IL NAUFRAGIO DELLA NAVE A PALO ITALIA

La perdita del più grande veliero italiano di tutti i tempi fu un duro colpo per la marineria ligure.

Alcune analogie con il naufragio della Costa Concordia

Siamo nel 1908. Gli affari più redditizi stanno passando ai piroscafi, concorrenti che i velieri non riescono più a contrastare perché sono sempre più affidabili e, non dipendendo dai capricci del vento, assicurano consegne più regolari secondo precisi impegni di noleggio. Insomma, all’orizzonte c’é più fumo che vele e la gente di mare sente sulla propria pelle che il progresso sta voltando le spalle ai silenziosi bastimenti a vela. Il commercio marittimo riguarda prevalentemente il guano cileno, il salnitro peruviano, il carbone europeo o australiano, il grano americano, i minerali di nickel neocaledonesi, la lana australiana, il petrolio in cassette, il legname e il pesce dei mari nordici. Ma é anche il tempo della corsa all’oro californiano. S’inaugura il flusso di migranti dalla costa orientale a quella occidentale degli USA in cerca di fortuna, sempre via Capo Horn, ma l’apertura del Canale di Panama é imminente (1914) e provoca alla vela ulteriori perdite operative e cali di noli.

In questo quadro marcato dai forti colori del tramonto, si muovono ancora con grande fierezza le famose  navi a palo oceaniche; sono grandi, famose e veloci, sono l’orgoglio della nostra cantieristica navale e dei loro armatori che credono fermamente nell’economicità del vento rispetto al costoso carburante dei piroscafi. Sono costruiti in ferro ed hanno quattro alberi. In tutto sono una decina. Questi ultimi splendidi velieri  hanno svolto un buon servizio regalando prestigio alla nostra Marina. Sette di loro sono stati costruiti in Liguria.

L’Emanuele Accame, varata a La Spezia nel 1891, attiva su tutti gli oceani, fu la nave a palo forse più famosa e longeva. L’Edilio Raggio, varata a La Spezia nel 1903 dal cantiere Pertusola, fu la prima nave a palo realizzata con un progetto nostrano. Le gemelle Gabriele D’Ali’ (1901) e Principessa Mafalda (1903) furono varate nel Cantiere Nicolò Dodero della Foce di Genova. L’Erasmo fu varata a Riva Trigoso nel 1903 per conto degli armatori Raffo e Bacigalupo di Chiavari. Unità veloce, guadagnò primati malgrado le molte tempeste oceaniche nelle quali ha avuto la ventura d’incappare. La Regina Elena – Armata da Casa Milesi di Genova, fu varata a Riva Trigoso nel 1903. La settima fu la nave a palo Italia, della quale stiamo per raccontarvi il triste epilogo.

Con la portata di 4.200 tonn. fu il più grande veliero costruito dai cantieri nazionali ed anche l’ultimo di quella breve stagione. La nave a palo fu varata al Muggiano (La Spezia) nel 1903 per conto degli armatori Cavalieri Becchi e Sturlese di Genova. Fu una nave splendida ma sfortunata. La sua vita durò soltanto 3 anni, e fu divisa in altrettante campagne. La prima di circumnavigazione del globo; la seconda tra Europa, Australia e ritorno via Capo Horn; infine nel 1908, partì per la sua terza campagna dall’Australia diretta al porto cileno di Iquique. Dopo una veloce traversata di 43 giorni dell’Oceano Pacifico, l’Italia arrivò verso sera in vista delle colline di Antofagasta, ma improvvisamente le venne a mancare il vento lasciando le vele inerti e la nave in balia della corrente. La nave era in forte anticipo sulla data prevista, ma i rimorchiatori cileni non lo sapevano e non si fecero trovare pronti “al gancio”. Il mare lungo da Sud-Ovest che arrivava dagli sconfinati spazi oceanici, spinse il veliero contro la costa a picco sul mare. La perdita della nave fu inevitabile, complice il profondo fondale e l’inesorabile corrente che fu impossibile contrastare con le ancore di bordo. Il comandante Marchese tentò all’ultimo momento una manovra disperata ruotando la nave, ma troppo tardi. La poppa si sfasciò contro le rocce che aprirono una falla che le fu fatale. All’equipaggio non rimase che allontanarsi con le lance di salvataggio, che vennero poco dopo soccorse da alcuni pescherecci locali.


