URAGANO “EMILY”

Comandante CSLC Mario Terenzio Palombo

Sono nato a Savona il 30 agosto 1942, da famiglia di tradizioni marinare: mio padre Francesco, autentico “lupo di mare” era originario di Porto Santo Stefano (Monte Argentario), mia madre Renata Mattera, era dell’Isola del Giglio. La mia famiglia nel 1935, per esigenze di lavoro, si trasferì in Liguria, nella pittoresca cittadina di Camogli.

Il comandante Mario Palombo nel 1983

Mio nonno Biagio, già armatore del pinco-goletta Nettuno, comandato da mio padre, si mise in società con una famiglia camogliese ed iniziò i trasporti e la vendita a Camogli e Santa Margherita Ligure, di carbone e legna proveniente dalla Sardegna.

Mi sono diplomato nel 1963 all’Istituto Nautico “Cristoforo Colombo” di Camogli.

Dopo varie esperienze su navi da carico e petroliere, nel 1972 iniziai la mia carriera su navi passeggeri con la Società di navigazione Home Lines, assumendo il mio primo comando nel 1983. Nel 1988 questa Società fu venduta e venni, nello stesso anno, assunto dalla Società Costa Crociere dove rimasi a ruolo, sino al 30 giugno 2007. Con queste due importanti Società maturai sempre più la mia esperienza professionale partecipando a vari allestimenti di nuove navi, con l’affidamento del comando di navi prestigiose.

Il 21 giugno 1987 mi imbarcai al comando della M/n Atlantic (Home Lines) impegnata sulla linea New York – Bermuda. Fu una bella stagione calda e le crociere andarono a gonfie vele. L’alta temperatura aveva favorito lo sviluppo di depressioni e tempeste tropicali e alcune di queste erano già passate nelle vicinanze dell’isola, ma per fortuna sino a settembre le tempeste si erano esaurite durante la nostra sosta in porto e avevano permesso un tranquillo viaggio di rientro a New York.

La sera del 24 settembre, però, mentre eravamo tranquillamente in porto ad Hamilton (Bermuda) un comunicato straordinario ci informava che la tempesta tropicale che si trovava a 480 miglia a SW dell’isola, nelle vicinanze delle Bahamas, stava dirigendosi verso Nord rafforzandosi, con previsioni di ulteriore peggioramento e probabile passaggio, nelle seguenti 36 ore, su Bermuda.

L’intera isola era in stato d’allarme, tutti però speravano, come era successo molte altre volte, in un cambiamento di direzione della tempesta in prossimità della terra. Convocai subito nel mio studio il comandante in seconda Giorgio Bercic, il direttore di macchina Martino Gallinaro, il capo commissario Augusto Fazzio e il nostromo Latino Calloni per informarli sulla mia decisione in merito all’uragano e sui preparativi per affrontare il maltempo in navigazione. Studiata la situazione sulla carta nautica e valutate varie ipotesi, quella più valida al momento era di partire in tarda serata o in prima mattinata, di passare a Sud dell’isola e, una volta ricevuto il bollettino meteo aggiornato con l’ultima posizione, assumere una rotta di allontanamento in tutta sicurezza, per poi dirigere verso la costa (Cape Hatteras) e quindi verso New York. Avevamo, in questo modo, un buon margine da poter sfruttare convenientemente. Purtroppo la navigazione nei canali di Bermuda, data la loro ristrettezza era interdetta durante la notte e, nonostante la nostra motivata richiesta, non riuscimmo ad ottenere il permesso di partenza.

Non rimaneva che attendere la mattina successiva con una buona dose di ottimismo.

Il capo commissario preparò un avviso che fece diramare in tutte le cabine passeggeri, con il quale si comunicava che la nave, per l’avvicinarsi dell’uragano all’isola, non potendo rimanere in porto, per motivi di sicurezza, avrebbe anticipato la partenza al mattino successivo alle 07.00. Seguirono annunci per altoparlante in modo che tutti fossero informati sulla situazione. Il comandante in seconda fece chiudere le corazze degli oblò dei due ponti al di sopra del galleggiamento ed il nostromo preparò alcune pompe portatili che installò in prossimità degli ombrinali in cui l’acqua piovana avrebbe potuto defluire con difficoltà e causare allagamenti.

