IL VIAGGIO DELLA R.M.S. LACONIA VERSO L’INFERNO

UN PO’ DI STORIA

IL 1942 – L’ANNO DELLA SVOLTA


Sul fronte russo –
Il quarto anno di guerra fu quello decisivo; le potenze dell’Asse erano come un proiettile lanciato che compie la sua parabola ascendente, rallenta e inizia la parabola discendente, deflagra e finisce la sua corsa.

L’offensiva tedesca arrestata dall’inverno riprese l’8 maggio con una serie di poderosi colpi: furono occupate Sebastopoli, Voronesc, Rostov e fu raggiunta (ma non conquistata) Stalingrado. Ma erano gli ultimi sforzi: l’esercito sovietico, riavutosi dai tremendi colpi iniziali, preparava la sua riscossa.

Sul fronte africano

Gli Italo-Tedeschi il 27 maggio partirono all’attacco e dopo tre mesi raggiunsero El Alamein, a 100 chilometri da Alessandria d’Egitto. Questo fu il punto massimo raggiunto dall’avanzata delle forze dell’Asse.

Il 23 ottobre l’ottava armata inglese scatenò la controffensiva: superiore per uomini e armi, essa riuscì a sfondare dopo dieci giorni il fronte italo-tedesco. Entro l’anno, tutta la Libia era in mano degli Inglesi.

El Alamein, un nome che riporta la mente a due importanti battaglie.

La prima è datata:

1 luglio–27 luglio 1942

la seconda:

23 ottobre–4 novembre 1942.

Nella prima battaglia di El Alamein. Gli alleati fanno molti prigionieri dell’ASSE che vanno portati altrove.

Da questa situazione nasce la tragica storia della LACONIA.

1800 prigionieri italiani pagarono il prezzo più alto

QUEL DISASTRO NAVALE FU NASCOSTO PER MOLTISSIMI ANNI

Per ragioni di opportunità? Non è stato mai chiarito! Ma sappiamo che a guerra finita cambiarono i rapporti geo-politici internazionali: chi era nemico diventò amico e viceversa, per cui certi “massacri” terrestri e navali furono chiusi a lungo negli armadi della vergogna 

Armadio della vergogna è un’espressione del giornalismo italiano usata per la prima volta dal cronista Franco Giustolisi in alcune inchieste per il settimanale l’ESPRESSO. 

Essa fa riferimento a un armadio rinvenuto nel 1994 in un locale di Palazzo Cesi-Gaddi in via degli Acquasparta nella città di Roma, nel quale erano contenuti fascicoli d’inchiesta riguardanti il periodo della Seconda Guerra mondiale. Si trattava di 695 dossier e un Registro Generale riportante 2.274 notizie di reato, raccolte dalla Procura generale del Tribunale supremo militare, relative a CRIMINI DI GUERRA commessi sul territorio italiano durante la Campagna d’Italia (1943-1945) dalle truppe nazifasciste – MA NON SOLO!

Bur Tewfik adiacente al porto di Suez-In basso nella cartina

Nel luglio 1942 la nave LACONIA, salpando da Port Tewfik, adiacente al porto di Suez, iniziò un viaggio per rimpatriare in Inghilterra: 463 ufficiali e uomini dell’equipaggio, 268 soldati britannici in qualità di passeggeri, 103 soldati polacchi destinati al servizio di guardia e 80 tra donne e bambini.

Nel frattempo, mediante zattere erano stati fatti convergere a Port Tewfik 1.800 prigionieri italiani, reduci dalla battaglia di El-Alamein, che furono imbarcati sulla LACONIA e stipati nelle stive, di dimensioni insufficienti in quanto potevano contenere solamente la metà dei prigionieri bloccati da sbarre stile prigione all’interno del ventre della nave, con razioni minime di cibo e acqua e sorvegliati dai carcerieri polacchi.

La cartina mostra la posizione del siluramento della LACONIA

La nave fece tappa nei porti di Aden, Mombasa, Durban e Città del Capo, da dove, invece che proseguire per l’Inghilterra fece rotta per l’Atlantico, allontanandosi dalle coste africane dove erano presenti numerosi sommergibili nemici in servizio di pattugliamento.

