LA SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE

In una nostra precedente pubblicazione, definimmo i Liberty:

“Le navi che vinsero la guerra e poi la pace”

“L’operazione Liberty” prese il via il 27 Settembre 1941 con l’entrata in linea dell’ormai celebre “PATRICK HENRY”, e si concluse con la consegna dell’ultimo esemplare, il “RODA SEAM” del tipo “collier” (carboniero) il 13 Ottobre 1945 da parte del Cantiere “Delta” di New Orleans-Louisiana. Tra queste due date ne scesero in mare ben 2710.

Viaggio inaugurale di una nave Liberty

Queste carrette dei mari furono costruite per compiere una traversata oceanica durante la Seconda guerra mondiale, tra gli agguati dei sottomarini dell’Asse, che agivano negli Oceani adottando  la ben nota tattica  “a branco di lupi”. In seguito a queste azioni belliche, affondarono circa  200 Liberty.

Subito dopo la fine del conflitto “i brutti anatroccoli”, come li definì F. D. Roosvelt,  ripresero a navigare e i più longevi lo fecero dignitosamente per circa trent’anni, partecipando alla ricostruzione della flotta mercantile  di quasi tutti i paesi belligeranti.

Nel 1945 si concluse una tragica guerra che fu combattuta in cielo, in terra ed in mare, lasciando ovunque distruzione, miseria e rovina.

Soltanto poche cifre sono sufficienti per mettere a fuoco un quadro spaventoso:

–  nel 1939 la flotta mercantile italiana contava 3.3 milioni di tonnellate di stazza lorda per un totale di oltre 1200 navi.

– nel 1945 le navi superstiti erano ridotte ad un numero molto esiguo che non raggiungeva in totale le 200.000 tsl. Inoltre le strutture ed infrastrutture portuali erano distrutte ed inagibili, i fondali da sgomberare da centinaia di relitti e da bonificare per la presenza di migliaia di proiettili e bombe inesplose.

A questo punto cruciale della storia martoriata del nostro paese, era necessario reagire con fermezza alla pericolosa situazione di stallo, ed era oltremodo impellente chiamare a raccolta tutte le forze vive e disponibili sul territorio, per passare ad un rapido piano  di ricostruzione.

Il viaggio della Rinascita

La motonave Sestriere

Così fu definito il viaggio della M/n SESTRIERE, che trasferì a Baltimora-USA 50 equipaggi destinati ad imbarcare su 50 navi tipo-Liberty acquistati dai primi coraggiosi Armatori Italiani. Quel giorno a Genova, alla presenza del Capo dello Stato – non è facile retorica –  rinacque la Marina Mercantile Italiana. Con molta curiosità,  entriamo ora nel vivo del racconto della spedizione e ci poniamo all’ascolto della oral-story del comandante Giuseppe “Gio” Ferrari, classe 1918, uno fra i rari superstiti di quella prima singolare avventura. Il protagonista è il figlio dello storico camogliese Giò Bono Ferrari, personaggio amatissimo da tutti i liguri rivieraschi per i suoi accuratissimi libri di storia e tradizioni  che ci hanno fatto conoscere i segreti della nostra terra e del nostro mare.

