Cesare ROSASCO - Un Eroe da ricordare
CESARE ROSASCO
UN EROE DA RICORDARE
Ricordo personale:
Il 1° giugno 1975, il comandante Cesare Rosasco presenziò come 'ospite d’onore' alla cerimonia della mia nomina a Pilota del Porto di Genova.
Ci trovavamo nel Covo più celebre della marineria genovese: lo Yacht Club Italiano nel Porticciolo Duca degli Abruzzi. Di lui mi é rimasta impressa nella memoria la sua imponente stazza, ma soprattutto le sue parole: “Si ricordi che il pilota é il guardiano e il testimone di tutto ciò che succede in porto. Conservi questo sentimento fino all’ultimo giorno di servizio!”
Carlo Gatti
QUADRO STORICO
Marina Mercantile
di Achille Rastelli
Le principali cause di affondamento delle navi rimaste fuori del Mediterraneo. Le Nuove Motonavi Prede di guerra. Navi catturate dai tedeschi.
II 10 giugno 1940 l'Italia entrò in guerra, e i marinai delle navi mercantili rimaste fuori del Mediterraneo furono fra i primi italiani a subirne le conseguenze. Per quanto riguarda la Marina da traffico, avvenne poi un altro fatto importante: la quasi totalità delle navi, pur restando formalmente di proprietà degli armatori, venne gestita dallo Stato, o con requisizioni per scopi di guerra veri e propri (navi scorta, vedette, dragamine, ecc.), o con noleggi per convogli e rifornimenti di guerra. Del resto, nella storia della nostra Nazione non ci fu mai alcuna operazione navale che non abbia avuto necessità delle navi mercantili: esigenza sempre risolta in varie forme, quali il noleggio a tempo, il noleggio a viaggio, il trasporto obbligatorio, la requisizione o la requisizione con acquisto.
La guerra navale dell'ultimo conflitto fu, per l'Italia, essenzialmente una guerra di convogli, necessari per rifornire le truppe combattenti in Africa e nei Balcani, per mantenere i collegamenti con le isole e per assicurare il traffico costiero. Anche le operazioni maggiori della Squadra da Battaglia furono eseguite per proteggere convogli nostri o per attaccare quelli del nemico per Malta, continua spina nel fianco per tutta la durata della guerra.
La conseguenza di questo tipo di guerra fu che, insieme alle navi da guerra, un enorme sacrificio fu pagato dalla Marina mercantile italiana, sia in vite umane sia in materiali; e le cifre sono eloquenti.
Al giugno 1940, la flotta mercantile italiana era composta di 786 navi superiori alle 500 tsl, per un totale di 3. 318. 129 tsl, e di circa 200 navi fra le 100 e le 500 tsl. Ben 212 navi, per 1. 216. 637 tsl, rimasero fuori dal Mediterraneo all'inizio del conflitto, e vennero, di conseguenza, quasi tutte catturate o affondate dal nemico. Fra il 10 giugno 1940 e 1'8 settembre 1943 entrarono in servizio, fra nuove costruzioni e catturate, 204 navi, per 818.619 tsl; ma 460 navi, per 1. 700.096 tsl, andarono perdute.
All'8 settembre, erano in servizio 324 navi, per 1. 247. 092 tsl, che, in seguito ai fatti armistiziali, vennero per la maggior parte catturate dai tedeschi (e poi affondate), oppure autoaffondate per sfuggire alla cattura. Alla fine, nel maggio 1945, le navi mercantili italiane superiori alle 500 tsl erano solo 95, per 336.810 tsl, il 10% di quelle esistenti all'inizio del conflitto.
Andò perduto un patrimonio immenso, non solo per quantità, ma anche per qualità: parecchie navi erano nuove e ottime unità, migliaia di bravi marinai scomparvero in mare: 3.100 marittimi caddero su navi mercantili iscritte nel naviglio ausiliario, 3.257 perirono tra gli equipaggi di navi requisite e non requisite, 537 morirono in prigionia; in totale, 7.164 caduti su circa 25.000 naviganti inscritti nei ruoli. I porti italiani vennero distrutti, e ci vollero anni per sgombrarli dai relitti e ricostruirli; anche la navigazione di cabotaggio, assai fiorente, dovette ripartire da zero.
Nonostante ciò, è giusto ricordare che le navi mercantili in guerra svolsero il loro compito in maniera esemplare, portando a destinazione quasi tutti i carichi bellici imbarcati: di 4.199.375 t di merci imbarcate, solo 449.225 t non giunsero a destinazione e cioè il 10,5%. I soldati imbarcati furono 1.266.172, e di questi ne scomparvero in mare 23.443, cioè il 2%: tanti, però numericamente pochi rispetto allo sforzo compiuto. Alla luce di queste cifre, si può dire che fu ben meritata la Medaglia d'Oro al Valore Militare assegnata alla bandiera della Marina mercantile, concessa l'11 aprile 1951 con decreto del Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi.
La Medaglia venne consegnata il 16 settembre 1951 a Genova dallo stesso Luigi Einaudi: in porto si trovavano, per rendere omaggio, le motonavi Saturnia, Conte Grande e Italia, l'incrociatore Giuseppe Garibaldi e le corvette Ibis e Chimera. La bandiera, portata dalla Medaglia d'Oro, capitano di lungo corso Cesare Rosasco, venne decorata dal Presidente della Repubblica, quale solenne atto di riconoscimento della Nazione al valore e al sacrificio dei marinai delle navi mercantili.
Ministero della Difesa
Marina Militare Italiana
Cesare Rosasco
Capitano di Lungo Corso Cesare ROSASCO
Medaglia d'oro al Valor Militare
Comandante di un piccolo piroscafo, attaccato da sommergibile immerso, evitati con la manovra due siluri, con pronta ed accorta decisione immediatamente predisponeva per il combattimento la propria nave, armata con un cannone di piccolissimo calibro, cosicché, appena il sommergibile molto più potentemente armato emergeva, il piroscafo apriva il fuoco a breve distanza. Colpita la sua nave da numerose cannonate, sotto incessanti raffiche di mitragliera, caduti ai suoi piedi il timoniere e la vedetta, rimasto solo sul ponte di comando, non potendo governare dalla plancia, per sopravvenuta avaria alla trasmissione, benché gravemente ferito ad una gamba, scendeva nel locale sottostante e manovrava direttamente la macchina del timone. Saldo nel proposito di salvare, oltre l'equipaggio, anche la nave, rinunciava a portarla in costa. Con alta e ferma parola e con il proprio eroico contegno, incitava l'equipaggio militare e civile a continuare a distanza serrata l'impari combattimento fino a quando il sommergibile, a causa di ripetuti colpi ricevuti, non desistette dalla lotta. Stremate di forze, ma sorretto da ferrea volontà, portava in salvamento la sua nave crivellata dai colpi, con i suoi morti, con i suoi feriti, fulgido esempio delle più elette virtù marinare e guerriere. Mediterraneo Occidentale, aprile 1943
Cesare Rosasco nacque a Genova il 22 gennaio 1892. Conseguito il diploma di Capitano Marittimo nel 1910 iniziò la sua lunga carriera sul mare imbarcando, come mozzo, su un mercantile e percorrendo poi tutti i gradi della sua brillante carriera, che lo vide comandante di unità passeggeri di grande tonnellaggio. Assolse l'obbligo di leva nella Regia Marina, dall'ottobre 1912 all'ottobre dell'anno successivo, e venne posto in congedo nel grado di Sottocapo Timoniere. Partecipo al primo conflitto mondiale stando imbarcato su unità mercantili requisite ed armate, meritandosi una Croce di Guerra al V.M.: al termine dei conflitto prestò continuativamente servizio su unità mercantile della Societa Nazionale di Navigazione, prima nell'incarico di 1° Ufficiale e poi di Comandante. Nel secondo conflitto mondiale, nuovamente al comando di unità mercantili requisite ed armate, si distinse particolarmente a Tobruk quando, al comando del piroscafo Ezilda Croce carico di munizioni, riuscì a spegnere un grosso incendio provocato da spezzoni incendiari lanciati dal nemico e a porre in salvo l'unità con il suo prezioso carico. Nel giugno 1942, al comando ora del piroscafo armato Mauro Croce, di 600 tsl, in navigazione da Genova e diretto ad un porto spagnolo, venne fatto oggetto da un attacco da parte di sommergibile inglese che danneggiò gravemente l'unità. Benché ferito si portò personalmente al pezzo a riuscì ad avere ragione dell'avversario, che si allontanò con avarie a bordo. Riusciva poi a porre in salvo la sua nave, dirigendo sul porto spagnolo di Sagunto. Dal 1945 al 1957 ebbe la carica di Capo Pilota del Porto di Genova. Nel 1947 assunse la Presidenza della Federazione Italiana dei Piloti dei Porti. Fu anche Presidente della Società di Navigazione Cristoforo Colombo.
