Ing. GIUSEPPE PETTAZZI


Un rapallese da ricordare

L’INGEGNER GIUSEPPE PETTAZZI REALIZZO’ NEL 1938 LA STAZIONE DI SERVIZIO FIAT, OGGI SIMBOLO UNESCO


Sopra: l’inaugurazione della Fiat Tagliero ad Asmara il 28 Ottobre 1938. Presenti le massime autorità gerarchiche del tempo. A sinistra, in completo scuro, si riconosce il Duca Amedeo di Savoia-Aosta, l’Eroe dell’Amba Alagi, che il 3 Marzo 1942 morirà a Nairobi, prigioniero degli Inglesi. Medaglia al Valor Militare.

 

La Rai nazionale si è interessata alla Fiat Tagliero di Giuseppe Pettazzi con due filmati tratti da due trasmissioni della Grande Storia di Paolo Mieli e Massimo Bernardini. Altri edifici di quel tempo, sempre in Eritrea sono fotografati in altre località come “Dire-Daua”, “Dessiè”, “Gondar”, “Mogadiscio”, “Adis Abeba”. Sono altresì rappresentate tramite fotografie panoramiche, le “Torri Balilla al mare e sulle Alpi” che vengono proposte come colonie Fiat per bambini con slogan come: “attraverso le miriadi e miriadi dei vostri figli si ha la certezza assoluta della continuità nei secoli della nostra “Patria”.

Per quest’ultimo edificio, la rassomiglianza con la nostra Colonia Fara di Chiavari è straordinaria, non solo nella struttura centrale ma anche nelle due terrazze laterali. L’accostamento tra la Ex Colonia Fara e le nuove costruzioni nell’Ex Cantiere Navale, è giustificato dalle architetture razionaliste e variegate della zona Preli, e anche molto criticate, come riportato dalla stampa locale.

Sopra: da ”Il Corriere della Sera” del 12 Luglio 2017, articolo di Guido Santevecchi

 

 

Progettazione della Fiat Tagliero, con i timbri originali degli uffici asmarini

Luigi Frugone

… e parte della sua libreria

Sono sotto gli occhi di tutti gli arrotondamenti dei terrazzi per creare una architettura “razionalista” simi- lare a quella della “Torre Fara”, e avendo conosciuto una persona che ha moltissimi libri di Futurismo, Art Decò e Razionalismo cioè il Signor Luigi Frugone chiederemo a lui un suo giudizio ed un commento da profondo e appassionato conoscitore dell’argomento.

Questa nuova conoscenza è straordinariamente significativa ed emozionante per aver riportato di attualità l’opera della Fiat Tagliero di Giuseppe Pettazzi. Pensate …. due persone che in parallelo si interessano della stessa cosa per anni e si appassionano all’argomento ma che non si conoscono affatto, anche se uno sapeva che l’altro esisteva e viceversa. Ma l’incontro ad una cena degli “Amici del Monte” ha creato il contatto. 
Ecco che Frugone, con una immagine straordinaria presenta subito una inedita Colonia Fara e uno ZEPPELIN che gli sorvola intorno!!! Naturalmente lo Zeppelin non è mai passato a Chiavari, ma “Photo-shop” sì.

Dopo questa emozionante presentazione, nel totale disinteresse, si sono scambiati subito i propri “ritrovamenti”. Frugone aveva disegni inediti con timbri colorati originali che ha ottenuto dal Municipio di Asmara …. e dall’Ufficio Storico del Museo Fiat di Torino, senza sapere, per anni, che i figli di Pettazzi erano a 50 metri dai suoi innumerevoli libri di futurismo. Chissà cosa ne avrebbe pensato Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del Futurismo che fu la prima avanguardia storica italiana del Novecento.

Filippo Tommaso Marinetti

Una foto da lui proposta della Colonia Fara

Inoltre Andreatta aveva una serie di foto avute dalla famiglia Pettazzi che Frugone non possedeva. E’ stato uno scambio disinteressato e assolutamente culturale! E’ storia recente che, gli autorevoli quotidiani nazionali e locali hanno finalmente portato alla luce lo straordinario lavoro degli Architetti e degli Ingegneri Italiani che progettarono un’urbanistica citata come “esempio mondiale di architettura modernista”. Si viene altresì a sapere che il Politecnico di Milano formerà tecnici eritrei per il restauro del patrimonio culturale e architettonico di Asmara, nell’ambito di un progetto finanziato con quasi 300.000 euro dall’Unione Europea. Lo ha precisato l’architetta Susanna Bortolotto dell’ateneo milanese, contattata da askanews dopo che l’Unione Europea ha riferito del coinvolgimento del Politecnico nel progetto intitolato “Capacity building for safeguarding Asmara’s historic urban environment”. Bruxelles ha infatti annunciato di recente il via libera a un finanziamento di 297.721,87 euro per le attività di valorizzazione e tutela del patrimonio di Asmara, “unico al mondo”, che fa della capitale eritrea la “città modernista del continente africano” candidata a diventare patrimonio Unesco. Ed infatti l’Unesco, nella sua sessione annuale in corso a Cracovia nel Giugno 2017, ha dichiarato Asmara Patrimonio dell’Umanità, inserendola nella lista World Heritage. La capitale dell’Eritrea è il primo sito del Paese africano a entrare nel Patrimonio, come “città modernista d’Africa”, in riferimento alla sua struttura urbanistica, che porta la firma degli architetti italiani della fine dell’Ottocento e soprattutto del Ventennio.

Il progetto, presentato dall’Asmara Heritage Project e dalla municipalità di Asmara, prevede il completamento del “Con- servation Master Plan” della città e un corso per la conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio edilizio e attività che incentivino la consapevolezza e il coinvolgimento dell’opinione pubblica. L’Asmara Heritage Project implementerà parte del progetto in collaborazione con il Politecnico di Milano”, si legge nella nota diffusa dall’Unione Europea. “L’affascinante capitale dell’Eritrea – ha concluso Bruxelles – con un perimetro storico di circa 4.300 edifici censiti all’interno di un’area di 480 ettari, potrebbe anche diventare presto il primo sito Unesco Patrimonio dell’umanità dell’Eritrea”. E naturalmente quale sarà il simbolo di questo progetto, senza dubbio la Fiat Tagliero dell’Ingegner Giuseppe Pettazzi.

Ed ancora…. ricevo un Email da Luigi Frugone in cui ci parla di una mostra a Parigi presso l’Ambasciata Eritrea per perorare la causa di Asmara e delle sue architetture come “patrimonio dell’Umanità” con la Stazione di Servizio Fiat Tagliero, naturalmente, come simbolo più significativo. L’esposizione art deco di Asmara è stata inaugurata a Parigi all’ambasciata dell’Eritrea. Sua Eccellenza Hanna Simon, ambasciatrice dell’Eritrea in Francia, ha aperto l’esposizione. L’ Ambasciata ha dichiarato che l’esposizione si svolge con il tema “Asmara: la città dei sogni”. Questa mostra vuole attirare l’attenzione internazionale e le persone di cultura per visitare questa città e aiutarla a preservarne l’eredità. L’ esposizione vuole contribuire al dibattito sulla valutazione del modernismo classico, la globalizzazione dell’architettura moderna, il suo valore storico e gli effetti sull’urbanistica.

