LAGO DI NEMI

LE NAVI DI CALIGOLA

VISITA ARCHEO-MARINARESCA DI MARE NOSTRUM RAPALLO


Il Lago di Nemi, a destra nella foto, è un piccolo lago vulcanico, posto tra Nemi e Genzano di Roma, situato 25 km a SE dio Roma, a quota 316 m s.l.m. ben 25 metri più in alto del lago Albano da cui dista circa 2 km in linea d’aria, sui Colli Albani nel territorio dei Castelli Romani. Esso ha una forma leggermente ovale (1,15 km X 1,45 km.), ha una profondità massima di 33 metri ed é esteso per circa 1,67 km2.


Nei boschi vicini al lago esisteva un luogo di culto dedicato alla dea Diana Nemorensis (nella foto); Nemi infatti prende il nome e lo attribuisce anche al paese che sorge sopra di esso, posizionato quasi al centro dei Colli Albani, a 521 m.s.l.m. Nemi è il comune più piccolo dell’area dei Castelli Romani, noto per la coltivazione delle fragole sulle sponde del Lago di Nemi e per la relativa sagra, che si svolge ogni anno la prima domenica di giugno. L’emissario, anch’esso di epoca romana, nel suo tratto sotterraneo è lungo 1650 metri, passa sotto Genzano attraversando il recinto craterico del Vulcano Laziale e si riversa incanalato nella Valle Ariccia. Si giunge al Museo delle navi di Caligola prendendo l’uscita n.23 sul grande raccordo anulare di Roma, direzione: “Via Appia” e dopo una ventina di KM si giunge a Nemi.

La leggenda del lago di Nemi


Ricostruzione ideale d’una delle navi di Nemi, quella che, secondo un’interpretazione degli storici, l’imperatore Caligola costruì per i suoi svaghi personali, ma anche per sbalordire i suoi ospiti. Le navi di Nemi confermano la predilezione che ebbe Caligola per l’arte, non solo navale, del periodo ellenistico e pompeiano.

Il lago di Nemi visto dall’omonimo paese che sorge sulla cresta del cratere vulcanico

Sin dall’antichità il lago di Nemi si trovò al centro di una leggenda riguardante due navi di dimensioni gigantesche, costruite in epoca romana, ricche di sfarzo e forse di tesori sepolti sul fondo del lago per ragioni misteriose. Tale leggenda prese a circolare sin dal I° Secolo d.C., e poi per tutto il Medioevo, accreditata dal ritrovamento occasionale di strani reperti da parte dei pescatori del lago. Queste voci avevano, in effetti, un fondamento di verità. Le due navi furono fatte costruire dall’imperatore Caligola, in onore della dea egizia Iside (sembra che il futuro imperatore sia cresciuto in Egitto) e della dea locale Diana protettrice della caccia. Splendidamente decorate, esse furono il frutto di una tecnica di costruzione molto avanzata; Caligola le utilizzava come palazzi galleggianti in cui sostare sul lago, ma anche simulare battaglie navali, stipulare trattati, dichiarare guerre, ricevere Capi di Stato in tutta sicurezza. Lo stesso criterio fu in seguito adottato dai nobili medievali che si rinchiudevano nei manieri circondati da fossati allagati. I black block c’erano anche all’epoca dei romani, ma avevano altri nomi. Tuttavia, in seguito alla sua morte avvenuta nel41 d.C., il Senato di Roma, di cui l’imperatore fu acerrimo avversario politico, per cancellarne il ricordo fece distruggere tutte le opere di Caligola, tra cui anche le navi di Nemi che vennero affondate nel lago. Da allora la storia delle navi, unita al ricordo della loro magnificenza, diventò leggenda.

Tra sogno e realtà

La nostra curiosità ci porta indietro 2000 anni per immaginare due magnifiche navi che per pochi anni hanno ‘oziato’ alla fonda sul lago, poi hanno dormito due millenni nel letto del vulcano, proprio come in certe favole per bambini, ed infine sono riapparse per essere distrutte dalle fiamme e dalla stupidità dell’uomo. Di loro non si sono mai trovate tracce scritte, ma solo testimonianze di pescatori locali che hanno alimentato per secoli il mito di un tesoro di proporzioni inaudite. La spoliazione di reperti archeologici continuò per secoli nell’attesa che sarebbe maturata la ricerca scientifica, quindi una forte volontà di recuperare una parte ancora nascosta della nostra storia nazionale.

