LA NAVE PUNICA DI MARSALA
L’eccezionalità del ritrovamento della Nave Punica deriva proprio dalla sua antichissima storia. Il relitto risale al III secolo avanti Cristo, siamo in piena battaglia delle Egadi. Si tratta di un reperto unico per gli oltre 2.300 anni passati in fondo al mare. I punici erano MAESTRI nella tecnica costruttiva di imbarcazioni sia militari che commerciali.
La stella rossa a destra, indica il punto del ritrovamento del relitto della nave punica nei pressi di Punta Scario (Isola Grande).
La Nave, scoperta dalla archeologa inglese Honor Frost nel tratto di mare al largo dell’Isola Grande, presso l’imboccatura nord dello Stagnone di Marsala, rappresenta un’importante testimonianza della Prima Guerra punica, combattuta dai Romani contro i Cartaginesi per la conquista della Sicilia, quando probabilmente fu affondata durante l’assedio di Lilibeo o nella battaglia delle Egadi che pose fine al conflitto (241 a.C.).
La X rossa (al centro della carta) indica il probabile luogo della BATTAGLIA
LE ISOLE DELLO STAGNONE
Le isole dello Stagnone prendono il nome dalla laguna più vasta della Sicilia che è caratterizzata da acque basse (1–2 m e spesso non più di 50 cm) ed è compresa tra le quattro isole:
. I. Grande o Isola Lunga, la più grande dell’arcipelago. Anticamente era composta da 5 isolette (Frati Janni, Altavilla, Burrone, Sorci e San Todaro) unite da canali.
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La Scuola o Isola Schola, la più piccola
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Santa Maria, stretta e allungata
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Isola di San Pantaleo (l’antica Mozia) è la più importante delle isole dello Stagnone dal punto di vista paesaggistico e archeologico. Antica Colonia Fenicia, ha forma circolare.
. L’isolotto di Mozia fu baluardo punico sin dal XII sec. a.C.
Fu il primo emporium di questo popolo di mercanti che veniva dall’Asia.
Splendidi i ruderi di Mozia che oggi si possono osservare nel piccolissimo isolotto al quale si giunge con un battello che parte dalla limitrofa Marsala. Una volta giunti si respira aria del passato.
Si passeggia nell’isolotto, porto fenicio di grandissima importanza nell’antichità, sommersi dai ritrovamenti archeologici.
Lo Stagnone nell’antichità, in particolare in epoca fenicia, era un luogo strategicamente importante per la presenza di Mozia, influente e sicuro centro commerciale fenicio per gli scambi tra Oriente e Occidente. Il periodo di splendore dello Stagnone si concluse con la conquista romana e rimase nel silenzio fino alle soglie dell’età moderna. Infatti, con un notevole salto di secoli, lo Stagnone tornò ad avere una funzione importante ai tempi della dominazione spagnola, nel XV secolo, quando lungo il suo litorale furono costruite le saline e quando si incrementò l’attività della pesca. Le saline sono ancora oggi una delle peculiarità della Riserva dello Stagnone e possono essere visitate. Così come gli imponenti mulini a vento che venivano e vengono utilizzati per il pompaggio dell’acqua e la macinazione del sale. Tra le caratteristiche che rendono unica la Riserva cè comunque anche la presenza di numerose specie di pesci (orate, spigole, triglie, anguille, saraghi, seppie, polpi, crostacei e via dicendo). Le calde acque della Laguna e la scarsa profondità dei suoi fondali rendono, infatti, lo Stagnone un habitat ideale per la deposizione delle uova e per il ripopolamento ittico, peraltro tutelato dal regolamento della Riserva che prevede il divieto di caccia e di pesca subacquea e con le reti. Anche la pesca sportiva (attraverso lenze e nasse), pur essendo consentita, è opportunamente regolamentata. Ma lo Stagnone è anche un piccolo paradiso per gli appassionati di ornitologia. In determinati periodi dell’anno diverse specie di uccelli migratori, cavalieri d’Italia, anatre selvatiche, aironi e fenicotteri bianchi o rosa, qui nidificano o sostano durante le loro migrazioni. La Riserva dello Stagnone accoglie, inoltre, una rigogliosa vegetazione tipica degli acquitrini salmastri mediterranei: la Palma nana, i giunchi e le salicornie.
