LA CORAZZATA ROMA

di Giorgio GIORGERINI

Questa é la seconda volta che MARE NOSTRUM-RAPALLO ospita il Prof. GIORGIO GIORGERINI, uno tra i più autorevoli storici del dopoguerra. I suoi scritti sulla Storia Navale del nostro Paese, non sono il frutto di una bibliografia recuperata nelle biblioteche, ma dall’interno delle istituzioni militari, quindi studiando la documentazione ufficiale, vera, di prima mano-originale. Il suo grande merito é stato quello d’aver consegnato all’Italia materiale scrupolosamente approfondito che non si é mai limitato alla descrizione tecnica dei mezzi navali e della dinamica delle azioni belliche. Il prof. G. Giorgerini ha scavato anche nella psicologia degli ammiragli, dei comandanti, degli ufficiali e degli equipaggi, approfondendo soprattutto gli aspetti strategici.

Insignito del Distintivo d’Onore di frequenza dell’Istituto di Guerra maritt. per il suo contributo alle dottrine di pianificazione e strategia.

E’ consulente e consigliere dello Stato Maggiore della Difesa.

– Collabora come analista e direttore di ricerca con il Centro Militare di Studi Strategici.

Mi sono soffermato su questi tre punti per sottolineare che il prof. G.Giorgerini

Affronterà oggi l’argomento: La corazzata ROMA da una prospettiva militare e strategica che va ben oltre i resoconti giornalistici spesso imprecisi ed improvvisati.

Il Prof. Giorgio Giorgerini é ligure  di La Spezia, vive tra Milano, Roma e Moneglia. Ufficiale nella riserva della Marina Militare, è stato:

– Docente universitario all’Università Statale di Milano

– Presidente dell’Unione nazionale dei giornalisti e scrittori del mare (UGIM) e dirigente d’importanti aziende.

– Nel 1955 è stato chiamato dall’Amm. Fioravanzo a collaborare alla “Rivista Marittima”

– Nel 1960 all’Ufficio  Storico della Marina

– Dal 1962 dirige l’Almanacco Navale (edito ogni due anni dall’Istituto Idrografico della Marina).

– Dal 1978 al 1981 ha curato la monumentale Storia della Marina (10 volumi)

– n  Nel 2000 ha ricevuto il Premio internazionale: Una vita dedicata al mare per i suoi studi navali e strategici.

Attualmente è consulente dello Stato maggiore della Marina e dirige il Forum di relazioni Internazionali.

Libri dell’autore: Giorgerini Giorgio

1950 Ha esordito giovanissimo nella pubblicazione navale con:

L’impiego della Portaerei nella Marina Italiana

19 1958:Cenni di Storia e politica navale russa

1971-1996: Le Navi da battaglia della 2° Guerra Mondiale

1974: Gli Incrociatori della 2° Guerra Mondiale

1975: Navi d’oggi: i Mezzi per l’esercizio del potere  marittimo nell’Era Nucleare.

1977: Le Battaglie dei Convogli

1981: Le grandi battaglie navali da Trafalgar a Okinawa

1985: Aerei sul Mare

1985: Il Ruolo di Malta nella Guerra del Mediterraneo

1989/2002 : Da Matapan al Golfo Persico

1994: Uomini sul Fondo-Storia del Som. Ital. dalle origini ad oggi.

1996: La Navi da Battaglia della 2a Guerra Mondiale

2000/2002: La Guerra Italiana sul Mare

2007: Attacco dal Mare-Storia dei mezzi d’assalto della Marina Italiana

Insieme ad altri Autori ha pubblicato:

1960: Marine Militari nel Mondo

1961: Le navi di linea Italiane

1964: Gli Incrociatori Italiani

1974: Navi in Guerra

1978: Almanacco Storico Navale

1982: Il libro del Mare

Uomini sul fondo

Storia del sommergibilismo italiano dalle origini a oggi.
Un esame critico della preparazione, delle scelte tattiche, della condotta delle operazioni belliche, lo studioso traccia così per la prima volta in modo sistematico e completo l’epopea del sommergibilismo italiano, dalle gloriose origini fino al declino dei giorni nostri. Senza dimenticare che è l’equipaggio, con la sua dedizione, il suo spirito di sacrificio e spesso la sua tragica fine, a fare la storia di un sommergibile. La morte di oltre tremila sommergibilisti italiani durante il secondo conflitto mondiale fu davvero inevitabile? E soprattutto, cosa spinge un ragazzo a scegliere la vita dei sottomarini, fatta di sacrifici, pericoli e lunghissimi silenzi?