Il Comandante Cesare Rosasco è morto a Roma il 19 febbraio 1977.
Altre decorazioni:
Croce di Guerra al Valore Militare (Mediterraneo occidentale, 1917).
Autore: Walter Molino Argomento: II° Guerra Mondiale Soggetto: Marina Luoghi: Mediterraneo
Didascalia: Eroici marinai d'Italia. - Cesare Rosasco, genovese, comandante di una piccola nave mercantile attaccata da un sommergibile, evita due siluri. Colpito il timoniere, lo sostituisce e, col cannoncino di bordo, lotta contro il nemico più armato e riesce a metterlo in fuga. E' stato decorato con medaglia d'oro.
Capitani Coraggiosi di Franco Maria Puddu
Diversa è invece la vicenda del capitano Cesare Rosasco. Un po’ misteriosa perché in guerra è buona norma non parlare troppo (il nemico ascolta), e anche dopo la fine del conflitto è sempre meglio essere parchi di parole, specialmente se si sono verificati episodi poco gratificanti come alcuni di quelli dell’8 settembre.
Forse per questo ancora oggi la motivazione della Medaglia d’Oro concessa a Cesare Rosasco parla genericamente della sua eroica resistenza all’attacco di un sommergibile nemico, senza spiegare che lui era stato una delle preziose pedine della catena logistica che aveva consentito agli operatori subacquei della X MAS di violare la base britannica di Gibilterra. Vediamo come.
Sin dall’inizio del conflitto la Marina aveva predisposto che l’Olterra, un mercantile incagliatosi nella baia di Algesiras per non cadere in mano inglese, in territorio spagnolo ma ad un tiro di schioppo da Gibilterra, divenisse una piccola base segreta dove gli incursori della X MAS approntavano i Siluri a Lenta Corsa, i “maiali”, all’interno dello scafo, per poi uscirne nottetempo e attacca- re le navi nemiche ormeggiate in rada.
Questa strana base era stata realizzata con cautela e rifornita di uomini e mezzi tramite alcuni mercantili. Uno di questi era il Mauro Croce, un piro- scafetto da 600 tonnellate armato di un asmatico cannoncino da 55 mm, comandato da Cesare Rosasco, un ligure sulla cinquantina che spesso, ve- nendo dall’Italia, era costretto a sostare nei porti spagnoli per denunciare alle locali autorità la scomparsa di qualche marinaio: la guerra è brutta, la Spagna era un Paese compiacente e i marittimi dell’equipaggio, tutti civili militarizzati, quando potevano, disertavano.
Questi finti disertori, in realtà, erano incursori di Marina che, entrati clandestinamente nella neutrale Spagna, proseguivano poi verso Algesiras, dove il Mauro Croce avrebbe sbarcato, giorni dopo, là o in porti vicini, carichi “di ferramenta e carpenteria” che alcuni emissari avrebbero provveduto ad inoltrare all’Olterra: erano i componenti per realizzare maiali, mignatte e bauletti esplosivi.
Il 23 aprile del 1942, nelle acque di Valencia, il sommergibile inglese Olympus attacca il Croce lanciandogli contro due siluri; Rosasco li schiva e il battello emerge per attaccare in superficie. Il piroscafo si difende con il suo cannoncino, ma le artiglierie del battello lo soverchiano, colpendolo ripetutamente.
Il ponte di comando è un mattatoio, ma il comandante, gravemente ferito, si fa portare al timone a mano per governare la nave; a questo punto viene colpito anche l’Olympus, dove le munizioni del cannone esplodono ferendo 20 mari- nai e permettendo così a Rosasco di portare la sua malconcia nave, con il prezioso carico, nel porto di Sagunto, dove sarà soccorsa.
Nel riquadro il Capitano di L. C. Cesare Rosasco, decorato di Medaglia d'Oro al V. M., per aver affondato a colpi di cannone un sommergibile inglese che aveva attaccato in superficie la sua unità mercantile navigante senza scorta.
Il Corpo Piloti di Genova
Testo del Comandante Sergio Nesi
Il Corpo Piloti del porto di Genova è stato istituito duecentodue anni or sono con un decreto di Napoleone Buonaparte con il compito di assistenza a tutto quanto riguarda la vita di un grande porto, dall'assistenza a tutte le navi in partenza e all'attracco alle banchine, all'assistenza al naviglio in difficoltà entro e fuori dal bacino per incendi o per grandi mareggiate ecc.
Questo comporta una grande preparazione tecnica da parte dei piloti, che in due secoli hanno dovuto modificare i metodi di intervento, con il passaggio dalla vela al motore, con l'adozione di nuove pilotine sempre aggiornate ai tempi. Pur essendo un Corpo civile, anche in tempo di guerra i piloti del porto di Genova hanno operato come protagonisti di eventi bellici, ottenendo, oltre a prestigiosi riconoscimenti al Valor di Marina, anche due Medaglie d'Oro (Com.te. Cesare Rosasco – Com.te Emilio Legnani) e una Medaglia di Bronzo (Com.te Alberto Bencini) al Valor Militare. Non posso non ricordare su questo foglio della X Flottiglia MAS la prestigiosa figura del Capitano L.c. Cesare Rosasco, che, pure ignorato dalla Storia ufficiale dei Mezzi d'Assalto, ne fa parte a pieno titolo, in quanto, posto al comando del piroscafo armato Mauro Croce per trasportare ad Algeçiras i pezzi costituenti i 'maiali' che dall'Olterra avrebbero attaccato Gibilterra. Il 23 aprile 1942, navigando nelle acque di Valençia, Il Mauro Croce fu attaccato da un sommergibile inglese che gli lanciò contro due siluri. Rosasco riuscì a schivarli. Il sommergibile allora emerse per attaccare il piroscafo con il cannone, riuscendo a colpirlo anche con le mitragliere uccidendo tre membri dell'equipaggio e ferendone undici, tra cui il comandante che subì una grave lesione ad una gamba. Ma a quel fuoco nemico Rosasco fece rispondere con l'unico cannoncino da 55 mm. in dotazione, colpendo a sua volta la torretta del sommergibile e la riservetta delle munizioni, che esplose causando gravi danni e venti feriti, come confermato da un bollettino inglese.
Il comandate Rosasco riuscì a fare raggiungere il porto di Sagunto alla nave con tutto il suo prezioso carico, dove fu ricoverato per trentadue giorni. La sua Medaglia d'oro dovrebbe uscire quindi dal suo anonimato ed entrare a far parte della Storia della X Flottiglia MAS e il Comandante Rosasco è il perfetto Trait d'Union tra i Piloti del Porto di Genova e i Mezzi d'Assalto.
