo i segnali senza fili attraverso l’intero spettro disponibile. Questa specie di “decodifica” è possibile soltanto usando quel tipo di commutazione di frequenza che “Hedwig Kiesler”, al secolo la bellissima  “Hedy Lamarr”  inventò.

Ed ora sappiamo il resto della storia!

Memory di Ernani Andreatta:

Ed io personalmente ricordo benissimo questa bellissima e affascinante attrice che era HEDY LAMARR nei film proiettati al Teatro Cantero di Chiavari.

 

 

Rapallo, 12 luglio 2018

 


I POSTINI DEL MARE

I POSTINI DEL MARE

Il biglietto da visita “ecumenico” dei frati cattolici del monastero delle Isole Shetland è, paradossalmente, rappresentato da una rustica targa di legno che riporta una frase pronunciata da un famoso tedesco luterano, ed è in bella vista per chi approda alla darsena dello scoglio.

“L’Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il Cristianesimo” J.W.Goethe

I Frati e la Posta

Le malelingue esistono dalla notte dei tempi, ma stranamente ristagnano sulla terraferma e mai sul mare, dove la solidarietà è più praticata che promessa. I naviganti adorano quei dodici frati che gli indicano sempre la via di casa; ma tanto affetto risale anche ad una vecchia pratica che si perde nei ricordi più remoti dei marinai della vela e che ora vi raccontiamo.

Se il tempo è sereno, il veliero in arrivo dall’America avvista la scopa luminosa del faro a moltissime miglia di distanza e s’avvicina bordeggiando a cuor leggero verso quella magica luce bianca. Nell’attesa dell’alba, temporeggia navigando a spirale per capire il giro del vento e della corrente intorno al Monastero, evitando con maestria d’incagliare sulle sue secche. Infine ammaina la lancia che, cautamente, dirige verso la piccola darsena. Da questo momento, a bordo, iniziano a battere le campane e se il vento allontana i rintocchi, sparano qualche colpo di falconetto (cannoncino di piccolo calibro) per attirare l’attenzione. I frati rispondono con i gravi rintocchi delle grosse campane che spuntano da ciascun lato del campanile, poco al disotto della lanterna. Suonano a festa in segno di saluto. I marinai s’arrampicano sulle sartie cantando inni di gioia e rimangono a lungo con le gambe divaricate sui marciapiedi dei pennoni, aggrappati alle vele gonfie di vento. In questa cornice di pura poesia, comincia il rito della posta. Quando il montacarichi scende dalla rupe, s’avvicina il momento più atteso dall’equipaggio del veliero e l’ansia si trasforma in autentica felicità. I frati consegnano le lettere al capo-barca e ritirano la posta dei marinai da spedire alle famiglie.

Ma La scialuppa non viaggia mai vuota verso il faro...

Gli equipaggi dei velieri che solcano abitualmente queste latitudini difficili, sono molto generosi e considerano quei frati come gli avamposti delle loro famiglie che sperano di vedere al più presto.

Dei religiosi conoscono nomi, abitudini, gusti, punti deboli e ben sanno quanto un po’ di tabacco, una torta fresca ed una bottiglia di Rhum, siano graditi al Convento, che non lesina benedizioni, preghiere e qualche canto gregoriano che, si sa, sono un po’ difficili da imparare...

Il servizio che i Carmelitani prestano come faristi, non è retribuito con denaro, ma il Comune da cui dipendono, invia loro, settimanalmente, l’occorrente per sopravvivere e curarsi, e con lo stesso cutter che li collega alla terraferma, l’Ufficio Postale spedisce al Frate Guardiano la posta destinata agli equipaggi dei velieri. Persino i grandi e piccoli armatori approfittano della loro disponibilità per consegnare le istruzioni del viaggio ai loro comandanti: porti di destinazione, noli, tipi di carico, cambio equipaggio, rifornimenti ecc…


Navigare necesse est... ma a volte ne vale la pena!

Per chi proviene dal largo, il faro-Monastero appare come una nave vista di prora, che al posto del Jack(l’asta della bandiera sulla prua) mostra il faro che, a sua volta, sembra un minareto ai mussulmani ed un campanile ai cristiani; insomma, è un esempio architettonico di sincretismo religioso, una costruzione sui generis, che offre un misto di sacro e profano, che non è arte pura, ma è sicuramente funzionale, e per chi giunge ai suoi piedi all’alba oppure al tramonto, ricorda un rosso palcoscenico dove si esibisce un Illustre Mago disceso dall’alto e venuto da lontano.

Carlo GATTI

 

IL SERVIZIO POSTALE (dei volontari) NELLO STRETTO DI MESSINA

 

Il nostro amico Comandante Nunzio Catena ha dei ricordi vivissimi di quando transitava lo Stretto di Messina ed entrava in contatto con

I POSTINI DEL MARE

Di recente Nunzio ha scoperto un bellissimo articolo apparso su:

FAMIGLIA CRISTIANA

firmato da Franca Zambonini che vi segnalo.