Comandante Ferrari, sono passati 56 anni dal giorno della partenza del SESTRIERE da Genova. Erano tempi duri! Avevo 26 anni e partii col grado di 2° ufficiale di coperta. Oggi si direbbe che ero poco più di un ragazzo, ma in realtà ero già un reduce di guerra; quattro anni di guerra “vera” sui sottomarini della R.M. dove mi ritrovai imbarcato al  termine del corso effettuato  all’Accademia di Livorno. Poi venne l’8 Settembre ’43 ed ormeggiammo la nostra unità a Taranto, nella attesa del suo trasferimento a Malta per  consegnarla agli Inglesi. Nel febbraio del ’44 mi congedai dalla M.M. per seri motivi di salute e fu la mia fortuna!  Il mio equipaggio, comandato dal C.c. Scarpa affondò in Atlantico con il smg Settembrini, fuori Gibilterra. Terminato il conflitto eravamo tutti in “braghe di tela”, perché tutto era stato distrutto: navi, porti, cantieri navali, fabbriche, ferrovie, strade. Eravamo affamati e senza lavoro. Ma la voglia di  rimboccarci le maniche era tanta e a tutti i livelli; dovevamo ricostruirci un futuro, al più presto, soprattutto per dimenticare il passato. La grande occasione ce la diedero gli Americani su un piatto d’argento. Una parte della loro enorme flotta, composta di circa 2000 Liberty in disarmo nelle rade e nelle foci dei fiumi, fu messa in vendita sul mercato, nell’ambito del piano Marshall, per favorire una rapida ripresa dei  trasporti e dei commerci internazionali in un rinnovato clima di pace mondiale. I noli favorevoli e l’impellente richiesta di carbone, per avviare la produzione industriale Europea, impresse quella strana euforia che presto si tramutò in una frenetica attività imprenditoriale.

Il progetto c’era ed era concreto. La nostra speranza in seguito salì alle stelle  quando si sparse la voce dell’acquisto in blocco di 50 LibertyShips, che sarebbero state  ritirate, direttamente in America, da 50 equipaggi italiani. Alcuni nostri coraggiosi Armatori: Lauro, Costa, Ravano, Pittaluga, Marsano, la Soc. Italia, il Lloyd Triestino, la Cooperativa Garibaldi, la Soc. Citmar, l’Alta Italia, Gruppi Amatoriali Savonesi ed altri ancora avevano firmato il contratto con la garanzia del Governo Italiano. Si aprì immediatamente la caccia all’imbarco.

Ci parli della M/n SESTRIERE.

La M/nave da carico SESTRIERE meriterebbe un capitolo a parte, se non altro per le innumerevoli avventure di guerra in cui si trovò coinvolta. La bella motonave di 8652 t.s.l., apparteneva alla Società di Navigazione Italnavi di Genova,  era una delle pochissime superstiti della Seconda g.m. – Varata a Taranto nel 1942 fu trasformata, in occasione del nostro viaggio verso gli States, per il  trasporto di circa 800 emigranti in cameroni approntati nei corridoi delle cinque stive e provvisti di letti a castello per tre persone ciascuno.

Comandante, immagino che l’altissimo numero di passeggeri ammassati negli angusti corridoi delle stive del SESTRIERE vi abbia procurato dei disagi non solo logistici…

Ad essere sinceri eravamo consapevoli della portata storica dell’avvenimento e quindi della nostra condizione di privilegio, tuttavia ricordo che non mancarono i mugugni e le rimostranze. Ricordo soprattutto che ci venne a salutare lo stesso sindacalista Giulietti alla Stazione Marittima, il quale  nell’occasione ci  rassicurò sia per l’abitabilità della nave, che per la sicurezza del trasporto di quell’imponente e un po’ speciale carico umano, in quell’imminente  spedizione oltre oceano. Non ricordo esattamente, ma credo che  ci fecero imbarcare e poi sbarcare due o tre volte dalla nave, nello stesso giorno, per permettere alle squadre di bordo di stanare gli immancabili clandestini. Ne furono trovati alcuni, ma sette riuscirono ad arrivare in America. Era l’8 novembre 1946 quando, alla presenza del Capo dello Stato, lasciammo la banchina passeggeri di Ponte dei Mille fecendo rotta  per Baltimora-Stati Uniti. Al comando della spedizione c’erano due grandi Comandanti in fase d’avvicendamento: il camoglino C.l.c. Pastorino  e l’imperiese C.l.c. Arimondi. Il nostro gruppo, appartenente all’armatore Achille Lauro, fu sistemato nei corridoi della stiva n°4, a poppavia del cassero, in letti a castello da tre posti. Alcuni tavolacci per il consumo dei pasti erano stati approntati nei corridoi stessi, mentre per i servizi igienici ci dovemmo accontentare d’alcune tughe di legno costruite in coperta e fornite d’acqua di lavaggio in circolazione permanente, con scarico diretto in mare.   Chiunque può immaginare gli effetti di una tale situazione di promiscuità in un così esiguo  spazio vitale. Ma la fortuna ci diede una grossa mano. Considerando la stagione in corso, il tempo fu eccellente ed il viaggio durò soltanto 14 giorni.