Tuttavia, Asmara è l’unica grande città al mondo dove tutta una varietà di movimenti architettonici sono riuniti insieme. Pertanto, Fiat Tagliero, ideata e costruita da Giuseppe Pettazzi è diventata un pò il simbolo di Asmara e di tutta l’Eritrea, e vediamo la sua immagine riportata sulle magliette e sulle borse per farla conoscere al mondo. L’immagine di questa modella è stata fornita da Lugi Frugone, così come una serie di Magliette che arriveranno al più presto dall’Asmara con corriere internazionale. Riportiamo qui di seguito gli articoli dei quotidiani La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Giornale, Il Secolo XIX e il Nuovo Levante.

La famiglia Pettazzi è certamente grata a questi quotidiani che hanno voluto portare alla luce una storia ormai dimenticata, ma che andava certamente ricordata anche in memoria di chi ha perso la vita e di chi, al di la di ogni convinzione politica ha così tanto sofferto in certi periodi della propria esistenza. Perchè sono principalmente quelle ali di cemento che hanno fatto volare Asmara, capitale dell’Eritrea, fino al riconoscimento più alto, quello del patrimonio dell’UNESCO.

E se non fosse stato per questa improvvisa notorietà globale che ha travolto Asmara, di certo pochi si ricorderebbero di Giuseppe Pettazzi, Ingegnere di origine piemontese che dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, scelse Rapallo in Liguria come rifugio in cui custodire e conservare il passato, nel tentativo, dopo cinque anni di prigionia in India, di ricostruirsi un futuro.

S.E. Hanna Simon, ambasciatrice eritrea in Francia, che ha aperto l’esposizione Art Decò di Asmara, inaugurata a Parigi all’ambasciata eritrea.

Progetto World Heritage. Asmara “città modernista d’Africa

 


Alcuni gadget per l’evento Unesco

Nella zona dove stanno sorgendo le nuove costruzioni della Società “Gli Scogli Srl”, il cantiere navale Gotuzzo vi costruì e varò oltre 125 velieri oceanici. Per comprendere come appariva il litorale all’epoca eroica della vela possiamo guardare il dipinto di Amedeo Devoto riportato qui sotto, raffigurante la stessa zona, nel 1919, quando ben cinque velieri erano contemporaneamente in costruzione. Sulla destra, il Cantiere Navale dei Gotuzzo, edificato nel 1912, dopo oltre cinquant’anni di lungaggini burocratiche, con uno stile assolutamente armonico rispetto al territorio.

Sotto: da “La Repubblica” del 17 Luglio, articolo di Massimo Minnella.

 

VITA E COERENZA DI GIUSEPPE PETTAZZI

“FORTUNATO SOPRAVVISSUTO” – “RAPALLINO DI ADOZIONE”

PARTECIPÒ NEL 1941 ALL’EROICA DIFESA DI CHEREN IN A.O.I. NEL BATTAGLIONE “UORK AMBA”

 

Giovanna Calissano, nata ad Alba conobbe Giuseppe Pettazzi a Rocchetta Tanaro. Soltanto dopo la guerra, nel 1947 si unirono in matrimonio. Rapallo diventò la loro residenza.


 

Giuseppe Pettazzi, ingegnere civile, nato a Milano, era di origine piemontese.

Durante la guerra in Africa Orientale (A.O.I.) era Sottotenente degli Alpini.

Le origini piemontesi

Giuseppe Pettazzi, di professione ingegnere civile, allo scoppio della seconda guerra mondiale si trovava in Africa Orientale Italiana e fu uno dei pochi sopravvissuti del Battaglione Alpino “UORK AMBA” durante la presa di Cheren in Eritrea da parte degli Inglesi.

Proveniente da una famiglia medio borghese di origine piemontese, era nato a Milano il 3 Maggio 1907. Dopo la guerra, nel 1947, diventa Rapallino di adozione. E’ uno dei tanti che, negli anni 30, ha dovuto fare delle scelte fondamentali e spesso si è trovato coinvolto in avvenimenti o battaglie sanguinose o situazioni di prigionia faticosamente vissute e sopportate, a volte assurde, specie se viste con gli occhi di oggi. Pettazzi, nonostante tutto, può ritenersi un “fortunato sopravvissuto”.

Aveva un carattere estremamente equilibrato, di grande livello etico e morale e certamente pacifico e sicuramente era un uomo coerente. Ma si trovò, dai trenta ai quarant’anni, a vivere un decennio di spaventosi cambiamenti e tragedie, e così, nell’età in cui un uomo è nel pieno delle sue capacità fisiche e professionali, venne coinvolto in quel momento che viene ora definito come il “Colonialismo Italiano”.

Dopo la maturità classica che consegue nel 1925, Pettazzi si iscrive alla facoltà di ingegneria di Torino dove ne esce laureato nel 1931 dopo aver interrotto gli studi per il servizio militare nel ‘28 a Bra dove frequenta il Corso Allievi Ufficiali per Alpini e ne esce Sottotenente, in caso di richiamo.

Il primo impiego, come ingegnere civile, è presso l’impresa ing. Sapelli di Ciriè, specializzata nei calcoli del cemento armato, con lavori in loco in industrie locali, e per il genio militare, alla frontiera Francese, Cesana, Sestriere, e galleria di Monte Rotta presso Bardonecchia. Nel 1935 lavora con l’impresa Zolla di Milano che ha depositi di carburanti a Gozzano e quindi con l’impresa Carlo Grasso di Torino sempre nel settore per il quale si era laureato e cioè ingegneria e progettazione civile.

Sotto: Giuseppe Pettazzi all’Asmara, con la sua “Balilla” quando era titolare dell’impresa di costruzione omonima. In pochi anni, ad Asmara, prima della tragedia scatenata da Mussolini con la perdita dell’A.O.I., aveva già progettato e costruito molti importanti edifici e strade.

Africa Orientale Italiana – L’Italia Decò

A questo punto nella vita di Pettazzi c’è una svolta che condizionerà molta parte del suo futuro. Come Ingegnere civile verso la fine del 1936 va a lavorare in Africa Orientale, in Eritrea, per cercare di avere un miglior futuro professionale sull’onda del grande esodo verso questi possedimenti del regime di allora. In quegli anni le colonie Italiane rappresentano per molti professionisti e non solo, uno sbocco importante di lavoro. Per molti giovani sono una strada aperta verso nuovi orizzonti di grandi speranze che si concretizzano presto con il grande bisogno di infrastrutture, come vengono ora chiamate, le strade, i ponti, gli acquedotti, le fognature ecc. in un paese dove non c’era nulla di tutto questo.

Un Esempio dell’archittetura “decò” di Asmara


Da un giornale del dopoguerra del 2007: la Fiat Tagliero progettata da Pettazzi é ancora in piedi.

Sotto: Una sfilata delle Giovani Italiane a Rapallo. Con la camicia bianca si nota Giovanna Calissano che prima della guerra era già residente a Rapallo.

Sotto:  Una immagine del 1952 dei coniugi Pettazzi ormai Rapallini di adozione e non più “furesti”

 

In Eritrea, all’Asmara, esercita la libera professione proprio nel settore dell’ingegneria civile e le sue doti di progettista anticipano e interpretano perfettamente quella tendenza che potremmo chiamare “l’Italia Decò” in terra d’Africa. E’ giovane e lo spirito imprenditoriale come le capacità professionali non gli mancano e così attraverso una propria impresa di costruzioni si tiene al passo con il grande sviluppo urbanistico della città coloniale probabilmente anche favorito dall’impulso imposto dal regime di allora. Tra i progetti da lui portati a termine, uno di questi, la stazione di Servizio della Fiat Tagliero lascerà un’impronta particolare sia per la sua architettura innovativa e moderna che per una leggenda ancora adesso tramandata di generazione in generazione dagli Eritrei dell’Asmara.