Fistule plumbee con il nome di Caligola (CAESARIS AUG. GERMANIC) che hanno consentito l’attribuzione delle navi all’imperatore.

La storia delle navi di Nemi é forse una leggenda popolata solo di fantasmi? Una favola dai contorni incerti e da un finale maledetto? Se usciamo da questo schema fantasioso scopriamo, per esempio, che dei semplici tubi di piombo, detti fistole acquariae, ci riportano immediatamente al nome del committente.

Si legge che: “Questi tubi erano ricavati da lastre rettangolari di piombo saldato longitudinalmente e si era soliti stampigliare su di essi il nome del proprietario, spesso il nome del “liberto idraulico” e a volte il numero progressivo. Fu così che si risalì all’identità di chi le volle: l’imperatore Caligola. Egli non desiderò due navi qualsiasi, perché esse dovevano avere sovrastrutture terrestri, con terme e templi coperti da tegole in terracotta, oppure in bronzo ricoperte da una patina d’oro. E poi colonne di varia grandezza e foggia, pavimenti in mosaico, statue e altre opere in bronzo finemente lavorato, e ancora statue, protomi leonine, ghiere per i timoni e tante, tante cose ancora… Fra queste, come abbiamo visto, anche le fistule plumbee che assicuravano il rifornimento idrico, partendo dalle rive del lago e arrivando fino alle navi, a tutte le numerose persone che si accompagnavano all’imperatore su quelle: ospiti illustri, dignitari, musici, soldati, amici e… nemici, vista la fine che fecero Caligola e le sue navi.

Caligola e L’Aquila Imperiale

Lascio a Svetonio, Dione Cassio, Tacito, Seneca, Giuseppe Flavio ecc… ma soprattutto agli storici moderni, il compito d’indagare sui tanti misteri dell’antica Roma, ciò non di meno, pensiamo che Caligola uomo di mare sia degno di qualche rilievo, e Plinio lo conferma con le seguenti notizie (Nat. Hist. XVI, 40,201) che si riferiscono ad un altro ‘exploit’ marinaro di Caligola:

 

“Un abete degno di particolare ammirazione fu usato sulla nave che trasportò, per ordine dell’imperatore Caligola, l’obelisco destinato al circo Vaticano (oggi ancora al suo posto n.d.r.). Nulla di più meraviglioso di questa nave fu senza dubbio visto dal mare: ebbe un carico di zavorra di 120 mila moggi di lenticchia (=1.050 tonnellate n.d.r.). Con la sua lunghezza si ricoprì quasi tutto lo spazio del molo sinistro del porto Ostiense.


Ivi infatti fu affondata dall’imperatore Claudio e sopra vi fu edificata una triplice torre (il celebre Faro di Ostia Antica) costruita con pietra di Pozzuoli…”. (vedi disegno sopra)

Trasportare l’obelisco egiziano a Roma fu un’autentica impresa costruttiva e navale. Infatti, durante la manovra d’imbarco l’opera si spezzò in due tronconi. A bordo della nave pensarono allora di riempire la stiva con delle lenticchie che facessero da imballaggio. L’obiettivo fu raggiunto grazie all’alto grado di marineria, ed al ‘sorprendente’ livello raggiunto dall’ingegneria navale romana che seppe costruire una nave lunga ben 130 metri e che fu utilizzata solo per quella missione. Infatti, una volta terminato il suo compito, la nave fu rimorchiata nel porto che l’imperatore Claudio stava costruendo ad Ostia, fu riempita di massi e affondata.

 

Su di essa fu edificato il celebre faro di Ostia Antica!

A questo punto ci viene in mente qualche paragone: l’ITALIA, il più grande veliero italiano di tutti i tempi, era lungo 100 metri e venne costruito nel 1903. La celebre carretta standard americana “LIBERTY”, simbolo della Seconda guerra mondiale, era lunga 134 metri. Tutto ciò accadde 2000 anni dopo Caligola.

