GENOVA PRA’ e gli ex voto

 

 

 

Da ragazzino, per andare a scuola, attraversavo l’unica piazza a Prà degna di questa definizione; era eternamente battuta dalla tramontana che, da lì, si dipartiva per spazzare tutti i “carruggi” del mio paese. D’estate, svoltando l’angolo, poteva rappresentare un refrigerio ristoratore, specie se, come spesso capitava, ci si arrivava sudati dopo una lunga corsa per determinare chi fosse il primo; ma d’inverno, proprio no.

 

Si faticava, pur inclinati in avanti, ad attraversarla per la forza di quel vento gelido che ti respingeva, facendoci arrivare a scuola intirizziti, specie quando, ancora piccoli, frequentavamo le prime classi elementari; indossavamo i pantaloncini ricuperati dal fratello maggiore e non era certo lo smunto cappottino a ripararci le gambe rosse dai geloni, afflizione che oggi, con il benessere, è scomparsa.

 

Per fortuna, grazie alla pesante cartella, nessuno di noi è mai volato via col vento.

 


 

Sul fondo, proprio da dove arrivava la tramontana, quasi a chiudere la piazza, c’era una piccola chiesa dipinta a strisce orizzontali bianche e nere, la cui minuta sagoma non riusciva a deviarne le raffiche.

 

 

Era dedicata a San Rocco, il santo francese pellegrino, protettore dalla peste e sempre raffigurato mentre, sollevando un lembo della tonaca, mostra la gamba affetta da un bubbone; al suo fianco, accosciato, l’immancabile “bastardino” che tiene un pane in bocca.

 

Era, se pur minuta, l’unica chiesa della zona, ma tanto piccola e dimessa da non essere mai arrivata a divenire Parrocchia, anche se le anime che raccoglieva, ampiamente lo avrebbe giustificato,

 

La vera parrocchiale, Santa Maria Assunta dal nome altisonante rispetto all’altra, era un’antica pieve in Palmaro, situata al confine con il paese successivo e ancor più vicina ai canaloni lungo i quali scende a buttarsi in mare la tramontana, ma molto decentrata rispetto al paese di cui era Parrocchia.

 

S. Rocco, l’avevano costruita proprio dove un tempo c’era la spiaggia; così la vollero i pescatori che, anticamente, contribuirono ad erigerla. Pensarla lì, vicino alla spiaggia  mi fa venire in mente i versi del poeta Vincenzo Cardarelli, là dove nella sua <sera di Liguria > scrive:

 

Sepolto nella bruma il mare odora

le chiese sulla riva paion navi

che stanno per salpare

La edificarono lì sulla battigia perché, in caso di improvviso, impenetrabile “caligo”, agli uomini sul mare dava la certezza di poter tornare: bastava, in quella improvvisa impenetrabile nebbia, orientare le prue al suono delle sue campane, appositamente suonate a martello, per rientrare dalle loro donne, sempre in ansiosa attesa.

 

Lungo il lato di levante della vecchia chiesetta, scorreva un rigagnolo nel quale le donne lavavano i panni per poi asciugarli stesi tutt’attorno, sulla tiepida rena.

 

All’inizio del secolo scorso, quando costruirono la ferrovia, sottrassero al paese una fetta di spiaggia proprio davanti a San Rocco; sul tratto rimasto verso monte, vi pavimentarono quella piazza che io dovevo attraversare contro vento. La Domenica era, da quando la fecero, luogo d’incontro fra i contadini del circondario e i pescatori del borgo. L’estate poi, una serie di panchine di ghisa, ombreggiate dalle piante che ne contornavano il quadrato confine, permettevano agli anziani di ritemprarsi  alla brezza della sera.

 

In tempi recenti hanno demolito la chiesetta e realizzato una diversa e più moderna piazza. La nuova soluzione, quando la decisero a tavolino in un qualche Ufficio dell’Urbanistica Comunale della Grande Genova, avrebbe dovuto essere un luogo di “aggregazione sociale”; divenne invece una disordinata zona di parcheggi. Ancora una volta, ciò che i semplici popolani non vollero fare, lo attuarono i moderni, pretenziosi urbanisti.