Venerdì 1° Maggio. Due eccezionali fotogrammi che testimoniano il naufragio della nave a palo “Italia”. L’albero di contromezzana (o palo) é crollato a seguito del contraccolpo nella zona poppiera, dovuto all’impatto col fondo roccioso. Queste immagini sono state rinvenute nel libretto del Capitano Emilio Marchese soltanto nel 1975. (Archivio Museo Navale Internazionale – Imperia)

Dal PROCESSO VERBALE riportiamo alcuni stralci della drammatica relazione del Comandante riguardante il naufragio della nave a palo ITALIA.

Io sottoscritto Emilio Marchese, Capitano del veliero Italia della matricola del Comp. Marittimo di Genova….omissis….Si Partì da Newcastle (Australia) il 17 marzo 1908 con carico di carbone destinato per Iquique (Cile); felicemente dopo una favorevole navigazione e sollecita, si avvista la costa del Chilì (Cile) alle alture circa di Antofagasta. Da qui segue rotta al Nord per la destinazione succitata. La mattina del venerdì 1° maggio, fatto giorno, la posizione della nave era al traverso di Punta Petache, alla distanza di 10 o 12 miglia con quasi calma di vento e variabile e mare gonfio da Sud Ovest. Si effettuano durante il giorno varie manovre onde allontanarci dalla costa, cambiando le mure, ma a causa altresì di una corrente abbastanza considerevole portante verso il Nord o Nord-Nord Est, nonostante tutti gli sforzi fatti, ci avvicinammo alla punta Cuchumetta in sì breve lasso di tempo; cosa da rimanere stupefatti; vedendo che non si poteva più oltrepassare detta punta per l’assoluta mancanza di vento, immediatamente si scandaglia trovando 35 braccia di fondo, si ancora subito, senza indugiare un istante, l’ancora di sinistra filando circa 60 braccia di catena fuori, ciò essendo verso le ore 04,30 p.m., ma vedendo che la nave non veniva trattenuta, derivando sempre alla via di terra, si ancora anche quella di destra immediatamente, filando catena circa 40 braccia. Fatto ciò, il bastimento cominciò a presentare la prua fuori all’Ovest, ma disgraziatamente esso toccò ripetutamente la poppa battendo fortemente sul fondo di scoglio. Sondata la sentina, si trovarono sei piedi d’acqua nella stiva, da cui si deduce che lo scafo ha portato forti avarie nel fondo sott’acqua. Immediatamente si mettono fuori in mare le due imbarcazioni di poppa, perché queste erano le più pronte ed alla mano guarnite con le grue con lo scopo di salvare le vite dell’equipaggio (in questo frattempo un urto violento causò completamente rottura e disarmo del timone) che colle guide di due pescatori poi fummo a terra tutti. Prima di lasciare la nave, più o meno le ore 6 p.m. potemmo convincerci come la falla andava prendendo proporzioni sempre maggiori, perché l’immersione della linea d’acqua fuori bordo raggiungeva il livello pressapoco alla coperta. Trovandosi in deplorevoli condizioni, risolvemmo prender la via di terra, dirigendosi in un ridosso, piccola Caleta, ove il mare era molto più camo, colle guide di due pescatori pratici del luogo, che poterono assisterci nel momento fatale e che tutto presenziarono…..

Descrizione del bastimento Italia: Armatori: Bechi & Sturlese di Genova

Misure dello scafo: Lunghezza: mt.100 – Larghezza: mt. 14.54 – Pescaggio: piedi 22,5 – Stazza Tonn. Registro: 3.030 – Portata massima: Tonn. 4.200 – Nominativo: PWNK Velatura: mq 3.000 – Attrezzato a nave a palo con i ritrovati più recenti, con 18 vele quadre, randa e 12 vele triangolari, albero maestro di 50 m d’altezza.

La campagna nell’oceano Pacifico della nave a palo “Italia”. Passato il Capo Horn, la nave raggiunse Seattle poi si diresse in Australia, a Melbourne, quindi attraversò ancora il Pacifico per due volte facendo scali nel Cile, a Junin e Pisagua, fino al tragico naufragio del 1° Maggio 1908.

Alcune analogie con il naufragio della Costa Concordia

1 – Le due navi sono state tra le più grandi della loro epoca e nessuno avrebbe immaginato che potessero naufragare per una causa diversa da un incendio, da una tempesta, da una collisione, dalla rottura di un albero, nel caso del veliero; oppure per il blackout dei motori, perdita delle eliche e timone nel caso della nave passeggeri.

2 – Il veliero ITALIA naufragò per una causa davvero remota: blackout del vento, come se una nave di oggi si schiantasse sugli scogli per mancanza di carburante.

3 – La nave passeggeri Costa Concordia é naufragata per un causa altrettanto impensabile: imprudenza grave del suo capitano nel scegliere una rotta troppo vicina alla costa.

