LA VIA APPIA 

UNA ROTTA DI PIETRA TRA DUE MARI

La Via Appia non fu solo una strada: fu una rotta di pietra tra due mari, dove Roma incontrò altri mondi e scrisse pagine di storia che ancora oggi ci parlano.

 

Introduzione

La mia passione per Roma e per la sua storia nacque quando, ancora ragazzo, mio padre mi fece ascoltare per la prima volta il poema sinfonico di Ottorino Respighi (1924): I Pini della Via Appia.

Quelle note mi trascinarono dentro un sogno: sentivo la terra tremare sotto i passi delle legioni, le buccine chiamare all’avanzata, le trombe aprire la strada al trionfo sul Campidoglio. Era come trovarsi davanti a un film grandioso, che la mia fantasia di studente – allora immerso nello studio della potenza di Roma – trasformò in un ricordo indelebile. Da quel giorno, la musica e la storia divennero per me due vele gemelle gonfiate dallo stesso vento.

Con gli occhi del marinaio, oggi rivedo la Via Appia non solo come una strada di pietre, ma come una grande rotta tracciata sulla terra: una via che, come una corrente marina, univa due mari e apriva Roma verso due continenti. Era la sua autostrada d’acqua e di terra insieme, il corridoio che permise all’Impero di salpare verso l’Oriente. Su quella via si consumò l’incontro e lo scontro di civiltà diverse che, come onde provenienti da opposte direzioni, finirono per mescolarsi, generando nuove correnti di cultura, arte e pensiero.

La Via Appia fu dunque più di una strada: fu una rotta di vele e di triremi che proseguiva nel Mediterraneo, un porto sempre aperto dove le genti si incontravano come navi in rada. E ancora oggi, percorrendola con la memoria, si può sentire lo stesso vento che spingeva le legioni a terra e le flotte sul mare: il vento della storia, che non smette mai di soffiare.

 

Un po’ di storia...

Nel 2024, la 46a sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale, svoltasi a New Delhi in India ha iscritto il sito “Via Appia – Regina Viarum” nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO, per le tecniche ingegneristiche innovative grazie a cui fu costruita che ne fanno un sorprendente esempio di edilizia e architettura capace di illustrare una fase significativa nella storia umana. Inoltre, le prime 12 miglia, costellate da numerosi e celebri monumenti, costituiscono uno dei tratti dell’itinerario più celebrati nell’arte attraverso i secoli.

 

Era chiamata Regina Viarum, la regina delle strade.

Un appellativo quanto mai meritato visto che la via Appia antica era la principale arteria di comunicazione del mondo mediterraneo. Nel 312 a.C. fu il console Appio Claudio a dare il nome alla nuova arteria per costituire un asse viario che collegasse velocemente Roma ai Colli Albani, utile prima di tutto per il movimento delle truppe verso sud durante la Seconda Guerra Sannitica (326-304 a.C.).

Nel tempo, la strada seguì l’espansione del dominio romano e si estese prima a Capua, poi a Maleventum – trasformato, dopo la vittoria nel 268 a.C. su Pirro, in Beneventum, secondo la tradizione – e, successivamente, a Taranto e infine, per volere di Traiano, nel 191 a.C. avrebbe raggiunto Brindisi, il principale porto per la Grecia e l’Oriente.

Quando fu tracciata era un miracolo di innovazione tecnologica, migliore e soprattutto molto più duratura rispetto alle dissestate strade romane di oggi.

 

Il segreto?

Destinata ad essere percorribile in tutte le condizioni meteorologiche e con ogni mezzo, l’Appia aveva una pavimentazione realizzata con grandi pietre levigate e perfettamente combacianti, posate su uno strato di pietrisco capace di garantire tenuta e drenaggio.

 

 

Al di là del chiaro impiego militare, una volta completata, la strada divenne uno strumento di pace e di comunicazione per collegare Roma con le sponde dell’Adriatico, da dove non era poi difficile partire per quello che era ritenuto il faro culturale dell’Impero, ossia quella Grecia, protettorato romano dal 146 a.C. e tredici anni più tardi provincia della Roma imperiale.

Una funzione, quella dell’Appia, che non si esaurì con la fine della mastodontica struttura statale romana, ma ebbe vita lunga nelle epoche successive, assicurando facilità di movimento prima ai Crociati, poi a Federico II di Svevia e pure ai pellegrini che andavano a pregare a Gerusalemme.

Questa efficienza, mantenuta per oltre quindici secoli, era dovuta alla tecnica costruttiva della Regina viarum.