 


 

All’interno di quella chiesetta, proprio appeso al centro del soffitto dell’unica piccola navata, c’era un grande modello di veliero navigante…nell’aria sopra le nostre teste, armato con mille sottili sartie che non ho mai capito se erano veri fili o ragnatele ricoperte da antica polvere; ogni volta che andavo la sotto a sognare, con lui navigavo nel mare della mia fantasia. M’avevano detto che era un “voto”; ma allora perché, mi chiedevo, al parroco hanno dato, come voto, un così bel regalo e invece a me, sulla pagella, pur chiamandoli con lo stesso nome mi rifilano sfilze di bassi e temutissimi “numeri”?

 

Solo quando non fui più capace di sognare, ne compresi la differenza sostanziale.

 

Quello è il primo “ex voto” che ricordo; in tutte le chiese legate alla vita di mare, ce ne sono o, meglio, ce n’erano, sino a che i fanatici interventi censori di Calvino e Lutero e successivamente quelli persecutori dei seguaci della rivoluzione francese a ciò sospinti dal vento che la seguì, ne fecero piazza pulita. In fine, ciò che era scampato da queste ottuse bufere, non sopravisse alla mal digerita voglia di modernità che sconvolse molti parroci subito dopo la fine dell’ultima guerra; li dispersero, vendendoli a privati o ad antiquari spregiudicati, favoriti in ciò anche dall’abituale incuria con la quale custodiamo le “cose di tutti”. Si è persa così, per sempre, una tangibile testimonianza della pochezza umana davanti al  temutissimo strapotere della natura o del destino.

 

Certo, anche inconsciamente, ad alimentare l’insicurezza di chi andava per mare c’era la fredda statistica che, al riguardo, parlava chiaro; dai registri navali si deduce che, nel 1800, su cento navi varate, solo trenta arrivavano alla “pensione” operando; tutte le altre finivano distrutte prima.

 

Questa vera e propria ecatombe, ben nota agli interessati, é alla base delle promesse fatte dal marinaio al suo Dio non solo per scaramanzia, anche se quest’ultima, si dava come imbarcata assieme all’equipaggio; era tangibilmente evocata, sotto forma di scritte o simboli, ben visibili sugli scafi, ad evidente scopo “preventivo”.

 

 

L’occhio di cubìa, il foro attraverso il quale oggi passa la catena dell’ancora, è un retaggio dell’antico occhio magico fenicio, un tempo dipinto a protezione sulle prue delle imbarcazioni, ma che ancor oggi lo si trova in molte barche del Sud e lungo la riviera Adriatica.

 

Queste testimonianze di patti, rispettati e  sciolti tutte le volte che  veniva superato il rischio, erano, per più della metà, dedicati a ricordare uno scampato naufragio, il pericolo più temuto, ma anche il più frequente documentando, nel frattempo, che l’aiuto soprannaturale, specie quello della Vergine, non è mai stato disgiunto all’innegabile perizia dei vecchi lupi di mare, nocchieri di quelle imbarcazioni.

 

L’esigua quantità d’ex voto arrivati sino a noi, riproducenti l’attimo in cui il singolo, ormai impotente, si sia salvato dal fortunale grazie al determinante aiuto divino o per essere stato sottratto ai marosi dal coraggioso intervento dei compagni di sventura, attesta che la sopravvivenza in mare era cosa rara e quasi mai riservata al singolo, assolutamente “disarmato” contro le forze scatenate della natura.

 

Ricorda Omero che lo stesso Agamennone, non appena la sua flotta raggiunse i lidi di Troia, offrì voti a Nettuno; come si vede, da sempre la marineria e gli ex voto hanno “navigato” di concerto.

 

Queste tangibili testimonianze, siano esse bassorilievi, quadri, sculture, sbalzi, incisioni o tele ricamate, documentavano l’episodio accaduto, visualizzando il sentimento di gratitudine dell’interessato per lo scampato pericolo; raramente furono eseguiti di pugno dell’offerente e, quei pochi realizzati, sono oggi facilmente riconoscibili perché ricchi di minuti dettagli, noti all’interessato ma non certo ad un pittore “routinier”, specializzato in ex voto a cui, all’epoca, spesso ci si rivolgeva.

