La BATTAGLIA NAVALE DI RAPALLO

Luglio 1495


di Pier Luigi Benatti

La ricerca dello storico rapallese Pier Luigi Benatti riporta alla luce, con grande dovizia di particolari, la battaglia di Rapallo a 500 anni di distanza e prende le mosse da una lettera ducale milanese per finire ad una palla di cannone infissa nello stipite di una porta del principale castello di Napoli.

“Dux Mediolani etc. Venerabiles et dilecti nostri.

In questa hora havemo hauto da Genua l’aviso che l’armata nostra nel golfo de Rapallo ha preso l’armata francese tuta, in modo che non scampato homo; et sono in epsa tra li altri presoni Monsignore de Miolans et trecento boche dela più bella artiglieria che maj sij veduta. La quale presa, stabiliendo quello che é facto per terra contra francesi alla liberatione di Italia, ne lassa obligo grandissimo alla clemenza divina; sì carico de farne signi pubblici de letitia et processione universsale per ringraziare Dio datore dela victoria, et però volemo che ordinate che si faciano le processioni et segni publici de letitia secondo il modo consueto. Mediolani 15 julij 1495.”

E’ questo, come a suo tempo rilevò l’indimenticabile Gian Luigi Barni, il testo, compreso nel regesto delle lettere ducali del periodo sforzesco, che ci fa apprendere con quale eco d’esaltazione pervenne a Milano la notizia della grande vittoria riportata nelle acque del nostro golfo dalla flotta genovese schierata con il duca Ludovico Sforza detto il Moro. Ne risultavano soccombenti le navi francesi del re Carlo VIII, il quale, l’anno precedente, aveva percorso da conquistatore l’intera penisola con tale facilità che l’operazione venne definita da Guicciardini come “guerra veloce” e, da altri più coloritamente, come “guerra del gesso” dato che l’impegno maggiore era risultato quello dell’intendenza dell’esercito d’oltre alpe di segnare, col gesso appunto, le case destinate agli alloggiamenti della truppa.

Lo storico Michele Giuseppe Canale così descrive la potente armata francese:

“Era l’esercito francese composto di dugento gentiluomini della guardia reale, in tutto mille cavalli, mille seicento uomini d’arme, de’ quali ciascuno avea, secondo l’uso francese, due arcieri, in modo che sei cavalli sotto ogni lancia si comprendevano; seimila fanti Svizzeri; seimila fanti del regno di Francia, dei quali la metà della provincia di Guascogna; unita a questo esercito andava quantità grande di artiglierie da battere le muraglie e da usare in campagna, che per via di mare si erano in Genova trasportate.”

Ma, anche se non é agevole, vediamo di illustrare i dettagli di un avvenimento bellico legato al nome della nostra città.

Si tratta di una pagina di storia riguardante un convulso periodo di vicende intricate che vedono l’Italia divenire “terra di conquista” per lo straniero a motivo delle insanabili lotte fratricide che tormentano gli staterelli e minano i governi locali.

Mentre Cristoforo Colombo, al termine della sua esaltante avventura oltre oceano, pone il piede sulle spiagge del Nuovo Mondo ed innalza il vessillo dei re di Spagna Ferdinando e Isabella, Genova, travagliata dai sanguinosi contrasti fra gli Adorno ed i Fregoso coi rispettivi seguaci, é finita sotto il potere di Ludovico Maria Sforza, detto “Il Moro” non per particolari caratteristiche fisiche, come si penserebbe, ma per il soprannome datogli dal padre Francesco I Sforza, con allusione al gelso (detto in dialetto “Moron”) da poco introdotto in Lombardia e considerato simbolo di prudenza.

Ma Ludovico, come la storia andrà a dimostrare, più che esercitare la virtù della prudenza, al pari di tanti principi del suo tempo, si distinguerà per una disinvolta ambiguità e per una politica ispirata alla spregiudicatezza tali che, alla fine, lo porteranno a perdere ogni potere ed a morire in prigionia su suolo francese. A temperare un giudizio estremamente negativo, grazie anche alla presenza della di lui sposa Beatrice d’Este, resterà tuttavia quel mecenatismo per le arti che caratterizzerà la sua corte e vedrà il suo culmine nella presenza del Bramante e, ancor più, di Leonardo. Al nostro Ludovico si attribuisce un ruolo rilevante nel convincere il ventitreenne re Carlo VIII a trascurare le molteplici pressioni rilevabili ai confini della Francia per avventurarsi nell’impresa finalizzata alla conquista del Regno di Napoli, facendo pretesto dei vantati diritti angioini, ma col più prosaico scopo di procurarsi ricchezze facili con la forza di un’armata formidabile.