Carlo Gatti
Rapallo, 26 Novembre 2012
INCIDENTE DIPLOMATICO nel Porto di Genova
14.8.1967
INCIDENTE DIPLOMATICO
NEL PORTO DI GENOVA
Con rivolti semicomici.....
La nave da carico cinese LIMING diventò famosa per l’esposizione di striscioni che esaltavano non solo l’amicizia tra il popolo italiano e quello cinese, ma esibivano anche delle massime di Mao Tze-Tung che si prestavano ad interpretazioni polemiche e soprattutto politiche.
Nave |
Bandiera |
Varo |
Stazza L. |
Lung-Larg |
Soc. |
|
LIMING |
cinese |
1961 |
9575 |
155 x 20,5 |
Shanghai Ship.Co. |
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Era domenica. I primi striscioni comparvero poco dopo il termine della manovra d’attracco della nave, nel Porto Nuovo e la rappresentazione semi comica andò in scena verso le nove.
Nella striscia centrale della M/n cinese LIMING c’é scritto: “Lunga vita all’amicizia tra i popoli Cinese e Italiano”.
In particolare cadde l’occhio su un cartellone, esposto a poppa (verso la calata), che fu contestato e censurato dalle Autorità Marittima e Portuale. Ecco il testo:
“Sollevare una pietra per poi lasciarsela cadere sui piedi è, secondo un proverbio cinese, il modo di agire di certi sciocchi. I reazionari di ogni paese appartengono a questa categoria di stupidi.”
Le Autorità genovesi invitarono, in un primo tempo, il comandante cinese Ku-Fu (che non era siciliano) a togliere, oppure a rivoltare verso l’interno i discutibili proclami.
La delegazione dei Compagni di Genova del Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista), in rappresentanza della Associazione Italia-Cina (Comitato Provinciale genovese) fraternizzano con i marinai della Rep.Popolare Cinese della nave “Liming”, alla fonda nelle acque del porto di Genova (al momento non era stato ancora concesso l’attracco, negando il rifornimento idrico e l’approvigionamento alimentare), il 13 agosto del 1967.
Questo è il manifesto dell'Associazione Italiana per i rapporti culturali e di amicizia con la Repubblica Popolare Cinese, affisso in Genova e in molte altre città italiane (Milano, Taranto, Firenze, Savona), per la vittoria ottenuta dai coraggiosi marinai della Liming, che hanno sfidato e vinto una provocazione inscenata dalle autorità del nostro paese contro la diffusione del pensiero del Compagno Mao Tse-tung.
La risposta del bordo fu sicuramente arrogante. I cinesi non avrebbero modificato i loro atteggiamenti dichiaratamente provocatori.
S’impose così una sorta di braccio di ferro:
Il generale Luigi Gatti, l’allora Vice Presidente del Consorzio Autonomo del Porto, diede agli ospiti asiatici una specie di ultimatum:
“O voi togliete la scritta, oppure ve n’andate. Qui siete a casa nostra e soltanto noi decidiamo cosa è bene e che cosa non va per il nostro porto.”
A quest’ordine preciso e perentorio, i cinesi reagirono con sbandieramenti ritmici di libretti rossi, intervallati da incomprensibili comizi. Il tutto pareva orchestrato da una sapiente regia che seppe di sicuro improvvisare una comica pantomima che attirò, in brevissimo tempo, l’attenzione di mezzo mondo.
Poi comparvero altri cartelli in italiano:
“Protestiamo energicamente contro le Autorità Italiane che hanno creato grave incidente politico ostile contro il popolo cinese”.
“Protestiamo violentemente contro le Autorità Portuali per l’ordine illegale di lasciare il porto di Genova.”
Qui occorre precisare che, a salvaguardia dell’ordine pubblico, nonché per altri seri motivi, rientra nelle normali funzioni del Comandante del Porto, invitare o costringere una nave a lasciare lo scalo.
In porto la situazione si mantenne sempre sotto controllo, mentre le acque rimasero agitate, a livello politico-diplomatico, ancora per qualche tempo, poi tutto si ricompose. Per gli uomini del porto, della cinese LIMING è rimasto il ricordo di una
“macacata” un po’ forzata ed eccessiva, ma con indubbi risvolti di pittoresca politica. Il porto di Genova n’aveva visto di ben altre….
Il caso della LIMING destò grande meraviglia nello shipping internazionale proprio perché le navi cinesi, da secoli, hanno scalato porti italiani senza mai destare preoccupazioni e problemi di alcun tipo.
Carlo Gatti
Rapallo, 25.11.2012
H-VITTORIALE degli Italiani, Mausoleo
IL MAUSOLEO DEL VITTORIALE
La Arche degli Eroi intorno alla Tomba di Gabriele D’Annunzio
Mausoleo del Vittoriale, le Arche degli Eroi (particolare)
Nella parte più alta del parco del Vittoriale, detta Monumentale, si trova il Mausoleo dove sono sepolti in cerchio i Legionari Fiumani e al centro la tomba di D'Annunzio. L'architetto Maroni costruì il Mausoleo sul colle più alto del Vittoriale.
Visibile nella foto: il triplice giro di mura: Vittoria degli umili (il primo), Vittoria degli Artieri (il secondo) e Vittoria degli Eroi (il terzo). In cerchio le arche dove sono sepolti (alcuni simbolicamente) i legionari di Fiume fra cui lo stesso Maroni. Le Arche sembrano volere fare da guardia al sarcofago posto in alto e dominante la zona dove dal 1963 (centenario della nascita di D'Annunzio) sono custodite le sue spoglie.
Sopra al masso dell'Adamello che fa da altare, un grande crocifisso dello scultore simbolista Leonardo Bistolfi (originale del 1901). Appesa al centro la lampada in bronzo resta accesa perennemente. (vedi foto)
Uscendo dall'interno del Mausoleo e girandosi verso il lago quello che si vede è di grande effetto. L'ultima impresa condotta da Maroni dopo la morte di D'Annunzio è la progettazione del Mausoleo; a partire dal 1939 si approntano il modellino e le fondamenta. I lavori si concludono solamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il Mausoleo sostituisce definitivamente il Mastio o il Colle delle Arche, allestito a partire dal 1928 con la traslazione dei sarcofaghi romani donati dalla città di Vicenza e le salme di alcuni legionari. Giancarlo Maroni (1893 - 1952) è l'architetto del Vittoriale, alpino irredentista medaglia d'argento al valor militare. Si diploma in architettura a Milano e nel 1921 il legionario di Riva del Garda Giuseppe Piffer lo presenta a D'Annunzio, da poco trasferitosi a Gardone Riviera.
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
G-Il VITTORIALE degli Italiani: La R.N.Puglia
Regia Nave PUGLIA
Renato Brozzi, Vittoria angolare per la prora rostrata della nave PUGLIA
Nella foto, il Ponte di Comando della PUGLIA ripresa dalla coperta della nave e sullo sfondo il Mausoleo.