Una rivista d’arte e cultura del 2007, “Luoghi dell’infinito” parlando
di un viaggio all’Asmara
 nel 1991 in un articolo
 riporta testualmente: La guerra trentennale era finita. (proprio in quell’anno infatti era caduto il potere dittatoriale comunista di Menghistù). Il paese era libero e Asmara si risvegliava nella sua tranquilla e sorprendente bellezza. Fuori dall’aeroporo i Taxi in attesa di quei primi viaggiatori erano ancora Fiat 1100 dal colore azzurro arrugginito. Per strada vedevi circolare improbabili Balilla grigie che andavano a passo d’uomo. Ci fermammo al primo bar aperto: si chiamava Duca d’Aosta e il tassista mi offrì un cappuccino e una pasta. Il barista aveva i capelli bianchi: “Benvenuto”, disse in Italiano. La macchina scivolò poi davanti ad un distributore di benzina che assomigliava ad un ae- roplano. “Fiat-Tagliero” annunciava con orgoglio la scritta rosso sbiadita che sovrastava la torretta centrale.

Fiat Tagliero all’Asmara Autostazione Aeroplano

Mi raccontarono, è Andrea Semplici che scrive autore di queste righe, che l’ingegnere che aveva avuto l’ardire di progettare nel 1938, quel garage futurista dovette puntare una pistola alla testa del capomastro per convincerlo a togliere le impalcature che sorreggevano gli oltre 16 metri delle “ali”. Chissà se Giuseppe Pettazzi, il progettista, lo fece davvero! Quel che è certo che “l’Autostazione-Aeroplano” sembra, dopo oltre settant’anni dall’inaugurazione, ancora pronta al decollo. E continuando: l’Italia fascista aveva cancellato dalla geografia politica l’Etiopia, unico paese libero dell’Africa, e Mussolini voleva trasformare il volto di quelle terre. Asmara, fino al 1935 era una tranquilla città di una lontana provincia coloniale sulle coste del Mar Rosso. Ma alla vigilia dell’invasione dell’Etiopia conobbe un sussulto. Vi arrivò di tutto, “oltre che a bravi professionisti come Pettazzi” approdarono anche migliaia di soldati, coloni, avventurieri, braccianti, operai, poveri d’Italia. Era la retrovia della guerra che Mussolini avrebbe scatenato alla fine del 1935.

Sotto: Dal libro “Gli Alpini” – Storia –Reparti – Adunate- Eroi – 2014 e 2015- Edizione Gribaudo. Proprio per la sua breve vita il Battaglione UORK AMBA é poco conosciuto. Dal numero dei caduti, come leggiamo, é certamente uno tra i più eroici proprio per la straordinaria difesa di Cheren. Giuseppe Pettazzi, col grado di Sottotenente si può definire un “fortunato sopravvissuto” perché pochi giorni prima della resa di Cheren era stato ricoverato in ospedale ad Addis Abeba per una ferita alla mano che si era infettata. Durante la battaglia fu anche lievemente ferito alla testa.

“Divina geometria”

In meno di sei anni divenne il teatro di ogni possibile e radicale sperimentazione architettonica e urbanistica. Divenne la palestra in libertà dell’”Art Decò” delle linee futuriste, del modernismo. Il risultato? “Una divina geometria” azzardò anni fa Eugenio Lo Sardo, ispettore del Ministero dei beni culturali e ricercatore pignolo di quella stagione urbanistica. “Gli Italiani crearono un capolavoro dell’Art Decò. Asmara possiede la maggior concentrazione al mondo di architetture anni trenta. Gli Italiani hanno costruito con eleganza e stile. Hanno modellato una capitale abbagliante, moderna, internazionale. Sono più di quattrocento gli edifici asmarini censiti come piccoli capolavori del Decò. (foto sotto)

Negli anni a seguire, dopo la seconda guerra mondiale, l’edificio della Fiat Tagliero è stato più volte sulle pagine di giornali specializzati o settimanali o quotidiani. E’ interessante citarne alcuni per capire l’ambiente “urbanistico” in cui si viveva in questa colonia Italiana.
 Ma è il supplemento “Venerdi”, del quotidiano “La Repubblica” del 5 Dicembre 2003, in un articolo di Marc Lacey, che, è proprio il caso di dirlo, scatena le “ire” di Giovanna Pettazzi, ora scomparsa, con una lettera indirizzata al direttore Dott. Ezio Mauro dove si definisce, in questa accorata precisazione, “ottantaquattrenne, vedova dell’Ingegner Giuseppe Pettazzi deceduto nel 2001 all’età di novantaquattro anni”. 
Ne riportiamo volentieri alcuni commoventi “frammenti”: “la prigionia per sei lunghi anni in India, scrive, riferendosi al marito, posero temine alla sua attività svolta per troppo breve tempo in Asmara dove tuttavia rimane la Stazione di Servizio FIAT TAGLIERO che fu inaugurata nel 1938 dal Duca Amedeo D’Aosta, chiamata e conosciuta come “l’aeroplano” per la struttura a sbalzo con due ali tese di un’apertura di sedici metri (NON di tre metri, come legge inorridita sull’inserto) nuovo particolare questo, “tanto pietoso, quanto assurdo”!

Mio marito mai dovette ricorrere alla minaccia delle armi!

E continua rimarcando che da altri giornali come il Touring è stata definita come una costruzione “unica al mondo”! ma dice anche che: “mio marito mai dovette ricorrere alla minaccia delle armi (!!!) per persuadere gli operai a togliere le impalcature fatte per sostenere la massa di cemento in attesa che si solidificasse…. …………Poi parla del rapporto di affezione che c’era tra suo marito anche con la manovalanza indigena … concludendo: quindi la citazione della minaccia delle armi (pistola o quant’altro) è falsa e pretestuosa!

Mio marito continua era “un puro, un onesto, mite, ma fiero”, che mai avrebbe commesso una azione così riprovevole nei con- fronti di chicchessia, tanto meno di una manovalanza che stimava, a cui era sinceramente affezionato. E quando lesse questa affermazione rimase profondamente indignata.

Firmato Giovanna Calissano vedova Ingegner Pettazzi.

Sotto: Le torri Balilla al mare e sulle Alpi. Per quest’ultimo edificio, la rassomiglianza con la nostra Colonia Fara di Chiavari é straordinaria, non solo nella struttura centrale ma anche nelle terrazze laterali.

 

 

 

Le opere del giovane Ingegner Pettazzi all’Asmara sono naturalmente riprodotte sui giornali del regime di allora come nel “Bianco e Rosso”, giornale del dopolavoro aziendale n. 5 del Maggio 1939, dove nella pagina ”La Fiat nell’Impero” in un disegno stilizzato viene rappresentata la Stazione Fiat dei Fratelli Tagliero in veduta prospettica da due differenti lati. In entrambi i casi è chiaramente indicato: “progetto e direzione lavori Dr. Ing. Giuseppe Pettazzi, Impresa Costruzioni Asmara”.

Altri edifici di quel tempo, sempre in Eritrea sono fotografati in altre località come “Dire-Daua”, “Dessiè”, “Gondar”, “Mogadiscio”, “Adis Abeba”. Sono altresì rappresentate tramite fotografie panoramiche, le “Torri Balilla al mare e sulle Alpi” che vengono proposte come colonie Fiat per bambini con slogan come: “attraverso le miriadi e miriadi dei vostri figli si ha la certezza assoluta della continuità nei secoli della nostra “Patria”.