A cura di Carlo Gatti e Nunzio Catena

Rapallo,  5 Marzo 2018

 

 


ATTENTI A QUEI DUE...!

ATTENTI A QUEI DUE.....!

Il motto era: " Sempre amici anche in tempo di guerra..."

Era il 1958, frequentavamo il IV Nautico Macchinisti. Un pomeriggio, in occasione di un ricevimento delle famiglie, si sono incontrati mio padre e la madre di Terrenzio. A quel tempo, si rientrava quasi tutti i giorni a scuola di pomeriggio e quindi per mangiare, a pranzo, si andava avanti a forza di panini, sempre se non li avevi finiti prima… Parlando di questo disagio, i due genitori pensarono di farci mangiare almeno due volte la settimana al Ristorante: l'unico di Ortona, sito a metà della via principale, il Corso, di ottima qualità.

Ortona - Il corso

Approfittarono così per parlare subito con il proprietario. Queste erano le condizioni: il pranzo normale costava 600 Lire, una cifra importante all’epoca, ma siccome noi non avremmo preso vino e caffè e siccome si trattava di un abbonamento, si pattuì per 500Lire a Pranzo. I clienti erano pochi: un commesso di stoffe che periodicamente si fermava ad Ortona e un nostro Insegnante, ex Uff.le di Marina, single, proprietario di una fornace ai Saraceni. Questo per inquadrare la quasi esclusività del locale. In precedenza, andavamo qualche volta dai genitori di un nostro compagno di classe, Mariani, i quali gestivano una cantina e, quando cucinavano qualche piatto per loro che a noi andava bene, ci univamo alla famiglia. Ricordo, per esempio, dell'ottima pasta e piselli. Trionfavano gli odori di vino e tabacco. Tutto era avvolto in fitta una penombra dovuta alle volte del locale che erano 'a cielo di carrozza'. Per intenderci, si mangiava con sole 120 Lire.

Da destra: Nunzio, Terrenzio, e "Porcellino"

Le prime settimane andammo regolarmente al ristorante e molte persone restavano stupite di questo trattamento che avevamo.., eravamo considerati  miliardari!   Ma in uno di quei giorni in cui quando suonava la sirena ed eravamo già un po’ lontani c'era il rito di posare la borsa per terra e, con tutta calma, fare il gesto 'dell'ombrello', arrivavamo sotto il faro  alla testata del porto, dove a volte ragionavamo sui 'massimi sistemi', ci chiedemmo se era il caso di continuare a spendere tutti quei soldi 'inutilmente'. In effetti avevamo anche altre spese vive giornaliere come le sigarette, qualche  rivista il giovedì, e altro tenuto conto che la legge Merlin non era ancora in vigore. Si convenne allora di rallentare la frequenza al ristorante per disporre di moneta 'frusciante'.

Solo che un giorno, mio padre, mentre andava alla Banca sita nei pressi del ristorante, vide la proprietaria sulla porta e si fermò. Dopo averla salutata, chiese dei ragazzi e del loro comportamento. La Signora rispose la verità: "veramente in questo ultimo periodo li stiamo vedendo poco, forse non sono contenti del trattamento!" al che mio padre rispose: "Signora, mi faccia la gentilezza, lei prenda un quadernino, quando viene mio figlio a pranzo, gli faccia apporre la propria firma e poi quando passo io, regoleremo il conto, se vuole, le anticipo i soldi."  “Va benissimo! Ossequi.”

Quando tornai la sera a casa, mio padre al solito, non disse nulla, solo: "Quando vai al ristorante, non serve dare i soldi. Metti solo una firma sul quaderno che ti porge la Signora.” Cazzo, ci aveva fregato! E la faccia di mio padre non mi piaceva affatto…

Ore 7.00 del mattino successivo. Monto sull'Auto Forlini, posto riservato da Terrenzio: rimorchio, sedili davanti, carte già mischiate, le mie tre già pronte, allegria di sempre… Arrivo, guardo il mio amico con una faccia veramente diversa e lui: "ca success frà??"

E io: "che t'a vist Sciannapupa?", soprannome affibbiato a un professore perché il poveretto quando   camminava ondeggiando a destra e sinistra sembrava uno che culla un bambino.

"No pecchè oggi avem da parlà!" il prof. Nominato viaggiava con lo stesso nostro auto e quel giorno, martedì, avevamo compito in classe!!! Quel giorno non si giocò a carte.