Guerra italiana sul mare (La)La Marina tra Vittoria e Sconfitta 1940-1943

“La sconfitta reclama ad alta voce perché esige spiegazioni: mentre la vittoria, come la carità, nasconde un gran numero di peccati” (Alfred T. Mahan)

Attacco dal mare. Storia dei mezzi d’assalto della Marina Italiana.
Marinai arditi, mossi da uno straordinario senso del dovere e fedeli fino all’ultimo alle leggi dell’onore e al giuramento prestato. Mezzi tecnici ingegnosi, dovuti soltanto alla creatività e alla passione di pochi uomini. Missioni impossibili nelle basi nemiche, in cui il successo era un’esile speranza e il sacrificio della vita una concreta possibilità. E’ stato l’irripetibile intreccio di questi fattori a rendere leggendarie le gesta degli assaltatori navali della nostra Marina e, nelle luci e nelle ombre, degli incursori della X Flottiglia Mas.
Con questo suo ultimo libro, Giorgio Giorgerini ripercorre uno dei capitoli più significativi della guerra marittima combattuta dall’Italia nei due conflitti mondiali del secolo scorso, come attestano le vittorie di Premuda e Pola contro la marina austro-ungarica con l’affondamento delle corazzate Wien, Szent Istvan e Viribus Unitis, e i successi di Suda, Alessandria d’Egitto e Gibilterra contro la potente flotta britannica, che misero fuori combattimento numerose unità, fra cui l’incrociatore York e le navi da battaglia Valiant e Queen Elizabeth.
Con rigore ed obiettività l’autore affronta infine la complessa vicenda, ancora da svelare completamente, delle opposte scelte di campo compiute dopo l’8 settembre 1943 dagli uomini della X Mas. Di qui i contatti segreti tra Junio Valerio Borghese, legato alla Repubblica sociale, e i vertici di Mariassalto, schierati con il regno del Sud, in nome del superiore interesse nazionale: la salvaguardia degli impianti industriali dalla distruzione ad opera dei tedeschi e la difesa delle regioni dell’estremo nord-est dall’invasione delle truppe di Tito.

A cura di Carlo Gatti

REGIA NAVE « R 0 M A »

Intenvento di

GIORGIO GIORGERINI

II Mare Mediterraneo è sempre stato un mare appartenente alla «grande storia» attraverso Ie sue vicende succedutesi nei molti secoli scorsi, teatro nel generare civiltà e cicli di potenza. Investigando nella storia ci sono ben pochi avvenimenti nelle ere e nei secoli che non ci facciano incontrare il Mediterraneo come forgia ideale dello sviluppo dell’Umanità. Questa stessa nel suo alternarsi di fortune e sfortune, di successi e non, non ha potuto fare a meno di tenere conto dell’influenza diretta o indiretta del Mediterraneo.

Non è mia intenzione intrattenervi sulla storia del Mediterraneo, ma solo un recente avvenimento mi ha spinto a parlarne per un suo fascino intrinseco e per ciò che esso ha rappresentato verso i doveri morali dell’uomo, anche se oggi semi dimenticati, cioé l’onore, la fedeltà, la patria, la bandiera, nel rispetto dei valori comuni al nostro convivere universale. II Mediterraneo è stato ed è un teatro d’azione unico nella condivisione delle vicende storiche che hanno portato gli uomini di provenienze diverse a battersi per la difesa e il rispetto a maggior gloria del proprio credere.

Teatro di immani conflitti il Mediterraneo ne divenne uno del punti focali di questi. Naturalmente non poteva fare eccezione il suo inserimento nei grandi teatri operativi nel

corso delle ultime guerre mondiali: quella combattuta dal 1914 al 1918 e I’ultima dal 1939 al 1945 di cui, credo, una parte di noi ne conserva ancora il ricordo.

Se siete interessati all’ultima guerra mondiale, nel cui corso il fattore marittimo delle comunicazioni mediterranee é stato uno degli elementi fondamentali, ne potremo parlare più in là nel tempo, a Dio piacendo. Oggi ci soffermiamo invece su un singolo ricordo, cioé di quello che coinvolse la più grande nave da guerra italiana di tutti i tempi, ammiraglia della Flotta della Regia Marina, che mai sparò una sola cannonata contro il nemico nel corso del suo servizio di guerra, che fu poi affondata dopo essere stata centrata da due nuovi tipi di bombe lanciate da aerei dell’ancora, in quel momento, «alleato» germanico.