Nel 1494, Genova, soggetta alla signoria di Milano, viene scelta come abbiamo visto a base marittima di partenza per la spedizione verso Napoli e qui si concentrano tremila mercenari svizzeri, guidati dal Duca d’Orleans (il futuro Re Luigi XII) ed altrettanti soldati messi a disposizione da Ludovico il Moro. I banchieri Sauli si danno poi carico di allestire la flotta occorrente, con un prestito di 95.000 ducati, nell’illusoria prospettiva, fatta balenare dal re francese, di imprese verso l’oriente col conseguente recupero di basi commerciali e delle colonie un tempo possedute. Al giungere di queste notizie, in campo avverso, si tenta di correre ai ripari con sollecitudine. Federico d’Aragona, fratello del re Alfonso II di Napoli, con le proprie navi, sulle quali si trovano gli immancabili fuoriusciti Obietto Fieschi ed il cardinale Paolo Fregoso, si porta a Spezia nel tentativo d’impadronirsi di Portovenere e fomentare la rivolta.

Genova – Il porto nel 1493

La flotta però, dato l’impari rapporto di forze, evita lo scontro e avvia le operazioni a terra. Gli armati si portano così sino a Rapallo, dove si trincerano, e tentano penetrazioni sino a Recco.

Rapallo – Porta delle Saline

Rapallo – Antico ponte romanico detto di ‘Annibale’

Nei pressi della porta delle Saline e dell’antico ponte sul torrente Bogo (quello che solo nell’Ottocento sarà detto d’Annibale) il 5 settembre di quel 1494 avviene lo scontro con gli svizzeri del Duca d’Orleans ed i seguaci degli Adorno. I napoletani sono travolti. Un centinaio rimane sul campo, molti sono feriti, e solo pochi riescono a fuggire sui monti evitando d’esser fatti prigionieri.

Questa la descrizione che degli avvenimenti dà lo storico Canale:

“ dapprima gli Aragonesi protetti dal vantaggio del sito avevano tenuto discosti i Francesi, ma il sopraggiungere degli uomini degli Adorni, e la paura di essere attaccati alle spalle da Gian Luigi del Fiesco, li avea obbligati precipitosamente alla fuga, colla morte di più di 200, e la cattività della maggior parte, fra i quali di Giulio Orsino, Fregosino figlio del Cardinale Paolo, e Rolandino Fregosi; Obbietto amato da quei di Rapallo era stato fatto coi figliuoli fuggire, fuggendo per monti e valli venia spogliato tre volte; voltosi ad Orlandino, ebbe a dirgli ridendo: sarà bene, figliuolo mio, che camminiamo nudi come Adamo affinché per cupidità delle nostre vesti, niuno più le ci spogli”.

Terribile appendice del combattimento, come registrano inorriditi gli storici dell’epoca, é il massacro che i mercenari svizzeri perpetrano nell’ospedale di S.Antonio (l’edificio oggi adibito a Municipio). Vengono passati a fil di spada una cinquantina di degenti ed il borgo viene saccheggiato forse perché si volle imputare ai rapallesi di aver parteggiato per i Napoletani essendosi questi barricati in Rapallo.

Napoli- Maschio Angioino

Fallisce così il tentativo di Re Alfonso II di bloccare in alta Italia l’armata di Carlo VIII che,  con un numeroso esercito e poderose artiglierie, si é avviato a compiere la sua “passeggiata” sino a Napoli preferendo la via di terra a quella maggiormente insicura del mare. Il 12 Maggio 1495 egli entra trionfalmente in Napoli lasciata precipitosamente dal nuovo re Ferdinando II, succeduto ad Alfonso II dopo la di lui abdicazione ed il ritiro in un convento in Sicilia. Ed é lì che il giovane Andrea Doria, militante con gli aragonesi, vorrebbe, almeno a parole, seguirlo, venendone distolto con un abbraccio d’addio un po’ melodrammatico nel racconto del cronista.