Nella notte del 12 settembre 1942 la Laconia navigava a luci spente nell’oscurità seguendo una rotta a zig-zag per evitare attacchi di sommergibili.

Alle ore 20,10 – 130 miglia a nord-nord est dall’Isola di Ascensione, la nave venne colpita a dritta da un siluro lanciato dal sottomarino tedesco U-BOOTE 156. L’esplosione interessò la stiva dove erano presenti molti prigionieri italiani.

Dobbiamo subito dire che durante le fasi dell’affondamento, le guardie polacche chiusero tutti i boccaporti delle stive dove erano tenuti prigionieri gli Italiani: molti di loro morirono affogati nel ventre d’acciaio della nave. Alcuni dei sopravvissuti, inoltre, affermeranno che i Polacchi di guardia, pur di non fare fuggire i prigionieri, fecero uso delle loro armi in dotazione e aprirono il fuoco.

Per la verità sono parecchi i siti trovati sul web che riportano queste orribili testimonianze e ne segnaleremo alcuni.

La Laconia affondò di poppa innalzando la prua quasi in verticale, come mostra l’impressione pittorica riportata sotto. I naufraghi in acqua e sulle scialuppe si trovarono a dover fronteggiare gli squali, in mare aperto in pieno Atlantico, con poche probabilità di sopravvivenza.

L’affondamento del Laconia. Ecco dunque la ricostruzione sommaria della triste vicenda.

La notte del 12 settembre del 1942, nei pressi dell’isola di Ascensione un sottomarino tedesco, l’U-156 al comando del tenente di vascello Werner Hartenstein, inquadrò e colpì la Laconia, un transatlantico varato nel 1922 da circa 20.000 tonnellate convertito dagli inglesi in mercantile armato per il trasporto delle truppe (v. disegno più sotto).

Il sommergibile tedesco emerse ed il suo comandante si accorse che tra i naufraghi c’erano numerosi soldati alleati italiani. Appresa la composizione dei passeggeri informò immediatamente il Comando navale tedesco. Il viceammiraglio Dönitz acconsentì al salvataggio dei naufraghi, ordinando allo stesso tempo ad altre unità navali, tedesche ed italiane, di far rotta verso il luogo del disastro.

Dai primi racconti dei naufraghi italiani risultò subito una realtà inquietante, che fu annotata nel giornale di bordo del comandante Hartenstein: «00 h 7722 – SO. 3. 4. Visibilità media. Mare calmo. Cielo molto nuvoloso. Secondo le informazioni degli italiani, gli inglesi, dopo esser stati silurati, hanno chiuso le stive dove si trovavano i prigionieri. Hanno respinto con armi coloro che tentavano di raggiungere le lance di salvataggio…».

In sostanza le guardie polacche avevano ricevuto l’ordine di lasciare i 1800 prigionieri di guerra italiani chiusi nelle stive, condannati di fatto ad una morte orribile per affogamento. Le testimonianze su quei tragici momenti apparivano agghiaccianti, qualcuno dei prigionieri pare avesse tentato addirittura di suicidarsi battendo la testa contro le pareti del lo scafo. Con la forza della disperazione i reduci del deserto si erano scagliati contro i cancelli sbarrati, davanti alle guardie che non esitavano a respingerli a colpi di baionetta o a sparare a bruciapelo. L’orrore era poi proseguito sul ponte della nave, dove si era sparato sugli italiani che cercavano posto nelle scialuppe e ad alcuni erano anche stati recisi i polsi affinché non potessero più arrampicarsi.

L’emersione del sommergibile aveva posto fine alla barbarie, ma si è potuto calcolare che ben oltre un migliaio di italiani fossero già morti direttamente nelle stive e in quelle prime ore disperate.

Capitano di Vascello Werner Hartenstein era al comando dell’U-Boote 156

Le operazioni di salvataggio, che durarono alcuni giorni, consentirono al comandante Hartenstein di salvare sul suo, e sugli altri U-Boote, centinaia di naufraghi, in attesa dell’arrivo di una nave francese di soccorso, un incrociatore della classe Gloire partito da Dakar.