Veduta aerea del porto di Ortona

Arrivati a Ortona, prendemmo la solita via del porto, ma in un angosciante silenzio. Arrivammo sotto il faro, accesa la sigaretta, si inizia con la relazione del fatto e la discussione sui provvedimenti da prendere. Alla fine si decide di parlare con la Signora in questi termini: "Causa cambiate condizioni economiche del mio amico figlio di commercianti, e lei può ben capire i manrovesci della fortuna, verremo a mangiare in due. Io metterò la firma e lei ci darà due primi. Poi lei vedrà se è possibile un solo secondo ed eventualmente la somma da integrare volta per volta. Se le va bene è così, altrimenti io non verrò più perché non posso lasciare un amico fraterno con un panino mentre io me la scialo al ristorante!!!”

All'ora di pranzo, ci presentiamo al ristorante ed esponiamo il problema alla Signora, la quale solo a vedere la faccia di circostanza di Terrenzio, disse: "Ma si, non vi preoccupate, va bene così.., purtroppo il commercio è così.." Neanche a farlo apposta il Ristorante si chiamava per l’appunto  "Il Commercio"...

Nunzio a sinistra e Terrenzio con la gambetta ...

Era fatta! Avevamo contante sufficiente per tutto. Potevamo fare anche qualche opera di bene a qualche amico e abbiamo potuto constatare che non sempre a fare del bene se ne riceve altrettanto.

Il giovedì pomeriggio, spesso durante le ore di officina, con la complicità del buon 'Bob', dopo l'appello, uscivamo dalla finestra per andare a vedere la Rivista. Portavamo con noi, spesso, Vittorio Bisignani, con il quale conservo tutt’oggi un contratto stipulato su carta igienica, in cui si impegnava a portare i libri tutti i giorni per lire 50 al mese. Quando eravamo davanti al cinema, noi gli dicevamo: "Dai Vittò, n'nte preoccupà: ce stà la polvere!" e lui era un po’ restio dicendo: "ma mo' pecchè avet da paà vu!"... "E dai!” lo prendevamo per un braccio e lo portavamo dentro!"


Avevamo dimenticato che proprio dirimpetto a noi, a 20 mt. di distanza, da dietro la tendina, DON ANTONIO ci osservava. Era il nostro Insegnante di Religione, il quale abitava lì e credeva che Vittorio non volesse cadere in tentazione. Quindi risultava che noi lo inducessimo al peccato. Così, quando entrava in aula, con i suoi giri di parole ci faceva sempre capire che eravamo dei degenerati…

E poi vai a fidarti di fare del bene!!!

Nunzio CATENA

Rapallo, 8 Febbraio 2018



PITTORI DI MARINA - WILLIAM LIONEL WYLLIE - SS TEUTONIC

 

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

 

LA QUADRERIA DE “IL MARE”

WILLIAM LIONEL WYLLIE

SS TEUTONIC

Con questo olio su tela di William Lionel Wyllie (Londra, 1851 - Londra, 1931) le navi a vapore diventano per la prima volta protagoniste di questa rubrica di pittura di marina del nostro mensile.

L’autore può forse essere considerato il più significativo esponente di quella scuola che, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, dette i natali a un gran numero di pittori di marina giustamente celebrati per aver saputo interpretare al meglio, con la loro arte, un momento irripetibile della storia navale britannica: l’apogeo di un Impero che, nei traffici commerciali e nello sviluppo della marina mercantile da un lato e nella potenza della Royal Navy dall’altro, seppe esprimere al meglio una “marittimità” ineguagliata negli ultimi tre secoli della storia mondiale.

William Lionel Wyllie, dopo un inizio di carriera non scevro di difficoltà e di alcuni insuccessi (che lo portarono anche a considerare di abbandonare il campo artistico per intraprendere la carriera di ufficiale della marina mercantile), iniziò a vedere valorizzate le sue opere dalla Royal Academy e da altre istituzioni culturali britanniche, diventando membro della celebre Society of British Artists già nel 1875.


Da allora, la sua produzione nel campo della pittura di marina fu sempre più apprezzata in patria e all’estero, e nel 1889 fu infine nominato membro associato della Royal Academy.


Al di là della sua produzione artistica, Wyllie sostenne sempre le istanze tese alla valorizzazione storica del passato navale britannico: fu tra i maggiori sostenitori del re- stauro della HMS Victory, già nave ammiraglia di Nelson alla battaglia di Trafalgar, nonché socio fondatore dell’importante Society for Nautical Research, istituzione attiva ancora ai nostri giorni il cui organo è l’autorevole periodico “The Mariner’s Mirror”.

Nel 1930, poco prima della sua scomparsa, completò una grande tela raffigurante la battaglia di Trafalgar per il Museo dell’Arsenale di Portsmouth, inaugurata alla presenza del re Giorgio V.

L’olio su tela che qui presentiamo (da sempre esposto al National Maritime Museum di Greenwich) risale all’ultimo decennio del secolo XIX e raffigura il “liner” Teutonic in uscita dal porto di Liverpool - dopo essere stato costruito dai cantieri Harland & Wolff di Belfast - per il suo viaggio transatlantico inaugurale che ebbe inizio il 7 agosto 1889.

