MARIETTO DI BARTOLOMEO

ed il rimorchiatore Casteldoria


Il m/r  Casteldoria

Una buona macchina della sua epoca

Gli armatori di allora lo avevano programmato e realizzato per farne un “uso allargato” e per questo motivo la “barca” aveva uno shape più elegante e navigabile di quei “mastini portuali” che avevano la prora bassa, rincagnata e richiamavano alla memoria la virilità dei gladiatori romani. Sul suo unico albero  svettava l’antenna del radar che gli conferiva un portamento nobile e suscitava una certa invidia tra le  altre barcacce del porto che erano destinate allo stesso impiego.

Tuttavia, il suo compito principale era pur sempre il “servizio portuale” che era alle prese, in quegli anni di boom economico, con il gigantismo crescente delle petroliere e dei primi containers transoceanici, ragion per cui, i suoi 1.535 cavalli di razza erano sempre molto richiesti sulle tre imboccature del porto di Genova.

Ma la Società aveva da difendere “Il suo Marchio RR” anche nel settore dell’Altura a corto e medio raggio e certamente non era disposta a lasciarsi scappare i  vecchi clienti e qualche “nolo buono” da mettere nella “cantia”. Il Casteldoria nacque così nel 1961 per soddisfare questa doppia esigenza economica e operativa.

In realtà, fuori dell’ambiente  di Ponte Parodi, pochi erano in grado di distinguere  le diversità tra le due attività di rimorchio: portuale ed alturiera che, in qualche modo, pur partendo da una radice comune, erano ben presto destinate a dissociarsi al traverso del fanale rosso del porto, per seguire rotte ben distinte e caratterizzate da responsabilità oggettive ed esperienze tecniche complementari, ma differenti.

In porto occorreva imparare una tecnica per la verità molto complessa, che si affinava in molti anni di gavetta e si realizzava di pari grado con la personalità, il coraggio ed il senso marinaro del suo comandante che agiva per mezzo del timone e di un potentissimo motore, ma che interagiva con un “suo” equipaggio motivato, addestrato e direi personalizzato. L’intelligenza complessiva dell’equipaggio doveva poi adattarsi alle caratteristiche  della nave da rimorchiare in porto, al suo personale, alle condizioni meteo e soprattutto al pilota portuale che, con un suo metodo originale, dirigeva la manovra accanto al comandante della nave.

“Saper navigare” costituiva invece il presupposto del rimorchio d’altura. In mare aperto, il Casteldoria ed il suo equipaggio cessavano di essere un “servizio portuale” retribuito dalla nave in manovra e diventavano una “unità indipendente”, un piccolo e poderoso scafo che però si allungava con  quasi 300 metri di cavo e terminava sul dritto di poppa dell’unità trainata. Il rimorchiatore era soltanto la testa del convoglio che esercitava il comando su quasi 500 metri di spazio “nazionale”. Il Casteldoria, steso tutto il suo cavo, diventava improvvisamente la nave più lunga del mondo ed il suo esiguo equipaggio aveva il compito di controllare una superficie di mare  che durante i piovaschi invernali, le mareggiate e le nebbie adriatiche diventava impervia, infinita, difficile da gestire per l’occhio e l’orecchio umano che erano ancora sprovvisto, a quell’epoca, di moderni strumenti ed “aiuti” alla navigazione.

Il comandante del Casteldoria cessava così di prendere ordini dall’alto e diventava autonomo nelle sue decisioni e responsabilità. Proprio su questo punto fondamentale del Codice della Navigazione si dividevano quindi le due principali attività di rimorchio.

In mare non ci sono taverne!”

Con questa pittoresca sentenza, i marinai di una volta usavano sottintendere il concetto di pericolosità delle furie del mare in burrasca e le difficoltà di trovare un ridosso nell’attesa di un cambiamento favorevole del tempo. Ma questo monito sembrava ancor meglio “appiccicarsi” alla realtà di un rimorchio d’altura che poteva navigare solo in alti fondali, lontano dalla costa, a causa dell’immersione (pescaggio) di circa 20-30 metri che disegnava l’arco (catenaria),  del suo cavo filato  fuoribordo.