 


 

Sono sempre eseguiti con tecnica ingenua e, sovente, dipinti su frammenti di rozze tele, le stesse utilizzate per riparare le vele o, se oleate, recuperate fra quelle pronte per rattoppare teloni impermeabili. Altri sono dipinti su fogli di rame, certamente scovati in cambusa fra i ricambi per rimpiazzare le tessere dello stesso metallo che rivestiva l’opera morta e che, molto spesso, venivano strappati dai più imprevedibili urti o strisciate. In tutti questi casi i colori utilizzati erano inequivocabilmente pitture grasse, sempre presenti a bordo per i ritocchi di manutenzione. L’autore, ormai in simbiosi con la nave sulla quale, spesso, vi aveva trascorso anni di navigazione senza più aver visto i propri congiunti, ne descriveva minutamente i particolari che ben conosceva, a scapito del “respiro artistico” che oggi ricerchiamo ma che lui, normalmente, non possedeva. Lo stesso ragionamento vale per le barche racchiuse in bottiglia e per le tipiche “mezze navi” incorniciate e sotto vetro e con i fiocchi di cotone impolverati a sopperire il mare.

 

La maggior parte degli ex voto, o come un tempo si diceva “tabelle votive”, giunti sino a noi, sono stati invece sovente realizzati da artigiani anonimi, che avevano bottega o presso i Santuari più frequentati dai marinai o lungo i moli dei porti. Nell’attesa dei clienti, si preparavano già un abbozzo di quadro per meglio valorizzarlo al momento di esibirlo al committente che n’avesse fatto richiesta; poi, a pagamento, apportavano quelle poche, indispensabili varianti o semplici specifiche per far sì che aderisse il più possibile all’episodio descritto loro dal cliente. In molti casi quindi, le navi o i panorami raffigurati non ci danno testimonianza di verità. Possono addirittura ritrarre imbarcazioni immaginarie che, però, divengono credibili grazie ai nomi e alle didascalie poste a chiarimento; quelle sì sempre veritiere.

 

Brigantino “N.S. del Monte Allegro” – 25 maggio 1858: Il Capitano Bartolomeo Rossi ed il suo equipaggio sono tratti in salvo dopo aver naufragato. (Autore: Domenico Gavarone)

 

Naturalmente le “tabelle votive” possono anche avere lampi artistici, secondo il sentire dell’artigiano che le ha realizzate, senza dimenticare che molto spesso giocava un ruolo importante il prezzo pagato dal committente, che poteva lievitare, non perché ne riconoscesse il maggior pregio, ma semplicemente perché desiderava far apportare quelle poche, ma indispensabili modifiche ad opere pressoché finite, così da rendere il più possibile aderente alla realtà la raffigurazione del fatto realmente accaduto. E’ intuibile che non tutto filasse liscio; il compromesso, anche qui, era indispensabile per far quadrare i magri risparmi di cui il marinaio poteva disporre, con l’ineludibile pressione morale che gli imponeva di sciogliere il voto, così come pattuito, <costi quello che costi >.

Nei casi in cui si fosse impegnato a scioglierlo al <primo porto che toccherò >, è naturale che dovesse orientare la propria scelta su qualcosa di quasi pronto, a scapito della veridicità dell’accaduto perché, se non poteva ritirarlo alla successiva franchigia, una volta aggiornato lo portava, seduta stante al Santuario e, di nascosto dai compagni. Quella promessa era una delle poche cose intime che poteva e doveva restare tale, fra chi era invece costretto a condividere diuturnamente tutto con tutti. O al Santuario prescelto o, se diversamente pattuito, lo donava poi a quello più prossimo al primo porto che avesse toccato.

 

Però non erano rari i casi in cui l’intero equipaggio si tassasse per donare un ex voto, degno del loro vascello.

 

A volte capitava che, versato il primo acconto, il committente sparisse per lungo tempo, per quello strano destino che accompagna la gente di mare e che faceva scrivere a Vittorio G. Rossi <sul mare l’uomo non lascia traccia di sé >.