Come siete stati accolti in America?

“Arrivati felicemente a Baltimora-Maryland iniziò un iter burocratico per noi tanto sorprendente quanto inatteso. Quasi subito  fummo trasferiti a Hampton Roads, nella Baia di Chesapeake-Virginia. Consegnati in stile militare al Reparto dell’Emigrazione fummo a lungo interrogati  sui nostri trascorsi bellici e politici, sulla  base del Crew’s List (Ruolino Equipaggio) che, spedito da Genova, era ovviamente giunto negli States prima di noi ed era già stato analizzato e verificato a dovere. Il pericolo da evitare, per le preposte Autorità della Virginia, era costituito dall’eventuale infiltrazione di comunisti nel tessuto sociale americano.

Ci presero le impronte digitali e ci rilasciarono un apposito tesserino che conservo ancora tra i mie cimeli di navigante. Alcuni medici ci visitarono accuratamente e diedero l’O.K. al nostro ingresso negli Stati Uniti. La sosta  fu breve e quasi subito fummo trasferiti via treno a New York per ritrovarci il giorno dopo nella famosa Ellis Island.


Che cosa rappresentava per voi Ellis Island?

La sua posizione isolata ed emarginata, situata alle porte  di quella enorme e pulsante megalopoli che è la città di New York, inizialmente ci evocò la “quarantena” dei nostri emigranti, la diffidenza e il sospetto, i lunghi periodi d’isolamento, i rimpatri forzati. Poi, da buoni italiani, e per il fatto d’essere emigranti provvisori, già in regola con tutte le formalità burocratiche, ci organizzammo la nostra vita privata ed il  tempo libero. In seguito, facendo visita ai nostri connazionali,  conoscemmo le loro realtà quotidiane  ed anche le loro alterne fortune. In quel magico limbo rimanemmo in attesa della sospirata chiamata. Ma il nostro Liberty non era ancora pronto per la consegna. Nel frattempo, con altri sette del mio equipaggio, trovai  anche la possibilità di guadagnare 35$ la settimana presso una fabbrica di dolci. Il proprietario era un camoglino “doc”,  e durante i ventidue giorni d’attesa, grazie al suo appoggio, incontrammo tanti altri connazionali che ci portarono a scoprire  quella affascinante città che era rimasta “estranea” alla guerra e che aveva galoppato velocemente verso una nuova era. Alcuni della “spedizione” non resistettero al fascino del “New World” e disertarono con l’aiuto di parenti già immigrati e regolarmente residenti. Tuttavia il gruppo d’Ellis Island si andava assottigliando ogni giorno, finché giunse anche per noi la convocazione ufficiale. La nostra nave si trovava presso la “Reserve Fleet” di Mobile-Alabama e quando fu stabilita la data di partenza, la raggiungemmo in treno. Il viaggio durò trentasei ore.

Reserve Fleet – Navi Liberty ormeggiate in massima sicurezza

Al primo impatto con quella baia ricoperta di centinaia di Liberty ancorati ed affiancati a rovescio, (prora con poppa), ci venne naturale riflettere su  quell’immensa produzione bellica ed alla presunzione di chi ci aveva governato per vent’anni e che non aveva minimamente stimato il patrimonio umano, la ricchezza, le capacità tecniche ed organizzative, di quella potenza economica che era l’America di quel tempo. E ci fu subito un’altra sorpresa: ci aspettavamo, dato il basso costo d’acquisto della nave, d’imbarcare s’un residuato bellico quasi da demolire. Al contrario ci trovammo su un Liberty perfettamente funzionante, in ottimo stato di conservazione, perché era visibile, in ogni suo angolo, l’opera di una manutenzione accurata ed eseguita  ogni  giorno durante la sosta alla fonda. La nave era  provvista di frigoriferi, ampie salette, cabine singole per gli ufficiali e doppie per la bassa forza. La strumentazione nautica: girobussola, radiogoniometro, eco-scandaglio, costituiva una novità assoluta per quell’epoca. Devo dire che tutto il  materiale a nostra disposizione sul Liberty era all’avanguardia per quei tempi.

