IL BRIGANTINO ITALIA

NAUFRAGIO A

TRISTAN DA CUNHA

Uno scoglio nell’Oceano, tante storie nei secoli scritte dagli uomini e dagli Alisei

Gli Alisei sono Venti Costanti che spirano mediamente a 29 Km/h sulla fascia equatoriale e tropicale compresa fra le latitudini  30° nord e 30° sud.

Tristan da Cunha

(lat.=37°03”Sud – long.=12°18’Ovest) è un remoto gruppo di isole nell’Oceano Atlantico meridionale, distante 2816 km dal Sud Africa e 3360 km dal Sud America. Appartiene al territorio britannico d’oltremare dell’altrettanto famosa isola di Sant’Elena, situata 2161 km più a nord.


Le frecce a Nord e Sud dell’equatore indicano la direzione degli  Alisei

Siamo partiti da due annotazioni geografiche per entrare “con scienza e coscienza” in quel mondo velico che ci siamo lasciati alle spalle ormai da un secolo, ma che affiora talvolta con le sue storie umane che non lasciano spazio alla fantasia, perché vivono e si tramandano nel tempo soffiate, appunto, dagli Alisei. La posizione di Tristan da Cunha assomiglia alla boa di un campo di gara velico. Da lì si deve passare per far rotta verso l’Australia, oppure, nella direzione opposta verso l’Europa e le Americhe. Proprio da quelle parti avviene il magico incontro con l’Aliseo di Sud-Est per chi sale, oppure l’impoppata dei venti occidentali di Capo Horn per chi é diretto a levante. Dalle pareti a picco di Tristan da Cunha sgorgano numerose e limpide cascate per rifornirsi d’acqua, ma c’è pure una sparuta comunità che vende aragoste e pelle di foca. Andando indietro nel tempo, su quello scoglio sperduto c’era una guarnigione inglese che aveva l’ordine di controllare la prigionia di Napoleone a S. Elena. Il sergente Glass non rientrò mai più in Inghilterra e là rimase per sempre con la moglie e 16 figli. Ma Tristan da Cunha è anche storia di secoli di pirateria che intercettava i lenti galeoni del ‘500, ma anche i veloci velieri dei secoli successivi. Le segnalazioni delle vedette appostate sulle alture del vulcano, alto ben 2062 metri, davano una giornata di vantaggio ai pirati per organizzare l’agguato, l’assassinio dell’ignaro equipaggio, la rapina del bastimento e del suo carico. Ma la storia che stiamo per raccontare riguarda un naufragio avvenuto a Tristan da Cunha nel 1892 e che si concluse con la perdita del veliero ITALIA. Costruito a Varazze nel 1882, il veliero era famoso per le sue linee eleganti e la sua solidità. Aveva una portata lorda di 1600 tonnellate e 17 uomini d’equipaggio, oltre metà erano camoglini e rivieraschi, il restante di Grottammare (Ascoli P.)

Capitan Rolando Perasso di Chiavari ed il brigantino a palo ITALIA costruito nei Cantieri di Varazze per L’Armatore Dall’Orso di Chiavari nel 1892

