L’IMBARCO DEL PILOTA

di John Gatti

 


Mi è stata fatta una domanda pratica sulla delicata operazione d’imbarco che vede coinvolti Pilota, Pilotino, pilotina e nave:

“Perchè, una volta che il Pilota passa dalla grisella (nel caso del pilotaggio, indica le scale metalliche sulla pilotina che permettono al Pilota di passare sulla biscaglina) alla biscaglina (scala fatta di cime e gradini di legno usata dal Pilota per salire sulla nave ) il motoscafo si allontana velocemente, invece di restare in zona fino a quando il Pilota non raggiunge in sicurezza la coperta della nave?”

In fondo all’articolo racconto l’avventura di un collega caduto in mare mentre imbarcava su di una portacontenitori.


Premessa.

La fase d’imbarco/sbarco del Pilota è delicata e presenta rischi, spesso aggravati dalle avverse condizioni meteomarine.

Il trasferimento dalla pilotina alla biscaglina prevede un gesto atletico che richiede una coordinazione particolare: si deve tenere conto del movimento della nave, del rollio e del beccheggio della pilotina  ( movimenti oscillatori trasversali e longitudinali provocati dal mare ), dell’onda che solleva e fa scendere l’imbarcazione di diversi metri e dei colpi di mare che possono investire il Pilota. Questa operazione, per essere svolta con disinvoltura, richiede esperienza e il momento giusto è quello in cui la pilotina raggiunge il punto più alto rispetto al Ponte di Coperta della nave. In quel preciso istante è importante agguantare la biscaglina con una mano mentre con l’altra si resta, ancora per un attimo, ancorati alla grisella della pilotina, questo fino a quando l’imbarcazione inizierà la discesa allontanandosi dalle gambe del Pilota.


Il passaggio dalla grisella alla biscaglina.

Per rendere più sicura la fase d’imbarco, vanno analizzati numerosi elementi: Primo fra tutti “la pilotina”. Il porto di Genova si estende per più di 20 chilometri di costa e presenta caratteristiche orografiche e variazioni meteorologiche stagionali che richiedono imbarcazioni di volta in volta diverse fra loro. Da maggio a settembre aumenta il numero delle navi che scalano il nostro porto (soprattutto traghetti e passeggeri), il traffico diportistico diventa una presenza spesso impegnativa e le condizioni meteomarine sono generalmente buone; per questo periodo dell’anno ci vogliono pilotine veloci, che consumano poco (quindi leggere) e, soprattutto, che fanno poca onda durante gli spostamenti all’interno del porto. È ovvio che l’utilizzo di questo tipo d’imbarcazioni in condizioni di mare mosso non sará l’ideale; le chiamiamo, infatti, “barche da tempo buono”. D’inverno preferiamo usare pilotine più pesanti, costruite per tagliare le onde e per essere più stabili sotto le navi. Ovviamente aumentano i consumi, si riducono le prestazioni e un’onda fastidiosa le accompagna negli spostamenti.

 





La seconda riflessione riguarda la preparazione all’imbarco: ridosso della nave e il lato di approntamento della biscaglina. Per questo punto vi rimando alla lettura dell’articolo “L’Atterraggio“.

Al terzo posto inserirei l’abbigliamento che, per quanto sembri scontato, di fatto si traduce in scuole di pensiero che variano da Corporazione a Corporazione e da Pilota a Pilota: c’è chi è meno agile e preferisce coprirsi bene, perché sa di avere poche possibilità di sfuggire agli spruzzi e alle onde, e chi invece predilige un abbigliamento leggero che favorisce la mobilità; chi usa i guanti per ripararsi dal freddo e proteggere le mani e chi invece si sente più sicuro con una presa diretta sui cavi della biscaglina; chi usa il giubbotto con il salvagente incorporato e chi preferisce quello separato. Personalmente penso che ognuno debba attrezzarsi come meglio crede, adattando l’equipaggiamento al proprio fisico e a ciò che lo fa sentire più tranquillo. Vedo, come utili accessori, un buon coltello affilato, una luce stroboscopica sulla giacca, un fischietto e una torcia, oltre a scarpe impermeabili, traspiranti e con suola antiscivolo.

Giacche tecniche.

Un altro aspetto, non meno influente dei precedenti, riguarda l’abilità e l’esperienza del Pilotino alla guida dell’imbarcazione. L’occhio, i riflessi, la padronanza del mezzo, il senso marinaro, la capacità di valutazione, ma anche lo stile, la confidenza e la temerarietà, cambiano il modo di affrontare il lavoro.

 

Vediamo ora di rispondere alla domanda “pilotina sempre sotto o pilotina staccata?”

– Quando ci si arrampica sulla biscaglina ci sono diversi pericoli da considerare: la pilotina, per effetto dell’onda che sale, può arrivare a schiacciare le gambe del pilota in arrampicata. Quindi, in presenza di mare mosso, è meglio che si stacchi dalla murata il prima possibile, restando comunque nei pressi per prestare assistenza in caso di necessità;

– con tempo buono, se per qualche motivo il pilota molla la presa e cade, si possono verificare due situazioni: potrebbe finire sulla pilotina (e se i gradini saliti fossero ancora pochi probabilmente sarebbe l’opzione migliore), oppure potrebbe finire in mare (da sette o otto metri di altezza sarebbe augurabile non avere l’imbarcazione sotto), e qui si andrebbe incontro alla pericolosa possibilità di venire risucchiati dall’elica.