 

Bomba Ruhrstahl SD 1400 (bomba guidata planante FX 1400) identificata dagli Alleati con il nome di Fritz X. Era in dotazione  dalla Luftwaffe e fu utilizzata contro la  corazzata ROMA. (ordigno é esposto al RAF Museum, Hendon

Intendo, infatti, parlare di una nave, il cui ritrovamento, dopo circa 70 anni dalla sua scomparsa e ricercata vanamente sui fondali sardi del Golfo dell’Asinara, senza alcun risultato positivo, é stata finalmente ritrovata ad oltre 1.000 metri di profondità in un punto a 16 miglia dalla costa, nelle acque dove sette decenni prima era stata affondata. II relitto della corazzata Roma, questo il nome della nave, ha attratto I’attenzione della quasi totalità del mondo mediatico e la data della notizia fu quella del 4 settembre 2012: era stata affondata il 9 settembre 1943! Una coincidenza di calendario o un segno bene augurante o di rimpianto proveniente dagli abissi?

Corazzata ROMA

Ma noi, ora, vogliamo saperne qualcosa di più su questa nave da battaglia inserendola in alcuni aspetti del periodo politico-strategico nel corso della quale prese forma il progetto e la costruzione delle 4 corazzate della classe «Vittorio Veneto»: il Roma fu I’ultima ad entrare in servizio.

Queste nostre navi furono figlie degli accordi internazionali, stipulati nel primo dopoguerra, per arrivare alla riduzione delle flotte delle principali potenze marittime, a fissarne i limiti globali di tonnellaggio per ogni categoria di naviglio e di unità da battaglia {35.000 t. standard teorico; I’esigenza di ottenere un equilibrio tra protezione, armamento e apparato motore, indusse poi ad aumentare i pesi portandoli a circa 43.- 45.000 t. ed anche oltre). Fu inoltre deliberato assieme ad altre misure riduttive, che Ie potenze si astenessero per dieci anni dal costruire nuove navi da battagliavacanza navale – e per quelle ancora in servizio, ma eccedenti sulla quota assegnata, radiarle e avviarle alla demolizione. Queste clausole, dettate dal trattato di Washington del 1921-22 sollecitarono una nuova configurazione delle Marine imponendo mutamenti e aggiornamenti nei criteri strategici di composizione e allineamento delle flotte e nuovi criteri nello stesso impiego delle navi colpite dalle regole fissate dalle clausole di Washington.

I beneficiati degli accordi furono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ove i primi ottennero i medesimi coefficienti di potenza a spese della seconda. Dopo questa evoluzione i limiti di tonnellaggio globale furono cosi assegnati: 525,000 t. alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, 305.000 al Giappone, 175.000 alla Francia e all’ltalia con lo scopo di risolvere in un secondo tempo il problema della parità navale italo-francese, cosi come invocava I’ltalia.

Sul terreno politico il via alle costruzioni concesse da Washington (trattato del 6 febbraio 1922) invece di chiudere facilmente le disposizioni del trattato, contribuì ad evidenziare lo scontento di diverse importanti Marine, fatto dovuto a una valutazione diversa dall’applicazione delle clausole e dall’insorgere di nuove crisi. Tutto ciò portò ad un inasprimento delle relazioni e degli obiettivi di potenza proprio mentre si avvertivano le prime avvisaglie di una crisi economica che si manifestò in tutta la sua virulenza, considerando lo stato debitorio di quasi tutte le nazioni, peggiorato dalle difficoltà incontrate dalla Grande Guerra e dal problema di onorare la massa di debiti contratti ampiamente con gli Stati Uniti, manovra questa forse stimolata da Washington per superare Londra nella gara per l’acquisizione del primo posto nella graduatoria di potenza mondiale.

Se si volesse datare l’avvio della crisi europea che portò alla Seconda guerra mondiale e ai primi tentativi di arginare il vento di un confronto bellico e orientarsi invece verso accordi per la riduzione degli armamenti, bisogna rifarsi al 1929. Infatti le grandi Potenze, pur essendo nuovamente in competizione tra di loro, si preoccuparono comunque di rinnovare gli accordi fissati a Washington per riportare lo sviluppo delle flotte entro i limiti ben definiti proprio in un momento in cui queste sembravano voler accelerare i tempi del loro potenziamento oltre i termini fissati a Washington. Fu cosi convocata una nuova conferenza, questa volta a Londra per allentare la pressione generata dalle tendenze al riarmo.