Informai la nostra agenzia sulla decisione di partire la mattina seguente. Il responsabile, un certo John Moore (mio amico già dal mio primo arrivo a Bermuda), essendo anche lui esperto di mare, approvò la mia idea e mi confermò che, essendo previsti piovaschi, le autorità portuali avevano ulteriormente esaminato la nostra richiesta di partenza notturna giungendo però alla conclusione di non accoglierla. Passai la notte nell’attesa di ricevere qualche bollettino meteo di aggiornamento. Purtroppo a quel tempo le previsioni non erano così accurate come oggi e per avere la posizione della tempesta e l’intensità del vento bisognava attendere che un aereo da ricognizione si recasse sopra l’occhio dell’uragano e con un’apposita sonda, rilevasse tutti i dati.

Provai pure a chiamare il Miami Hurricane Center, ma non avevano aggiornamenti. La mattina del 25 settembre 1987 il cielo si presentava grigio scuro ed il mare calmo, non un alito di

vento. Il barometro scendeva rapidamente. Da 1000 hPa, in pochissimo tempo, era già arrivato a 980 hPa. La cosa mi insospettì, la tempesta doveva essere vicinissima a noi. Avevamo appena iniziato ad alleggerire gli ormeggi per la partenza prevista alle 07.00, ma diedi ordine di sospendere, per attendere l’emissione del successivo bollettino meteo. Telefonai nuovamente al Miami Hurricane Center e mi dissero che a breve avrebbero diramato l’aggiornamento, infatti, poco dopo, il nostro strumento inizio a scrivere il messaggio.

Come pensavo, in realtà, la tempesta tropicale era molto più vicina a Bermuda e durante la notte si era intensificata trasformandosi in uragano e dirigendosi a forte velocità verso l’isola, in quanto aveva trovato condizioni meteo favorevoli con l’avvicinarsi alla terra. Si calcolò che aveva addirittura galoppato spostandosi ad una velocità superiore ai 30 nodi (55 Km/H) e che la forza del vento aveva raggiunto raffiche oltre i 100 nodi (180 Km/H). Il bollettino concludeva scrivendo che l’impatto con l’isola era previsto alle 08.00 del mattino. L’unica cosa da fare era riormeggiare la nave con tutti i cavi a disposizione e sperare in un cambiamento di rotta dell’uragano.

Ricordo che passammo intorno alle bitte d’ormeggio disposte in banchina almeno una dozzina di cavi a prora e poppa, in aggiunta feci mettere spezzoni di cavo d’acciaio, di cui la nave era dotata, tra le bitte di ormeggio lungo lo scafo e lungo la banchina. Questi spezzoni servivano a non far allargare troppo la nave dalla banchina durante le raffiche, evitando che aumentasse la tensione dei cavi di prora e di poppa. Feci zavorrare la nave per aumentarne la stabilità durante le forti raffiche ed in caso di una possibile perdita d’ormeggio. Feci inoltre devirare l’ancora di dritta in mare (lato banchina) sino a otto lunghezze (220 metri di catena) e feci disporre tra la banchina e la nave tutti i parabordi di cui la nave era dotata (circa una dozzina).

L’ancora in mare sarebbe stata una sicurezza in più nel caso in cui il vento fortissimo ci avesse fatto rompere i cavi e perdere l’ormeggio. Quando tutto il nostro personale addetto a queste operazioni salì a bordo, togliemmo lo scalandrone e rimanemmo in attesa degli eventi, con i motori in moto, pronti all’emergenza.