Larga quattordici piedi romani, ossia poco meno di quattro metri e mezzo, la strada prevedeva uno scavo che seguiva l’andamento dei bordi, indispensabili per dare il verso alla direzione. All’interno dello scavo si collocavano tre strati.

Il primo strato, detto statumen, era costituito da pietre grezze e grandi collocate nella sede stradale.

Il secondo strato consisteva nella messa in opera della malta e del pietrisco che assicurava il drenaggio sia dell’acqua meteorica (la pioggia), sia di quella di eventuali alluvioni.

Era detto glareatum oppure rudus e veniva battuto con cura.

Il terzo strato, l’ultimo, era formato da una miscela di malta, sabbia e puzzolana (detto nucleus) nel quale si affogavano i basoli di pietra lavica che costituivano il pavimentum. 

Si capisce, allora, perché l’Appia sia sopravvissuta a ogni prova del tempo atmosferico e di quello della Storia. Oggi, come un fiume carsico, la Regina viarum s’inabissa nella modernità per riemergere inaspettata portando con sé la memoria del passato, ma anche una speranza per il futuro. Infatti, se l’Appia sopravviverà alla sciatteria degli uomini, avremo un mondo migliore.

Questo pare essere il tacito messaggio contenuto nei sorprendenti “scatti” del fotografo Giulio Ileardi, pubblicati nell’elegante catalogo edito da Gangemi, arricchito dai contributi di Luigi Oliva a Simone Quilici, curatori dell’esposizione.

Qui ci accoglie un video che raccoglie i momenti salienti di questo viaggio nel lontano passato e, come ovvio, le fotografie che documentano, per esempio, l’opus reticulatum del Capitolium di Terracina, ma pure i resti di un sepolcro di età romana che convivono con l’insegna di un ‘Pizza- Point’ a Formia, oppure gli archi dell’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere che hanno per sfondo anonimi edifici di edilizia popolare.

E’ un’esperienza unica perché per arrivarci bisogna camminare su quello stesso ‘basolato’ che era stato calcato da Orazio e da Augusto, da Mecenate e da Costantino.

I nostri piedi, incredibile a dirsi, vivono quelle medesime esperienze e registrano le stesse sensazioni sebbene siano diverse le calzature. Solo che tutto questo non è teoria, ma sta nella memoria dei nostri piedi.

Allargate questa cartina Che sintetizza, la Via Appia antica con tutte le località: Capua, Benevento, Venosa, che collegavano Roma a Brindisi, attraversando quattro regioni: Lazio, Campania, Basilicata e Puglia. Il tracciato si snoda per circa 630 chilometri.

 

 

LE SUE FUNZIONI variarono col tempo:

Da via militare e commerciale di grande importanza, che collegava Roma con l’Italia meridionale, divenne nel tempo anche la strada dove transitavano i pellegrini per imbarcarsi per Gerusalemme.

Non è la via Francigena del sud che non è mai esistita e non esiste, oggi viene chiamata così per solo lucro turistico.

La vera ed unica Via Francigena parte dalla Cattedrale di Canterbury e termina alla Città del Vaticano.

 

LE PIU’ BELLE IMMAGINI DELLA VIA APPIA

 

La costruzione della Via Appia fu un’impresa monumentale che rifletteva secoli di straordinaria abilità artigianale.

 

 ROMA – BRINDISI

Regina Viarum (Appia Antica)

UN APPROFONDIMENTO DEL TRACCIATO

Per comodità Riportiamo la cartina che evidenzia i nomi delle località più conosciute.

 

Percorso

I tracciati: in bianco la via Appia, in rosso la via Traiana

Il percorso originario dell’Appia Antica, partendo da Porta Capena, vicino alle Terme di Caracalla, collegava l’Urbe a Capua (Santa Maria Capua Vetere) passando per Ariccia, Forum Appii, Anxur (Terracina) nei pressi del fiume Ufente, Fundi, Itri, Formiae, Minturnae  e Sinuessa (Sessa Aurunca). 

Da Capua  proseguiva poi per Vicus Novanensis (Santa Maria a Vico) e, superando la stretta di Arpaia, raggiungeva, attraverso il ponte sul fiume Ischero, Caudium (Montesarchio).

 Da qui, costeggiando il monte Mauro, scendeva verso Apollosa  e il torrente Corvo,  su cui, a causa del corso tortuoso di questo, passava tre volte, utilizzando i ponti in opera pseudo isodoma di Tufara Valle di Apollosa e Corvo, i primi due a tre arcate e l’ultimo a due. Essi furono distrutti durante la Seconda guerra mondiale,  e solo quello di Apollosa è stato ricostruito fedelmente.

