SONO SBARCATO…. CON I PIRATI

Sciabecco saraceno

Corsaro Barbaresco – XVI secolo

Mi sono imbarcato, non riconosciuto, sulla seconda lancia che puntava sulla vicina spiaggia nel più assoluto silenzio. Eravamo una decina di uomini al comando, si fa per dire, del più esperto di noi;

ISTAMBUL – Monumento dedicato a DRAGUT

un sanguinario con la inseparabile spada da taglio leggermente ricurva (non una vera e propria scimitarra) che usava senza alcuna pietà. Era “Capo” perché noi lo avevamo scelto a quel ruolo e il Comandante ce lo aveva concesso, riconoscendogli pur egli capacità non comuni.  Lui era all’ennesimo assalto mentre qualcuno di noi al primo; e io fra quelli. La nera notte se ne stava andando lasciando posto ad un’alba ancora buia perché il Comandante, vecchio e crudele vermocane di mare, buon conoscitore del tempo, aveva previsto che per almeno quattro giorni la luna, nostra nemica, non si sarebbe fatta vedere. Dopo un ennesimo sorso di grappa ci imbarcammo.


Le prime pistole (distinte dal precedente archibugio) comparvero verso la metà del Cinquecento, secondo alcuni in Toscana, a Pistoia, ove fiorivano botteghe di valenti armaioli e il termine deriverebbe proprio dal nome di quella città. L’etimologia ufficiale lo fa invece derivare dal ceco pì šťala (“tubo, canna”), mentre secondo altri trarrebbe origine da pistoles, moneta spagnola di diametro uguale al calibro degli schioppi d’allora.

Il Capo impugnava in una mano la “duchessa”, la pistola a pietra focaia che quando sparava da distanza ravvicinata creava un cratere nel ventre del malcapitato e nell’altra la spada ricurva. Anche noi eravamo armati con le ricurve spade da taglio e, sotto le vesti, l’inseparabile pugnale, ultima chance.


Il primo archibugio di cui si ha documentazione in Italia risale al 1522.

Gli archibugi li avevano solo quelli che restavano di guardia sulla spiaggia; a noi avrebbero dato solo che fastidio impedendoci movimenti veloci.  Nel buio si scorgeva sulla spiaggia ancora, qua e là,  qualche morente falò, bruciato in onore del Santo Patrono e che a  noi servivano da orientamento. Sembrava non ci fosse anima viva. Davanti, il borgo da assaltare e, alle spalle, la nostra flotta che ci aveva silenziosamente portati fin lì. Avvicinandoci, ci accorgemmo che qualcuno dormiva russando sdraiato sulla fascia prima della battigia: era evidentemente ubriaco fradicio per le libagioni della sera; gli altri certamente russavano sui loro sacconi, se non ubriachi, certamente “cotti” dal vino e dalle troppe risate.


Rapallo – Porta delle Saline. Da qui entrarono i Saraceni…

A terra sapevamo che le porte del Borgo ci sarebbero state aperte dai delatori al nostro soldo, gli stessi che ci avevano fornito importanti indicazioni per andare a colpo sicuro e scegliere il giorno propizio. Questi venivano poi pagati al primo sbarco prossimale effettuato dopo la razzia per permettere il  riscatto dei rapiti.

A questo proposito ho sentito il Reis, nostro Comandante raccomandarsi di non massacrare se non il dovuto,  e fare più prigionieri possibili così da rendere attrattivo il successivo riscatto dei rapiti, perché era il momento che “valevano” di più privilegiando i membri delle famiglie più in vista perché merce di maggior valore. Se riscattati, si evitava di mantenerli e sorvegliarli sino all’arrivo del mercato degli schiavi perché, esibendoli in male arnese, si correva il rischio di non rientrare neppure delle spese. In oltre se avessimo incrociato un qualche veliero che meritasse essere abbordato, quelle numerose presenze ci sarebbero state di intralcio. Se invece li avessimo posti in “vendita” su qualche spiaggia vicina a casa loro, chi avesse avuto interesse a riscattali, lo avrebbe potuto agevolmente fare. Quelli rapiti a Rapallo bisognava esibirli quanto prima sulla spiaggia di Lavagna o Bogliasco anche perché il prezzo ricavabile, sotto la spinta emotiva, sarebbe stato assai più interessante di quello ottenibile sui grandi mercati degli schiavi di Algeri, Tunisi o Maiorca le cui valutazioni fluttuavano anche a secondo della quantità offerta e non solo dalla qualità. Facevano eccezione le belle ragazze da farne omaggio ai  Visir locali, per essere da loro ben accolti.

I terrazzani, quando c’erano, avrebbero dovuto fare la guardia dai terrazzi, se non dormivano  anche più di quelli che dovevano proteggere. Capimmo che la scelta di assalirli all’alba successiva alla Festa del paese, era una delle tante intuizioni del nostro Reis che, con noi, si era imbarcato sulla prima lancia che avrebbe toccato terra. L’imperativo era di fare tutto in fretta prima che gli abitanti se ne rendessero conto e che, se mai qualcuno fosse andato nei paesi vicini a chiedere aiuto, non potesse tornare in tempo con i rinforzi. Già, che rinforzi? visto che nessun uomo era armato e una palla di pistola val ben più di bastoni o attrezzi agricoli; erano poveri pescatori o artigiani o persone che prestavano i loro servigi presso qualche Signorotto locale.