4 – In entrambi i casi, il destino é stato crudele ed efficientissimo nel programmare e realizzare due naufragi da manuale, nonostante le condizioni meteo fossero ottime.

5 – Il veliero italiano era sprovvisto di stazione radio.* Per questo motivo non fu emesso alcun segnale di soccorso, pur trovandosi la nave in acque “quasi” portuali.

6 – Allo stesso modo, dopo 104 anni di progresso tecnologico, si deve parlare di carenza nei contatti radio nave-terra-nave anche per la Costa Concordia. 32 sono state le vittime della tragedia e si ritiene, da più parti, che si debba imputarne la causa all’inefficienza delle comunicazioni interne ed esterne alla nave.

7 – Il naufragio delle due unità non é stato immediato. Nel caso del veliero, l’affondamento fu ipotizzato con largo anticipo, e l’abbandono nave fu preparato secondo la prassi. Nel caso della nave passeggeri, lo scafo s’é adagiato con il fianco destro su un provvidenziale gradone roccioso che lo accoglie a tutt’oggi (Maggio-2012) con una certa stabilità.

8 – Sia l’Italia che la Concordia sono naufragate cozzando contro la terraferma e non in mare aperto. In entrambi i casi, i naufraghi si sono salvati con i mezzi di bordo e di terra evitando di morire assiderati nelle fredde acque del Pacifico in aprile, o davanti all’Isola del Giglio in gennaio.

9 – In entrambi i casi, si può “marinarescamente” parlare di evento straordinario, degno di essere ricordato con molti ex voto per grazia ricevuta. L’Italia si trovò, infatti, “senza governo” in balia della corrente e l’impatto contro la costa avvenne non distante dal porto di Iquique (Perù), per questa fortunosa circostanza, il recupero dell’equipaggio fu quasi immediato.

La Costa Concordia, subito dopo l’urto contro le “Scole”, si é trovata “senza governo”, in balia di deboli elementi meteo e di un forte sbandamento compiendo, con l’abbrivo residuo, una curva magica verso terra e non verso il largo. Questo miracoloso sentiero della salvezza l’ha portata a posarsi dolcemente sulla riva e a consegnare i suoi “ospiti” tra le braccia di quei fantastici gigliesi che oggi tutti applaudiamo.

10 – Chiuderei questa serie di coincidenze con un pensiero sul Gigantismo Navale di cui, probabilmente, le due navi sono state vittime. Per secoli e secoli i velieri fecero uso delle scialuppe di bordo per togliersi dai guai a forza di remi: nelle manovre portuali, per evitare i bassifondi, per superare le calme equatoriali, per scappare dalle rade pericolose ecc… La scialuppa é sempre stata l’arma segreta, una risorsa indispensabile del Comandante di un tempo, non solo come forza trainante, ma anche come vedetta, esploratore, procacciatore di acqua, di viveri, per trasbordare personale, autorità, feriti, merci di scambio ecc… Ma il comandante Emilio Marchese dell’ITALIA, a causa del peso eccessivo della nave e del suo carico, non prese neppure in considerazione l’idea di servirsi delle scialuppe per vincere la corrente a forza di braccia. Per quanto riguarda l’impatto della Costa Concordia contro gli scogli, diversi esperti del settore hanno affermato che la nave, qualora fosse stata di poco più corta, avrebbe scapolato con la poppa gli scogli delle ‘Scole’ e, nonostante i numerosi errori del suo comandante Francesco Schettino, si sarebbe salvata.

Note: * Il primo uso della radio a bordo di una nave con relativa richiesta di soccorso si ebbe nel Marzo 1899 da parte della nave faro Goodwin che navigava a sud delle coste inglesi immersa in una fitta nebbia. Il messaggio di richiesta di soccorso fu ricevuto da una stazione costiera che mando’ la nave S. Matteo in aiuto alla Goodwin. Nel 1904 molti transatlantici furono equipaggiati con stazioni radio ricetrasmittenti a bordo, con operatori che conoscevano la telegrafia provenienti dalle ferrovie o dagli uffici telegrafici postali.

Ringrazio il comandante Flavio Serafini, per aver riportato alla luce, con il suo libro: “NAUFRAGIO NEL PACIFICO”, (da cui ho tratto le fotografie), la drammatica storia della nave a palo ITALIA. Flavio lo ha fatto con la passione del vero ricercatore di razza, in un Paese che certamente non brilla nella salvaguardia delle memorie storiche.

Carlo GATTI

Rapallo, 18.04.12