Per quest’ultimo edificio, la rassomiglianza con la nostra Colonia Fara 
di Chiavari è straordinaria, non solo nella struttura centrale ma anche 
nelle due terrazze laterali.
 Dopo l’8 Settembre 1943 continua e si aggrava la tragedia italiana per
mancanza totale di ordini e disposizioni con il conseguente sfascio del già debole apparato difensivo e offensivo. Nel dopoguerra, con la loro scellerata amministrazione, ci pensano gli Inglesi a portare via tutto. Selassiè trasferisce in Etiopia quanto rimasto e Menghistù (che era Etiope) con la nazionalizzazione dà il colpo mortale. E l’articolista aggiunge: in questo ultimo mezzo secolo l’Eritrea è stata la cenerentola del mondo, dimenticata da tutti anche da quegli Italiani che si gloriavano della loro “colonia primogenita”.

Forse dimentica che proprio gli Italiani sono tornati da quei posti o da altre Colonie come anche la Libia, spogliati di tutto o scusando la licenza, “con una mano davanti e una di dietro” ! Non parliamo poi di quelli che anche se “fortunosamente sopravvissuti” sono tornati a casa dopo 5 anni di prigionia come l’Ing. Pettazzi catturato dagli Inglese a Cheren nel 1941 e rimpatriato nel Dicembre del 1946 dopo che la guerra per l’Italia era finita il 25 Aprile del 1945. Nel 1997 l’Italia è stato il primo paese a riconoscere lo stato Eritreo con l’unico ministro degli esteri presente il giorno della dichiarazione di indipendenza il quale dichiara: “al di là delle sofferenze del colonialismo, l’Italia ha lasciato una grande impronta del suo lavoro, della sua presenza, della sua civiltà”.

Sotto: Giuseppe Pettazzi all’Asmara in divisa da Sottotenente degli Alpini appena richiamato dopo l’inizio del conflitto della Seconda guerra mondiale. Da lì a poco, in Africa Orientale Italiana, verrà scatenata una cruenta battaglia con la perdita totale di questa colonia. Cheren e l’Amba Alagi furono gli ultimi baluardi della resistenza italiana.

 

 

Altre opere dell’Ing. Pettazzi all’Asmara

Giuseppe Pettazzi, nei suoi pochi anni di permanenza all’Asmara partecipa, per quello che è dato di sapere, anche ad altri importanti lavori come progettista. Ne citiamo alcuni: oltre all’edificio già descritto della Stazione di Servizio Fiat dei Fratelli Tagliero, con le “sue ali da airone”, progetta e costruisce l’officina riparazione e magazzino ricambi sempre Fiat e si occupa anche di importanti lavori stradali come la strada di arroccamento di “Adigrat”, nel primo tronco “Adigrat-Passo Alequà”.

Quindi progetta e porta a termine per la ditta Berti la Tagliero alimentari e per Leopoldo Belli i saloni di vendita della Upim-Rinascente. Da notare che la stazione di servizio Fiat-Tagliero viene inaugurata alla presenza del Duca Amedeo D’Aosta, l’eroe, di lì a pochi anni dell’Amba Alagi.

Si arriva così al 15 Agosto 1939 quando Pettazzi si concede una licenza in Italia e parte da Asmara con viaggio in aereo e tappe a Kartoum – Tripoli – Bengasi – Roma per giungere a Rocchetta Tanaro (AT) che era la casa dei suoi genitori, Ubaldo e Maria.

Giusto per sedersi al tavolo della vittoria Mussolini porta l’Italia allo sfascio totale. Di lì a pochi giorni, il 3 Settembre 1939, Hitler scatena, con l’invasione della Polonia quella che sarà una tra le più sanguinose e spietate guerre della storia che, sulla terra, sui mari e nei cieli, coinvolgerà tutto il mondo. L’Italia, per decisione di un solo uomo, nell’affannosa e assurda rincorsa di gloria, e “per sedersi al tavolo della vittoria” come più volte raccontato a giustificazione di quella disastrosa guerra, per sua parte, pagherà un prezzo altissimo trascinandosi anche in una cruenta guerra civile con il grande dilemma di ogni Italiano che era quello, dopo l’8 Settembre 43, da quale parte schierarsi, o meglio se rimanere coerenti cioè fedeli al regime oppure tradire, cioè “badogliare”.
Giuseppe Pettazzi, proprio nel settembre del 1939, viene richiamato dalla sorella Franca che era giunta in Asmara pochi mesi prima, non pensando che la guerra avrebbe avuto poi quegli sviluppi disastrosi anche per le colonie Italiane. Ma proprio nel Settembre del 39, mentre sta per ripartire dall’Italia diretto in Eritrea, accade un altro fatto che avrà una influenza importante per la sua futura esistenza.

I lavori di costruzione per la strada di collegamento tra “Adigrat e Passo Alequà” in Africa Orientale italiana diretti dall’Ing. Pettazzi. Durante i 56 giorni di combattimenti per la conquista di Cheren da parte degli Inglesi, questa strada, nella gola di Dongolas fu ostruita da pesanti massi fatti crollare dall’esercito italiano per impedire l’ingresso a Cheren.

Una cartina della zona di Cheren tenuta sin quasi all’annientamento da parte del Battaglione UORK AMBA che scrisse una delle ultime e più tormentate pagine della nostra storia coloniale. La maggior parte dei caduti sono sepolti, spesso senza nome, nel bianco cimitero di Cheren che conserva anche le spoglie di molti amici di Pettazzi caduti in battaglia.

 

La bussola originale usata dall’Ing. Pettazzi che faceva parte della sua attrezzatura in Asmara che é ancora utilizzata da suo figlio Ubaldo per le gite in montagna. E l’orologio che Guido Rovaro Brizzi, suo compagno di prigionia, gli donò in punto di morte pregandolo di portarlo ai suoi genitori. Cosa che fece al suo ritorno in patria, ma i genitori di Brizzi vollero che Pettazzi lo conservasse in ricordo del loro figlio. Alla morte di suo marito, Giovanna Calissano disse ai figli: “ed io continuo a caricarlo… fatelo anche voi…”.

Sotto: L’ingresso del Paese di Rocchetta Tanaro dove Giuseppe Pettazzi si conobbe con Giovanna Calissano. Le loro tombe sono uno vicino all’altra nel riposo eterno.

 

L’incontro sulla diligenza con Giovanna Calissano

Sulla diligenza chiamata del “Giaun” davanti alla casa della “Rita”, proprio a Rocchetta Tanaro, incontra con lo sguardo … una persona. Uno di quegli sguardi che rimangono impressi per sempre. Occhi che si incontrano e che in qualche modo si promettono! Sono diretti entrambi alla stazione, lui per prendere a Torino il biglietto dell’aereo che lo avrebbe riportato all’Asmara dalla sorella, e lei per andare a Rapallo. Gli occhi che incontra, splendenti, chiari, verdi, sono di Giovanna Calissano, quella che poi nel 1947 diventerà sua moglie che era originaria di Alba. Ma i suoi genitori avevano delle terre a Rocchetta Tanaro per questo il destino fu complice! E li fece incontare. Nelle sue memorie scritte a mano in un piccolo diario, con quella meravigliosa calligrafia di un tempo, lei, racconta così quell’incontro: Vedo tutto Papà, bello, sorridente col suo spolverino color sabbia, saltare sul predellino della diligenza già al completo. Da allora si accese nel cielo la stella del nostro destino che ci riservava silenziosamente l’una per l’altro, per sette lunghi anni di tacite speranze e di sogni che apparivano irrealizzabili….. Non è dato di sapere se in quell’incontro si “dichiarano”, ma sicuramente si parlano e soprattutto si penseranno l’un l’altra per “sette lunghi anni”. Non è approccio retorico, a quel tempo si usava così!

