STRETTO DI MESSINA

SECONDA PARTE

LA CACCIA AL PESCE SPADA

LO SCHERMITORE DEL MARE

Il leggendario Stretto di Messina, di cui ci siamo occupati nella PRIMA PARTE, è da secoli l’ARENA naturale in cui si svolge l’eterna lotta tra gli uomini dello Stretto e il Pesce Spada. Una lotta in cui entrano in gioco elementi antichi che trasudano misteri, superstizioni, canti propiziatori e personaggi mutuati da favole e leggende che risalgono ad Omero, Polibio e Strabone. Lolo achermidore del mare” sempre stato un bottino ambito dai pescatori, non solo per il suo elevato potere nutritivo, ma anche per le sue dimensioni, che possono raggiungere i 4,5 mt di lunghezza per più di 400 kg. Queste caratteristiche, però, sono combinate ad una forza fisica, una resistenza e una furbizia tali da rendere questo pesce una preda difficile da catturare.

 



La caratteristica FELUCA usata nello Stretto di Messina per arpionare i pescespada. A prescindere da come le dimensioni e l’allestimento delle barche adibite alla caccia al pesce spada siano variati nel tempo, la tattica di base è rimasta una costante: avvistare il pesce, inseguirlo o attenderlo, lanciargli un arpione addosso e lottare fino alla resa. Con le moderne feluche questa resa è quasi sempre dell’animale, ma anticamente il duello terminava spesso con quella del pescatore, che rischiava addirittura la morte.




La pesca con l’arpione per la cattura del pesce spada è ancora praticata nello stretto di Messina. Questa pesca avviene nel periodo della riproduzione che nello Stretto di Messina va da maggio ad agosto, quando gli esemplari si avvicinano alla costa.

Si tratta di una “caccia” che nei secoli ha visto cambiare le imbarcazioni, la propulsione e l’attrezzatura ma non il coraggio e la personalità di chi, per affrontare un mostro potente e velocissimo di 4/5 metri, deve conoscerlo nella più profonda intimità per affrontarlo, vincerlo e catturarlo. Ciò avviene ancora oggi, ma solo sul piano di strategie antiche che non s’imparano nei manuali di pesca e neppure servendosi di strumenti moderni super tecnologici. Nulla di tutto questo!



Il duello è regolato dall’intelligenza e dall’astuzia dei contendenti che prima s’individuano, poi si studiano come due pugili che s’inseguono sul ring senza toccarsi, infine, s’affrontano ognuno con le proprie armi sino alla fine del confronto che non è mai scontato.


IL PESCE SENTIMENTALE – Non si lega facilmente, se si innamora è per sempre. Con la spada difende la compagna a costo della vita

A questo punto ci viene in mente Domenico Modugno quando nel 1954 portò sulle scene della neonata Televisione un brano che racconta questa incredibile storia: LU PISCE SPADA

“…..E pigliaru la fimminedda, drittu drittu ‘n tra lu cori, //E chiangia di duluri.//Ahai ahai ai.

E la varca la strascinava //E lu sangu ci curriva, //E lu masculu chiangiva, Ahai ahai ai…..”

La femmina del pesce spada viene arpionata al cuore, il maschio cerca di liberarla dalle reti. Le sta accanto fino all’ultimo istante offrendosi di morire insieme a lei, allo stesso modo.

Impazzisce il pesce spada che per bocca di Modugno urla che “si tu mori, vogghiu murìri ‘nzemi a ttia”.

Morirà anche lui arpionato dall’uomo che dalla lunga passerella della “feluca” non lo perdona ma ogni volta si commuove inchinandosi a questo cavaliere romantico, avversario coraggioso che merita rispetto e ammirazione perchè si fa uccidere per amore.

Non è una storia inventata. E’ una storia maledettamente vera che nel basso tirreno si ripropone intatta da millenni. Lo sanno bene i pescatori dello Stretto di Messina, tra Scilla, Bagnara Calabra, Palmi e Torre Faro.