Il brigantino a palo ITALIA, al comando del cap. Rolando Perasso di Chiavari, partì da Greenock (Scozia) il 3.8.1892 con un carico di carbone diretto alle Indie, via Capo di Buona Speranza. Navigò sfruttando gli Alisei e giunse senza problemi nelle acque sub-equatoriali. I marinai aprivano regolarmente i boccaporti di mezzana e trinchetto per arieggiare le stive colme di carbone che era stato, peraltro, imbarcato molto asciutto. La mattina del 28 settembre, con grande sorpresa, il nostromo percepì un debole odore di gas provenire dalla stiva di prua. Dopo tre giorni d’incessanti controlli all’interno delle  stive, il segnale ricomparve insieme a qualche nuvoletta di fumo sempre più denso, ma le murate e i gavoni non manifestavano alcun aumento di temperatura. Il comandante fece sarchiare il carico nella stiva sospetta nel tentativo di scoprirne il focolaio per poterlo estinguere. Ma il fuoco era troppo basso, esteso per chiglia e la crescente temperatura impediva ormai qualsiasi avvicinamento. Il 2 ottobre il brigantino si trovava a 160 miglia a Nord di Tristan e, spinto da un buon vento di grecale (NE), navigava a vele gonfie con la speranza di raggiungere un approdo. Ma la situazione andò via via peggiorando. L’aumento del calore e la presenza diffusa del gas investivano ormai tutta la coperta. Verso le 23.00 ci fu una detonazione a centro nave che provocò l’espulsione delle boccaporte (chiusura superiore delle stive) di maestra e mezzana. La navigazione già critica si trasformò in vera emergenza.  Cap. Perasso radunò l’equipaggio sul ponte e fece imbrogliare (ridurre) le vele di maestra e i velacci. Il cielo era completamente coperto e la navigazione  procedeva pertanto stimata. Dalle coffe degli alberi le vedette esploravano le acque circostanti, ma un’insistente foschia limitava la visibilità a meno di un miglio. L’incontro con numerosi banchi di alghe tropicali indicava che Tristan era vicina, e ciò attenuò l’ansia dell’equipaggio.  Ma dov’era? Si stavano avvicinando o allontanando da essa? La speranza aggrappata alle sartie del brigantino era l’unica forza a sostenere quel pugno di marinai pienamente consapevoli d’essere in grave ed imminente pericolo. La notte fu lunga da passare! Verso le 09.30 dell’indomani, l’esperto capitan Perasso riuscì a compiere una “osservazione astronomica”. Il veliero si trovava 8 leghe (40 Km circa) a est dell’isola ed ebbe molta fortuna! Subito dopo il vento girò aumentando d’intensità. In breve tempo si sollevarono onde alte e creste  che spazzavano la coperta con energia viva e fragorosa, mentre continui piovaschi impedivano ancora di scorgere la costa. Qualcuno dell’equipaggio, ormai stremato dalla fatica e dall’insonnia, verso le 15.00 indicò una linea bianca di prua. Erano i frangenti che disegnavano l’impatto delle onde contro un muro di lava schiacciato da un cappello di nubi grigie e tempestose. Era finalmente la costa di Tristan da Cunha, l’àncora di salvezza che, tuttavia, incuteva terrore con le sue rocce a picco battute dal grecale e striate da luccicanti cascate d’acqua. L’ITALIA veniva da sopravvento, e il suo Comandante calcolò che se naufragio dovesse essere, non poteva compiersi in quel girone infernale, dove tutti avrebbero perso la vita sfracellandosi contro la roccia.  Decise allora di aggirare l’isola alla ricerca di un ridosso per spiaggiare, evitando così di colare a picco. Ma c’era il tempo per salvarsi? Da marinaio di razza quale era, Rolando Perasso evitò i numerosi scogli affioranti e, non potendo gettare l’ancora a causa del calore ormai rovente di tutta la zona prodiera, scelse il punto di sottovento che gli sembrava più idoneo, e lì andò ad incagliare, a 60 metri dalla spiaggia, sul lato meridionale dell’isola. La pioggia, l’oscurità e il vento a raffiche ostacolarono lo sbarco dei naufraghi ormai al limite delle forze. Riuscirono infine ad abbandonare il veliero con le lance di salvataggio, ma quando il vento calò dovettero recuperare provviste e tutto quanto sarebbe stato utile per una sosta lunga e ricca d’incognite. L’isola era ancora abitata? Nessuno di loro lo sapeva con certezza. Passarono la prima notte sotto alcuni pezzi di vele strappate, mangiarono il cibo salvato e pregarono ringraziando la Provvidenza per lo scampato pericolo.