Re Carlo VIII dovrà ben presto constatare come la sua conquista sia del tutto effimera per l’impatto da essa suscitato nelle potenze d’allora, per il facile mutare di alleanze ed il sorgere di nuovi interessi.

L’indifendibilità della sua posizione, lo convince a riunire le proprie forze per avviarsi a risalire la penisola lasciando presidi, ma non tralascia di mandare a compimento quelle razzie che erano state ragione di tutta l’avventura.

Nel bottino, raccolto a man bassa, figurano anche le artistiche porte in bronzo di Castel Nuovo (quello che impropriamente viene anche detto “Maschio Angioino”), porte delle quali riparleremo fra breve. Una cronaca leccese del tempo, infatti registra che a perpetua memoria della sua vittoria il re “mandò in Parigi le porte di metallo del Castel Nuovo”, e Domenico Malipiero, nei suoi annali veneti, conferma che “el re de Franza ha fatto levar le porte de bronzo del Castel de Napoli e per via di Pisa le ha mandate in Francia in segno di vittoria”.

Napoli – Maschio Angioino, Porta di Castel Nuovo.

Notare le ferite inferte dalle cannonate all’opera d’arte durante la battaglia appena descritta.

Traccia di questa asportazione si trova anche in una lettera al Marchese Gonzaga del 15 aprile 1495 ove si legge: “Vostra Signoria deve sapere che la maestà del signor Re Ferrante aveva fatto fare nel Castello nuovo due porte di bronzo istoriate e costui (Carlo VIII) le ha fatto torre e guastar e caricar per condur via.”

A tappe forzate l’esercito francese percorre a ritroso la via che lo aveva condotto in Campania e lascia lungo il percorso terra bruciata e quel “mal francese” o “mal napoletano” (a seconda delle ottiche di parte), che la scienza chiamerà sifilide e diverrà una piaga inesorabile per i secoli successivi. Superato l’appennino, il 6 luglio 1495 a Fornovo avviene l’unico vero scontro dei francesi con le forze messe in campo dalla Lega che si é costituita contro Carlo VIII e che annovera Ferdinando di Spagna, Venezia, il Pontefice, Massimiliano d’Asburgo, signore di Trieste e Fiume, il Re d’Inghilterra e quel Ludovico il Moro che ha fiutato l’opportunità di una più redditizia diversa scelta di campo con il conseguente indotto dello spostamento antifrancese di Genova.

Ciò che di lì a poco accadrà nelle acque del nostro golfo ne sarà la diretta conseguenza. Mentre, superato l’unico ostacolo, Carlo VIII rientra alla “base”, da Napoli al comando di Monsignor Luigi de Miolans, ciambellano del Re di Francia e governatore del Delfinato, é ripartita una grande flotta costituita di 7 galere, 2 fuste, 1 brigantino e 2 galeoni in parte fatti giungere da Marsiglia per caricare il prezioso bottino raccolto.

Queste  unità, risalendo il Tirreno, giungono nel golfo di La Spezia ma non possono sfuggire all’avvistamento della flotta della Serenissima che dispone di 9 galere e 4 navi grosse al comando di Francesco Spinola (anche egli soprannominato “Il Moro”) e di Fabrizio Giustiniani (a sua volta detto “Il gobbo”).

Golfo Tigullio – Teatro della Battaglia di Rapallo del 1495

Dopo aver inutilmente tentato di occupare, calando milizie, il castello di Sestri e quello di Portofino, la flotta francese, sempre seguita ad un tiro di balestra dalle navi genovesi, dirige verso la rada di Rapallo sapendo che nel borgo é attestato un presidio amico e che altre forze si stanno portando sino ad Albaro e nella Valle Polcevera in attesa di rinforzi che Battista Fregoso dovrebbe inviare da Asti. Me nella notte di quell’imprecisato giorno di luglio (12 o 13?), col favore del vento, in quattro ore Gian Ludovico Fieschi e Giovanni Adorno su dodici triremi (che erano galee con tre uomini per ciascun remo) e altre imbarcazioni trasferiscono a Rapallo seicento soldati nel massimo silenzio.