Portofino – Castello Brown. «Sembra che il baluardo difensivo sia stato costruito nel Medioevo e da sempre utilizzato per funzioni militari. È comunque probabile che i romani abbiano fissato una delle loro “stazioni” nell’antica Portus Delphinis e vi abbiano costruito un “castrum” e una “turris”, come era nel loro uso fare ovunque, allorché costruivano i loro punti strategici. È, inoltre, probabile che abbiano costruito una torre nello stesso luogo ove sorge la torre che possiamo ammirare oggi.

Le guarnigioni in quei paesi non esistevano ancora. Quelle si tenevano “pronte” nei Centri più importanti, arroccati nelle poche fortezze realizzate ma senza armi offensive. Quando gli ultimi soldi di tutti e della Repubblica si erano finiti per comprare i cannoni da installare nella edificata fortezza, non ce ne erano poi più per comprare le palle e la polvere da sparo. Quindi la sorpresa e la rapidità ci garantivano il successo. Sbarcati in silenzio, cominciammo ad urlare appena varcato il portone del Borgo che trovammo regolarmente già aperto. Da li in poi era indispensabile creare il panico in modo che se uno si risvegliava di soprasalto sotto ad un incubo, era inoffensivo per quel lasso di tempo da poterlo fare prigioniero; si dava l’impressione volerli sgozzare tutti ma a noi interessavano prigionieri e non morti. Le donne correvano ancora arruffate dal sonno e sommariamente vestite,  barricarsi in chiesa con i loro piccoli “mandilli” a quadrettoni grigio-azzurri, contenenti poche cose, gli uomini buttavano dalle finestre di casa loro delle masserizie per ostruire il passaggio nei già stretti caroggi, realizzati così per quello scopo.


Il Centro Storico di Rapallo mantiene l’impianto dell’antico borgo medievale e ne conserva i portici ed alcuni portali ed affreschi. Gli stretti carruggi pedonali sono diventati oggi le vie del passeggio e dello shopping, ma alzando gli occhi, in più punti si possono vedere ancora palazzine con le finestre sottolineate da architravi o mensole con elementi decorativi barocchi a bassorilievo.

Le case al piano terra non avevano finestre, specie sul lato spiaggia, così da formare palazzata difensiva, al punto da rendere difficile entrare nelle abitazioni se non dalla porta. L’ordine che avevamo era quello di sgozzare subito platealmente qualcuno, meglio se vecchio, per alimentare il terrore che già si era impossessato degli abitanti assonnati e sconvolti. Ogni volta che trovavamo una porta chiusa, bisognava incendiare quella casa per far capire che davanti a noi le porte dovevano essere lasciate aperte per favorirci le razzie. Non tutti  noi sbarcavano per assalire; i più malconci, armati di archibugi, accatastavano e custodivano sulla spiaggia le suppellettili più interessanti così da poterle imbarcare rapidamente. Altri sfondavano le porte delle Chiese trovandovi regolarmente le donne avvinghiate le une alle altre con il Sacerdote che, pregando, le rincuorava. Urlando e strappando dei corsetti per dar loro l’impressione che volessimo stuprarle, portavamo via tutti, monaco compreso, avendo però prima tolto a tutte il fagotto con i loro averi.  Qualche scudisciata qua e là faceva capire che non scherzavamo e continuavamo ad urlare e bestemmiare come ossessi. Gli uomini tentavano di scappare e non ci opponevano resistenza: era quindi facile legarli l’un l’altro perché non avvezzi a combattere. Nel rapirli si cercavano i giovani, se non c’era qualche segnalazione preferenziale, perché certamente al soldo di qualche casata che avrebbe potuto pagarne il riscatto per non rimanere senza

personale di servizio o artigiani. Le donne, specie se vecchie, ci facevano comodo per calmare le giovani, non ancora abituate come loro ad una vita di sottomissione. Certe volte nelle case incontravamo un vecchio che, per non essere ucciso, ci dava spontaneamente quanto aveva. Per evitare che poi ci intralciasse, bastava qualche bastonata ad acchetarlo. Il nostro lavoro era rischiarato dai bagliori sinistri dell’ardere degli appartamenti che avevano tenuti chiuso o perché, fuggiti gli abitanti avevano chiuso la porta; bisognava però, mano a mano che il tempo passava stare attenti a non bruciarci con i tizzoni o le tavole che, infuocate, cadevano dai poggioli. Gli urli che lanciavamo e le implorazioni delle vittime non ci impressionavano più di tanto; c’eravamo abituati. Non potevamo perdere tempo e bisognava far capire che non scherzavamo.


Ad un certo momento il passaparola dei Capi e, al segnale convenuto, ci ritiravamo quasi tutti sulla spiaggia mentre chi restava nel borgo, correva per i vicoli urlando e brandendo fiaccole infuocate per terrorizzare, mentre il grosso di noi era già impegnato ad imbarcare i rapiti e selezionare i mobili migliori da portarsi via; il resto restava li, se non incendiato.  In meno di un’ora, ora e mezza, tutto era finito. Con il primo chiarore eravamo già a bordo e si manovrava per partire, prima che eventuali navi non previste, ci potessero cogliere con le vele afflosciate o i remi non in acqua.

All’epoca non eravamo ben visti.

Renzo BAGNASCO

 

Rapallo, 24 luglio 2016