Sotto il colle mastio è collocata la la Nave Militare Puglia, forse il più suggestivo cimelio del Vittoriale. La nave, sulla quale trovò la morte Tommaso Gulli nelle acque di Spalato , fu donata a d'Annunzio dalla Marina Militare nel 1923. I lavori per portarla al Vittoriale si rilevarono particolarmente impegnativi: si trattava di sezionare una nave e trasportarne per via ferroviaria la prora a 300 km da La Spezia; per l’impresa furono necessari venti vagoni ferroviari e numerosi camion militari. A coordinare l’invio dei materiali e dirigere i lavori di ricostruzione venne designato l’ingegner Silla Giuseppe Fortunato, allora tenente del Genio Navale. La prua, simbolicamente rivolta verso l'Adriatico e la Dalmazia , fu adornata da una polena raffigurante una Vittoria scolpita da Renato Brozzi. Nel sottocastello della nave, dal 2002, è stato allestito il Museo di Bordo che raccoglie alcuni preziosi modelli d'epoca di navi da guerra della collezione di Amedeo di Savoia, duca d'Aosta.
L'ariete torpediniere Puglia della Regia Marina apparteneva alla Classe Regioni o Lombardia, ed era derivato dall'ariete torpediniere Dogali. Esso fu uno dei tanti progetti creat i dal Generale Masdea, del genio navale della Regia Marina. Svolse il suo servizio principalmente nell'Adriatico, dove dopo la Prima guerra mondiale fu utilizzato anche come presenza in porti dalmati, trovandosi anche al centro degli "incidenti di Spalato" tra il 1918 e il 1920, che causarono tra l'altro la morte del comandante Tommaso Gulli. La nave venne riclassificata come posamine nel 1921. La nave Puglia nel 1923 venne donata dalla Regia Marina a G.D'Annunzio : la prua e gran parte delle sovrastrutture (castello, ponte, artiglierie, ecc.) vennero quindi inserite dal poeta nel parco del Vittoriale degli Italiani, simbolicamente rivolta verso l'Adriatico.
La prua della nave PUGLIA rivolta verso l’Adriatico...
R.N.PUGLIA, Artiglieria di bordo
Puglia |
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Descrizione generale |
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Tipo |
Ariete torpediniere |
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Classe |
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Cantiere |
Arsenale di Taranto |
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Impostata |
1893 |
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Varata |
1898 |
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Completata |
1901 |
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Radiata |
1923 |
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Caratteristiche generali |
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2.538 (3.096 pieno carico) |
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Lunghezza |
88,2 m |
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Larghezza |
12,4 m |
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Altezza |
5,4 m |
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Propulsione |
*4 caldaie ▪ 2 motrici alternative ▪ 2 eliche ▪ Potenza: 7.000 HP |
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Velocità |
17 nodi |
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Autonomia |
4000 NumeroMiglia mn a 10 nodi NumeroNodi(Numerokm km a Velocità km/h) |
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Equipaggio |
201 |
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Armamento |
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Armamento |
*4 pezzi da 152/32 mm. ▪ 6 pezzi da 120/40 mm. ▪ 8 pezzi da 57 mm. ▪ 8 pezzi da 37 mm. ▪ 2 mitragliere ▪ 3 tubi lanciasiluri |
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Le grandi maniche a vento della nave PUGLIA
R.N. PUGLIA, la Campana di Bordo 1904
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
F-IL VITTORIALE degli Italiani: Ansaldo SVA 10
ANSALDO SVA - 10
SCHIFAMONDO
l’Auditorium
Oggi ospita il Museo D'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.
Schifamondo comprende anche l'auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo SVA-10 del celebre Volo su Vienna. Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele d'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a d'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio De Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della "Figlia di Iorio" e di "Parisina" Jonathan Meese, Luigi Ontani.
Alla cupola della grande sala é sospeso il biplano biposto da ricognizione e bombardamento (SVA-10) con il quale il 9 agosto 1918 d’Annunzio partì dal Campo di San Pelagio, presso Treviso, in direzione di Vienna; d’Annunzio era sull’aereo pilotato dal comandante Natale Palli.
Ansaldo SVA-10 visto dal basso
L’87° squadriglia della “La Serenissima” (11 Ansaldo-SVA, ma in realtà 4 velivoli furono costretti a fermarsi prima), seguendo un progetto ideato dal poeta già nel 1917, sorvolò la capitale dell’impero a 800 metri di altezza, lanciando sulla città 50.000 copie di un volantino in lingua italiana che, “per la gioia dell’arditezza” e “per la prova di quel potremo osare”, inneggiava al “vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà”. Furono lanciate anche 350.000 copie di un altro testo, scritto da Ugo Ojetti e tradotto in tedesco, meno lirico, ma ugualmente chiaro nel suo messaggio al governo austroungarico, “nemico delle libertà nazionali”. Poche ore dopo, la squadriglia era di ritorno.
Ansaldo SVA 10 con vista del cockpit
A ricordare l’impresa, d’Annunzio vorrà nel gonfalone della Reggenza del Carnaro e nel blasone del principato di Monte Nevoso, le sette stelle dell’Orsa Maggiore, sette come gli aerei giunti a Vienna. L’effetto dell’impresa sull’opinione pubblica viennese, italiana e mondiale fu enorme, e d’Annunzio venne proposto per la medaglia d’oro al valore militare.
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
E-IL VITTORIALE degli Italiani: la Beffa di Buccari
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
LA BEFFA DI BUCCARI
10-11 febbraio 1918
MAS n.96
Un po’ di Storia...
La rotta dei MAS
L'azione svoltasi nella notte sull'11 febbraio 1918, passò alla storia come la beffa di Buccari, e fu annoverata dagli storici "tra le imprese più audaci" del conflitto con una influenza morale incalcolabile, anche se purtroppo sterile di risultati materiali. Al comando di Costanzo Ciano, all'azione parteciparono i M.A.S. 96 (al comando di Rizzo con a bordo Gabriele D'Annunzio), 95 e 94, rimorchiati ciascuno da una torpediniera e con la protezione di unità leggere. Dopo quattordici ore di navigazione, alle 22.00 del 10 febbraio, i tre M.A.S. iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l'isola di Cherso e la costa istriana sino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari.
I siluri del MAS 96
L'audacia dell'impresa trova ragione di essere nel percorso di 50 miglia tra le maglie della difesa costiera nemica, anche se l'attacco non riuscì, dato che i siluri lanciati dalle 3 motosiluranti si impigliarono nelle reti che erano a protezione dei piroscafi alla fonda. Le unità italiane riuscirono successivamente a riguadagnare il largo tra l'incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, e che non reagirono con le armi ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.
Dal punto di vista propriamente operativo, emerse un elemento importante dalla scorreria dei M.A.S. a Buccari: le facili smagliature ed il mancato coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco che finiva per prestare il fianco all'intraprendenza dei marinai italiani sempre più audaci.
L'impresa di Buccari ebbe poi una grande risonanza, in una guerra in cui gli aspetti psicologici cominciavano ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele D'Annunzio, che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici dell'azione e che lascio in mare davanti alla costa nemica, tre bottiglie ornate di nastri tricolori recanti un satirico messaggio così concepito: "In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l'inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia".
Ecco come Gabriele D' Annunzio, che ne fu uno dei protagonisti, descrisse sul «Corriere della Sera» l'impresa di Buccari.
“10 febbraio 1918. ... Il mattino è nuziale. Il bacino è cangiante e soave come la gola del colombo. Le case hanno qualcosa di femineo, simili a donne che si levino sul gomito e guardino attraverso le cortine d'oro filato. Scorgo sul cilestro dell'acqua le nostre saettìe grige coi loro siluri dal muso di bronzo, che luccicano, bene uniti come i miei piedi nelle calze di carta chinese. Vedo la dirittura della riva, la vecchia pietra degli approdi e delle partenze, e lungo la riva i marinai allineati, la bella materia eroica. In piedi nel canotto sono issato vigorosamente dalla mano tesa di Luigi Rizzo che ha già la sua casacca di pelle nera e la sua berretta corsaresca. In un attimo la coesione si forma. Tra equipaggio e capo c'è la stessa rispondenza che tra innesco e percotitoio.