L’impianto generale e l’impostazione artistica del quadro sono tipici della preparazione tecnica e delle conoscenze marinaresche di un autore che, in tutte le sue opere, ha spesso saputo abbinare l’uso di colori tenui e sfumati ad una considerevole precisione nella rappresentazione di dettagli di scafi e attrezzature senza - però - mai dimenticare il contesto paesaggistico e il “bilanciamento” generale nella rappresentazione di velieri, barche da pesca, navi da guerra o “vapori”, come è per l’appunto il caso del Teutonic.

Nel quadro, il Teutonic esce maestosamente dall’avamporto di Liverpool e, tra le tante qualità di quest’opera, va rilevata la “profondità prospettica” su ben quattro piani individuati - rispettivamente - dalle barche e dalla chiatta in primo piano in basso a destra, dalla barca a vela sulla sinistra del Teutonic verso poppavia (elemento minimo, ma fondamentale per accentuare la profondità della visuale), dal Teutonic medesimo e, infine, dai dettagli sfumati della città e del porto di Liverpool sullo sfondo.

Il Teutonic e il gemello Majestic, immessi in servizio dalla White Star Line tra il 1887 e il 1889, furono non soltanto navi passeggeri lussuose e veloci (20 nodi di velocità massima), ma vennero progettati e costruiti per essere convertiti - in caso di necessità - in navi trasporto truppe e incrociatori ausiliari.

Il Teutonic, in particolare, fu impiegato come trasporto truppe nel 1900 in occasione della Guerra contro i Boeri e - tra il1914 e il 1918, armato con cannoni da 152 mm - fu utilizzato come incrociatore ausiliario inquadrato nel 10th Cruiser Squadron della Royal Navy.

 

Al termine del conflitto il Teutonic non riprese la sua attività di piroscafo di linea e, essendo ormai disponibili unità più grandi e veloci, fu demolito a Emden (Germania) nel 1921.

Maurizio BRESCIA

Direttore del Mensile           

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 27 Dicembre 2018


PITTORI DI MARINA - EL ULTIMO COMBATE DEL GLORIOSO

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

LA QUADRERIA DEL "MARE"

AUGUSTO FERRER-DALMAU

EL ULTIMO COMBATE DEL GLORIOSO


La pittura di marina, per la buona sorte di tutti i suoi appassionati e cultori, non è un genere artistico che appartiene soltanto al passato: al contrario, non sono pochi i pittori contemporanei che si dedicano ad essa, spesso con risultati di assoluta qualità che ben poco hanno da invidiare a quadri realizzati nei secoli scorsi.

È sicuramente questo il caso della recentissima opera dell’artista spagnolo Augusto Ferrer-Dalmau che, in collaborazione con l’accademico e storico navale Arturo Pérez Reverte, nel 2014 ha realizzato per il Museo Navale di Madrid un grande olio su tela (cm 190 x 170) di notevole qualità, riferito all’ultimo combattimento del “due ponti” spagnolo da 70 cannoni Glorioso, nell’impari scontro del 17 ottobre 1747 al largo di Cabo San Vicente, con quattro fregate britanniche (HMSs King George, Prince Frederick, Princess Amelia e Duke) al comando del commodoro George Walker.

La vicenda va inquadrata nella cosiddetta “Guerra dell’Asiento”, nel corso della quale le Marine britannica e spagnola si scontrarono più volte per il predominio nell’Atlantico e nei Caraibi, nell’ambito della ben più vasta Guerra di Successione austriaca (1740-1748). Un conflitto, quest’ultimo - che, oltre a sancire con la pace di Aquisgrana la conclusione del ciclo imperiale degli Asburgo - vide contrapposte due coalizioni che, neppur poi tanto sorprendentemente, replicavano a grandi linee quelli che sarebbero stati gli schieramenti politico-militari del periodo napoleonico.

Precedentemente al combattimento del 17 ottobre 1747 (al termine del quale il Glorioso - disalberato e con numerosi morti e feriti a bordo - si arrese, non prima di aver affondato la fregata HMS Dartmouth nel frattempo giunta a dare manforte alle altre unità britanniche), il “due ponti” spagnolo, al comando di Don Pedro Mesia del la Cerda, a luglio e ad agosto aveva sostenuto due vittoriosi combattimenti contro la Royal Navy: il primo nella zona delle Isole Azzorre e il secondo fuori Capo Finisterre.

Questo quadro di Augusto Ferrer-Dalmau abbina le caratteristiche di “classici” combattimenti navali presenti nei lavori di pittori del Settecento e dell’Ottocento ad una cura del dettaglio di scafi e attrezzature veliche che troviamo in opere della più diversa natura dai Van Der Welde, a Buttersworth e ad autori anche più recenti.