Il comandante dell’U-156

FAMIGLIA CRISTIANA ha pubblicato:

“L’affondamento del Laconia”, film Tv in onda domenica 2 ottobre alle 21.30 su Canale 5, racconta un evento realmente accaduto ma mai approfondito, perché il Governo italiano del dopoguerra non chiese spiegazioni. Dodici settembre 1942, Oceano Atlantico. Il transatlantico Laconia naviga tranquillo al largo delle coste della Sierra Leone: trasporta principalmente civili britannici e militari inglesi e polacchi, ma nella stiva ci sono oltre 1.800 prigionieri italiani. Sopravvivere in circa mezzo metro quadrato di spazio è dura: la situazione precipita quando l’imbarcazione viene colpita da tre siluri. A lanciarli, per errore, un sottomarino tedesco: la Laconia era stato scambiato per una nave da guerra. Le falle che si aprono nella chiglia trasformano la stiva in una trappola mortale, mentre la spinta disperata degli italiani nella stiva serve ad abbattere le sbarre di una sola delle tre gabbie in cui sono rinchiusi.

Mentre in superficie i tedeschi si adoperano in un’operazione di salvataggio dell’equipaggio, circa seicento prigionieri superstiti, guidati dal tenente Vincenzo Di Giovanni (Ludovico Fremont), provano a risalire: ma ad attenderli trovano i fucili dei soldati polacchi rimasti a bordo. Nonostante le avversità, gli italiani riescono a raggiungere il ponte prima che la Laconia affondi, ma non trovano più scialuppe disponibili.  Il film, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti e di alcuni militari inglesi e tedeschi, racconta una tragedia che poteva, se non altro, essere contenuta nelle proporzioni. I primi naufraghi italiani furono portati in salvo il 16 settembre: sopravvissero solo 400 uomini, molti morirono sbranati dagli squali”.

B TERRITORI 8 febbraio 2017 – ha pubblicato:

Si è spento il reduce Nino – Era l’ultimo della Laconia

Nino era l’ultimo superstite dell’affondamento del transatlantico «Laconia», un tragico fatto che racchiude in sé tutte le contraddizioni, il dolore e l’orrore della guerra.

Da quel naufragio sopravvissero solo 380 dei 1840 italiani imbarcati come prigionieri sulla nave inglese, silurata il 12 settembre 1942 da un sommergibile tedesco.

Il figlio Gianfranco 68enne ex vigile in pensione, abita invece a Gardone Riviera ed è l’unico ad aver raccolto nel corso degli anni qualche scarna testimonianza.

Per un racconto completo, anche il figlio dovette attendere l’ottobre del 2011, quando Canale 5 trasmise in un’unica serata la miniserie cinematografica ispirata da dall’evento storico: «Rimase a guardare in silenzio – ricorda Gianfranco – ma non fu soddisfatto perché secondo lui il racconto era troppo romanzato. Poi raccontò».

Giovanni Bigoloni apparteneva al 7° reggimento bersaglieri e dopo la prima battaglia di El Alamein venne fatto prigioniero dagli inglesi. Condotto al campo di prigionia di Suez, vi rimase fino al 29 luglio e poi fu imbarcato sulla Laconia, insieme a 463 marinai dell’equipaggio, 286 militari inglesi, 1840 prigionieri di guerra italiani, 103 guardie polacche». Dopo 45 giorni di navigazione, nella notte del 12 settembre, due siluri lanciati dal sommergibile tedesco U-156 affondarono la nave, in pieno oceano atlantico, al largo dell’Africa occidentale.

«IL PAPÀ si legò a un salvagente e rimase in acqua due giorni e mezzo. Fu poi raccolto con altri pochi naufraghi sul sommergibile Cappellini, della Regia Marina italiana. Sbarcato dopo un mese a Dakar, venne in seguito smistato a combattere in Jugoslavia e dopo l’armistizio tornò a casa con mezzi di fortuna».

Giovanni Bigoloni trovò poi lavoro a Roè facendo come macellaio allo spaccio del cotonificio «De Angeli Frua» e poi, fino alla pensione, intraprese con un piccolo autocarro l’attività di trasportatore. Adesso, Giovanni riposa accanto alla moglie Angela nel cimitero di Salò. L.SCA.

 

Scialuppa di salvataggio affiancata all’U-156

Werner Hartenstein

La tragedia sembrava giunta alla fine, ma in realtà le sorprese non erano finite.