Nel Maggio del 1940, Pettazzi, che si trova in Eritrea, viene richiamato in servizio militare come Sergente allievo e poi Ufficiale al ventunesimo battaglione fanteria di Asmara. Deve abbandonare tutto, sogni, progetti e azienda di costruzioni. Più tardi lascerà la procura dell’azienda a sua sorella Franca.
 Verso la fine di Maggio il suo gruppo viene trasferito ad Adis Abeba e prende posizione sulla prima linea difensiva del Campo di Aviazione di Adis Abeba.

Viene incaricato dal Comando Difesa di rilevare questa prima linea difensiva. Lavoro che viene eseguito con i pochi strumenti tecnici di allora, principalmente con una bussola graduata gonio- metricamente, ancora conservata e usata dal figlio Ubaldo per le sue gite col CAI–Club Alpino Italiano e una rolletta decametro. Suoi aiutanti sono tre soldati del suo stesso gruppo.

Sottotenente degli alpini per la difesa di Cheren – Una pallottola gli attraversa il cappello Nel Dicembre 1940 viene nominato Sottotenente e così, acquista, cioè compra con i suoi soldi, il suo cappello da Alpino all’Unione Militare di Adis Abeba. Lo stesso cappello di Alpino che orgogliosamente riuscirà a portare a casa anche dopo la prigionia in India, attraversato, durante i combattimenti, da una pallottola che gli provocò una leggera ferita. Il buco, rammendato, con “ago e spago” è ancora visibile nella parte alta del cappello.
 Lo stesso cappello, che non abbandonerà mai, altrettanto orgogliosamente, con dignitosa fierezza, lo indosserà nei raduni degli Alpini ai quali non mancava mai, dopo la guerra, per tanti anni, sino alla sua scomparsa che, ricordiamo, è avvenuta all’età di 94 anni nel 2001.
 Non solo, organizzerà, all’interno di questi raduni, il 24 e il 25 Maggio 1967 in quella che è ormai diventata ormai la “sua Rapallo” una grande adunata dei Reduci di Cheren riportata dai giornali dell’epoca.

Sotto: Dopo l’8 settembre 1943 per la scissione tra “collaboratori e non cooperatori” Pettazzi viene trasferito al campo 25 riservato ai “non cooperatori”. Sul suo cappello di alpino sono cucite le targhette metalliche di appartenenza al campo 25 e una medaglietta coniata dopo la prigionia con la seguente scritta: “L’ONORE HA PER TESTIMONIO LA PROPRIA COSCIENZA E PER DIFENSORE IL CORAGGIO” – SALO’ 1952 – CAMPO 25 – NON COOPERATORI. La sua coscienza, evidentemente non venne mai meno né durante la prigionia, né dopo.

 

Sotto: Il cappello daAlpino del Sottotenente Giuseppe Pettazzi. Lo indossava in Africa Orientale Italiana per la difesa di Cheren. E’ ancora evidente (particolare in alto a destra) la cucitura fatta con lo spago in seguito ad una pallottola che gli provocò una lieve ferita alla testa. Fino alla sua scomparsa lo indossò sempre con orgoglio specialmente nei raduni del dopoguerra.

Sotto: Il villaggio di Cheren teatro, nel 1941, di una sanguinosa battaglia con intorno tutti i morti dove era attestato il battaglione UORK AMBA. Fu l’ultimo baluardo prima della perdita dell’A.O.I. Giuseppe Pettazzi, dopo i cinque anni di prigionia in India mal volentieri ricordava quei momenti terribili specie subito dopo la liberazione. Nomi inconsueti come Cima Forcuta, Dologorodoc, Dekameré, Adi Ugri, Omo Bottego, Nolisò, Gimma e infine Cheren e Amba Alagi…

 

Il battaglione Uork Amba (montagna d’oro)

Col grado di sottotenente, Giuseppe Pettazzi, viene assegnato al Battaglione UORK AMBA schierato sull’Omo Bottego con il comando a Nolisò sulla strada per Gimma. Gimma, sarà l’ultimissimo caposaldo Italiano a cadere in mano agli Inglesi addirittura anche dopo l’Amba Alagi. Ma è anche giusto ricordare che quei “poveri soldati Italiani”, già male equipaggiati con armi antiquate della prima guerra mondiale, e senza mezzi, erano dei dimenticati da Dio e dalla Patria, senza appoggio aereo, senza rifornimenti, non solo di armi e munizioni, ma anche di viveri, acqua, medicinali e quant’altro poteva servire in una guerra senza tregua.

Il 26 marzo del 41, il Comando Supremo Italiano è costretto a porre fine alla resistenza nella zona di Cheren. Tre medaglie d’oro, 500 morti e centinaia di feriti attestano il sacrificio del battaglione sulla cima Forcuta e sul Dologorodoc. I resti del “Uork Amba”, un centinaio di uomini e due ufficiali, per sottrarsi alla cattura percorsero 100 Kilometri di zona montana per arrivare ad Asmara. Da qui proseguirono su Massaua dove combattono ….. l’ultima battaglia.

È il primo di Aprile 1941. Su una forza complessiva di 1000 uomini, dopo due mesi di combattimenti ne rimasero incolumi solo 130 mentre oltre 300 furono i caduti.

Giovanna Calissano ricorda… gli amici di Papŕ Citiamo alcuni valorosi Alpini dell’ “Uork Amba” per ricordarne la memoria, come leggiamo nelle note di Giovanna Calissano che è un po’ la nostra guida storica e cronologica: Tenente Colonnello Peluselli, ……… . il Capitano Romeo, ………. il Tenente Luciano Orlando, ………. il Tenente Marcello Bressan, ………. Smaniotto, ………. poi aggiunge………. le diapositive da noi viste in casa di Romeo a Belgirate sono ora in mano di Bressan, ricorda.

Ci è sembrato giusto ricordare alcuni pezzi di storia di quella eroica e sanguinosa, “ultima battaglia”, per la difesa dell’Africa Orientale Italiana con postazioni strategiche prima perdute, poi riconquistate e poi perdute definitivamente.

Tra il 24 febbraio e il 4 marzo gli alpini dell’Uork Amba tennero sia le Cime Biforcute che il monte Panettone. Il 28 febbraio Cheren, Dekameré e Adi Ugri vennero sconvolte dal terrificante bombardamento di tre successive ondate di aerei, e il 4 marzo le truppe d’assalto inglesi occuparono il monte Tetri di dove, nel corso della successiva notte, vennero ricacciati dai carabinieri e dal battaglione Uork Amba che vi era stato prontamente inviato. E il 15 marzo iniziò la nuova terrificante battaglia che vide il sacrificio e l’eroismo degli alpini dell’Uork Amba come pure dei bersaglieri, dei carabinieri, degli artiglieri, granatieri e cavalleggeri, dei genieri e dei fedelissimi ascari. Sui nostri reparti piovvero, in poche ore, oltre 32 mila granate; il combattimento che seguì durò quindici ore, ininterrottamente. Il successivo giorno, 16 marzo, la lotta continuò furibonda e tutti i nostri reparti furono superiori ad ogni elogio. L’Uork Amba, attestato sul Samanna, fu ancora ammirevole. Il sottotenente Bortolo Castellani, da Belluno, cadde meritandosi la medaglia d’oro al valore militare. Anche Pettazzi è nel mezzo di questa bolgia infernale e partecipa a questa impari lotta! Le condizioni di vita durante queste battaglie erano inumane, specialmente per il tanfo e la puzza emanata dai cadaveri dei soldati caduti e dagli animali putrefatti. Il terreno roccioso e il caldo insopportabile non consentivano di scavare delle fosse per seppellirli.

