IL NASO DEL BARCACCIANTE

Alla fine degli anni ’50, la meteorologia scolastica dell’Istituto Nautico era limitata ad un’ora settimanale. Questo fatto la dice lunga su quanto era ancora agli albori, quella che oggi è una scienza tutt’altro che compiuta… Qualche anno fa, con un po’ d’ironia, circolava una mezza verità: “Il Servizio Meteo dell’Aeronautica indovina soltanto il 40% delle previsioni. Se invertissero le previsioni, indovinerebbero almeno il 60%….” Chi ha navigato per i sette mari, sa perfettamente che è difficilissimo prevedere il tempo nel Mediterraneo, per la semplice ragione che si trova geograficamente tra due continenti con caratteristiche climatiche opposte. In questo grande lago, praticamente, avvengono continui ed improvvisi miscugli di alte e basse pressioni, che spesso assumono velocità che anticipano o ritardono i fenomeni meteo annunciati. A metà degli anni ’90, un giovane comandante americano di un container piuttosto grande  aveva perso una lancia di salvataggio nel centro del “Golfo Leone”. Quando arrivò a Genova, stordito e malconcio a causa dei danni subiti, disse al pilota Charly: “…superata la Rocca di Gibilterra, credevo d’essere arrivato finalmente indenne, dopo una traversata atlantica tempestosa, invece mi sono infilato in una pressure-cooker (una pentola a pessione) che mi aspettava per esplodere…”. Nel Nord-Europa i bollettini del tempo sono in grado di prevedere, non soltanto i venti, le piogge le nevicate ecc…, ma anche gli orari in cui inizieranno e cesseranno questi fenomeni. Sappiamo che certe performances non dipendono dalle singole organizzazioni nazionali, ma da una serie complessa di parametri legati alla geografia climatica locale. E’ risaputo, infatti, che i dati raccolti dal cielo (sonde, satelliti, aerei ecc..), dalla terra e dalle navi, vengono elaborati da Centri Meteorologici specializzati di alto livello scientifico e poi sono trasmessi nell’etere a tutti i  Paesi del mondo. Ma sulle nostre coste, purtroppo, le libecciate sono sinonimo di antiche e recenti tragedie, che oggi evitiamo di rievocare, anche perché sappiamo benissimo che la nostra gente se le porta dentro come un marchio.

Da questo breve ma necessario preambolo, s’intuisce che la gente che è nata, vive e lavora sulle nostre coste, ha i piedi ben piantati sul bagnasciuga della pentola a pressione e, sicuramente a causa di un’atavica sfiducia nella debole scienza-meteo, preferisce osservare direttamente i “segnali premonitori del tempo locale” con grande attenzione, mentre porge soltanto un orecchio un po’ distratto alle previsioni del tempo della RAI, assimilandole, spesso, all’oroscopo del giorno…

Genova, porto del vento.

Ruggero Tiengo, da anziano barcacciante quando, presto la mattina,  montava di guardia sul suo rimorchiatore a Ponte Parodi, annusava in silenzio la sua arena, in cerca di segnali sul “tempo che farà.” Dall’inclinazione del piccolo scalandrone che poggiava tra la banchina e la poppa del rimorchiatore, capiva anche al buio contro quale vento avrebbe lottato quel giorno. Se esso era molto inclinato a causa delle acque  basse, era il segnale di “alta pressione” e Rugge indossava un cagnaro imbottito contro il  gelido vento di tramontana. L’aria tersa e pulita accendeva tutte le luci di Genova, in un’unica grande Lanterna che andava incontro alle navi per portarle in porto, proprio come un rimorchiatore. Rugge amava il suo lavoro e il suo equipaggio, mentre il rimorchiatore era la sua seconda casa. Ma Rugge aveva anche un altro amore segreto: il vento di tramontana, che con le sue raffiche induceva Comandanti e Piloti ad attaccare più rimorchiatori. Di essa diceva: “Cara Tramontana! Vento amico,  che fai paura a chi non ti conosce, facci lavorare e porta tanti soldi ai nostri armatori, ma anche a noi!” Se invece lo scalandrone di bordo era poco inclinato a causa delle acque alte, era il segnale di “bassa pressione”. Rugge non aveva dubbi, lo scirocco era nell’aria, anzi  lo sentiva già sotto i piedi, perché u sciocu u l’intra in te ogni recantu du porto e ti u senti cumme a corrente elettrica…. Rugge si affacciava in coperta e lo vedeva nelle boe leggermente abbattute. Anche l’odore dell’aria era diverso. Lo scirocco veniva da lontano, era intriso di salsedine e portava suoni di catene, gavitelli e paglietti di gomma che stridevano al contatto. Le luci del porto erano un po’ annebbiate e a volte formavano globi che volavano insieme ai gabbiani che volteggiavano in agguato all’interno del