Ritorniamo alle navi di Nemi cercando di capire qualcosa di più sull’Ing. Caligola e sulle sue navi speciali. L’Imperatore nacque ad Anzio il 31 agosto del 12 d.C. e morì a Roma il 24 gennaio del 41 d.C.- Il suo vero nome era Gaio Giulio Cesare Germanico (latino:  Gaius Iulius Caesar Germanicus), meglio conosciuto come Gaio Cesare o Caligola, fu il terzoImperatore ROmano, appartenente alla dinastia Giulio-Claudia,  e regnò dal 37 al 41 d.C. Suo padre Germanico, nipote e figlio adottivo dell’imperatore Tiberio, era un brillante generale e uno delle figure pubbliche più amate dal popolo romano. Le fonti storiche giunte fino a noi lo hanno reso noto per la sua stravaganza, eccentricità e depravazione, tramandandone un’immagine di despota: “in preda a manie assolutiste e di persecuzione, uccise parenti, amici e nemici, dignitari dell’Impero, si fece adorare come un dio e tra le tante stranezze riportate ci fu anche la nomina a ‘senatore’ del proprio cavallo”. L’esiguità delle fonti storiche, fa di Caligola il meno conosciuto di tutti gli imperatori della dinastia. Per amore della verità, occorre dire che qualcosa di buono la fece: limitò il potere del Senato come suo zio appoggiandosi al popolo e riducendo le tasse, concesse amnistie, restituì a romani i Comizi Centuriati e Tribuni che avevano fatto grande Roma. Il suo potere cominciò a barcollare dopo due deludenti campagne militari in Britannia e in Germania, per le quali dovette aumentare le imposte perdendo il favore del popolo. Caduto in disgrazia, si fece sospettoso, crudele e dissoluto, fu ucciso il 24 gennaio dell’anno 41 d.C. da una congiura ordita da alcuni senatori e conclusa dal tribuno Cassio Cherea e pochi altri. Il silenzio storico che da allora cadde sulle navi di Nemi e su Caligola che le realizzò, si deve alla damnatio memoriae, cioè alla consuetudine nel mondo antico, di distruggere tutto ciò che una persona malvagia (hostes) aveva compiuto in vita. Questa condanna votata dal Senato era la più temuta, e se essa colpiva un individuo ancora vivo diventava una sorte di morte civile: non fare più parte dell’Urbe, pur essendo ancora vivo. La frase che incuteva un immenso rispetto e timore “Noli me tangere, civis romanus sum” (Non mi toccare, sono un cittadino romano) non poteva più essere pronunciata.

Le due navi di Nemi volute da Caligola furono affondate con i suoi misteriosi arredi, simboli e ricchezze che saltuariamente nei secoli venivano alla luce ricordando un mito, forse una leggenda che nessuno aveva mai più raccontato.

 

Si aprono nuovi scenari culturali

Il primo tentativo di recuperare i relitti di Nemi avviene nel 1446

 

Dopo aver compiuto un salto in avanti di circa 14 secoli, toccò al cardinale Prospero Colonna, signore di quelle terre e del lago, affidare l’arduo compito al celebre architetto Leon Battista Alberti che puntò tutto sui marangoni genovesi (provetti nuotatori di superficie e in apnea) che localizzarono i relitti, diedero moltissime informazioni e misure, costruirono anche una piattaforma dalla quale tentarono di tirare a riva la nave più vicina con cime e ganci. Ma il risultato fu pessimo perché riuscirono soltanto a strappare e a danneggiare un pezzo di scafo. Il reperto impressionò i romani e soprattutto il grande Papa del Rinascimento umanistico, Niccolò V°.

Il secondo tentativo risale al 1535

 

Fu affidato all’architetto meccanico Francesco De Marchi al servizio di Alessandro dei Medici, Duca di Toscana. Non trascorse un secolo dal primo tentativo che, dai rudi marangoni si passò alla ‘campana’ inventata da Guglielmo di Lorena che insieme al De Marchi s’immersero nel lago. La descrizione tecnica della campana fu tenuta segreta. L’uomo nella ‘campana’ si spostava lentamente camminando sulla coperta infangata della nave guardando attraverso una specie di oblò. Calcolò per difetto le misure della nave più vicina alla riva. Tentò di cingere la nave con cordami vari per poterla sollevare con gli argani, ma tutto fu inutile e negli sforzi compiuti l’esploratore patì forti emorragie.