LO STAGNONE VISTO DAL SATELLITE
IL RITROVAMENTO
Il recupero della nave è avvenuto tra gli anni 1971 e 1974. Terminati gli scavi, i legni della nave vennero conservati in acqua dolce e successivamente montati e conservati in questo “baglio”, adibito per l’occasione a museo.
Il “Baglio Anselmi”, è un antico stabilimento marsalese costruito intorno al 1880 e destinato alla produzione del Marsala e della distillazione dell’alcool puro; dal 1986 è attualmente adibito a MUSEO all’interno del quale è ospitato il relitto della nave cartaginese ritrovata nel 1969 nello Stagnone di Marsala.
“Il relitto della Nave Punica” a Marsala
di Giovanni Teresi
“Il relitto della nave punica custodito nel Museo Archeologico: Baglio Anselmi di Marsala, rappresenta ad oggi un vero e proprio gioiello della collezione.
Ritrovata nel 1969 durante i lavori di scavo di una draga, vennero scoperti dei vasi antichi e altri reperti nella zona di Punta Scario, al largo dell’Isola Grande, presso l’imboccatura nord della laguna dello Stagnone. Nel 1971 lo spostamento di un banco di sabbia fece emergere la poppa della nave a pochi metri sotto il livello del mare, nei pressi del canale artificiale punico (“fretum intraboream”) che oggi è andato perduto.
Lo scavo fu affidato alla famosa archeologa Honor Frost dalla British School at Rome, in collaborazione con la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale.
Con il suo arrivo a Marsala, nell’estate del 1970, iniziarono i lavori con una équipe di volontari per eseguire ricognizioni subacquee e archeologiche sulla costa a nord della città.
La Nave Punica si trova a Marsala grazie a Honor Frost, una delle più famose archeologhe subacquee mai esistite.
La Frost, deceduta nel 2010, fu l’artefice del recupero della Nave Punica. L’operazione durò tre anni e fu un periodo eccezionale per la raccolta di reperti di vario tipo e testimonianze storiche della Prima guerra punica, antecedente quindi al 241 a.C.
Dell’antico reperto si è conservata la parte poppiera e la fiancata di sinistra, per circa 10 metri di lunghezza e 3 di larghezza.
L’archeologa Rossella Giglio ipotizza che: «[…]
“ipoteticamente la lunghezza era di m. 35, la larghezza di 4,80, la stazza di tonnellate 120, con un possibile equipaggio di 68 vogatori, 34 per lato, che azionavano i 17 remi di ogni fiancata.».
La nave punica era costruita secondo la tecnica detta «a guscio portante», basata sulla realizzazione prima del fasciame e poi della struttura interna. La parte esterna era rivestita da lamiere di piombo, fissate con chiodi di bronzo, mentre un tessuto impermeabilizzante stava in mezzo tra il fasciame ed il rivestimento metallico. La parte interna, invece, era costituita da madieri e ordinate, rispettivamente costruite in quercia e acero le prime, e in pino e acero le seconde, mentre il fasciame era realizzato in pino silvestre e marittimo. I segni geometrici che si trovano sulla nave costituivano le linee-guida per la costruzione della stessa e costituiscono, già da soli, una testimonianza di grande importanza. Aveva un’àncora, la chiglia e un rostro”.
ALBUM FOTOGRAFICO
LO STAGNONE
Il Relitto nel BAGLIO “ANSELMI”
Segue l’interessante elenco degli oggetti trovati a bordo del relitto:
Al momento della scoperta furono trovati, tra i resti dello scafo, anche altri oggetti che facevano comunque parte dell’imbarcazione o che appartenevano ai membri dell’equipaggio:
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sassi usati per zavorrare l’imbarcazione che, con molta probabilità, provenivano dalle coste laziali
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ossa di animali tagliate a pezzi
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noccioli d’oliva e gusci di noce (forse la nave affondò in un periodo autunnale o invernale, data l’assenza di resti di frutta fresca)
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foglie di cannabis sativa (forse utilizzata per alleviare le fatiche dei marinai)
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scopa in sparto (fibra vegetale utilizzata ancora oggi per fare i panieri)
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corde “piombate”, ossia intrecciate e rinforzate grazie a uno strumento in legno terminante a punta e che ancora oggi viene utilizzato (la caviglia)
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boccali, piatti, ciotole, un mortaio, tappi di sughero
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un pugnale
Questi ed altri reperti sono stati analizzati con il carbonio 14 e concordano nel datare la nave alla metà del III secolo a.C.