Tutti gli abitanti dell’isola si erano barricati in casa cercando di sbarrare e chiodare le finestre per limitare i danni. Puntualmente alle 08.00 il cielo, che prima era grigio, diventò nero, praticamente buio come la notte. Il barometro scendeva paurosamente a rotta di collo. La pioggia in pochi minuti diventò torrenziale e la quantità d’acqua caduta in pochi minuti fu tale da allagare tutte le strade, mentre le nostre pompe ausiliarie, fortunatamente, reggevano bene salvaguardando dall’allagamento l’interno della nave. La potenza del vento era paurosa. In porto sembrava di essere in mare aperto. In certi momenti le raffiche raggiungevano gli 80 nodi. Le barche ormeggiate poco distante dalla nave, strapparono gli ormeggi e rimasero in balìa del mare come fossero dei leggeri fuscelli.

Intanto la depressione che si era creata proprio al centro di Bermuda fece salire la marea di oltre due metri, il barometro era sceso ancora sino a 960 hPa. Il mare lambiva l’orlo della banchina. Guardandoci attorno, osservando le case sulle isolette, sembrava che l’isola dovesse inabissarsi. Sulla banchina riservata alle navi da carico ubicata proprio dietro di noi, le fortissime raffiche di vento fecero cadere tutti i containers vuoti accatastati e li spinsero in mare.


In porto ad Hamilton (Bermuda)

Danni causati alle bitte di ormeggio dalle prime raffiche violente di vento

I tetti delle case non resistettero a questa forza tremenda e di tanto in tanto, grossi pezzi di copertura dei tetti venivano sradicati e volavano via. La stazione marittima venne scoperchiata completamente. Il nostro scalandrone volò in mare. Le macchine e le moto rimaste in strada volavano via e venivano accatastate una sull’altra. Le uniche piante a resistere alla furia del vento erano le palme lungo la passeggiata. Venivano strapazzate in tutti i sensi, si piegavano quasi a toccare terra, ma resistevano. La nave, invece, quando la raffica aumentava di intensità veniva sbattuta contro la banchina, si avvertivano i forti colpi e le vibrazioni, ma i parabordi aggiuntivi che avevo fatto mettere proteggevano lo scafo che si manteneva integro. Il vento soffiò da SW, sbattendo la nave contro la banchina per oltre un’ora, poi il vento incominciò a girare da W e poi da NW, segno che il centro dell’uragano si stava allontanando, ma la forza del vento in questo settore era ancora più forte. Per circa cinque minuti le raffiche diminuirono di intensità, ma dovevamo aspettarci qualcosa di ancora più forte e tremendo. Improvvisamente le raffiche ripresero superando i 100 nodi ( 180 Km/H.), parte dei tetti ripresero a volar via e una forte raffica spinse violentemente la nave lontano dalla banchina, Si pensò che i cavi avessero ceduto, invece guardando tra la pioggia li vidi penzoloni e mi accorsi che in banchina mancavano tutte le bitte da ormeggio.

Praticamente i cavi avevano resistito, ma le bitte con tutto il cemento armato avevano ceduto e oltre alle bitte erano venuti via blocchi di banchina. Avevamo perso l’ormeggio.


Perdita dell’ormeggio causata dal fortissimo vento

Le bitte avevano ceduto perché su ognuna di esse c’erano almeno tre o quattro cavi che, insieme, avevano formato un fascio molto resistente che superava la tenuta della bitta stessa.

La furia dell’uragano contro la nave Atlantic

Una scena che, a prima vista, mi lasciò sbalordito. Fortunatamente mi ripresi subito pensando che la poppa della nave spinta dal vento avrebbe potuto urtare contro la banchina, il vento infatti aveva fatto ruotare velocemente la nave. Tolsi tutte le sicurezze sui motori per avere l’intera potenza disponibile e misi le leve di colpo avanti tutta.


Perdita dell’ormeggio causata dal fortissimo vento

La nave reagì subito, ebbe un balzo in avanti portando via anche le bitte di ormeggio di poppa. La nave fu salva dal possibile urto contro la banchina. Subito per altoparlante gridai al nostromo di cercare di recarsi a prora per dare fondo all’ancora di sinistra.