Reserve Fleet: Navi “VIctory” – “T/2” ed altre ormeggiate sull’Hudson River

Presi dall’entusiasmo ci organizzammo a dovere e dopo qualche giorno partimmo per il nostro primo viaggio diretti a Pensacola-Florida. Ci attendeva un carico di carbone per Genova. “AIDA LAURO” era il suo nuovo nome che io stesso scrissi sulla poppa della nave.

Quel mio primo sospirato imbarco da civile  durò ben 36  mesi e fu il primo di una lunga serie che mi legarono fedelmente al mio Armatore Achille Lauro per tutta la vita. La mia carriera prese inizio in quei giorni fatidici, prima come Ufficiale e Comandante, in seguito  come Ispettore e Dirigente dislocato un po’ dappertutto nel mondo, inseguendo o precedendo, a seconda delle circostanze, sia  le navi da carico,  sia quelle più famose come l’Achille Lauro, l’Angelina L. il Napoli, la Surriento, la Roma, la Sidney ed altre. Comandante Ferrari, siamo giunti al termine di questa rievocazione storica e le assicuro che spesso ci siamo sentiti imbarcati al suo fianco. La ringraziamo per questa insolita emozione.

NOTE

1 – Il Liberty del com.te Ferrari si chiamava  “JOHN EINIG”. Impostata il 1.12.1943, fu varata il  14.1.1944 e consegnata il 31.1.44 dal Cantiere Navale St. Johns River di Jacksonville con il n.28. Durante la guerra  navigò nell’Oceano Pacifico. Per la cronaca fu demolita a La Spezia nel 1969 dopo una navigazione durata 25 anni in tutti i mari del mondo.

2PATRICK HENRY fu il primo Liberty a scendere in mare il 27 settembre 1941, e quel giorno diventò il LIBERTY FLEET DAY. Per la sua costruzione occorsero 245 giorni, un tempo che fu gradualmente ridotto. Fu proprio di Baltimora il Cantiere che lo costruì: Bethlehm Fairfield Shipyard.

3 – Nel 1946 furono offerte all’Armamento italiano importanti possibilità di rinnovamento e di ricostruzione: il provvedimento del Governo in data 20 Agosto 1946 concedeva in particolare agli Armatori di trattenere la valuta estera introitata perché fosse impiegata nell’acquisto di naviglio usato e lo Ship Act degli Stati Uniti consentiva la vendita all’estero di navi residuate di guerra a condizione di particolare favore. Per facilitare l’acquisto delle navi furono stipulati accordi tra il Governo degli Stati Uniti e quello Italiano, per cui il Governo Italiano provvide a comperare in proprio le navi dalla U.S. Marittime Commission e a rivenderle agli armatori secondo un criterio di preferenza in base alle perdite subite. Il prezzo medio di ogni Liberty si aggirava sui 225.000 $. Il Governo Italiano provvide, inoltre a fornire agli Armatori la valuta per il pagamento immediato del 25% del prezzo e al Governo degli Stati Uniti la garanzia per il pagamento del residuo 75% in 20 anni al tasso del 3,50%. Furono così acquisite alla bandiera italiana in tre lotti successivi 95 navi da carico del tipo “Liberty” o similare, di circa 7.600 t.s.l. e 10.800 t.p.l, 20 navi cisterna del tipo “T/2” di circa 10.400 t.s.l. e 16.600 t.p.l. e otto navi da carico del tipo “N3” di circa 2.000 t.s.l. e 2700 t.p.l.