È dubbio quale percorso seguisse l’Appia da quest’ultimo ponte fino a Benevento; rimane però accertato che essa vi entrava passando sul Ponte Leproso o Lebbroso, come indicato da tracce di pavimentazioni che conducono verso il terrapieno del tempio della Madonna delle Grazie.

Da cui poi proseguiva nel senso del decumano, cioè quasi nel senso dell’odierno viale San Lorenzo e del successivo corso Garibaldi, per uscire dalla città ad oriente e proseguire alla volta di Aeclanum (presso l’attuale Mirabella Eclano),  come testimoniano fra l’altro sei cippi miliari conservati nel Museo del Sannio. 

Superata Aeclanum (nota anche come Aeculanum), la strada giungeva nella Valle dell’Ufita  ove, presso la località Fioccaglie di Flumeri,  si rinvengono i resti di un insediamento graccano  denominato probabilmente Forum Aemilii.

Da tale centro abitato si dipartiva infatti una diramazione, la via Aemilia  diretta ad Aequum Tuticum  e probabilmente nell’Apulia adriatica.

L’Appia raggiungeva invece il mar Ionio a Tarantum  passando per Venusia (Venosa) e Silvium (Gravina). 

Poi svoltava a est verso Rudiae (Grottaglie) (transitando per una stazione di posta presente nella città di Uria (Oria) e, da qui, terminava a Brundisium (Brindisi), nell’allora Calabria) dopo aver toccato altri centri intermedi.

In epoca imperiale la Via Appia Traiana  avrebbe poi collegato, in maniera più lineare, Benevento con Brindisi passando per Aequum Tuticum  (presso Ariano Irpino Aecae  (Troia) Herdonias (Ordona), Canusium (Canosa)  e Barium (Bari). 

 

Monumenti e luoghi d’interesse storico lungo la Via APPIA, nei dintorni di Roma.

 

Nel tratto incluso nei confini di Roma Capitale  (I-IX miglio)

 

 

I° miglio

La via partiva originariamente da Porta Capena,  in seguito da Porta Appia. 

ARCO DI DRUSO

L’Arco di Druso, che ancora oggi si attraversa percorrendo la via Appia in uscita dalla città, si trova a pochi passi da Porta S. Sebastiano.
Si tratterebbe in origine dell’arco trionfale dedicato, nel 9 a.C., a Druso Maggiore, figliastro di Augusto, e successivamente inserito nel tracciato dell’Acquedotto Antoniniano.

Viandanti sull’Appia Antica. Dipinto del 1858 di Arthur John Strutt. 

 

  • Area archeologica del viadotto di via Cilicia

  • Fiume Almone 

  • Santuario di Marte Gradivo

      .  Tomba di Geta

 

Sepolcro di Priscilla

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il sepolcro di Priscilla è una tomba  monumentale eretta nel I Secolo a Roma sulla Appia antica, situata di fronte alla Chiesa del Domine quo Vadis.

 

Chiesa del Domine quo vadis

La chiesa del “Domine quo vadis”, o Santa Maria in Palmis, è un piccolo luogo di culto cattolico che si trova a Roma, al bivio tra l’Appia Antica e la via Ardeatina, nel quartiere Appio-Latino. 

 

L’impronta del Quo Vadis

 

Villa dei mosaici dei tritoni

 

 

Cappella di Reginald Pole

 

Questo piccolo edificio di culto sorge all’inizio del II miglio della via Appia Antica, proprio all’incrocio con via della Caffarella. 

 

Colombario dei liberti di Augusto

Incrocio con via della Caffarella

 

Ipogeo di Vibia

L’ipogeo di Vibia è una catacomba di Roma  di diritto privato, sull’antica via Appia,  nel quartiere Appio-Latino. 

 

Catacombe di San Callisto

«Le catacombe per eccellenza, il primo Cimitero ufficiale della Comunità di Roma, il glorioso sepolcreto dei Papi del III secolo»

([Giovanni Battista de Rossi])

 

Le catacombe di San Callisto fanno parte del cosiddetto complesso callistiano, un’area di circa 30 ettari compresa tra la via Appia Antica, la via Ardeatina e la via delle Sette Chiese, a Roma, che ospita diverse aree funerarie e catacombali.

 

Mausoleo delle Fosse Ardeatine

 

A pochi metri dalle catacombe di S. Callisto si trova il mausoleo delle Fosse Ardeatine, che rendere omaggio alla memoria delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Su questo luogo, lungo la via Ardeatina, sorgevano storicamente alcune cave di materiali vulcanici utilizzati a scopi edili, conosciute come Fosse Ardeatine. Durante l’occupazione tedesca di Roma, il 24 marzo del 1944, un gruppo di soldati tedeschi uccise qui 335 civili, nascondendone i corpi all’interno della cava, per rappresaglia nei confronti di un attentato del giorno prima da parte dei partigiani. A cinque anni dal tragico evento, il 24 marzo 1949, fu inaugurato un solenne mausoleo, in eterna memoria dei martiri romani.