L’articolo del Secolo XIX con la foto del Labaro della sezione di Rapallo dei reduci di Cheren. Era presente tra gli altri la vedova della medaglia d’oro Bruno Brusco. Un telegramma della duchessa Anna d’Aosta, vedova di Amedeo, l’eroe dell’Amba Alagi ricordava la loro inalterata fedeltà e riconoscenza alla memoria del marito.

Sotto: Il sacrario dei Caduti della divisione Cunense al Colle di Nava con la targa dedicata a Pio Viale ucciso in prigionia dagli Inglesi. Uno dei tanti amici che Giuseppe Pettazzi ha perduto durante la guerra in A.O.I. per la difesa di Cheren.

Una ferita alla mano che si infetta salva la vita a Giuseppe Pettazzi

Chissà, viene da domandarsi, se a questo punto prese in mano… “quella pistola” !!! Giuseppe Pettazzi, intorno al 20 Marzo, pochi giorni prima della perdita di Cheren, riporta una ferita alla mano che, invece di guarire, per le disastrose condizioni igieniche, si trasforma in una dolorosa piaga tropicale. Viene trasferito agli ospedali di Elabereth e assistito dal dott. Vandelli e da Zio Miro, che era il Dott. Casimiro Simonetti,

suo cognato avendo sposato la sorella Franca, già in Asmara e a quel tempo crocerossina. all’ospedale di Asmara. Il 17 marzo era caduto il generale Orlando Lorenzini mentre, col cappello

d’alpino in testa, dirigeva l’azione contro il Dologorodoc; alla sua memoria venne conferita la medaglia d’oro. Gli eroismi furono innumerevoli e sovrumani, ma all’alba del 27 marzo i reparti italiani, con l’Uork Amba in retroguardia, lasciarono Cheren:

Cheren era perduta …. per sempre … . era l’inizio della fine! Dopo 56 giorni di combattimenti i no- stri soldati tra Italiani ed Ascari Eritrei a Cheren erano 45 mila e ne morirono 12.147;

21.700 riportarono ferite e mutilazioni; non vi fu un solo disertore italiano né eritreo. Gli alpini dell’Uork Amba erano 916. Dei 21 ufficiali, 5 sono morti e 14 gli spedalizzati; tra i 55 sottufficiali i morti furono 18 e i feriti spedalizzati 26; degli 840 uomini di truppa ne morirono 300; ne vennero ricoverati per ferite 420.

In totale le perdite furono di 783 su 916: l’86 per cento! Dopo essersi attestati ad Ad Teclesan, i pochi alpini rimasti validi raggiunsero Zàzega e, il 31 marzo, l’Asmara; il primo di Aprile passarono per Nefasit e Ghinda e infine a Massaua dove combatterono fino all’8 aprile per la disperata difesa di quella città; i sopravvissuti proseguirono per Decameré ed Agordat per concludere sull’Amba Alagi a fianco degli altri magnifici soldati del Duca d’Aosta.

La vita del Battaglione alpino «Uork Amba», era durata soltanto cinque anni ma rimarrà indelebile nella storia d’Italia. il battaglione aveva lasciato sul terreno, tra morti e feriti, 783 uomini su 916; questo gli valse due medaglie d’oro al valor mi- litare. Con la fine del conflitto in Africa il battaglione fu sciolto.

Per l’esercito inglese fu un grande successo. Nei tre mesi di guerra fece prigionieri oltre 230.000 uomini, anche se in alcune zone la resistenza italiana continuò nei mesi seguenti. In Italia, il bollettino di guerra n.348 del 19 maggio diede la notizia della caduta dell’Amba Alagi e della cattura del Duca d’Aosta e del suo seguito dopo “una resistenza oltre ogni limite”.

Ancora caduti, tutti amici di Pettazzi

Nell’ultima decade di Marzo cadono sulla linea di difesa di Cheren, quota Forcuta, i Sottotenenti Brusco, medaglia d’oro, ….. Bortolo Castellani, medaglia d’oro, …… De Maria, …… Giuseppe Masocco di Agliano d’Asti, …… ..Trealdi, tutti amici di Pettazzi ricordati dalla moglie nel suo piccolo diario che continua, raccontandoci altri preziosi momenti di quelle tragedie.

Dei sei Sottotenenti in linea di combattimento Pettazzi è stato l’unico superstite e si salvò perché ricoverato in ospedale. Il 1 Aprile 1941 cade l’Asmara e il Sottotenente Pettazzi viene fatto prigioniero dagli inglesi nella stessa data. Nonostante tutto, come ripetiamo potè rite- nersi “un fortunato sopravvissuto”.

La guerra per lui è finita e forse dovrà ringraziare quella ferita alla mano, addirittura quella piaga tropicale e il successivo ricovero in ospedale, se ha potuto uscire vivo da quell’inferno!

Sotto: Il cimitero di Cheren dove é sepolto e identificato Bruno Brusco anche lui sottotenente degli Alpini come Pettazzi. Nelladifesa di Cheren, Pettazzi fu l’unico a salvarsi dei sei sottotenenti del Battaglione UORK AMBA.


Sotto: I poco veritieri giornali del Regime Fascista, riportavano spesso notizie del tutto infondate sulla reale situazione in Africa Orientale e non solo. Ma in realtà la difesa di Cheren fu un capitolo di straordinario eroismo da parte del Battaglione UORK AMBA. Il battaglione aveva lasciato sul terreno tra morti e feriti 738 uomini su 916. Questo gli valse due medaglie d’oro al valor militare.

 

Cinque anni di prigionia in India

I primi quattro o cinque mesi da prigioniero degli Inglesi li passa a Kartoum, località Ondurman sul Nilo. Poi viene trasportato in India a Bophal, località bassopiano di Bairahar: campo di stoppie con pioggia, fango, poca acqua. Gli alloggi sono poche tende malconce e strappate piene di buchi. La località di Bophal nel 1984 sarà teatro di una spaventosa tragedia provocata dall’Union Carbide India Ltd filiale indiana dei giganti della chimica americana per una accidentale fuoriuscita di gas altamente tossico. I morti furono tra otto- mila e diecimila secondo il Centro di ricerca medica indiana, oltre venticinquemila, secondo Amnesty International.

L’uccisione di Pio Viale ricordato nel Sacrario di Nava

Quella sera in particolare, nel campo 28, mentre cantavano in gruppo nei pressi dei reticolati, le guardie Inglesi spararono, uccidendo, il Capitano Pio Viale. Nel sacrario dei caduti a Nava, vicino a Pieve di Teco, c’è anche il suo nome, e del Capitano Cesare Rossi. Pettazzi nell’attiguo campo 25 sentì le fucilate e il mattino seguente seppe la notizia. Il cimitero dei campi era a Darham-Salam una località poco lontano.

Fino a tutto il 1943 il sottotenente Pettazzi rimane prigioniero nel campo 28; i campi erano quattro: 25, 26, 27. 28 di 2500 prigionieri ciascuno.