In inverno le burrasche erano di gran lunga più veloci dei “rimorchi” d’altura che annaspavano  a 5/ 6 nodi,  senza alcuna possibilità di fuga su rotte alternative. Il risultato era sempre  lo stesso: lunghe notti alla cappa (con la prora al mare), “ballando con i lupi”, piegati su se stessi, nell’attesa che il vento girasse  a tramontana per poi controllare i danni e riprendere la rotta.

Era importante per un comandante d’altura, che non poteva “scappare” da una depressione, capire i segnali del tempo, intuire la verità tra le righe dei bollettini meteo e capire poi con l’esperienza, quali erano i bollettini affidabili,  quelli meno e quelli addirittura pericolosi. Ma era ancora più difficile decidere di “mollarsi” dal porto o dal ridosso quando il meteo non dava alcuna certezza e i Ricevitori, qualche volta, premevano per esigenze legate ai loro programmi operativi.

Ricordo di un Rimorchio in Mediterraneo

Spero che gli amici barcaccianti abbiano già perdonato la lunghezza di questo cappello introduttivo teso, nelle nostre intenzioni, soltanto a proiettare alcuni sprazzi di luce su un mondo che troppo a lungo è stato occultato in una nicchia, che molte volte è stata scambiata e confusa con altre realtà marinare e che, ancora oggi, sfugge quasi sempre alle giuste interpretazioni.

Il motivo di tanto silenzio sta nella ritrosia dell’uomo di mare che rifugge dalle operazioni di marketing terrestre e  – dialoga solo con il mare – come sosteneva il celebre scrittore di mare Vittorio G. Rossi.

Questa “piccola” storia di un viaggio del Casteldoria non è altro che l’occasione per ricordare il comandante Marietto Di Bartolomeo che ci ha lasciato in questi giorni. Il suo amico e compagno di bordo per oltre vent’anni, il direttore di macchina Osvaldo “consumi” Schiano di Porto  S. Stefano, mi ha chiamato al telefono e con un comprensibile magone alla gola mi ha raccontato un episodio, uno fra i tanti  vissuti accanto al “suo” comandante  sicuramente, per essergli ancora un po’ vicino, su quel ponte angusto del Casteldoria dove le decisioni, le gioie e le sofferenze legavano le persone ben oltre i normali rapporti di lavoro.

Un Pontone della Soc. MICOPERI al Traino del M/r CASTELDORIA

VIAGGIO MARS EL BREGA-CAGLIARI- e rientro a GENOVA

Dal 14 al 23 dicembre 1970

Osvaldo racconta:

“Per quattro giorni consecutivi, dalla partenza da Mars El Brega (Libia), la navigazione era stata regolare e veloce fino all’alba del 18.12, quando il primo bollettino meteo delle 06.25 ci fornì un preoccupante Avviso di Burrasca forza 7 sul Canale di Sardegna, quindi sulla parte finale del nostro viaggio da compiersi in mare aperto.

Il comandante Marietto Di Bartolomeo, serio e scrupoloso come sempre, ci chiamò sul ponte e illustrò il bollettino del tempo, sentì le nostre opinioni e poi decise di rallentare l’andatura per portarsi a ridosso di Capo Mustafà (Tunisia) situato ad una ventina di miglia a ponente di Capo Bon. L’intenzione era quella di giungervi all’alba per constatare “de visu” la situazione meteo, per poi decidere se pendolare dietro la punta o rischiare l’avventura sperando in un rallentamento o meglio in una deviazione della depressione”.

A questo punto del racconto, Osvaldo rivive la stessa tensione emotiva di quel lontano inverno del ‘70 e con la consueta verve esuberante della sua gente toscana, riprende il racconto al presente storico,  ma la sua voce  ogni tanto è rotta dall’emozione.

“Verso le 04, improvvisamente il beccheggio causato dal mare lungo in prora s’interrompe. Il vento leggero che sibilava al traverso si ammutolisce, il convoglio frena dolcemente fino a fermarsi. Sembra un incaglio. Ma  il Casteldoria, con il cavo già abbondantemente accorciato, non è ancora sotto costa; allora è evidente che abbiamo incocciato qualcosa.  Il cavo si è stirato ma ha tenuto. Sveglia generale. Tutti sul ponte di comando, per guardare la carta nautica che però è muta.  In quella zona non è segnalato alcun relitto. Abituati come siamo a vedere il nemico in faccia, è davvero traumatico sentirsi aggrediti alle spalle, anzi sotto i piedi, vigliaccamente!

