A GENOVA ANCHE IL SALAME DI SANT’OLCESE NAVIGA…

Dipinto sulla facciata della chiesa di Sant’Olcese raffigurante il “miracolo dell’orso”. Secondo una leggenda, il santo addomesticò un orso che terrorizzava il paese, aggiogandolo ad un carro al posto di un bue ucciso dalla belva.




Gallette del marinaio

Salame di Sant’Olcese



Cambusa d’altri tempi


Cambusa del veliero ANNA

E’ insolito parlare di salame abbinandolo al mare perché, da sempre, un insaccato salato, e quindi igroscopico, è nemico dell’umidità marina. Oggi con i frigoriferi e gli ambienti climatizzati a bordo, il problema non si pone ma al tempo dei velieri era di attualità. Ma non fu così per il “Sant’Olcese”, databile anteriormente al XIX secolo. Questa caratteristica è dovuta al suo confezionamento e alle carni utilizzate.

In rosso la zona alle spalle del porto di Genova dove viene prodotto il salame Sant’Olcese.

Ecco in breve la storia di Sant’Olcese, la patria del “nostro” insaccato.

Nel 410 d.C. due devoti diaconi poi santificati, Ursicino  (Olcese) e Ilario fuggirono dalle Gallie  per non essere sacrificati quali Cristiani. Arrivati quasi a Genova discendendo la via Postumia che da Genova portava ad Aquileia, Olcese si ferma sulle alture della Valleombrosa, oggi Val Polcevera, e lì diffonde il Vangelo mentre Ilario prosegue e va a predicare ed evangelizzare sulle alture di Nervi che da quella Santa presenza, prenderà il nome di Sant’Ilario mentre il ricordo di Olcese verrà legato al paese da lui tanto amato: Sant’Olcese.

Santi Olcese ed Ilario

Merita ricordare che quest’ultimo aveva un bue che lo aiutava nei lavori della terra, indispensabile per coltivare un territorio tanto impervio. Un brutto giorno arrivò un orso che si mangiò il bovino. All’epoca, così come nei secoli successivi, il territorio era invaso da lupi e orsi e nei fiumi c’erano ancora storioni, lontre e tartarughe.  Il Sant’uomo non si scoraggiò e soggiogò l’orso al punto da utilizzarlo al posto del bue che si era mangiato.

Come è facile capire, questo episodio nulla ha a che fare con l’attuale insaccato, ma evidentemente la zona, volendo sottilizzare, era già vocata a utilizzare …… carni diverse.

Quel salame resisteva al salmastro anche perché gli animali utilizzati, dalle carni asciutte, vivevano già in ambiente salso a ridosso dal mare, contrariamente a quelli allevati nelle tipiche zone di produzione dei salumi come l’Emilia, la Lombardia o il Piemonte.

Vista la rusticità dei luoghi è facile pensare a bestie dalle carni prive di grasso e quindi più idonee alla conservazione, tanto è vero che per donare morbidezza all’insaccato, da sempre la compensano aggiungendovi del lardo bianco.  Non è un salume dalla lunga conservazione perché contiene poco sale e poco pepe, entrambe sostante igroscopiche, e per supplire alla loro carenza, viene leggermente affumicato e insaporito con un piacevole sentore d’aglio.

Oggi viene prodotto nel Comune di Orero, che all’epoca era una frazione di Sant’Olcese, da cui il nome.

Lo si gusta dopo trenta/quaranta giorni dal confezionamento e, una volta iniziato, è bene arrivare sino in fondo in tempi brevi. E’ infatti un insaccato a corta conservazione, lo abbiamo visto, e se lo si tiene in frigo dura, ma perde la suo delicata sapidità. Si presenta di grana grossolana e morbido al tatto: se qualche negoziante vi offre del vero Sant’Olcese “invecchiato”, cambiate negozio.

Le sue peculiarità sono rimaste immutate nel tempo: è formato da una miscela di carne bovina e suina in parti eguali, o leggermente variate, a seconda del Produttore, ma non troppo aromatizzate (la ragione per la quale non si conserva a lungo) accuratamente sgrassate dopo aver eliminate le parti tendinee.

Da ragazzi ci dicevano fosse fatto con carne d’asino, come il famoso salame di Vigevano: in realtà nell’antichità questa insolita presenza, da tempo dismessa,  era dovuta alla carne di muli Piemontesi  ma a noi continuava a venirci sbandierata nel tentativo di evitare che ne richiedessimo il bis, “genati” dall’idea di mangiare la carne di Lucignolo, l’irresponsabile amico di Pinocchio . Per sopperire alla scarsa salagione viene dolcemente stagionato in ambiente fumoso e controllato. Da questo si capisce perché a noi piace tanto: è aromatico ma non piccante, un po’ come il pesto. La carne bovina perché sia morbida viene selezionata da manze mentre quella di maiale, magra, oggi lo è tutta ma un tempo no, è ulteriormente privata del poco grasso residuo, viene aromatizzata e speziata con  pochi sapori e integrata con cubetti di lardo bianco, fornito da suini appositamente allevati. A questo punto, ben miscelata, viene insaccata in vero budello che, con una operazione manuale rimasta invariata nel tempo, viene poi “legato” con lo spago e non con i moderni elastici.

Subito dopo viene appeso ad insaporirsi  in una stanza-essiccatoio  al cui centro, una stufetta in ghisa costantemente alimentata con solo legno di quercia, effonde fumo. Un tempo, al posto della stufa c’era un falò sempre acceso allo scopo di impregnare di fumo l’insaccato nel breve tempo della sua permanenza. Questa è la fase più delicata  affidata a uomini di grande esperienza e sensibilità, perché la durata è condizionata dal variare del meteo che con il suo mutare, impone d adeguare sia i tempi di affumicatura che di ventilazione, aprendo o socchiudendo le persiane del locale, adeguandoli anche più volte in un giorno, alle variate esigenze: e Dio sa quanto è mutevole il nostro cielo !

Poi, dopo qualche settimana di permanenza in appositi locali viene, da sempre, distribuito.

A Sant’Olcese quindi gli armadi per trattare gli insaccati ed i computer che imperversano nella grande produzione, non hanno ancora trovato posto.

Erano gli stessi fabbricanti che poi lo distribuivano ai nobili genovesi o agli armatori dei velieri che l’ordinavano per tempo; veniva loro consegnato a dorso di mulo come testimonia una vecchia polizza assicurativa gelosamente conservata, che garantiva il cliente sui tempi, la qualità e il bon esito del trasporto a destinazione.

 

Renzo BAGNASCO

(Foto di Carlo Gatti)

20 Marzo 2017

{jcomments on}