Presentiamo quindi due immagini, al fine di meglio valutare un soggetto trattato con rara accuratezza: una vista d’insieme del dipinto e il dettaglio centrale del Glorioso, ormai semidistrutto, quasi al termine del combattimento. Nella raffigurazione generale sono visibili le unità britanniche che attorniano il Glorioso, anch’esse in parte danneggiate dal tiro della nave spagnola; il dettaglio del Glorioso, poi, consente di apprezzare la cura quasi certosina posta dal Ferrer-Dalmau nel raffigurare la nave spagnola con i danni causati dai colpi nemici sulle murate, l’alberatura ormai smantellata, la bandiera navale che sventola ancora a riva e - soprattutto - gli innumerevoli uomini dell’equipaggio ritratti in pose dinamiche, del tutto realistiche e per nulla “di maniera”.

Un quadro, quindi, realmente bello, accurato, di grande impatto emozionale e tale da reggere il confronto (se non addirittura di risultare superiore) con le giustamente rinomate opere del celebre pittore di marina britannico Geoff Hunt, noto - in particolare - per aver realizzato i quadri utilizzati come copertine di numerosi romanzi della saga di Horatio Hornblower dello scrittore C.S. Forester.

Maurizio BRESCIA

Direttore del Mensile           

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

 

Rapallo, 20 Dicembre 2018


PITTORI DI MARINA - J.W.M. Turner, “The Fighting Temeraire”

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

LA QUADRERIA DE “IL MARE”

J.W.M. Turner, “The Fighting Temeraire”

Il Temeraire, un vascello a tre ponti della Royal Navy, venne varato nel 1798 all’arsenale di Chatham e faceva parte di una classe di quattro unità; fu presente alla battaglia di Trafalgar del 21 ottobre 1805.

Ci troviamo di fronte ad uno dei più celebri dipinti di marina anche se, in questo partico- lare caso, parlare di uno specifico ambito “di genere” è quanto meno riduttivo in ragione – come vedremo brevemente – dei numerosi significati e della valenza artistica del- l’opera, che va vista e studiata in considerazione della rilevanza dell’autore nel più vasto campo dell’arte pittorica britannica a cavallo tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Joseph Mallord William Turner (1775-1881), generalmente noto come J.W.M. Turner, è stato un pittore britannico preminente e significativo che, più di tanti artisti coevi, ha saputo coniugare le tematiche della pittura di marina con le istanze innovative e introspettive che hanno caratterizzato tutta l’arte europea (e, quindi, non soltanto il settore figurativo) nel pieno del periodo del romanticismo.

Le sue opere, quasi tutte olii su tela, vennero riconosciute come originate da un indiscusso talento già nei primi anni della sua attività artistica, e la fama di Turner – da allora – è sempre stata continua e riconosciuta non soltanto in Gran Bretagna ma anche all’estero: oggi numerose sue opere sono esposte nei principali musei e gallerie britannici ed eu- ropei, con la National Gallery di Londra e il National Maritime Museum di Greenwich fortunati possessori di molti suoi quadri, parecchi dei quali riconducibili al settore navale e a quello storico più in generale.

L’opera che oggi presentiamo raffigura un momento sempre triste per una nave: il rimorchio verso il cantiere di demolizione, al termine di una carriera spesso importante e ricca di avvenimenti ma inevitabilmente destinata, come la stessa vita umana, ad

un’ineluttabile conclusione: il titolo completo del quadro è, difatti, The Fighting Temeraire tugged to her last berth to be broken up, 1838, titolo che richiama, per l’appunto, gli ultimi momenti di vita di questa gloriosa unità.

Il Temeraire, un vascello a tre ponti della Royal Navy, venne varato nel 1798 all’arsenale di Chatham e faceva parte di una classe di quattro unità (con Neptune, Ocean e Dreadnought); fu presente alla battaglia di Trafalgar del 21 ottobre 1805 come seconda unità della linea di fila al comando dell’ammiraglio Horatio Nelson (sulla HMS Victory), e si distinse coadiuvando quest’ultima nel combattimento con il “tre ponti” francese Redoutable e catturando il similare Fouguex.

Come per tutte le navi, giunse però anche per il Temeraire il tempo della radiazione (1838), e il quadro di Turner raffigura proprio questo momento, con un rimorchiatore a vapore che traina l’ormai obsoleto vascello verso il cantiere di demolizione.

Le caratteristiche pittoriche dell’opera, con gli “sfumati” e i particolari appena accennati tipici di Turner, conferiscono all’insieme un melanconico sapore romantico, permeato dalla triste consapevolezza del trascorrere del tempo, con il passato sostituito dalla modernità che – spesso – non è in grado di ripeterne l’appeal emotivo, l’intimismo e la propensione per la cultura e la bellezza.

Infatti, il vascello Temeraire si trova in secondo piano delicatamente illuminato dalla luce del tramonto, mentre il rimorchiatore in primo piano è scuro (quasi nero!) e i maggior dettagli che lo contraddistinguono stanno quasi a rappresentare l’oggi che soppianta i giorni passati, dei quali a breve resterà soltanto il ricordo.