porto rimescolato dalla corrente. I rimorchiatori erano agitati e sembravano impazienti di scorrazzare liberi di legare le navi in banchina. Quando poi si accendevano le luci di bordo, si accentuava il gioco cromatico, ed improvvisamente si potevano misurare le sensibili oscillazioni degli alberi che  piano piano svelavano gli arcani misteri della notte. Rugge annusava sempre l’aria come per dire: “A mi, de musse nu me ne cunta nisciun. Sentu l’oudu de l’aggiu, u l’è un vapore cu vegne dall’Egittu”. Rugge aveva ragione. La sciroccata in arrivo, spingeva verso Genova l’odore del carico di aglio, che arrivava mezza giornata prima  della nave… Rugge prendeva il primo café in cucina, e quando saliva sul ponte di comando, cominciava la giornata di lavoro colpendo con un una ditata il barometro “U Juan” – dalla lettura dell’antico strumento, tanto caro ai naviganti, otteneva la conferma che il suo computer cerebrale aveva elaborato in modo esatto tutti i dati immagazzinati. “Ti vediee Juan che al sorgere del sole tutti ne daian ragion.” Ed infine, Rugge rendeva grazie al suo fiuto di barcacciante, accarezzando il quadretto della Madonna della Guardia.

Se osservate un rimorchiatore d’epoca e vi sforzate di paragonarlo ad una bruttissima barca a vela, forse commettete un errore di fantasia, ma non vi sbagliate di molto. Il suo corpo centrale, formato dalla tuga e dall’altissima ciminiera, funziona esattamente come una vela. Il suo comandante lo sa e, quando ha la macchina ferma e gli avviamenti di macchina limitati, deve prevedere esattamente la posizione che il suo RR via via, assumerà rispetto alla nave ed alla banchina. Si tratta di un lavoro complesso che diventa stressante quando il vento di tramontana scende dalle alture a 20/30 nodi di velocità, oppure quando la sciroccata persa lo investirà sopra e sotto la linea di galleggiamento. Quando gli avviamenti venivano eseguiti manualmente, il personale di macchina diventava il miglior giudice del suo Comandante. Rugge era un gran velista dentro ed era molto calmo, faceva pochi avviamenti e tutti a bordo lo adoravano. Sapeva prendere il vento e insegnava: “Poppa al vento meno vento”. Alla partenza di una carretta dal Porto Nuovo, Rugge si faceva sotto per ultimo, con un solo abilissimo avviamento indietro, si portava vicino alla nave, fermava la macchina, prendeva il cavo e poi si faceva spingere dalla tramontana, al segnale del Pilota metteva in moto con il cavo già teso. Una volta mi disse: “Charly, oggi non si usa più, ma ai miei tempi, quando una nave usciva storta dal bacino di carenaggio, la si raddrizzava con la scia di una smacchinata….” Il “naso del barcacciante” sta tutto nel fiuto del vento, nello sfruttare i refoli, i rebighi, persino i rimbalzi ed i giri che si formano tra i magazzini di ogni calata. Non è da tutti trovare sempre il vento e prenderlo dal lato giusto per farsi abbattere dalla parte più conveniente. Un qualsiasi manovratore conosce alla perfezione gli effetti del timone e dell’elica di una imbarcazione tradizionale nella marcia indietro, ma con il vento forte questi effetti cambiano e  ci vuole l’artista per ricondurre la barca all’obbedienza.

Rugge,  guardava spesso verso i monti e diceva: “Se l’è negro a tramontann-a preparate a-a burriann-a “. E quando gli chiedevo: “ A Rugge cumme o l’è u tempu doman?” – Con voce ferma e convinta rispondeva: “Portofin u l’è scuo, cieuve seguo!” – Rugge non sbagliava mai le previsioni, neppure quando credevo d’averlo preso in castagna. “Rugge, oggi c’è uno strano scirocco, fa freddo. Cose u l’imbelinn-a u tempo?” “ Mia Charly, Sciocu freido ghe neve vixinn-a, u nu faià rimm-a, ma ti a casa staseia nu ti ghe vae!” Belin se aveva ragione Rugge! Dopo qualche ora si mise una nevara che mi costrinse a rimanere a bordo per due giorni!

Ciao Rugge ! So che da lassù ti sembreranno strani i rimorchiatori di oggi che girano come trottole e se ne fregano del vento… anzi forse ti verrà male a chiamarle ancora “Barcacce”… ma, credimi, il naso del Barcacciante è sempre allerta perché “de mainae ghe n’è ciu pocu.

Carlo GATTI

Rapallo, 10.02.12