Parlo agli uomini in riga contro un muro di mattone che ha il colore del sangue aggrumato. Calcano coi loro calzeroni di tela grossa un'erba trista di carcere, mai nata tra salce e selce. E, il resto dei corpi sembra asciutto e leggero come l'esca, come una sostanza che pigli fuoco subito. « Marinai, miei compagni, questa che noi siamo per compiere è una impresa di taciturni. Il silenzio è il nostro timoniere più fido. Per ciò non conviene lungo discorso a muovere un coraggio che è già impaziente di misurarsi col pericolo ignoto. Se vi dicessi dove andiamo, io credo che non vi potrei tenere dal battere una tarantella d'allegrezza. Ma certo avete indovinato, dalla cera del nostro Comandante, che questa volta egli getta il suo fegato più lontano che mai. Ora il suo fegato è il nostro. Andiamo laggiù a ripigliarlo. » .....
Il MAS n.96 visto di poppa
« Ciascuno dunque oggi deve dare non tutto sé ma più che tutto sé, deve operare non secondo le sue forze ma di là dalle sue forze. « Lo giurate? compagni, rispondetemi. » e come lo scoppio d'una fiamma repressa. « Lo giuriamo. Viva l'Italia. » ...C'imbarchiamo. Ridiventiamo taciturni e attenti. Ciascuno prende il suo posto; e nel suo posto ha poco più spazio di quello che avrebbe se fosse messo fra le quattro assi finali. Il bacino è chiarissimo, appena appena soffuso d'indaco, puro come il bianco dell'occhio d'un bimbo. Riceviamo il saluto delle siluranti ormeggiate, passando al traverso. Chi non c'invidierebbe, se sapesse? Chi, se sapesse, non ci farebbe il segno del commiato ultimo? Il comandante Costanzo Ciano ci raggiunge mentre si sta compiendo il rifornimento della benzina. Lo vediamo torreggiare sul pontile, nella sua gran casacca di pelle fosca...
Comincia l'eguaglianza della corsa, fra mare e cielo. Attenzione a ogni apparenza del mare. Attenzione a ogni apparenza del cielo. Se fossimo avvistati da una nave nemica, scoperti da un esploratore aereo, dovremmo rinunziare all'impresa; che non è se non una sorpresa, e' una sorpresa mortale. Le ore filano. Il fervore della scia accompagna la musica dei miei pensieri. Di tratto in tratto una bùccina suona nel vento. Non è quella dei Tritoni, se bene una torma di bei delfini danzi al nostro traverso di sinistra. Non è se non il nero megafono, che trasmette le correzioni di rotta. Un marinaio m'improvvisa un giaciglio a poppa, con tre salvagente. Mi distendo supino, col capo contro la gabbia delle due bombe da sommergibili. La foschia non si dirada... Non torneremo indietro‑ «Memento Audere Semper» leggo su la tavoletta che sta dietro la ruota del timone: il motto composto poco fa, le tre parole che sono la disciplina dei nostro Corpo. Il timoniere ha trovato subito il modo di scriverle in belle maiuscole, tenendo con una mano la ruota e con l'altra la matita. «Ricòrdati di osar sempre». Mi assopisco. Ho il sole in faccia. Distinguo nella trasparenza delle palpebre i ragnateli sinistri tessuti in fondo alle mie orbite. Odo, sul croscio dell'onda spumosa, un uomo accosciato accanto a me masticare il suo pane di guerra. Sento che i miei piedi si raffreddano. Ricevo uno spruzzo di sale sul viso. Apro gli occhi... Abbiamo lasciato a dritta la Levrera. Seguiamo la rotta di tramontana. La foschia è cosi fitta che non riusciamo a scorgere né la costa di Cherso né quella dell’Istria.
Postazione del timoniere di bordo
Angelo Procaccini che sta al timone, un Veneto tenuto a battesimo da Angelo Emo di San Simeon piccolo, fiutando il vento con le sue nari sagaci di corsaro legittimo, mi dice: « Non sente l'odore della terra? »...Avanti, avanti! Le coste si serrano. Riconosciamo la bocca di Fianona e il promontorio di Prestenizze. Penetriamo nella stretta fauce del Quarnaro, come tre spine aguzze. Il canale di Farasina, ben munito, ben guardato, con i suoi proiettori, con le sue batterie, con i suoi lanciasiluri, con i suoi sbarramenti, con ogni sorta di difese e di ostacoli, ecco che noi sappiamo violarlo. Ordinati a triangolo, una prua, due prue, stando noi dritti in gruppo sul ponte, neri contro la notte, tagliamo nettamente il pericolo che non s'illumina e non tuona. La prua è ben dritta contro la gola dei nemico. Avvistiamo l' isola di Unie nella sera stellata. Accostiamo per passare fra Unie e la Galiola dove incagliò Nazario Sauro. L'ombra dell'impiccato palpita per qualche attimo tra siluro e siluro, come una bandiera in gramaglia. Al traverso di Punta Sottile facciamo rotta nel canale di Farasina, aumentando la nostra velocità. L'ombra ci lascia con un gesto di promessa. Torna a Pola, per sorridere dalla sua larga faccia guatando la flotta cautelosa che senza dubbio seguiterà a covare la gloriuzza di Lissa......
11 febbraio 1918. … Nasce il nuovo giorno, con un numero di data caro alla mia superstizione. Navighiamo da quattordici ore. Teniamo da cinque ore le acque del nemico. Gli siamo entrati nella strozza, e poi nel profondo stomaco. Siamo un pugno d'uomini sopra tre piccole navi, soli, senza alcuna scorta, lontanissimi dalla nostra base, a una sessantina di miglia dalla più potente piazza marittima imperiale, a poche miglia dalle superate difese di Farasina, a poche centinaia di metri dalle batterie di Porto Re. Un allarme, e andiamo in perdizione...
Si rallenta. Si tenta. Nessuna specie di ostruzioni. Si rasenta la punta Sersica. Si naviga a poche braccia dalla costa di ponente. Porto Re è al buio. La vigilanza giace. La batteria tace. « Che buona gente, questi Austriaci! », mi mormora Luigi Rizzo accostando al mio orecchio quella sua bietta mal rasa che gli è servita a fendere il fianco della Wien con un colpo solo. Ma non dice « buona gente » in verità. Mi scodella gli attributi di Bartolomeo Colleoni. Gli prendo il polso, glielo tasto. Ride, abbassando i lunghi cigli su i suoi occhi saracini. E’ il polso quieto di un Arabo che abbia trascorso la sua esistenza a fumare e a sonnecchiare addossato a un muro bianco.. .Siamo dentro la baia nemica, siamo proprio in fondo al vallone di Bùccari, nella sua estremità settentrionale, di contro all'ancoraggio, inosservati, insospettati... A Bùccari nessuna finestra è illuminata. Accostiamo ancora. Gli ordini sono dati con la voce, da bordo a bordo. Ciascuna prua prende la sua posizione per il lancio. E' un'ora e un quarto dopo la mezzanotte.
Ho le mie bottiglie sotto la mano pronto alla beffa: forti bottiglie nerastre, di vetro spesso, panciute, col cartello dentro avvolto in rotolo, scritto di mio pugno, scritto di buon inchiostro. Le ho preparate io stesso... Poso la prima bottiglia nell'acqua, con le sue belle fiamme spiegate... Poso la seconda bottiglia nella rotta del ritorno, prima di doppiare la punta di Babri. Vedo la terza agitarsi nella nostra scia insolente, mentre usciamo dalla stretta e ci dirigiamo come padroni verso l'imboccatura della baia passando dinanzi alla batteria di Porto Re che s'illumina senza tuonare...