Il relitto di Marsala è una inequivocabile testimonianza del metodo di prefabbricazione delle navi fenicie e puniche, già noto dalle fonti storiche (Polibio). I corsi di fasciame e le parti strutturali venivano costruite in serie e contrassegnate con segni o lettere dell’alfabeto fenicio, per essere poi assemblate velocemente e consentire il varo di un’intera flotta in pochi giorni.
I trattamenti per la conservazione
A Marsala in un primo momento vennero esposti solo i pezzi di legno disassemblati, mentre la nave intera fu assemblata solo dopo che alcuni tecnici locali, i fratelli Bonanno, costruttori di barche e navi, riuscirono a ricostruire l’imbarcazione sotto la guida di Austin P. Farrar, un ingegnere navale della missione di scavo inglese, grazie alle lettere e ai segni presenti sul materiale recuperato.
Naturalmente va detto che non furono rinvenuti tutti i pezzi originari. Fu trovata solamente una parte di questi, ovvero la poppa e la fiancata di babordo, mentre altri pezzi sono stati montati su supporti appositi, visibili ad occhio nudo a causa del differente colore del legname. Dopo il rinvenimento, i legni vennero dapprima messi in vasche d’acqua dolce e, successivamente la nave venne reimmersa in una vasca con cera sintetica (polietelene glycol – PEG 4000 ad alta percentuale) dissolta in acqua a diverse concentrazioni e temperature.
La nave punica venne poi esposta nel museo nel 1978, ma per 21 anni rimase sotto un telone in quanto le condizioni architettoniche del museo non erano idonee per la sua corretta esposizione; infatti la si poteva ammirare soltanto tramite alcune finestrelle di plastica trasparente poste lungo le fiancate della copertura.
Nel maggio del 1999, ultimati i lavori che permisero la creazione di un clima adatto ad una conservazione ottimale, attraverso l’installazione di impianti di climatizzazione per mantenere umidità e temperatura costanti, venne tolto il telone e la nave fu esposta al pubblico.
Nave da guerra o nave oneraria?
Sono numerose le questioni ancora aperte sulla nave punica di Marsala. Prima di tutto ci si chiede ancora se fosse una nave da guerra o una nave oneraria (da carico) anche se addirittura c’è chi mette in dubbio che fosse effettivamente una nave punica.
Particolare della chiglia
Caratteristica importante di questo tipo d’imbarcazione era il rostro, elemento tipico delle navi puniche da guerra, una punta di bronzo o lignea posta sulla prua sotto il livello del mare, che serviva a speronare e ad aprire una falla nello scafo delle navi nemiche e che dopo lo scontro si staccava dalla chiglia facendo affondare la nave speronata. Anche se della nave di Marsala si conserva solo una parte della poppa, gli studiosi suppongono che a prua ci potesse essere un rostro, proprio come quello che si è trovato nel 2004 a Trapani in quanto intorno ai legni ricurvi del lato di prua sono state rinvenute tracce di tessuto imbevuto di resina e un frammento di lamina di piombo.
Ciò fa pensare che probabilmente questa nave fosse una nave da guerra, teoria sostenuta dall’archeologa Honor Frost, dalla Giglio e da molti altri studiosi.
A favore di questa tesi, ci sarebbe anche la questione della datazione, che il test del carbonio 14 fissa alla metà del III secolo a.C. Sulla scorta di questi dati la Giglio sostiene che la nave “con tutta probabilità affondò il 10 marzo del 241 a.C., nel corso della battaglia navale combattuta nel mare delle Egadi che concluse la Prima guerra punica.”
L’archeologa Honor Frost e il prof. Maurizio Vento, docente di latino nei licei e autore di un testo sull’argomento, sostengono che si tratta di una nave da carico, in quanto le misure e la forma coincidono con quelle delle classiche navi puniche onerarie. Egli inoltre sottolinea che l’identificazione fatta dalla Frost fosse più legata al fatto che all’epoca del rinvenimento, il ritrovamento di una nave punica da guerra costituiva un vero e proprio sogno per gli archeologi.
Ecco la spiegazione circa la doppia versione: militare o da carico….
Come scrive infatti la Frost alla vigilia del rinvenimento: «[…] Ancora una volta non si può dire niente fin quando uno scavo sarà stato realizzato, eccetto che la scoperta di una nave da guerra antica è da un secolo il vecchio sogno degli archeologi navali. Nessun relitto di questo genere è stato mai scoperto […]».