 

Tanto coraggio non era sufficiente per programmare un recupero di quelle dimensioni senza l’impiego di una valida tecnica che era ancora lontana nel tempo.

Il terzo tentativo si ripete il 10 settembre 1827

 

Passati quasi tre secoli, il nobile Annesio Fusconi si avvicinò all’impresa con l’uso di una campana ‘aggiornata’, detta di Halley che poteva contenere otto marangoni genovesi. L’impresa dei nuotatori fu limitata all’asportazione di: “due tondi di pavimento, uno di porfido orientale e l’altro di serpentino, pezzi di marmo di varie qualità, smalti, mosaici, frammenti di colonne metalliche, laterizi, chiodi, tubi di terracotta ed infine travi e tavole di legno”.

 

Il cattivo tempo mise fine ai tentativi che ancora una volta furono parecchio deludenti.

 

Il quarto tentativo ha luogo il 3 ottobre 1895

 

Con l’unione: ‘privato’ – ‘pubblico’, ossia della nobile casata degli Orsini con il Ministero della Cultura dello Stato. Nel frattempo la tecnica subacquea aveva fatto numerosi passi in avanti. Un esperto palombaro esaminò accuratamente lo scafo più vicino e riportò alla luce un anello tenuto tra le fauci di un leone, e poi quello di un lupo (vedi foto sotto) e d’altre teste di felini.

 

Due famose protomi ferine dalla forma di teste di felino che stringono tra i denti un anello che in marina si chiama ‘golfare’ ed é usato tuttora nei porti per ormeggiare imbarcazioni, ma anche per sollevare pesi.

 

E poi, ancora rulli sferici e cilindrici, paglioli, cerniere, filastrini in bronzo, tubi di piombo, ancora tegole di rame dorato, laterizi di varie forme e dimensioni, frammenti di mosaici con abbellimenti in pasta di vetro, lamine di rame ed altro.

 

Il 18 novembre fu individuata la seconda nave

 

Una delle due navi é stata finalmente recuperata. Una lunga fila di fortunati visitatori circonda il relitto. L’immagine dà l’esatta proporzione delle sue immense dimensioni. Presto la nave di Nemi sarà messa al riparo nel suo Museo, ignara che un atroce destino l’attende. La Seconda guerra mondiale é alle porte e la ‘fiaba’ raggiungerà presto il suo triste epilogo…

 

Fu recuperata la decorazione del sostegno di uno dei quattro timoni raffigurante un avambraccio ed una mano, che erano simboli ‘apotropaici’ e servivano ad allontanare le influenze magiche e maligne. Se ne trovarono a volte nei sepolcri, ed il loro nome derivò da una parola greca che significava ‘allontanante’.

Fu recuperata una bellissima testa di medusa (foto sopra) e poi 400 metri in travi di ottimo legno perfettamente conservato. Altre importanti statue andarono, purtroppo, perdute nelle mani di collezionisti privati.

Finalmente interviene lo Stato

La tutela, il recupero e la conservazione dei reperti antichi furono affidati al Ministero della Pubblica Istruzione. Al Ministro della Marina Ammiraglio Morin fu affidato il compito di recuperare ‘scientificamente’ i relitti sommersi nel lago. Nacque così una vera organizzazione archeologica che si occupò della posizione delle navi rispetto ai fondali, delle loro identificazioni, dei rilievi e delle proposte di raccolta di tutto il materiale riguardante i relitti. Nella relazione si legge: “la prima nave dista dalla riva circa cinquanta metri ed è quella esplorata dall’Alberti, dal De Marchi e, probabilmente, dal Fusconi ed è adagiata sul fianco sinistro ad una profondità da cinque a dodici metri. Lontano duecento metri, ad una profondità da quindici a venti metri circa, giace la seconda nave, anch’essa adagiata sul lato sinistro ed anch’essa semi coperta dal fango”.

 

 

Nel 1926 si procede al quinto tentativo

 

Per recuperare le navi di Nemi, fu istituita una Commissione di Studio affidata al senatore Corrado Ricci. Furono esaminati tutti i progetti e studi effettuati in precedenza, ed infine fu ritenuto idoneo il metodo di lavoro proposto dal Malfatti: l’abbassamento del livello del lago fino a far emergere le due navi.