Una biscaglina particolarmente lunga.

La costruzione, la certificazione e l’utilizzo delle biscagline è indicata nella Convenzione Internazionale sulla Salvaguardia della Vita Umana in Mare SOLAS 1974.

Oltre a prevederne la modalità di costruzione, la norma indica che questo tipo di scala debba essere utilizzato a una distanza minima di 1,5 mt. E una massima di 9 mt. dalla superficie dell’acqua. Qualora l’altezza del Ponte d Coperta sia superiore a quanto disposto, la biscaglina deve essere collegata allo scalandrone e prende il nome di “combinata”.


In conclusione, sta all’esperienza, all’occhio e al buon senso del Pilotino scegliere il comportamento più sicuro da tenere durante le varie fasi d’imbarco e di sbarco; valutazioni che devono tenere conto delle condizioni del mare, della pilotina che si sta usando, dell’altezza della murata, del fatto che si utilizzi la biscaglina o la combinata e, non ultimo, dell’agilità e delle caratteristiche della persona che sta imbarcando. Il Pilota, da parte sua, deve elaborare continuamente tutte le variabili, aspettando il momento giusto per passare da una scala all’altra mantenendo la situazione sotto controllo.

Per spiegare meglio quanto sopra descritto, vi racconto un’avventura a lieto fine accaduta a un collega qualche anno fa…

“Era una tarda mattinata invernale e un vento teso da Sud-Est alzava onde di qualche metro che la pilotina, una Nelson inglese “da tempo cattivo”, tagliava senza particolari problemi.

Una nave portacontenitori, la Gulf Spirit, procedeva verso il punto stabilito per l’imbarco del pilota, il quale, nel frattempo, costretto al silenzio dal rumore dei motori, ne approfittava per accendere il VHF portatile, chiudere la giacca e indossare guanti e berretto.

Il vento che soffiava dai quadranti meridionali aveva alzato di qualche grado la temperatura, ma era pieno inverno e lo ricordava lasciando strisce di sale sulle frustate del mare.

Un’ampia accostata intorno alla poppa della nave e la pilotina si ritrovò sul lato sottovento.

Era parzialmente scarica e mostrava una fiancata particolarmente alta. A metà biscaglina un’apertura consentiva l’entrata a scafo. Il motoscafo si affiancò in velocità, con il Pilota arrampicato sulle griselle e pronto per il trasbordo.

Un’onda sollevò l’imbarcazione, portandola diversi metri al di sopra del livello medio del mare. Lì si fermò un attimo e il Pilota ne approfittò per balzare da una scaletta all’altra. Subito dopo il motoscafo ricadde assecondando le onde, mentre il Pilota era impegnato in una rapida arrampicata per allontanare le gambe dalla pilotina che stava già risalendo velocemente lungo la fiancata.

A questo punto l’imprevisto: una rollata portò la biscaglina a immergersi e una bitta poppiera del motoscafo l’agganciò, tirandosela dietro. Ignaro di quanto accaduto, il timoniere aumentò la velocità. Fu un attimo! la scaletta di legno e cime si tese come una fionda, si allargò dalla fiancata e catapultò il Pilota al di là dell’imbarcazione stessa.

L’acqua gelida lo attanagliò, lasciandolo senza fiato a scalciare mentre lottava per tornare in superficie. La bocca spalancata a cercare l’aria. Di fronte lo scafo nero della Gulf Spirit.

La corrente e le onde lo attirarono contro lo scafo per poi spingerlo verso la poppa. Ci volle un attimo per capire che la grossa elica, uscendo a tratti dall’acqua per effetto del beccheggio, lo stava risucchiando inesorabilmente. A questo punto il collega cercò di artigliare la parete di ferro, ma non c’erano appigli e le mani scivolavano sui “denti di cane” (taglienti conchiglie a forma di vulcano che crescono sull’opera viva).

Poco dopo il Pilota sparì sott’acqua.

L’impotenza faceva crescere il panico, mentre avvertiva distintamente le falciate delle pale e le vibrazioni del motore.

Per fortuna l’ufficiale di guardia alla biscaglina, resosi conto del pericolo, allertò il Ponte di Comando e la macchina venne fermata appena in tempo.

Il Pilota continuò l’avventura subacquea, finendo incastrato fra l’elica e il timone, respirando nei momenti in cui la trappola riaffiorava tra le onde.

Dopo alcuni minuti di lotta disperata riuscì a sfilarsi riemergendo, miracolosamente illeso, dal lato opposto della nave.

Mi fermo qui. Avrei potuto scrivere un testo molto più approfondito, parlare delle griselle con la passerella, di chi imbarca dalla coperta della pilotina, dei diversi sistemi di propulsione, di FLIR, di equipaggiamenti, di ausili tecnologici, ecc., ma il fatto è, probabilmente, che sarebbe stato un argomento scontato al 90% per i professionisti e ostico per i profani. Non è detto che in futuro non ci torni su.

 

JOHN GATTI

Rapallo, 10 gennaio 2019