 

Passato un ragionevole lasso di mesi, chi subentrava come acquirente allo “scomparso” che l’aveva commissionato, poteva ottenere forti sconti dal pittore, perché parte del prezzo lo aveva già pagato il primo; bastava, al solito, non richiedere molte varianti, per fare un affare con buona pace dei posteri, convinti di poterci sempre leggere una veritiera pagina di cronaca.

 

Molti furono anche gli “ex voto” realizzati su carta, rivelatasi poi facilmente deperibile per l’umidità sempre presente nelle vecchie Chiese, specie quelle vicino alle spiagge costruite, all’epoca, utilizzando la stessa sabbia di mare circostante, carica di sale mentre, altri, raramente arrivati sino a noi perché troppo fragili, erano dipinti su vetro anche se sarebbe più corretto dire “dietro il vetro”, con la stessa tecnica utilizzata dai cinesi per decorare, dipingendole dall’interno, le “sniff-bottles”; si tratta di raffigurare per primo, ciò che deve apparire in “primo piano” per chi guarda il vetro e poi sovrapponendovi i successivi “retro-piani” sino al fondale con le nuvole e, per ultimo, il cielo così che guardandolo appaia come il più lontano. Quelli che sono giunti sino a noi, si sono salvati perché il vetro li ha protetti dalla corrosione della polvere, dalle rare e grossolane ripuliture e dai fumi delle candele o dell’incenso che, proprio in quelle cappelle e per le stesse motivazioni devozionali, ardevano, sostentate da chi, a casa, aspettava pregando, il ritorno incolume del congiunto.

 

Non si hanno tracce di lavori eseguiti da artisti già affermati all’epoca mentre si conoscono alcuni nomi degli artigiani che andavano per la maggiore presso i committenti; firmavano le opere e, in molti casi, indicavano pure l’indirizzo della bottega. Si sa, da sempre, la pubblicità è l’anima del commercio.

 

Molto ricercati sono gli ex voto, oggi rarissimi perché oggetto d’interessata speculazione, scolpiti o incisi su avorio, ricavato da denti di capidoglio o similari; ormai veri e propri pezzi da museo, quelli istoriati nell’attorcigliato corno del narvalo, cetaceo dei mari artici.

 

Santuario di N.S. di Montallegro – Rapallo. L’ex-voto su lamina d’argento raffigura la “caracca ragusea”, simbolo di destrezza e perfezione tecnica. C’è capitato di scoprire proprio a Dubrovnik (ex-Ragusa) altri esempi di Ex-Voto marinari, molto simili ai nostri e quasi sempre rappresentati con la “caracca di epoca colombiana”.

 

Nel caso in cui l’ex voto fosse stato “solenne”, in altre parole, voluto dall’intero equipaggio, era fatto sbalzare su lastra d’argento (da non confondersi però con quelli a forma di cuore o arti che sono altra cosa) e raffigurava sempre il vascello “miracolato”; in questo caso, poiché tutti contribuivano alla spesa, ci si poteva permettere di far realizzare dal <fravego > (l’argentiere), un’opera di maggior impegno e costo.

 

Il Comandante, coinvolto in prima persona quale “coadiuvante della Divinità”, mai avrebbe voluto dare l’impressione ai devoti del luogo, specie se in zona era conosciuto, di aver lesinato sull’ex voto. Ne sarebbe andata della sua onorabilità, giacché nel cartiglio sempre appariva, oltre al nome del vascello, anche il suo che, è certo, in quel terribile frangente l’aveva abilmente pilotato a salvamento, naturalmente con l’indispensabile e decisivo aiuto dalla Vergine che, normalmente, era effigiata, quale apparizione, sopra l’albero di maestra.

 

I rischiosi viaggi in Terra Santa, i pericoli per raggiungere nuovi mercati e gli abbordaggi dei pirati, hanno per anni alimentato questa pratica, contribuendo non poco a quel florido mercato fra gli artigiani del settore.

 

Santuario di N.S. Montallegro – Rapallo – Nave a palo

FRANCISCA 1874. Lamina d’argento sbalzata.