Nella nottata furono circondati da una miriade di pinguini che covavano intorno a loro, ma quell’insolita e calorosa compagnia fu improvvisamente scossa da un forte boato. L’ITALIA aveva subito un’altra esplosione. L’equipaggio attese l’alba con ansia e poi scivolò guardingo verso il brigantino ormai devastato. Recuperarono ancora  attrezzi, legname da ardere, tela e tutto quanto avrebbe potuto prolungare la loro sopravvivenza ai piedi di quella nera montagna che pareva intenzionata a ricacciarli in mare dopo averli salvati. Erano altri tempi!  I naufraghi abbandonarono l’ITALIA con il dolore e la tristezza di chi era andato per mare sapendo che la nave ha un’anima.

Il villaggio di Edinburgh, situato all’estremo a nord, é l’unico pianoro

abitabile dell’isola.

Ad accogliere i naufraghi furono gli abitanti dell’isola, un variegato gruppo d’individui quasi tutti naufraghi o discendenti di naufraghi di baleniere e cacciatori di foche.

Questa dell’ITALIA é una storia vecchia oltre un secolo, ma in qualche modo ci appartiene perché un po’ di sangue camoglino é tuttora vivo e vegeto tra quella comunità di 300 persone che occupano l’unico pianoro vivibile ai piedi del vulcano anch’esso, purtroppo, sempre attivo. A grandi linee la storia di quel naufragio ebbe un clamoroso sviluppo che commosse il mondo e ciò avvenne proprio quando sembrava ormai certo il rimpatrio in Inghilterra di tutti i superstiti del brigantino italiano. Per ironia del destino, due camoglini, Gaetano Lavarello e Andrea Repetto trovarono  l’anima gemella e decisero di rimanere per sempre a Edimburgh. L’unico villaggio abitato di Tristan da Cunha, si trova sul lato  Nord, simmetricamente opposto a quello del naufragio. I due marinai si unirono in matrimonio con due giovani isolane, Frances Green e Jane Glass, dalle quali ebbero parecchi figli. Un terzo marinaio camogliese, il nostromo Agostino Lavarello, pur essendosi innamorato anch’egli di una bella ragazza di nome Mary Green, preferì invece ritornare in Italia, assieme al resto dell’equipaggio. Nel 1930, Agostino scrisse un libro per ricordare il naufragio e lo chiuse con queste parole riferite a Mary: “… io non la so rievocare che bionda e fresca come allora e talvolta l’illusione é così forte che, guardando alle casette occhieggianti al disopra dei dirupi percossi dal mare, presso la millenaria chiesina di San Nicolosio, mi sembra vederla ancora rientrare correndo al suo piccolo nido e volgersi per l’ultima volta con le mani protese nell’estremo addio…” Oggi, sull’isola di Tristan da Cunha permangono ancora molte “tracce” di quel naufragio: alcuni reperti del brigantino ITALIA raccolti in un piccolo Museo, il Camogli Hospital costruito nel 1971, la strana parlata anglo-levantina, due cognomi tipici di Camogli, e naturalmente il DNA dei discendenti che furono tanti, forse per mancanza di altri svaghi… Queste testimonianze continuano a mantenere vivo il ricordo di quel pugno di marinai liguri incagliati in quello sperduto angolo dell’Oceano Atlantico meridionale. Molti scrittori, giornalisti e inviati speciali d’importanti riviste nazionali ed internazionali hanno ampiamente documentato la vita che trascorre senza tempo sull’isola di Tristan da Cunha che oggi é entrata persino nell’itinerario di lussuose navi da crociera. Ma gli isolani temono le navi perché portano  malattie di cui non hanno anticorpi. Ormai é risaputo,  il loro isolamento é sinonimo di felicità. Quando nel 1961 il vulcano aprì un cratere e sfiorò il villaggio, il Governo fece rimpatriare gli isolani, ma l’impatto con la modernità delle metropoli inglesi non fece che aumentare il loro stress, ma soprattutto la nostalgia per Tristan. Dopo forse un anno,  la lava del vulcano rientrò nelle sue viscere e i “deportati” fecero  rientro alla base.

Carlo GATTI