I lavori iniziarono il 21 gennaio 1930 cominciando coll’esaminare il problema delle navi da battaglia. Praticamente la Conferenza di Londra non dette alcun risultato concreto tranne quello di riaffermare la superiorità delle prime grandi Marine. Comparvero intanto in mare Ie navi della Germania, della Russia sovietica, mentre Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti si dedicarono a sostituire Ie vecchie corazzate con altre di nuova costruzione.

Le gemelle U.K. Nelson e Rodney

II Regno Unito si presentò con le due “Nelson e Rodney”, la Francia, di fronte al riarmo tedesco rispose;

Corazzata Classe Graf Spee

la Germania nel 1932-34, preferì optare per le 3 corazzate «tascabili» tipo “Graf Spee”; la Francia negli stessi anni avvio la costruzione delle 2 “Dunkerque e Strasbourg” da 26.500 t, 8 cannoni da 330 mm, velocità di 30 nodi.

Alla costruzione delle unità francesi, la Regia Marina rispose nel 1934 con l’impostazione delle “Vittorio Veneto e Littorio”, cui seguirono nel 1937 le altre due gemelle “Roma e Impero”. Queste unità furono le ultime corazzate che rispettarono almeno formalmente gli accordi internazionali.


Infatti, della famiglia delle tipo “Washington” (nella foto) si confrontarono in guerra le germaniche “Gneisenau e Scharnhorst” (31.800 tst; 32 nodi; 8 cannoni da 380 mm) fra le unità più famose della guerra 1939-1945); le 5 unità da battaglia britanniche della classe “King George V”: (costruite 1937-1943; 45.000 tpc; 10 cannoni da 356 mm; 28 nodi ); le 2 americane “North Carolina e Washington” (impostate nel 1937-38: 45.000 tpc.; 9 pezzi da 406 mm, 28 nodi);

infine le 2 francesi “Richelieu e Jean Bart” (vedi foto sopra) impostate nel 1935-37, praticamente escluse dal servizio in guerra. Si aggiungano a queste navi di linea le favolose due corazzate tedesche, meraviglie della tecnica e del combattimento navale:

a famosa e gloriosa “Bismarck” (vedi foto sopra) e la sua gemella “Tirpitz”, (un vero trionfo per una felice combinazione fra armamento, velocità, corazzatura e ripartizione dei pesi su dislocamento a pieno carico di 50.900 e 52.600 tpc). Navi rimaste insuperate nei limiti della loro categoria e perdute comunque entrambe in duro combattimento contro un avversario più numeroso e altrettanto ben armato. L’armamento delle due tedesche era costituito da 8 cannoni da 381 mm, 12 da 152, 16 da 105 ed altre armi minori. Gli ultimi esempi delle corazzate del tipo “35.000-Washington” furono le americane classe “Alabama” entrate in servizio nel 1942, evoluzione delle “35.000”, armate con 9 pezzi da 406 mm, 28 nodi di velocità e una corazzatura verticale massima di 406 mm. Le navi “Alabama, South Dakota, Indiana, Massachusetts” vantarono di essere tra le più complete e potenti del loro tipo.

Classe Iowa

Le americane “Alabama” stavano già entrando in combattimento che iniziò la breve era delle “supercorazzate” coll’entrata in squadra delle 5 navi da battaglia della classe “lowa” (vedi foto sopra) da 57.600 t.pc, mentre nei reparti di progettazione del Dipartimento della Marina, delle operazioni navali e dei cantieri più avanzati erano in via di conclusione le progettazioni per la nuova classe delle “supercorazzate” tipo “Montana” con dislocamento a pieno carico di 65.000 t.pc e con un armamento principale di 12 cannoni da 406 mm e capaci di una velocità massima di 33 nodi. Tranne le “lowa” che entrarono in servizio alla fine delle ostilità, per tutte le altre unità fu decisa la rinuncia alla loro costruzione.

La Gran Bretagna progettò 4 corazzate della classe “Lion” da 40.000 t, e 9 pezzi da 406 mm e le due prime unità furono impostate nel 1939, ma un anno dopo l’Ammiragliato ordinò l’annullamento della costruzione per il motivo principale che nel conflitto che si stava combattendo le corazzate non avevano più molti compiti da assolvere. Ciò non vietò a Londra di mettere comunque in cantiere una nuova nave da battaglia di «rappresentanza» da figurare come simbolo che nel mare risiedeva il segreto del suo secolare potere maritttimo.