Il presidio francese viene sopraffatto e si piazzano sentinelle lungo tutta la costa. Prima del sorgere del sole poi, la squadra genovese di Francesco Spinola entra nel golfo di Rapallo ed attacca di sorpresa con le artiglierie le navi francesi che si apprestano, accostate verso la riva, a mettere a terra le truppe trasportate. Lo scontro navale é breve ma intenso ed avviene molto all’interno del nostro golfo dinanzi agli occhi stupiti dei religiosi della Cervara che ne registrano testimonianze. Entrano in azione i pezzi d’artiglieria e le unità francesi, colpite da più parti, vengono poi assaltate e debbono arrendersi.

Tra i numerosissimi prigionieri, oltre al comandante Luigi de Miolans, figura anche il nobile Stefano de Nevès di Montpellier.

Francesco Guicciardini nella “Historia d’Italia” così racconta gli avvenimenti che ci interessano:

indirizzò a Rapallo, il qual luogo, facilmente occupò, ma uscite dal porto di Genova una armata di otto galee sottili, d’una caracca, e di due barche biscaine, pose di notte in terra settecento fanti, i quali senza difficoltà presero il Borgo di Rapallo con la guardia di Francesi, che v’era dentro, e accostati poi all’armata Francese, che s’era ritirata nel golfo dopo lungo combattere presono, e abbruciarono tutti i legni, restando prigione il capitano, e fatti più famosi con questa vittoria quei luoghi medesimi,  né quali l’anno precedente erano rotti gli Aragonesi. Ne fu questa avversità de’ Francesi ristorata da quegli, che erano andati per terra, perché condotti per la Riviera Orientale insino in Valdibisagna, e a Borghi di Genova, trovandosi ingannati dalla speranza, che aveano conceputa, che in Genova, si facesse tumulto, e intesa la perdita dell’armata, passarono quasi fuggendo per la via de’ monti…”.

E qui tornano in scena le famose porte in bronzo di Castel Nuovo. Esse, infatti, data la loro mole e per il peso, erano state sistemate, inclinate e con la parte interna verso le sovrastrutture della tolda dei galeoni, appoggiate, per il necessario bilanciamento, agli alberi per le velature in modo che, senza impedire i movimenti a bordo, costituivano due autentiche paratie protettive.

Non fa meraviglia, quindi, se alcune cannonate le presero in pieno, come testimoniano le tracce che il Ferretto, storico rapallese, negli anni Venti scrive così essere rilevabili: una palla, del diametro di circa 12 centimetri, che era il calibro consueto delle bombarde da nave, rimane infissa nella porta di sinistra per chi entra nel Castello, mentre nella stessa altri segni confermano i colpi giunti nel riquadro centrale e nella cornice del riquadro superiore triangolare. Nell’altra porta il colpo buca la cornice interna del riquadro inferiore.

Le porte saranno restituite dai Genovesi a Napoli forse utilizzando le navi grosse “Galiana”, di 3000 botti di stazza e la “Camilla” che il 6 novembre 1495 venero inviate al re Ferdinando II d’Aragona detto Ferrandino, per aiutarlo nell’assedio che ora egli aveva posto al Castel Nuovo ove s’era asseragliato l’ultimo presidio francese.

Assedio che giungerà a termine venti giorni dopo, consentendo la ricollocazione nella loro sede originaria delle porte che al visitatore non informato presentano l’incognita della palla infissa nel battente interno come se il colpo fosse stato sparato dal cortile… Ma torniamo all’esito della battaglia navale di Rapallo.

Il bottino fatto dai Genovesi fu rilevante e per certi aspetti anche sorprendente.

Il cronista veneziano Marin Sanudo nella sua opera “La spedizione di Carlo VIII in Italia” registra: “ Al dì 17 luio de mattina, per lettera del 13 di Zenoa del secretario nostro se intese come l’armada franzese de legni 12 tra galie e galioni e barze era stata presa, sopra la qual avea trovato, oltra li butini che fanno assà, bocche 300 di artelaie, 400 botte di polvere, le porte scee di Castel Nuovo di Napoli, le qual costano ducati 20 mila ut dicitur; etiam 200 donne tra donzelle et altre giovane, licet de franzesi fussero state già tastate, le qual fo quelle tolsero a Gaeta et ancora 20 monache qual essi franzesi nemavan in Franza”. Conclude poi dicendo: “I genovesi vadagnò per questa impresa più de ducati 100 milia, ultra gli legni e le artelarie”.