Purtroppo la legge di natura non è così romantica: è sempre la femmina del pesce spada che va colpita per prima, non solo perché di dimensioni più grandi, ma perché in questo modo si potrà essere certi di catturare anche il maschio, che mai abbandona il suo amore.

UN PO’ DI STORIA

Le prime fonti che c’informano sulla pesca del pesce spada di cui abbiamo accennato all’inizio, risalgono al II secolo a.C. Le imbarcazioni erano di dimensioni ridotte ed erano per così dire “pilotate” da terra, da una rupe alta a sufficienza per avvistare la preda. Ciò avveniva specialmente sulla sponda calabrese più alta della dirimpettaia costa pianeggiante della Sicilia. L’avvistatore segnalava gli spostamenti del pesce spada con diversi sistemi: con bandiere o a voce.



Tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, si realizzò l’idea di affiancare al luntru una barca accessoria che, opportunamente zavorrata e ormeggiata vicino o lontano dalla costa, fungeva da “osservatorio galleggiante”, con la stessa funzione di vedetta delle rupi calabresi.



La feluca è una barca piccola, lunga dai 5 ai 7 metri, senza chiglia, alla quale veniva richiesta la massima stabilità, con un equipaggio di cinque rematori e un arpioniere. Questi cambiavano a volte disposizione, ad eccezione del quinto uomo che saliva sull’albero maestro per avvistare la preda.

Questa nuova imbarcazione di origine messinese, venne denominata Feluca e considerata una barca da posta, proprio per la sua mansione.  Per adempiere al suo compito, l’avvistatore necessitava di una posizione più elevata possibile: per questo motivo, a centro-nave, venne innalzata una torretta (detta ‘ntinna) alta dai 15 ai 22 m e dotata di opportuna scaletta, dalla quale era facile segnalare la posizione del pesce agli uomini dei luntri associati. Essi, rimasti in attesa del segnale, si lanciavano veloci all’inseguimento della preda utilizzando la stessa collaudata tecnica dei pescatori calabresi. Solitamente le feluche da posta erano due o tre, ancorate su zone diverse, in modo da ricoprire un più vasto campo d’avvistamento.

Dovendo fungere da osservatori fissi, le feluche non necessitavano di un proprio mezzo propulsivo; i luntri corrispondenti, quindi, le rimorchiavano sulle posteprestabilite.

Luntru GANZIRRI


“Il luntru, partendo dalla base delle pendici calabresi, si dirigeva rapido verso il pesce indicato, grazie a 4 rematori in piedi (introdotti a fine 800); una caratteristica di questa fase (inseguimento) era l’avanzamento di poppa del natante, il quale presentava ottime capacità manovriere anche contro corrente. I 4 remi erano, infatti, di grandi dimensioni in proporzione allo scafo: i due remi a poppavia erano lunghi entrambi 4.68 m; quelli a pruavia 5.46 e 5.72 m.

L’efficacia dell’inseguimento era garantita da un altro pescatore che, al vertice di un piccolo albero (detto farere) alto 3÷3.5 m e posto a centro-nave, dirigeva i rematori e il lanzaturi munito di fiocina”.


Questa bellissima foto scattata ai primi del ‘900, non ha bisogno di tanti commenti in quanto riprende il LUNTRE, una barca lunga 5,49 mt. larga 2,44 mt. ed alta 1,22 mt., al cui centro vi era un albero La FARIERA con tanto di fermapiedi, dove in piedi il VARDIANO stava di vedetta e IL LANZATURI era appostato di prora. L’imbarcazione, originariamente, era a remi, ed il suo equipaggio era costituito da 6-8 marinai.

Ci spiegano che per issare a bordo il pesce spada catturato, servivano un paio di uncini ed una corda; l’armamento era costituito anche da due cannistri”, vari tipi di coltelli, e il cosiddetto bumbuluper conservare l’acqua utile ai marinai per rinfrescarsi.

Tuttavia per entrare nello spirito vero di questa antica “caccia” al pesce spada, non possiamo che affidarci al racconto di chi VIVE da vicino la mattanza nel rispetto delle tradizioni e degli antichi rituali.