Marietto, grande marinaio, rimane calmo e tranquillizza l’equipaggio,  smorza subito qualsiasi suggerimento avventuroso e comincia ad “assaggiare il fondale” con qualche timido strappetto teso a sganciarsi, ma è chiaro che teme di peggiorare la situazione. Prova qualche accostata da ambo i lati e poi desiste.

Marietto mi guarda e intuisce che forse il suo fedele direttore di macchina, munito di una cospicua esperienza  sui pescherecci di Porto S. Stefano, potrebbe aver già conosciuto quel problema che penalizza, ogni giorno, numerosi pescherecci che sono costretti a  lasciare costosi pezzi di rete a strascico, cavi e attrezzi vari sui relitti del Mare Nostrum che, com’è noto, da oltre duemila anni è teatro d’affondamenti di navi mercantile e  militari di ogni razza e bandiera.

Nel suo sguardo leggo un invito a prendere la parola.

Marietto ascolta! Una volta ci è capitato con il “Papetto II” d’incocciare un relitto, pare si trattasse di un’ala d’aereo abbattuto a sud della Capraia e so che da queste situazioni non si esce tirando a strappare… ma lavorando con il cervello, con la calma e con l’astuzia. Io, come sai, non sono un manovratore e non ho la sensibilità di sentire sulla pelle se il cavo resisterà o cederà, come invece capita a te, ma questo lavoro l’ho visto fare numerose volte.

“Dai Osvaldo, dimmi la tua!”

Rispose con la solita ironia Marietto che aggiunse:

“Quando mi g’anavo ti ne vegnivi! (quando io ci andavo tu ne venivi!) Così recita un vecchio proverbio genovese che si tramanda da padre in figlio, e se fosse una belinata, pazienza, qui ne sento tante…!”

–  Ascolta Marietto:

Molliamo il cavo di rimorchio dal gancio del Casteldoria.

Lo filiamo tutto in mare. Quando siamo liberi, passiamo di poppa al pontone e sbarchiamo  due uomini.

Gli passiamo un cavo da mettere alle bitte e noi ci portiamo l’altra estremità al gancio.

Poi toccherà a te cominciare a tirare piano piano il pontone verso l’alto fondale. Con un po’ di fortuna, il cavo di rimorchio impigliato e venuto nel frattempo in bando, dovrebbe liberarsi –

“Ho capito Osvaldo!”

Risponde preoccupato Marietto.

“Con questo sistema dobbiamo però virarci ancora parecchi metri di cavo, che nel recupero potrebbe  incocciare altri punti del relitto. L’idea mi sembra buona, ma ho l’impressione che per risolvere il problema, ci vorrà molta fortuna….!”

– Purtroppo non conosco altre soluzioni!

Insiste Osvaldo –

Marietto era un uomo molto riflessivo e da esperto uomo di mare, non tardò a capire che la strategia suggerita da Osvaldo era valida, ma sentiva che la buona riuscita dell’intera operazione sarebbe dipesa dalla tattica impiegata, cioè dalla  scelta di una manovra basata sulla sensibilità, sul sentire, attraverso le vibrazioni del cavo, la descrizione “visiva” di quel misterioso fondale.

Occorreva impadronirsi di una telecamera virtuale che aiutasse ad immaginare la posizione del relitto che imprigionava il cavo di rimorchio, forse sotto una lancia di salvataggio, oppure sotto la poppa di un vapore inclinato. Occorreva  captare la giusta sensazione e indovinare  la direzione di tiro da imporre al pontone, con uno spostamento viscido, scivoloso, subdolo ma efficace.

Osvaldo prosegue nel racconto.

Marietto pensò tutto questo e poi decise di tentare.

Portò  tre uomini sulla Micoperi, gli fece stendere il cavo e con molta tranquillità disse all’equipaggio:

“Ragazzi! Quando “veniamo in forza” datemi una mano ad osservare le reazione del pontone: anche il minimo rumore, sussulto, oppure il più impercettibile  sbandamento; datemi tutte le variazioni della velocità d’avanzamento ed avvertitemi immediatamente se ci fermiamo”.