In quelle difficili condizioni, il 16 settembre, alle ore 11,25, fu avvistato un bombardiere americano del modello B-24 Liberator, comandato dal tenente pilota James D. Harden. Dall’aereo si potevano osservare i sommergibili e vedere sopra coperta, come da convenzione internazionale, i teli bianchi con la croce rossa, indicanti prigionieri a bordo. Di più: Hartenstein chiese ad uno degli ufficiali inglesi che si trovavano sul suo U-Boot di trasmettere – in inglese – all’aereo il seguente messaggio: «Qui ufficiale Raf a bordo del sommergibile tedesco. Ci sono i naufraghi della Laconia, soldati, civili, donne e bambini».

Il Liberator non rispose e si allontanò. Il tenente pilota Harden telegrafò però al suo punto di appoggio che si trovava sull’isola di Asuncion, da dove il comandante in capo, il colonnello Robert C. Richardson III, impartì l’ordine chiaro «Sink sub».

Il Liberator tornò alle 12h e 32m per bombardare i sommergibili. Caddero cinque bombe, di cui una centrò una scialuppa ed una colpì l’U-Boot causando avarie agli accumulatori ed al periscopio. Hartenstein a quel punto fece tagliare le cime con le scialuppe e si immerse.

I superstiti (700 inglesi, 373 italiani e 72 polacchi) furono poi presi a bordo dalla nave francese di soccorso e giunsero a Dakar il 27 settembre.

Dönitz diventò ammiraglio alla fine di quell’estate e dispose che i sommergibili non avrebbero più raccolto naufraghi delle navi affondate e questo fu uno dei capi di imputazione sulla sua testa al processo di Norimberga, il 9 maggio 1946. Dönitz, che fu poi condannato a 10 anni di prigione, si difese proprio citando il bombardamento dei sommergibili dopo l’affondamento del Laconia.

Dei 1800 italiani, circa 1400 morirono annegati, in gran parte intrappolati nella stiva della nave. Fra essi anche il nostro compaesano, il filese ventinovenne Felloni Selvino.

Una tragedia di guerra, la guerra come tragedia. Di questa vicenda si è parlato con parsimonia nel dopoguerra e ben pochi si sono occupati di quei poveri morti. Per gli annegati della Laconia, dunque, c’è sempre stato solo il dolore privato delle famiglie e qualche sommesso quanto rispettoso ricordo, come questo modesto scritto, a tanti anni da quei fatti. Poche, e poco autorevoli le ammissioni di colpa da parte degli anglo americani che, a quanto si legge, hanno sempre per lo più ignorato, nel dopoguerra, l’avvenimento.

E’, quella della Laconia, comunque la si interpreti, una pagina ben poco onorevole, ma è anche uno dei tanti misfatti di una guerra insensata, in cui ci portò colpevolmente un regime autoritario e liberticida, responsabile di aver arrecato all’Italia, oltre ai tanti lutti famigliari, una rovina morale e materiale dalla quale ci si è potuti sollevare soltanto con grande sacrificio ed unità di popolo.

Sia allora questo piccolo ricordo del filese Selvino, disperso coi suoi tanti compagni all’altra parte del mondo, ingoiato dall’Oceano al largo dell’Africa nella più sconvolgente delle tragedie, un monito e una preghiera contro la pazzia della guerra, contro l’odio insensato ed il disprezzo per la vita, quasi sempre fomentato dal nazionalismo più becero, e sia un accorato appello contro quella violenza, prepotenza e sopraffazione che possono fare dell’uomo, ancora

SEGUONO I LINK DI ALTRE TESTATE E SITI STORICI

MADRE RUSSIA – Luca D’Agostini 28 febbraio 2020

http://www.madrerussia.com/mozzate-le-mani-agli-italiani-laffondamento-del-laconia-e-la-strage-compiuta-da-polacchi-e-inglesi/