Il 9 aprile 1927 Benito Mussolini annunciò la decisione di recuperare le due grandi navi sommerse ricordando la grandezza di Roma, della sua storia e della sua civiltà, affermando che l’impegno preso era un debito d’onore verso la cultura classica e verso la dignità del nostro Paese.

 

Il Capo del Governo concluse il suo discorso proponendo il programma dei lavori: svuotamento parziale del lago intorno ai relitti, la loro messa in sicurezza, ed infine il loro trasporto e sistemazione in un museo appositamente costruito nella parte pianeggiante della sponda.

Un palombaro sta per immergersi nel lago di Nemi (Archivio LUCE 03.12.1928)

 

 

L’annunciata ‘avventura’ rappresentò il coinvolgimento ufficiale dello Stato che si assunse l’iniziativa e l’esclusiva del recupero delle due antiche e sfortunate navi romane.

Una delle due navi sta emergendo dalle acque

Idrovora impiegata per svuotare l’improvvisato bacino che racchiude la nave

La nave completamente emersa é puntellata e rinforzata per la messa in sicurezza prima del trasporto nel Museo

Ipotesi Ricostruttiva delle prima nave (da BONINO 2003)

Ipotesi Ricostruttiva delle seconda nave (da BONINO 2003)

Il MUSEO DELLE NAVI ROMANE fu costruito per ospitare i preziosi scafi appena estratti dalle acque del lago. Si tratta di una costruzione che offre un rarissimo esempio di struttura architettonica concepita in funzione del contenuto. Come si può notare, il Museo è un doppio hangar di calcestruzzo le cui dimensioni superano di poco le due navi. Il progetto fu realizzato dall’architetto L. Morpurgo. Il Museo fu costruito tra il 1933 e il 1939 sulla riva settentrionale del lago. Le due gigantesche navi imperiali, appartenute all’imperatore Caligola (37-41 d.C.), furono recuperate nelle acque del bacino tra il 1929 e il 1931. I due scafi avevano le seguenti misure: m. 71,30 x 20 e m. 73 x 24, e furono distrutti insieme all’edificio a causa di un incendio doloso nel 1944 di cui si é già fatto cenno.

Lo scatto fotografico ci riporta al giorno dell’inaugurazione del Museo di Nemi. In primo piano: Benito Mussolini e il ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. Notare il rivestimento dello scafo che appare in buone condizione dopo 2000 anni.

Il Museo fu inaugurato nel gennaio del 1936, dopo il maledetto incendio rimase chiuso nove anni, in seguito fu ristrutturato dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio, oggi ospita i modelli in scala delle due navi in scala 1:5, ma anche le ancore, le sculture e molti altri reperti che, non essendo di legno o trovandosi a Roma, si salvarono dalla furia delle fiamme.

 

Riaperto nel 1953, il museo fu nuovamente chiuso nel 1962 e definitivamente riaperto ed inaugurato nel 1988.

 

Nell’ultimo allestimento, l’ala sinistra è dedicata alle navi di cui sono esposti alcuni materiali salvatisi dall’incendio. Il museo comprende anche una sezione documentale sulla tecnica costruttiva navale: disegni e piani di costruzione ed un’eccellente documentazione fotografica.

Questo materiale sarebbe assolutamente utile per un’auspicabile ricostruzione delle due navi ad opera, si spera, di veri artisti, sotto l’egida di un Cantiere Navale altamente specializzato. In tempi di crisi economica sarebbe anche una apprezzabile iniziativa economica.

Questo é il nostro modestissimo suggerimento ed augurio!

 

L’incendio che distrusse le navi

Un incendio scoppiato la notte dal 31 maggio e durato fino al 1 giugno del 1944, distrusse le due navi e gran parte dei reperti che erano custoditi con esse. L’incendio, d’origine quasi certamente dolosa, fu opera, si disse subito, dei tedeschi che avevano piazzato una batteria di cannoni a 150 metri dal museo. Fu istituita una commissione d’inchiesta composta da autorevoli esperti italiani e stranieri che giunse alla conclusione, di seguito riportata, tratta da un brano del libro indicato in calce: “con ogni verosimiglianza l’incendio che distrusse le due navi fu causato da un atto di volontà da parte dei soldati germanici che si trovavano nel Museo la sera dei 31 maggio 1944…” (Giuseppina Ghini, Museo delle Navi Romane- Santuario di Diana – Nemi, Ministero per i beni culturali e ambientali, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992, pp.3, 5).