La malaria curata con “pork & soia”

Cinque anni di prigionia in India

I primi quattro o cinque mesi da prigioniero degli Inglesi li passa a Kartoum, località Ondurman sul Nilo. Poi viene trasportato in India a Bophal, località bassopiano di Bairaghar: campo di stoppie con pioggia, fango, poca acqua. Gli alloggi sono poche tende malconce e strappate piene di buchi. La località di Bophal nel 1984 sarà teatro di una spaventosa tragedia provocata dall’Union Carbide India Ltd filiale indiana dei giganti della chimica americana per una accidentale fuoriuscita di gas altamente tossico. I morti furono tra otto- mila e diecimila secondo il Centro di ricerca medica indiana, oltre venticinquemila, secondo Amnesty International.

L’uccisione di Pio Viale ricordato nel Sacrario di Nava

Quella sera in particolare, nel campo 28, mentre cantavano in gruppo nei pressi dei reticolati, le guardie Inglesi spararono, uccidendo, il Capitano Pio Viale. Nel sacrario dei caduti a Nava, vicino a Pieve di Teco, c’è anche il suo nome, e del Capitano Cesare Rossi. Pettazzi nell’attiguo campo 25 sentì le fucilate e il mattino seguente seppe la notizia. Il cimitero dei campi era a Darham-Salam una località poco lontano.

Fino a tutto il 1943 il sottotenente Pettazzi rimane prigioniero nel campo 28; i campi erano quattro: 25, 26, 27. 28 di 2500 prigionieri ciascuno.

La malaria curata con “pork & soia”

Un’altra immagine del Battaglione UORK AMBA al quale l’alpino Pettazzi era molto legato. UORK AMBA in lingua eritrea significa “Montagna d’oro”

L’8 Settembre 43 Pettazzi è a letto con la febbre per la malaria, e conseguente dissenteria bacillare curata con “pork and soia”. Dopo l’otto settembre 1943 per la scissione tra “collaboratori e non cooperatori” Pettazzi viene trasferito al campo 25 riservato ai “non cooperatori”. Sul suo cappello di alpino sono cucite le targhette metalliche di appartenenza al campo 25 e una medaglietta coniata dopo la prigionia con la seguente scritta: “L’ONORE HA PER TESTIMONIO LA PROPRIA COSCIENZA E PER DIFENSORE IL CORAGGIO” – SALO’ 1952 – CAMPO 25 – NON COOPERATORI”. La sua coerenza, evidentemente non venne mai meno né durante la prigionia, né dopo.

La vita è molto dura in India, non ultima l’inedia del prigioniero che vive soltanto nella speranza della fine della guerra e della conseguente liberazione. E’ una debilitazione morale spa- ventosa oltre che fisica per la scarsità di cibo, di acqua, di confort e non meno importante di affetti.

La guerra finisce in Europa il 25 aprile 1945 ma per quei prigionieri di liberazione non se ne parla. Eppure con una radio clandestina, ascoltata di nascosto, i prigionieri lo sanno che la guerra è finita. Ma le proteste sono inutili. Nel 1946, Pettazzi e le altre migliaia di Italiani sono ancora prigionieri anche se le restrizioni vengono un po’ allentate. Evidentemente quei prigionieri sono dimenticati dal governo italiano che stenta a riprendere le fila della normalità anche in patria. Il 25 Aprile 1946, ad un anno esatto della fine della guerra, per un’ultima volta gli viene ancora ostinatamente richiesta la firma se confermava “fedeltà alla monarchia o ai badogliani o alla Repubblica Sociale”.

 

Tutto il campo 25 restò fedele alla Repubblica Sociale Italiana mentre chi non le confermava fedeltà, le cosidette “maddalene”, passarono nei campi “badogliani”, in una parola, nel campo dei traditori. Gli americani, dopo l’otto Settembre del 43 coniarono addirittura un nuovo verbo: “to badogliate” col significato di “tradire e tergiversare, in una parola essere inaffidabile”. Il riferimento ai comportamenti del Maresciallo Badoglio era più che evidente.

25 Dicembre 1946 – Il prigioniero di guerra n. 87.418 torna a casa

Finalmente, ai primi di Dicembre del 1946 viene comunicato che il rimpatrio sarà effettuato tra pochi giorni. Il 13 Di- cembre 1946, finalmente, trasferimento a Bombay dove avvenne la partenza su una nave trasporto truppa il “Tamaroa”. Navigazione da Bombay a Napoli con vitto di broda e gallette; qualche cipolla elargita dagli indiani, alloggiamenti qualche amaca, brande a castello, per i più il nudo pavimento.

Tutti vengono sbarcati a Napoli il 22 Dicembre 1946. Poi trasferiti a Roma il 23 in pantaloni di tela e cappotto verde- violento con una toppa romboidale nera sulla schiena per indicare la posizione dell’individuo che la portava, cioè il “prigioniero di guerra”. Il “darry”, parola indiana che era il nome di un piccolo stuoino, dove venivano raccolti anche gli effetti personali, più una piccola cassetta di legno con nome, cognome e “P.O.W.” cioè:

Prisoner of war “prigioniero di guerra numero 87.418” – Altezza 1,87 – Peso 50 Kg.

A Roma subisce poi l’interrogatorio per le generalità di appartenenza al reparto e altre notizie sulle circostanze della cattura da parte degli Inglesi e conseguente prigionia. Viaggio da Roma a Rocchetta Tanaro nei disastrati treni di quel tempo. Finalmente, il 25 dicembre 1946 arriva a casa. Era alto un metro e ottantacinque cm. e pesava soltanto 50 Kilogrammi!

Dopo un po’ di giorni di ambientamento e di buona cucina piemontese, sotto lo stretto controllo alimentare del dottor Casimiro Simonetti, di Zio Miro, quel sogno che lo aveva accompagnato per tanti anni finalmente si realizza. Giovanna Calissano, già viveva a Rapallo dove insegnava lettere al Collegio delle suore Orsoline, che era lo stesso istituto che aveva frequentato da bambina.

Il coronamento di un sogno

Sabato 25 Gennaio 1947, Giuseppe Pettazzi “finalmente”, si incontra con Giovanna Calissano proprio a Rapallo, che diventerà la loro città di adozione. …dopo avermi scritto una lettera ai primi dello stesso mese… annota lei! Il 3 Settembre 1947 Giuseppe Pettazzi e Giovanna Calissano si sposano a Rapallo nella stessa Chiesa delle Suore Orsoline. Il matrimonio viene celebrato dal Cardinale Siri di Genova che era stato professore di Religione e preparatore spirituale di Giovanna durante tutti gli anni dell’Università. Il cardinale fu ben lieto di celebrare il matrimonio, ma come unica condizione aveva richiesto che fosse officiato in forma strettamente privata alle ore sette del mattino. Sempre dal piccolo diario leggiamo …..raggiungimento di un sogno lungamente e segretamente accarezzato…

Un orologio …. da caricare sempre …..

E’ sempre Giovanna Calissano che scrive: Guido Rovaro Brizzi, geometra che lavorò con Papà, prima di morire in ospedale durante la prigionia volle consegnare a Papà il suo orologio pregandolo di portarlo ai suoi genitori. Appena tornato in patria Papà li cercò e andò a consegnare l’orologio: ma essi vollero che lo conservasse lui. E Papà lo portò sempre al polso…. Ed io continuo a caricarlo….fatelo anche voi….rivolgendosi ovviamente ai figli…..