Mi dissero dopo che, sentendo la mia voce così forte e decisa, l’equipaggio e i passeggeri si rassicurarono pensando che chi stava in quel momento al comando, non aveva perso la calma. Il nostromo Latino Calloni fu rapido, passò dal portello di prora, riuscì con una cintura di sicurezza a legarsi al verricello e, al mio ordine, quando la catena di dritta che era già in mare si stese tutta, diede fondo all’ancora di sinistra lasciando andare, anche su questa, circa sette lunghezze (200 metri). Ci trovavamo in mezzo alla baia del porto con le due ancore in mare.


In porto ad Hamilton (Bermuda) si lotta contro le violente raffiche di vento

Pioggia e vento non mollavano, non si vedevano neppure la banchina e la terra intorno a noi per le forti raffiche di vento e per la pioggia torrenziale. Mi sentivo però più sicuro, dentro di me pensavo che le ancore avrebbero salvato la nave. In tutto questo frangente si doveva pensare anche ai nostri passeggeri e all’equipaggio. Il nostro direttore di crociera era sul ponte per dare informazioni sull’accaduto con messaggi sempre ottimistici. Feci anche dire loro di stare tranquilli perché in quelle circostanze il luogo più sicuro era la nave e anche se ci fossimo arenati, non ci sarebbe stato alcun pericolo.


In porto ad Hamilton (Bermuda) la nave lotta contro la furia dell’uragano Emily

Le raffiche di vento causavano improvvisi sbandamenti a dritta e a sinistra di oltre 10 gradi. Cercavo di manovrare la nave con i motori, non si vedeva nulla per la furia della pioggia e per il vento. L’ufficiale a poppa di tanto in tanto gridava che la nave si avvicinava paurosamente alla banchina ed io prontamente agivo sui motori per evitare l’urto.


In porto ad Hamilton (Bermuda): raffiche violente di vento

Molte volte arrivammo a meno di un metro di distanza, ma riuscimmo sempre a evitare il contatto. La forte escursione di marea aveva fatto sì che la nave galleggiasse tranquillamente anche nella parte più interna del porto, dove veniva sospinta dal vento.


In porto ad Hamilton (Bermuda) la nave lotta contro la furia dell’uragano Emily

Tutto intorno a noi lo scenario era terrificante: a terra case scoperchiate, strade allagate, macchine accatastate, in porto barche e containers rovesciati e alla deriva.


 


Nelle tre foto: in porto ad Hamilton (Bermuda), raffiche violente di vento contro le case

Dopo circa due ore di furia, finalmente, verso mezzogiorno, il vento incominciò a placarsi. In mezz’ora il tempo fece un rapido cambiamento. Prima si calmò il vento, poi il cielo da nero diventò grigio e poco dopo incominciò a schiarirsi fino a divenire completamente sereno.


In porto ad Hamilton (Bermuda): la furia dell’uragano si sta placando

Il barometro che aveva raggiunto un picco in discesa sino a 956 hPA,( mai visto così basso!) stava salendo molto rapidamente e ciò significava che l’uragano dopo aver scaricato tutta la sua furia sull’isola si era diretto in mare, degradato a depressione tropicale. Come avevo pensato le ancore avevano salvato la nave.

Con una lancia messa a disposizione dalla nostra agenzia feci un giro di ispezione intorno alla nave. Nessun danno allo scafo e alla sovrastruttura, nessun vetro di oblò rotto.

L’isola fu invece semidistrutta dalla tempesta. Mentre giravo con la lancia intorno alla nave, i passeggeri applaudivano e mi gridavano «Bravo Mario, grazie!». Anche da terra molti abitanti usciti di casa applaudivano nel vedere la nave integra in mezzo a tutto quel disastro.