Da alcuni prestigiosi siti web locali riportiamo:


… ad esempio, nelle ultime sparute antiche palamitare, sopravvive l’uso di porre a prua un’asta con alla sommità una palla azzurra o rossa in legno, su cui erano dipinte le stelle dell’Orsa maggiore, separate da una fascia bianca, con probabile riferimento alla cultura fenicia.

Un rituale ormai svanito, anche se molte parole permangono nell’espressione dialettale, era quello di accompagnare la pesca con cantilene in greco, perchè la superstizione voleva che se si fosse cantato in altra lingua il pesce sarebbe andato perduto.

Meno intellettuale è il rituale della “runzata”, che consisteva nel fare urinare le reti dai bambini, per augurio di una buona pesca.

Un altro rituale, che è divenuto col tempo una specie di diritto territoriale, era quello di suddividere le zone di mare in aree (posta) da assegnare agli equipaggi e in cui pescare.

Lo schiticchio o scialata era un pranzo o una cena abbondantissima che i padroni delle barche offrivano ai marinai nelle feste dei mesi invernali,  per sopperire, specie nei tempi in cui la fame si faceva più sentire, alle necessità alimentari della famiglie, che potevano, fra l’altro, rifornirsi per un po’ di tempo con il cibo non consumato. Era anche l’occasione per contrattare gli uomini dell’equipaggio per la stagione successiva.
La tradizione dello schiticchio permane ancora oggi, ma al solo scopo di incontrarsi con gli amici in uno spirito di convivialità.

Cardata da cruci



La tradizione vuole che uno dei pescatori, ed esclusione del lanzaturi, cioè di colui che ha lanciato l’arpione, faccia la “cardata da cruci”, segni cioè con le unghie della mano, quattro croci accanto al foro dell’orecchio destro del pesce appena issato sulla barca. Si ritiene fosse un segno augurale, di prosperità o una sorta di riconoscimento “dell’onore delle armi” al pesce per il suo nobile valore di combattente.

 

In relazione alla cattura, la carne attorno al punto in cui si è conficcato l’arpione (botta) andava al ferraiolo (mestiere pressoché sparito), in qualità di proprietario dell’attrezzo, che veniva dato in affitto. Il taglio del ciuffo spettava invece al fiocinatore.

Ancora adesso, se si avvista una parigghia (un maschio e una femmina), la tradizione vuole che il primo pesce ad essere fiocinato sia la femmina, in modo che si possa fiocinare successivamente il maschio, in quanto questi resta nei paraggi nella ricerca della compagna.

Anche la nomenclatura volgare del pescespada è legata in qualche modo alla stagionalità della pesca, tanto che i pescatori, con un po’ di fantasia, riescono ancora distinguere diverse varietà. Così c’è un ipotetico pisci i jùsu, un pisci ‘i San Giuvanni, un pisci niru e addirittura un pisci invisibili.

Se per molto tempo non si riusciva a pescare pescespada, il rituale era quella della benedizione della barca da parte di un prete o nei casi più ostinati bisognava fare ricorso a formule magiche e pozioni le più disparate. Se la pesca tardava ancora ad essere proficua una ragazzina doveva fare la pipì sulla prua (questa pratica era in auge specie in Calabria).

In entrambe le sponde dello Stretto (SiciliaCalabria), si era soliti ringraziare, una volta pescato il pesce, il Santo protettore del “faliere” gridando “San Marco è binidittu”. Un ulteriore antico “rituale” era quello di tracciare con le unghie un croce quadrupla sul pesce spada, precisamente sulla guancia destra, simbolo di benedizione, di scongiura al malocchio, e di una pesca fruttuosa. Alcuni pescatori posizionavano nella bocca del pesce un pezzo di pane, mangiando delle parti crude dello stesso pescato.

Come si evince, si credeva molto al malocchio: anche i colori dell’imbarcazione, nero, verde e rosso, erano scelti come forma di scongiura.