Fu cosi la volta del “Vanguard” ( foto sopra) da 43.000 t., 8 pezzi da 381 mm ed altri minori. Entrò in servizio nell’aprile 1946.

L’ultimo esempio di supercorazzata entro in servizio nell’ultima parte del Secondo conflitto mondiale. Si trattò delle due giapponesi “Yamato e Musashi” con un dislocamento di 72.809 t.pc, lunghe 263 m e larghe circa 40 m, con armamento principale di 9 pezzi da 460/45 mm, e oltre ad un numeroso armamento medio calibro da 155 a 127, cui si aggiunsero sino a 150 mitragliere da 25 mm per la difesa antiaerea.


Gli studi per queste navi iniziate nel 1934 ed entrarono in servizio nel 1942 e 1943. Veri giganti del mare dovettero affrontare la nuova padrona dei mari: la nave portaerei. Non poterono mai essere impiegate convenientemente con la sola eccezione della Yamato che aprì una sola volta il fuoco durante la battaglia di Leyte neIl’ottobre 1944. Fu la fine definitiva della corazzata, quasi imbelle di fronte alla proiezione distruttiva delle navi portaerei che sostituirono le navi da battaglia nel ruolo di capital ship.

Delusione fu a carico della Marina germanica che dovette rinunciare ad un piano di corazzate straordinariamente grandi e armate: il tipo « H », di cui si ebbe l’incoscienza di impostarne 2 nel 1939, ma di rinunciarne poi a breve distanza di tempo. L’ultima versione di questo tipo fu del tutto irreale: infatti si arrivò al tipo “H 44” con le enormi caratteristiche di 141.500 t.pc di dislocamento, 280.000 HP di potenza dell’apparato motore, 30 nodi di velocità e un armamento principale di 8 cannoni da 500 mm.

E arriviamo all’italiana Roma !

Terza della classe di 4 unità della classe “Vittorio Veneto”, fu varata nei cantieri triestini due anni dopo l’entrata in guerra dell’ltalia, presentando una serie di miglioramenti rispetto alle due navi precedenti. Bella nave, elegante nelle sue forme ben avviate, ben compariva nel raffronto con le analoghe e contemporanee unità del medesimo tipo. Corse il rischio di rimanere incompleta sullo scalo per deficienza di risorse materiali e finanziarie che furono reperite a carico di altre unità. II 21 agosto 1942 lasciò Trieste per raggiungere il porto di fine allestimento a Taranto imbarcando ancora maestranze del cantiere per completare i lavori di fine allestimento. Comunque entrò subito in squadra impegnandosi in un ciclo di prove di tiro che terminarono coll’invio della nave a Napoli per proseguire poi verso la base della Spezia, dove rimase dislocata sino al suo trasferimento a Genova per un breve periodo di lavori. Il Roma rientrò alla Spezia dove il 5 e il 23 giugno 1943, colpita da bombe d’aereo durante incursioni anglo-americane, riportò danni abbastanza sensibili, tanto che il 1° luglio l’unità fu costretta a portarsi a Genova per le necessarie riparazioni. II Roma tornò alla Spezia il 13 agosto dove riprese il prestigioso ruolo di nave ammiraglia delle forze da battaglia della Regia Marina, issando l’insegna dell’Ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle forze navali. (vedi foto sotto)


L’8 settembre 1943, come in tutta l’ltalia, si abbattè sulla flotta la notizia della resa incondizionata alle Potenze alleate e l’ordine a tutte le navi in condizione di prendere il mare, di dirigere verso la base britannica di Malta con ben in vista i segnali della resa.

Tutto  ciò  che  seguì  e  che   rappresentò  le  drammaticissime fasi conseguenti all’annuncio della resa (la formula per gli Alleati fu “ltaly surrendered”) è ancora oggi sottoposta ai giudizi più diversi che vanno dal “non accettare la resa” – “affondare le navi” – “continuare a combattere accanto alla Germania per riscattare l’accusa di tradimento” – “rivendicare l’onore e la dignità ritenute perdute dopo il rovesciamento di fronte” – “accettare la decisione di ciò dopo 39 mesi di guerra che avevano dimostrato la colpevole e superficiale condotta del governo e della Casa Reale” – “La ragione del più o meno criticato ordine di assumere una rotta che conducesse alla Maddalena per poi ritirarlo e riprendere la navigazione per sud verso Biserta. Di altri ordini e direttive se ne potrebbero ricordare. Ma nel nostro Paese nessuno ha mai voluto fare i conti col passato” !