Il Fighting Temeraire è stato al centro, nel 1995, di una mostra ad esso dedicata proprio dalla National Gallery di Londra, che ha visto esposte numerose altre opere di Turner riferite alla storia navale britannica (e alla battaglia di Trafalgar in particolare), modelli, strumenti nautici e numerosi documenti originali dell’epoca. Chi scrive queste note ha avuto la fortuna di visitare, all’epoca, quell’eccezionale evento artistico (arricchito, tra l’altro, da uno splendido catalogo dovuto alla storica dell’arte Judy Edgerton): è quindi con grande piacere che presentiamo oggi ai lettori de “Il Mare” The Fighting Temeraire nella consapevolezza di trovarci di fronte ad uno dei “quadri di marina” destinati a fama imperitura e ad un’ampia conoscenza tra studiosi, critici e semplici appassionati di ogni tempo e paese.

Maurizio BRESCIA

Direttore del mensile  

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

Rapallo,10 Dicembre 2018

 


IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA IN VISITA ALLA CITTADELLA DI ALESSANDRIA AL MUSEO DEL MARE DI TORTONA

 

IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA IN VISITA

ALLA CITTADELLA DI ALESSANDRIA

AL MUSEO DEL MARE DI TORTONA

 

Il Comandante Carlo GATTI dell'Associazione Mare Nostrum Rapallo INTERVISTA il Comandante Ernani ANDREATTA, Fondatore e Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.

 

Comandante Ernani Andreatta, quale Fondatore e Curatore di uno dei più importanti Musei Marinari d’Italia, quello di Chiavari, sito presso la Scuola delle Telecomunicazioni delle Forze Armate  non pensava di trovare nel basso Piemonte tanta marineria, nascosta anch’essa tra le mura di una Cittadella militare?


E’ vero! Io ed i miei collaboratori siamo rimasti favorevolmente impressionati sia dal sito che dai suoi contenuti marinareschi di eccelso valore.

Estesa per circa 60 ettari, la Cittadella (nella foto) si trova a nord-ovest della città, sulla sponda sinistra del Tanaro, e occupa l’area su cui sorgeva l’antico quartiere di Bergoglio. Voluta dai Savoia e progettata da Ignazio Bertola nel 1732 con una pianta a stella unica nel suo genere, è la sola fortezza europea ancora oggi inserita nel suo contesto ambientale originario. Il complesso militare immenso ospitava 3.000 militari.

Utilizzata con funzione difensiva durante l’intero arco della sua esistenza, nel 2007 è ufficialmente dismessa dal Ministero della Difesa, passando di proprietà all’Agenzia del Demanio. Attualmente l’intero complesso versa in condizioni a dir poco disastrose: la mancanza di una manutenzione costante ha permesso la diffusione di una pianta invasiva di origine orientale chiamata “ailanto” che poco alla volta sta sbriciolando i fabbricati. Le sue radici, infatti, insinuandosi in profondità tra i coppi e nella malta tra i mattoni, hanno prodotto seri danni alle strutture.

 

 

Il 14 marzo 2016 Riccardo Levi scriveva: “… fa ben sperare la recente consegna (l’8 febbraio scorso) in uso governativo da parte del Demanio alla Soprintendenza, dopo la richiesta del Segretariato generale del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo. Si spera così che possa presto prendere il via il pieno recupero di un luogo che rappresenta un elemento di eccellenza nel patrimonio culturale piemontese e nazionale”.


Oggi alla Cittadella di Alessandria si può visitare:

Da Marconi al Futuro: Museo sulla storia della Comunicazione Radio-TV della telecomunicazione.


Radioricevitore usato da Guglielmo Marconi nella PRIMA TRASMISSIONE fatta a Bologna nella villa GRIFFONE


Il Museo é stato Costituito per il Fai da Claudio Gilardenghi

Esiste un padiglione-simbolo del Museo che l’ha più colpito?

Il Museo contiene circa 800 apparati e racconta tutta la storia della Comunicazione dall'inizio ai giorni nostri. Rilievo particolare viene dato a Marconi, tutti i suoi strumenti sono presenti e funzionanti in un percorso didattico ed emozionale incredibilmente importante e preciso, un approfondimento particolare ha la comunicazione militare sia terrestre che navale. All’interno del museo è presente una copia della cabina del Titanic progettata da Marconi in grado di far rivivere attraverso un manichino animato e un lavoro d'ingegneria straordinario tutte le attività di comunicazione intraprese prima e dopo l’impatto con l’iceberg. La cabina, unica al mondo, è stata più volte richiesta dalle università italiane a scopo didattico. Sono anche presenti parte degli strumenti di Tesla e Van Der Graaf. Un settore importante è dedicato alla radio Imca, vera eccellenza alessandrina e mondiale.