MILES FORUM

https://miles.forumcommunity.net/?t=58503500&st=15

http://wernerhartenstein.tripod.com/italiano01.htm

Centro Studi La Runa – MOZZARE LE MANI AI NAUFRAGHI Da leggere

https://www.centrostudilaruna.it/mozzare-le-mani-ai-naufraghi.html

NOTE TECNICHE E STORICHE DELLA NAVE RMS LACONIA

Il transatlantico inglese RMS Laconia fu varato nel 1921 ed acquistato dalla Cunard Line. Fu la seconda nave di questa famosa Compagnia Line con questo nome: la precedente fu un altro transatlantico varato nel 1911 ed affondato durante la Prima guerra mondiale, nel 1917. Analogamente al suo predecessore, il Laconia fu affondato nella notte del 12 settembre 1942 da un siluro lanciato dall’U-Boot U-156, che diede poi luogo al salvataggio dei passeggeri e dell’equipaggio con un’eroica azione condotta dal Capitano di vascello Warner Hartenstein. Per dare supporto nel salvataggio venne fatto intervenire anche un altro U-Boot.

Caratteristiche tecniche La Laconia fu costruito dai cantieri Swan, Hunter & Wigham Richardson a Tyne and Wear. Varato il 9 aprile 1921, il transatlantico venne completato nel gennaio 1922. L’apparato propulsivo consisteva in sei turbine a vapore con doppio riduttore costruite dalla Wallsend Slipway Co Ltd di Newcastle upon Tyne, che muovevano due eliche. Oltre ai locali per i passeggeri, la nave era dotata di sei celle frigorifere per una capienza totale di 15.307.

Codice: KLWT

Primi anni di servizio – Immatricolata nella Marina Mercantile inglese con il numero 145925 ed il Laconia fece servizio anche per la Royal Mail, come testimonia la corona dorata presente nel Crest della nave. Fu stabilito come porto di residenza Liverpool.

Il Laconia salpò per la crociera inaugurale il 22 maggio 1922 sulla rotta Southampton-New York. Nel gennaio 1923 ebbe inizio la sua prima crociera internazionale che durò 130 giorni con 22 porti di attracco. Nel 1934 il suo codice in lettere venne cambiato in GJCD. Il 24 settembre dello stesso anno, a causa della fitta nebbia, la nave ebbe una collisione con la nave cargo americana Pan Royal al largo delle coste degli Stati Uniti, mentre era in navigazione da Boston per New York. Entrambe le navi furono gravemente danneggiate ma riuscirono entrambe a salvarsi. Il Laconia proseguì per New York dove venne riparata. In seguito riprese la navigazione nel 1935.

Trasformazione in cargo incrociatore Nel 1939 la nave venne requisita dalla Royal Navy e obici da 762 mm. Dopo le prove in mare eseguite nelle acque dell’Isola di Wight, la Laconia imbarcò un carico di lingotti d’oro e salpò, il 23 gennaio dello stesso anno, con destinazione Portland, Maine e Halifax, in Nuova Scozia. I mesi seguenti la nave fu impegnata in servizi di scorta ai convogli diretti alle Bermuda. Il 9 giugno la nave fu vittima di un incagliamento nel bacino del Bedford, ad Halifax, che causò gravi danni. Mandata in riparazione, tornò in navigazione a fine luglio. Nell’ottobre 1940 la nave fu sottoposta ad altri lavori con lo smantellamento delle zone destinate ai passeggeri; alcuni locali, svuotati dal mobilio, vennero riempiti di fusti di olio per aiutare la spinta di galleggiamento in caso di siluramento. Nel giugno 1941 la Laconia venne ricoverato a Saint John nel New Brunswick, in Canada, per lavori di ripristino. Tornato a Liverpool, venne da quel momento utilizzato come nave trasporto truppe, sino al suo affondamento. Il 12 settembre 1941 la nave attraccò a Bidston Dock, nel Birkenhead, e fu presa in consegna dalla società Cammell Laird and Company per essere convertita in mercantile armato. Nei primi giorni del 1942 fu completata a conversione e per i successivi sei mesi la nave fece numerose traversate per il Medio Oriente.

Tiriamo le somme con:

SOCRATE

“Tutte le guerre sono combattute per denaro.”

JEAN-PAUL SARTRE

“Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire.”

EZRA POUND

“Il vero guaio della guerra moderna è che non dà a nessuno l’opportunità di uccidere la gente giusta.”

 

Carlo GATTI

Rapallo, giovedì 3 Febbraio 2022