Un’altra teoria azzarda invece l’ipotesi che l’incendio potrebbe essere stato causato non dai tedeschi, ma da italiani senza scrupoli, interessati al recupero del bronzo fuso dall’incendio e della sua vendita, visto l’alto valore di quel metallo, in tempo di guerra.

 

Conclusione

 

Nonostante il senso di smarrimento che si prova al suo interno, dovuto ai grandi spazi tuttora disponibili, il Museo delle Navi Nemi suscita emozione e grande interesse, sia per i numerosi reperti archeologici che conserva, sia per la documentazione della tecnica navale romana. Tra questi, come abbiamo visto, giganteggiano i notissimi bronzi di rivestimento delle travi, con teste di leone, di lupo, di pantera, di medusa e con mani apotropaiche che dovevano tenere lontani gli spiriti maligni, di Ermes bifronte, una transenna bronzea, terrecotte ornamentali. Colpisce per la sua efficienza e modernità un’àncora di ferro a ceppo mobile che porta inciso il peso (417Kg), del tipo che tutte le marine del mondo chiamano ‘Ammiragliato’ senza sapere, forse, che Caligola le usava già 2000 anni fa. Alcuni elementi metallici si sono salvati dall’incendio: un grande rubinetto di bronzo, pompe, piattaforme girevoli, ruote dentate, tetto con tegole di bronzo, due ancore, il rivestimento della ruota di prua, alcune attrezzature di bordo originali, tubi plumbei, una noria, una pompa a stantuffo, un bozzello, una piattaforma su cuscinetti a sfera, e preziose colonne di marmo. Ma anche fedeli ricostruzioni: timoni, modellini vari, mosaici, calchi e due fedeli modelli in scala a un quinto del vero.

Noria a manovella originale di bordo

Pompa a stantuffo

Nelle due foto (dell’autore) sopra e sotto, appare la ricostruzione di una delle due ‘Postazioni del Timoniere’ situate a poppa (a dritta) della prima nave, su cui sono state posizionate le copie bronzee delle cassette con protomi ferine.

Alcuni esemplari dei chiodi utilizzati sulle due navi, di vari tipi e dimensioni: da pochi centimetri a oltre mezzo metro; dal tipo di sezione quadrangolare e capocchia piramidale a quello con testa schiacciata fornita di piccole protuberanze che servivano a far meglio aderire le lamine plumbee di rivestimento dello scafo.

La Via Appia Antica attraversa il Museo delle Navi

 

Quattro colonne in marmo ‘portasanta’ rinvenute presso le navi. La denominazione attuale risale al Rinascimento e deriva dal fatto che di questo marmo sono gli stipiti della Porta Santa di S. Pietro in Vaticano, della Porta Santa di S. Paolo, S. Maria Maggiore e S. Giovanni in Laterano; la denominazione antica (Marmor chium) rimanda, invece, al luogo di estrazione: le cave, situate nell’isola di Chio che furono individuate nel 1887.

Veduta della nave all’interno del Museo

Mosaico dell’ancora

Ancora tipo “Ammiragliato”

Rivestimento bronzeo del ‘dritto di prora’ (tagliamare) di una delle navi di Nemi

Segnalazioni:

 

Echi di manovre dal porto di Roma antica…” –

 

(Vedi saggio dell’autore sul sito di Mare Nostrum)

 

You tube – Indagine Archeologica di Alberto Angela (RAI)

 

Google-PASSAGGIO A NORD OVEST – LE NAVI ROMANE DEL LAGO DI NEMI

 

Segnalo inoltre altri ottimi filmati-You Tube (RAI) su Porti di Claudio e Traiano.

 

Ringrazio infine gli autori di due Ottimi Saggi da cui ho tratto spunti e foto a scopo divulgativo:

 

Le Navi di Marina e Massimo Medici

Nemi – Le navi del Mito ARCHEOGUIDA di Saverio Malatesta

Carlo GATTI

Rapallo, 07.05.12