Alle due e cinque minuti accostiamo per imboccare il canale. Non abbiamo altre armi che due mitragliatrici a prua e una a poppa. Sono pronte, con le loro cassette di nastri. Ma per tutte le coste, a dritta e a manca, non appare indizio di allarme. Cerchiamo di conservare la formazione a triangolo, dando la voce. La terza silurante perde velocità, non ci può seguire. D'improvviso, all'altezza di Prestenizze, parte un fuoco di fucileria da qualche posto di vedetta. Nessuno curva il capo. Nel fosso di poppa c'è il solo timoniere. Uno scoppio di facezie risponde.
Per giunta, accendiamo il fanaletto di poppa e rallentiamo, la terza saetta non essendo più in vista dietro di noi. Che accade? un'avaria? di che sorta? Non esitiamo a invertire la rotta per ricercare la ritardante, deliberati di mandarla a picco e di prendere a bordo l'equipaggio, se non sia possibile riparare il guasto in breve. Ed ecco il meglio della beffa. Ripassiamo davanti a Prestenizze, ci ricacciamo nella strozza del nemico! Le sentinelle non tirano più. Non possono credere a tanta impertinenza. Certo la nostra sfacciata manovra li mette nel dubbio che si tratti di naviglio austriaco. Per tendere gli orecchi, per meglio cogliere i rumori, ci fermiamo in mezzo al canale di Farasina ben munito, ben guardato; e restiamo là fermi, da padroni, un lungo quarto d'ora. « Memento audere semper ». Si ascolta. Nulla. Si risale ancora a tramontana. La ricerca è inutile. Non si scorge segnale di soccorso, non s'ode richiamo. E’ probabile che, riparata l'avaria, la ritardante abbia proseguita la sua rotta di ostro. E per la quarta volta passiamo sopra gli sbarramenti, ridendo delle sentinelle sbalordite...Poco innanzi le cinque, nella nebbietta brilla il segnale della terza silurante che lietamente si ricongiunge alle compagne. La trinità navale è dunque incolume... Lasciamo dietro di noi le soglie dei Quarnaro posseduto. La nostra piccola bandiera quadrata si muove come una mano che faccia un continuo cenno. Ha il rosso rivolto verso l'Istria che mi par di rivedere in sogno, simile a un grappolo premuto o a un cuore pesto... L'alba non è eguale per tutti. Dall'Italia navighiamo verso l'Italia.”
Padiglione che ospita il MAS n.96
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
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D-VITTORIALE degli Italiani: Il Teatro
VITTORIALE DEGLI ITALIANI
IL TEATRO
"Preserveremo l'estremo rifugio della grazia: Il Vittoriale"
(G.d'Annunzio)
"Una conca marmorea sotto le stelle": così il poeta Gabriele d'Annunzio immaginava il teatro ideale per rappresentare i propri spettacoli, naturalmente immerso nella splendia cornice del Vittoriale, sull'esempio di quello di Wagner a Bayreuth.
Avrebbe dovuto chiamarsi "Parlaggio". Fu il Vate stesso a scegliere il luogo: un punto panoramico del parco, da cui si ammirano l'Isola del Garda, il Monte Baldo, la penisola di Sirmione e, soprattutto, la suggestiva Rocca di Manerba - in cui a Goethe pare di riconoscere il profilo di Dante.
Nel 1931 il Vate affidò l'opera all'architetto del Vittoriale, Gian Carlo Maroni, che mandò a Pompei perché pensasse la nuova realizzazione sull'esempio dell'anfiteatro romano più antico del mondo.
I lavori iniziarono tra il '34 e il '35 ma vennero presto interrotti per difficoltà finanziarie, aggravate dall'inizio della guerra e dalla morte del poeta. Ripresi per volontà della Fondazione vent'anni dopo, nel '52, terminarono l'anno successivo, a opera dell'architetto Mario Moretti e di Italo Maroni, fratello di Gian Carlo.
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
C-VITTORIALE degli Italiani: La Prioria
Il VITTORIALE DEGLI ITALIANI
LA PRIORIA
Giordano Bruno Guerri, il Presidente della Fondazione
LA PRIORIA: così fu definita da Gabriele D’Annunzio la Casa-Museo che l’avrebbe accolto nella sua vecchiaia. L’ampia struttura occupa un terreno di nove ettari costellato da edifici, tra cui la Cittadella, il Museo della Guerra, gli Archivi, le Biblioteche e il Teatro, piazze, viali e fontane, nel comune di Gardone Riviera, in provincia di Brescia. Il complesso del Vittoriale svetta sul Lago di Garda ed ospita un vero e proprio museo colmo di reliquie, ricordi, cimeli e tracce del “vivere inimitabile” che il poeta-vate ha dedicato e donato agli italiani.
Nell’atto di donazione, stipulato da d’Annunzio il 22 dicembre 1923 e poi perfezionato nel 1930, il poeta dichiara e illustra i suoi intenti, sigillati nel motto araldico, apparentemente paradossale, inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due cornucopie: “Io ho quel che ho donato”.
“Io ho quel che ho donato”
G. D’Annunzio
« Io donai allo stato le case e le terre da me possedute nel comune di Gardone sul Garda così anche donai tutte le mie suppellettili interamente, senza eccettuarne veruna: e non soltanto quelle già collocate nelle mie case ma pur quelle che di anno in anno io vado scegliendo e disponendo e catalogando. Io vivo e lavoro, e faccio musica, nella solitudine del Vittoriale donato; e dedico alle mie mura l’assiduo amore che mi lega alle pagine de’ miei nuovi libri. Non soltanto ogni mia casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come un de’ miei drammi, come un qualunque mio atto politico e militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede. Per ciò m’ardisco io d’offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro: non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto infatti è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risànguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave ‘Puglia’ è posta in onore e in luce sul poggio. E qui non a impolverarsi ma a vivere son collocati i miei libri di studio, in così grande numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di ricercatore e di ritrovatore solitario. Tutto è qui dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata. Ma da poco la mia salma ha già la sua arca sul colle denominato Mastio. Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole, le botteghe, le officine a rimembrare e rinnovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto, colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettarii di Caterina Sforza sottilizzo i profumi. »
La stipula dell’atto che dichiara la donazione del Vittoriale allo Stato, garantisce il finanziamento necessario alla sua costruzione: prende dunque avvio la Fabbrica, subito qualificata come Santa da d’Annunzio, il quale si avvale del giovane architetto Gian Carlo Maroni, battezzato ‘Maestro delle pietre vive’ che nel 1937, quando il Vittoriale diventerà una fondazione, ne assumerà la soprintendenza.
La casa del poeta
- Il primo nucleo della ristrutturata residenza del poeta é la cosiddetta Prioria.
Il cancello dorato si apre e iniziamo il percorso incontrando la colonnina francescana sormontata da un canestro con melograni simbolo della abbondanza e fertilità.
- Accediamo alla Stanza del Mascheraio così chiamata dai versi composti dal poeta in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925:
Al visitatore: teco porti lo specchio di Narciso?
Questo é piombato vetro, o mascheraio.
Aggiusta le tue maschere al tuo viso
Ma pensa che sei vetro contro acciaio
- Passiamo nella Stanza della musica, le pareti sono rivestite di preziosi damaschi neri e argento per favorire l’acustica. E’ dedicata ai piaceri della musica. Oltre a numerosi strumenti musicali delle varie epoche, sulle pareti si trovano i ritratti di Cosima Liszt, Wagner, e le maschere di funerarie di Beethoven e di Listz. Fanno parte dell’arredamento oggetti déco – Diana cacciatrice, statuette orientali, colonne romane, calchi in gesso di sculture greche che compongono un’alchimia di disparati simboli culturali.