Io mi misi silenzioso sul telefono di macchina ed ascoltavo i battiti del motore ed ero pronto a comunicare al 1° macchinista la potenza che Marietto voleva. La mia preoccupazione era superiore a quella di sempre. I miei suggerimenti erano stati accolti dal comandante, ma ne sentivo in qualche modo il peso, la condivisione della responsabilità anche se Marietto, ormai, aveva deciso che quella era la tattica migliore. Tutto  sarebbe dipeso dalla dea bendata, e solo lei poteva vedere sotto la superficie di quel mare verde ingannatore, ma a parte la superstizione, tutti noi speravamo nella mano marinara di Marietto che non ci aveva mai deluso”.

Quando le prime luci dell’alba diffusero ampi e crescenti chiarori rossastri, il comandante dette il via all’operazione “recupero cavo”.

La dea bendata quella mattina era dalla nostra parte. Dopo circa 30 minuti di tiro, il cavo si liberò e lo recuperammo tutto, senza aver riscontrato il minimo danno. Rifacemmo l’attacco  e si partì per Cagliari. Natale era alle porte e Marietto riuscì a portarci dalle nostre famiglie in tempo per festeggiare la festa più importante dell’anno, a “porto cosce”!

Carlo GATTI – 04.03.12

Equipaggio:

Comandante    – Mario Di Bartolomeo

D.M.:               – Osvaldo Schiano

1°Uff.le  cop.   – Luigi Gabrielli

1°Macch.         – Angelo Angius

Marò                – Maiulo (senior)

-“-                   – Giovanni Bottino

-“-                   – Antonio Mazza

-“-/cuoco         –               Parodi

In ricordo di “Marietto”

Sabato 29 Settembre 2007.

Cari Amici,

……oggi abbiamo salutato un caro amico che ci ha lasciato: il Comandante Mariano Di Bartolomeo…..

per tutti da sempre Marietto per il suo imbarco giovanissimo nel Mondo dei Rimorchiatori, il nostro Mondo. Comandante e Uomo di grande statura morale nella professione e nella vita.

Ci ha stupito la mancanza alla mesta cerimonia di una partecipazione delle nuove generazioni a testimonianza di un Mondo, che pur nelle personali divergenze, raccoglie il testimone di una appartenenza e la porta oltre.

Vedete, la mia generazione pur avendo conosciuto di sfuggita Uomini della generazione precedente ha sempre onorato chi ci ha preceduto e che tanta storia ha tramandato ai successori.

Per quasi un secolo questo filo non si è interrotto.

Un filo tessuto dalla dura vita di Bordo, dalle vicissitudini dei colpi mare presi su mezzi allora inadeguati…un filo tessuto consolidando amicizie e sentimenti di fratellanza che hanno segnato la nostra vita professionale ed umana e che ci saremmo portati dietro per tutta la vita.

Il Mondo dei Rimorchiatori come senso di appartenenza ad una “casta”(passatemi il termine) privilegiata che ci onorava e ci onora ancora con orgoglio.

Abbiamo avuto dure vicissitudini sociali, scontri (per noi, e a quel tempo) epocali ma mai abbiamo messo in forse questi sentimenti ed il desiderio in qualche modo di tramandarli, mai il senso di appartenenza a questo Mondo ci ha abbandonato, e mai abbiamo dimenticato il rispetto verso la Società (Rimorchiatori Riuniti) che ci ha aperto a questo Mondo anche se il dialogo talvolta si faceva aspro.

Oggi sembra che quel filo si sia spezzato, le nuove generazioni restano chiuse nel breve spazio della loro attuale professionalità esercita, sorde verso preziose testimonianze storiche e, forse, poco o nulla interessate a passare il testimone.

Un mondo in via di estinzione che resterà senza passato e dal futuro incerto se non innervato su sentimenti di alto profilo umano.

……oggi abbiamo salutato un caro amico che ci ha lasciato, il Comandante Mariano Di Bartolomeo…….

mi va di dire: ti sia lieve la terra, Marietto, sei un galantuomo e tale resti con noi.

TESTI di:

Carlo Gatti

Silvano Masini

Paride Faggioni