 

 

In aggiunta a queste paure c’erano poi le intrinseche limitate sicurezze offerte sia dai velieri che dai precari ridossi utilizzati a mo’ di porti, spesso non protetti da ogni tipo di fortunale. In quelle cale generalmente i battelli sostavano direttamente davanti alla spiaggia prevista, insabbiandovi la prua per facilitare lo sbarco e la consegna delle merci; venivano assicurati piantando nella spiaggia due ancore divaricate fra loro e, di poppa, stessa misura ma con due ancore calate in mare. Questi accorgimenti evitavano che l’onda di poppa li potesse spiaggiare irreparabilmente né, in contrapposizione, che il risucchio li riportasse al largo.

 

Così ormeggiati, i marinai e gli uomini di fatica scaricavano la merce, utilizzando per sbarcare, precarie lunghe passerelle formate da tavole di legno sorrette da taccate, sulle quali camminare caricati della merce da recapitare; per farlo senza spezzare quelle sottili passerelle congiungenti i vari sostegni, era indispensabile adottare un armonioso passo ritmico, quasi di danza che, grazie al sincrono appoggiare dei piedi nel mentre l’asse “ritornava” dalla flessione precedente, permetteva a chi vi transitasse di caricarla nel punto, altrimenti debole, proprio  nell’attimo in cui, inarcata verso l’alto, garantiva il massimo della resistenza.

 

Gli “ex voto” non furono però un fenomeno solo Mediterraneo ma, come si riscontra sovente nella marineria mondiale, tutti gli addetti hanno, da sempre, adottati comportamenti equivalenti. Certo da noi, poiché il nostro mare fu il primo ad essere navigato, i marinai, come tutti coloro che appartengono alle fasce più indifese e maggiormente esposte ai pericoli, hanno da sempre affidato le loro vite al Soprannaturale, unica assicurazione gratuita, vecchia quanto l’uomo.

 

Non sempre i voti erano necessariamente sciolti nei nostri porti; per il marinaio, vero cittadino del mondo, ogni approdo era buono per “onorare” il debito di riconoscenza contratto in momenti terribili.

 

 

Il brigantino a palo ITALIA, costruito nei Cantieri di Varazze per l’Armatore Dall’Orso di Chiavari nel 1882, naufragò sull’isola di Tristan da Cunha nell’ottobre 1892.

 

Questa è la ragione per la quale si trovano testimonianze un po’ ovunque; si ha notizia di nostri ex voto, a Tristan de Cuna nelle omonime isole sperdute nell’oceano, dove esiste ancor oggi una comunità di liguri, sino ad arrivare alle lontane Falkland. Ad offrirli non erano però solo marinai nostrani; era pratica comune ai greci, ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli austriaci, ai portoghesi ed agli Inglesi e poi, scoperte le Americhe, anche i marinai di laggiù continuarono la tradizione, retaggio dei loro padri europei. Persino i freddi nordici, ad iniziare dai Vichinghi, offrivano ex voto ai loro protettori che spesso, com’è facile immaginare, non coincidevano con i nostri: ma pur sempre d’ex voto offerti con lo stesso spirito si tratta!

 

Possiamo concludere con quanto ha scritto il Rettore del Santuario di Nostra Signora di Montallegro che domina il Golfo del Tigullio e, nel quale, forse più che altrove, si custodiscono il maggior numero di ex voto marinareschi, nella prefazione del bel volume “Ex voto a Montallegro”, edito dal Comune di Rapallo e redatto con perizia e amore da Maria Angela Bacigalupo, Pier Luigi Bennati ed Emilio Carta, appassionati e puntuali ricercatori, là dove conclude < Visti nel loro valore religioso, risultano un segno rivelatore dell’apertura trascendentale dello spirito umano e, riferiti all’evento mariano, costituiscono una chiara testimonianza di come esso viva e s’incarni specialmente nella cultura popolare. Per questo è legittimo l’appello: salviamo gli ex voto, custodiamoli con intelletto d’amore, sappiamo coglierne il messaggio.>

 

Renzo BAGNASCO

 

Rapallo, 11 Ottobre 2014

 

Tratto dal libro: “Liguria amore mio” – Mursia Editore