Già al momento della sua impostazione si palesarono i primi sintomi negativi della sua esistenza: la critica condizione delle finanze, delle capacità industriali e delle materie prime fecero correre il rischio alla nave di essere rinviata all’infinito o annullata. Le stesse maestranze dei cantieri protestarono per la situazione che toglieva posti di lavoro. La situazione fu superata per intervento diretto del Duce, sollecitato dagli esponenti politici e industriali di Genova. Denari e materiali furono reperiti dall’accantonamento per altre unità navali, rinunciando alla costruzione di navi senz’altro più necessarie del Roma,

come potevano essere alcuni dei piccoli incrociatori leggeri della classe «Capitani Romani» ritenuti più validi per le operazioni navali nel Mediterraneo consolidatesi nelle forme di guerra al traffico.

La sorte di queste quattro grandi navi va ricordata nella loro drammaticità. L’lmpero risultò essere finanziata solo fino al completamento dello scafo e poi abbandonata e il relitto fu ritrovato a Trieste semi affondato per bombardamento aereo. Il Roma, come si è già accennato, fu perduto il 9 settembre 1943 per bombardamento aereo da parte Luftwaffe germanica, «alleata» sino al giorno prima, e s’inabissò spezzata in due tronconi nelle acque dell’Asinara.

II Vittorio Veneto e il Littorio furono condannati dal Trattato di pace del 1947 alla demolizione e scomparvero sotto la fiamma ossidrica a La Spezia.

Ciò che accadde alle navi, subito dopo l’arrivo della notizia della resa, meriterebbe ora una vasta disquisizione sulle reazioni che manifestarono singolarmente e collettivamente: Ammiragli, Comandanti, Ufficiali, Sottufficiali, Marinai. La disciplina tenne, al di la’ di quelli che poterono essere i sentimenti di ogni singolo, dall’Ammiraglio Bergamini all’ultimo marò, con eccezioni minoritarie.

Posizione del relitto della corazzata ROMA


II recente ritrovamento del Roma da parte dell’ing. Gay (nella foto) è una grande impresa che certamente meriterà una continuazione garantita perchè potrebbe farci rilevare elementi che aiutino ad una ricostruzione più completa e puntuale degli eventi. Ogni passo avanti sarà per me una grande soddisfazione perchè, perdonate il riferimento personale, nel 2002, partecipai alla preparazione del Progetto «Fenice», presieduto dall’Ammiraglio Mario Burachia, destinato proprio alla ricerca significativa di relitti di importanza storica per la Marina italiana. In primo luogo il programma di ricerca fu indirizzato al ritrovamento del Roma, ovviamente intorno al punto del suo affondamento nelle acque dell’Asinara e delle Bocche di Bonifacio. II gruppo navale da assegnare a questa campagna di ricerca si sarebbe dovuto comporre di 2 cacciamine della classe “Gaeta”, della nave appoggio ricerche subacquee Anteo, di mezzi speciali subacquei di ricerca, identificazione e ripresa quali il Pluto-2 sino a 100 e più mt. di profondità, al battelio subacqueo pilotato da grande profondità sino ad oltre 300 mt, scafandro rigido, torretta batiscopica, di specialisti in operazioni subacquee e quanto altro di più avanzato si fosse potuto rinvenire.

II Progetto «Fenice» si concluse con un nulla di fatto: lo Stato Maggiore della Marina ritirò l’assenso sia per le condizioni politiche dell’epoca, specie nell’area Adriatica, sia per il fatto che non vi erano disponibili le necessarie risorse finanziarie.


Siamo ansiosi di poter visionare, quando possibile, ciò che l’ing. Gay (vedi foto sopra) e riuscito ad ottenere dalle sue apparecchiature possibilmente arricchite dalle immagini di ulteriori ritrovamenti.

Non poche ombre continuano ad agitarsi sull’affondamento del Roma e sulla scomparsa di oltre 1.350 uomini dell’equipaggio e sulle tristi vicende della resa con tutto quello che ne conseguì. Un riesame della storia forse metterebbe a proprio agio molti, tutti di noi che indossammo la divisa blu e che avvertiamo ancora un brivido quando leggiamo scolpito sull’alto delle nostre sedi istituzionali il motto «Patria e Onore» e la nostra Bandiera navale sventolare ad ogni vento.

 

 

FINE

(foto del webmaster Carlo Gatti)

Rapallo, 30 ottobre 2012