Voglio precisare che il nostro gruppo formato: dal sottoscritto, da mia moglie Simonetta, dal Comandante Nino Casaretto con la moglie signora Raffaella, dai miei principali collaboratori del Museo Giancarlo e Paola Boaretto, era accompagnato da uno specialista che ci ha fatto da guida, si tratta di un socio AIRE (Associazione Italiana Radio d’Epoca) Bruno Lusuriello esperto nel mondo della Radio Comunicazione accompagnato dalla moglie e dalla figlia minore.

Avete così potuto apprezzare alcune particolari applicazioni RADIO di Guglielmo Marconi?

Abbiamo visto cose straordinarie come il rifacimento - funzionante - della Stazione Radio del TITANIC con il surreale affondamento per l’urto nel famoso iceberg. Abbiamo visto funzionare tutte le basilari apparecchiature che Marconi aveva poi applicato ai suoi studi riuscendo così a inviare i suoi famosi messaggi oltre Atlantico. Al signor Claudio Girardenghi che ha ricostruito tutte queste primordiali apparecchiature dovrebbero dargli il NOBEL PER LA FISICA o per non so che cosa …..

Ma la giornata in Piemonte é continuata con la visita di un altro MUSEO molto speciale per il vostro gruppo di esperti:

Ecco alcune foto del Museo della Cittadella di Alessandria





Donazione del CREST del Museo Marinaro di Chiavari da parte del Comandante Ernani Andreatta al Direttore del Museo della Comunicazione Andrea Ferrero Capogruppo AIRE. A sinistra Claudio Girardenghi Curatore e costruttore di quasi tutte le apparecchiature esposte. Era presente altresì, come guida al Museo della Comunicazione, Claudio Girivetto socio AIRE e già Curatore del Museo RAI di Torino.

 

Per ascoltare storie di mare e di marinai non serve arrivare sulla costa, ma basta fermarsi molto prima, nella città di Tortona, che nel suo centro storico ospita il Museo del Mare. Ma cosa ci fanno dei marinai a Tortona?


Ma cosa ci fanno dei marinai a Tortona? Lo spiegano, all’inizio di questo affascinante viaggio, il Presidente del Museo Francesco Montobbio e il Comandante Franco Pernigotti. All’epoca della Seconda guerra mondiale, nel tortonese, le fiorenti aziende metalmeccaniche (come la Orsi, la Cmt e la Graziano) fornivano la marina militare di giovani operai esperti (siluristi, motoristi, ecc.) e così molti tortonesi fecero la “leva di mare”, prima a La Spezia o a Taranto, poi nelle acque del Mediterraneo. Di ritorno dalla leva, questi ragazzi, che nel frattempo si erano ulteriormente specializzati “sul campo”, impiegavano le proprie conoscenze anche nel lavoro civile.


Da questo legame fra Tortona e il mare nel 2004 è nata l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (A.n.m.i.) “Lorenzo Bezzi” - Gruppo di Tortona che in questa città ha realizzato nel 2006 il Monumento ai Caduti del Mare e nel giugno 2010 il Museo del Mare. A questo luogo, ricavato dai locali messi a disposizione dal Comune di Tortona, i marinai sono molto affezionati, perché raccoglie ricordi e reperti donati da generazioni di tortonesi
All’ingresso del museo campeggia una parete colma di crest, i tappi di volata dei cannoni, diventati poi stemmi delle navi. Quello del Gruppo Bezzi contiene il simbolo della città di Tortona, quello della Marina e delle Repubbliche Marinare ed è dominato al centro dalla figura del delfino, simbolo dei sommergibilisti come lo era il capitano Bezzi
che hanno combattuto per la libertà della patria, alcuni di loro pagandola con la vita.

Ci parli della vera peculiarità, del CUORE STORICO di questo Museo.

Il Museo del Mare di TORTONA (con un passato di grandi Marinai) è anche depositario di tutti i reperti della Spedizione al polo Nord del Duca degli Abruzzi nel 1899-1900 che partì con la nave Stella Polare da La Spezia (La Spezia? … qualcuno addrizzerà le orecchie). Non raggiunse il POLO ma la latitudine di 86° 33’ 49” Nord. Il Museo di Tortona ha moltissimi reperti di questa straordinaria spedizione compreso tutta la farmacia al completo.

Non pensa che i due Musei da voi visitati ed entusiasticamente descritti debbano essere maggiormente reclamizzati? Magari anche attraverso il nostro benemerito sito di MARE NOSTRUM RAPALLO?

Certamente! Lei ha perfettamente ragione! Io ritengo che poche persone, anche nel nostro CONTESTO  MARINARO, siano a conoscenza di questi due eccellenti PATRIMONI nazionali. Per lo più la gente pensa a Tortona come una cittadina agricola del Nord – oppure alla patria del grande Tortonese nato a Castellaneta: FAUSTO COPPI, mentre la città ha una grande passato di marinai, e oggi sono riportati alla luce da un gruppo di appassionati (ex Marina Mercantile e Militare) che sta facendo conoscere al “mondo”.