Prima di poter partire per New York si dovette attendere qualche ora per consentire al comandante del porto di far sgombrare l’area dalle imbarcazioni che si trovavano in mezzo al canale e sulla nostra rotta. Rimanemmo nella rada di Hamilton antistante la banchina di ormeggio, inoltre studiammo con il comandante, il pilota e il nostro agente, il capitano John Moore, la priorità delle azioni da intraprendere per poter far scalo senza problemi la settimana successiva.

C’erano da ripristinare le bitte, da riparare il tetto della stazione marittima e da ripescare il nostro scalandrone caduto in mare. Per le bitte i tempi erano lunghi, in quanto si doveva attendere che il cemento armato facesse ben presa e quindi si decise, per almeno due o tre scali, di utilizzare la catena di emergenza sistemata nei pozzetti della banchina di prora e di poppa della nave. Questa catenaria nei casi di vento fortissimo, veniva di proravia connessa alla catena della nave, di poppavia ad un fascio di almeno tre cavi, di cui uno di acciaio. In questo modo l’ormeggio poteva considerarsi sicuro, di certo non in caso di uragani, in quanto era meglio che le navi lasciassero per tempo il porto per raggiungere mari più tranquilli. Nel nostro caso, le catene non erano state utilizzate in quanto pensavamo di partire in prima mattinata, ma la nave era stata salvata dalle proprie ancore.

Suggerii al comandante del porto di far installare bitte molto resistenti, almeno due in testata ed in radice della banchina, con un solido e profondo basamento. Ci vollero tre settimane, ma finalmente avevamo nuove bitte molto forti posizionate a regola d’arte.

Liberato il canale da tutti gli oggetti pericolosi per la navigazione, poco dopo le 14.00 partimmo per New York. Avevo passato quattro ore terribili in piedi, nonostante tutto mi sentivo ancora forte sulle gambe. Durante la navigazione lungo la costa dell’isola era possibile osservare le spaventose distruzioni provocate alla vegetazione e alle case dall’uragano.

Lasciata la costa a circa cinque miglia di distanza, al limite della barriera corallina l’uragano Emily che dirigeva verso Nord Est e che era ormai solo una depressione tropicale, ci aveva lasciato un’ultima sorpresa: davanti a noi il mare lungo formava, sui bassi fondi, onde tra i sei e i dieci metri che frangevano sulla barriera, sollevate da raffiche violente di vento. Feci subito fare un annuncio ai passeggeri che avremmo affrontato le onde a bassa velocità e che non ci sarebbe stato alcun pericolo per loro e per la nave.


Sotto le coste di Bermuda, primo impatto con le onde lasciate dall’uragano “Emily”

Affrontata la prima onda, dovetti diminuire e subito aumentare la velocità per governare bene la nave. L’ Atlantic si comportò egregiamente; data la bassissima velocità, l’onda passò senza provocare forte movimento di beccheggio né tantomeno forte impatto. A seguire ce ne furono altre quattro, tutte tra i sei e gli otto metri. Finalmente fuori, assumemmo la rotta iniziale più verso Cape Hatteras, dove il mare era previsto molto più calmo. Il viaggio fu buono e i passeggeri rimasero soddisfatti.

 

Impressionante veduta delle onde lasciate dall’uragano “Emily”

Sul programma del giorno chiamammo la serata dell’ arrivederci “Gala dell’uragano Emily” e dovetti poi firmare tutte le copie perché i nostri passeggeri lo vollero tenere come ricordo.

La stessa sera ricevetti moltissime lettere di elogio e di ringraziamento dai passeggeri. Avrei dovuto scendere in ristorante, ma ero troppo stanco, mi feci vedere soltanto durante i due cocktail prima dei due turni della cena. Fui accolto con grandi applausi, elogiai i nostri passeggeri per la calma mantenuta durante l’emergenza e poi mi ritirai per un meritato riposo.