- Entriamo ora nella Stanza del mappamondo che é una delle grandi biblioteche del Vittoriale. Alle pareti vediamo circa seimila libri. L’occhio cade sulla maschera funebre di Napoleone, il busto in gesso di Michelangelo (considerato da sempre il Parente del poeta). In una nicchia c’é l’altro caposaldo culturale di D’Annunzio, Dante Alighieri, Dantes Adriacus in ricordo dell’impresa fiumana.
- Giungiamo così alla Zambracca il cui significato, “donna da camera”, deriva da un antica parola provenzale. In questo studiolo raccolto il poeta trascorreva, negli ultimi anni, la maggior parte del suo tempo; e qui D’Annunzio morì la sera del 1° marzo 1938. Sulla scrivania un prezioso scrittoio di Bucellati, orafo del Vittoriale. La testa d’aquila in argento di R.Brozzi, animali esotici in vetro di murano, la testa dell’Aurora di Michelangelo, i gessi dei cavalli di Fidia del Partenone.
- Ci avviciniamo alla Stanza della Leda, la camera da letto del Poeta che prende il nome da un grande gesso posto sul caminetto – in stile Déco con nicchie dorate e statuette di origine orientale e di vetro Lalique – raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno. “Genio et voluptati” é il motto che si legge sull’architrave della porta mentre sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati i versi danteschi “Tre donne intorno al cor mi son venute...”.
Anche qui il vasto assortimento di oggetti é straordinario: dai piatti arabo-persiani agli elefanti in maiolica cinese, dai bronzi cinesi alle maioliche azzurre ai mobili in stile orientale.
- Entriamo quindi nella La Veranda dell’Apollino che fu aggiunta da Maroni per schermare la luce diretta del sole nella stanza della Leda, e fungeva da saletta di lettura affacciata sui giardini del Vittoriale digradanti verso il lago. La stanza é decorata da riproduzioni di ritratti famosi del Rinascimento italiano, animali in porcellana Lenci e Rosenthal, tappeti e vasi persiani. Su un tavolino le fotografie della madre e di Eleonora Duse.
Bagno Blu
Bagno Blu-particolare
- Bagno Blu – Il bagno padronale é una specie di scrigno contenente oltre 600 oggetti. Sul soffitto si legge il motto “Ottima é l’acqua” da Pindaro, alle pareti le riproduzioni di degli ignudi della Cappella Sistina di Michelangelo, piastrelle persiane di ceramica e pietre preziose cinesi. Un blocco di malachite su cui si staglia un’antilope in vetro soffiato di Guido Balsamo Stella.
- Ritirata – Il piccolo ambiente contiene maschere lignee del teatro giapponese del secolo XVIII e una figurina femminile di porcellana di Rosenthal del 1927.
- Stanza del lebbroso – Fu concepita da D’Annunzio come camera funeraria, quindi é la stanza più ricca di simboli del Vittoriale. Cinque Sante (Caterina da Siena, Giuditta di Polonia, Elisabetta di d’Ungheria, Odilla d’Alsazia e Sibilla di Fiandria) appaiono al poeta come un sogno incitandolo alla rinuncia dei piaceri del mondo. D’Annunzio affidò il suo programma iconologico di questo ambiente a Guido Cadorin che tra il 1924 e il 1925 decorò il soffitto con cinque figure femminili volanti, ma i volti sono ritratti di donne legate a D’Annunzio. Notevole il dipinto di Cristo che benedice la Maddalena e sullo sfondo il dipinto di S.Francesco che abbraccia il lebbroso, ossia il poeta stesso, il prezioso San Sebastiano del secolo XVI, le vetrate di Pietro Chiesa con iscrizioni tratte dalle laudi francescane: tutto cospira al mito ascetico di d’Annunzio che fece realizzare a Maroni il letto a forma di culla-bara, per le sue meditazioni sul misztero della vita e della morte. Qui sarà esposta la sua salma fra l’1 e il 2 marzo 1938.
- Corridoio Via crucis - Così denominato dalle formelle in rame smaltato che rappresentano le stazioni della Via crucis, opera di Giuseppe Guidi.
- L’Officina, lo Studio dove D’Annunzio si ritirava a creare le sue opere, al quale si accede da una porta bassissima che costringe ad inchinarsi all’arte; é l’unica stanza in cui la luce può entrare liberamente.
- La Stanza di Cheli, così chiamata per la tartaruga morta per indigestione che campeggia, trasformata in bronzea scultura, come monito per i commensali.
- Lo scrittoio del monco, dove il poeta sbrigava la corrispondenza, chiamata ironicamente così per l’impossibilità di rispondere a tutte le lettere che gli arrivavano.
- La Stanza delle reliquie. Prima di divenire esclusivo ricettacolo delle "immagini di tutte le credenze", "degli aspetti di tutto il divino", la stanza delle reliquie era la stanza da pranzo e della musica, per questo veniva chiamata cenacolo, o stanza del contrappunto. Già all'origine conteneva reliquie di guerra e fiumane. Al centro del gonfalone, il serpente che si morde la coda (simbolo di eternità), le sette stelle dell'Orsa Maggiore. Le pareti sono ricoperte da cortinaggi con disegno a melagrana, e da un grande arazzo di soggetto biblico, appeso alla travatura, sormontato dal motto, giustificato dal fatto che d'Annunzio escludeva dai sette vizi capitali Lussuria e Prodigalità: Cinque le dita, cinque le peccata. La luce della stanza mistica è schermata dalla vetrata policroma, che rappresenta Santa Cecilia all'organo. L'alta travatura sorregge una teoria di santi lignei, di diversa provenienza, e reca i versi: Tutti gli idoli adorano il Dio vivo tutte le fedi attestan l'uomo eterno tutti i martiri annunziano un sorriso tutte le luci della santità fan d'un cuor d'uomo il sole e fan d'Ascesi l'Oriente dell'anima immortale Due gli altari della stanza: uno composto da una piramide di idoli orientali, alla cui cima è però la Madonna col Bambino, l'altro formato da un insieme di simboli religiosi e da reliquie cruente: al centro è infatti il volante spezzato dell'inglese Sir Henry Segrave, campione dell'entrobordo, morto il 13 giugno 1930 nel tentativo di superare, incitato dallo stesso Poeta, nelle acque del lago Windermere, il record di velocità. Testimoni del pericolo da egli stesso scampato sono, sotto le ali spiegate di un'aquila, il bassorilievo del Leone di San Marco, dono del comune di Genova, che commemora un discorso tenuto dal Poeta nel maggio 1915, per incitare gli italiani ad entrare in guerra; e un quadro di Marussig, dal medesimo soggetto, che ornava lo studio del Comandante a Fiume. Questo dipinto fu colpito da una scheggia di granata durante il "Natale di Sangue" (1920), ed è ora lesionato a memoria dell'incidente che avrebbe potuto costare la vita a d'Annunzio.
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.2012
B-VITTORIALE degli Italiani: Monumenti Esterni
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
MONUMENTI ESTERNI
Il Vittoriale degli Italiani non è solo la stupefacente casa di Gabriele D'Annunzio, costruita a Gardone Riviere sulle rive del lago di Garda dal poeta-soldato con l'aiuto dell'architetto Giancarlo Maroni, ma un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all'aperto, giardini e corsi d'acqua eretto tra il 1921 e il 1938 a memoria della sua "vita inimitabile" e delle imprese degli italiani durante la Prima guerra mondiale. Il Vittoriale oggi è una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 180.000 persone.