 

Incrocio con via Appia Pignatelli

 

Basilica di San Sebastiano fuori le mura e catacombe di San Sebastiano

La basilica di San Sebastiano fuori le mura è un luogo di culto cattolico di Roma, nel quartiere Ardeatino, sulla via Appia Antica al numero 136. Fa parte delle sette Chiese visitate dai pellegrini in occasione del Giubileo. 

 

Complesso della Villa di Massenzio  (con palazzo, circo e mausoleo) e sepolcro dei Servilii

Casale di Romavecchia

 

Mausoleo di Cecilia Metella e Castrum Caetani

Il mausoleo di Cecilia Metella è un grandioso monumento funerario romano, situato nei pressi della via Appia.  Costituisce con il Castrum Caetani un continuum archeologico, che sorge a Roma, poco prima del III miglio della Via Appia Antica,  subito dopo il complesso costituito dal Circo,  dalla Villa,  e dal sepolcro del figlio dell’imperatore Massenzio, Valerio Romolo. 

      .  Chiesa di San Nicola a Capo di Bove

  •      Forte Appia Antica

 

Mausoleo di Sant’Urbano martire

Il Mausoleo di Sant’Urbano, situato sulla Via Appia Antica, è una monumentale tomba in laterizio databile al IV secolo d.C. Si trova non lontano dal Mausoleo di Cecilia Metella e deve il suo nome alla tradizione cristiana secondo cui la matrona Marmenia avrebbe qui trasportato le spoglie del vescovo e martire Sant’Urbano. 

 

Sepolcro di Hilarus Fuscus

 

 

Tumuli cosiddetti degli Orazi e Curiazi

 

Villa dei Quintili

La Villa dei Quintili è un sito archeologico situato a Roma,  tra il V miglio di via Appia Antica e il settimo chilometro di via Appia Nuova. 

 

Casal Rotondo

Casal Rotondo è un mausoleo romano in rovina sito al VI miglio della via Appia Antica.  

 

Acquedotto dei Quintili

L’acquedotto dei Quintili è uno dei monumenti in consegna al Parco Archeologico dell’Appia Antica. Un lungo tratto si conserva tra la via Appia Antica e la via Appoia Nuova  in prossimità di via del Casale della Sergetta e il Grande Raccordo Anulare.

. Sepolcro del vaso di alabastro (VII miglio

. Tempio di Ercole (VIII miglio)

.  Berretta del prete

.  Mausoleo di Gallieno (IX miglio)

 

Torre Leonardo

Torretta innestata su un antico sepolcro romano a Frattocchie di Marino (m. XI Appia Antica, km. 19 Appia Nuova).

I comuni interessati sono Ciampino e Marino  (nelle sue località Santa Maria delle Mole e Frattocchie). 

  • Sepolcro a tumulo “Monte di Terra”

  • Mausoleo circolare “La Mola” (a Santa Maria delle Mole,  non molto lontano dalla stazione ferroviaria) 

  • Sepolcro con torretta a Frattocchie  (XI miglio)

All’XI miglio, presso Frattocchie, questo primo tratto superstite dell’Appia antica si unisce alla Via Appia Nuova. 

 

 

 

Mausoleo della Conocchia – Via APPIA

Il *Mausoleo della Conocchia* o semplicemente la Conocchia, è il principale monumento di Curti CE: si tratta di un monumento funerario che si erge imponente e maestoso sul percorso dell’antica Via Appia; il nome popolare deriva dalla forma che ricorda la conocchia (o fuso), oggetto usato per filare.

Risalente probabilmente al II secolo d.C., il sepolcro è dotato di undici nicchie ove si posavano le urne cinerarie.

Secondo la tradizione vi fu sepolta anche Flavia Domitilla, la matrona romana nipote di Vespasiano, perseguitata da Domiziano perché era di religione cristiana.

Altre fonti, invece, affermano che in questo mausoleo furono depositate le ceneri di Appio Claudio Cieco, politico e letterato romano, che realizzò proprio la Via Appia nel 312 a.C.

 

VIA APPIA ANTICA – PARCO ARCHEOLOGICO – MINTURNO (LATINA)

 

 

VIA APPIA – Catacomba di PRETESTATO

La catacomba di Pretestato sorge al secondo miglio della via Appia Antica. Qui vediamo:

Fronte di sarcofago di bambino con due navi onerarie, contenenti sei anfore ciascuna, affrontate ad un faro.