PRIMI ANNI ’60 – LA SVOLTA

Evoluzione ed innovazione della feluca spadara:

La passerella


Quando il pesce spada veniva avvistato veniva segnalato da urla e sbandieramenti, diventava proprietà dell’equipaggio che l’aveva individuato, e la barca guadagnava così il diritto di “sconfinare” nei settori assegnati alle altre barche, fino alla eventuale cattura. Fino agli anni 50’ per la pesca al pesce spada si usava, come abbiamo visto, il “luntre”.

Oggi nello stretto e lungo la costa Calabra del Tirreno, per la pesca del pescespada si usano barche a motore che hanno un traliccio alto 20-25 m, alla cui sommità si trovano avvistatori e timonieri, e una passarella molto lunga, alla cui estremità va il fiocinatore (fureri).

FELUCA SPADARA MODERNA


1. dall’alto della ‘ntinna l’avvistatore individua il pesce spada e lo comunica sia al resto dell’equipaggio, che si trova sulla barca, sia al lanciatore a prua (sul luntru era poppa) appostato sulla passerella. Grazie ad un sistema di trasmissione, l’avvistatore manovra la feluca, potendo disporre di tutti i comandi necessari direttamente sulla cima della torretta (marcia avanti/indietro, acceleratore, timone). Quindi egli si occupa sia dell’avvistamento che dell’inseguimento del pesce spada, motivo per il quale il luntru ha lasciato il posto.

2. in perfetta armonia con l’azione dell’avvistatore (dettaglio non scontato), il fiocinatore si prepara al lancio dell’arma, spostandosi sulla passerella. Quest’ultima, a differenza dello scafo, risulta invisibile al pesce, grazie ad una struttura a traliccio (non genera ombra), e alla posizione emersa dall’acqua. Ciò permette al pescatore di avvicinarsi o addirittura trovarsi perfettamente al di sopra della preda.


Nel 1952 il pescatore Antonio Mancuso inventò la passerella per l’arpionaggio, un’innovazione che ha completato definitivamente l’aspetto funzionale della feluca, la barca moderna che ancora oggi si può ammirare in azione sullo stretto di Messina od ormeggiata sulla riviera dell’antico borgo di Torre Faro (Messina).

Con l’introduzione della passerella e l’avvento del motore, le tre fasi della strategia sono oggi tutte eseguite da un’unica imbarcazione. Poiché essa assume non solo il ruolo originario di barca da posta, ma anche di luntru aumentando il profitto globale dell’attività.

La ‘ntinna, un traliccio metallico, è stata elevata fino a 30÷35 m, dotata di collegamenti e leve di controllo del timone e del motore (dagli 80 ai 350 CV) ed equipaggiata di una coffa, dove si apposta l’avvistatore-timoniere.

Come a simulare la spada del pesce, la passerella(traliccio metallico orizzontale) si estende a pruavia della feluca per una lunghezza di 35÷40 m . Essa è in parte retrattile, sicchè può essere ritirata in caso di necessità.

Riguardo l’installazione dei due tralicci tra essi ortogonali, sono saldamente collegati tra loro e allo scafo tramite cavi d’acciaio e tiranti. Con questo complesso sistema di funi, i due oggetti si bilanciano, garantendo l’equilibrio strutturale del natante.

La lunghezza dello scafo della feluca spadara è di circa 25 m (esclusa la passerella) ed è ancora realizzata in legno. Rispetto al luntru, i colori scelti sono più vivaci (tradizionalmente il verde, il bianco, il rosso e l’azzurro). La feluca, quindi, si rivela essere un’incredibile macchina da pesca ed un simbolo della storia marittima siciliana.


Elenco dei siti consultati

https://www.vanillamagazine.it/la-pesca-al-pesce-spada-un-rituale-che-risale-all-epoca-di-greci-e-fenici/

L’antica pesca del pesce spada nello Stretto di Messina.

https://www.sicilying.com/#Sicilying: Tour e Vacanze in Sicilia

L’ecodelsud.it

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Ringrazio sentitamente gli Amici siciliani che ci hanno concesso la divulgazione al NORD di questa meravigliosa AVVENTURA!

Carlo GATTI

Associazione MARE NOSTRUM RAPALLO

Rapallo, 7 Settembre 2021