4 – ELLIS ISLAND – New York con la sua gigantesca baia fu di gran lunga il punto d’arrivo principale delle correnti migratorie dall’Europa a partire dalla metà dell’ottocento. Nel 1892 il vecchio centro di raccolta di Castle Garden, sulla punta di Manhattan, era stato sostituito da Ellis Island, una delle isole della baia, che fu chiusa definitivamente all’inizio degli anni Cinquanta. (Soltanto da poco tempo è diventato un grande museo dell’immigrazione). Nel 1924, tra l’inaugurazione e l’approvazione di leggi molto restrittive sull’immigrazione, passarono da Ellis Island 24 milioni di persone. Nel solo 1907, anno record, un milione 200 mila. Tra il 1900 e il 1920 la media degli “arrivi” negli States, concentrati per la maggior parte su Ellis Island, fu di duemila al giorno.

Ellis Island richiamò gli Ebrei, gli Slavi, gli Italiani ed in pratica tutta l’immigrazione dell’ultima parte dell’ottocento e dei primi decenni del nostro secolo che non fosse né anglosassone, né scandinava; composta quindi d’uomini e donne in gran parte scuri di capelli, di religione cattolica oppure ortodossa, e comunque estranei al mondo protestante.

Esisteva un’invisibile ma significativa linea di demarcazione, una specie di frontiera religiosa  ben definita dal Luteranesimo ed ancor più rimarcata dai movimenti radicali Calvinisti che furono poi gli artefici di una nuova filosofia economica  Americana. L’industriale d’oltre oceano aveva bisogno, come non mai, delle loro braccia. L’atmosfera che li accoglieva era tuttavia assai più difficile e diffidente di quella che qualche decennio prima aveva accolto le precedenti ondate.

Carlo GATTI

Rapallo, 19.02.12

 

First, some general information and statistics:

 

According to the records available in Italy, a total of 2,490 Liberty ships were built during the period December 1941 / June 1945, at an average cost of US$ 1,782,192 and average production of 2 ships per day. The unit built in the least time, from keel laying to launching, was the Robert E. Peary that took 4 days, 15 hours, and 30 minutes, during the period 8 – 12 November 1942, at the Permanente Metal Works Yard 2, in Richmond, California. The average time of construction was about 17 days per ship….!

 

The first vessel to be launched was the Patrick Henry (December 1941, in Baltimore). The Stephen Hopckins, using her guns, allegedly sunk the German cruiser STIER (already damaged). The Charles. H. Cugle became, well after the end of the hostilities, the first

 

floating nuclear electric generating plant, under the name of STURGIS and operated by the Army Corps of Engineers.

 

Secondly, with specific reference to the Liberty ships given to Italian Companies, we have the following information:

 

128 ships were delivered in total. The attached tabled list 1 a) gives the original hull number, Shipyard, year of commission, Engine Manufacturer, original US name, year of registration under Italian flag, Italian name, Italian Owner, and home port.

 

List 1 b) shows the life of the 128 ships, with their US original name, the first Italian name, any subsequent names and flags, and finally, the year and place of scrapping.

 

Some additional interesting statistics concerning Liberty ships registered in Italy:

 

First Liberty ship registered under Italian flag: the MONTELLO (ex Harriet Monroe), in 1946, for the company Alta Italia of Genova.

 

Average life of the 128 ships registered in Italy: 24 years.

 

There were 9 ships that were re-engined with diesel engines (see table 2).

 

There were 3 ships converted to storage vessels.

 

Four vessels were cut in two, re-welded to another section and eventually resulting in 2 re-built ships (four halves were scrapped).

 

Four ships, all belonging to Italia di Navigazione, sailed for 27 year under Italian flag (30 and 31 years from commissioning).

 

Out of the total 128 ships, 5 were lost at sea under the original owner and Italian flag, 1 under Italian flag but different owner, 6 under different owner and flag.

 

Of the 128, 104 ships are known to  have been scrapped, 5 ships we do not know their final ending, 3 were converted to storage, 4 were cut in half and became 2, 12 were lost at sea.

 

One ship. the TITO CAMPANELLA, under the original US flag and name (SAMSYLARNA) was sunk by German torpedoes in 1944, in the east Mediterranean. Re-floated and acquired by the company Campanella in 1952, was later sold to Poland in 1961 and named HUTA AOSNOWIEC. Eventually she was scrapped in Bilbao, Spain in 1971.

 

 

Cesare Sorio