Onde montagnose lasciate dall’uragano “Emily”

Non riuscii a dormire quella notte, sentivo forti crampi alle gambe per la stanchezza e poi il pensiero del pericolo corso e superato mi veniva continuamente in mente. Rivedevo chiaramente tutto. Ringraziai il Signore per avermi dato così tanta forza da mantenermi sempre calmo e lucido in tutte le decisioni e negli ordini impartiti e per avermi fatto uscire dalla tempesta con la nave integra.



Nelle foto sopra: impressionanti vedute delle onde lasciate dall’uragano “Emily”

La notizia dell’uragano e della nave scampata al pericolo era rimbalzata su tutte le reti televisive degli Stati Uniti. In arrivo a New York, la mattina di lunedì 27 settembre, un elicottero di una rete televisiva sorvolò la nave e, all’arrivo in stazione marittima fui intervistato varie volte sull’accaduto.

Vidi poi in televisione che tutti i passeggeri intervistati avevano rilasciato dichiarazioni encomiabili nei confronti miei e di tutto l’equipaggio per come era stata gestita l’emergenza e per l’informazione continua e rassicurante. Per alcuni giorni in TV non si parlò d’altro che di me, della nave e dell’uragano. Fu una buona pubblicità per la nostra Compagnia.

Anche i passeggeri appena imbarcati non facevano altro che parlare di questa storia e, appena mi vedevano, mi fermavano per conoscerne i dettagli .

Ritornati a Bermuda, guardando l’isola con l’occhio più attento, notammo moltissimi tetti delle case distrutti e tantissimi alberi abbattuti. Gli abitanti avevano iniziato la riparazione provvisoria dei tetti utilizzando della tela in attesa che giungesse sull’isola altro materiale idoneo per la riparazione.

Ci ormeggiamo in porto ad Hamilton utilizzando l’unica bitta rimasta di prora e di poppa ed in aggiunta, come avevamo già stabilito, le catene sistemate nei pozzetti della banchina.

Appena arrivati ci fu una bella sorpresa: la banda dell’isola ci diede il benvenuto. Ricetti l’invito di presentarmi dal governatore dell’isola: fu una cerimonia molto toccante che culminò nella firma dell’evento dell’uragano su un registro dove di solito firmano le persone importanti.

Il governatore John W. Swan mi consegnò una targa in memoria del passaggio dell’uragano e oltre al suo encomio personale mi diede una lettera dove esaltava il mio comportamento e mi dichiarò cittadino onorario dell’isola per tutta la stagione 1987. Fui veramente commosso e nello stesso tempo fiero per quanto, con l’aiuto di Dio, ero riuscito a fare.


Firma del registro “Eventi straordinari su Bermuda” in presenza del governatore dell’isola

Riporto qui di seguito i contenuti della lettera ricevuta:

PREMIER – THE CABINET OFFICE – HAMILTON 28.9.1987.

Caro Comandante Mario Palombo,

Tutti, tra coloro che sono stati testimoni delle difficoltà duramente provate dalla m/v Atlantic, nel culmine del cattivo tempo causato dall’uragano Emily, lo scorso venerdì, sono rimasti sbalorditi dalla consumata destrezza con la quale Tu sei stato capace di portare la Tua Nave fuori dal pericolo.

La subitaneità con la quale Bermuda è stata colpita dall’uragano, ha colto molta gente di sorpresa, ma le storie rimangono di quelli che, come Te, sono stati capaci di emergere dall’occasione. La Tua rapida azione ha certamente allontanato ciò che poteva essere un disastro molto pericoloso. Quindi, a Nome del Governo, ho il piacere di encomiare Te ed il Tuo Equipaggio per la pronta ed efficiente azione con la quale Tu hai manovrato la Tua Nave fuori dal pericolo, Vogliamo sperare che, da oggi in poi, Noi navigheremo mari più tranquilli. Cordiali e personali saluti, sinceramente John W. Swan.

Alcuni giorni dopo dal presidente della Compagnia ricevevo la seguente lettera:

HOME LINES INC. 5 Ottobre 1987.