Ingresso del Vittoriale
Il Vittoriale si estende per circa nove ettari sulle colline di Gardone Riviera in posizione panoramica, dominante il lago. Accoglie il visitatore l'ingresso monumentale costituito da una coppia di archi al cui centro è collocata una fontana che reca in lettere bronzee un passo del Libro segreto, ultima opera scritta da Gabriele d'Annunzio: “Dentro da questa triplice cerchia di mura, ove tradotto è già in pietre vive quel libro religioso ch'io mi pensai preposto ai riti della patria e dei vincitori latini chiamato Il Vittoriale”. A sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso motto dannunziano:
“Io ho quel che ho donato”
PILO DEL PIAVE – Costruito in pietra di Torri del Benaco, viene eretto tra il 1934-1935A rappresentare simbolicamente l’arcata spezzata di un ponte a ridosso del Piave. Sulla sommità venne collocata nel 1935 una versione della Vittoria del Piave incatenata ai piedi ma con le ali frementi, simbolo della volontà di resistenza dell’esercito italiano dopo la rotta di Caporetto.
Piazza Dalmata
Dalle arcate d'ingresso si snoda un duplice percorso: il primo in leggera salita conduce alla Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, e salendo ancora alla Nave militare Puglia e al Mausoleo degli Eroi con la tomba del poeta; il secondo porta verso i giardini, l'Arengo, e, attraverso una serie di terrazze degradanti verso il lago, si giunge alla limonaia e al frutteto.
Palazzo Schifamondo contiene il Museo della Guerra
Schifamondo è l'edificio destinato a diventare la nuova residenza del poeta, ma che non era ancora ultimato al momento della sua morte (1º marzo 1938 ). Il nome, ispirato da un passo di Guittone d'Arezzo e dalla residenza rinascimentale di Palazzo Schifanoia degli Estensi di Ferrara, manifesta il desiderio di isolamento del poeta. L'edificio venne concepito dall'architetto G. Maroni come l'interno di un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in boiserie di legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave, con decorazioni déco. Oggi ospita il Museo D'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.
Schifamondo comprende anche l'Auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo SVA del celebre Volo su Vienna . Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele d'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a d'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio de Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della Figlia di Iorio e di Parisina , Jonathan Meese, Luigi Ontani.
La Prioria e Lo zoccolo del Pilo Dalmata é composto da due pietre di macina provenienti da un antico frantoio locale, sulle quali sono incastonate, come una corona, otto teste barbute cinquecentesche. Una lunga scritta ricorda i nove anni dell’entrata in guerra dell’Italia (XXIV Maggio 1915) e i sette anni della battaglia avvenuta, il 27 Maggio 1917, alle foci del Timavo. A questa battaglia prese parte anche D’Annunzio, tra le cui braccia morì il comandante dei Lupi di Toscana il maggiore Giovanni Randaccio.
Superato l'ingresso e presa la via verso la Prioria si incontrano il Pilo del Piave con la scultura della Vittoria incatenata dello scultore Arrigo Minerbi , il Pilo del Dare in brocca, cioè colpire nel segno, imbroccare. Sulla sinistra l'Anfiteatro progettato da Maroni fra il 1931 e il 1938 ma ultimato soltanto nel 1953. Ispirato ai teatri della classicità, e in particolar modo a quello di Pompei dove Maroni venne mandato in missione insieme allo scultore Renato Brozzi, gode di uno strabiliante panorama sul lago avendo come naturale scenografia il Monte Baldo, l'isola del Garda, la rocca di Manerba nella quale al poeta tedesco Goethe parve di ravvisare il profilo di Dante e la penisola di Sirmione. È sede ogni estate di una prestigiosa stagione di spettacoli che negli anni ha portato a calcare il palco i più grandi attori italiani, étoiles del mondo della danza come Carla Fracci ed Eleonora Abbagnato, star della musica internazionale come Lou Reed, Michael Bolton e Patty Smith .
Subito dopo il Pilo del Piave, vi é un altro simbolo di riscatto allusivo alle vittorie italiane della Prima Guerra Mondiale: Il Pilo del “Dare in brocca”. Significa “colpire nel segno” ed appunto al bersaglio centrato allude il medaglione in marmo, con le frecce, disegnato da Guido Marussing. Il pilo veniva utilizzato per issare bandiere e gonfaloni.
Salendo ancora si giunge alla Piazzetta Dalmata che prende il nome dal Pilo sovrastato dalla Vergine di Dalmazia. Su questo spazio si affacciano la Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, lo Schifamondo, le Torri degli Archivi e il Tempietto della Vittoria con una copia bronzea della celebre Vittoria Alata di Brescia di epoca classica. Sul lato destro è possibile ammirare due delle ultime automobili possedute da d'Annunzio nel corso della sua vita: la Fiat T4, con la quale fece il suo ingresso a Fiume il 12 settembre 1919, e l'Isotta Fraschini.
Nella foto, l’entrata della Prioria
La casa, precedentemente di proprietà del critico d’arte tedesco Henry Thode, è denominata dal poeta Prioria ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L'antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l'inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del Palazzo Pretorio di Arezzo. Al centro della facciata un araldico levriere illustra il motto dannunziano “Né più fermo né più fedele”. Il pronao d'ingresso, in stile Novecento, è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto “Clausura, fin che s'apra - Silentium, fin che parli”.
Parte di Schifamondo con lo Stemma di D’Annunzio al centro
Lo Stemma di D’Annunzio. L’ala nuova del Vittoriale, detta Schifamondo, ospita l’Auditorium; di questi, al centro del soffitto é sospeso l’aereo SVA che D’Annunzio utilizzò per il volo su Vienna il 9 agosto 1918. Il 9 Agosto 2008, novanta anni dopo, a Gardone viene ricordata l'impresa del Volo: alcuni aerei SVA dello stesso tipo di quelli dell'Impresa, volano su Gardone gettando la riproduzione dello stesso volantino che fu lanciato su Vienna.
Lasciati i giardini e percorso Viale di Aligi si giunge alla Fontana del Delfino, che con la sua forma semi-circolare richiama un po' Piazza Esedra.
Percorrendo i "sentieri delle limonaie" e del giardino si arriva al frutteto ove é collocata la Canefora opera in bronzo di Napoleone Martinuzzi.
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.1012
A-VITTORIALE degli Italiani: Gabriele D'Annunzio
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
GABRIELE D'ANNUNZIO
Gabriele D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio, principe di Montenevoso, a volte scritto d'Annunzio, come usava firmarsi (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera , 1°marzo 1938 ), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo , militare , eroe di guerra, politico e giornalista italiano , simbolo del Decadentismo italiano del quale fu il più illustre rappresentante assieme a Giovanni Pascoli.
Soprannominato il Vate cioè "il profeta", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. Come letterato fu «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana…» e come politico lasciò un segno sulla sua epoca e una influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti.
Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara da famiglia borghese che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'Annunzio. Compie gli studi liceali nel Collegio Cicognini di Prato distinguendosi sia per la condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica PRIMO VERE, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma , dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.
Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 hanno grande risonanza la fuga e il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che, a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi l'Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890).
Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli.
Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia.
Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903).
Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la destra e si unisce all'estrema sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi (1903).
Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia.
Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, e anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914).
Nel 1912, a celebrazione della guerra in Libia, esce il quarto libro delle Laudi. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921.
Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene “eroe nazionale” partecipando a celebri imprese, quali la Beffa di Buccari e il Volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare “repubblica”: la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel Museo-Mausoleo del Vittoriale degli Italiani.
Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.
Se l’Italia é un Paese di santi, poeti, navigatori e amatori... Gabriele D’Annunzio é l’emblema che raccoglie tutte queste peculiarità. Come si fa a non amarlo?
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.1012