Rapallini di adozione …. Non più “foresti”

Giuseppe Pettazzi e Giovanna Calissano riprendono faticosamente la vita normale e diventano entrambi Rapallini di adozione. A Nava vicino a Pieve di Teco, hanno la loro casa di campagna che sarà la meta estiva, per tanti anni, di felicissime e indimenticabili vacanze con i figli piccoli ai quali cerca di insegnare certi valori e soprattutto l’amore per la montagna perché dentro, è rimasto un …. “Alpino”, Un alpino del Battaglione UORK AMBA.

Rimangono sposati per ben 54 anni. Nel dopoguerra, col suo cappello da Alpino acquistato in Adis Abeba, lacerato da una pallottola il cui strappo è stato malamente rammendato, Giuseppe Pettazzi non manca mai alle adunate annuali del suo corpo. Anzi nel 1965 organizza a Rapallo una riunione dei “Reduci di Cheren” e così continuerà a portare rispetto alla sua Bandiera e al corpo degli Alpini. Con orgoglio sfila per le vie delle città nei raduni che si susseguono in tutta Italia, ogni anno. A Vicenza nel 1991 durante il 64mo raduno il Battaglione UORK AMBA sfila per la città con un suo striscione in ricordo soprattutto dei caduti e di quei valori di Patria che lui non ha mai dimenticato. Pettazzi è là, nel mezzo, il più alto tra tutti, a reggere questo ultimo lembo di storia, di valori, di eroismo.

Sotto: la casa di campagna al Colle di Nava, a circa 1000 metri di altitudine, sarà per molti anni meta di felici e indimenticabili vacanze dei coniugi Pettazzi con i quattro figli piccoli. Il secondogenito Ubaldo ne continua la cura e la manutenzione, molto impegnativa, data anche la notevole estensione del terreno circostante.

 

I reduci di Cheren sfilano a Vicenza nel Maggio del 1991. Giuseppe Pettazzi é al centro, il quinto da destra che con orgoglio indossa ancora il suo cappello da Alpino.

BATTAGLIONE ALPINI UORK AMBA: Avendo in programma la guerra d’Etiopia, il 31 dicembre del 1935 il Comando Generale dell’esercito costituì la 5a Divisione Alpina Pusteria, formata da due reggimenti alpini, uno di artiglieria e due battaglioni strutturati, oltre a una compagnia mista genio. L’anno dopo, nel corso della battaglia del Tembien, il 7° Battaglione, guidato dal tenente colonnello Ferdinando Casa, ebbe un ruolo di primordine nella conquista del massiccio dell’Uork Amba (“Montagna d’oro”) e da allora fu chiamato “Battaglione Alpini Uork Amba”. Alla fine delle ostilità, i componenti del battaglione prolungarono la ferma e furono integrati con altri complementi provenienti dall’ltalia: fu l’unica unità alpina in Africa Orientale. Con la fine del conflitto in Africa il battaglione fu sciolto.

Dal matrimonio sono nati 4 Figli: Cecilia (nata nel 1948), Ubaldo (nel 1950), Simonetta (nel 1954) e Metella (nel 1959). Poi nasceranno anche ben 8 nipoti: Francesco e Matteo, Chiara e Federica, Alessandro, Letizia, Raffaele e Laura. Giuseppe Pettazzi scompare a Rapallo l’8 di Ottobre 2001. La moglie, Giovanna Calissano lo segue l’8 di gennaio 2007. Entrambi sono sepolti a Rocchetta Tanaro; sono tornati là dove si erano in contrati tanto tempo prima, nel 1939, là dove era nato, in pochi attimi, un sentimento che durò tutta una vita. Era bastato uno sguardo! Per tanti anni si erano scritti e moltissime lettere non arrivarono mai a destinazione ma molte recuperate furono sempre conservate e custodite come un prezioso tesoro: sulla busta che le conteneva c’era scritto …“nostro lungo quotidiano epistolario che sarà con noi e solo per noi per sempre”!… Giovanna Calissano in Pettazzi è stata sepolta con le “sue lettere” raccolte in una “bustina rossa” …. Entrambi ora, riposano in pace …. uniti per sempre… Nella documentazione, il cui contenuto, mal destramente cerchiamo di consegnare a chi gli ha voluto bene e perché no, alla storia, troviamo spesso dei bigliettini scritti dalla signora Giovanna Calissano in Pettazzi …. perchè i miei figli ricordino!

Sotto: La famiglia di Giuseppe Pettazzi e Giovanna Calissano, al completo con i quattro figli, nel giorno della prima comunione di Simonetta. Da sinistra Ubaldo, Simonetta, Giovanna Calissano, il vescovo di Chiavari Francesco Marchesani con davanti Metella, Franca Pettazzi, Giuseppe Pettazzi, Cecilia e un comunicando compagno di Simonetta. Franca Pettazzi, sorella di Giuseppe, 1939 si recò come crocerossina, dove conobbe e sposò il dottore Casimiro Simonetti (zio Miro), medico radiologo.

 

 

In punta di piedi, con rispetto, speriamo di avere esaudito il suo desiderio.

Ernani Andreatta con la consulenza di Simonetta Pettazzi Immagini di Famiglia Pettazzi, Ernani Andreatta e Luigi Frugone Bibliografia: Documentazione fornita dalla Famiglia Pettazzi

Sulla vita di Giuseppe Pettazzi sono disponibili anche due DVD del Museo Marinaro “Tommasino-Andreatta” di Chiavari con filmati storici dell’epoca e le voci narranti di: Stefano Schiappacasse, Barbara Bernabò e Nicola De Gregorio.

 

DAL VOLUME DI ARRIGO PETACCO

“QUELLI CHE DISSERO NO” (Ed. Mondadori)

Per informazioni: andreattaernani@libero.it – tel. 335 392.601

L’8 settembre 1943, quando dopo 1201 giorni di guerra il maresciallo Pietro Badoglio annunciò la firma dell’armistizio con gli Alleati, circa seicentomila soldati italiani si trovavano rinchiusi nei campi di prigionia che inglesi e americani avevano allestito in varie nazioni del mondo, dall’Egitto all’Algeria, dalla Palestina al Kenya, dal Sudafrica all’India, e persino alle Hawaii.

“Ma tu con chi stai, con il duce o con il re?” Fu il dilemma di fronte al quale si trovarono i nostri soldati, colti di sorpresa dall’annuncio della resa senza condizioni accettata dall’Italia e dalla conseguente fuga di Vittorio Emanuele III a Brindisi: dopo avere combattuto per anni contro un nemico preciso e riconosciuto, bisognava scegliere, all’improvviso, se passare o no dall’altra parte della trincea. Di questa massa enorme di giovani una cospicua minoranza scelse di non “tradire”, ma gli storici, sia per la scarsità delle fonti ufficiali sia per la “delicatezza” politica dell’argomento, non se ne sono occupati che in maniera superficiale: ancora oggi, gran parte delle notizie utili a una ricostruzione di quegli anni ci giungono da pagine autobiografiche o dai resoconti memorialistici dei protagonisti. Molti dei quali, avendo risposto di no al- l’appello di Badoglio a rientrare in patria, anche per non subire odiose discriminazioni, preferirono il silenzio.

Pochissimi libri restituiscono voce e memoria ad alcuni di loro. Uno di questi uomini che dissero “no” fu Giuseppe Pettazzi che noi abbiamo voluto ricordare raccontandone la storia e le circostanze in cui si trovò coinvolto.

ERNANI ANDREATTA – Simonetta Pettazzi e famiglia

Rapallo, 4 Agosto 2017

webmaster Carlo Gatti