Caro Comandante Mario Palombo,

Voglio congratularmi con Te e con il Tuo Equipaggio per il modo coraggioso con il quale avete affrontato le difficoltà causate dall’uragano Emily.

Vi porgo i miei migliori saluti, sinceramente. N. Vernicos Eugenides President.

Il Presidente della Home Lines New York mi scriveva in data 1 Ottobre 1987.

Caro Comandante Mario Palombo,

a seguito della nostra conversazione telefonica relativa all’atroce uragano Emily, voglio esprimere per iscritto il nostro apprezzamento e ringraziamento per il modo magistrale con il quale Tu hai manovrato la Tua nave durante quei critici momenti. Noi siamo estremamente orgogliosi di avere Comandanti del Tuo calibro nella nostra Famiglia Home Lines.

Congratulazioni, sinceramente, Franciskos G. Stafilopatis, President.

Dal nostro Comandante di armamento di Genova ricevevo :

AGENZIA MARITTIMA ITALO SCANDINAVA Sede in Genova, 7 Ottobre 1987.

Caro Comandante,

Ho appena finito di leggere ed osservare tutto il materiale, fotografie, estratto giornale, lettera del Primo Ministro ecc. da lei cortesemente inviatomi relativamente alla famigerata “Emily”. Naturalmente sono tornato con la mente alle conversazioni telefoniche con Lei avute quando mi ha informato di quanto accaduto e mi viene il dubbio che in quelle nostre conversazioni forse non sono stato capace di esprimerLe appieno il mio apprezzamento e la mia ammirazione per la capacità con cui ha saputo affrontare la pericolosa emergenza ed essere padrone della nave malgrado tutte le circostanze avverse che, in breve giro di tempo, si sono scatenate contro di Lei e la sua nave. Solo la Sua perizia e la Sua calma Le hanno consentito di manovrare in condizioni praticamente impossibili e di tener testa agli elementi. Ammirevole è stato anche il comportamento del Suo Equipaggio al quale La prego di esternare il mio apprezzamento. Lei non può immaginare quale soddisfazione sia per me il poter dire una volta di più che i Marittimi della Home Lines sono sempre i migliori di tutti.

Con i più cordiali saluti, Diego Voussolinos.

Inoltre il giornale di Bermuda la “ Royal Gazzette “ riportava un articolo da un bellissimo titolo : “ATLANTIC NEVER LOST CONTROL” dove esaltava la mia impresa e dove ringraziavo il mio bravissimo direttore di macchina Martino Gallinaro per la collaborazione ricevuta nel mantenere sempre tutti i servizi nave in efficienza durante questa dura prova. Riportava che, mentre l’isola era stata colta di sorpresa, io non mi ero lasciato sorprendere, mi ero preparato, mettendo a frutto la mia esperienza, per affrontare le intemperie. In questo articolo riportavano anche quanto io ero fiero dei miei ufficiali e del mio equipaggio per il comportamento coraggioso dimostrato in questa occasione.

In conclusione posso dire che fu veramente una brutta esperienza dalla quale venni fuori senza danni con l’aiuto di Dio. Il fatto di aver pianificato ogni cosa e cercato di prevedere il peggio mi fu senz’altro di grande aiuto in quanto tutti i miei ufficiali erano pronti all’emergenza ed erano a conoscenza del miei piani in tutti i dettagli e, quindi, sapevano come muoversi. Inoltre l’equipaggio era stato informato su come intervenire in aiuto, se fosse stato necessario, dei nostri passeggeri e soprattutto sapeva di dover agire con calma evitando di creare panico. Fu proprio la calma, che grazie a Dio, riuscii sempre a mantenere, a farmi prendere le giuste decisioni per la nave, i passeggeri e l’equipaggio.

dal Libro : “La mia vita da uomo di mare” del Com.te Mario Terenzio Palombo – Editrice Innocenti – Grosseto (4/09)

Carlo GATTI

Rapallo, 15.03.12