Per concludere, cosa l’ha più impressionato di questi PIEMONTESI con le mani nella terra, ma con il cuore immerso nel nostro MARE?

Una cosa mi ha consolato. Entrambi questi musei si fondano soltanto sul lavoro dei soci e non hanno mai ricevuto nessun contributo da istituzioni varie. Niente da nessuno!!! Il riferimento al Museo Marinaro di Chiavari è puramente casuale!!?? ….. Però sono ospitati in sedi totalmente inutilizzate civili o militari.



La sala centrale contiene alcuni pezzi forti: la strumentazione per comunicare, tra cui un telegrafo di macchina russo; le cartoline delle “madrine di guerra”, giovani ragazze di buona famiglia che tenevano rapporti epistolari con i marinai impegnati al fronte; l’Enigma, macchina crittografica utilizzata dalla marina militare tedesca nel secondo conflitto mondiale; i dettagliatissimi diari di bordo del guardiamarina Fausto Remotti che presto diventeranno un libro; persino alcuni documenti firmati da D’Annunzio durante l’occupazione di Fiume.


Regia Nave ROMA


Sono tanti i modellini di navi celebri da ammirare, come quello della nave scuola “Amerigo Vespucci” e quello della “Regia Nave Roma”,
(nella foto) ammiraglia della flotta italiana affondata dai bombardamenti nemici il 9 settembre 1943 (con 1393 morti) e di cui sono esposte le foto originali scattate quel giorno da un marinaio tortonese. Altre “chicche” sono due pezzi di ancore romane del I secolo d.C., in parte ricostruite, una cassaforte di bordo del 1500 della flotta del Granduca di Toscana e poi l’abbigliamento: divise originali per ogni occasione, una collezione di “nastrini”, cioè le strisce contenenti il nome della nave che si applicavano sui berretti dei marinai.


“MAIALE” – (modellino)

Nella sala degli incursori subacquei si possono ammirare tre colubrine del XVI secolo completamente restaurate e un siluro a lenta corsa detto “maiale”, strumento delle imprese (im)possibili dei sommozzatori. Sono esposti anche gli omaggi dei visitatori, come una polena a forma di testa di tritone donata dall’Istituto d’Arte “Ottolenghi” di Acqui Terme (opera del professor Manfrinetti) e il mosaico di una nave fatto dai ragazzi del centro A.n.f.f.a.s di Tortona.

 


I MARINAI TORTONESI

L’ultima sala del museo entra nel vivo della storia dei tortonesi, con le avventure di alcuni personaggi che hanno reso grande la marina italiana. Si parte da Vittorio Moccagatta, (alessandrino, capitano di fregata che nel 1939 comandava la flottiglia Mas di La Spezia e i mezzi speciali d’assalto e che morì a Malta durante una missione), per arrivare a Carlo Mirabello (tortonese, ammiraglio che dopo l’Unità d’Italia divenne Ministro della Marina), senza dimenticare Pietro Achille Cavalli Molinelli (nato a Sale, medico di bordo sulle navi da guerra e amico del Duca degli Abruzzi Luigi di Savoia che seguì nelle spedizioni al Polo Nord e in Africa. Di questi viaggi è visibile nel museo tutto l’equipaggiamento originale).
Il nostro viaggio si conclude con la vicenda di un eroe tortonese, il capitano di corvetta Lorenzo Bezzi, cui è dedicata l’associazione. Nel giugno del 1940, tra la costa africana e Creta, Bezzi era alla guida del sommergibile Liuzzi che, dopo un pesante attacco nemico, presentava gravi avarie e non riusciva più a rispondere al fuoco. Data la gravità della situazione, dopo aver messo in salvo l’equipaggio, Bezzi fece affondare il sommergibile e sparì con esso nelle acque del Mediterraneo. Per questo gesto eroico gli fu assegnata la medaglia d’oro alla memoria.
Il museo è il posto giusto per chi vuole “navigare” in questo importante pezzo di storia italiana ed è anche molto adatto alle scuole di ogni ordine e grado, per lezioni interattive.
Eccovi le “coordinate”: via P. Pernigotti 12, Tortona (AL), è aperto al sabato (orario 9-12 e 16-19) ma è possibile concordare visite guidate anche in altri giorni della settimana su appuntamento, telefonando ai numeri 348 1498791 e 335 6715822. Ingresso libero.


Il MUSEO DEL MARE DI TORTONA


La FARMACIA DI BORDO


A sinistra lo staff della STELLA POLARE, a destra la nave in partenza da Spezia


Carta geografica del naufragio del TITANIC

Rapallo, 27 Novembre 2018