Circa III sec. d.C.

[ Catacomba e Museo di Pretestato , Via Appia Pignatelli, 11, Roma ]

 

Imbarcazioni e marinai di Tempi Remoti

 

VIA APPIA – TERRACINA

Terracina 1910 – Porta Napoletana e il Pisco Montano che Traiano fece tagliare per agevolare il transito sulla Via Appia evitando la grande salita sul Monte Giove Anxur.

 

TORRE DEL FOGLIANO

 

TORRE DEL FOGLIANO – I laghi del Fogliano e di Paola furono usati già in antichità come porti naturali. Erano adiacenti al mare e da esso separati da lunghe dune costiere. Fu con il passaggio della Via Appia che merci e passeggeri poterono essere trasbordati su navi d’alto mare verso l’Oriente, con grande beneficio economico per le città pontine. Questa torre e quella di Paola proteggevano gli ingressi al mare.

 

 

BRINDISI

 

La “ricostruzione” dell’epoca romana a Brindisi, intesa come l’insieme di elementi e strutture che caratterizzano la città nel periodo romano, include la presenza di un importante porto commerciale, l’istituzione della via Traiana che la collegava a Roma, la costruzione di infrastrutture come acquedotti e terme, e la definizione di un impianto urbanistico ortogonale. Il porto era un caposaldo per le rotte commerciali verso Oriente e sede di eventi storici e intellettuali, e tutt’oggi resti di domus, tracciati viari e strutture pubbliche sono testimoniati da scavi archeologici nel centro storico.

 

Le due colonne che attestano la fine della Via Appia al porto di Brindisi

 

 

Potenti mura di fortificazione racchiudevano l’abitato che era rifornito da un imponente acquedotto attraverso un Castellum Aquae ubicato presso le mura. Rimangono resti di tracciati viari, edifici abitativi, domus con pavimenti a mosaico, edifici pubblici e tombe identificati all’interno dell’attuale centro storico, attraverso rinvenimenti occasionali e scavi stratigrafici. 

Un ampio quartiere abitativo, attraversato da uno dei quattro cardini della città romana, è visibile nell’area di S. Pietro degli Schiavoni, a breve distanza dall’area in cui doveva sorgere il Foro (attuale Piazza Vittoria). In questo settore della città era ubicato anche un complesso edificio termale pubblico. 

Brindisi divenne così il principale porto romano verso l’Oriente, sia come base navale per tutte le guerre con la Macedonia, la Grecia e l’Asia minore, sia come importante centro commerciale, in sostituzione di Taranto, la cui importanza era assai diminuita dopo la conquista romana.

Brindisi rimase una florida e attiva città per tutto il periodo imperiale romano, Plinio la menziona per la produzione di specchi in bronzo, Varrone per la coltivazione della vite e Cassio Dione ne ricorda i venditori ambulanti di libri in lingua greca.

Resti di domus romane sono nella chiesa del Santo Sepolcro e palazzo Granafei. Sparsi ai margini delle strade s’incontrano rocchi di colonne, macine, capitelli; inseriti o murati sugli edifici sussistono puttini e busti.

 

L’ultima curiosità….

L’origine della parola italiana “brindisi” (nel senso di fare un brindisi) non ha a che fare con la città di Brindisi, ma deriva dallo spagnolo “brindis”, che a sua volta deriva dalla formula tedesca “bring dir’s”, un invito a portare il calice come saluto augurale che risale a pratiche antiche, come lo scontro dei calici per verificare la presenza di veleno, un gesto che poi si è evoluto in un rito conviviale per esprimere amicizia, affetto e augurio di benessere, con diverse espressioni come Salute! che derivano dal latino. 

 

 Conclusione

Oggi la Via Appia ci appare come un segno antico inciso nella terra, ma agli occhi del marinaio rimane soprattutto una rotta. Una rotta che univa mari e continenti, che dava a Roma la forza di gettare ancore in porti lontani e di spiegare vele verso nuovi orizzonti.

Ogni pietra di quella strada racconta il passo di un legionario, ma anche il respiro del Mediterraneo che l’accompagnava. La Via Appia fu, ed è ancora, un ponte tra terra e mare: un viaggio che non finisce mai, perché continua ogni volta che percorriamo le sue pietre con la memoria o navighiamo sulle sue rotte con l’immaginazione.

Così come un marinaio sa che il mare non ha confini, Roma seppe che la sua via più celebre non era soltanto un cammino: era il mare stesso trasformato in strada.

 

 

Carlo GATTI 

Rapallo, lunedì 22 settembre 2025