Sono affermazioni che svelano, secondo Maurizio Vento che, «prima ancora che fossero visitati scientificamente i reperti» esisteva il proposito «di voler materializzare quel sogno, non tenendo conto di molti fattori che, pur messi in luce da tempo, vengono generalmente trascurati».
I dubbi di Vento vengono alimentati ulteriormente anche dal fatto che in questa nave si sia trovato:
« il vasellame (ciotole, macine per granaglia, poche anfore per l’acqua potabile, per il vino e per la salsa di pesci), i rifiuti degli alimenti (come resti ossei di animali da cacciagione o come resti vegetali quali noccioli di frutta secca, di olive in salamoia), numerosi oggetti (come legna da ardere, tappi di anfore, cordami, canapa per spaghi e stoppa, pece, punteruoli per funi, attrezzi da pesca) che fanno tutti parte del normale corredo delle navi onerarie e sono presenti pure a bordo della nave punica di Marsala» – e, invece, non si sono trovati – «i moltissimi remi (che permettevano le rapide mosse strategiche per colpire il fianco della nave nemica), le catene dei numerosi rematori e i banconi dove sedevano» – ma soprattutto – «il rostro bronzeo tricuspidato, le varie armi (scudi, corazze, spade, pugnali ecc.), e poi materiali di ricambio, argani, carrucole, arnesi vari, e tutto ciò che è facile immaginare fosse il consueto corredo di una nave bellica».
Un’altra considerazione importante viene fatta da Piero Bartoloni citato da Maurizio Vento, e cioè che «le navi onerarie di Cartagine erano lunghe tra i 20 e i 30 metri, con una larghezza compresa tra i 5 e i 7 metri, e avevano un pescaggio di circa un metro e mezzo, analogo all’altezza dell’opera morta» – e ancora – «tra la carena ed il pagliolo era situata la zavorra, costituita da pietrame in schegge ed eventualmente sostituita con sabbia se il carico era costituito da anfore; per attutire gli urti delle pietre contro i corsi, veniva disposta una coltre di fogliame. Lo stesso carico costituiva parte necessaria della zavorra, come è dimostrato indirettamente da una delle navi puniche di Punta Scario, all’interno della quale è stata rinvenuta una certa quantità di pietrame che, a quanto risulta dalle analisi effettuate, proveniva probabilmente dalla costa settentrionale del Lazio».
E conclude dicendo che «questo rinvenimento […], secondo il nostro avviso, dimostra che la nave in questione era giunta carica nel porto etrusco e che, una volta scaricati i prodotti importati e non essendovi nulla da caricare per il viaggio di ritorno, la sua zavorra era stata sostituita con del pietrame locale.
Maurizio Vento conclude la sua tesi sostenendo che «la nave oneraria […] sarebbe dunque naufragata per un errore del nocchiere, dovuto o ad imperizia o più probabilmente a cause naturali (come, ad esempio, una tempesta), al momento di virare nei pressi del Borrone, lungo l’unica rotta praticabile che consentisse di approdare in quella che un tempo era stata la Cartagine siciliana».
Il ritrovamento dell’imbarcazione ha permesso di conoscere il sistema di costruzione navale dei Cartaginesi, che aveva suscitato ammirazione nell’antichità per la velocità costruttiva della prefabbricazione in cantiere.
Ogni asse della nave punica reca inciso, infatti, un simbolo dell’alfabeto fenicio-punico utile ai carpentieri per il rapido assemblaggio dello scafo, proprio come per una moderna scatola di montaggio.
Le ricerche continuano….
Il Parco archeologico di Lilibeo-Marsala e la Honor Frost Foundation, in collaborazione con il Centre Camille Jullian dell’Università di Aix Marseille-CNRS, promuovono ciclicamente la realizzazione di convegni internazionali sulla Nave Punica. Così avvenne esattamente 50 anni dopo l’avvio della missione archeologica guidata da Honor Frost.
CONCLUSIONE
La storia della nave punica, del suo ritrovamento, è una storia di archeologia, di ricerca nel passato più antico di questa terra. E’ la storia, però, anche della tenacia di archeologi che da tutto il mondo si sono concentrati su Marsala e sul mare della battaglia delle Egadi.
A cura di
CARLO GATTI
Rapallo, Venerdì 16 Maggio 2025