Gli fa eco il già ricordato cronista veneto Domenico Malipiero: “Zenoesi ha abuo le galie e i altri navilii de francesi. Ghe é sta trovà su cerca tresento donne zovene, moneghe, parte da Napoli, parte da Gaeta, e 200 pezzi d’ortelaria che era a quella in Castel Nuovo di Napoli, e costò a quel re 20.000 ducati, 400 bote de polvere, e altre spogie per gran vagiuda”.

Uberto Foglietta, storico genovese, a sua volta informa: “La preda fu grande, sicché arricchì non solamente i soldati e i marinai, ma ancora i capitani”.

E aggiunge che a Francesco Spinola toccarono “quasi tutte le ricchissime spoglie napoletane destinate ad andare in Francia”.

Nei suoi Annali di Genova, Agostino Giustiniani (una delle figure di spicco per Rapallo sua patria d’origine) racconta che Andrea Giustiniani ebbe gran parte del galeone ch’egli aveva catturato, mentre Francesco Spinola, con i denari ricavati dalla notevole preda, finanziò i lavori in fase di realizzazione della Chiesa dell’Annunziata in Pammatone in Genova e, in particolare, la grande vetrata artistica.

Mentre é agevole pensare che le “200 donzelle” e le religiose dopo una così terribile esperienza avranno potuto fare ritorno alla loro città d’origine, é altrettanto facile presumere che fra gli introiti a bilancio vadano inseriti anche i riscatti pretesi per la liberazione degli illustri prigionieri.

Ci é noto, per esempio, che per il riscatto di Monsignore di Miolans Obietto Fieschi avviò una trattativa sulla base di diecimila ducati. Per qualcuno, sicuramente, il soggiorno forzato in Genova dovette protrarsi malgrado le clausole inserite nell’atto di pace separata, firmato fra Carlo VIII e Ludovico Moro, a Vercelli nel novembre di quello stesso anno 1495 con grande irritazione soprattutto di Venezia. Nel trattato si parla infatti della restituzione delle navi catturate a Rapallo e della liberazione dei prigionieri. Ma i Genovesi, adusi ormai ai rapidi voltafaccia dello Sforza, temporeggiando da maestri e così il calendario darà loro ragione assieme… alla preda. Questi, quindi, gli esiti della battaglia navale (ma, come abbiamo visto, anche in parte terrestre) di Rapallo di mezzo millennio addietro. Un episodio che non ebbe decisivi riflessi sulle vicende europee, ma che sicuramente obbligò ad inserire il nome della nostra città nei libri di storia. In quegli stessi testi, poi a distanza di secoli, Rapallo farà nuovamente capolino e questa volta per motivi “pacifici”. L’occasione sarà data dai Trattati di Rapallo del 1920 e 1922, nell’intervallo fra la prima e la seconda guerra mondiale.

In quanto ai due maggiori protagonisti, il destino li collegherà a due castelli.

Carlo VIII, tre anni dopo la battaglia navale di Rapallo, dopo 9 ore di agonia troverà banalmente la morte essendo andato a battere violentemente il capo nell’architrave di una porta troppo bassa nel castello di Amboise. Ludovico il Moro, a sua volta, nel 1500 conoscerà l’amarezza del tradimento degli ottomila svizzeri assoldati e a Novara verrà fatto prigioniero finendo nel castello di Loches in Turenna, nella Francia bagnata dalla Loira, e qui, dopo otto anni, incontrerà la morte.

Per il suo castello Rapallo, invece, dovrà attendere più di mezzo secolo e, prima, conoscere la poco gradita visita di quel Dragut che, all’alba del 4 luglio 1549, giungerà nella baia che aveva visto contrapposte le prore di Francia e della Superba in quel luglio di 500 anni or sono.

Le foto inserite a cura del webmaster C.G.

Rapallo, 20.06.12